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PDL 2625

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2625



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato GRIMOLDI

Disposizioni per la stabilizzazione degli insegnanti di sostegno e in materia di valutazione del servizio prestato quale insegnante di sostegno

Presentata il 9 maggio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La continuità educativa nel processo di integrazione degli alunni diversamente abili è uno dei diritti garantiti dallo Stato, anche se scarsamente rispettato. Sul tema della continuità non si può non evidenziare come, negli anni '90, si sia tentato, con vari interventi, legislativi e regolamentari, di passare alle concrete azioni educative e didattiche generalizzate. La tematica e l'esigenza della continuità si sono progressivamente imposte nella cultura pedagogica solo quando sono risultati sempre più evidenti i danni della discontinuità del sistema educativo italiano. Partendo da questa consapevolezza il legislatore ha emanato una serie di norme specifiche sulla continuità che è bene richiamare cronologicamente:

          1) la premessa generale ai programmi didattici per la scuola primaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1985, n. 104;

          2) gli articoli 1 e 2 della legge 5 giugno 1990, n. 148, recante la riforma dell'ordinamento della scuola elementare;

          3) la parte II, punto 4, degli orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali di cui al decreto del

 

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Ministro della pubblica istruzione 3 giugno 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 15 giugno 1991;

          4) il decreto del Ministro della pubblica istruzione 16 novembre 1992 allegato alla circolare n. 339 del 1992 sulla continuità educativa.

      Queste norme e direttive sono state oggetto di varie iniziative di aggiornamento, tra cui il piano nazionale di aggiornamento per le scuole elementari prima e per le scuole materne poi e il piano nazionale di aggiornamento su Continuità e valutazione nella scuola elementare.
       Il quadro dei problemi implicito nelle questioni della continuità ha una valenza psicologica che non si può sottacere. Negli anni '80 si è teorizzata la «scuola come centro di ricerca» che costituirebbe il perno di un sistema scolastico allargato e integrato in continuità con l'ambiente familiare e sociale; tale integrazione impone evidentemente il principio della «continuità didattica», per evitare che si creino fratture tra via scolastica ed extrascolastica, facilitando, altresì, il legame con i bisogni formativi del territorio, vale a dire la creazione della cosiddetta «continuità orizzontale». Per molti anni, oltre che di continuità tra scuola ed extrascuola, si è discusso anche di continuità curriculare tra i vari ordini e gradi di scuola in cui transita il soggetto in età evolutiva. La discussione sulla continuità didattica è legata principalmente alla problematica degli stadi di sviluppo studiati da Piaget. Sappiamo bene quanto Piaget abbia insistito sulla continuità degli stadi di sviluppo che caratterizzano le fasi di ogni crescita, oltre che sulla discontinuità tra i vari stadi. Secondo Piaget negli stadi inferiori dello sviluppo sono, per così dire, già presenti i «prodromi» di quelli che saranno i livelli superiori, i quali ne rappresentano una maturazione in continuità. Da qui la sua insistenza sulla necessità nel far acquisire i cosiddetti «pre-requisiti» e sulla continuità tra i curricoli formativi tra i vari ordini e gradi di scuola. La psicologia dell'apprendimento, sviluppando queste indicazioni, ha progressivamente cercato di informare, attraverso le pubblicazioni più diffuse, la didattica scolastica. Ma le questioni della continuità meritano uno sguardo più a fondo di quanto fino ad oggi si sia fatto nella pubblicistica pedagogica più vicina temporalmente a noi. Da varie parti si percepiscono l'importanza della questione e i pericoli della frammentazione dell'azione educativa; nelle riflessioni della pedagogia moderna, e in particolare quella di John Dewey, viene messo in luce il carattere «della continuità dell'esperienza e di quello che si può chiamare il continuum sperimentale». John Dewey scrive, nel suo libro intitolato «Esperienza e Educazione», di aver individuato nel principio della «continuità» il discrimine per distinguere le esperienze che hanno un valore educativo da quelle che non lo hanno. È la continuità dell'esperienza che sta alla base della formazione delle abitudini; «ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che l'hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno». L'autore, già nella sua opera pedagogica più famosa, «Democrazia e Educazione» (pubblicata nel 1970), aveva insistito su quest'aspetto. Riflettendo sull'esempio di colui che impara ad andare in bicicletta aveva già fatto notare che «l'atto semplice dell'andare in bici, comporta una "continuità" nei movimenti e l'eliminazione di quelli superflui e dannosi e che l'abitudine incorpora in modo automatico una serie di processi "concatenati" e in sequenza temporale: l'atto finale dell'andare in bici non è poi così semplice come appare, ma presuppone un processo di apprendimento in cui una serie di tentativi sbagliati e dannosi sono stati eliminati e solo quelli utili sono stati "continuati" e via via perfezionati». È la continuità, secondo Dewey, che sta alla base delle abitudini e quindi della formazione. Gli studiosi a noi più vicini, e in particolare Bruner e Gardner (Bruner 1980, Gardner 1987), tenendo conto sia delle ricerche di Piaget sia di quelle di Vygotskji (Vygotskji 1969), convergono nella stessa direzione: poiché l'apprendimento di un ambito disciplinare

 

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consiste soprattutto nell'acquisizione delle sue «strutture» profonde, la scuola non può e non riesce mai a fare apprendere tutte le nozioni, che sono sempre più ampie e non immagazzinabili da una persona. Essa deve fornire i quadri concettuali, le strutture, per l'appunto, che, come ribadisce lo stesso Piaget, sono «isomorfe» alle strutture mentali del bambino. Il processo educativo si inserisce nella continuità del processo di apprendimento, il quale trova nelle strutture concettuali degli ambiti disciplinari il fine-mezzo per la sua realizzazione.
      Nonostante queste chiare determinazioni dell'analisi psicopedagogica, il processo educativo nella società e nella scuola è caratterizzato da discontinuità e da fratture sempre più evidenti. Il tema della «continuità» è più volte richiamato nella normativa scolastica e nei contratti collettivi nazionali di lavoro (permanenza in servizio per chi rientra dopo il 30 aprile, o per le supplenze prima e dopo le vacanze o per coloro che sostituiscono chi è in mandato amministrativo). In particolare, nella normativa in vigore, si prevede la permanenza nella sede assegnata ai neo-immessi in ruolo per almeno 2 anni nella stessa provincia e per 3 anni in una provincia diversa. Purtroppo tale norma viene sistematicamente disattesa in quanto, in base a una discutibile disposizione ministeriale, per il primo anno tale assegnazione viene definita «provvisoria», per cui i neo-immessi in realtà sono tenuti alla permanenza solo a partire dall'anno successivo. Va ricordato ancora che la legge n. 53 del 2003 (la cosiddetta «Riforma Moratti») all'articolo 3, comma 1, lettera a), aveva previsto che «il miglioramento dei processi di apprendimento e della relativa valutazione, nonché la continuità didattica, sono assicurati anche attraverso una congrua permanenza dei docenti nella sede di titolarità». L'articolo non è mai stato applicato in quanto vi è stato il ricorso delle organizzazioni sindacali, che richiamandosi al decreto legislativo n. 165 del 2001 ne hanno chiesto l'abolizione poiché, a loro parere, la questione era materia di contrattazione. L'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) nell'estate 2006 ha confermato tale interpretazione, per cui l'articolo è stato disapplicato. La citata norma riguardava essenzialmente il personale «non di ruolo», poiché gli insegnanti che intendono usufruire della «mobilità» non sono soggetti a vincoli contrattuali. Anche se è naturale che in materie come questa vengano perseguiti la concertazione o l'accordo con le organizzazioni sindacali, tuttavia, si ritiene che i sindacati, specie quelli confederali, non possano non tenere conto dell'esigenza di garantire anche gli interessi degli utenti del servizio scolastico.
      Il ricorso alle nomine «fino all'avente diritto», introdotto nella normativa per evitare vuoti nelle cattedre per lungo tempo all'inizio dell'anno, ha finito per diventare un alibi affinché le graduatorie annuali di istituto escano ogni anno a novembre o a dicembre; e così «l'istituto delle supplenze» diventa la norma, con grave pregiudizio per la qualità dell'insegnamento, soprattutto nelle scuole di periferia o di montagna, in cui il numero dei docenti precari è elevato.
      Fino a quando il precariato rimarrà agli attuali livelli non ci sono molte speranze di garantire stabilità all'insegnamento. Ma anche in attesa di una maggiore stabilizzazione del corpo docente alcune misure si possono adottare sia per garantire una maggiore qualità del servizio alle famiglie sia per diminuire il tasso di precarietà dei docenti non di ruolo.
      L'articolo 1 della presente proposta di legge prende in esame il problema dei docenti di sostegno precari, proponendo la loro stabilizzazione, attraverso modalità che garantiscano la loro permanenza per un periodo non inferiore a cinque anni.
      I vantaggi per gli alunni e per le famiglie sarebbero evidenti; ma ci sarebbe un vantaggio anche per i docenti precari. Scegliendo le sedi con «incarico quinquennale», il docente precario si troverebbe comunque in una situazione migliore
 

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rispetto all'attuale e ciò gioverebbe non solo a dargli maggiore sicurezza, ma anche a consentirgli una programmazione più adeguata del suo lavoro, senza continui spostamenti da un anno all'altro. Trattandosi di una libera scelta, non si tratterebbe di un vincolo imposto.
      Al comma 2 dell'articolo 1 si prevede il diritto di precedenza sul posto da assegnare, allo scopo di privilegiare la «continuità».
      Le incentivazioni regionali potrebbero «premiare» proprio quei docenti che hanno fatto tale scelta e non indistintamente tutti i docenti che prestano servizio in sedi disagiate, come avviene adesso.
      Per quanto concerne, poi, il problema della mobilità, l'articolo 2 della proposta di legge in esame propone il riconoscimento della maggiorazione di un anno di servizio ai docenti di ruolo, ai fini pensionistici ed economici.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al fine di rendere effettivo il diritto all'integrazione dell'alunno diversamente abile, è garantita la stabilizzazione degli insegnanti di sostegno con contratto di lavoro a tempo determinato, in possesso del titolo di specializzazione, conseguito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n. 970, e successive modificazioni.
      2. Nelle operazioni di nomina in ruolo sui posti di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado è riconosciuto il diritto di precedenza al personale di cui al comma 1, purché in condizione di garantire la prestazione del servizio in maniera continuativa, assicurando la permanenza effettiva per periodi non inferiori a cinque anni.
      3. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della pubblica istruzione provvede, con proprio decreto, ad adottare un regolamento per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo.

Art. 2.

      1. Nelle operazioni di mobilità, per il servizio effettivamente prestato sui posti di sostegno con continuità didattica per periodi non inferiori a cinque anni, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, al personale insegnante di ruolo è riconosciuta la maggiorazione di un anno di servizio ai fini pensionistici ed economici.

 

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Art. 3.

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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