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PDL 2750

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2750



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FORMISANO

Modifica all'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, in materia di estensione del diritto alle prestazioni previdenziali ai discendenti di secondo grado minorenni, nonché agli ascendenti e ai discendenti inabili al lavoro

Presentata il 7 giugno 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - In un momento in cui si assiste a tentativi di disgregare la famiglia tradizionale e i valori che essa esprime, da più parti si avverte l'esigenza di dare sempre più vigore ai vincoli parentali e di solidarietà familiare che da essa derivano.
      In particolare, ciò cui le istanze sociali sembrano voler dare maggiore rilievo è la necessità di un riconoscimento di valore giuridico al rapporto tra nonni e nipoti: ne sono testimonianza, a mero titolo esemplificativo, le sentenze sempre più numerose che riconoscono ai nonni il diritto di visitare i propri nipoti in caso di separazione dei genitori.
      A fronte di un'interpretazione evolutiva dell'ordinamento, che tende a dare sempre maggiore rilevo giuridico a tale vincolo familiare, tante ancora restano le aree di sofferenza in cui il medesimo vincolo viene ignorato: ciò è quanto avviene anche in materia di assistenza e di previdenza, in cui la relazione tra nonni e nipoti è apprezzata solo parzialmente.
      È questo il caso del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, recante «Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti».
      L'articolo 38 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 818 del 1957 dispone che «Per il diritto alle prestazioni delle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione e alle maggiorazioni di esse sono equiparati ai figli legittimi o legittimati i figli
 

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adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge, nonché i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge.
      Agli stessi fini s'intendono equiparati ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle quali l'assicurato fu affidato come esposto».
      Per il medesimo articolo 38, quindi, il trattamento pensionistico ai superstiti, secondo l'interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza (sia in termini di ermeneutica che in termini applicativi) spetta anche in caso di discendenza indiretta (nonno/nipote), ossia oltre i limiti soggettivi strettamente considerati nella norma, dovendosi fornire rilievo al dato della convivenza a carico e dell'effettività della convivenza (Corte costituzionale, sentenza 12-20 maggio 1999, n. 180; pretura di Milano 3 febbraio 1999). La norma, invece, non è applicabile agli invalidi totali e permanenti viventi a carico che si trovano nelle medesime e identiche condizioni.
      Una tale limitazione comporta uno stato di sperequazione tra condizioni equiparabili, perché gli invalidi totali e permanenti, benché maggiorenni, nondimeno dipendono, in quanto a mantenimento, proprio a causa del loro stato di assoluta incapacità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, dai congiunti con cui convivono (entrambi, i minori e gli inabili assoluti, sono tutelati negli istituti del diritto di famiglia e in quelli della sicurezza sociale proprio in relazione alla loro incapacità a procurarsi un reddito da soli).
      Infatti, la stessa ratio che sorregge l'estensione del beneficio alle diverse categorie di minorenni cui la giurisprudenza ha fatto riferimento (figli del coniuge, minori viventi a carico anche se non formalmente affidati, minori nipoti eccetera), sorregge anche la posizione dell'invalido al 100 per cento, in quanto in entrambi i casi la «vivenza a carico», quale situazione di fatto, si giustifica per l'incapacità a produrre un reddito utile per garantirsi non solo un'esistenza libera e dignitosa, ma anche i mezzi adeguati e necessari per vivere (il concetto di «vivenza a carico» esprime la condizione di non autosufficienza economica di determinate categorie di soggetti).
      Sul punto la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 180 del 1999, nel fornire l'interpretazione della legge delega, ha posto un principio che è applicabile direttamente solo ai nipoti: «Tra i destinatari diretti e immediati della reversibilità non sono (...) inclusi i nipoti, pur se (...) viventi a carico. Tale esclusione risulta irrazionevole e comporta la violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Infatti, la ratio della reversibilità dei trattamenti pensionistici consiste nel farne proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi così ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto (v. le sentenze n. 70 del 1999, n. 18 del 1998, n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987). Si realizza in tal modo, anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della solidarietà familiare».
      Dunque si può certamente affermare che nella materia in questione «i nipoti sono come i figli», ossia il dettato costituzionale, in identica situazione, tutela i nipoti allo stesso modo dei figli, così che se un beneficio spetta ai secondi deve essere automaticamente esteso anche ai primi: tale è il caso della reversibilità dei trattamenti pensionistici.
      Ma, se il principio ordinatore della materia è quello di garantire al soggetto che, trovandosi in determinate e qualificate posizioni di svantaggio sociale (minori e inabili totali), non abbia reddito sufficiente e il cui mantenimento sia stato garantito in vita proprio dal titolare della pensione principale in ragione di una relazione parentale qualificata (ascendenza e discendenza), non appare giustificata l'esclusione dal trattamento di reversibilità di una qualsiasi delle categorie protette (nel caso di specie, gli inabili al lavoro).
      Infatti, non si comprende quale possa essere la razionalità del sistema se, allorquando si tratta di «minorenni» o di
 

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maggiorenni «studenti entro i 21 o 26 anni», l'equiparazione tra «figli e nipoti» sussiste, mentre quando si tratta di «inabili totali al lavoro» il principio dell'equiparazione tra «figli» e «nipoti» viventi a carico non vige più.
      La pensione di reversibilità, così come è riconosciuta espressamente ai figli maggiorenni inabili al proficuo lavoro (articolo 8 della legge n. 222 del 1984 e, da ultimo, articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995), specularmente, stante l'equiparazione dei nipoti ai figli sancita dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale, citata sentenza n. 180 del 1999), dovrebbe essere riconosciuta anche ai nipoti maggiorenni inabili al proficuo lavoro (sempreché, evidentemente, sussista il requisito della «vivenza a carico»).
      Tanto è vero che nell'omologo regime per la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali da parte dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) il diritto alla rendita, previsto dagli articoli 85 e 106 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, è riconosciuto agli ascendenti e ai discendenti senza limiti di età, per la sola «vivenza a carico», la quale sussiste ove gli ascendenti medesimi «si trovino senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti e al mantenimento di essi concorreva in maniera efficiente il defunto» (Cassazione civile, sentenza del 4 marzo 2002, n. 3069).
      A fugare ogni dubbio soccorre l'ulteriore principio applicato in materia di assegni familiari (articolo 4 del decreto-legge 14 luglio 1980, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1980, n. 440), normativa per cui ai figli minori dei titolari di diritto a pensione (diretta, indiretta o di reversibilità) sono equiparati i viventi a carico totalmente inabili al lavoro.
      Analogamente l'articolo 16, sesto comma, della legge 14 dicembre 1973, n. 829, in tema di successione nel diritto all'indennità di buonuscita dei dipendenti dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, nel presupporre lo stato di «vivenza a carico», equipara alla minore età l'invalidità permanente a proficuo lavoro.
      Ulteriore termine di paragone, anche ai fini dell'eventuale applicazione analogica, è l'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito, con modificazioni, della legge 6 luglio 1939, n. 1272, e successive modificazioni, il quale, ai fini della reversibilità, equipara ai figli minorenni i figli maggiorenni inabili al lavoro («in caso di morte del pensionato la pensione spetta al coniuge e ai figli superstiti» minorenni, mentre ai figli superstiti maggiorenni spetta soltanto se essi siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest'ultimo; l'inabilità al lavoro rappresenta pertanto un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell'azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d'ufficio dal giudice, a nulla rilevando che l'istituto previdenziale non abbia tempestivamente eccepito la carenza del suddetto presupposto: Cassazione civile, sentenza del 10 febbraio 1998, n. 1367).
      Sotto questo aspetto deve ritenersi incongrua la legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla norma di attuazione e coordinamento (citato articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 818 del 1957), per cui appare giusto porvi rimedio estendendo automaticamente ai nipoti maggiorenni inabili al lavoro i benefìci previsti dalle disposizioni del medesimo articolo 38.
      Infine, mentre la legge ha espressamente considerato l'ipotesi del nipote a carico del nonno, non ha considerato la diversa ipotesi, seppur casisticamente marginale, del nonno vivente a carico del nipote.
      Al fine di colmare le lacune evidenziate dalla normativa in esame, solo in parte coperte dalla giurisprudenza, si ritiene necessario un espresso intervento legislativo che ponga l'operatività del meccanismo della reversibilità del trattamento pensionistico nella più ampia casistica
 

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possibile, comprendendo tutte quelle situazioni in cui, nell'ambito di un vincolo parentale, sussiste il requisito della vivenza a carico di soggetti svantaggiati che presentano l'incapacità ad attendere a ogni proficuo lavoro: così si costruisce il primo anello di un rapporto di solidarietà tra nonni e nipoti, apprezzabile sotto il profilo della sicurezza sociale (che trova riconoscimento negli articoli 3, secondo comma, e 38 della Costituzione), sperando che a questo primo intervento ne facciano seguito altri per completare un quadro finalizzato a garantire nuova forza a rapporti parentali forniti di un vincolo etico e morale, prima ancora che giuridico.
      Si ha certamente coscienza che i casi su cui la presente proposta di legge è diretta a incidere sono pochi e riguardano una piccola minoranza della popolazione, ma la civiltà giuridica di un ordinamento si misura anche dalla sua capacità di rispondere alle esigenze di tutela e alle istanze delle minoranze, soprattutto quando si tratta di soggetti deboli in posizione di indigenza materiale e spirituale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Le prestazioni di cui al primo comma spettano anche ai discendenti in linea retta di secondo grado minorenni e, se totalmente inabili al lavoro, agli ascendenti e ai discendenti maggiorenni senza limiti di età».

Art. 2.

      1. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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