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PDL 2270

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2270


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DE CORATO, ASCIERTO, BERNARDO, BIANCOFIORE, BONO, BRUSCO, BUONTEMPO, CARLUCCI, CASTIELLO, CONSOLO, GIULIO CONTI, FILIPPONIO TATARELLA, GRECO, MAZZOCCHI, MIGLIORI, MISTRELLO DESTRO, MISURACA, OSVALDO NAPOLI, NESPOLI, PORCU, PROIETTI COSIMI, RAISI, RAMPELLI, SAGLIA, SALERNO

Norme in materia di costituzione di parte civile dei comuni nei procedimenti per violenza sessuale

Presentata il 15 febbraio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Un rapporto stilato nel 2004 da Amnesty International in merito alle violenze sulle donne ha reso noto che, a livello mondiale, almeno il 20 per cento delle donne ha subìto abusi fisici e violenze sessuali. Da secoli, purtroppo, la violenza sulle donne è la violazione dei diritti umani più diffusa, più socialmente accettata e più difficile da contrastare; presente in tutti i Paesi, in tutte le società e in tutte le culture, essa tocca tanto la sfera pubblica quanto quella privata e si manifesta a livello psicologico forse ancora più che a livello fisico.
      Una relazione approvata dall'Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite (ONU) nei primi mesi del 2006 definisce la violenza contro le donne come «ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o nel privato».
      Anche nel nostro Paese la violenza sulle donne continua a manifestarsi con una frequenza sconcertante e, soprattutto negli ultimi mesi, si è assistito a un drammatico aumento dei casi di stupro su donne e, fatto ancora più grave, su ragazze minorenni.
      Come si evince da una ricerca condotta dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) insieme all'allora Ministro per le pari opportunità, in Italia sono più di mezzo
 

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milione le donne vittime di stupri o di tentativi di violenza sessuale. Solo negli ultimi tre anni si sono verificati 118.000 casi e purtroppo, con particolare riguardo all'evoluzione del fenomeno nell'ultimo triennio, a subire le violenze sono sempre più spesso le ragazze giovani, a conferma di un trend al quale assistono, da un lato, l'opinione pubblica, sempre più sconcertata e spaventata, e, dall'altro, le istituzioni, sempre più impotenti. Questo anche in considerazione del fatto che, con un tasso di denuncia del 7 per cento, salito negli ultimi tre anni al 9 per cento, continua a esistere un immenso «sommerso» di donne che non denunciano le aggressioni e le violenze subite.
      Nel 1996, dopo vent'anni di dibattiti in Parlamento e nell'opinione pubblica, è stata approvata nel nostro Paese la legge 15 febbraio 1996, n. 66, contro la violenza sessuale, attualmente in vigore, con la quale, finalmente, si è ottenuto che la violenza sessuale non fosse più considerata un reato contro la morale pubblica - come fino ad allora previsto dal codice penale - ma contro la persona. Fino a quel momento, la violenza risultava un crimine solo in caso di lesioni permanenti ed era considerata, comunque, una colpa lieve. L'unione matrimoniale estingueva in ogni caso il reato anche in caso di condanna ed era l'unica strada socialmente accettata: se la donna voleva recuperare dignità e onore agli occhi della comunità doveva accettare le nozze riparatrici.
      Con la citata legge n. 66 del 1996 cambiano finalmente anche i termini processuali, con l'inversione dell'onere della prova, grazie alla quale non è più la vittima a dover «dimostrare» di essere stata stuprata, ma l'aggressore a dover dimostrare di essere innocente.
      Le modifiche introdotte nei codici penale e di procedura penale dalla medesima legge n. 66 del 1996 tuttavia, pur avendo segnato un momento certamente importante nella lotta alla violenza sulle donne nel nostro Paese, non sono ad oggi sufficienti a combattere un fenomeno che continua ad essere troppo diffuso e che, seppur esplicitato, raccontato e descritto oggi molto più di prima, è purtroppo una forma di abuso tutt'altro che sconfitta.
      In quest'ottica, la presente proposta di legge intende agevolare le istituzioni, anch'esse impegnate sul fronte della lotta alla violenza contro le donne, nel garantire in modo sempre più incisivo le vittime e nell'intervenire in modo concreto al fine di evitare lo spiacevole ripetersi di abusi sul proprio territorio, potenziando la vigilanza ed effettuando i necessari adeguamenti infrastrutturali. Si intende, infatti, garantire ai comuni la possibilità di costituirsi parte civile nei procedimenti per violenza sessuale sulle donne; dai dati ISTAT risulta che esiste una correlazione diretta tra la dimensione demografica dei comuni e il numero delle violenze, evidenziando che il fenomeno è più diffuso nei comuni delle aree metropolitane e diminuisce al decrescere della dimensione demografica e, quindi, che esistono comuni che sembrerebbero essere «più a rischio» di altri. Appare, quindi, opportuno garantire anche a questi enti - subordinatamente alla volontà della vittima - di far valere i propri diritti e quelli di tutti i cittadini nell'ambito dei procedimenti per reati di violenza sessuale.
      Come è noto, nel processo penale può costituirsi parte civile il soggetto a cui un reato ha recato danno, ovvero i suoi successori universali, al fine di ottenere la restituzione o il risarcimento del danno dall'imputato o dal responsabile civile; attraverso la costituzione di parte civile si inserisce nel processo penale l'azione civile.
      Fino ad oggi, purtroppo, la maggior parte delle richieste inoltrate da parte dei comuni per la costituzione di parte civile nei processi per reati di violenza sessuale sono state rigettate dalla magistratura ordinaria, proprio sulla base delle modifiche introdotte con la citata normativa del 1996: la definizione dei reati sessuali quali reati contro la persona e non più contro la morale pubblica precluderebbe la possibilità agli enti pubblici di costituirsi parte lesa nei relativi procedimenti.
      Tuttavia, ad opera della magistratura della Corte dei conti, esiste una consoli
 

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data giurisprudenza in tema di danno all'immagine della pubblica amministrazione che, per certi aspetti, è sicuramente mutuabile anche per i casi che si stanno qui esaminando.
      Nonostante la Corte ascriva il danno all'immagine alla responsabilità dei pubblici funzionari legati da rapporto di servizio alla pubblica amministrazione che pongano in essere comportamenti illeciti contrari ai doveri d'ufficio, appare evidente come l'altro elemento qualificante del danno all'immagine, e cioè le conseguenze finanziarie e di negativa impressione suscitata nell'opinione pubblica derivanti dal comportamento di un soggetto che comprometta l'efficienza e l'immagine dell'ente pubblico, sia certamente da riscontrare nei casi in oggetto. Appare evidente, infatti, come fatti di criminalità e violenze, che hanno luogo in un dato territorio, possono pregiudicare l'immagine dello stesso e penalizzarlo sotto il profilo degli standard di qualità della vita per il cittadino che vi risiede. A questo si tenta di porre rimedio con la presente proposta di legge che, prevedendo in modo esplicito la possibilità per i comuni di promuovere l'azione civile in quanto soggetto leso dai fatti di violenza che avvengono nel proprio territorio, consentirà agli stessi di operare in modo più incisivo per combattere tali avvenimenti. Inoltre, la proposta di legge stabilisce il principio che si configura certamente un danno materiale a carico dei comuni laddove gli stessi enti gestiscano e sostengano programmi di aiuto e assistenza alle donne vittime di violenza e quindi affrontino delle spese per la tutela morale e materiale delle vittime.
      Per quanto riguarda il danno d'immagine, invece, si ritiene che questo tipo di danno a carico della pubblica amministrazione, quale danno conseguente alla grave perdita di prestigio dello Stato, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, sia tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale e che a questi fini rilevi anche il maggiore o minore clamore che il fatto ha determinato nell'ambito dell'amministrazione e nell'opinione pubblica.
      Nonostante fino ad oggi si sia ipotizzata in favore della Corte dei conti una sorta di competenza esclusiva in merito alla responsabilità per danno d'immagine alla pubblica amministrazione, con la presente proposta di legge si auspica un esame di tali questioni anche da parte della magistratura ordinaria, appunto in considerazione delle motivazioni sin qui addotte.
      In merito a risarcimenti di danni dovuti da soggetti non propriamente legati da vincolo di servizio con il relativo ente, negli ultimi anni vi sono state due sentenze degne di nota: la prima è quella con la quale la sezione della Corte dei conti delle Marche ha condannato nel 2004 il professore Ezio Capizzano, docente all'università di Camerino (peraltro poi assolto in sede penale), a risarcire all'università 120.000 euro per il danno d'immagine ad essa arrecato, avendo chiesto «favori sessuali» alle sue studentesse per aiutarle a superare gli esami; la vicenda era finita - con tanto di video girati dallo stesso Capizzano - su tutti giornali e le televisioni, arrecando così - a giudizio della Corte - un danno d'immagine alla struttura universitaria.
      La seconda, ancora più rilevante ai nostri fini, è la sentenza con la quale, nel maggio del 2005, e per la prima volta in Italia, i giudici della Corte d'assise hanno riconosciuto al comune di Perugia il danno d'immagine subìto in una vicenda di sfruttamento della prostituzione. Va rilevato come in questo specifico caso il risarcimento è stato riconosciuto al comune per le spese relative all'assistenza della vittima nell'ambito di un progetto dell'assessorato alle politiche sociali: proprio il riconoscimento, quindi, del danno materiale subìto dal comune nell'assistenza alle ragazze vittime della tratta, in ossequio al principio della riconoscibilità - in questi casi - del danno materiale che si vuole qui riconoscere. Tale sentenza segna in ogni caso un primo, importante, passo nel senso del riconoscimento ai comuni del diritto di partecipare al processo penale, garantendo la difesa delle vittime, rappresentando la città e tutelando gli interessi di tutti i cittadini.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il comune nel quale ha avuto luogo una violenza sessuale può costituirsi parte civile nel relativo procedimento penale, previo consenso della vittima.
      2. Il danno subìto dal comune a seguito della violenza sessuale si configura come danno d'immagine e, nei casi in cui i comuni gestiscono programmi e attività di assistenza e di aiuto alle donne vittime di violenza, si configura come danno materiale, ai sensi della legislazione vigente in materia.


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