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PDL 2796

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2796



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DI SALVO, SPINI, PETTINARI, ATTILI, AURISICCHIO, BANDOLI, BARATELLA, BUFFO, D'ANTONA, FUMAGALLI, GRILLINI, LEONI, LOMAGLIO, MADERLONI, NICCHI, ROTONDO, SASSO, SCOTTO, TRUPIA, ZANOTTI

Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, e aumento dei contributi previdenziali relativi a tali rapporti di lavoro

Presentata il 18 giugno 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La precarietà sociale e del lavoro è l'esito della globalizzazione senza regole. L'assenza di regole e il prevalere dell'economia sulla politica consentono una competizione tra Sistemi-Paese e tra imprese incentrata tutta sui costi del lavoro e dell'ambiente, alla ricerca del costo più basso e dell'assenza di vincoli ambientali.
      Ma non esiste una sola possibilità: lo sviluppo sostenibile per le persone e per l'ambiente è la strada da imboccare, partendo dalla valorizzazione del lavoro e quindi, in primo luogo, dal rifiuto della logica che presiede alla scelta di rapporti di lavoro privati di dignità e diritti, e per questo precari.

1.  La precarietà del lavoro come elemento strutturale.

      Il lavoro fordista procedeva parcellizzando le mansioni, dequalificando la forza-lavoro e scomponendo il ciclo lavorativo; il movimento operaio, in risposta, cercava di promuovere il controllo operaio che era essenzialmente ricomposizione del ciclo e delle mansioni sui terreni della conoscenza, politico e della lotta.
      Cambiando il paradigma dell'organizzazione del lavoro si inverte la tendenza: il lavoro in qualche misura deve essere ricomposto, i lavoratori devono possedere una cultura maggiore e una visione d'insieme; la soluzione per il controllo si trasferisce nell'ambito della delocalizzazione della produzione e sul terreno dei rapporti giuridici di lavoro, cioè della loro precarizzazione.
      Nei Paesi industrializzati si concentrano le funzioni più «ricche» ed appetibili della valorizzazione del capitale (management, ricerca, marketing e via dicendo), mentre il resto del lavoro o viene

 

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delocalizzato o precarizzato e marginalizzato come ruolo sociale e come distribuzione del reddito. Si è innescato un duplice movimento, una polarizzazione del lavoro, una scissione tra «lavoro Microsof» e «lavoro McDonald». Siamo alla destabilizzazione degli stabili e all'immiserimento dei deboli.
      Gli effetti non sono tardati a venire. Non a caso nei Paesi cosiddetti «avanzati», dai primi anni ottanta ad oggi, la quota di reddito relativa al lavoro è scesa in media del 7 per cento, e la caduta è maggiore in Europa e nei settori dell'economia meno qualificati. In Italia il calo è stato di circa il 10 per cento.
      La precarizzazione costituisce, dunque, un elemento strutturale del moderno capitalismo e come tale va affrontata.
      In Italia, circa 4 milioni di persone, giovani e anziani - sia nel settore privato che in quello pubblico - sono lavoratori precari senza diritti e senza tutela.
      Negli ultimi anni il lavoro a tempo determinato e precario è esteso «a macchia d'olio» assumendo le fuorvianti diciture di contratto a termine, di «co.co.co.» e di contratto a progetto. Tutto ciò ha spogliato i lavoratori e le lavoratrici della dignità, impedendo loro di progettare il proprio futuro. Siamo ormai alle prese con una vera e propria «emergenza precarietà», come evidenziato dalla tabella che di seguito si riporta.
      È proprio in questa pervasività della precarietà - come condizione che non risparmia nessuno - che possiamo rintracciare l'aspetto di fondo che ha attraversato il mercato del lavoro di questi ultimi anni: causa ed effetto allo stesso tempo della crisi in cui l'attuale modello di sviluppo si dibatte.

L'area della precarietà e le sue dimensioni

Forma contrattuale
Status
occupazionale
Numero di lavoratori
   
Valori
assoluti
Incidenza
%
Dipendenti a termine involontari (tutte le tipologie contrattuali)
occupati
1.979.000
 
 
non più
occupati
  789.000
 
Collaboratori coordinati e continuativi e a progetto
occupati
  394.000♣
 
 
non più
occupati
    67.000
 
Collaboratori occasionali
occupati
    71.000♣
 
 
non più
occupati
    54.000
 
Autonomi con partite IVA
occupati
  365.000
 
 
non più
occupati
    38.000
 
Totale lavoratori precari
occupati
2.809.000
12,2♠
 
non più
occupati
  948.000
36,3♥
Totale  
3.757.000
14,7♦

Fonte: Elaborazioni degli autori (Emiliano Mandrone, Nicola Massarelli) su dati ISTAT-RFL e ISFOL-PLUS.

Note: (♣) valore medio tra RFL e PLUS; (♠) sull'occupazione complessiva; (♥) sulle persone non più occupate ma in cerca di un nuovo lavoro o immediatamente disponibili a lavorare; (♦) sulla platea di riferimento complessiva.

 

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2. I dati italiani.

      Possiamo fare paragoni per quanto concerne i contratti di lavoro a tempo determinato con alcuni Paesi europei. In Italia siamo circa al 13 per cento degli occupati; nell'Unione europea siamo oltre il 14, quasi al 15 per cento, mentre in Spagna siamo al 34,4 per cento.
      Oggi, un terzo dei lavoratori dipendenti, tra i 15 e i 64 anni di età, in Spagna, è a termine. Per i giovani al di sotto dei 30 anni di età, invece, l'incidenza è superiore al 50 per cento.
      Situazione completamente diversa si verifica in Germania, dove il lavoro flessibile riguarda circa un terzo dei giovani tra i 20 e i 29 anni di età, ma solo il 6,5 per cento degli adulti tra i 30 e i 54 anni di età. In questo caso, il lavoro a termine sembra effettivamente essere utilizzato come via d'accesso al lavoro, che porta a situazioni contrattuali standard in tempi relativamente brevi.
      Cosa è successo negli ultimi cinque anni in Italia? Sempre secondo i risultati della rilevazione sulle forze di lavoro svolta dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), in Italia l'occupazione dipendente a termine è aumentata dal 2000 al 2005 di poco, di 95.000 unità, passando da 1.930.000 a 2.030.000 unità.
      Nel primo semestre del 2006, il lavoro a tempo determinato è invece ulteriormente cresciuto in confronto alla prima parte del 2005 di 188.000 unità (i contratti di lavoro a termine sono passati mediamente da 1.975.000 a 2.163.000 nel primo semestre del 2006).
      Dall'inizio del decennio in corso, l'occupazione dipendente nel complesso è cresciuta costantemente a ritmi sostenuti, fatta eccezione per il 2004 che ha registrato una dinamica positiva ma modesta.
      Nello stesso periodo il lavoro a termine ha invece avuto un andamento altalenante, non facilmente spiegabile se non con l'andamento del ciclo economico (ma non sempre), in cui ad anni di crescita se ne sono alternati altri in cui l'aggregato si è ridotto. L'occupazione a termine è tornata a contrarsi nel 2004, questa volta in modo marcato, per riprendere ad aumentare nel 2005 e nella prima parte del 2006.
      Se si considera il livello territoriale, fino al 2005 l'incremento del lavoro a termine si è in larga parte concentrato nel Mezzogiorno (più di 94.000 unità). Al lieve incremento registrato dalle regioni centrali (solo 9.000 unità), si è invece contrapposta una pari contrazione nell'area settentrionale.
      Nel primo semestre del 2006 l'occupazione a termine è salita, rispetto al corrispondente periodo, in tutte le aree territoriali; si rileva, quindi, un diverso comportamento. Quando si arriva all'inizio del 2006 l'aumento appare come un fattore comune: l'occupazione a termine è aumentata in tutte le aree (non solo in alcune, come magari era avvenuto in precedenza), anche se il Mezzogiorno ha manifestato un incremento assoluto più che doppio rispetto a quello delle altre aree.
      L'alternanza dei periodi di crescita e di contrazione ha riguardato tutte le ripartizioni geografiche.
      Nel nord, il lavoro a termine è calato dal 2001 al 2004, con una parentesi positiva nel 2002, invertendo quindi la tendenza a partire dal 2005. Nel centro è rimasto pressoché stabile, salvo poi aumentare e ulteriormente rafforzarsi nella prima parte del 2006. Lo stesso dicasi per il Mezzogiorno: alle modeste oscillazioni registrate nel 2001 e nel 2002 sono seguiti un aumento sostenuto nel 2003, una battuta d'arresto nel 2004 e successivi aumenti.
      L'aumento dei dipendenti a termine tra il 2000 e il 2005 ha inoltre riguardato esclusivamente la componente femminile. Quindi, la prima differenziazione è la seguente: tra il 2000 e il 2005 non c'è stato un grande cambiamento, mentre è avvenuto un forte aumento nel 2006. La seconda differenziazione è la seguente: tra il 2000 e il 2005 è soprattutto la componente femminile a essere cresciuta (di 99.000 unità) a fronte, addirittura, di un lieve calo di quella maschile. Insomma, mentre le donne hanno visto aumentare i contratti

 

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di lavoro a termine, gli uomini li hanno visti diminuire.
      Nel primo semestre dell'anno 2006, l'incremento ha riguardato entrambe le componenti, anche se maggiormente le donne (174.000 unità) rispetto agli uomini (58.000 unità). Si riscontra quindi una doppia modificazione nel mercato dell'occupazione a termine, sia dal punto di vista territoriale, sia in termini di genere.
      Al di là degli andamenti e dei valori assoluti, la quota di occupati a termine sul totale del lavoro dipendente si è ridotta, come abbiamo avuto modo di evidenziare in precedenza, fino al 2005. Infatti, dal 2000 al 2005 è passata dal 12,7 per cento al 12,3 per cento. L'incidenza del lavoro a tempo determinato è continuata a calare, tanto che, addirittura, nel 2004 è arrivata all'11,8 per cento. Tale tendenza, però, si è invertita nel 2005, e nel 2006, come abbiamo detto, è ancora aumentata e ha superato l'andamento del 2000, seppure di poco. A livello territoriale l'indicatore ha seguito dinamiche differenti, proprio per i motivi esposti in precedenza.
      Nel corso del 2006 sono aumentati i contratti di lavoro a termine. Nel secondo trimestre del 2006 (il periodo aprile-giugno) le persone con rapporto lavorativo subordinato a termine risultavano, secondo le rilevazioni dell'ISTAT, 2.214.000, pari al 9,5 per cento del totale dell'occupazione. Attenzione, però: ci riferiamo solo a quelle con un rapporto lavorativo subordinato, quindi dipendente.
      Quali sono i settori di attività prevalente? Il numero dei lavoratori temporanei è particolarmente alto in valore assoluto nel settore dei servizi (sono addirittura 1.898.000 unità, quindi, non il totale, ma una grande fetta del totale): il 12,4 per cento degli occupati del settore.
      Le incidenze più alte si raggiungono, però, nel settore dell'agricoltura (24,2 per cento) e, nell'ambito dei servizi, nel settore alberghi e ristorazione (19,7 per cento), nonché nel settore istruzione e sanità ed altri servizi sociali. I due dati riportati ovviamente dipendono soprattutto dall'andamento stagionale dell'attività (si pensi all'agricoltura e al settore degli alberghi e della ristorazione). Comunque, anche nel settore istruzione, sanità ed altri servizi sociali, la quota rappresenta il 16,6 per cento per un totale di 528.000 unità.
      Nell'ambito delle industrie in senso stretto, un livello elevato si raggiunge nell'industria della trasformazione, con un'incidenza dell'8,6 per cento del settore e un numero assoluto pari a 413.000 unità.
      Si continua a dire, come pure in statistiche passate è stato sostenuto, che l'85 per cento dei rapporti di lavoro in Italia è a tempo indeterminato: questo indubbiamente è vero. Basta però guardare le indagini di «Excelsior» dell'Unioncamere per constatare che nei flussi invece si registra una situazione diversa: nel 2006 più del 50 per cento delle assunzioni sono state fatte attraverso rapporti a termine. Ciò determina un crescente peso, nell'ambito dello stesso stock, di rapporti che possono essere inclusi nella categoria del precariato.
      Questo ci porta a sottolineare un ulteriore elemento, vale a dire le dimensioni di genere della dinamica occupazionale, in quanto pensiamo che sia degno di nota il fatto che in Italia la popolazione con contratto a termine è una popolazione lavorativa la cui maggioranza assoluta dei componenti è di sesso femminile. Di conseguenza, esiste anche una dimensione di genere del lavoro precario.
      Segnaliamo che i contratti a termine sono l'istituto che dal 2001 è cresciuto di più in termini percentuali, in particolare per le donne: lo stesso presidente dell'ISTAT in un'audizione alla Camera dei deputati ha sottolineato questo elemento. Ricordiamo, altresì, che le indagini svolte su questa materia, in particolare le indagini Plus dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL), ci dicono che il tasso di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro stabile è progressivamente in calo e si attesta attorno al 40-42 per cento; il che dimostra, anche sulla base delle indagini longitudinali, che anziché funzionare, come nel passato, da trampolino (come si dice nella pubblicistica), il rapporto di lavoro precario
 

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spesso diventa una trappola. Quindi, al contratto di lavoro a termine succede un periodo di non lavoro e poi replica un nuovo contratto di lavoro a termine e via di questo passo. Gli occupati censiti dall'ISTAT con contratto di lavoro a termine sono stati 2.250.000 nel terzo trimestre del 2006 (è l'ultimo dato di cui si dispone), pari al 13,2 per cento del totale. Nell'arco di un anno, dunque, a riprova della differenza tra stock e flussi, gli occupati con contratto di lavoro a termine sono cresciuti di un punto percentuale sul totale.
      Le questioni problematiche che si pongono rispetto a un'attività legislativa che volesse intervenire riguardo alla crescita dei rapporti instabili devono tenere conto del peso delle donne in tali rapporti e della loro ripetitività. Accanto, però, vi sono alcuni elementi che le indagini non mirate non riescono a cogliere appieno. Ad esempio i processi di esternalizzazione e di allungamento delle filiere produttive, sia determinati dalla pubblica amministrazione, sia indotti dalle trasformazioni dell'impresa privata, che spesso determinano un indebolimento delle condizioni lavorative, sotto forma di rapporti di lavoro e sotto forma di condizioni.
      Per quanto concerne i precari nelle pubbliche amministrazioni, una brevissima analisi dei contratti a termine e delle collaborazioni nell'ambito della pubblica amministrazione può essere svolta a partire dal conto annuale pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato, che - pur con diversi problemi di copertura - permette di effettuare alcune valutazioni che, purtroppo, coprono solo il periodo dal 2001 al 2004.
      L'importanza delle forme di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione è andata crescendo rapidamente negli ultimi anni. Dai dati desunti dalla contabilità nazionale si rileva che l'occupazione dipendente a tempo determinato, al netto del lavoro parasubordinato o con contratti di collaborazione, è misurata non in termini di «teste», bensì di unità annue, cioè di unità di personale che lavorano presso la pubblica amministrazione, riportate a un valore annuo di attività.
      Le posizioni lavorative così ottenute, già nel 2001, risultavano al di sopra dell'8 per cento del totale delle posizioni lavorative, stimate dai conti nazionali, raggiungendo nel 2004 il 9,5 per cento.
      In questo campo c'è stato un maggiore aumento rispetto al campo che si è esaminato in precedenza, nel quale più o meno dal 2000 al 2005 non era cambiato molto. Nel campo in oggetto, invece, dal 2001 al 2004 è avvenuto un cambiamento abbastanza consistente.
      Il principale comparto della pubblica amministrazione, in termini di presenza di lavoro temporaneo, notoriamente è costituito dalla scuola, con 215.000 unità annue a termine nel 2004, pari ad oltre il 20 per cento del totale delle posizioni lavorative.
      L'aumento percentualmente più rilevante e l'incidenza maggiore dopo la scuola si rilevano per il comparto dell'università e degli enti di ricerca, in cui, nel periodo considerato, le unità annue a termine sono passate da 16.000 a 30.000, senza considerare il personale a termine assunto a gravare sui fondi extra istituzionali, quindi sottostimando il fenomeno.
      L'incidenza rispetto alle posizioni lavorative in questo comparto è salita dal 10 al 18 per cento. Pur se in aumento, l'incidenza dei contratti temporanei resta ancora molto modesta nei Ministeri (intorno all'1 per cento), nella sanità (3,5 per cento) e negli enti locali (intorno al 6 per cento).
      I precari nella pubblica amministrazione sono oltre 500.000 e di questi oltre la metà lavorano nella scuola. Il dato è stato riportato durante l'audizione dei rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato alla Commissione lavoro della Camera dei deputati, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle cause e sulle dimensioni del lavoro precario nel pubblico e nel privato. Nel 2005 i contratti di lavoro atipici e a tempo determinato nella pubblica amministrazione sono stati in totale 505.968. Queste le principali tipologie di lavoro: 103.349 a tempo determinato, 4.786 contratti di formazione, 9.067 somministrazione di manodopera, 34.457 lavori socialmente utili. A questi vanno aggiunti
 

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i 225.716 precari del comparto scuola, 93.239 collaborazioni continuate e continuative, 35.354 consulenze di studio e ricerca. I dati in realtà sottostimano il fenomeno, perché non tengono conto dei lavoratori dei servizi esternalizzati, difficili da quantificare.

3.  Sulla presunta confusione fra flessibilità e precarietà.

      Nessuno nega la necessità della flessibilità nel mercato del lavoro, se per flessibilità si intende un rapporto di lavoro a tempo, che trova fondamento in esigenze verificabili e che sia comunque accompagnato da una rete di diritti. Quando mancano questi presupposti non stiamo parlando di flessibilità, ma di precarietà. Sarebbe bene anche riflettere e discutere sul motivo per cui è aumentata l'occupazione ma sono diminuite le ore lavorate. Il tema della precarietà del lavoro, sulla base di uno studio e di un'indagine dell'Organizzazione internazionale del lavoro - sottratta alle polemiche politiche italiane - dimostra ampiamente come il lavoro e la sua precarizzazione siano un effetto indotto da una globalizzazione non regolata.
      Cosa è dunque il precariato, ovvero la prospettiva o meno di avere un'occupazione stabile? Negli anni ottanta esisteva un istituto che si chiamava «contratto di formazione e lavoro». Questi contratti per l'80 per cento, al termine dei 24 mesi, venivano convertiti in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Si trattava di quello che in letteratura si chiama «trampolino verso la stabilità».
      In base alle elaborazioni dell'ISFOL sui dati dell'ISTAT (rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro 2002-2003 e 2004-2005), la quota di trasformazione dei contratti di lavoro a termine in contratti di lavoro permanenti è passata dal 31,9 per cento del 2002-2003 al 25,4 per cento del 2004-2005.
      Il tasso di uscita dall'occupazione alla fine del contratto di lavoro a termine è passato negli stessi anni dall'11,2 al 20,7 per cento. Questi numeri pongono un problema, che cioè non basta semplicemente un maggior numero di persone che attivano rapporti di lavoro o che regolarizzano rapporti di lavoro esistenti. Il problema è se queste persone con i loro rapporti, la loro vita, quella delle loro famiglie, la loro contribuzione, il welfare derivante e quant'altro, diventino contributori stabili del sistema oppure siano solo un'operazione, diciamo così, una tantum.
      Il Libro verde dell'Unione europea segnala che, come media europea, ogni 100 lavoratori impiegati a termine nel 1997, nel 2003, 60 erano giunti a un lavoro stabile. Quindi, come media europea, abbiamo sette anni in cui «si balla». La conclusione è che ciò vale per il 60 per cento, mentre per il restante 40 per cento non sappiamo cosa succeda. Ma l'ISTAT ci dice che è crescente la quota che dal contratto di lavoro a termine passa alla disoccupazione.
      Le donne sono le più esposte alla precarietà del lavoro e le pensioni più basse percepite in prevalenza da donne sono l'esito di storie contributive e lavorative deboli. Tale verità è diventata un tema tra i più citati, sta diventando parte della «political correctness», ha il sostegno dei dati ed è entrata nel linguaggio comune. Però non si riesce a passare dal riconoscimento del tema alla definizione di misure concrete. Sia detto per inciso, questo significa che la collocazione e il ruolo sociale delle donne nella società italiana, con tutte le loro conseguenze, non possono essere affrontati partendo dall'allungamento dell'età pensionabile delle donne.

4.  Le norme che regolano il contratto di lavoro a tempo determinato.

      Attualmente il lavoro a termine è disciplinato dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che ha tra l'altro abrogato la legge n. 230 del 1962 e l'articolo 23 della legge n. 56 del 1987, peraltro prevedendo che i contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente

 

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continuano a dispiegare i loro effetti fino alla loro scadenza e che le clausole dei contratti collettivi nazionali, stipulate ai sensi del citato articolo 23, mantengono transitoriamente, salve diverse intese, la loro efficacia fino alla scadenza dei contratti stessi. A seguito dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 368 del 2001 può legittimamente essere instaurato un rapporto di lavoro a tempo determinato tutte le volte in cui ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
      La formula utilizzata dal legislatore, come si vede, è elastica e indefinita. Tuttavia, volendo provare a indicare quali ragioni possano concretamente legittimare la stipulazione del contratto a termine, si può pensare in primo luogo ai casi già contemplati dalla citata legge n. 230 del 1962. Come si diceva tale legge prevedeva ipotesi che, in via esclusiva e tassativa, consentivano l'apposizione del termine; attualmente, le stesse ipotesi possono essere utilizzate come esempi di valide giustificazioni dell'apposizione del termine. Quindi, bisogna continuare a familiarizzare con le attività stagionali, con la sostituzione dei lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, con l'esecuzione di un'opera predeterminata, straordinaria e occasionale eccetera. Tuttavia, questi non sono altro che esempi della ragione che, secondo la nuova normativa, può legittimare l'assunzione di un lavoratore a termine.
      In ogni caso, per quanto elastica sia la lettera della norma, si deve tenere presente che la ragione tecnica o produttiva od organizzativa deve comunque legittimare l'apposizione di un termine a un contratto di lavoro che, altrimenti, sarebbe a tempo indeterminato o non sarebbe stipulato tout-court: del resto, la Corte di cassazione ha affermato che, anche dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina legislativa, il contratto di lavoro normale è quello a tempo indeterminato, mentre il contratto di lavoro a termine resta un'ipotesi eccezionale. Pertanto, la ragione giustificativa dell'apposizione del termine deve fare riferimento a un'esigenza particolare, eccezionale o comunque transitoria, tale da non poter essere soddisfatta né con l'impiego del personale già dipendente, né con l'assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato. La legge prevede anche ipotesi in cui l'apposizione di un termine è vietata. Ciò accade nei seguenti casi:

          a) sostituzione di lavoratori scioperanti;

          b) con riguardo alle unità produttive dove, nei sei mesi precedenti, siano stati effettuati licenziamenti collettivi che abbiano coinvolto lavoratori adibiti alle medesime mansioni cui fa riferimento il contratto di lavoro a tempo determinato (salvo che l'assunzione avvenga per la sostituzione di lavoratori assenti, o sia conclusa ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991 o, ancora, abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi; in ogni caso, gli accordi sindacali possono portare deroghe a questo divieto);

          c) con riguardo alle unità produttive nelle quali sia in atto una sospensione dei rapporti di lavoro o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento d'integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui fa riferimento il contratto di lavoro a termine;

          d) infine, l'assunzione a termine è preclusa per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994.

      La legge precisa che tanto l'apposizione del termine quanto la ragione che la giustifica devono risultare per iscritto, pena l'inefficacia del termine stesso, a meno che il termine non sia superiore a dodici giorni, nel qual caso l'atto scritto non è necessario. Copia dell'atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro cinque giorni dall'inizio della prestazione.
      Il contratto di lavoro a termine può essere prorogato, a condizione che il rapporto, inizialmente, avesse una durata inferiore a tre anni. La proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia

 

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giustificata da ragioni oggettive (che devono essere provate dal datore di lavoro), riferite alla stessa attività lavorativa per la quale era stato stipulato il contratto di lavoro a termine. In ogni caso, per effetto della proroga il rapporto non può durare complessivamente più di tre anni.
      Bisogna prestare attenzione al fatto che la legge contempla l'ipotesi del contratto di lavoro a termine non superiore a tre anni solo al fine della eventuale proroga, non certo in considerazione della durata massima del rapporto. Ciò significa che nessuna norma vieta esplicitamente l'apposizione di un termine superiore a tre anni. Tuttavia, in concreto, si deve osservare che ben difficilmente si potrebbe ipotizzare una valida ragione giustificatrice che legittimi un termine così a lunga scadenza, se si pensa - come già si è detto - che la ragione giustificatrice deve comunque essere transitoria. Del resto, la stessa legge - come si è appena visto - dispone che, anche in caso di proroga, il termine non possa eccedere la durata dei tre anni: si vede quindi che lo stesso legislatore, se non vieta esplicitamente l'apposizione di un termine di durata superiore a tre anni, vede con estremo sfavore una simile ipotesi.
      La continuazione del rapporto di lavoro dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del 20 per cento, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto di lavoro fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del 40 per cento. La trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto di lavoro oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il trentesimo giorno.
      Tra un contratto di lavoro a termine e l'altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di dieci giorni, ovvero di venti, a seconda che il contratto sia di durata fino a sei mesi o superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato; se i due rapporti di lavoro si succedono senza soluzione di continuità, si considera a tempo indeterminato l'intero rapporto, dalla data di stipulazione del primo contratto.
      In ogni caso, la legge precisa che il lavoratore assunto a termine ha diritto alle ferie, alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto (TFR) e ad ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati al medesimo livello; ovviamente, questi istituti spettano in proporzione al periodo lavorato e sempre che non siano obiettivamente incompatibili con la natura del contratto di lavoro a termine.
      Il citato decreto legislativo n. 368 del 2001 assegna inoltre, ai contratti di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, la facoltà di individuare i limiti quantitativi di utilizzo dei contratti di lavoro a termine. Al contempo, vengono indicate alcune ipotesi che non possono sottostare ad alcun limite (tra le altre, fase di avvio di nuove attività, contratti motivati da ragioni sostitutive o dalla stagionalità, intensificazione dell'attività produttiva in determinati periodi dell'anno, contratti a termine stipulati per specifici programmi o spettacoli radiofonici o televisivi). È evidente la ragione che ha indotto il legislatore a introdurre un simile divieto. In effetti, il fatto stesso di assumere un lavoratore a termine in una mansione occupata da un altro lavoratore, messo in mobilità non più di sei mesi prima, induce a ritenere che era illegittima la messa in mobilità (in quanto non vi era una reale esuberanza strutturale in quella posizione lavorativa) e che comunque è illegittima l'apposizione del termine (in quanto è contraddittorio affermare che vi è un'esigenza temporanea di ricoprire una posizione lavorativa che poco tempo prima era stabilmente assegnata a un lavoratore). Per questo motivo è curioso che il legislatore, da un lato, ponga il divieto e, dall'altro, consenta alle parti sociali di
 

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derogarvi. Bisogna dunque avvertire che questo potere di contrattazione, che la legge assegna al sindacato, deve essere utilizzato con estrema cautela, in quanto il sindacato rischierebbe di coprire e di avallare un comportamento illegittimo del datore di lavoro. In ogni caso, sono esenti da limiti quantitativi i contratti di lavoro di durata non superiore a sette mesi, compresa l'eventuale proroga, ovvero non superiore alla maggiore durata definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a una situazione di difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche. Tuttavia, è previsto che anche un contratto di lavoro con le caratteristiche appena indicate soggiace ai limiti quantitativi, se lo stesso fa riferimento a una mansione identica a un'altra, che aveva formato oggetto di un altro contratto di lavoro a termine, scaduto da meno di sei mesi.

5.  Per una buona e piena occupazione.

      Il programma de L'Unione è chiarissimo in merito, ma sarà bene citarlo: «Noi siamo contrari ai contenuti della legge n. 30 e dei decreti legislativi nn. 276 e 368 che moltiplicano le tipologie precarizzanti. Per noi la forma normale di occupazione è il lavoro a tempo indeterminato, perché riteniamo che tutte le persone devono potersi costruire una prospettiva di vita e di lavoro serena. In tal senso, crediamo che il lavoro flessibile non possa costare meno di quello stabile e che tutte le tipologie contrattuali a termine debbano essere motivate sulla base di un oggettivo carattere temporaneo delle prestazioni richieste e che non debbano superare una soglia dell'occupazione complessiva dell'impresa».
      La legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha iniziato un percorso di contrasto alla precarietà, toccando quasi tutti i temi in cui essa si traduce oggi in Italia. Naturalmente è un percorso iniziato e noi pensiamo che la legislatura debba rispondere a tutti gli aspetti, che non sono stati invece affrontati. Da questo punto di vista il tema degli ammortizzatori sociali, posto con forza, crediamo sia uno degli aspetti totalmente inevasi dalla citata legge finanziaria.
      La legge finanziaria 2007, rispetto alla situazione del lavoro, ha fatto delle scelte molto importanti. Essa ha un'impronta «europea», per ispirazione e anche per cultura politica. Quando la Costituzione europea, il Trattato costituzionale non ancora in vigore, nella parte non contestata, afferma che il lavoro a tempo indeterminato è una forma di lavoro «normale» per l'Unione europea, sostiene un principio che L'Unione condivide profondamente: questo è l'elemento di ispirazione a cui si devono far risalire tutti i provvedimenti sul lavoro contenuti nella manovra finanziaria.
      Le «Linee guida» del Ministro del lavoro e della previdenza sociale sulla riforma del contratto di lavoro a termine aprono una ulteriore fase di confronto per nuove regole del lavoro e ciò rappresenta una notizia positiva per chi si è sempre battuto per superare il decreto legislativo n. 368 del 2001 che liberalizzò questa tipologia contrattuale.
      I cardini su cui il Ministro dichiara di voler agire sono individuati nella lettera e nello spirito della direttiva 1999/70/CE (della quale lo stesso decreto legislativo n. 368 del 2001 reca l'attuazione) e nei successivi e importanti orientamenti della giurisprudenza comunitaria. Attraverso queste «Linee guida» il Governo si impegna a ripristinare una gerarchia tra le tipologie contrattuali, con l'obiettivo di ricollocare il contratto di lavoro a tempo indeterminato al centro del mercato del lavoro come forma normale e ordinaria. Prevedendo per le altre tipologie, a partire da quelle prive di stabilità temporale, il vincolo di una specifica e oggettiva causale giustificativa, nonché tetti quantitativi certi.
      Si superebbero così quelle norme onnicomprensive del menzionato decreto legislativo n. 368 del 2001, basate sulle semplici «esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive» dell'impresa, che spesso hanno portato ad un abuso dei contratti di lavoro a termine.

 

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      Apprezziamo poi l'impostazione delle stesse «Linee guida», per cui la legislazione deve avere un ruolo di sostegno alla contrattazione collettiva e alle funzioni delle parti sociali in materia. È, per così dire, la «filosofia» che ispira la presente proposta di legge.
      Secondo la nostra concezione definire per legge le causali in base a cui consentire la stipulazione mediante il ricorso a una clausola generale come quella introdotta dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, non risponde affatto all'obiettivo, proprio della citata direttiva 1990/70/CE, di mantenere fermo il principio che «i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori». Il decreto legislativo n. 368 del 2001, infatti, perseguiva un obiettivo diverso, ed anzi opposto, rispetto a quello della direttiva comunitaria, agevolmente riconoscibile nella volontà di porre su un medesimo piano lavoro a termine e assunzioni a tempo indeterminato: come fu poi ammesso a chiare lettere di una circolare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali dell'epoca (circolare n. 42 del 1o agosto 2002).
      L'articolo 1 della presente proposta di legge, dunque, per un verso intende recuperare in termini non equivoci il principio che il rapporto di lavoro subordinato si costituisce di regola a tempo indeterminato; per un altro verso si propone di affidare l'individuazione delle causali che, in via di eccezione, consentono l'apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro ad un insieme di regole, in parte di fonte legale (con riguardo a causali storicamente consolidate nella nostra tradizione normativa, rispetto alle quali è evidente il carattere obiettivamente temporaneo dell'occasione di lavoro), in parte da stabilirsi ad opera dei contratti collettivi: recuperando, dunque, la migliore tradizione in materia del diritto del lavoro italiano. Va sottolineato, in questo senso, la funzione di stimolo all'azione sindacale unitaria, nella delicatissima materia del governo del mercato del lavoro, di cui al nuovo comma 1-bis, lettera h), dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001. La contrattazione collettiva, nelle forme delineate in tale articolo, è abilitata anche a definire la percentuale massima cumulativa di lavoratori caratterizzati da impieghi non permanenti in proporzione ai lavoratori impegnati a tempo indeterminato.
      Va altresì sottolineata la scelta di ricondurre nell'ambito del sistema generale, previa abrogazione dell'articolo 10, comma 3, del decreto legislativo n. 368 del 2001, le assunzioni a termine effettuate «nei settori del turismo e dei pubblici esercizi per l'esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni». Si intende in tal modo contrastare il fenomeno patologico che vede, nel settore in questione, lavoratori assunti a termine, anche da alberghi appartenenti a grandi gruppi internazionali, con contratti reiterati anche per cento volte nell'arco di un anno, con punte di 150 o 200 assunzioni in ragione di anno: una sorta di «stabilità nell'instabilità» del tutto contrastante con gli obiettivi della direttiva comunitaria.
      Le regole riguardanti la comunicazione dell'avvenuta assunzione al centro per l'impiego sono quelle definite all'articolo 1, commi da 1180 a 1185, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Tali disposizioni prevedono che i datori di lavoro sono tenuti a darne comunicazione entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione.
      L'articolo 2 abroga la disciplina speciale attualmente prevista per i settori del trasporto aereo e per le imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste. Si tratta in effetti di un privilegio normativo privo di ragionevole giustificazione: da ricondurre, dunque, senz'altro alle regole generali.
      L'articolo 3 sostituisce l'articolo 4 del decreto legislativo n. 368 del 2001, tracciando le linee di una nuova disciplina della proroga più coerente rispetto all'idea che il contratto a tempo indeterminato costituisce la regola in materia di assunzioni. La nuova disciplina, peraltro, non
 

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rappresenta un mero recupero dell'impostazione della tradizione normativa preesistente al decreto legislativo n. 368 del 2001: al contrario la disciplina della proroga viene innovata per tener conto di esigenze (come quelle legate alla sostituzione di lavoratori ammalati o infortunati) rispetto alle quali le regole di un tempo si erano mostrate inadeguate.
      L'articolo 4 contiene il cuore della proposta riformatrice, tenuto conto che l'obiettivo della direttiva comunitaria, come ha ribadito la Corte di giustizia delle Comunità europee (vedi Corte di giustizia 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler v. ELOG, in Raccolta, 2006, 6057), è in primo luogo quello di stroncare la prassi delle assunzioni successive a termine (cosiddette «assunzioni a catena»). Com'è noto, il decreto legislativo n. 368 del 2001 aveva introdotto una disposizione che, considerando «successive» soltanto le assunzioni a termine «effettuate senza alcuna soluzione di continuità», rendeva assolutamente remota l'effettività della (apparentemente rigorosa) sanzione ipotizzata, consistente nella conversione del rapporto a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto: è del tutto evidente, infatti, che soltanto un datore di lavoro completamente sprovveduto avrebbe potuto adottare comportamenti tali da esporlo all'applicazione della sanzione in questione. Per rispondere all'obiettivo della direttiva comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia, invero, è necessario adottare una definizione elastica di «assunzioni successive a termine» (non ingessata dal riferimento a durate o cadenze temporali predeterminate), assicurando l'effettività della sanzione ipotizzata attraverso un'innovazione di carattere processuale, consistente nell'introduzione, nella materia de qua, del principio della parziale inversione dell'onere della prova, in forza del quale spetterà al datore di lavoro convenuto provare che le reiterate assunzioni a termine non rispondano ad un disegno (anche solo) obiettivamente fraudolento.
      L'articolo 5 sostituisce l'articolo 8 del decreto legislativo n. 368 del 2001, stabilendo che ai lavoratori assunti contratto di lavoro a termine vengono riconosciuti tutti i diritti previsti dal titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300 (lo «Statuto dei lavoratori»), e, in particolare, la partecipazione alle assemblee sindacali, alle elezioni delle rappresentanze dei lavoratori, al conteggio delle soglie numeriche necessarie per la fruizione degli istituti previsti dalla citata legge n. 300 del 1970, e degli ammortizzatori sociali, della cassa integrazione e, pro quota, dei premi variabili definiti a livello aziendale. Il comma 2 introduce un criterio obiettivo di calcolo dei lavoratori a termine in relazione a tutte le ipotesi di cui, nel diritto del lavoro, si rende necessario l'accertamento della consistenza degli organici aziendali.
      L'articolo 6, modificando l'articolo 9 del decreto legislativo n. 368 del 2001, e rinviando all'articolo 10, comma 9, del medesimo decreto legislativo, come sostituito dalla presente proposta di legge, collega le informazioni relative alle opportunità occupazionali presso l'azienda, dovute ai lavoratori ivi già impiegati con contratto di lavoro a termine che abbiano cessato la loro attività, al loro diritto di precedenza in caso di nuova assunzione da parte del medesimo datore di lavoro.
      L'articolo 7 modifica l'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001, stabilendo, in particolare, che il lavoratore, che nell'esecuzione di uno o più contratti di lavoro a termine presso la stessa azienda ha prestato attività lavorativa a carattere stagionale o comunque di durata superiore a sei mesi, ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti di lavoro a termine. Inoltre, lo stesso lavoratore, qualora manifesti la disponibilità entro i tre mesi successivi alla conclusione del rapporto di lavoro, ha la precedenza in caso di assunzioni a termine nelle imprese stagionali.
      L'articolo 8 stabilisce che il lavoratore impiegato con un contratto di lavoro a tempo determinato ha diritto, per l'intera durata del ricorso a tale tipologia contrattuale,
 

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a un versamento previdenziale e assicurativo giornaliero, a carico del datore di lavoro, superiore del 10 per cento rispetto ai versamenti previsti dalla legislazione vigente per i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
      Qualora il rapporto di lavoro sia convertito a tempo indeterminato, il datore di lavoro è abilitato a recuperare l'importo aggiuntivo relativo agli ultimi dodici mesi di utilizzo del contratto di lavoro a termine, oltre a poter beneficiare delle agevolazioni di legge collegate all'occupazione a tempo indeterminato.
      L'articolo 9 eleva la misura delle sanzioni amministrative, in considerazione del fatto che quelle attualmente in vigore sono caratterizzate da un importo troppo ridotto (vennero, infatti, riproposte dagli estensori del decreto legislativo n. 368 del 2001 senza nemmeno aggiornare quelle, identiche, previste dalla normativa previgente). Inoltre la sanzione per il caso di violazioni plurime (più di cinque lavoratori) diventa aggiuntiva (e non sostitutiva, com'è nell'attuale formulazione) per assicurare maggiore effettività e colpire quelle imprese che abbiano eretto a sistema lo sfruttamento dei lavoratori a termine.
      L'articolo 10, infine, sulla scorta della citata pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee nel caso Adeneler, ove la Corte ha ribadito che la direttiva si applica anche alle pubbliche amministrazioni e che i comportamenti abusivi di quest'ultime devono essere colpiti con sanzioni equivalenti a quelle operanti nel settore privato, supera la diversità di regime attualmente esistente, attraverso una chiara estensione alle pubbliche amministrazioni delle regole generali. Si tratta, al tempo stesso, del modo migliore di rispondere alle sollecitazioni dei giudici comunitari e di contrastare la tendenza, ben nota, delle pubbliche amministrazioni del nostro Paese a trasformarsi in una «fabbrica della precarietà» al di fuori di qualsiasi giustificazione oggettiva.
      Per concludere va ribadito che, a prescindere da considerazioni di equità legate al miglior equilibrio da ripristinare nel mercato del lavoro, il fondamento giuridico più forte della presente proposta di legge va ravvisato nell'esigenza di adeguare il nostro ordinamento alle prescrizioni della direttiva 1999/70/CE, così come interpretate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ponendo fine al palese travisamento dei contenuti della direttiva di cui si è reso artefice il decreto legislativo n. 368 del 2001.
      È anche questo un modo per avvicinare l'Europa ai cittadini e, soprattutto, ai lavoratori: un modo per far comprendere che l'Europa non è solo quella dei rigidi parametri economici di Maastricht, ma anche, per chi lo voglia e sappia coerentemente operare in questo senso, strumento per l'avanzamento dei diritti.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. All'articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Apposizione del termine e definizione di limiti percentuali per l'assunzione di lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato»;

          b) il comma 1 è sostituito dai seguenti:

      «1. Il contratto di lavoro è stipulato di regola a tempo indeterminato, salva la possibilità di apposizione di un termine nei casi indicati al comma 1-bis.
      1-bis. È tuttavia consentita l'apposizione di un termine finale di durata al contratto di lavoro subordinato quando ciò sia richiesto:

          a) dal carattere stagionale dell'attività lavorativa, come risultante dall'elenco delle attività stagionali approvato con decreto del Presidente della Repubblica da emanare, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Tale elenco può essere successivamente modificato o integrato con le medesime modalità. In attesa dell'emanazione del decreto previsto dalla presente lettera si fa riferimento all'elenco contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modificazioni;

          b) da punte stagionali d'intensificazione dell'attività produttiva;

          c) dall'esigenza di sostituire lavoratori in ferie o assenti con diritto alla conservazione del posto;

 

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          d) dall'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale;

          e) dall'esecuzione di lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse per specializzazioni da quelle normalmente impiegate;

          f) nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi;

          g) nei settori del turismo e dei pubblici esercizi per l'esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni;

          h) in tutte le ulteriori ipotesi, relative ad esigenze di carattere obiettivamente temporaneo, individuate dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati unitariamente dai sindacati comparativamente più rappresentativi e applicati dal datore di lavoro, con esclusione della possibilità di prevedere assunzioni a tempo determinato in relazione a caratteristiche soggettive dei lavoratori. In relazione alle ipotesi di cui alla presente lettera, i contratti collettivi nazionali di lavoro stabiliscono la percentuale massima di lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a tempo determinato rispetto al numero dei lavoratori impiegati a tempo indeterminato in forza nell'impresa al 1o gennaio di ciascun anno. I contratti collettivi stabiliscono altresì la percentuale massima cumulativa di lavoratori caratterizzati da impieghi temporanei di qualsiasi genere rispetto ai lavoratori impiegati dall'impresa a tempo indeterminato»;

          c) al comma 2, le parole: «le ragioni di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «le ragioni di cui al comma 1-bis»;

          d) al comma 3, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ferma restando la disciplina definita all'articolo 1, commi da 1180 a 1185, della legge 27 dicembre 2006, n. 296»;

          e) il comma 4 è abrogato.

 

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Art. 2.
(Abrogazione dell'articolo 2 e modifica all'articolo 3 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. L'articolo 2 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, è abrogato.
      2. Alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, le parole: «, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi» sono soppresse.

Art. 3.
(Modifica dell'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. L'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è sostituito dal seguente:

      «Art. 4. - (Disciplina della proroga). - 1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a diciotto mesi. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni obiettivamente temporanee, non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. In ogni caso la durata complessiva del rapporto di lavoro, compresa la proroga, non può essere superiore a diciotto mesi.
      2. I limiti di cui al comma 1 non si applicano allorché l'assunzione a tempo determinato iniziale sia stata effettuata per sostituire un lavoratore assente per malattia o infortunio, né quando l'esigenza di prorogare la durata del contratto a termine consegua ad una malattia susseguente alla maternità della lavoratrice sostituita.
      3. L'onere della prova relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano

 

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sia l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, sia l'eventuale temporanea proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro».

Art. 4.
(Modifica all'articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. Il comma 4 dell'articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è sostituito dal seguente:

      «4. Nell'ipotesi di assunzioni successive a tempo determinato in frode alla regola generale di cui all'articolo 1, comma 1, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto. Allorché il ricorrente deduca in giudizio elementi di fatto, idonei a fondare la presunzione che le successive assunzioni a tempo determinato siano state effettuate in frode alla legge, grava sul datore di lavoro convenuto l'onere di provare il carattere non fraudolento della sequenza di assunzioni effettuate».

Art. 5.
(Modifica dell'articolo 8 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. L'articolo 8 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è sostituito dal seguente:

      «Art. 8. - (Diritti sindacali e criteri di computo). - 1. I lavoratori assunti con contratto a tempo determinato usufruiscono di tutti i diritti previsti dal titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e in particolare:

          a) partecipano a pieno titolo alle assemblee convocate durante l'orario di lavoro per l'intero periodo della loro permanenza presso l'impresa;

          b) possono partecipare alle elezioni delle rappresentanze sindacali, presentarsi come candidati alle elezioni delle rappresentanze

 

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sindacali unitarie ed essere eletti rappresentanti sindacali aziendali;

          c) concorrono al raggiungimento delle soglie numeriche necessarie per la fruizione degli istituti previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e degli ammortizzatori sociali;

          d) in caso di ricorso da parte dell'impresa alla cassa integrazione guadagni, possono beneficiare di tale istituto nei limiti di durata residua del loro rapporto di lavoro;

          e) beneficiano, pro quota e nelle forme definite dalla contrattazione collettiva di cui all'articolo 1, comma 1-bis, dei premi variabili definiti a livello aziendale.

      2. Per tutti i fini per cui rileva nel diritto del lavoro, per disposizione di legge o di contratto collettivo, l'accertamento della consistenza dell'organico aziendale, ivi comprese le ipotesi indicate dalla lettera c) del comma 1, i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, compresi quelli con qualifica di dirigente, si computano sommando il numero di ore lavorative da essi effettuate nell'anno di calendario immediatamente precedente e dividendo la cifra ottenuta per 1905 o per il divisore corrispondente al minor numero di ore normali di lavoro svolte, ai sensi della disciplina collettiva applicabile, da un lavoratore a tempo pieno e indeterminato».

Art. 6.
(Modifica all'articolo 9 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. Al comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, in particolare assicurando i diritti di precedenza previsti dall'articolo 10, comma 9».

 

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Art. 7.
(Modifiche all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368).

      1. All'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1:

              1) all'alinea sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo per quanto concerne le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1-bis, relativamente alla percentuale massima cumulativa di lavoratori caratterizzati da impieghi temporanei di qualsiasi genere, e di cui all'articolo 8»;

              2) la lettera b) è abrogata;

          b) il comma 3 è abrogato;

          c) al comma 4 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, comma 2»;

          d) il comma 5 è abrogato;

          e) al comma 7:

              1) all'alinea, dopo le parole: «più rappresentativi» sono inserite le seguenti: «secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 1-bis»;

              2) alla lettera a), dopo le parole: «nazionali di lavoro» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 1, comma 1-bis»;

              3) le lettere c) e d) sono abrogate;

          f) il comma 8 è abrogato;

          g) il comma 9 è sostituito dal seguente:

      «9. Il lavoratore, che nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda ha prestato attività lavorativa a carattere stagionale o comunque per un periodo superiore a sei mesi, ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Lo stesso

 

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lavoratore, qualora manifesti la disponibilità entro i tre mesi successivi alla conclusione del rapporto di lavoro, ha diritto di precedenza in caso di assunzioni a termine nelle imprese stagionali»;

          h) il comma 10 è abrogato.

Art. 8.
(Contributi previdenziali relativi al ricorso al contratto a tempo determinato).

      1. Il lavoratore impiegato con contratto di lavoro a tempo determinato ha diritto, per l'intera durata del ricorso a tale contratto, a un versamento previdenziale e assicurativo giornaliero, a carico del datore di lavoro, superiore del 10 per cento rispetto ai versamenti previsti dalla legislazione vigente per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.
      2. Qualora il rapporto di lavoro di cui al comma 1 sia convertito in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il datore di lavoro può recuperare l'importo aggiuntivo relativo agli ultimi dodici mesi di utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, ferma restando la possibilità di beneficiare delle agevolazioni vigenti collegate all'occupazione a tempo indeterminato.

Art. 9.
(Sanzioni amministrative).

      1. L'articolo 12 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è sostituito dal seguente:

      «Art. 12. - (Sanzioni amministrative). - 1. Nei casi di inosservanza degli obblighi derivanti dall'articolo 6, il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 3.000. La sanzione è moltiplicata per il numero di lavoratori cui l'inosservanza si riferisce. Se l'inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica una sanzione amministrativa aggiuntiva da euro 3.000 a euro 20.000».

 

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Art. 10.
(Assunzioni a tempo determinato nelle pubbliche amministrtazioni).

      1. Le disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dalla presente legge, si applicano anche ai rapporti di lavoro a tempo determinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, fatta salva la disciplina speciale per il personale docente delle scuole di ogni ordine e grado.
      2. Resta ferma la responsabilità civile e disciplinare dei dirigenti responsabili delle assunzioni a tempo determinato effettuate in contrtasto con le disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dalla presente legge.


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