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PDL 2840

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2840



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LUCIANO ROSSI, GIOACCHINO ALFANO, ALLASIA, BELLOTTI, BENEDETTI VALENTINI, BRICOLO, BRUSCO, CERONI, COLUCCI, DELBONO, FALLICA, FUGATTI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, MARINELLO, MARTINELLO, MISURACA, PELINO, PINI, PIZZOLANTE, PONZO, ROMAGNOLI, STUCCHI, TUCCI, VALDUCCI, ZACCHERA

Abrogazione del comma 1226 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, concernente adempimenti delle regioni per la conservazione degli habitat naturali

Presentata il 27 giugno 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è volta a contrastare quanto introdotto dall'articolo 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007). Il regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (come modificato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120) recepisce nel nostro ordinamento giuridico la predetta direttiva comunitaria, cosiddetta «direttiva habitat». Tale regolamento, all'articolo 1, definisce esaustivamente il proprio campo di applicazione. Esso costituisce, a tutti gli effetti, la disciplina organica della materia in argomento, in ossequio alle disposizioni costituzionali, comunitarie e legislative. Orbene, il comma 1226 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 è viziato, innanzitutto, nell'impostazione, in quanto non è corretto motivare l'emanazione di siffatto provvedimento con la prevenzione di «ulteriori procedure di infrazione». Infatti, allo stato attuale, la quasi totalità delle regioni italiane e delle province autonome
 

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ha già provveduto a istituire le proprie zone di protezione speciale (ZPS) e ad emanare le relative misure di conservazione, come peraltro previsto dall'articolo 4 del medesimo regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997. Peraltro, ove persistesse l'inadempimento delle poche regioni che non vi hanno ancora provveduto, sarebbe di competenza regionale, concorrente rispetto a quella statale, la potestà di legiferare in materia di «governo del territorio» ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Il citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 (articoli 4-6) già prevedeva espressamente che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano si adeguassero, nello stabilire le misure di protezione dei siti della rete «Natura 2000» [ZPS, siti di importanza comunitaria (SIC) e zone speciali di conservazione (ZSC)], a «linee guida» di carattere generale da adottare da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In ottemperanza a questa previsione, tali «linee guida» sono state elaborate dalla Lega italiana per la protezione degli uccelli (LIPU) e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e adottate con decreto dello stesso Ministro 3 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 settembre 2002, n. 224. Il predetto decreto ministeriale è stato adottato in conformità al parere favorevole della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, espresso in data 9 maggio 2002.
      Quindi, si evidenzia l'impatto negativo per l'attività venatoria recato dall'emanazione di siffatta previsione legislativa, inserita, peraltro, in un contesto anomalo di disposizioni in materia di bilancio dello Stato, atteso che la regolamentazione normativa in materia già esiste ed è contenuta nel predetto regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
      La questione verterebbe, in sostanza, solamente sulla concreta attuazione della legge da parte di tutte le regioni e delle province autonome, con legislazione regionale o provinciale e non con l'impropria sovrapposizione della decretazione ministeriale differita. Per inciso, precedentemente era già stata approntata dal Governo, sotto forma di decretazione d'urgenza, una regolamentazione delle misure di protezione nelle ZPS, introducendo specifiche limitazioni all'attività venatoria riguardante sia i tempi di caccia sia le specie cacciabili fino all'adozione dei provvedimenti regionali, bloccando a tale fine persino la realizzazione di piste da sci ed impianti di risalita nelle ZPS (decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, recante «Disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica» - atto Camera n. 1610). Anche tale decreto-legge, decaduto, presentava aspetti di criticità e penalizzanti - previsti nelle «misure di conservazione» - sotto il profilo economico, sociale e di incostituzionalità, sempre legati al mancato rispetto della competenza regionale concorrente, sancita dal dettato costituzionale, alla quale lo Stato avrebbe voluto sostituirsi, definendo i requisiti minimi di tutela ambientale ed estendendo le zone ZPS. La questione delle ZPS, quindi, dopo che il predetto decreto-legge è decaduto, va rimessa, incontrovertibilmente, alle regioni: nel dettaglio di quanto prima esposto, alcune, le più «virtuose», hanno da tempo provveduto, modellandosi sul testo comunitario, ad approvare le misure di conservazione o di salvaguardia nelle ZPS (Toscana, Lombardia e Veneto), altre lo hanno fatto in quest'ultimo periodo (Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Umbria e Valle D'Aosta), le altre, assai poche, ancora rimaste, si adegueranno a breve tempo.
      Bisogna, per di più, considerare che l'ulteriore intervento dell'attuale Governo - attraverso l'introduzione del comma
 

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1226 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 - è ritornato sull'argomento, già oggetto di disamina del predetto intervento di decretazione d'urgenza, poi decaduto, prevedendo, questa volta, con normazione secondaria «differita», che, entro tre mesi dalla sua approvazione, tali provvedimenti regionali debbano essere assunti o completati sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
      La presente proposta di legge intende, quindi, porre rimedio a tale formulazione che risulta impropria, assai restrittiva nonché giuridicamente e tecnicamente inaccettabile. Le ZPS, infatti, non sono state istituite per vietare «gratuitamente» la caccia o altre attività umane, ma hanno lo scopo di salvaguardare alcune specie di uccelli in non favorevole stato di conservazione (allegato della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979) e i rispettivi habitat. Occorre, per questo, precisare che la ZPS è «disegnata» in forma stabile sul territorio (ben definita con confini debitamente tabellati), ma il piano di gestione è soggetto a variazioni, anzi deve variare, da sito a sito (sicché una ZPS di pianura della Lombardia risulta essere diversa da una ZPS, sempre di pianura, della Sicilia) e, così, particolari divieti vengono posti in relazione alle specie che devono essere tutelate.
      L'abrogazione del disposto legislativo in oggetto, oltre che per tutte le censure sollevate, si rende necessaria in considerazione, appunto, di tale diversificazione, sicché i piani di gestione ambientale non possono essere generalmente definiti per tutti i siti tutelati: ogni ZPS deve avere il suo piano, la sua gestione, i suoi divieti. Ecco, perciò, il diverso approccio tra aree protette in maniera rigida (parchi e riserve naturali) e siti a «conduzione flessibile» (ZPS), dove devono pur essere tutelate anche le esigenze sociali, economiche, culturali e ricreative. È quindi evidente il concetto che occorre porre in essere una fattispecie di caccia regolamentata, controllata e programmata con tali criteri e ciò risulta essere un esempio calzante di quel principio attivo di tutela che va sotto il nome di «Sustainable Hunting». Il 2006 dovrà, con la approvazione della presente proposta di legge, indifferibile e quanto mai opportuna, essere presto dimenticato, viste le sue pagine «nere», segnate da improvvidi provvedimenti, in parte decaduti, in parte malamente attuati e da abrogare, per aprire un dialogo costruttivo e supportato da un consenso generale, anche delle associazioni interessate e nel rispetto delle competenze legislative concorrenti costituzionalmente spettati alle regioni e alle province autonome, perché l'ambiente va tutelato e ciò sarebbe assicurato dall'impianto normativo che con la presente proposta di legge si intende ripristinare, così da soddisfare il comparto venatorio, anche su base comunitaria.
      Con la presente proposta di legge si intende abrogare la disposizione del citato comma 1226 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, per contrastare, inoltre, l'assegnazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del potere (competenza peraltro tutta da verificare sul piano istituzionale) di stabilire nuovi «criteri minimi uniformi» in quanto ciò, innanzitutto, viola le disposizioni costituzionali sul riparto della funzione legislativa tra lo Stato e le regioni, e pertanto contrasta con i disposti ordinamentali in quanto in questo caso l'attuazione della legge verrebbe demandata, con evidente forzatura normativa, alla decretazione ministeriale, il che rappresenta un «minus», in quanto fonte di rango inferiore e, inoltre, significa:

          a) stravolgere il testo del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, causando evidenti problemi di chiarezza del quadro normativo di riferimento;

          b) annullare le citate «linee guida» già elaborate dalla LIPU e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, formalmente adottate con il medesimo decreto ministeriale in conformità al parere espresso dalla Conferenza permanente

 

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per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

          c) caducare la legislazione - sotto l'aspetto normativo e regolamentare - di quelle regioni e province autonome che, nel frattempo, hanno già provveduto a dettare disposizioni in materia con riferimento ai princìpi indicati dalle predette linee guida.

      Infine, è appunto il tema dei «criteri minimi uniformi» che deve essere affrontato e corretto in quanto impropriamente demandato a decretazione ministeriale, la quale deve costituire argomento per l'abrogazione del disposto in oggetto. Giova evidenziare anche l'autorevole apporto della Corte costituzionale, a partire dalla nozione di standard minimi e uniformi elaborata dalla stessa Corte in una lunga sequenza di pronunce, che riguardano la legislazione nazionale sul prelievo venatorio in rapporto con le leggi regionali. Il quadro giurisprudenziale tratteggia la nozione di standard come nucleo o livello minimo e uniforme che garantisca la tutela della fauna selvatica. Le caratteristiche dello standard, benché non espressamente definite dalla Corte, ma implicitamente deducibili, sono le seguenti:

          a) ha efficacia normativa perché contenuto o direttamente desumibile da leggi di rango primario (la legge n. 157 del 1992) o comunitario (la citata direttiva 79/409/CEE);

          b) segna il discrimine tra competenza statale esclusiva - perché attiene alla tutela dell'ecosistema e dell'ambiente - e competenza regionale residuale - perché afferente alla normativa di dettaglio, anche se il confine è labile: la Corte, nella sentenza n. 441 del 2006, non esita a includere nello standard minimo anche un anellino inamovibile da applicare al tarso degli uccelli di cattura;

          c) rappresenta la soglia minima e, come tale, inderogabile e perciò vincolante per le regioni e le province autonome.

      Quindi, a conclusione, queste notazioni giurisprudenziali rimarcano il carattere essenziale, irrinunciabile, non frazionabile della tutela come evidenziato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 129 del 2004, n. 226 del 2003, n. 536 del 2002.
      Quanto detto serve anche a fugare le insorgende questioni di carattere interpretativo del disposto che si intende abrogare: infatti, il confronto con i criteri minimi uniformi, inseriti nella citata legge n. 296 del 2006, al comma 1226 dell'articolo 1, è a dir poco problematico; poiché il termine «criterio» non equivale al termine «standard», ma, nella prassi linguistica, «criterio» equivale a «principio informatore» o «di scelta».
      La presente proposta di legge è volta a ripristinare la corretta applicazione dell'impianto normativo previgente, ad evitare l'indebita ingerenza dello Stato in una materia di competenza regionale e, non da ultimo, a scongiurare l'inevitabile contenzioso sotto il profilo della costituzionalità il cui esito è prevedibile, anzi, scontato.
      La presente proposta di legge si compone di un unico articolo che sancisce l'abrogazione del comma 1226 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).

 

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Art. 1.

      1. Il comma 1226 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è abrogato.


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