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PDL 2818

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2818



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, VILLETTI

Modifiche alla Costituzione per la semplificazione del governo locale e l'abolizione delle province

Presentata il 21 giugno 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con legge costituzionale n. 1 del 2001, ha ribadito il mantenimento della provincia quale ente intermedio tra comune e regione, accanto alla città metropolitana, la quale rappresenta, dunque, l'unica innovazione strutturale di rilievo nel sistema degli enti locali a decorrere dall'unità d'Italia.
      Eppure, sin dalla nascita della Repubblica molte voci della dottrina, della politica, del mondo del lavoro e della società civile si sono interrogate sull'opportunità di mantenere le province e hanno evidenziato la loro inadeguatezza rispetto alle esigenze di una razionale organizzazione del sistema del decentramento.
      In particolare - e senza risalire alle proposte avanzate in passato, soprattutto dai gruppi parlamentari liberale e repubblicano, all'epoca dell'istituzione delle regioni, ma solo per ricordare alcuni dei più recenti interventi - a favore della loro abolizione si sono pronunciati, oltre a vari parlamentari (ad esempio, per l'intervento dell'onorevole Chicco Testa si veda la replica dell'Unione delle province d'Italia - UPI Lazio nel sito dell'Associazione), il Presidente della regione Sardegna, Renato Soru, che ha incaricato una équipe di giuristi di studiare non solo l'abolizione delle quattro province sarde di nuova istituzione, ma anche di quelle storicamente preesistenti. La Confindustria, a sua volta, per voce del suo presidente Luca Cordero di Montezemolo, nella Relazione annuale del 25 maggio 2007 (Il Sole 24 Ore del 24 maggio 2007), ha sottolineato l'esigenza di procedere all'abolizione delle province.
      Malgrado tutto ciò, nel recente passato, non solo la riforma del titolo V, ma neppure la Commissione bicamerale per le
 

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riforme istituzionali, presieduta dall'onorevole D'Alema, e tanto meno la proposta di revisione costituzionale respinta con il referendum dello scorso anno, hanno osato proporne l'abolizione. Anzi, le «leggi Bassanini» hanno tentato di rilanciarne il ruolo, affidando loro, prevalentemente, compiti di coordinamento e funzioni delegate. E addirittura, nella XIV legislatura, sono state depositate ben 38 proposte di legge per l'istituzione di 28 nuove province, quasi tutte con carattere bipartizan (www.politicaonline.net).
      Non sono state dunque tratte sino in fondo le conseguenze delle riflessioni a più riprese fatte in merito al mantenimento delle province, con riferimento, in particolare, alla loro giustificazione storica, al loro ruolo nel processo decisionale, derivante anche dalla confusione nell'allocazione delle competenze, al principio di rappresentanza, al rapporto tra costi e benefìci:

          a) come è noto, le province nascono dall'alto, quali circoscrizioni prefettizie, con un territorio commisurato al tempo percorso da un messo a cavallo dal confine alla sede prefettizia. Non c'è dunque alcun legame con il bacino di utenza ideale per l'erogazione e il coordinamento dei servizi, nonché per l'espressione della rappresentanza, cui dovrebbe essere commisurato l'assetto degli enti locali alla luce della visione complessiva che la Costituzione ha del sistema del decentramento.
          Le province non sono radicate storicamente, diversamente dai comuni, circa i quali, al più, ci si può interrogare sull'opportunità di favorirne l'aggregazione (mentre ogni tentativo forzoso è destinato al fallimento, proprio perché rappresentano un'emanazione della società, sono sedimentati nella cultura e sono vicini alle esigenze della gente). Le province non evocano storia o legami culturali: nulla, come dimostra, da ultimo, la diaspora di innumerevoli comuni che chiedono di passare dal Veneto ad altra regione (da Lamon a tutti i comuni dell'altopiano di Asiago, a molti comuni posti al confine con il Friuli-Venezia Giulia, con picchi dell'80 per cento e oltre di cittadini favorevoli, a testimoniare la labilità dei vincoli connessi al livello provinciale);

          b) nel processo decisionale, le province rappresentano un passaggio in più, e anche dalla prospettiva della scienza politica l'aggregazione di interessi a livello provinciale si sovrappone e duplica o moltiplica altre fasi del bargaining per la risoluzione dei problemi. Gli interessi sono infatti già mediati, oltre che a livello politico attraverso partiti, lobby e associazioni, a livello istituzionale per il tramite degli organi comunali, di comunità montana (ove esistente), di altre forme associative, di regione. Risulta paradossale che per svolgere funzioni prevalentemente di coordinamento si mantenga un ulteriore livello di governo, e che l'apparato provinciale sia reputato del pari indispensabile al fine di svolgere le (non numerose) funzioni amministrative di livello sovracomunale, per le quali il principio di sussidiarietà suggerisca di devolvere l'attuazione a livello maggiore del comune;

          c) in termini di rappresentanza, nonostante il sistema elettorale introdotto con le riforme degli ultimi anni, volto a favorire un collegamento diretto tra corpo elettorale e presidente della provincia, la «visibilità» di quest'ultimo resta alquanto scarsa, rispetto al presidente della regione, e incommensurabilmente più ridotta di quella del sindaco. A livello provinciale, l'introduzione dell'elezione diretta non ha determinato il rafforzamento di un rapporto virtuoso tra rappresentanza e responsabilità, che invece si percepisce nitidamente per il sindaco e il presidente di regione, trattandosi in questi casi di enti con competenze definite, il cui esercizio ha ricadute dirette sulla rispettiva cittadinanza, e il cui adempimento (corretto o scorretto, buono o cattivo esso sia stato) comporta appunto l'attivazione della responsabilità politica.
      La frattura tra rappresentanza e responsabilità (e il generale diffuso disinteresse della gente per le province) è eclatantemente percepita dal corpo elettorale, come dimostrano le statistiche relative alla partecipazione al voto nella tornata amministrativa

 

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del 27-28 maggio 2007. Mentre ben il 73,95 per cento degli aventi diritto al voto ha partecipato alle votazioni per le elezioni comunali, solo il 58,08 per cento ha preso parte a quelle provinciali (fonte: Ministero dell'interno, www.interno.it). Si consideri, altresì, che la percentuale delle elezioni provinciali risulta enfatizzata per eccesso, giacché in molte province si votava contemporaneamente per le elezioni comunali, e proprio questa circostanza ha sollecitato molti cittadini a partecipare anche alle elezioni provinciali.
      La provincia, insomma, continua ad apparire, come sempre è stata, un ente lontano dalla gente e dall'elettorato, il quale non percepisce il nesso tra fiducia concessa, leadership provinciale e ritorno in termini di servizi e, quindi, di responsabilità;

          d) il problema, nella prospettiva della razionalizzazione dell'amministrazione locale, non si pone in meri termini di costi, ma di rapporto tra costi e benefìci. Se i benefìci sono percepiti dalla popolazione come tali, il loro costo può essere sopportato volentieri. La problematica dell'abolizione delle province, quindi, solo in parte ha a che fare con i costi della politica, recentemente denunciati anche da un autorevole intervento del Presidente della Repubblica del 31 maggio 2007.

      I costi sono comunque elevati nei loro valori assoluti, oltre che in rapporto ai benefìci. Nelle province sono attualmente in servizio 60.000 impiegati e il loro costo è di circa 18 miliardi di euro annui (www.politicaonline.net). Ai costi delle province si sommano, per buona parte del territorio nazionale, quelli delle comunità montane, che sono 356, e costano allo Stato 190 milioni di euro all'anno, oltre ai consorzi e ad una pletora di enti intermedi che si sovrappongono parzialmente alle province, proprio a enfatizzare l'incapacità di queste ultime a fungere da livello ottimale di organizzazione dei servizi.
      I dati della stessa UPI attestano che il 73 per cento dei bilanci è destinato alle spese correnti e che soltanto il 27 per cento è utilizzato per gli investimenti. Il costo complessivo degli amministratori è di 115.000 milioni di euro. Il costo mensile dei consiglieri va dai 600 ai 2.000 euro al mese (solo per le indennità di base); quello di presidenti e degli assessori va dai 3.000 ai 5.000 euro al mese, a seconda del numero di abitanti per provincia. È stato calcolato che per costituire una nuova provincia (Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza), il solo costo per i nuovi uffici ammonterebbe a 50 milioni di euro. Il commissario per la provincia di Monza e della Brianza ha dichiarato che dal 2005 al 2008 è stato previsto un budget di spesa annuale pari a 16 milioni di euro (fonte: «Report», 1o aprile 2007).
      La provincia ha organi elettivi e una sua struttura burocratica, ma ha solo effimeri contatti con il territorio, mentre sua interfaccia sono solo o quasi gli altri livelli di governo.
      Soprattutto, data la sua artificialità, anche le funzioni di coordinamento non si svolgono in bacini di utenza omogenei. Ciò fa appunto risaltare il deficit nel rapporto tra costi e benefìci.
      Ammesso che serva una struttura intermedia tra comune e regione (che infatti in altri Paesi non è prevista o è stata soppressa), la provincia, con lo stesso personale politico e burocratico, deve organizzare e coordinare funzioni totalmente differenziate: cultura ed economia, acquedotti e ambiente, strade, trasporti, servizi bibliotecari e polizia forestale eccetera, che richiedono un coordinamento in aree che raramente coincidono. Lo stesso discorso vale per le funzioni delegate dalle regioni. Il principio di sussidiarietà, basato sull'esigenza che le funzioni vanno svolte preferibilmente a livello più basso, a meno che non sia più consono il livello superiore, difficilmente permette di individuare quest'ultimo nella provincia.
      Una provincia semi-montana (la stragrande maggioranza in Italia) presenta esigenze diverse nella parte di pianura, economicamente più sviluppata, rispetto a quella montagnosa, di volta in volta i diversi servizi che richiedono una gestione sovracomunale possono essere svolti aggregando

 

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pochi o molti comuni, ma comuni di volta in volta diversi. Un gruppo di comuni può ben svolgere un servizio (ad esempio biblioteche, istruzione, scuolabus, mense scolastiche) in un'area, ma gli stessi comuni possono aggregarsi con altri per erogare l'acqua o per mettere in comune la vigilanza urbana o per gestire servizi economici o di trasporto.
      La strada da percorrere non è, dunque, quella di mantenere una struttura vetusta, i cui confini sono solo «cicatrici» della storia, bensì di favorire unioni funzionali di comuni, volte all'aggregazione di attività con utenze omogenee e non artificiali. Esse non necessariamente coincidono con gli attuali confini provinciali, per non dire che nelle aree di confine di ogni provincia molti comuni gravitano verso altri comuni appartenenti alla provincia contigua.
      La razionalizzazione operata abolendo le province, sostituite da unioni mono o plurifunzionali di comuni, coordinate a livello regionale, favorirebbe un abbattimento dei costi, in quanto il personale burocratico e le strutture sarebbero assorbiti dai comuni o dalla regione o dalle comunità montane, ed eventualmente destinato a supportare il coordinamento di tali unioni. La qualità dei servizi potrebbe migliorare perché sarebbero erogati in aree individuate di volta in volta, a seconda delle esigenze, e coordinati a seconda delle diverse funzioni, con duttilità, aggregandoli in base agli interessi economici, sociali e culturali dei comuni che le svolgono.
      La presente proposta di legge costituzionale, nel proporre l'abolizione delle province, non per ciò si presenta come meramente abrogativa, e si integra armonicamente con il titolo V della parte seconda della Costituzione, anche là dove, assegnando rango costituzionale alle città metropolitane, esso introduce dopo un secolo di uniformità il principio della differenziazione tra ente locale ed ente locale. Attraverso la soppressione dei riferimenti alle province, infatti, la presente proposta di legge costituzionale apre ampi spazi all'attività normativa delle regioni nel gestire duttilmente la materia «enti locali», a esse assegnata quale materia residuale dall'articolo 117 della Costituzione.
      In particolare, ciò affiora dalla nuova formulazione dell'articolo 118 della Costituzione, al quale è aggiunto il seguente comma: «Le Regioni promuovono e coordinano forme di collaborazione tra i Comuni per l'esercizio delle funzioni loro conferite o delegate e per l'ottimale erogazione dei servizi».
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. All'articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «dalle Province,» sono soppresse;

          b) al secondo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse.

      2. All'articolo 117 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, lettera p), la parola: «, Province» è soppressa;

          b) al sesto comma, le parole: «, le Province» sono soppresse.

      3. All'articolo 118 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, la parola: «Province,» è soppressa;

          b) al secondo comma, le parole: «, le Province» sono soppresse;

          c) al quarto comma, la parola: «, Province» è soppressa;

          d) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

              «Le Regioni promuovono o coordinano forme di collaborazione tra i Comuni per l'esercizio delle funzioni loro conferite o delegate e per l'ottimale erogazione dei servizi».

      4. All'articolo 119 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo, secondo e quinto comma, le parole: «le Province» sono soppresse;

          b) al quarto comma, le parole: «alle Province,» sono soppresse;

          c) al quinto comma, la parola: «Province,» è soppressa.

 

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      5. All'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, le parole: «, delle Province» sono soppresse.
      6. All'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) le parole: «della Provincia o delle Province interessate e» sono soppresse;

          b) le parole: «Province e» sono sostituite dalla seguente: «i».

      7. L'articolo 133, primo comma, della Costituzione, è abrogato.


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