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PDL 2802

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2802



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LAURINI, BERNARDO, BRUSCO, D'IPPOLITO VITALE, FRATTA PASINI, MONDELLO, PELINO, SANZA

Modifica all'articolo 32-bis del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, concernente la successione nelle norme in materia di illeciti disciplinari dei magistrati

Presentata il 19 giugno 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, e la legge 24 ottobre 2006, n. 269, hanno integralmente innovato in materia di illeciti disciplinari dei magistrati - nonché di procedimento per le relative contestazione e irrogazione - sostituendo la normativa dettata dal regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, con ciò creando un problema di applicazione per quanto concerne la successione delle norme.
      Le prime applicazioni giurisprudenziali della nuova normativa hanno messo in luce una interpretazione delle sezioni unite civili della Corte di cassazione (che hanno la competenza a decidere sulle impugnative delle sentenze emesse dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura) del tutto contraria sia al più comune senso di giustizia, sia alla più recente legislazione nazionale e comunitaria, sia, infine, alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.
      In effetti, la Corte di cassazione, con numerose sentenze, ha stabilito che in materia di illeciti disciplinari dei magistrati non trova applicazione il principio della «lex mitior» (ovvero dell'applicazione della legge più favorevole) poiché tali sanzioni, pur irrogate da un organo giurisdizionale, avrebbero natura amministrativa e troverebbe quindi applicazione l'articolo 11 delle preleggi. In particolare la Corte di cassazione ha affermato che:

          a) in materia di illeciti amministrativi, l'adozione del principio di legalità, d'irretroattività e di divieto dell'applicazione

 

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dell'analogia comporta l'assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole (tra le tante sentenze, si ricordano la sentenza 11 maggio 2005, n. 9889; 19 giugno 2004, n. 11459 e 28 novembre 2003, n. 18212);

          b) in tema di illeciti disciplinari non trova applicazione il principio di cui all'articolo 2, commi secondo e terzo, del codice penale, restando applicabile la legge vigente al tempo del verificarsi dell'infrazione disciplinare e non la disciplina posteriore più favorevole per l'incolpato (sentenze 14 giugno 2002, n. 8587; 6 aprile 2001, n. 5141 e 3 aprile 2000, n. 4009).

      Tali affermazioni appaiono in netto contrasto sia con la più recente legislazione che con quella europea. Invero, per quanto attiene alla legislazione europea, possono ricordarsi le previsioni del regolamento (CE/Euratom) n. 2988/95 del Consiglio, del 18 dicembre 1995, che all'articolo 2, paragrafo 2, stabilisce che: «Nessuna sanzione amministrativa può essere irrogata se non è stata prevista da un atto comunitario precedente all'irregolarità. In caso di successiva modifica delle disposizioni relative a sanzioni amministrative contenute in una normativa comunitaria si applicano retroattivamente le disposizioni meno rigorose». In materia, invece, di normativa nazionale, può rammentarsi in particolare il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che ai commi 2 e 3 dell'articolo 3 ha introdotto il principio del «favor rei» anche in materia di sanzioni amministrative. La lettera della norma è la seguente: «2. Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato.
      3. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo».

      Da queste ultime disposizioni e da quelle similari di cui all'articolo 23-bis, comma 3, del testo unico delle norme in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, introdotto dalla legge 7 novembre 2000, n. 326, la dottrina fa discendere la sussistenza nell'attuale ordinamento «rebus sic stantibus (...) a meno di ravvedimenti giurisprudenziali che stabiliscano l'applicazione analogica del principio di retroattività della norma più favorevole o di quella abrogatrice dell'illiceità anche agli illeciti amministrativi di natura non tributaria di un evidente questione di costituzionalità della norma di cui all'articolo 1 della legge n. 689 del 1981 in rapporto all'articolo 3 della Carta fondamentale. Ciò, nella misura in cui siffatto articolo, "coeteris paribus", detta una disciplina più rigorosa per le violazioni di carattere non tributario piuttosto che per quelle poste a tutela degli interessi finanziari. La rilevata aporia, d'altronde, assume carattere destabilizante per la razionalità dell'intero sistema, nel momento in cui l'articolo 3 del decreto legislativo n. 472 del 1997 determina un'ingiustificata disparità di trattamento fra quanti violano un precetto tributario tutelato con l'irrogazione di una misura afflittiva non penale e quanti pongono in essere una violazione, ugualmente amministrativa, ma non di natura finanziaria» (Di Siena, in Rivista della Guardia di finanza, n. 2, 1999).
      Anche la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, pronunziandosi in merito, ha sancito il principio della necessaria applicabilità della legge più favorevole anche in materia di sanzioni amministrative. Così, nella sentenza emessa in data 8 marzo 2007 nella causa n. C-45/06 Campina GmbH & Co., già TUFFI Campina emzett GmbH contro Hauptzollamt Frankfurt (Oder) ai punti 32 e 33 - e siamo in tema di sanzioni

 

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certamente amministrative! - si proclama: «32. Si deve osservare che il principio dell'applicazione retroattiva della sanzione più lieve fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, cosicché esso deve essere considerato un principio generale del diritto comunitario, di cui la Corte garantisce il rispetto e che il giudice nazionale deve applicare (v., in tal senso, sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I-3565, punti 67-69).
      33. Tale principio trova espressione, in particolare, all'articolo 2, n. 2, seconda frase, del regolamento n. 2988/95, ai sensi del quale spetta alle autorità competenti applicare retroattivamente ad una fattispecie le sanzioni previste da una norma di settore qualora le stesse siano meno rigorose (v., in tal senso, sentenza 1o luglio 2004, causa C-295/02, Gerken, Racc. pag. I-6369, punto 61».

      Si ritiene dunque necessario, a causa di un'applicazione eccessivamente letterale delle norme vigenti, sancire legislativamente che il principio dettato dall'articolo 2 del codice penale deve trovare applicazione anche nel campo delle sanzioni disciplinari a carico dei magistrati.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. I commi 1 e 2 dell'articolo 32-bis del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, sono sostituiti dai seguenti:

      «1. Non può essere applicata alcuna sanzione per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costituiva illecito disciplinare. Non può altresì essere applicata alcuna sanzione per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce illecito disciplinare e se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti amministrativi.
      2. Se la legge del tempo in cui fu commesso l'illecito disciplinare e quella del tempo di svolgimento del procedimento sono diverse si applica la legge più favorevole all'incolpato, salvo che sia stata pronunziata sentenza irrevocabile».


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