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PDL 2939

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2939


 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

CAPEZZONE, MELLANO

Modifiche agli articoli 66 e 134 della Costituzione, concernenti la previsione di termini per i procedimenti parlamentari in materia di verifica dei poteri e l'introduzione della facoltà di ricorso alla Corte costituzionale

Presentata il 23 luglio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 66 della Costituzione statuisce che «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».
      Il controllo esercitato dalla stessa Camera d'appartenenza costituisce una potenziale contraddizione, dal momento che ci si trova di fronte all'anomala situazione in cui la figura del controllore e quella del controllato coincidono. La norma costituzionale attribuisce, infatti, alle Camere la «verifica dei poteri» degli eletti, cioè il vaglio, ultimo ed insindacabile, sulla regolarità delle operazioni elettorali, sull'assenza di cause di ineleggibilità al momento dell'elezione e sulla mancanza di cause sopravvenute di ineleggibilità o di incompatibilità determinanti la decadenza dalla carica.
      Anche nell'attuale legislatura vicende relative ad elezioni contestate e alla sussistenza dei titoli hanno posto ulteriormente in evidenza l'inadeguatezza della ormai «vecchia» disposizione costituzionale. Ricordiamo, a mero titolo d'esempio, la vicenda degli otto seggi senatoriali, la cui attribuzione è stata contestata da alcune forze politiche a causa di differenti interpretazioni della legge elettorale e che, a più di un anno dall'inizio della XV legislatura, non ha trovato soluzione presso la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica.
 

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      Per quanto attiene a casi discussi presso la Camera dei deputati, va ricordata la seduta del 7 giugno 2007 in cui la maggioranza dei deputati ha ritenuto che non andasse annullata l'elezione di due onorevoli, malgrado la Giunta delle elezioni ne avesse proposto la decadenza, mortificando - come purtroppo sovente è accaduto - il lavoro istruttorio e preparatorio di quell'organo, espressione del potere autorganizzatorio di ciascuna Camera, che dovrebbe rispondere ad esigenze di celerità, di praticità e di giustizia sostanziale.
      Sempre al Senato della Repubblica, è da ricordare la discussione tenutasi il 4 luglio ultimo scorso in merito all'attribuzione del seggio resosi vacante nella regione Piemonte a seguito delle dimissioni del senatore Gianni Vernetti, in cui è prevalsa l'opinione di estendere anche al Senato l'istituto della cosiddetta «pre-opzione», esistente alla Camera dei deputati, in un diverso ordinamento, in favore del primo dei non eletti già proclamato in altra regione. Di fatto, il parere della Giunta del regolamento e le decisioni della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica, oltre a spostare sul Senato - in assenza di fondamenti legislativi - il potere di proclamazione, hanno conferito alle maggioranze parlamentari la possibilità di violare la Costituzione, rappresentando un cedimento all'arbitrio che spesso ormai si nasconde dietro la «giustizia domestica» delle Camere. Non si può infatti sottacere come l'aver consentito a chi già da più di un anno esercita il mandato parlamentare di ri-optare tra le regioni, in occasione di subentri più o meno prevedibili, collide con il principio della rappresentanza popolare e con il divieto del vincolo di mandato.
      Il problema al nostro esame era ben noto al Costituente, che preferì, tuttavia, non discostarsi da quanto già previsto dall'articolo 60 dello Statuto albertino («Ognuna delle Camere è sola competente per giudicare della validità dei titoli di ammissione dei propri membri»). In seno all'Assemblea costituente furono vagliate anche le soluzioni adottate in altri Paesi, fondate sul controllo della Corte costituzionale (Costituzione austriaca del 1920) o di un apposito Tribunale formato da parlamentari e da magistrati (Costituzione di Weimar). Tuttavia, l'ancora troppo recente esperienza del periodo fascista, che aveva visto un totale assoggettamento del potere giurisdizionale alla volontà dell'esecutivo e l'incognita rappresentata dalla neo-istituita Corte costituzionale convinsero il Costituente a conservare tale istituto.
      Nel corso della discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato, l'onorevole Mortati, relatore sul tema «potere legislativo», avanzò la proposta di sottrarre alle Camere il giudizio sui titoli di ammissione dei membri del Parlamento per attribuirlo a un tribunale elettorale, da disciplinare con apposita legge costituzionale. Mortati motivò la sua proposta palesando l'opportunità di garantire il rispetto dei diritti delle minoranze attraverso un sistema «tecnico» che evitasse che la verifica dei poteri avvenisse in base a criteri unicamente politici. Nel dibattito che si aprì ricordiamo la contrarietà degli onorevoli Bulloni e Terracini, perché temevano una «deminutio» dell'autorità del Parlamento. Non contrario si dichiarò l'onorevole Ambrosini in quanto tale proposta, lungi dal limitare la sovranità dell'Assemblea - che si esplica nelle funzioni, proprie di ogni Assemblea parlamentare, legislativa e di controllo sugli atti del potere esecutivo -, mirava a risolvere un mero problema di carattere tecnico. Tra i favorevoli, vanno menzionati anche gli onorevoli Leone e Bozzi che sostennero la tesi di Mortati secondo cui l'accertamento della regolarità delle elezioni è per sua natura attività intrinsecamente giurisdizionale e, pertanto, avrebbe ben potuto essere affidata a un organo giurisdizionale. Al termine del dibattito, la proposta di Mortati posta in votazione fu respinta. In Assemblea il problema della verifica dei poteri fu dibattuto nelle sedute del 10 ottobre e del 28 novembre 1947. L'onorevole Mortati, con un emendamento sostitutivo, ripropose, con alcune variazioni, la sua proposta. A seguito di un ampio e
 

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intenso dibattito l'emendamento fu respinto. L'Assemblea accolse invece la proposta originaria della Commissione cui, a seguito di un emendamento proposto dall'onorevole Calamandrei, fu aggiunta la specificazione del giudizio sulle «cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».
      In altri Paesi membri dell'Unione europea la problematica della verifica dei poteri dei membri delle Assemblee parlamentari ha trovato soluzioni differenti rispetto al modello italiano. In Germania vige un procedimento «misto», in cui la competenza sulla verifica dei poteri è riservata in primo grado al Bundestag, contro le cui decisioni è ammesso ricorso al Bundesverfassungsgericht (Tribunale costituzionale federale). Austria e Francia hanno, invece, adottato un procedimento in cui la titolarità del potere di verifica è attribuita a un organo totalmente esterno al Parlamento e, in particolare, al giudice costituzionale, le cui decisioni sono inappellabili. In Francia il Consiglio costituzionale decide anche, in secondo grado, sui ricorsi in materia di ineleggibilità ci incompatibilità, essendo riservata in prima istanza la competenza, rispettivamente, ai tribunali amministrativi e agli Uffici di Presidenza delle Assemblee parlamentari. Nel modello inglese sulle contestazioni circa la regolarità delle elezioni politiche decide, in via definitiva e inappellabile, un apposito Tribunale elettorale composto da due magistrati scelti fra i giudici di una delle divisioni dell'Alta Corte di Giustizia; con l'autorizzazione dell'Alta Corte di giustizia è tuttavia ammesso ricorso, per soli motivi di legittimità, alla Corte d'appello, la cui decisione è definitiva.
      Come rilevato prima, le ragioni che spinsero il Costituente del dopoguerra ad adottare la formulazione tuttora vigente dell'articolo 66 vanno ricercate nelle motivazioni storiche che stanno alla base dell'istituto, dettate dal rispetto dell'autonomia organizzativa e normativa di ciascuna Camera al fine di consentire loro di svolgere, senza interferenze esterne di alcun genere, la propria attività. In particolare, vale la pena ricordare come in passato esistesse un forte legame tra potere esecutivo e potere giurisdizionale (articolo 68 dello Statuto albertino). Ciò, indubbiamente, costituiva una seria minaccia per qualunque assemblea elettiva che avesse delegato ad altri (esecutivo o magistratura) il compito di procedere a una verifica dei titoli di ammissione dei propri membri.
      Oggi, comunque, questo «controllo domestico» non ha più ragione di esistere, per cui sarebbe auspicabile una riforma dell'istituto. Da tempo si discute, infatti, sia in dottrina sia nel dibattito politico, sull'opportunità di trasferire la competenza della «verifica dei poteri» all'esterno delle Camere, in una sede più chiaramente giurisdizionale.
      Nella XIII legislatura in seno alla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (istituita ai sensi della legge costituzionale 23 gennaio 1997, n. 1) si aprì un ampio dibattito sull'opportunità di prevedere l'intervento della Corte costituzionale nella verifica dei titoli di ammissione dei membri del Parlamento (così prevedeva, infatti, la bozza di articolato presentata dalla relatrice senatrice Dentamaro). Si confrontarono due posizioni differenti: da un lato i sostenitori dell'introduzione di un controllo più giurisdizionale che politico (ipotizzando, in alternativa alla Corte costituzionale, l'intervento di altri soggetti quali la Corte di cassazione o le corti d'appello); dall'altro lato, coloro che manifestavano perplessità, sia a causa di una possibile lesione dell'«autodichia» delle Camere, sia per il rischio di un aggravio dei lavori della Corte costituzionale. Al termine, la Commissione decise di non modificare la vigente previsione dell'articolo 66 della Costituzione. Questo dibattito si intrecciò con l'altrettanto ampia discussione di prevedere il ricorso alla Corte costituzionale contro le deliberazioni (o le mancate decisioni in tempo utile) delle Camere sulle elezioni contestate. Nel testo licenziato dalla Commissione il 4 novembre 1997, per le elezioni contestate furono proposti termini certi, stabiliti dal Regolamento di ciascuna Camera, e la possibilità di ricorso
 

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alla Corte costituzionale, entro quindici giorni, contro la deliberazione o nel caso di decorso del termine. Come noto, il Parlamento non riuscì a portare a compimento l'ampia riforma costituzionale che si era prefissato.
      Anche nel corso della XIV legislatura, durante il dibattito che portò all'approvazione del testo di riforma della parte seconda della Costituzione poi respinto dal referendum confermativo, fu affrontato il tema della «verifica dei poteri». Nel testo licenziato, il giudizio sui titoli di ammissione dei parlamentari e sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità, pur continuando a rimanere riservato alla Camera d'appartenenza, doveva essere svolto entro termini definiti, stabiliti dal rispettivo Regolamento. Veniva inoltre previsto (articolo 66 della Costituzione nel testo modificato previsto dall'articolo 10 dell'atto Camera n. 4862 e abbinati, XIV legislatura), che la deliberazione dell'Assemblea sull'insussistenza di dati titoli Camera dovesse essere assunta a maggioranza dei componenti dell'Assemblea («Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità, entro termini stabiliti dal proprio regolamento. L'insussistenza dei titoli o la sussistenza delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità dei parlamentari proclamati sono accertate con deliberazione adottata dalla Camera di appartenenza a maggioranza dei propri componenti»).
      La presente proposta di legge costituzionale ha, pertanto, lo scopo di stabilire termini certi per l'adozione delle decisioni in tema di eleggibilità e di incompatibilità dei membri del Parlamento, nonché di consentire la verifica delle decisioni delle Camere da parte della Corte costituzionale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. All'articolo 66 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Le decisioni sono adottate entro sei mesi dalla proclamazione del membro del Parlamento, ovvero entro sessanta giorni dal momento in cui si verifica la causa di ineleggibilità o di incompatibilità. Contro le decisioni, ovvero in caso di decorso del termine prescritto, chiunque abbia titolo può, nel termine di trenta giorni, proporre ricorso alla Corte costituzionale, che decide nei successivi sessanta giorni».

Art. 2.

      1. All'articolo 134 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente capoverso:

      «sulle decisioni delle Camere relative ai titoli di ammissione dei propri componenti, nonché alle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».


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