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PDL 3127

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3127



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato MANCUSO

Nuove norme in favore dei ciechi

Presentata il 9 ottobre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La partecipazione piena e paritaria delle persone disabili alla vita della società rappresenta uno dei fondamentali obiettivi perseguiti dalla comunità internazionale. Tale impegno, volto a garantire a tutti gli individui uguali diritti senza alcuna discriminazione, è profondamente radicato rei princìpi dello Statuto delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948 e in altri strumenti internazionali di tutela dei diritti umani. Con l'istituzione della Giornata mondiale dei disabili (il 3 dicembre), dell'anno dei disabili (1981) e del decennio dei disabili (1983-1992) l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha focalizzato l'attenzione della comunità internazionale sulla questione del riconoscimento dei diritti dei disabili, esortando i Governi degli Stati membri a coordinare i loro sforzi e ad attuare adeguate politiche a sostegno della disabilità. Nel corso degli anni l'Assemblea generale dell'ONU ha adottato alcune importanti risoluzioni come la «Dichiarazione sui diritti dei portatori di handicap» del 1975, il «Programma di azione mondiale riguardante le persone disabili» del 1982 e le «Regole standard per le pari opportunità delle persone disabili» del 1993. Pur non rappresentando uno strumento giuridicamente vincolante al pari di una convenzione, quest'ultimo documento, adottato il 20 dicembre 1993, copre tutti gli aspetti inerenti la vita delle persone disabili. Le 22 regole sono raggruppate intorno a quattro temi principali: le condizioni di base per la piena partecipazione e l'accesso ai diritti fondamentali da parte dei disabili; le aree di intervento; le misure attuative; il meccanismo di monitoraggio. Nel primo gruppo di regole l'accento è posto sulla sensibilizzazione
 

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sociale nei confronti dei diritti e delle potenzialità dei disabili, sulla necessità di fornire un'adeguata assistenza medica e di favorire una riabilitazione compatibile con i vari livelli di disabilità. Nel 1994 è stato nominato dal Segretario generale dell'ONU il primo relatore speciale sulla disabilità, con l'incarico di fornire assistenza nel monitoraggio relativo all'attuazione delle citate «Regole standard».
      La formazione, l'integrazione nel mondo del lavoro e la salute delle persone disabili sono inoltre al centro di diversi programmi elaborati nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), del Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Particolarmente significativa è anche l'attività svolta dalla Mine Clearance and Policy Unit del Dipartimento per gli affari umanitari dell'ONU per liberare le zone di guerra dalle mine anti-uomo responsabili dell'invalidità di centinaia di migliaia di persone. Cinquecento milioni di persone disabili vivono nel mondo - pari a circa il 10 per cento della popolazione globale - delle quali due terzi sono concentrati nei Paesi in via di sviluppo e in aree rurali isolate. Con la risoluzione 56/168 del 19 dicembre 2001, l'Assemblea generale dell'ONU ha quindi istituito un Comitato ad hoc per analizzare proposte volte all'elaborazione di una convenzione internazionale per la promozione e la tutela dei diritti e della dignità delle persone disabili.
      La raccolta di informazioni statistiche sulla disabilità e sull'handicap rappresenta un presupposto fondamentale per una più corretta individuazione delle misure da adottare e delle risorse finanziarie nonché per monitorare con attenzione la corretta attuazione delle norme. Un contributo interessante, sotto questo profilo, è rappresentato dalla relazione sullo stato di attuazione delle politiche per l'handicap in Italia (presentata annualmente dal Governo alle Camere ai sensi della legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104), che fornisce un quadro esauriente sull'attività svolta dalle amministrazioni statali e regionali.
      Secondo dati recentemente elaborati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), in Italia sono più di 2.800.000 (pari al 5 per cento della popolazione) le persone affette da disabilità di vario genere (motoria, sensoriale o mentale) e di diversa gravità; molto elevato è il numero degli anziani (2 milioni circa) e una percentuale molto elevata è rappresentata dalle donne (1.700.000 circa). Gran parte dei soggetti disabili vive presso le proprie famiglie.
      Lo stesso ISTAT sottolinea, peraltro, che i dati fino ad oggi disponibili in Italia - così come negli altri Paesi europei - non hanno ancora quel carattere di organicità e di completezza necessario, in quanto risentono di un limite di fondo: i dati sono solo parzialmente comparabili, in quanto si registra una disomogenità nelle modalità di raccolta e soprattutto nella definizione del concetto stesso di disabilità. Per questo sono state intraprese dall'ISTAT iniziative di coordinamento a livello internazionale, anche alla luce della nuova classificazione operata dalla Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) in materia di disabilità.
      Il riferimento normativo principale, nell'ordinamento italiano, è costituito dalla citata legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104, che ha formulato un sistema organico di princìpi e un piano generale di intervento, lasciando alle regioni il compito di individuare in dettaglio, nell'esercizio delle loro competenze, le priorità locali e le forme concrete di attuazione; spetta poi ai comuni e alle aziende sanitarie locali provvedere, con un certo margine di autonomia, ai servizi, secondo le rispettive competenze.
      La disciplina citata stabilisce innanzitutto le finalità ultime dell'azione pubblica: l'autonomia sostanziale del disabile, nel massimo grado possibile, e con ciò l'integrazione sociale e, in generale, il pieno sviluppo personale. Indi sancisce il diritto del disabile (anche ove non sia cittadino italiano) all'assistenza. L'onere finanziario grava, a seconda del tipo di
 

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prestazione, sullo Stato centrale (per gli assegni di invalidità), sul Servizio sanitario nazionale ovvero, in parte, su questo e, in parte, sui comuni (fatte salve le ipotesi di compartecipazione dell'assistito alla spesa).
      L'assistenza è innanzitutto «sanitaria». Le prestazioni, erogate dal Servizio sanitario nazionale, consistono in servizi (anche a domicilio, ove occorra) per la prevenzione, la cura e la riabilitazione o compensazione delle minorazioni (ivi compresi i disturbi neuropsichiatrici), e nella fornitura di ausili tecnici (quali protesi eccetera). L'assistenza comprende, poi, diverse «prestazioni sociali» in favore del disabile e della famiglia: sussidi economici e agevolazioni, assistenza psicologica e materiale (anche a domicilio).
      Il legislatore ha inoltre previsto «interventi sull'ambiente di vita» del disabile: campagne di sensibilizzazione, abbattimento delle barriere architettoniche e tecnologiche, nonché strategie per l'integrazione del disabile nei contesti sociali corrispondenti alle diverse fasce di età (età scolare, età lavorativa e terza età). La legge quadro 8 novembre 2000, n. 328, ha concepito lo strumento del «progetto individuale»: questo, predisposto dai comuni, d'intesa con il Servizio sanitario nazionale, su richiesta del disabile interessato, contiene un programma globale di assistenza personalizzato, al fine di razionalizzare l'intervento assistenziale, per sua natura composito. L'intento è quello di coordinare le azioni delle diverse istituzioni pubbliche coinvolte e di calibrarle sulla situazione specifica di ciascun disabile, considerata nel complesso (tenendo conto degli aspetti medicali, psicologici, economici e sociali).
      Nel dare attuazione alle politiche avviate dalla legislazione dello Stato e, in alcuni casi, anche precorrendone l'evoluzione, le regioni hanno sviluppato i princìpi innovatori che le citate leggi ponevano:

          1) integrare e coordinare in un progetto unitario di assistenza le diverse «prestazioni» che soggetti e organismi distinti fornivano secondo valutazioni e priorità fra loro sconnesse;

          2) connettere quel progetto unitario di assistenza alle specifiche condizioni di vita di ciascun assistito, garantendo la certezza e la continuità dell'assistenza;

          3) assistere il disabile nella famiglia dovunque questo sia possibile; assistere la famiglia perché essa non rifiuti l'handicap; creare comunità, residenze e luoghi di accoglienza quando la famiglia non esiste o viene a mancare;

          4) adattare a questi obiettivi l'amministrazione e l'azione regionali, integrandole con quelle dei comuni e delle province, che sono i più vicini agli assistiti, e accogliendo in questo servizio l'apporto del privato sociale nelle sue diverse manifestazioni.

      Generale è stata la tendenza a riscrivere, o almeno a riorganizzare, l'intero corpus normativo sull'assistenza sociale e socio-sanitaria. Progressivamente, tutte le regioni hanno adottato la strumentazione programmatoria prevista già dalla citata legge quadro n. 104 del 1992 [articolo 39, comma 2, lettera a) e lettera l-bis)] e in seguito adottata dalla menzionata legge quadro n. 328 del 2000, come forma prevalente di azione regionale (articolo 3).
      Un secondo obiettivo generale è stato quello di definire forme organizzative e modalità di azione che consentissero ai comuni, alle province e alle aziende sanitarie locali di costituire soggetti e strutture unitarie per la gestione associata delle funzioni. Per realizzare questo obiettivo talune regioni hanno anche definito ambiti territoriali nei quali l'assistenza - in via generale o per progetti - è esercitata in forma distrettuale.
      La razionalizzazione delle strutture e degli interventi operata dalle regioni non è mirata soltanto a innalzare la qualità e l'ampiezza dell'assistenza ma anche, e proprio per questo, a rendere possibili quei risultati a fronte dell'impossibilità di destinare all'assistenza risorse in grado di sostenere la continua espansione della domanda.

 

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Alle risorse provenienti dalle leggi specifiche e dal Fondo nazionale per le politiche sociali le regioni - e per parte loro anche gli enti locali - hanno continuato ad aggiungere quelle che storicamente esse avevano consolidato a questo fine nei rispettivi bilanci.
      In questo quadro generale, tuttavia, l'innalzamento degli obiettivi e della qualità dell'assistenza rende cronicamente insufficienti le risorse impiegate nel settore. Ancora non ha trovato adeguata rispondenza normativa la categoria di coloro che sono affetti da cecità totale o parziale, i quali, per una disattenzione del legislatore, non sono inseriti nella categoria dei disabili che necessitano di assistenza permanente, continuativa e globale. La presente proposta di legge consta di un unico articolo e auspica, dunque, di colmare al più presto tale lacuna legislativa, al fine di permettere una maggiore integrazione e di evitare il perpetrarsi di tale dannosa disparità di trattamento.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. I soggetti riconosciuti affetti dalle minorazioni visive di cui agli articoli 2 e 3 della legge 3 aprile 2001, n. 138, sono riconosciuti disabili con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
      2. Ai soggetti di cui al comma 1 si estendono le disposizioni previste dalla legislazione vigente in materia di agevolazioni per i disabili.


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