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PDL 3102

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3102



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CASTAGNETTI, BOATO, BOFFA, BONO, BORDO, BUGLIO, BURCHIELLARO, CALGARO, CARBONELLA, CODURELLI, CORDONI, CRISCI, DATO, DE ZULUETA, FEDI, GHIZZONI, GRASSI, INCOSTANTE, LARATTA, LENZI, LUCÀ, MARAN, MARONE, GIORGIO MERLO, MUSI, NARDUCCI, OLIVERIO, PERTOLDI, RUGGERI, RUSCONI, SAMPERI, SCHIRRU, SERVODIO, SPINI, STRIZZOLO, TOMASELLI, VANNUCCI, VELO, ZACCARIA

Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, in materia di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nonché modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361

Presentata il 1o ottobre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La legge elettorale con la quale è stato eletto il Parlamento della XV legislatura ha aggravato la crisi di fiducia nei partiti. Il processo di allontanamento dei cittadini dalla politica sta assumendo i toni di una vera e propria rivolta contro quella che ormai è indicata come la «casta» dei politici.

La Repubblica dei partiti.

      Forse ha ragione Panebianco quando scrive che stiamo pagando il conto per il «grande errore» del mancato rinnovamento dello Stato negli anni novanta, quando, con la fine della guerra fredda e i conseguenti effetti dirompenti sulla politica italiana, si aprì una «finestra di

 

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opportunità» che non fummo capaci di sfruttare, per passare dalla Repubblica dei partiti politici allo Stato repubblicano (Angelo Panebianco, «Il grande errore», Il Corriere della Sera, 17 settembre 2007).
      La democrazia italiana non poteva nascere nel secondo dopoguerra se non come «democrazia dei partiti»; ma questo modello ha dimostrato presto la sua insufficienza, la sua incapacità di rispondere ai problemi del Paese in trasformazione (Pietro Scoppola, «La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996», Bologna, Il Mulino, 1997).
      La stagione delle riforme, indotta dai referendum del 1991 e del 1993 - che ha portato all'introduzione dell'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di provincia e poi dei presidenti delle giunte regionali, e, soprattutto, la legge elettorale uninominale maggioritaria con recupero proporzionale per entrambi i rami del Parlamento - non è bastata a intaccare l'architettura complessiva del nostro impianto politico-costituzionale, consentendoci di approdare definitivamente in una «seconda Repubblica». A distanza di più di quindici anni dall'inizio, la transizione italiana verso un modello di democrazia compiuta ed efficiente è ancora lontana dalla sua conclusione, il sistema politico italiano appare, anzi, perso in una palude di cui non si intravede la via di uscita. E, peraltro, sappiamo che il «virus» che ha contagiato la nostra democrazia viene da lontano e non ha colpito solo noi. È da tempo all'ordine del giorno delle più antiche democrazie rappresentative, dove molto prima che da noi e in forme anche più marcate si è manifestata la fuga dalla partecipazione elettorale e dai partiti (Russell J. Dalton e Steven Weldon, «L'immagine pubblica dei partiti politici: un male necessario?», «Rivista italiana di scienza politica», XXXIV, numero 3, dicembre 2004, pagine 379-404).
      Fenomeno complesso, l'astensionismo elettorale acquista il significato di un disvelamento: segnala la perdita di centralità delle istituzioni rappresentative e il trasferimento altrove sia del potere che del suo controllo. Il potere di decisione, quello vero, anche a causa dei processi di globalizzazione dei subsistemi moderni del potere - l'economia, la finanza e la scienza - è ormai trasferito verso altri organi molto spesso del tutto estranei alle istituzioni nazionali e a quelle costituzionali classiche, mentre anche il potere di controllo dell'attività dei Governi ha lasciato le Aule parlamentari per trasferirsi in altri luoghi, principalmente i luoghi dell'opinione pubblica e della comunicazione.
      L'evento di questo inizio di secolo rischia di essere la caducità del mito della democrazia rappresentativa, l'idea che le società moderne post-industriali possano essere governate in modo più efficiente e funzionale da regimi che non si ispirano più al modello classico di democrazia liberale.
      «La democrazia rappresentativa è sì veramente malgovernata o malgovernabile; ma democrazia è. Laddove il suo presunto superamento diretto sarebbe, temo, una democrazia che finisce lestamente di essere» (Giovanni Sartori, «Democrazia cosa è», Milano, Rizzoli, 2006).
      La crisi dei vigenti ordinamenti democratici segna una nuova fase storico-politica: quella che Dahrendorf ha descritto come «post-democrazia» (Ralf Dahrendorf, «Dopo la democrazia», intervista a cura di Antonio Polito, Roma-Bari, Laterza, 2001). Un periodo difficile, che richiede uno sforzo di creatività, in modo da ripensare le istituzioni democratico-rappresentative alla luce dei nuovi processi in atto. In un tempo in cui non si capisce bene dove si trovi lo scettro, gli elettori pretendono di averlo restituito. Prima di tutto il potere di scegliere liberamente i propri rappresentanti: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (articolo 1 della Costituzione).

Mai più un Parlamento di nominati.

      La scelta più coerente in questa direzione è abrogare l'attuale legge elettorale (legge 21 dicembre 2005, n. 270, che chiameremo per comodità «legge Calderoli») e tornare alla precedente normativa di cui fu

 

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relatore l'onorevole Sergio Mattarella, che introdusse un sistema maggioritario misto per l'elezione dei membri delle Camere, assegnando il 75 per cento dei seggi con il sistema maggioritario e il 25 per cento dei seggi con il sistema proporzionale.
      Non dovrà mai più accadere di avere un Parlamento di «nominati» attraverso liste bloccate delle segreterie nazionali dei partiti. Per riavvicinare ogni eletto al suo elettore e ricomporre nell'unitarietà del mandato elettorale la rappresentanza politica, la rappresentanza degli interessi e la rappresentanza territoriale è necessario recuperare i collegi uninominali della precedente legge elettorale maggioritaria, introdotti dal legislatore, sulla spinta del movimento referendario.
      Gli stessi «referendum Guzzetta» (dal nome del presidente del Comitato promotore) che sono evocati come minaccia o come possibilità, sono assolutamente inefficaci sotto questo profilo. Non crediamo che vi sia qualcuno che pensi che ci si possa ripresentare agli elettori con liste di candidati predeterminati alla elezione certa, per di più scelte dalle segreterie dei partiti. A noi sembra che non resti che la strada di un'iniziativa legislativa in questa direzione: auspicabilmente allargata, ma non necessariamente con il consenso di tutti. Ritornare alla precedente cosiddetta «legge Mattarella» (leggi n. 276 e n. 277 del 1993), anche a maggioranza, non potrebbe sollevare scandalo né alcun parallelismo con quanto accaduto nella passata legislatura, perché si tratterebbe di tornare a un regime a suo tempo ampiamente condiviso anche dall'attuale opposizione. L'esperienza negativa maturata con la prima applicazione della «legge Calderoli», i cui danni in termini di governabilità e di rappresentanza sono noti a tutti, ha accresciuto il numero di coloro che sostengono la necessità di una riforma elettorale.
      Critiche severe sono arrivate anche da parlamentari e da partiti che nella passata legislatura sono stati tra i promotori della normativa vigente, tanto da arrivare a sostenerne l'abrogazione di alcune parti per via referendaria.
      D'altronde il processo di frammentazione politica, sic rebus stantibus, appare inarrestabile; i dati ricavabili dall'attuale legislatura sono estremamente eloquenti: alla Camera dei deputati abbiamo 14 gruppi parlamentari, compreso il Misto, all'interno del quale ci sono 4 componenti politiche (Minoranze linguistiche; Mpa-Movimento per le autonomie; Repubblicani, Liberali e Riformatori; La Destra) e 5 deputati indipendenti. Al Senato della Repubblica i gruppi sono 11, senza citare le componenti del Misto. Ed è bene rammentare che alcuni partiti (come L'Ulivo, Forza Italia e la Lega Nord) hanno concesso «ospitalità» a taluni esponenti di partiti minori in cambio del loro sostegno alla coalizione, così da garantirne la rappresentanza parlamentare indipendentemente dal superamento delle soglie di sbarramento. Un vero e proprio record per la storia delle nostre Assemblee legislative, malgrado il proporzionale sia stato il sistema vigente dal 1946 al 1992. Il calcolo dei partiti dotati di potere di veto è difficile e complicato, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti, soprattutto al Senato della Repubblica, dove la sopravvivenza del Governo dipende dalle scelte individuali di singoli senatori. Situazione che potrebbe ripresentarsi anche nell'ipotesi di nuove elezioni.

I limiti dei referendum Guzzetta.

      Le contestazioni all'attuale legge elettorale si fondano essenzialmente su tre motivazioni: in primo luogo le liste bloccate che sottraggono agli elettori non soltanto la scelta ma addirittura la semplice conoscenza dei candidati; in secondo luogo il meccanismo dei premi di maggioranza regionali che condanna il Senato della Repubblica a maggioranze risicate o inesistenti, rendendo instabile qualunque esecutivo; in terzo luogo, la frammentazione indotta da un sistema proporzionale privo di soglie consistenti di sbarramento, che porta alla formazione di maggioranze poco compatte e altamente litigiose. I referendum presentati agiscono solo sul terzo punto, alzando le soglie più basse di

 

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sbarramento e conferendo il premio di maggioranza a una sola lista e non più a una coalizione. Gli altri due vizi fondamentali, liste bloccate e Senato della Repubblica senza maggioranza, non sono superati dai referendum, per i limiti intrinseci a un procedimento che legifera per sola abrogazione.

      Tornare alla «legge Mattarella».

      I giudizi generalmente espressi in senso negativo sulla «legge Calderoli» portano a considerare di buon senso un ritorno alla disciplina già in vigore dal 1993: i collegi uninominali contro le liste bloccate; la stabilità del maggioritario (con una piccola quota di proporzionale) contro la frammentazione del proporzionale.
      I limiti che anche quella riforma mostrò sono incomparabilmente meno gravi di quelli sopraggiunti con la nuova disciplina (Roberto D'Alimonte, «I rischi di una nuova riforma elettorale. In difesa del "mattarellum"», «Quaderni Costituzionali», XXIV, numero 3, settembre 2004, pagine 497-521). Inoltre quella legge elettorale fu il frutto di un largo accordo parlamentare e come tale conserva una legittimità politica sicuramente più forte del solo voto di maggioranza assicurato alla legge n. 270 del 2005. Il sistema riproposto garantisce il bipolarismo negli schieramenti a confronto e, allo stesso tempo, riconsegna all'elettore il potere di scelta del parlamentare del suo collegio, come fu già positivamente sperimentato nelle precedenti elezioni svoltesi secondo la normativa del 1993.
      In ogni caso, nel ripristinare il testo previgente, in vigore fino alle elezioni del 2001, si affrontano alcuni di quei limiti e se ne indica una soluzione riproponendo integralmente il testo della proposta di legge, presentata il 15 febbraio 2001, d'iniziativa dei deputati Mussi, Soro, Paissan, Monaco, Bertinotti, Crema, Bastianoni, Sbarbati, Comino, Veltri, Soda (atto Camera n. 7618, XIII legislatura), in materia di «scorporo di coalizione». Questa proposta di legge, ripresentata anche nella passata legislatura (atto Camera n. 3304, XIV legislatura), interviene su alcuni aspetti del procedimento elettorale per la presentazione delle candidature per le elezioni della Camera dei deputati, allo scopo di scoraggiare le pratiche elusive, le cosiddette «liste civetta», rendendo più trasparenti agli occhi degli elettori i collegamenti tra le liste e le candidature nei collegi uninominali e formalizzando a livello nazionale l'istituto della coalizione tra formazioni politiche.

Il precedente della legge maggioritaria del 1953.

      L'intervento per cancellare la «legge Calderoli» e ripristinare lo status quo ante avviene sul modello dei progetti di legge presentati alla Camera dei deputati, all'inizio della II legislatura, con l'intento di abrogare la legge 31 marzo 1953, n. 148, la cosiddetta «legge truffa».
      In particolare il riferimento è alla proposta di legge n. 1, d'iniziativa dei deputati Nenni, Pertini ed altri (PSI), con la quale, con un articolo unico, si disponeva l'abrogazione dei punti I, II, III e IV della legge 31 marzo 1953, n. 148, mantenendo in vigore il punto V con la tabella allegata, in quanto con esso, come leggiamo nella relazione introduttiva: «esclusivamente si provvede all'adeguamento del numero dei deputati di ciascuna circoscrizione all'attuale popolazione residente in armonia con l'articolo 56 della Costituzione».
      Nel breve ma vivace dibattito che si svolse in Assemblea, dove le questioni di diritto si intrecciavano con i temi della politica, in gioco erano i rapporti tra la DC e i suoi alleati minori: l'onorevole Bozzi (PLI) sostenne la necessità di procedere all'abrogazione della legge n. 148 del 1953 attraverso la preparazione e l'approvazione della nuova legge elettorale, per evitare «il vuoto giuridico», «il nulla in materia di legge elettorale», perché «i morti non rivivono nemmeno se si tratti di legge» (Atti parlamentari, Discussioni, Camera dei deputati, II legislatura, seduta del 4 giugno 1954, pagine 8742 e seguenti). A tale scopo avanzò una questione sospensiva con la quale impegnava il Governo a

 

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presentare entro il 4 luglio 1954 un proprio disegno di legge, che introducesse una nuova disciplina elettorale. A favore dell'ordine del giorno si pronunciò Zaccagnini, giovane deputato della DC, che temeva di lasciare il Paese «senza un'efficiente legge elettorale». Contrari alla tesi del vuoto giuridico, Targetti (PSI), per il quale invece si andava incontro alla «resurrezione momentanea della legge del 1948» e Almirante (MSI), secondo cui «resta in piedi la precedente legge». Deciso l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri Scelba, che dichiarò che «con l'abrogazione pura e semplice della legge elettorale maggioritaria - una volta accolta la proposta di legge Nenni - non si verrebbe a determinare una lacuna legislativa, un vuoto giuridico, con tutte le relative conseguenze anche d'ordine costituzionale, ma rivivrebbe nella sua interezza originaria la legge elettorale del 1948». Togliatti (PCI) addirittura propose di procedere all'abrogazione tanto della legge elettorale del 1953 quanto della legge elettorale del 1948, per tornare automaticamente a quella del 1946, ritenuta ispirata a criteri di maggiore proporzionalità. Alla fine il Governo, per ragioni politiche, decise di pronunciarsi a favore dell'ordine del giorno Bozzi, che nella seduta del 4 giugno 1954 fu però respinto a scrutinio segreto (presenti e votanti: 543; maggioranza: 272; voti favorevoli: 264; voti contrari: 279).
      La questione, che sembrava chiusa, si riapre nella seduta del 9 giugno, quando il presidente della I Commissione, Marazza, osserva che l'approvazione pura e semplice della proposta di legge Nenni comporterebbe il ritorno in vigore della legge elettorale del 1948, mutilata però dell'articolo 49, in quanto la legge del 1953 al punto III ha abrogato prima e sostituto poi l'articolo 59. Per sostenere la necessità di «far rivivere quella norma che non esiste più in virtù dell'abrogazione», si pronuncia anche l'onorevole Angelo Raffaele Jervolino (DC). Risolutivo anche questa volta è l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri Scelba, il quale ribadisce di nuovo che con l'approvazione della proposta di legge Nenni si doveva intendere «richiamata in vigore integralmente e nella formulazione originaria la legge del 1948», e con questa interpretazione il Governo accoglie l'emendamento della Commissione. Alla fine, a scrutino segreto, sarà approvata la formulazione dell'articolo unico proposto dal presidente della Commissione: «I punti I, II, III e IV della legge 31 marzo 1953, n. 148, sono abrogati. La elezione della Camera dei deputati si effettua con l'osservanza delle disposizioni previste dal testo unico 5 febbraio 1948, n. 26, e dal punto V della legge sopra citata».

La presente proposta di legge.

      L'articolo 1, commi 1 e 2, dispone l'abrogazione della disciplina in vigore per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, introdotta nella scorsa legislatura, pochi mesi prima delle elezioni, con la «legge Calderoli» (legge n. 270 del 2005), in modo da consentire la reviviscenza della vigente normativa, con alcune modifiche significative. Gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 8 marzo 2006, n. 75, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2006, n. 121 (anche essi abrogati), riguardano le schede elettorali e le modalità di espressione del voto.
      L'articolo 2 statuisce che con l'abrogazione della legge n. 270 del 2005 riacquistano efficacia le disposizioni elettorali previgenti del 1993, come modificate dalla legge.
      Con l'articolo 3 si impone ai partiti e alle formazioni politiche, che intendono effettuare collegamenti congiunti con le medesime candidature nei collegi uninominali, di depositare congiuntamente presso il Ministero dell'interno il contrassegno o i contrassegni destinati a distinguere le candidature uninominali comuni. I partiti che effettuano tale scelta si intendono formare una coalizione. Ciascuna forza politica non può dichiarare l'appartenenza a più di una coalizione. Il deposito congiunto dei contrassegni in ambito nazionale è quindi utilizzato come parametro dagli uffici elettorali circoscrizionali

 

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per effettuare in ogni caso d'ufficio (qualora ciò non sia già avvenuto per dichiarazione spontanea delle forze politiche interessate) il collegamento tra le candidature contraddistinte dai contrassegni di coalizione e le liste delle formazioni politiche componenti la coalizione stessa (qualora, ovviamente, queste abbiano presentato liste nella circoscrizione). Il collegamento con tutte le liste facenti parte della coalizione determina l'operatività delle norme sullo scorporo già attualmente vigenti in caso di collegamento plurimo: la detrazione dei voti avverrà a carico di tutte le liste della coalizione in proporzione ai voti riportati dalle liste stesse nel collegio uninominale in cui è stato eletto il candidato collegato.
      Con l'articolo 4 si rende il sistema dei collegamenti tra parte uninominale e parte proporzionale della competizione elettorale trasparente e facilmente comprensibile agli elettori sulle schede elettorali. L'articolo è volto a modificare la scheda per l'attribuzione proporzionale dei seggi attraverso due innovazioni: si prevede che tutte le liste facenti parte della coalizione siano riportate sulla scheda in sequenza, in modo da presentare agli elettori in modo visibile l'insieme delle formazioni politiche facenti parte dell'alleanza politica. Si prevede inoltre che nella medesima scheda, sotto al contrassegno di lista, sia riportato in dimensioni minori il contrassegno dell'eventuale candidato uninominale collegato.
      Entrambe le innovazioni che si propongono non alterano in alcun modo i meccanismi elettorali già operanti e in particolare le regole per la trasformazione dei voti in seggi. L'intervento si limita a introdurre alcuni elementi minimi per garantire che le consultazioni si svolgano nel pieno rispetto da parte di tutti di eguali condizioni nella competizione elettorale e con migliori condizioni di visibilità agli elettori delle alleanze politiche che si affrontano per guidare il governo del Paese.
      L'articolo 5 stabilisce l'entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Abrogazioni).

      1. La legge 21 dicembre 2005, n. 270, è abrogata.
      2. Gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 8 marzo 2006, n. 75, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2006, n. 121, sono abrogati.

Art. 2.
(Reviviscenza di norme).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nonché del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, vigenti prima della data di entrata in vigore della legge 21 dicembre 2005, n. 270, come da ultimo modificate dagli articoli 3 e 4 della presente legge.

Art. 3.
(Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di collegamento fra liste e candidati e di formazione delle coalizioni).

      1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della legge 21 dicembre 2005, n. 270, ai sensi di quanto stabilito

 

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dall'articolo 2 della presente legge, di seguito denominato «decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957», sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo il primo comma dell'articolo 14 è inserito il seguente:

      «Qualora due o più partiti o gruppi politici intendano presentare in una o più circoscrizioni liste collegate alle medesime candidature nei collegi uninominali, essi devono depositare congiuntamente il contrassegno o i contrassegni con i quali dichiarano di voler distinguere tali candidature. I partiti e i gruppi politici che presentano congiuntamente contrassegni per le candidature uninominali si intendono formare una coalizione. Ciascun partito o gruppo politico non può fare parte di più di una coalizione»;

          b) al quarto comma dell'articolo 14, le parole: «Ai fini di cui al terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «Ai fini di cui al quarto comma»;

          c) il quarto periodo del comma 1 dell'articolo 18 è sostituito dal seguente: «Nell'ipotesi di collegamento con più liste, il candidato, nella stessa dichiarazione di collegamento, deve indicare, quale contrassegno che accompagna il suo nome e il suo cognome nella scheda elettorale, il contrassegno o i contrassegni depositati dalla coalizione di partiti o gruppi politici ai sensi del secondo comma dell'articolo 14»;

          d) dopo il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 18 è inserito il seguente: «L'Ufficio centrale circoscrizionale procede altresì al collegamento d'ufficio qualora il contrassegno o i contrassegni del candidato nel collegio uninominale siano fra quelli depositati presso il Ministero dell'interno ai sensi del secondo comma dell'articolo 14; in tale caso il collegamento è effettuato con tutte le liste presentate nella circoscrizione dai partiti facenti parte della coalizione che ha depositato il contrassegno per la candidatura nel collegio uninominale».

 

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Art. 4.
(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, in materia di predisposizione delle schede e dei manifesti elettorali).

      1. Al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al numero 2) dell'articolo 24 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «. In caso di collegamento di più liste con il medesimo candidato nel collegio uninominale, i contrassegni delle liste collegate sono riportati nelle schede e nei manifesti in spazi immediatamente contigui; a tale fine l'ufficio centrale circoscrizionale procede a un primo sorteggio nel quale ciascun gruppo di liste collegate al medesimo candidato è considerato come un'unica lista; stabilito l'ordine spettante a tale gruppo di liste nelle schede e nel manifesto, l'ufficio procede a un nuovo sorteggio tra le liste facenti parte di ciascun gruppo per stabilire l'ordine con cui esse sono riportate in successione nelle schede e nel manifesto. Nei manifesti elettorali sotto il contrassegno di ciascuna lista collegata a un candidato nel collegio uninominale è riportato, con dimensioni inferiori, il contrassegno o i contrassegni del candidato uninominale collegato»;

          b) al secondo comma dell'articolo 31 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «In caso di collegamento di una lista con un candidato nel collegio uninominale, nella scheda per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale alla sinistra del contrassegno della lista sono riportati, con dimensioni inferiori, il contrassegno o i contrassegni del candidato nel collegio uninominale collegato alla lista. In caso di collegamento di più liste al medesimo candidato nel collegio uninominale, alla sinistra del contrassegno di ciascuna lista collegata sono riportati, con dimensioni inferiori, il contrassegno o i contrassegni del candidato nel collegio uninominale. Il contrassegno della lista con i nomi dei

 

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relativi candidati e il contrassegno o i contrassegni del candidato nel collegio uninominale collegato sono riportati nella scheda all'interno dello stesso rettangolo».

Art. 5.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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