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PDL 3142

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3142



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato PEDICA

Modifica all'articolo 586 del codice penale e altre disposizioni per la tutela dei lavoratori contro gli atti di violenza psichica nei luoghi di lavoro

Presentata l'11 ottobre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge scaturisce dalla necessità di tutelare il lavoratore e la sua dignità dalle possibili azioni di violenze ed angherie che spesso sono perpetrate negli stessi luoghi di lavoro ad opera di colleghi e superiori.
      Il luogo di lavoro dovrebbe essere caratterizzato da un ambiente sereno e leale in cui il lavoratore deve poter esprimere liberamente e senza alcun tipo di vessazioni le proprie capacità professionali. Troppo spesso, purtroppo, i luoghi di lavoro diventano teatro di persecuzioni e di violenze psichiche e morali determinando il fenomeno noto come mobbing.
      Il termine mobbing, mutuato dall'inglese to mob, «assalire», designa una condizione di esercizio di potere più o meno apertamente scorretto, vessatorio e persecutorio da parte di datori di lavoro (mobbing verticale o bossing), oppure un comportamento più o meno apertamente scorretto e persecutorio da parte di colleghi di lavoro (mobbing orizzontale), oppure da entrambi.
      Questa particolare forma di violenza risulta non facilmente contrastabile a causa della condotta estremamente varia e difficilmente tipizzante che è posta in essere da colui che la esercita. Inoltre, anche gli effetti del mobbing variano in base alla soggettiva cognizione emotiva di colui che subisce la violenza e pertanto non è possibile descrivere sintomi di mobbing definiti. Le diagnosi generalmente effettuate vanno dalla depressione al disturbo post-traumatico da stress, all'ansia generalizzata.
 

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      Le due caratteristiche fondamentali di questi comportamenti scorretti sono:

          a) il loro carattere tortuoso, impalpabile, riferibile ad un «clima» più che a fatti o eventi chiaramente identificabili, descrivibili e provabili;

          b) l'interferenza con la qualità della vita, non solo lavorativa, delle persone che li subiscono, a causa dell'attivazione di influenti meccanismi psicologici ed interpersonali che minano l'equilibrio emotivo.

      Il fatto che si tratti di una forma di violenza è stato confermato anche da una recente sentenza della Corte di cassazione, sezione VI penale, n. 31413 del 21 settembre 2006, e ciò a maggior conferma della necessità e dell'opportunità di intervenire in sede legislativa per contrastare questa particolare forma di angheria sul lavoro.
      Per meglio comprendere le caratteristiche della condotta vessatoria «mobbizzante», spesso attuata con forme di sottile ed impalpabile violenza, e fornire una rappresentazione del fenomeno omogenea e congruente sarebbe opportuno affrontare la descrizione delle caratteristiche principali del mobbing.
      Nel rapporto molesto, in particolare in quella manipolazione che degenera nella violenza attuata con la strategia delle sistematiche vessazioni morali che incatenano psicologicamente le vittime e impediscono loro di reagire, i comportamenti, vere e proprie macchinazioni preparate per ingannare, mortificare ed indurre la vittima a fare un passo falso, possono essere così classificati:

          a) rifiuto della comunicazione diretta;

          b) svalutazione e squalifica della professionalità;

          c) discredito della persona;

          d) isolamento;

          e) oppressione mediante angherie;

          f) indirizzamento dell'altro all'errore.

      Per conservare il potere e controllare l'altro, ci si serve di manovre insignificanti, che diventano sempre più violente se la vittima oppone resistenza. La si stressa, la si maltratta, la si sorveglia perché si senta sempre controllata, si esercita incessantemente su di lei una forma di pressione, di accerchiamento, così che possa avvertire questa sorta di presenza costante.
      La persona molestata è messa alle strette, accetta sempre di più e non riesce a dire che non ce la fa. Qualunque sia il punto di partenza e quali che siano gli aggressori, i comportamenti sono gli stessi: non si parla mai del problema ma si agisce, con finta indifferenza, per assoggettare o eliminare la persona invece di trovare una soluzione. Nelle aggregazioni sociali questo processo è amplificato dal gruppo, che viene preso a testimone o che addirittura partecipa attivamente al fenomeno.
      L'oppressore non parla mai del conflitto subdolo che ha organizzato e promosso tenacemente, ma si comporta ogni giorno in modo conforme e rifiuta di spiegare il proprio comportamento. Il diniego di una comunicazione diretta e chiarificatrice paralizza la vittima che si ritrova in una condizione di debolezza e nell'impossibilità di difendersi.
      L'aggressione, infatti, non avviene apertamente, cosa che potrebbe permettere alla vittima di comprendere e di replicare, ma è praticata in modo nascosto, nel registro della comunicazione non verbale: sospiri esagerati, alzate di spalle, sguardi di disprezzo, sottintesi, allusioni destabilizzanti o malevoli, osservazioni sgarbate, e quant'altro consenta un trasferimento di un'emozione negativa. Il linguaggio è stravolto, ogni parola nasconde un doppio senso che si ritorce contro la vittima designata. Nella misura in cui queste aggressioni sono indirette, è praticamente impossibile difendersene, e la vittima stessa dubita delle proprie percezioni perché teme di aver male interpretato o ingigantito le proprie sensazioni.
      Spesso può succedere che per annientare l'altro, lo si ridicolizza, lo si umilia, lo si copre di sarcasmi fino a fargli perdere la fiducia in sé. Gli si affibbia un soprannome ridicolo, ci si fa beffe di una debolezza o di un insuccesso. Si utilizzano

 

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anche la calunnia, le menzogne, i sottintesi malevoli. Si fa in modo che la vittima lo venga a sapere senza che possa per questo difendersi.
      Quando si è deciso di distruggere psicologicamente una persona o un lavoratore, perché non possa difendersi, bisogna prima di tutto isolarlo recidendo le possibili alleanze. Quando la vittima è sola le è molto più difficile ribellarsi, soprattutto se le si fa credere che tutti sono contro di lei.
      La destabilizzazione è attuata in questo modo da soggetti invidiosi e il vero aggressore potrà dire che non c'entra niente.
      In ambito lavorativo, se l'aggressione è promossa da un superiore gerarchico, la vittima è progressivamente privata delle informazioni basilari per la sua attività professionale. Talvolta al lavoratore è imposta la mancanza di qualsiasi prestazione, sicché arrivi a ricevere la retribuzione senza fornire alcun corrispettivo. Essere emarginati in questo modo genera molto più stress rispetto a quello causato dal superlavoro e diventa distruttivo molto più rapidamente.
      Un soggetto perverso agisce tanto più facilmente in un'azienda, quanto più essa è disorganizzata e mal strutturata.
      Molto spesso si sfruttano le debolezze dell'altro e lo si porta a dubitare di sé allo scopo di annientarne le resistenze psicologiche. A causa di questa forma di violenza costituita da ripetuti traumi psichici, la vittima perde progressivamente fiducia in se stessa e, talvolta, accade addirittura che sia talmente confusa da dare ragione al suo aggressore. Così la distruzione si compie in un modo particolarmente sottile, fino al punto che è la vittima stessa a commettere un errore oppure ad allontanarsi esausta.
      Di fronte a questa aggressione il perseguitato non comprende e si ritrova solo perché, in tutte le situazioni perverse esiste una compiacenza dell'ambiente circostante, che teme di divenire a sua volta bersaglio o che, in certi casi, prova un sadico piacere di fronte allo spettacolo offerto da questa forma di violenza. In una relazione normale è sempre possibile, magari attraverso lo scontro, porre un limite all'onnipotenza altrui per raggiungere un equilibrio di forze. Ma dato che un perverso manipolatore non sopporta la minima opposizione al suo potere, trasformerà una relazione conflittuale in odio irriducibile, al punto da desiderare la distruzione del suo avversario.
      Raramente la violenza è fisica e, in tal caso, è la conseguenza di una reazione troppo vivace da parte della vittima.
      Messa alle strette dall'inasprimento delle provocazioni, la vittima si trova costretta ad agire. A questo punto ha necessità di esercitare potere sul suo aggressore allo scopo di recuperare la propria libertà morale, per cui si rivolge alla legge oppure agisce con un soprassalto violento. Un osservatore esterno considera patologica ogni azione impulsiva, soprattutto se è violenta. Chi reagisce alla provocazione sembra responsabile della crisi, così la vittima agli osservatori esterni sembra essere l'aggressore.
      La presente proposta di legge, all'articolo 1, detta delle norme di principio volte a tutelare la dignità del lavoratore e a valorizzare la sua professionalità.
      L'articolo 2 impone sanzioni proporzionate in caso di lesione all'equilibrio psico-fisico del lavoratore. Infatti, con la legge n. 228 del 2003 il legislatore ha modificato l'articolo 600 del codice penale e ha introdotto la «soggezione continuativa» anche in ambito lavorativo; in più con la citata sentenza della Corte di cassazione, sezione VI penale, n. 31413 del 2006, alla strategia delle sistematiche vessazioni o persecuzioni, è stato riconosciuto applicabile anche il delitto di «violenza privata», di cui all'articolo 610 del codice penale.
      Per «lesione psichica» deve intendersi la lesione derivante dalla rottura dell'equilibrio della psiche, oppure uno qualunque degli effetti che si manifestano come conseguenza di un trauma psichico, improvviso o reiterato.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. La Repubblica riconosce la dignità umana come inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata in ogni forma, in particolar modo nei luoghi di lavoro. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica, alla tutela della sua personalità morale e non può essere sottoposto per motivi di lavoro a trattamenti degradanti, mortificanti o umilianti.
      2. Tutti i prestatori di lavoro hanno diritto ad eguale rispetto e considerazione della loro persona e a non essere ingiustamente discriminati, direttamente o indirettamente. Allo scopo di assicurare una completa parità, il principio di non discriminazione non osta all'adozione o al mantenimento di specifiche misure finalizzate a evitare o a riequilibrare gli svantaggi tra i lavoratori.
      3. La Repubblica incoraggia e sostiene le iniziative volte a disincentivare comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, tali da determinare degrado, anche contrastando l'insorgenza e la diffusione di fenomeni di molestie morali, persecuzioni e violenze psicologiche ovunque praticate per motivi di lavoro.

Art. 2.

      1. All'articolo 586 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Se, indipendentemente dalla gravità, si ha una lesione psichica come conseguenza non voluta dei delitti indicati all'articolo 600 o all'articolo 610, la pena è della reclusione da uno a tre anni; per fatti protratti per un periodo superiore ai due anni, la pena è della reclusione da tre a cinque anni».


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