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PDL 3241

XV LEGISLATURA


CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3241


 

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DISEGNO DI LEGGE

presentato dal ministro della giustizia
(MASTELLA)

di concerto con il ministro dell'interno
(AMATO)

con il ministro delle politiche per la famiglia
(BINDI)

con il ministro dello sviluppo economico
(BERSANI)

e con il ministro dell'economia e della finanze
(PADOA SCHIOPPA)

Disposizioni in materia di reati di grave
allarme sociale e di certezza della pena

Presentato il 13 novembre 2007


      

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Onorevoli Deputati! - La particolare efferatezza che connota alcuni recenti fenomeni delinquenziali, l'aggressività dell'attività riconducibile alla criminalità organizzata e al conseguente allarme sociale derivante proprio dalla frequente ricorrenza di gravi condotte delittuose, idonee ad incidere direttamente sulla sicurezza dei cittadini, inducono a un intervento modificativo di alcuni importanti profili del vigente ordinamento penale. A tale fine, con il presente disegno di legge si prevede l'inserimento di disposizioni finalizzate ad assicurare una compiuta valutazione della personalità dell'indagato da parte del giudice in sede cautelare e di concessione della sospensione condizionale della pena; si provvede inoltre a
 

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delineare una disciplina processuale più rigorosa in materia cautelare, nonché ad eliminare l'istituto del cosiddetto «patteggiamento in appello», nell'ottica di assicurare la certezza della pena. Sul fronte dell'esecuzione di quest'ultima vengono esclusi, per i reati di maggiore allarme sociale, gli automatismi previsti per la sospensione dell'esecuzione stessa, mentre, con specifico riferimento ai reati a sfondo sessuale commessi in danno di minori, la possibilità di ottenere benefìci viene ancorata al positivo espletamento di percorsi riabilitativi. Nel contempo, si è disegnato un percorso processuale più spedito per i processi con imputati in stato di custodia cautelare, e sono state ampliate le possibilità di ricorso all'incidente probatorio per l'acquisizione della testimonianza di minori e della persona offesa, nei procedimenti per i reati di maltrattamenti in famiglia e per i gravi reati di cui agli articoli 600 e seguenti del codice penale. Per esigenze di snellimento e riduzione dei costi del procedimento, si è provveduto altresì ad ampliare il novero delle ipotesi in cui è possibile procedere alla distruzione delle merci in sequestro, anche prima della sentenza definitiva.
      Sul piano sostanziale, si è altresì ritenuto di intervenire specificamente, da un lato, sull'istituto della prescrizione (come modificato per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251) e, dall'altro lato, sull'attuale assetto normativo in tema di maltrattamenti in famiglia, di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime (con particolare riguardo ai fatti commessi da soggetti in stato di elevata ebbrezza alcolica o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope), nonché in tema di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Con specifico riferimento ai delitti a tutela della libertà personale, si è provveduto ad introdurre, da un lato, una specifica aggravante in caso di violenza sessuale commessa dal coniuge o convivente, e, dall'altro lato, il nuovo reato di adescamento di minorenni, che mira a reprimere quelle forme di approfittamento della fiducia di un minore degli anni sedici, realizzate mediante l'instaurazione di relazioni amichevoli, anche attraverso forme di comunicazione a distanza (telefono, sms, chat line eccetera), in funzione del compimento di delitti sessuali.
      Il provvedimento si compone di 7 articoli.
      Nella prospettiva volta a contrastare i più gravi ed allarmanti fenomeni criminosi e il conseguente grave pregiudizio per la sicurezza dei cittadini, sono state riviste - in relazione alle fattispecie delittuose che, in quest'ottica, assumono un preponderante rilievo - le attuali disposizioni del codice di rito, in tema di presupposti per l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Le fattispecie penali considerate sono state incluse nell'elenco di cui al comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, il quale già oggi individua alcuni reati per cui la misura della custodia cautelare in carcere è ritenuta l'unica adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari, salvo che emerga l'insussistenza di queste ultime (articolo 4, comma 1, lettera e), del disegno di legge). In sede esecutiva, per questa tipologia di reati è stata esclusa la possibilità di sospendere automaticamente l'esecuzione della pena irrogata con sentenza divenuta irrevocabile, come avviene attualmente in base all'articolo 656 del codice di procedura penale (articolo 4, comma 1, lettera o), del disegno di legge).
      Con riferimento, poi, alla più ampia tipologia di gravi delitti per cui è già oggi previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale), la nuova disciplina prevede, da un lato, un ampliamento della possibilità di concreta applicazione della misura cautelare per fronteggiare il pericolo della loro commissione (possibilità che viene estesa anche al di là degli odierni limiti fissati dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, ovvero anche qualora il delitto in questione non sia connotato dall'uso di armi, violenza personale eccetera,
 

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né sia della stessa specie di quello per cui si procede: articolo 4, comma 1, lettera b), del disegno di legge); dall'altro lato, è stata prevista la possibilità per il giudice, che al momento della sentenza di condanna ravvisi la sussistenza di esigenze cautelari, di emettere la misura anche ex officio, qualora si proceda nei confronti di imputato recidivo infraquinquennale specifico (possibilità oggi limitata al momento della condanna in appello: si veda l'articolo 4, comma 1, lettere c) e d), del disegno di legge e il vigente articolo 275, comma 2-ter, del codice di procedura penale).
      Di portata generale è invece, in primo luogo, l'innovazione concernente la possibilità, per il giudice procedente, di valutare - dapprima in sede di applicazione delle misure cautelari per esigenze di prevenzione speciale, poi di concessione della sospensione condizionale della pena irrogata con la sentenza di condanna - non solo il contenuto dei certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, ma anche le risultanze desumibili dalla banca dati di cui all'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n. 271 del 1989 (servizio informatico relativo alle misure cautelari personali: articoli 1, comma 1, lettera f), e 4, comma 1, lettera b), del disegno di legge). È stata poi attribuita efficacia esecutiva all'ordinanza che applica la misura cautelare emessa dal tribunale, ai sensi dell'articolo 310 del codice di procedura penale, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta (articolo 4, comma 1, lettere f) e g), del disegno di legge).
      È stato poi eliminato il cosiddetto «patteggiamento in appello» (articoli 599, commi 4 e 5, e 602, comma 2, del codice di procedura penale), attraverso il quale è oggi possibile - qualora la corte territoriale recepisca, con sentenza camerale, l'accordo tra le parti sull'accoglimento in tutto o in parte dei motivi di appello - un abbattimento anche assai considerevole della pena irrogata in primo grado (articolo 4, comma 1, lettere m) e n), del disegno di legge), al di fuori di qualsiasi forbice normativa che non sia quella della pena minima da irrogare.
      A tali disposizioni fa peraltro riscontro (articolo 4, comma 1, lettere i) e l), del disegno di legge) l'introduzione - con evidenti finalità acceleratorie del processo nei confronti di persone sottoposte a custodia cautelare - di una specifica ipotesi di giudizio immediato, che il pubblico ministero può richiedere dopo l'esecuzione della misura e anche al di fuori degli ordinari, ristretti termini temporali oggi vigenti (novanta giorni dalla data di iscrizione sul registro degli indagati: peraltro, nel disegno di legge sull'accelerazione del processo (atto Camera n. 2664), è stato previsto un significativo ampliamento di tale termine, che viene elevato a sei mesi). Lo stesso termine di sei mesi è oggi previsto con decorrenza dall'esecuzione della misura di custodia cautelare (salva, ovviamente, l'operatività del termine di fase di cui all'articolo 303, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale). Si vuole così delineare un sistema di riti alternativi volto a favorire il più possibile la speditezza del processo per gli imputati in stato di custodia cautelare, sia nelle ipotesi «speciali» (ma statisticamente preponderanti) in cui la misura sia stata applicata all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo, sia nelle ipotesi «ordinarie» di richiesta al giudice per le indagini preliminari (gip) da parte del pubblico ministero.
      Ulteriori modificazioni del codice di rito concernono, come detto, l'ampliamento delle ipotesi in cui, da un lato, può disporsi la distruzione della merce in sequestro (articolo 4, comma 1, lettera a), del disegno di legge) e, dall'altro lato, è possibile far ricorso all'istituto dell'incidente probatorio (articolo 4, comma 1, lettera h), del disegno di legge).
      Con l'articolo 5 è stato eliminato il difetto di coordinamento tra le vigenti disposizioni del codice di rito e quelle che disciplinano il processo penale a carico di
 

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minorenni, in tema di applicabilità della misura della custodia cautelare a carico di indagati per i delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale, risolvendo in senso affermativo il contrasto giurisprudenziale esistente in sede di legittimità.
      L'articolo 1 contiene invece le modifiche al codice penale cui si è già accennato.
      Il primo intervento, articolato nelle lettere da a) ad e) del comma 1 di tale articolo, ha ad oggetto una complessiva ridefinizione dell'istituto della prescrizione.
      Com'è noto, tale istituto esprime un limite temporale che lo Stato si dà preventivamente e legislativamente, in ordine all'esercizio della sua pretesa punitiva contro l'incolpato di un reato, sulla base di un duplice ordine di motivazioni: da un lato, l'«impallidire» nella memoria sociale del ricordo del delitto (aspetto prevalentemente general-preventivo), dall'altro lato, la sofferenza dell'incolpato a fronte di un processo potenzialmente interminabile, con il rischio concreto che venga condannata una persona «diversa» rispetto a quella che ha commesso il fatto.
      L'istituto è stato profondamente riformato dalla legge n. 251 del 2005, a seguito della quale la Corte costituzionale è stata investita di numerose questioni di legittimità, la prima delle quali, decisa in data 23 ottobre 2006 (sentenza n. 393 del 2006), ha già stabilito l'illegittimità dell'articolo 10, comma 3, della legge, per la parte in cui la norma prevedeva che i nuovi termini di prescrizione non si applicassero ai processi già pendenti in primo grado ove vi fosse stata la dichiarazione di apertura del dibattimento.
      Peraltro, l'istituto necessitava, già prima dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 cosiddetta «ex-Cirielli», di una profonda rimeditazione, che operasse un corretto bilanciamento tra l'affermazione della pretesa punitiva dello Stato e il diritto dell'imputato a un processo definito in tempi ragionevoli.
      Il principio della durata ragionevole, consacrato dall'articolo 111 della Costituzione, deve dunque fungere da linea guida per il legislatore in due direzioni.
      La prima è quella di provvedere a razionalizzare la «sequenza procedurale», eliminando attività o garanzie superflue ovvero meramente formali, senza intaccare il nucleo di garanzie costitutive del modello di giusto processo.
      La seconda è quella di predisporre soluzioni normative volte a disincentivare comportamenti delle parti strumentali al prolungamento del processo al di là della sua ragionevole durata e, in particolare, diretti ad ottenere la prescrizione. Si intende qui fare riferimento alle impugnazioni dichiaratamente pretestuose, come ad esempio quelle relative a gran parte delle sentenze emesse in esito all'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale. E in tale senso sono state approntate norme che, da un lato, sono volte a disincentivare condotte dilatorie, e, dall'altro lato, modificano gli istituti vigenti che, allo stato, costituiscono veicolo di inutili appesantimenti procedurali (innumerevoli reiterazioni delle notifiche di atti, rinvii eccetera).
      Sotto il profilo «sostanziale», ai fini del presente intervento, si ritiene che gli obiettivi di accelerazione del processo possano essere raggiunti anche attraverso una completa ridefinizione dell'istituto della prescrizione del reato, da mantenere quale causa estintiva dello stesso.
      Muovendosi in tale direzione, si è previsto quindi che la ridefinizione dell'istituto della prescrizione debba passare attraverso alcuni snodi fondamentali:

          1) commisurare il tempo della prescrizione esclusivamente alla pena massima edittale (in continuità, sotto questo aspetto, con la modifica normativa del 2005, a sua volta mutuata dai progetti di riforma del codice penale Pagliaro e Nordio). Non si è ritenuto di seguire la strada tracciata dall'originaria formulazione dell'articolo 157 del codice penale, che conteneva una elencazione analitica dei tempi di prescrizione, modulata sulla base dello «scaglionamento» dei reati per fasce edittali: essa, oltre a peccare di un eccesso di tassatività, creava ingiustificate disparità nel caso concreto tra reati puniti edittalmente

 

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in modo differente. Si è quindi preferito un rinvio alla pena edittale prevista per ciascun reato, aumentata della metà (aumento non contemplato dalla legge n. 251 del 2005). Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, come nell'attuale disciplina, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva;

          2) escludere le circostanze dal computo, ad eccezione di quelle cosiddette «ad effetto o ad efficacia speciale». Per determinare il tempo necessario a prescrivere si stabilisce, infatti, che si abbia riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze ad effetto speciale (aumenti o diminuzioni di pena superiori a un terzo) e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo (circostanze cosiddette «ad efficacia speciale» o «indipendenti»), in quanto espressione di un disvalore superiore a quello che il legislatore ordinariamente opera nel prevedere il regime delle circostanze «ordinarie»;

          3) prevedere, in ogni caso, un limite minimo e massimo della prescrizione dei reati; si prevede infatti che la prescrizione non possa:

              a) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria;

              b) essere superiore a venti anni per i delitti, ad eccezione che per i delitti di maggiore gravità, per i quali il termine massimo è previsto nella misura di trenta anni. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti;

          4) adattare la decorrenza del termine di prescrizione alla diversa natura delle sanzioni, prevedendo termini differenti non solo tra delitti e contravvenzioni, ma anche tra le sanzioni «originarie» del codice e le sanzioni di specie diversa; si prevede, pertanto, che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni. Questa ultima norma, rendendo tale termine omogeneo con il termine prescrizionale minimo dei delitti, supera i dubbi di costituzionalità sollevati, ad esempio, con riferimento alle sanzioni applicate dal giudice di pace ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (il caso è quello della irragionevole diversità di termini di prescrizione tra il «lavoro sostitutivo», per cui è attualmente previsto un termine triennale, e la pena pecuniaria, per cui il termine è ora fissato in sei anni), cui ora si dovrà applicare il nuovo termine;

          5) recependo una giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte (su cui, più diffusamente, ci si soffermerà in seguito, in tema di impugnazioni), si è ritenuto che in caso di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, il termine di prescrizione si debba ritenere sospeso al momento della pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado (con esclusione, quindi, dei casi in cui ricorrente sia il pubblico ministero).

      Parimenti, si ritiene che il termine prescrizionale non debba decorrere nei casi di sentenza di condanna nell'ipotesi di cosiddetta «doppia conforme». In questo caso, infatti, la pronuncia che contiene un doppio accertamento di merito in ordine alla responsabilità è sicuramente connotata da una stabilità tale da superare l'opportunità di mantenere l'operatività dell'istituto della prescrizione, senza peraltro comprimere in alcun modo i diritti sanciti dall'articolo 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato dall'Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881.
      Tuttavia, nel caso in cui il ricorso per cassazione venga accolto, il tempo occorrente

 

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alla celebrazione del giudizio di cassazione verrà computato ai fini prescrizionali, così come quello necessario per la celebrazione dei successivi gradi di giudizio, ove presenti. In tale modo, l'imputato che faccia valere i propri diritti vittoriosamente non dovrà subire gli effetti negativi del decorso del tempo.
      Per gli stessi motivi, a tale ipotesi viene parificata quella in cui la pronuncia di appello abbia riformato la sentenza di condanna di primo grado limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze, in quanto tale pronuncia non tocca l'affermazione di responsabilità.
      Sono state ripristinate alcune norme della disciplina «ante legge ex-Cirielli», quali quella dei reati connessi e del reato continuato: in coerenza con la scelta di prevedere termini di prescrizione non più articolati per «scaglioni», ma in ragione della pena edittale di ciascuno di essi, appare necessario, in caso di contestazione congiunta, stabilire un dies a quo unico, onde evitare complicati calcoli, così come prevedere che, in caso di reati connessi, l'interruzione per taluni di essi abbia effetto anche per gli altri.
      Si sono inoltre ridisegnate le cause di sospensione (articolo 159, primo comma, del codice penale) e di interruzione della prescrizione (articolo 160 del codice penale).
      Tra le seconde, è stato attribuito rilievo, risolvendo datati contrasti giurisprudenziali, all'interrogatorio delegato dal pubblico ministero e all'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
      Tra le prime, invece, sono state incluse tutte le ipotesi di «stasi processuali» riconducibili ad attività dell'imputato, e segnatamente:

          a) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima (per la «remissione» del processo la sospensione del termine di prescrizione è già prevista dall'articolo 47, comma 4, del codice di procedura penale);

          b) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso;

          c) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione. La disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi.

      Si ritiene tuttavia necessario (simmetricamente a quanto previsto in tema di recidiva) mantenere un regime prescrizionale più rigido per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. Ed infatti, la legge n. 251 del 2005, da un lato, ha previsto che il termine «ordinario» di prescrizione per tali reati fosse pari al doppio della pena edittale (articolo 157, sesto comma, del codice penale); dall'altro lato ha escluso un termine di prescrizione «massima» (articolo 161, secondo comma, del codice penale), circostanza che in dottrina aveva sollevato molteplici dubbi di incostituzionalità.
      Nel testo proposto, in cui il termine di prescrizione «ordinario» viene aumentato della metà, si ritiene sufficiente prevedere per detti reati un congruo aumento dei termini di prescrizione massima, quantificato nella misura di trenta anni.
      Per meglio comprendere, in parte qua, la portata e gli effetti della novella, sembra opportuno rappresentare, seppur in modo esemplificativo, in forma sinottica il percorso evolutivo dei termini prescrizionali, evidenziando i termini «ordinari» e «massimi» previsti per alcuni gravi reati dalla disciplina codicistica precedente all'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, successivi alla stessa e come disciplinati nel presente disegno di legge.

 

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Reato
Prescrizione ante
legge n. 251 del 2005
Prescrizione post
legge n. 251 del 2005
Prescrizione
proposta attuale
articolo 416,
sesto comma,
del codice penale
ordinaria: 15 anni
massima: 22,5 anni
ordinaria: 30 anni
massima: senza limite
ordinaria: 22,5 anni
massima: 30 anni
articolo 416-bis,
primo comma,
del codice penale
ordinaria: 15 anni
massima: 22,5 anni
ordinaria: 20 anni
massima: senza limite
ordinaria: 15 anni
massima: 22,5 anni
articolo 600
del codice penale
ordinaria: 15 anni
massima: 22,5 anni
ordinaria: 40 anni
massima: senza limite
ordinaria: 30 anni
massima: 30 anni
articolo 630
del codice penale
ordinaria: 20 anni
massima: 30 anni
ordinaria: 60 anni
massima: senza limite
ordinaria: 30 anni
massima: 30 anni


      Come già accennato, si interviene in secondo luogo (articolo 1, comma 1, lettera f), del disegno di legge) sull'istituto della sospensione condizionale della pena, inserendo al primo comma dell'articolo 164 del codice penale, quali elementi da valutare - unitamente alle altre circostanze indicate dall'articolo 133 - nel giudizio prognostico relativo alla commissione di ulteriori reati da parte dell'imputato, le informazioni contenute nel servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle citate norme di attuazione (concernente, come già accennato, la banca dati relativa alle misure cautelari personali in corso di esecuzione, ovvero non ancora eseguite per la latitanza dell'indagato). Nonostante l'istituzione della banca dati fosse stata prevista sin dall'entrata in vigore del codice di rito, si tratta di uno strumento che solo ora può definirsi di imminente realizzazione, essendo stati stanziati appositi fondi nell'articolo 38 del decreto-legge n. 159 del 2007, cosiddetto «collegato alla legge finanziaria 2008», in corso di conversione.
      Si tratta, evidentemente, di un intervento volto a completare e integrare il compendio valutativo desumibile dal certificato del casellario giudiziale e da quello dei carichi pendenti: compendio che oggi può risultare privo dell'aggiornamento e della completezza necessari, anche in considerazione, quanto al certificato penale, del perdurante arretrato nell'inserimento delle schede da parte degli uffici giudiziari e, quanto al certificato dei carichi pendenti, per l'altrettanto perdurante indisponibilità di tale tipologia di informazioni su scala nazionale.
      Le disposizioni contenute nelle lettere da g) a n) del comma 1 dell'articolo 1 intervengono in modo significativo su alcune figure criminose contemplate nella parte speciale del codice penale, al fine specifico di rafforzare la tutela contro alcune gravi forme di violenza e di prevaricazione, nonché di fronteggiare adeguatamente l'esponenziale diffusione di un peculiare fenomeno criminoso che ha, soprattutto di recente, inciso in modo assai rilevante sulla sicurezza sociale.
      In particolare, la lettera g) interviene anche sulla rubrica del delitto di maltrattamenti di cui all'articolo 572 del codice penale, non solo conferendo esplicito rilievo, quale persona offesa, al convivente del soggetto attivo, ma anche prevedendo che la condotta in danno di persona minore degli anni quattordici, legata all'autore del reato dalle relazioni elencate nel primo comma della norma, costituisca ipotesi aggravata del reato medesimo. Si provvede altresì ad un inasprimento sanzionatorio sia per la fattispecie base, sia per quella in cui dalla condotta derivi una lesione personale grave.
      Le successive lettere da h) a l) del comma 1 dell'articolo 1 contengono poi alcune significative modifiche alle vigenti disposizioni concernenti uno dei fenomeni criminosi che più profondamente

 

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hanno minato, negli ultimi tempi, la sicurezza dei cittadini. Si allude ai delitti di omicidio e di lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, con particolare riferimento a quelli posti in essere da soggetti postisi alla guida in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente ad assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
      L'inquietante, quotidiano moltiplicarsi di tali delitti, in tutte le zone del Paese e ad opera di soggetti di ogni condizione ed estrazione sociali, induce a ritenere che le attuali risposte sanzionatorie siano sostanzialmente prive di adeguata efficacia deterrente, e che pertanto si renda indispensabile un loro inasprimento, sia sul piano penale che su quello delle sanzioni amministrative accessorie (su tale ultimo punto, si veda quanto illustrato in relazione all'articolo 3).
      In tale prospettiva, e con riferimento al delitto di omicidio colposo, si è ritenuto anzitutto (articolo 1, comma 1, lettera h), numero 1), del disegno di legge) di elevare da cinque a sei anni il massimo edittale per tutti i fatti commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale (e sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Peraltro, un autonomo e ben più severo trattamento sanzionatorio è previsto per i soggetti postisi alla guida di veicoli in stato di alterazione conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero in rilevante stato di ebbrezza (si fa espresso richiamo alla più grave delle situazioni contemplate dall'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il codice della strada, come da ultimo novellato dal decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 60: accertamento di valori corrispondenti ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro).
      In tali fattispecie, infatti, la pena edittale viene ulteriormente inasprita sia per le ipotesi in cui viene cagionata la morte di una sola persona (reclusione da tre a dieci anni: articolo 1, comma 1, lettera h), numero 2), del disegno di legge), sia per quelle in cui vi è invece una pluralità di vittime (morte di più persone, ovvero morte di una o più persone e lesioni di una o più persone: il massimo previsto dal terzo comma dell'articolo 589 del codice penale viene innalzato da dodici a quindici anni di reclusione: articolo 1 comma 1, lettera h), numero 3), del disegno di legge). D'altro lato, con l'introduzione dell'articolo 590-bis (articolo 1, comma 1, lettera l), del disegno di legge), si esclude la possibilità di operare il cosiddetto «giudizio di bilanciamento» con eventuali circostanze attenuanti, ad eccezione di quelle della minore età e della cooperazione di minima importanza: conseguentemente, la riduzione per le attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 114 del codice penale opererà sulla pena determinata ai sensi dell'articolo 589, terzo comma, dello stesso codice. Si tratta, evidentemente, di una disposizione di particolare rigore, già vigente in relazione ad altri fenomeni criminosi di notevole gravità: peraltro, le già richiamate finalità dissuasive - unitamente alla necessità di proporzionare l'entità della risposta sanzionatoria alla condotta, estremamente grave, di chi si rende responsabile di altrettanto gravi incidenti dopo essersi posto alla guida nelle condizioni appena richiamate - giustificano il suo inserimento in relazione alle tipologie di omicidio colposo sopra ricordate.
      Modifiche di segno analogo vengono introdotte anche per le ipotesi in cui, dalle condotte di soggetti postisi alla guida pur trovandosi in rilevante stato di ebbrezza o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope, siano derivate lesioni colpose gravi o gravissime. Per un verso, infatti, si prevede un inasprimento delle pene attualmente previste dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale (estendendosi anche alle lesioni gravi la pena della sola reclusione, in luogo della pena alternativa, e innalzandosi i limiti edittali per quelle gravissime: articolo 1, comma 1, lettera i), del disegno di legge); per altro verso, si rende anche in questo caso inapplicabile il giudizio di bilanciamento
 

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con eventuali circostanze attenuanti (eccezion fatta, anche qui, per quelle di cui agli articoli 98 e 114 del codice penale: articolo 1, comma 1, lettera l), del disegno di legge).
      Con riferimento, poi, al delitto di violenza sessuale, la lettera m) del comma 1 dell'articolo 1 introduce una ulteriore aggravante specifica nell'ambito dell'articolo 609-ter del codice penale. In particolare, viene introdotto al primo comma il numero 5-bis), che aggrava il delitto commesso dal coniuge o dal convivente, ovvero da persona cui la vittima comunque sia o sia stata legata da relazione affettiva: si vogliono così sottolineare, anche sul piano delle conseguenze sanzionatorie, la gravità e il disvalore morali dell'approfittamento di una situazione di consuetudine nelle relazioni intime.
      Come già accennato, il comma 1, lettera n), dell'articolo 1 introduce, con l'articolo 609-undecies del codice penale, il nuovo reato di adescamento di minorenni. Il fenomeno, conosciuto all'estero come «grooming», può definirsi come un metodo usato per indebolire la volontà del minore, in modo da ottenerne il massimo controllo. In questo processo, ancora scarsamente studiato in Italia, colui che abusa «cura» (grooms) la vittima, inducendola gradualmente a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica. Il metodo può essere diverso: ad esempio mediante una subdola opera di convincimento effettuata attraverso una normale comunicazione (ad esempio, chat) o supportando quest'attività con l'invio di immagini pedopornografiche al minore. Il fine è sempre lo stesso: cioè quello di convincere la potenziale vittima della normalità dei rapporti sessuali tra adulti e minori.
      Questa tipologia di adescamento, proprio perché svolta in maniera «amichevole», è in realtà molto insidiosa ed è utilizzata soprattutto su internet e attraverso lo scambio di sms.
      Il dibattito circa la possibilità di inserire il «grooming» come una vera e propria fattispecie di reato nella legislazione penale degli Stati membri dell'Unione europea è alquanto recente: il Comitato per la Convenzione sul Cyber Crime del Consiglio d'Europa, in un suo rapporto, ha messo in guardia i Paesi interessati circa il rischio del «grooming» effettuato attraverso internet ed i telefoni cellulari. In effetti se ne parla molto, però, specialmente in Europa, la legislazione nazionale dei Paesi è alquanto carente. Infatti l'unico Stato che ha recentemente introdotto la previsione del «grooming» come fattispecie di reato è il Regno Unito, specificando che: «è reato ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente». Altri Paesi che hanno introdotto una ancora più specifica fattispecie di reato relativa al «grooming» sono l'Australia, il Canada e alcuni Stati degli USA, i quali hanno previsto sanzioni penali per il solo fatto di instaurare una comunicazione (attraverso internet) al fine di sedurre un minore per poi abusarne sessualmente. Ai sensi della citata Convenzione, allo stato attuale, per «grooming» si intende la condotta dell'adulto che comunica con il minore o compie altre azioni finalizzate ad incontrarlo, con l'intento di commettere reati quali l'abuso sessuale, la prostituzione o per organizzare performance pornografiche. Il limite di età della vittima, entro il quale si configura il reato in oggetto, è stato individuato tenendo in conto l'influenzabilità che normalmente caratterizza i soggetti minorenni appartenenti a tale fascia.
      L'articolo 1 reca, infine, importanti modifiche alle norme incriminatrici del riciclaggio (articolo 648-bis del codice penale) e dell'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (articolo 648-ter del codice penale).
      Come è noto, l'attuale formulazione dei suddetti articoli esclude, tra i soggetti attivi di entrambi i delitti in questione, il concorrente nei reati presupposti, non consentendo quindi l'incriminazione del cosiddetto «autoriciclaggio» o «autoreimpiego».
 

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      Tale esclusione suscita perplessità a livello istituzionale, sia nel contesto internazionale (essendo stata censurata espressamente dal Fondo monetario internazionale nel «Detailed Assessment Report on Anti-Money Laundering and Combatting the Financing of Terrorism»), sia in quello interno (in proposito il Governatore della Banca d'Italia, nell'audizione del 14 giugno 2007 dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, non ha mancato di richiamare «i risultati positivi ottenuti dagli ordinamenti che puniscono anche il cosiddetto «autoriciclaggio»), ed è stata avversata da una parte della dottrina. Del resto, la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990 - ratificata con la legge 9 agosto 1993, n. 328, la quale ha introdotto la vigente formulazione dell'articolo 648-bis e dell'articolo 648-ter del codice penale - consente l'inclusione, tra i soggetti attivi, dei concorrenti nel delitto di provenienza dei beni riciclati (articolo 6, paragrafo 2), lettera b), della Convenzione).
      In tale contesto, si ritiene di eliminare, in entrambe le fattispecie criminose, la clausola di esclusione concernente appunto gli autori (eventualmente a titolo di concorso) nel delitto presupposto (articolo 1, comma 1, lettere o) e p), del disegno di legge). Invero, l'autonoma e consapevole decisione di compiere, rispettivamente, le ulteriori attività di ostacolo all'identificazione della provenienza illecita dei beni (articolo 648-bis), ovvero quelle di reimpiego degli stessi in attività economiche o finanziarie (articolo 648-ter), e il grave disvalore che connota anche tali condotte - evidentemente del tutto autonome dall'originaria azione delittuosa che aveva consentito l'apprensione dei beni riciclati o reimpiegati - consente di superare le tesi dottrinali contrarie, imperniate sul rispetto del principio del cosiddetto «ne bis in idem» sostanziale.
      L'articolo 2, recante modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, condiziona - per i detenuti e gli internati condannati per delitti qualificati dalla violenza o dallo sfruttamento di natura sessuale ai danni di minorenni - la possibilità di fruire di permessi premio, di misure alternative alla detenzione e dell'assegnazione al lavoro all'esterno, di cui al medesimo articolo 4-bis alla valutazione, da parte del giudice di sorveglianza, della positiva partecipazione a programmi di riabilitazione. Con ciò si confida che le autorità preposte all'applicazione dei benefìci indaghino in modo approfondito sulla propensione dei detenuti a delinquere ulteriormente, valorizzando specifici percorsi riabilitativi. Per la definizione di tali percorsi si rimanda peraltro a un successivo decreto adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze.
      L'articolo 3 contiene, come già accennato, un significativo intervento sull'articolo 222 del decreto legislativo n. 285 del 1992, recante il codice della strada. All'inasprimento della risposta sanzionatoria penale per i delitti di omicidio colposo commessi da soggetto postosi alla guida di un veicolo, pur trovandosi in stato di rilevante ebbrezza alcolica o di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope (si veda quanto già illustrato in relazione all'articolo 1, comma 1, lettere h) ed i), del disegno di legge) fa riscontro - per le stesse ipotesi - la previsione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida (resta invece ferma, per le altre fattispecie di omicidio colposo, la sanzione della sospensione della patente fino a quattro anni, prevista dal vigente comma 2 del citato articolo 222).
      L'articolo 4 contiene alcune rilevanti modifiche al vigente codice di rito.
      Con la lettera a) del comma 1, si intende intervenire sulla problematica (di sempre maggior rilievo, anche per la sua diretta incidenza sul bilancio dello Stato) inerente la custodia e la conservazione della merce sottoposta a sequestro nell'ambito di un procedimento penale.
 

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      In particolare, attraverso l'introduzione del comma 3-bis nell'articolo 260 del codice di procedura penale, si attribuisce all'autorità giudiziaria procedente il potere di disporre la distruzione non solo - come oggi previsto dal comma 3 dell'articolo 260 - delle merci deperibili, ma anche delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la commercializzazione eccetera, e ricorrano una delle seguenti condizioni: a) la custodia risulti problematica per l'entità della merce in sequestro (come già previsto per i reati in tema di diritto d'autore: articolo 171-sexies della legge 22 aprile 1941, n. 633); b) la custodia risulti particolarmente onerosa, ovvero pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica; c) le violazioni dei predetti divieti risultino evidenti, anche all'esito di eventuali accertamenti disposti ai sensi dell'articolo 360 del medesimo codice di procedura penale.
      In tali ipotesi, si ritiene - salva ovviamente l'esistenza di esigenze istruttorie che impongano il mantenimento in sequestro a fini probatori - che il principio secondo cui la merce in questione, destinata alla confisca obbligatoria ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, numero 2), del codice penale, sia mantenuta in sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, possa essere derogato in favore di una immediata distruzione, anche al fine di limitare la già richiamata, crescente incidenza degli oneri di custodia sull'erario. Peraltro, prima di procedere alla distruzione, l'autorità giudiziaria è tenuta al prelevamento di uno o più campioni, con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 del codice di procedura penale.

      Le successive lettere da b) a g) del comma 1 dell'articolo 4 contengono alcune disposizioni improntate ad una rivisitazione in senso più rigoroso della disciplina delle misure cautelari, nella prospettiva inizialmente evidenziata.
      In particolare, alla lettera b) del comma 1 si prevede una duplice modifica dell'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, in tema di presupposti per l'applicazione di misure cautelari finalizzate a fronteggiare il pericolo di reiterazione di condotte criminose.
      Da un lato, con riguardo al momento valutativo della personalità dell'indagato, il richiamo ai soli «precedenti penali» viene integrato con quello ai precedenti giudiziari e alle risultanze desumibili dal già citato servizio informatico di cui all'articolo 97, delle citate norme di attuazione; in tal modo: l'oggetto della valutazione prognostica viene espressamente esteso - per il perseguimento delle finalità indicate in relazione all'articolo 1 - non solo ai precedenti giudiziari (risultato cui peraltro era già pervenuta la giurisprudenza della Corte di cassazione: da ultimo cassazione, sezione VI, 11 luglio 2006 n. 29405), ma anche alle risultanze desumibili dalla banca dati relativa alle misure cautelari in corso di esecuzione ovvero non eseguite per la latitanza dell'indagato o imputato.
      D'altro lato, attraverso l'inserimento di un espresso richiamo ai delitti di cui all'articolo 380 del codice di procedura penale nella citata lettera c) del comma 1 dell'articolo 274 dello stesso codice, si vuole rendere possibile l'applicazione delle misure cautelari in ogni caso in cui vi sia concreto pericolo di reiterazione di taluno dei reati per cui, attualmente, è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza: ovvero anche nelle ipotesi in cui il delitto in questione, di cui si paventa la commissione da parte dell'indagato, non sia connotato da «uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata», né sia «della stessa specie di quello per cui si procede». Si allude, evidentemente, alle eventualità in cui sia ravvisabile, ad esempio, un concreto pericolo di commissione di delitti di furto aggravato dalla violenza sulle cose, di furto in appartamento, di detenzione, cessione eccetera, di sostanze stupefacenti, e tuttavia la persona sia indagata per diversa tipologia di reati (ad esempio evasione ovvero anche violazione della disciplina sugli stupefacenti, qualora il pericolo di
 

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commissione - di gravità e concretezza tali da imporre l'adozione di misure cautelari - concerna i soli predetti reati contro il patrimonio).
      Attraverso le lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 4 (e dunque con la riformulazione del comma 1-bis e la contestuale abrogazione del comma 2-ter dell'articolo 275 del codice di procedura penale), è stato operato un ampliamento delle ipotesi, già previste dal codice di rito, in cui l'applicazione della misura cautelare avviene ex officio (ovvero anche senza una previa richiesta da parte del pubblico ministero).
      Attualmente, il comma 1-bis dell'articolo 275 del codice di procedura penale impone al giudice, che emetta una sentenza di condanna, di operare contestualmente un esame delle esigenze cautelari (peraltro nella sola ottica del pericolo di fuga e di quello di reiterazione) anche alla luce dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti. Il successivo comma 2-ter dispone invece che «Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole».
      In sostanza, l'automatismo dell'applicazione di una misura cautelare personale (non necessariamente di tipo custodiale) è attualmente operante, al momento della sentenza di condanna in appello - e sempre che, ovviamente, venga accertata la sussistenza di esigenze cautelari ai sensi del comma 1-bis - solo in relazione ai reati per cui è previsto, in ragione della pena edittale, l'arresto obbligatorio in flagranza, e solo a carico dei recidivi specifici infraquinquennali.
      Al fine di fronteggiare le più volte richiamate esigenze di tutela della collettività, si intende modificare il sistema procedendo all'anticipazione di tale limitato automatismo già all'esito della sentenza di condanna di primo grado, e con riferimento a tutti i reati individuati - ai fini dell'obbligatorietà dell'arresto in flagranza - dall'articolo 380 del codice di rito.
      Invero, l'intervenuto accertamento della responsabilità dell'imputato «al di là di ogni ragionevole dubbio» (si veda l'articolo 533, comma 1, del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 46) rende possibile e ragionevole la suddetta anticipazione, qualora si abbia riguardo all'estremo allarme sociale derivante da tali situazioni, non solo per la gravità dei reati in questione - nessuna particolare distinzione sembra possibile, a tale specifico proposito, tra quelli per cui è previsto l'arresto obbligatorio in ragione della pena edittale e quelli puntualmente elencati nel comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale - ma anche per le condizioni personali dell'imputato (recidivo specifico infraquinquennale).
      Al riguardo, le possibili obiezioni - già sollevate con riferimento al vigente comma 2-ter dell'articolo 275 del codice di procedura penale ai sensi dell'articolo 27, secondo comma, della Costituzione, paventandosi la violazione della presunzione di non colpevolezza attraverso l'introduzione di una sorta di esecuzione anticipata della sentenza di condanna - appaiono superabili non solo alla luce dell'ambito applicativo della disposizione in parola, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, ma anche, ed anzi soprattutto, in considerazione delle ben differenti finalità perseguite dall'eventuale intervento officioso del giudice.
      È infatti ovviamente indispensabile, come già accennato, che quest'ultimo ravvisi - anche alla luce degli elementi sopravvenuti fino all'emissione della sentenza - la concreta sussistenza di una delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale. Sul punto, la Corte costituzionale ha più di una volta sottolineato che in tema di misure cautelari personali, ferma ovviamente la necessità di rispettare la riserva di legge di cui all'articolo 13 della Costituzione,
 

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il richiamo al principio di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della stessa Costituzione «si rivela manifestamente non conferente, data l'estraneità di quest'ultimo parametro all'assetto e alla conformazione delle misure restrittive della libertà personale che operano sul piano cautelare, che è piano del tutto distinto da quello concernente la condanna e la pena (ord. n. 339 del 1995; sentt. n. 342 del 1983 e n. 15 del 1982)» (Corte costituzionale, ordinanza n. 450 del 1995). Tra l'altro, con riferimento alla vigente disciplina, è stato posto in evidenza che gli elementi in possesso del giudice di appello, chiamato ad un intervento cautelare officioso, e, in presenza di esigenze cautelari, necessitato, sono fisiologicamente - oltre che per qualità ed entità più circoscritti di quelli a disposizione delle parti - scarsamente attuali, perché risalenti nel tempo (salvo che nei casi, peraltro assai rari nella pratica, di una rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale).
      Va anche evidenziato che un intervento officioso del giudice, in materia cautelare e contra reum, è già previsto nell'articolo 276 del codice di procedura penale, il quale disciplina i provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte. In quella sede, anzi, tale intervento officioso risulta connotato anche da un preciso automatismo nell'applicazione della misura custodiale in carcere, in caso di trasgressione delle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora (articolo 276, comma 1-ter): e tale disposizione ha, tra l'altro, positivamente superato lo scrutinio di legittimità costituzionale (Corte costituzionale, ordinanza n. 40 del 2002).
      La rivisitazione dell'attuale sistema in tema di presupposti applicativi per la misura custodiale in carcere, con particolare riferimento alla sua necessaria applicazione in presenza di esigenze cautelari, è oggetto dell'articolo 4, comma 1, lettera e).
      Il primo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, nel testo oggi in vigore, prevede - in linea con i princìpi di adeguatezza e proporzionalità dettati dai commi 1 e 2 dello stesso articolo - che la misura della custodia in carcere possa essere disposta solo in caso di inadeguatezza di ogni altra misura.
      Peraltro, il secondo periodo del medesimo comma 3 prevede una rilevante deroga a tale principio, imponendo l'adozione della misura custodiale in carcere, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», qualora vi siano gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale, per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, nonché per quelli finalizzati ad agevolare l'attività di quel tipo di associazioni.
      L'elenco dei reati è stato in tal senso ridotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 332.
      In precedenza, ovvero per effetto del decreto-legge 9 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, l'elenco in questione comprendeva anche numerose altre fattispecie, che il legislatore del 1995 ha «trasferito in blocco» nell'ambito dell'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di rito (articolo che disciplina la durata massima delle indagini preliminari). Si allude in particolare: a gravissimi delitti contro la personalità dello Stato (articoli 285 e 286 del codice penale), contro l'incolumità pubblica (articolo 422), contro la persona (articolo 575) e il patrimonio (articoli 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630); ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (puniti con pena edittale non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni di reclusione); ai delitti in tema di armi (fabbricazione, introduzione, messa in vendita eccetera, di armi da guerra, esplosivi, armi clandestine ovvero più armi comuni da sparo); ai delitti di traffico di quantità ingenti di sostanze stupefacenti e di associazione per delinquere finalizzata alla predetta attività.
      L'automatismo nell'applicazione della misura custodiale di cui all'articolo 275,
 

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comma 3, del codice di procedura penale è stato ritenuto - in considerazione della gravità dei reati individuati e della possibilità per il giudice di ritenere comunque, in concreto, insussistenti le esigenze cautelari - compatibile sia con la Costituzione (ordinanze n. 339 del 1995 e n. 450 del 1995 della Consulta), sia con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia, della Corte di Strasburgo, la quale, con specifico riferimento ad imputazioni associative di cui all'articolo 416-bis, del codice penale, ha rilevato che «la lotta contro questo flagello può, in certi casi, portare all'adozione di misure che giustificano una deroga alla norma fissata dall'articolo 5, che mira a tutelare, prima di tutto, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché a prevenire la commissione di altri reati penali gravi. In questo contesto, una presunzione di pericolosità può essere giustificata, in particolare quando non è assoluta, ma si presta ad essere contraddetta dalla prova contraria»).
      Quanto alle pronunce della Corte costituzionale, nella citata ordinanza n. 339 del 1995 (emessa prima dell'entrata in vigore della legge n. 332 del 1995, e dunque con riferimento al più ampio elenco di reati sopra richiamato) si è in particolare evidenziato che «la regola, posta in via generale quanto a delimitazione della discrezionalità giudiziale nella scelta delle misure coercitive sul piano dell'adeguatezza, allorché l'imputazione per cui si procede pervenga a livelli di spiccata gravità», risulta «rappresentativa di una scelta del legislatore orientata nel senso del rafforzamento della tutela delle ragioni di cautela (naturalmente dove sussistenti, o più esattamente dove non verificate insussistenti, ex articolo 275, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen.)». In tale contesto, è stata esclusa qualsiasi violazione dell'articolo 3 della Costituzione nella comparazione tra tossicodipendenti imputati di un reato di cui all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale (esclusi perciò dai benefìci dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e tossicodipendenti imputati di diverso reato, «attesa l'assoluta disomogeneità dei termini posti a raffronto proprio sul piano della considerazione della gravità del fatto e della pericolosità soggettiva desumibile da certi delitti piuttosto che da altri; considerazione anch'essa riservata alle scelte del legislatore, certamente non irragionevoli nella specie, alla luce della catalogazione contenuta nel citato articolo 275, comma 3, del codice».
      L'ordinanza n. 450 del 1995, emessa invece subito dopo l'entrata in vigore della legge n. 332 del 1995, ha ribadito la legittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, evidenziando anzi la «manifesta non irragionevolezza» del particolare regime riservato ai reati di mafia e chiarendo, in termini generali, che «la sussistenza in concreto di una o più delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l'an della cautela) non può, per definizione, prescindere dall'accertamento della loro effettiva ricorrenza di volta in volta; mentre la scelta del tipo di misura (il quomodo di una cautela, in concreto rilevata come necessaria) non impone, ex se, l'attribuzione al giudice di analogo potere di apprezzamento, ben potendo essere effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti»: competendo in particolare al legislatore «l'individuazione del punto di equilibrio tra le diverse esigenze, della minore restrizione possibile della libertà personale e dell'effettiva garanzia degli interessi di rilievo costituzionale tutelati attraverso la previsione degli strumenti cautelari nel processo penale (sentt. n. 1 del 1980; n. 64 del 1970)». In buona sostanza, «la predeterminazione in via generale della necessità della cautela più rigorosa (salvi, ovviamente, gli istituti specificamente disposti a salvaguardia di peculiari situazioni soggettive, quali l'età, la salute e così via) non risulta in contrasto con il parametro dell'articolo 3 della Costituzione, non potendosi ritenere soluzione
 

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costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione dell'accennato punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della libertà personale e gli antagonisti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale».
      Tali princìpi sono stati di recente ribaditi, negli stessi termini, non solo dalla già citata ordinanza n. 40 del 2002 (si veda quanto illustrato in relazione all'articolo 4, comma 1, lettere b) e c)), ma anche dall'ordinanza n. 130 del 2003, nella quale la Consulta ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in relazione all'articolo 284, comma 5-bis, del codice di procedura penale: disposizione che, come è noto, preclude l'applicazione della misura gradata degli arresti domiciliari nei confronti della persona condannata per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede.
      In tale prospettiva, e avendo riguardo allo straordinario allarme sociale e all'altrettanto straordinaria efferatezza riconducibili ad una variegata tipologia di fenomeni delittuosi, anche di tragica attualità, si impone una riconsiderazione del «punto di equilibrio» più volte evocato nelle ordinanze della Corte costituzionale.
      In particolare, si ritiene che, al fine di soddisfare le esigenze di tutela della collettività più volte richiamate anche nelle pronunce della Consulta, l'elenco di cui al comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale debba essere ampliato non solo con il reinserimento - indipendentemente dall'esistenza di una connessione con l'articolo 416-bis del codice penale, nel senso sopra chiarito - delle fattispecie a suo tempo individuate dal legislatore del 1991 e oggi (come detto) elencate nei numeri da 1) a 6) della lettera a) del comma 2 dell'articolo 407 del medesimo codice; ma anche con il richiamo ad una serie di ulteriori fenomeni delittuosi che, soprattutto negli anni più recenti, hanno acquisito un'altrettanto primaria rilevanza ai fini specifici che qui interessano.
      A tale ultimo riguardo, vengono in rilievo:

          a) quanto ai delitti contro la persona (articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7-bis), del codice di procedura penale), i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù (articolo 600 del codice penale); di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile (articolo 600-bis, primo comma, del codice penale); di pornografia minorile (articolo 600-ter, primo comma, del codice penale); di tratta di persone, e di acquisto e alienazione di schiavi (articoli 601 e 602 del codice penale); di violenza sessuale aggravata ai sensi dell'articolo 609-ter (nei confronti di minore infraquattordicenne, con uso di armi e sostanze alcoliche eccetera), dell'articolo 609-quater (atti sessuali con minorenne: con esclusione, peraltro, delle ipotesi in cui il fatto debba considerarsi di minore gravità, in considerazione della estrema delicatezza e varietà delle situazioni evidentemente configurabili nelle relazioni tra autore del reato e persona offesa) e dell'articolo 609-octies del codice penale (violenza sessuale di gruppo);

          b) quanto ai delitti contro l'ordine pubblico, le figure apicali del sodalizio di cui all'articolo 416 del codice penale, qualora questo sia finalizzato alla commissione dei più gravi tra i delitti per cui è previsto l'arresto in flagranza (articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7), del codice di procedura penale);

          c) quanto ai delitti contro il patrimonio, i delitti di furto in abitazione e furto con strappo di cui all'articolo 624-bis del codice penale, nonchè il delitto di rapina di cui all'articolo 628 del medesimo codice. La valorizzazione di tali figure criminose è dovuta ai ben noti, dirompenti effetti che esse determinano sulla sicurezza dei cittadini; tra l'altro, con specifico riguardo ai delitti di cui all'articolo 624-bis, deve essere adeguatamente evidenziata la loro «naturale» e tutt'altro che teorica attitudine - come quotidianamente comprovato dalle crona

 

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che giudiziarie - ad una «progressione criminosa» verso fattispecie di ancor maggiore gravità (quali il sequestro di persona e l'omicidio, oltre ovviamente alla stessa rapina). Anche in occasione dell'inserimento di tali delitti nell'autonoma collocazione attuale (all'interno, appunto, dell'articolo 624-bis del codice), si è fondatamente rilevato che, proprio per tale loro peculiare connotazione, la salvaguardia del bene giuridico «patrimonio» assume ormai uno spazio e un rilievo secondari rispetto alla tutela di valori immediatamente riconducibili alla persona, quali l'integrità fisica o morale, e la stessa inviolabilità del domicilio. In tale prospettiva, l'inclusione di tali fattispecie nel nuovo elenco di cui all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale appare - nonostante l'entità non particolarmente elevata delle pene edittali previste per le ipotesi non aggravate - giustificata e coerente con le linee fondanti, più volte richiamate, dell'intervento di riforma;

          d) quanto ai delitti in tema di immigazione, le condotte di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina a fine di profitto previste dall'articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, eventualmente aggravate ai sensi dei commi 3-bis (numero degli stranieri superiore a cinque, messa in pericolo della loro vita o sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti) e 3-ter (destinazione degli stranieri alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale, all'impiego in attività illecite degli stranieri minorenni al fine di favorirne lo sfruttamento). L'opportunità di tale inclusione è tra l'altro comprovata dagli strettissimi rapporti esistenti tra le suddette figure di reato e quelle, sopra richiamate, di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7), del codice di procedura penale;

          e) quanto ai delitti contro l'incolumità pubblica, l'incendio boschivo doloso di cui all'articolo 423-bis, commi primo, terzo e quarto, del codice penale (la ratio di tale inserimento va rinvenuta nella esponenziale crescita di tale fenomeno criminoso e nello straordinario allarme sociale ad esso direttamente riconducibile, anche per la portata spesso irreversibile dei suoi effetti), nonché i delitti di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (articolo 439 del codice penale) e di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (articolo 440 del codice penale), in considerazione della estrema pericolosità, insita in tali condotte criminose, per la salute dei cittadini;

          f) quanto ai delitti in tema di contrabbando, le fattispecie aggravate dall'uso di armi, di mezzi appositamente alterati eccetera, previste dall'articolo 291-ter, comma 2, lettere a), d) ed e), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, nonché le più gravi ipotesi associative di cui all'articolo 291-quater, comma 4, dello stesso testo unico (reati attualmente inseriti nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 1), del codice di procedura penale per effetto della legge 19 marzo 2001, n. 92). Si tratta infatti delle più allarmanti ipotesi criminose in un settore di sicuro rilievo per la criminalità organizzata, non a caso inserite anche nell'elenco dei reati attribuiti, nella fase delle indagini, alla procura distrettuale (articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale);

          g) quanto ai delitti a tutela dell'ambiente, il traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti attraverso attività organizzate, di cui all'articolo 260, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, eventualmente aggravato ai sensi del comma 2 (traffico di sostanze ad alta radioattività): anche in questo caso si tratta di condotte di estrema rilevanza e pericolosità, in un settore che attualmente attira sempre più gli interessi della criminalità organizzata.

      È appena il caso di ricordare che, in ogni concreta fattispecie riconducibile a tali figure criminose, resta ovviamente

 

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ferma la necessità di valutare l'eventuale presenza (e valenza significativa) di circostanze idonee a far ritenere insussistenti le esigenze cautelari. Si è visto infatti che tale accertamento costituisce un presupposto assolutamente irrinunciabile - «l'an della cautela»: si vedano le citate ordinanze n. 450 del 1995 e n. 130 del 2003 - nella stessa ricostruzione sistematica operata dalla Consulta in tema di misure cautelari detentive, e di legittimità delle scelte legislative che, ragionevolmente, sottraggano al giudice la scelta del tipo di misura da adottare («il quomodo della cautela»): si tratta dunque di un presupposto che, anche nella prospettiva fatta propria dall'odierno intervento di riforma, non può che rimanere imprescindibile, nonostante la diversa soluzione adottata negli ordinamenti di diversi Paesi membri dell'Unione europea (quali ad esempio la Francia, il Belgio e la Germania), qualora si tratti di sottoporre a detenzione cautelare un indagato per delitti di massimo allarme sociale.
      Le lettere f) e g) del comma 1 dell'articolo 4 in oggetto contengono una significativa modifica nell'ambito del regime delle impugnazioni avverso i provvedimenti in materia cautelare. Nella prima, si prevede l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 310 del codice di procedura penale, in base al quale attualmente l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la stessa diventi definitiva, pertanto fino alla scadenza del termine per proporre ricorso per cassazione o alla conferma della decisione all'esito del predetto giudizio di legittimità. Detta norma concede all'indagato - il quale ha già avuto modo di consultare gli atti posti a suo carico essendo necessariamente intervenuta la discovery in sede di giudizio di appello, nonché di avere notizia, pur essendo in stato di libertà, della sussistenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti da parte del pubblico ministero - di beneficiare di un ulteriore lasso di tempo tra la decisione del giudice collegiale di applicare la misura e la sua esecuzione; questo ulteriore lasso di tempo costituisce una fonte di grave pregiudizio, sotto il profilo dell'inquinamento probatorio, per le esigenze di tutela delle indagini, ma concede anche all'indagato tutto il tempo necessario per consolidare una sua eventuale latitanza. È, pertanto, apparso necessario prevedere l'abrogazione del predetto comma 3 dell'articolo 310, e introdurre (con l'articolo 4, comma 1, lettera g), del presente disegno di legge) all'articolo 311 del codice di procedura penale l'opposto principio in base al quale il ricorso per cassazione non sospende l'efficacia esecutiva dell'ordinanza emessa dal tribunale. Del resto, trattandosi di ordinanza emessa da un tribunale collegiale con la completa garanzia del contraddittorio per l'indagato, non residua alcun motivo per sospenderne l'esecuzione fino alla definitività della decisione.
      La lettera h) del comma 1 prevede, come già accennato, una modifica all'articolo 392 del codice di procedura penale, il quale individua i casi in cui è possibile svolgere l'incidente probatorio.
      Attualmente, la norma permette, nei procedimenti per i delitti di violenza e abuso sessuale, nonché per i delitti di cui agli articoli 600-bis e seguenti del codice penale (prostituzione e pornografia minorile), l'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche qualora non ricorrano le altre condizioni previste in generale dalla legge. Sostanzialmente, la previsione mira ad estromettere quanto prima il minore degli anni sedici dal processo penale, evitandogli nei limiti del possibile ulteriori turbamenti e traumi.
      L'innovazione rende possibile effettuare con incidente probatorio, sempre con riferimento ai reati citati, l'assunzione della testimonianza del minore ultrasedicenne, nonché della parte offesa anche maggiorenne, trattandosi di delitti portatori di conseguenze psicologicamente distruttive anche nei confronti dei soggetti adulti o quasi adulti. Si giustifica pertanto anche nei loro confronti l'esigenza di limitare quanto possibile la reiterazione del confronto
 

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in sede giudiziaria con la ricostruzione di esperienze drammatiche e dolorosamente umilianti.
      Le disposizioni contenute nelle lettere i) e l) del comma 1 dell'articolo 4 sono volte ad accelerare l'instaurazione del giudizio, nelle ipotesi in cui, a carico dell'indagato, sia stata emessa un'ordinanza applicativa di misura cautelare custodiale, e la valutazione circa la sussistenza della gravità indiziaria sia stata confermata in sede di riesame.

      In particolare, in siffatte ipotesi - cui possono essere assimilate quelle della mancata impugnazione ai sensi dell'articolo 309 del codice di procedura penale, della rinuncia espressa al gravame e della declaratoria di inammissibilità dello stesso da parte del tribunale - è stato previsto che, attraverso l'introduzione del comma 1-bis nell'articolo 453 del codice di procedura penale, il pubblico ministero richieda il giudizio immediato anche al di fuori dei limiti temporali individuati dall'articolo 454, comma 1, con riferimento alla iscrizione della persona nel registro degli indagati.
      Appare infatti opportuno, in tali casi (ovvero sia quando la prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza - presupposto della misura custodiale - ha ricevuto un significativo avallo in sede di riesame, sia anche quando l'indagato non ha validamente attivato tale rimedio), un «recupero» di tale procedimento speciale, che il pubblico ministero deve attivare, entro il termine sollecitatorio di sei mesi a decorrere dall'esecuzione della misura custodiale, con l'unico (e ovvio) limite costituito dalla ritenuta sussistenza di un pregiudizio per l'attività investigativa.
      Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 455 prevede peraltro anche che, qualora dopo la formulazione della richiesta sopravvenga la revoca o l'annullamento dell'ordinanza applicativa della misura custodiale, per insussistenza della gravità indiziaria, il giudice rigetti la richiesta formulata ai sensi dell'articolo 453, comma 1-bis.
      Con le disposizioni contenute nelle lettere m) e n) del comma 1 dell'articolo 4, si prevede inoltre l'abrogazione, rispettivamente, dei commi 4 e 5 dell'articolo 599 e del comma 2 dell'articolo 602 del codice di rito, i quali attualmente disciplinano l'ipotesi di accordo tra le parti per l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello con rideterminazione della pena e rinuncia agli altri motivi. Invero tale istituto, pur essendo strutturalmente e funzionalmente diverso da quello di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale - come più volte ribadito dalla Corte di cassazione: si veda, ex plurimis, le sentenze 2 luglio 2004, imputato Mezzana; 17 ottobre 2001, imputato Pugliese - ha per un verso fortemente ridimensionato, in ragione delle condizioni di accesso oggi previste per la sua applicazione (durante tutto il corso del dibattimento in appello), l'interesse a ricorrere all'istituto del patteggiamento di primo grado, con ricadute assolutamente negative sull'obiettivo di deflazione del carico processuale legato proprio al ricorso ai riti alternativi in tale fase. Per altro verso, come già accennato, l'istituto in questione rende possibile un abbattimento anche assai considerevole della pena irrogata in primo grado, attraverso l'accordo delle parti sull'accoglimento dei motivi di appello o di una parte di essi, sulla rinuncia agli altri eventuali motivi e sulla pena da loro stesse eventualmente rideterminata (nei casi in cui ciò consegua all'intesa raggiunta quanto ai motivi: ad esempio, l'accordo raggiunto per l'accoglimento del motivo di appello inerente la partecipazione ad un'associazione prevista dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, con rinuncia al motivo concernente il singolo episodio di spaccio). La Corte di cassazione ha tra l'altro affermato che tali accordi possono essere recepiti dal giudice senza particolari oneri motivazionali (potendo egli limitarsi ad affermare di aver valutato come congrua la pena indicata dalle parti: si veda Cassazione, 24 maggio 1995, imputato Di Stefano; in caso di rigetto della richiesta concordata, invece, è stata sostenuta la necessità di una specifica
 

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motivazione: si veda Cassazione, 10 ottobre 2003, imputato Mazzuca).
      Alla lettera o) del medesimo comma 1 dell'articolo 4 si prevede, infine, una modifica all'articolo 656, comma 9, del codice di procedura penale; detto articolo reca la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive, imponendo al comma 5 che, nei casi di condanna a pena non superiore a tre anni (sei anni nei casi previsti dagli articoli 90 e 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ovvero nei confronti dei tossicodipendenti che abbiano incorso o vogliano intraprendere un programma terapeutico socio-riabilitativo), il pubblico ministero ne sospenda in ogni caso l'esecuzione, onde consentire la presentazione delle eventuali richieste di concessione delle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge n. 354 del 1975 (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà) o della richiesta di sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi dell'articolo 90 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
      Detta disciplina prevede alcune deroghe, elencate al comma 9 del medesimo articolo 656:

          a) condannati per delitti di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975;

          b) condannati che si trovano in stato di custodia cautelare per il fatto oggetto della condanna da eseguire;

          c) condannati ai quali sia stata applicata la recidiva.

      In relazione a tali tipologie di condannati la sospensione non avrà luogo e si procederà con l'immediata esecuzione della pena.
      I reati previsti nella lettera a) del citato comma 9 sono in buona parte quelli già individuati come di particolare rilevanza nell'ambito del presente disegno di legge e in relazione ai quali si ritiene doverosa l'applicazione della custodia cautelare, salva l'insussistenza delle esigenze cautelari (comma 1, lettera e), dell'articolo 4 in oggetto). Conformemente a quanto già rilevato in detta sede, appare opportuno ampliare l'operatività del divieto di sospensione con riferimento a tutti i reati sopra elencati, in relazione ai quali le esigenze di tutela della collettività appaiono maggiormente bisognose di tutela; per quanto concerne, allora, le sentenze di condanna per taluno dei predetti reati, l'esecuzione della pena detentiva non sarà più automaticamente sospesa in attesa di una eventuale decisione, ma sarà immediatamente applicata, salva la facoltà per il condannato di presentare le richieste sopra descritte e salva la decisione in merito del tribunale di sorveglianza.
      La lettera o) del comma 1 dell'articolo 4, pertanto, aggiorna il catalogo dei reati indicati nell'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, aggiungendo agli stessi anche quelli di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis e 628 del codice penale, e rendendo quindi coerente il dettato della norma in questione con quello di cui al medesimo comma 1, lettera e), la quale elenca la ristretta cerchia di reati in relazione ai quali, come visto, è stata prevista l'applicazione della custodia in carcere, salva la prova dell'insussistenza delle esigenze cautelari.
      In tal modo si prevede un percorso processuale nei confronti dei soggetti responsabili dei predetti, gravissimi reati, in relazione ai quali, ove non sia stata applicata la custodia cautelare nelle precedenti fasi del procedimento, l'esecuzione della pena avverrà sempre e comunque, salva la successiva possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di richiedere la sospensione dell'esecuzione medesima.
      L'articolo 5, come già accennato, intende eliminare il difetto di coordinamento tra il codice di procedura penale e le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in ordine alla possibilità di applicare la misura della custodia cautelare ai minori indagati o imputati dei reati di cui al vigente articolo 624-bis del codice penale.

 

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      In particolare, deve osservarsi che ai sensi dell'articolo 23, comma 1, delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 - come novellato dall'articolo 42 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 - l'applicazione della custodia cautelare nei confronti dei minorenni è prevista per i delitti dolosi puniti con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, nonché «quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h), del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale». D'altro canto, l'articolo 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale richiamava, nella originaria formulazione della sua ultima parte, i delitti di furto aggravati dalla violazione di domicilio, dalla violenza sulle cose e dall'aver strappato la cosa di mano o di dosso alla persona («quando ricorre (...) taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, comma 1, numero 2, prima ipotesi e 4 seconda ipotesi del codice penale»).
      Come già in precedenza (e ad altri fini) evidenziato, la legge 26 marzo 2001, n. 128, ha peraltro autonomamente disciplinato il furto in abitazione e il furto con strappo nel nuovo articolo 624-bis del codice penale: contemporaneamente, è stata, da un lato, introdotta - nell'elencazione dei reati per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, contenuta nel comma 2 dell'articolo 380 del codice di rito - la lettera e-bis), relativa appunto alle fattispecie criminose in questione, salvo che ricorra l'attenuante della speciale tenuità di cui all'articolo 62, numero 4), del codice penale (e ciò in conseguenza della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell'originario articolo 380, comma 2, lettera e), nella parte in cui comprendeva le fattispecie in cui ricorreva la predetta attenuante); dall'altro lato, coerentemente, la legge n. 128 del 2001 ha espunto dalla lettera e) i riferimenti al furto in abitazione e al furto con strappo.
      Analogo intervento non è invece stato previsto sulla corrispondente disposizione relativa agli indagati o imputati minorenni, dettata - come si è visto - nell'articolo 23 delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988. Il perdurante rinvio, ivi contenuto, alla sola lettera e) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, ha determinato nella Suprema corte due contrapposti indirizzi interpretativi: una prima soluzione - imperniata sul principio di tassatività che deve presidiare l'applicazione delle misure cautelari, soprattutto nei confronti dei minori - esclude l'applicabilità di misure cautelari per i delitti di cui alla lettera e-bis) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, non richiamata dall'articolo 23 (si veda, ad esempio Cassazione, Sezione V, 16 gennaio 2004; in senso analogo si veda anche la sentenza n. 137 del 2003 della Corte costituzionale, che ha escluso la possibilità di diverse interpretazioni anche qualora la situazione normativa fosse frutto di una svista del legislatore).
      In senso contrario si è invece sostenuto che le modifiche intervenute nel codice penale e nell'articolo 380 del codice di rito non hanno determinato il venir meno dell'applicabilità della custodia in carcere per i delitti di furto in appartamento e furto con strappo, desumibile dall'articolo 23 delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1988 nel testo risultante dalla novella del 1991 (in tal senso, da ultimo, si veda Cassazione, Sezione IV, 23 gennaio 2007, n. 76). Ancor più recentemente, la Consulta ha avallato tale indirizzo ermeneutico, evidenziando che «il mancato "adeguamento" dell'art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 alla nuova "rassegna" delle ipotesi di furto enunciate dall'art. 380 cod. proc. pen., come novellato, non risulti affatto denotare una sorta di voluntas excludendi delle più gravi ipotesi di cui all'articolo 624-bis cod. pen. dal panorama delle fattispecie in ordine alle quali è consentita l'applicazione della misura cautelare nei confronti degli imputati minorenni» (Corte costituzionale, ordinanza 4 luglio 2007, n. 281).
 

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      Con l'inserimento di un espresso richiamo alla lettera e-bis) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, oggetto dell'intervento di cui all'articolo 5 del presente disegno di legge, si intende porre rimedio al richiamato difetto di coordinamento: risultando del tutto coerente - salva sempre l'esclusione delle ipotesi in cui ricorra la speciale tenuità del danno - l'assimilazione dei delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale al furto aggravato dall'uso di armi o dalla violenza sulle cose, per i quali è oggi pacificamente applicabile la custodia cautelare (attraverso il rinvio dell'articolo 23 delle citate disposizioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, all'articolo 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, nell'attuale formulazione).
      L'articolo 6 contiene la clausola di invarianza degli oneri a carico del bilancio dello Stato.
      L'articolo 7 disciplina l'entrata in vigore.
 

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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche al codice penale).

      1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) l'articolo 157 è sostituito dal seguente:

      «Art. 157. - (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). - La prescrizione estingue il reato con il decorso di un tempo pari al massimo della pena edittalmente prevista aumentato della metà.
      Il tempo necessario a prescrivere non può comunque:

          1) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria;

          2) essere superiore a venti anni. Per i delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale il termine è di trenta anni.

      Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze a effetto speciale e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo.
      Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
      Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, nonché per le sanzioni

 

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applicate dal giudice di pace diverse da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni.
      La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti.
      La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato»;

          b) all'articolo 158, primo comma, dopo la parola: «permanente» sono inserite le seguenti: «o continuato» e dopo la parola: «permanenza» sono aggiunte le seguenti: «o continuazione»;

          c) all'articolo 159, primo comma, dopo il numero 3) sono aggiunti i seguenti:

      «3-bis) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima;
      3-ter) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso;
      3-quater) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione; tale disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi;
      3-quinquies) richiesta di estradizione di un imputato dall'estero, per tutto il tempo decorrente dalla data della relativa richiesta sino a quella della effettiva estradizione;
      3-sexies) richiesta, in udienza preliminare o nel corso del dibattimento, di una rogatoria all'estero, per tutto il periodo compreso tra la data dell'inoltro della richiesta di assistenza giudiziaria e quella in cui perviene la risposta all'autorità giudiziaria procedente»;

 

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          d) all'articolo 160 sono apportate le seguenti modificazioni:

              1) al secondo comma, dopo le parole: «davanti al pubblico ministero» sono inserite le seguenti: «o alla polizia giudiziaria da questi delegata», dopo le parole: «sulla richiesta di archiviazione,» sono inserite le seguenti: «l'avviso di conclusione delle indagini preliminari,» e dopo le parole: «rinvio a giudizio» sono inserite le seguenti: «o di emissione del decreto penale di condanna»;

              2) il terzo comma è sostituito dal seguente:

      «La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi. Salvo che per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, i termini stabiliti dall'articolo 157, commi primo e secondo, non possono essere prolungati oltre la metà. In ogni caso, non possono essere superati i termini di cui all'articolo 157, secondo comma, numero 2)»;

              3) dopo il terzo comma sono aggiunti i seguenti:

      «La prescrizione del reato interrotta dalla sentenza di condanna non comincia nuovamente a decorrere nel caso in cui il ricorso per cassazione presentato avverso la predetta sentenza sia dichiarato inammissibile.
      La prescrizione non comincia nuovamente a decorrere, altresì, nel caso in cui sia presentato ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata in grado di appello che abbia confermato la sentenza di condanna di primo grado ovvero abbia riformato la stessa limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze. La disposizione di cui al presente comma non si applica in caso di accoglimento del ricorso»;

 

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          e) all'articolo 161, il secondo comma è sostituito dal seguente:

      «Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri»;

          f) all'articolo 164, primo comma, dopo le parole: «nell'articolo 133,» sono inserite le seguenti: «nonché alle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,»;

          g) l'articolo 572 è sostituito dal seguente:

      «Art. 572. - (Maltrattamenti contro familiari e conviventi). - Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 571, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
      La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.
      Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni»;

          h) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:

              1) al secondo comma, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «sei»;

              2) dopo il secondo comma è inserito il seguente:

      «Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con

 

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violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

              1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

              2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope»;

              3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;

          i) all'articolo 590, dopo il terzo comma è inserito il seguente:

      «Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni»;

          l) dopo l'articolo 590 è inserito il seguente:

      «Art. 590-bis. - (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti»;

          m) all'articolo 609-ter, primo comma, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:

          «5-bis) nei confronti della persona della quale il colpevole sia il coniuge, il convivente o comunque la persona che sia o sia stata legata da stabile relazione affettiva anche senza convivenza»;

 

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          n) alla sezione II del capo III del titolo XII del libro secondo, dopo l'articolo 609-decies è aggiunto il seguente:

      «Art. 609-undecies. - (Adescamento di minorenni). - Chiunque, allo scopo di abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni sedici, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzazione della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale da sedurlo, ingannarlo e comunque carpirne la fiducia, è punito con la reclusione da uno a tre anni»;

          o) all'articolo 648-bis, primo comma, le parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse;

          p) all'articolo 648-ter, primo comma, le parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse.

Art. 2.
(Modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354).

      1. All'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

      «1-bis. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefìci ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 609-bis e 609-octies del codice penale, se commessi in danno di persona minorenne, e 609-quater del citato codice penale, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione ad un programma di riabilitazione specifica».

      2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinati programmi di riabilitazione, di cui all'articolo 13 della legge 26 luglio 1975, n. 354, con specifico riferimento a quanto previsto dall'articolo 4-bis, comma 1-bis, della medesima legge n. 354 del 1975, introdotto dal comma 1 del presente articolo.

 

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Art. 3.
(Modifica all'articolo 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285).

      1. All'articolo 222, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al periodo precedente è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente».

Art. 4.
(Modifiche al codice di procedura penale).

      1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 260, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

      «3-bis. L'autorità giudiziaria può procedere, altresì, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono, per entità, di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua»;

          b) all'articolo 274, comma 1, lettera c), dopo le parole: «o dai suoi precedenti penali» sono inserite le seguenti: «o giudiziari, ovvero dalle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, di cui al decreto legislativo 28

 

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luglio 1989, n. 271» e dopo le parole: «sussiste il concreto pericolo che questi commetta» sono inserite le seguenti: «uno dei delitti di cui all'articolo 380, ovvero altri»;

          c) all'articolo 275, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:

      «1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, le misure cautelari personali sono sempre disposte quando, anche tenendo conto degli elementi sopravvenuti, risultano sussistere le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380 e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole»;

          d) all'articolo 275, il comma 2-ter è abrogato;

          e) all'articolo 275, il comma 3 è sostituito dal seguente:

      «3. La custodia in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. È applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti la mancanza di esigenze cautelari, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno dei delitti di cui ai seguenti articoli:

          a) 423-bis, commi primo, terzo e quarto, 439, 440, 624-bis e 628 del codice penale;

          b) 407, comma 2, lettera a), ad esclusione di quelli di cui all'articolo 609-quater del codice penale, quando il fatto sia di minore gravità;

          c) 12, commi 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

          d) 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;

          f) all'articolo 310, il comma 3 è abrogato;

 

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          g) all'articolo 311, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:

      «5-bis. Il ricorso per cassazione avverso la decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare non ha effetto sospensivo»;

          h) all'articolo 392, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:

      «1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1»;

          i) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

      «1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.
      1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame»;

          l) all'articolo 455, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

      «1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza»;

 

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          m) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;

          n) all'articolo 602, il comma 2 è abrogato;

          o) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni» sono inserite le seguenti: «, nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis e 624-bis, 628 del codice penale».

Art. 5.
(Modifica all'articolo 23 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448).

      1. All'articolo 23, comma 1, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, dopo le parole: «previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e),» sono inserite le seguenti: «e-bis),».

Art. 6.
(Clausola di invarianza).

      1. Dall'esecuzione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Art. 7.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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