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PDL 3305

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3305



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GRILLINI, BARATELLA, SPINI

Modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, concernente la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

Presentata il 13 dicembre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge ha l'obiettivo di garantire l'attuazione delle direttive sulla parità di trattamento in maniera conforme alle disposizioni europee, con particolare riferimento alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
      In presenza di un sistema giuridico in cui diversi individui o gruppi sociali a rischio di discriminazione sono soggetti a forme di protezione differenziata, e sostanzialmente più debole per alcuni, la presente proposta di legge si prefigge altresì di assicurare che l'ordinamento protegga in modo sostanziale il principio di parità di trattamento garantendo un medesimo livello di protezione a tutti i cittadini e i gruppi sociali, indipendentemente dai motivi di discriminazione.
      In particolare, le discriminazioni motivate dall'orientamento sessuale, che per decenni sono state ignorate dal nostro sistema giuridico, hanno di fatto negato a milioni di cittadini la garanzia del riconoscimento di quel principio di uguaglianza in senso formale e sostanziale che la Costituzione solennemente enuncia all'articolo 3. Per decenni l'ordinamento italiano ha omesso di garantire qualsiasi forma di protezione contro atti o comportamenti dettati dall'omofobia, nonché di prevedere un divieto di discriminazione fondata sull'orientamento sessuale nonostante i numerosi richiami in tal senso delle istituzioni europee.
 

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      Soltanto in seguito all'introduzione della direttiva 2000/78/CE sopra citata il legislatore italiano si è visto costretto a introdurre un divieto di discriminazione che includesse, altresì, l'orientamento sessuale. Così, per la prima volta nella storia del nostro ordinamento giuridico, il divieto di discriminazione fondato, per l'appunto, sull'orientamento sessuale è divenuto legge dello Stato. Tuttavia, non soltanto il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, attuativo della normativa comunitaria, ha scelto un approccio minimale, non cogliendo le opportunità e gli spunti che venivano offerti da una lettura complessiva della direttiva sulla parità di trattamento, la menzionata direttiva 2000/78/CE, come invece è avvenuto nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea, inclusi i Paesi candidati all'adesione, ma ha introdotto disposizioni in palese violazione della stessa normativa comunitaria, che saranno sanzionate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, come annunciato dall'avvio della procedura d'infrazione della Commissione europea nei confronti dell'Italia. Il 10 dicembre 2007, la Commissione europea, rispondendo all'interrogazione n. E-5424/071T, presentata dagli europarlamentari Sophie in 't Veld e Marco Cappato del gruppo parlamentare Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa (ALDE) ha affermato di aver «già inviato a tre Stati membri lettere d'ingiunzione relative a problemi manifesti concernenti il pieno recepimento delle disposizioni che vietano ogni discriminazione basata sull'orientamento sessuale (Lettonia, Finlandia e Italia). Si prevede che nei prossimi mesi la Commissione prenderà un'ulteriore decisione per quanto riguarda provvedimenti per infrazione», in quanto l'Italia non ha ancora provveduto ad apportare le dovute correzioni e integrazioni al decreto legislativo che avrebbe dovuto attuare la direttiva, nonostante l'ingiunzione le sia stata notificata da mesi.
      Infatti, il testo del decreto legislativo n. 216 del 2003, oltre a ignorare talune cruciali previsioni comunitarie, ha palesemente sfruttato in chiave restrittiva le «zone d'ombra» della citata direttiva 2000/78/CE, in particolare introducendo eccezioni generali e non circostanziate all'applicazione del principio di parità di trattamento: da ciò consegue il rischio che i princìpi contenuti nella direttiva restino lettera morta e che gli strumenti che erano stati determinati per garantire una protezione effettiva contro le discriminazioni siano inefficaci, soprattutto nei confronti di quegli individui o gruppi sociali che ancora sono vittime di stigmatizzazione sociale. Tale attuazione impropria e inadeguata non ha riguardato soltanto il decreto legislativo n. 216 del 2003, ma anche il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, relativo all'attuazione della direttiva sulla discriminazione razziale 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. Infatti le due direttive sono sostanzialmente «gemelle».
      Pertanto, nell'ambito della definizione di una disciplina antidiscriminatoria relativa all'orientamento sessuale adeguata agli standard stabiliti dalle istituzioni europee e introdotti ormai in tutti i Paesi membri dell'Unione europea (così come in numerosi altri Paesi, tra cui Canada, numerosi Stati degli Stati Uniti d'America, Australia, Repubblica Sudafricana, Nuova Zelanda e Messico), la presente proposta di legge intende ridefinire le norme di attuazione della direttiva sulla parità di trattamento, correggendo le gravi omissioni e le stringenti limitazioni del decreto legislativo n. 216 del 2003.
      Se l'articolo 1 e il comma 1 dell'articolo 2 precisano e migliorano, rispettivamente, lo scopo della normativa e la definizione del principio di parità di trattamento, il comma 2 dell'articolo 2 include nella definizione di discriminazione diretta e indiretta l'atto di ritorsione nei confronti di chi si sia opposto, mediante un'azione, non necessariamente di carattere giudiziale, a un comportamento, un atto o una prassi discriminatori, rafforzando in questo senso quanto disposto dal legislatore al comma 6 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 216 del 2003.
 

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      L'articolo 3 si pone in primo luogo il proposito di uniformare la disciplina interna di attuazione alla normativa comunitaria. In tale senso il comma 1 precisa quanto omesso dal legislatore italiano in riferimento all'ambito di applicazione del principio di parità di trattamento. I commi 4 e 6, invece, ridefiniscono la nozione di eccezione allo stesso principio di parità di trattamento in relazione ai cosiddetti «requisiti occupazionali», rimuovendo un'eccezione prevista dal legislatore italiano relativa alle attività delle Forze armate, di polizia, penitenziarie e di soccorso che non soltanto non era contemplata dalla direttiva, ma era in palese violazione della stessa, oltre che contraria alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di discriminazione fondata sull'orientamento sessuale nelle Forze armate nei casi Lustig-Prean e Beckett contro Regno Unito e Smith e Grady contro Regno Unito. Il comma 5 ridefinisce la norma relativa agli accertamenti di idoneità la cui formulazione contenuta nell'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 216 del 2003, appare di dubbia interpretazione e sembra, al contrario, aprire la strada a una generica eccezione al principio di parità di trattamento. Il comma 7, nel determinare in modo conforme alla direttiva le circostanze in cui disposizioni, criteri e prassi non costituiscono forme di discriminazione indiretta, sopprime il riferimento ai reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile, che, oltre a non aggiungere nulla alla disciplina già vigente in materia, nulla ha a che vedere con il decreto legislativo in oggetto, ma sembra perseguire l'obiettivo di associare la pedofilia all'omosessualità, rafforzando il pregiudizio anziché combattere la discriminazione. I commi 2 e 3 si pongono un obiettivo diverso, ovvero l'ampliamento della protezione sulla parità di trattamento con riferimento all'assistenza sanitaria, alla protezione sociale, all'istruzione, all'erogazione di beni e di servizi, incluso l'alloggio, nonché ai fattori di discriminazione previsti dalla direttiva 2000/78/CE; in altri termini, attraverso queste disposizioni si garantisce un'identica protezione contro le discriminazioni a tutti gli individui, indipendentemente dal motivo della discriminazione. L'introduzione di norme di maggior favore, già stabilite dalla direttiva 2000/43/CE in riferimento all'origine etnica e razziale, è stata effettuata in diversi Paesi europei, nonché ribadita dal Parlamento europeo nella risoluzione contro l'omofobia (2006)0018 del 18 gennaio 2006, e la stessa Commissione europea sta valutando un ampliamento della protezione della direttiva 2000/78/CE in tale senso.
      L'articolo 4 riforma alcune delle disposizioni inerenti alla tutela giudiziale prevista dal decreto legislativo n. 216 del 2003, in particolare introducendo al comma 1 quella che è stata una delle più significative e clamorose omissioni del provvedimento di attuazione della normativa comunitaria, ovvero l'assenza di previsioni relative all'inversione dell'onere della prova: il comma in oggetto si propone di introdurre la disciplina già prevista al riguardo dalle norme in materia di pari opportunità. Il comma 3 introduce una misura - anch'essa già prevista prima dalla legge 10 aprile 1991, n. 125, sulle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro e, attualmente, dal codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, che ha riunito tutte le norme vigenti in materia - volta a garantire l'efficacia tempestiva del provvedimento del giudice finalizzato alla cessazione del comportamento discriminatorio e alla rimozione dei suoi effetti.
      L'articolo 5 interviene a sanare un'altra situazione di palese violazione della normativa comunitaria, prevedendo che le associazioni e le organizzazioni portatrici di interessi specifici siano legittimate all'azione in giudizio, come richiesto dalla direttiva 2000/78/CE.
      L'articolo 6 mira a introdurre una previsione relativa al dialogo sociale e con le organizzazioni non governative, che era richiesto dalla normativa comunitaria e che non è stato considerato dal legislatore nazionale: in particolare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con gli altri Ministri competenti,
 

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con le regioni e con gli enti locali, è chiamato a farsi carico di attività di consultazione, di monitoraggio nonché di elaborazione di codici di comportamento e di buone pratiche.
      Agli stessi enti è riconosciuto inoltre, dall'articolo 7, un ruolo nella diffusione di informazioni relative alle norme in materia di parità di trattamento, come già richiesto dal legislatore comunitario.
      L'articolo 8 rende esplicito che tutte le norme contrattuali contrarie al principio della parità di trattamento sono considerate nulle.
      All'articolo 9 ci si propone di sanare un'ulteriore violazione della direttiva introdotta dall'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il quale contiene un'eccezione indiscriminata al principio di parità di trattamento con riferimento al divieto di indagini da parte delle agenzie per il lavoro, andando a indebolire uno dei momenti più delicati del rapporto di lavoro, ovvero l'accesso al lavoro.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Oggetto).

      1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, le parole: «disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione» sono sostituite dalle seguenti: «disponendo le misure necessarie per la lotta alla discriminazione fondata sui citati fattori».

Art. 2.
(Nozione di discriminazione).

      1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, l'alinea è sostituito dal seguente: «Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, il principio di parità di trattamento comporta che a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:».
      2. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale e la ritorsione a una precedente azione giudiziale ovvero l'ingiusta reazione a una precedente attività del soggetto leso volta a ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento sono considerati discriminazioni ai sensi del comma 1».

 

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Art. 3.
(Ambito di applicazione).

      1. All'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale».
      2. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come modificato dal comma 1 del presente articolo, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

          «d-bis) protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria;

          d-ter) prestazioni sociali;

          d-quater) istruzione;

          d-quinquies) accesso ai beni e ai servizi e alla loro fornitura, incluso l'alloggio».

      3. All'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, la lettera b) è abrogata.
      4. Il comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «3. Nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività d'impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate su caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa è espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato».

 

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      5. Il comma 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in relazione all'età, riguardanti gli adolescenti, i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto di lavoro e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale».

      6. Il comma 5 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o di altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti od organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività. Le differenze di trattamento di cui al presente comma non possono comunque giustificare una discriminazione basata su altri motivi».

      7. Il comma 6 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), le disposizioni, i criteri o le prassi che siano giustificati oggettivamente da finalità legittime e perseguiti attraverso mezzi appropriati e necessari».

 

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Art. 4.
(Tutela giurisdizionale dei diritti).

      1. Il comma 4 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o di comportamenti discriminatori in base alle caratteristiche di cui all'articolo 1, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione».

      2. Il comma 6 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l'atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione o ingiusta reazione ai sensi del comma 4 dell'articolo 2».

      3. Dopo il comma 8 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è aggiunto il seguente:

      «8-bis. L'inottemperanza ai provvedimenti giudiziali di cessazione del comportamento discriminatorio e di rimozione degli effetti della discriminazione comporta il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo».

Art. 5.
(Legittimazione ad agire).

      1. L'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - (Legittimazione ad agire). - 1. Fatte salve le misure più favorevoli previste dalla legge, le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le organizzazioni e le associazioni

 

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che hanno un interesse specifico ad intervenire in giudizio in ragione degli interessi che rappresentano sono legittimate ad agire ai sensi dell'articolo 4, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, in forza di delega rilasciata per iscritto, a pena di nullità, o a suo sostegno, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.
      2. Le rappresentanze sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, anche qualora non siano individuabili in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione».

Art. 6.
(Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative).

      1. Dopo l'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come da ultimo sostituito dall'articolo 5 della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-bis. - (Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative). - 1. Allo scopo di sostenere il principio di parità di trattamento, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale promuove la consultazione delle parti sociali nonché delle organizzazioni e delle associazioni di cui all'articolo 5.
      2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, d'intesa con le parti sociali e con le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1, promuove altresì il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, delle norme contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei codici di comportamento nonché ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche e adotta le misure necessarie per assicurare in tali ambiti il rispetto dei requisiti minimi previsti dal presente decreto.
      3. Le regioni, in collaborazione con le province, con i comuni e con le organizzazioni e le associazioni di cui all'articolo 5, ai fini dell'attuazione del presente decreto

 

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e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per le vittime delle discriminazioni fondate su religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale».

Art. 7.
(Diffusione delle informazioni).

      1. Dopo l'articolo 5-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, introdotto dall'articolo 6 della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-ter. - (Diffusione delle informazioni). - 1. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con gli altri Ministri competenti e d'intesa con l'Autorità per la lotta alle discriminazioni nonché con le parti sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui all'articolo 5, e di intesa con esse, adotta le iniziative necessarie alla diffusione delle informazioni sui luoghi di lavoro, anche mediante campagne informative sul territorio nazionale, allo scopo di assicurare che le disposizioni di cui al presente decreto siano portate all'attenzione dei soggetti interessati.
      2. Le iniziative di cui al comma 1 sono altresì adottate dalle regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, tramite i centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale previsti dal comma 3 dell'articolo 5-bis».

Art. 8.
(Disposizioni finali).

      1. Dopo l'articolo 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente:

      «Art. 6-bis. - (Disposizioni finali). - 1. Sono nulle tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento di cui al presente decreto contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei regolamenti aziendali, nei codici di comportamento e nei codici deontologici.

 

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      2. Sono altresì nulle, ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile, le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del presente decreto».

Art. 9.
(Modifica dell'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276).

      1. L'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente:

      «Art. 10. - (Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori). - 1. È fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, all'affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, all'età, all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore della pelle, all'ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro.
      2. Non costituiscono atti di discriminazione le differenze di trattamento basate sulle caratteristiche di cui al comma 1 qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa è espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato.
      3. È fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
      4. Le disposizioni stabilite dal presente articolo non possono in ogni caso impedire ai soggetti di cui al comma 1 di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati nella ricerca di un'occupazione».


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