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PDL 3306

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3306



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GIORDANO, MIGLIORE, MASCIA, FALOMI, ACERBO, BURGIO, CACCIARI, CARDANO, CARUSO, COGODI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE, DEIANA, DIOGUARDI, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FOLENA, FORGIONE, FRIAS, GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA, IACOMINO, KHALIL, LOCATELLI, LOMBARDI, MANTOVANI, MUNGO, OLIVIERI, PEGOLO, PERUGIA, PROVERA, ANDREA RICCI, MARIO RICCI, ROCCHI, FRANCO RUSSO, SINISCALCHI, SMERIGLIO, SPERANDIO, ZIPPONI

Introduzione di un limite massimo per le retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e dei magistrati e per il trattamento economico dei parlamentari nazionali ed europei

Presentata il 13 dicembre 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge riprende lo spirito di un progetto normativo che abbiamo sostenuto e caldeggiato fin dal 28 luglio 1999 quando presentammo una proposta di legge (atto Camera n. 6288, XIII legislatura) su questo medesimo tema e dallo stesso tenore.
      L'esigenza che ci ha spinto a presentare la proposta di legge deriva dalla necessità di porre un freno e un limite all'escalation retributiva sempre più visibile e presente nei livelli più alti della pubblica amministrazione, nonché nei cosiddetti «top level manager», chiamati a ricoprire tale ruolo direttamente dal responsabile della pubblica amministrazione in questione e legati ad essa da contratti di lavoro di natura privatistica, introdotti nel nostro ordinamento soprattutto a seguito della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dalle norme ad essa succedute.
      Siffatte assunzioni sono effettuate talvolta, per non dire sovente, al di là delle stesse capacità dei diretti interessati, e ciò si è tradotto e si traduce in pratiche dal sapore clientelare e, sempre, in esborsi
 

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assai esosi a carico dell'ente pubblico e, quindi, della collettività. Tutto questo accade nel momento in cui si fa sempre più pesante la scure dei tagli della spesa nei confronti della pubblica amministrazione, che ha come conseguenza immediata la riduzione progressiva del soddisfacimento delle esigenze della popolazione, soprattutto nel settore dei servizi. In una stagione di rinnovi contrattuali delle principali categorie, le lavoratrici e i lavoratori patiscono la riduzione del personale e la beffa di aumenti contrattuali - al di là della stessa durata delle vertenze - praticamente inesistenti. Tutto ciò ha un peso enorme e difficilmente sopportabile da parte della stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici i cui stipendi, per i livelli più bassi, superano di poco gli 850 euro mensili. Gli auspicati elementi di riequilibrio e di equità comporterebbero un risparmio notevole da parte della pubblica amministrazione a tutto vantaggio dei cittadini e dell'accoglimento delle esigenze collettive.
      Ma l'obiettivo risulterebbe solo parzialmente ottenuto se non fosse parimenti messa in campo una riduzione dei costi connessi alla vita politica, ben sapendo che altro è proporre questo, altro è proporre una riduzione dei costi della democrazia.
      Abbiamo già avanzato un progetto di riforma complessivo inerente i costi impropri della pubblica amministrazione e della politica locale e nazionale. Con la proposta di legge presentata lo scorso 6 novembre (atto Camera n. 3213) abbiamo infatti chiarito che la necessità di una riduzione del numero dei Ministeri e degli assessorati, delle comunità montane e degli enti «inutili» non può ripercuotersi negativamente sulla democrazia rappresentativa. Essa infatti, ancorché non esaurisca la partecipazione popolare, si sostanzia in un giusto rapporto tra elettori ed eletti. Questo comporta un numero equilibrato, non troppo ristretto, di rappresentanti eletti a suffragio universale e un emolumento che non si trasformi in odioso privilegio. Con queste premesse riteniamo necessario intervenire sul munus dovuto ai parlamentari, che è generalmente sentito come troppo elevato in considerazione dell'impegno lavorativo ad essi richiesto. Non abbiamo difficoltà a proporre che anche i deputati e i senatori nonché i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, in un quadro di generale riduzione salariale, vedano ridotto il loro appannaggio nella medesima misura prevista per i dirigenti della pubblica amministrazione. L'Italia, per una volta, potrebbe fare scuola agli altri Paesi europei che oggi versano indennità ed emolumenti equivalenti a quelli versati attualmente ai parlamentari nazionali.
      Non volendo introdurre una normazione monca riteniamo necessario prevedere l'estensione del tetto stipendiale anche nei confronti dei magistrati, indipendentemente dalla funzione svolta. Non si vogliono ridurre in alcun modo l'autonomia e l'autogoverno del potere giudiziario, ma riteniamo non persecutorio introdurre un principio perequativo anche a beneficio di soggetti meno fortunati. Se ce ne fosse bisogno, precisiamo che non interveniamo, assolutamente, sulla progressione di carriera di figure tanto importanti, quali i magistrati requirenti e giudicanti, ma vogliamo solo inserirla nell'ambito di un principio equitativo generale. Bisogna infatti ricordare che il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale della stessa Corte sommando lo stipendio, l'indennità integrativa e l'indennità giudiziaria, guadagnano un importo mensile lordo di oltre 15.000 euro.
      L'articolo 1, comma 1, della presente proposta di legge, pertanto, prevede che tra i dipendenti pubblici la forbice retributiva tra il livello più basso e quello più alto non sia superiore a dieci. Bisogna sottolineare che, al fine di tendere alla massima perequazione, nel medesimo comma abbiamo individuato come parametro non il livello più basso della singola pubblica amministrazione ma il livello medio tra i salari più bassi. Con il comma 2 del medesimo articolo 1 si procede a definire il limite massimo dei benefìci previsti da norme contrattuali e aziendali erogati a vantaggio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, compresi i
 

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manager, il cui importo non può superare il 50 per cento della retribuzione stessa.
      Con il comma 3 si prevede che i compensi previsti dai contratti di natura privatistica sottoscritti tra le pubbliche amministrazioni e i singoli prestatori d'opera, siano essi manager o altro, anche in questo caso non siano superiori a dieci volte la retribuzione prevista per i dipendenti pubblici inquadrati al livello più basso.
      L'articolo 2 riforma la disciplina vigente in materia di indennità parlamentari, e, segnatamente, la legge 31 ottobre 1965, n. 1261, estendendo il tetto retributivo anche ai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo.
      L'articolo 3 estende, analogamente all'articolo 2, la disciplina prevista dalla presente proposta di legge ai magistrati intervenendo sulla legge 19 febbraio 1981, n. 27.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'ammontare della retribuzione massima dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, qualunque ruolo o incarico essi ricoprano, non può essere superiore all'ammontare equivalente a dieci volte la media delle retribuzioni minime previste per i dipendenti delle medesime amministrazioni al livello più basso.

      2. La somma delle voci economiche aggiuntive eventualmente previste ed erogate ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 non può altresì superare il 50 per cento del totale della retribuzione.

      3. Il limite di cui al comma 1 si intende valido anche per i contratti di natura privatistica sottoscritti tra le pubbliche amministrazioni e i singoli prestatori d'opera, qualunque siano il livello, i compiti e la durata del rapporto di lavoro. Qualora tale rapporto abbia una durata inferiore a dodici mesi o preveda comunque un periodo non coincidente con l'intera annualità, la retribuzione è calcolata in dodicesimi.

Art. 2.

      1. All'articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «L'ammontare complessivo dell'indennità e del rimborso di spese dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nonché dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia non può comunque essere superiore all'ammontare equivalente a dieci volte la media delle retribuzioni minime previste per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni al livello più basso».

 

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Art. 3.

      1. All'articolo 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «La retribuzione massima di un magistrato, indipendentemente dalla funzione svolta e dall'anzianità maturata, non può comunque essere superiore all'ammontare equivalente a dieci volte la media delle retribuzioni minime previste per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni al livello più basso».    
    
    


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