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PDL 3337

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3337


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

TURCO, BELTRANDI, D'ELIA, MELLANO, PORETTI

Abrogazione dell'articolo 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, e dei commi da 228 a 231 dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di poteri speciali attribuiti al Ministro dell'economia e delle finanze nei riguardi delle società privatizzate, nonché dei commi da 381 a 384 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, concernenti altri strumenti di controllo societario

Presentata il 16 gennaio 2008

      

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Onorevoli Colleghi! - La normativa in vigore sulle procedure di privatizzazione prevede che, nel caso delle società che operano nei settori della difesa, delle telecomunicazioni, dei trasporti, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi (le cosiddette «public utilities»), lo Stato possa riservarsi alcuni penetranti poteri speciali sulle società privatizzate, anche dopo la perdita del controllo sulle stesse. In particolare lo Stato può riservarsi (oltre a minori facoltà di «controllo e gradimento» su alcuni atti amministrativi e gestionali) un vero e proprio potere di veto sull'adozione di delibere di particolare rilevanza, quali scioglimento e messa in liquidazione, trasferimento dell'azienda, fusione e scissione, cambiamento dell'oggetto sociale, trasferimento della sede all'estero, modificazioni statutarie relative ai poteri speciali riservati allo Stato, e infine il potere di nominare uno o più amministratori e un componente del collegio sindacale.
      Lo Stato ha anche un potere di «gradimento» sull'ingresso di soci in posizione rilevante; poiché, evidentemente, esso potrà esercitare questo diritto solo dopo l'assunzione della partecipazione, si capisce bene a quali inconvenienti tale procedura
 

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potrà portare ai danni dell'acquirente.
      L'istituto della «golden share» è ripreso dall'esperienza di privatizzazione britannica ma, rispetto a questa, presenta significative differenze. Ma vi sono anche degli altri strumenti finalizzati alla difesa del controllo societario, come la cosiddetta «poison pill».
      Nel caso inglese, la «golden share» fu utilizzata nella privatizzazione di alcune imprese a carattere assolutamente strategico per il Paese (difesa, aeronautica), mentre la normativa italiana ne dilata l'uso a settori economicamente importanti ma che nulla hanno a che vedere con la sovranità nazionale, e ne prolunga nel tempo l'applicazione: le società così privatizzate potrebbero restare sotto la «protezione» pubblica anche a tempo indefinito. In aggiunta a questo, la disciplina è stata estesa anche a tutte le aziende di proprietà degli enti territoriali e quindi anche a quelle regionali e municipali.
      Dopo tanta fatica per avviare il superamento delle partecipazioni statali, la «golden share» all'italiana arriva quasi a configurare un nuovo modello di intervento pubblico nell'economia: perfino più perverso delle partecipazioni statali, perché ora lo Stato può esercitare i suoi poteri di veto e condizionamento a tempo indeterminato, senza però partecipare al capitale di rischio dell'impresa.
      E poiché l'esercizio di questi poteri, viene ribadito, deve tener conto degli «obiettivi di politica economica e industriale del Paese», la «golden share», da strumento di mera garanzia, diventa un mezzo per finalizzare la gestione delle ex imprese pubbliche al perseguimento di obiettivi politici.
      Ammesso e non concesso che la «golden share» fosse necessaria, occorreva introdurla come semplice strumento di garanzia, utile tutt'al più per assicurare in particolari circostanze e per un tempo determinato linearità e trasparenza nelle operazioni che si svolgono nella società privatizzata, con l'obiettivo di «abituarla» gradualmente alle dinamiche di mercato. Come uno strumento a tutela del mercato, insomma, e non contro di esso. In Italia, invece, la «golden share» è concepita come uno strumento vincolante, al fine di indirizzare gli assetti societari delle società formalmente privatizzate verso esiti e comportamenti graditi all'ex azionista pubblico, cioè lo Stato (cioè i partiti).
      La «golden share» all'italiana è, o rischia di essere, il grimaldello per irrigidire il mercato e per proteggere interessi consolidati.
      Per garantire la tutela degli interessi pubblici coinvolti nella privatizzazione di imprese operanti nel settore dei pubblici servizi, la stessa norma sulle procedure di privatizzazione le subordina all'istituzione di organismi indipendenti, per la regolamentazione delle tariffe e il controllo sulla qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico.
      Tale procedura appare sufficiente a garantire questi ultimi (ad esempio, in materia di regolazione delle tariffe e degli standard dei servizi) e rende perfettamente inutile il mantenimento della «golden share».
      In un sistema che riconosca il libero mercato, lo Stato deve poter esercitare anche nei settori delle «public utilities» una facoltà di regolazione e vigilanza, senza necessità di disporre di poteri di ingerenza sulla gestione e sugli assetti proprietari.
      Cedere la proprietà e riservarsi poteri così incisivi vuol dire non aver fiducia nei meccanismi di mercato, e soprattutto nelle capacità dello Stato ad agire come suo regolatore, sostenuto da una forte e consapevole classe politica.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'articolo 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, e successive modificazioni, è abrogato.
      2. I commi 228, 229, 230 e 231 dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sono abrogati.
      3. I commi 381, 382, 383 e 384 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono abrogati.


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