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PDL 806

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 806



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CHIAROMONTE, AMICI, BAFILE, BENVENUTO, BIANCHI, BRANDOLINI, BURTONE, CECCUZZI, CIALENTE, CORDONI, CRISCI, D'ANTONA, DATO, DE BRASI, FILIPPESCHI, FINCATO, FRANCI, GALEAZZI, GIOVANELLI, GIULIETTI, GRILLINI, LUMIA, MARTELLA, MUSI, OLIVERIO, PINOTTI, QUARTIANI, ROTONDO, SASSO, SERENI, SERVODIO, SPINI, SQUEGLIA, TRUPIA, VILLARI, ZANOTTI, ZUNINO

Norme a tutela delle città storiche

Presentata il 19 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - I centri storici rappresentano la caratteristica peculiare del nostro Paese, la sua identità culturale e immagine caratterizzante. Nello stesso tempo essi sono una delle maggiori ricchezze, in quanto straordinaria attrattiva del turismo nazionale e internazionale e costituiscono, pertanto, un prezioso e immenso patrimonio storico-artistico.
      Alla eccezionale valenza culturale delle città storiche, con le loro aree centrali e i sistemi urbani di interesse storico-artistico (centri, quartieri e siti), non corrisponde ancora una normativa adeguata che vada oltre gli aspetti urbanistici e di mera conservazione passiva.
      Da ciò l'esigenza di una specifica legge che, ferma restando la disciplina urbanistica in vigore, regoli la conservazione delle città storiche, ma, soprattutto, le attività di recupero e di valorizzazione che ormai si rendono necessarie.
      La presente proposta di legge opera una scelta di fondamentale importanza dal punto di vista culturale: ricomprende i centri storici nel novero di quei beni sottoposti alle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
 

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decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e appronta un agile strumento operativo per assicurare, nell'immediato, una efficace tutela per la conservazione dei suoi valori, capace anche di coniugarsi con una adeguata valorizzazione.
      Si potrà in tale modo operare un cambiamento radicale nella gestione del patrimonio culturale nelle città storiche, abbandonando definitivamente la rigidità selettiva o pervasiva di una tutela passiva spesso stimolata unicamente dall'emergenza e dall'intervento straordinario; una prassi divenuta negli ultimi decenni costante dell'attività amministrativa e legislativa.
      Si intende così passare a una politica di prevenzione, di manutenzione e di progettualità, con il duplice vantaggio di evitare che i beni soggetti a vincolo e, pertanto, resi indisponibili alle dinamiche vive della fruizione e del mercato, versino in condizioni di abbandono, incorrendo in un degrado che può anche raggiungere carattere di irreversibilità, aumentando la necessità di finanziamenti pubblici per il restauro destinati a risultare sempre inferiori alle enormi necessità.
      La proposta di legge si prefigge, inoltre, di armonizzare e raccordare l'opera delle soprintendenze statali con le prerogative dei comuni, in accordo con quanto stabilito dalla ripartizione di funzioni e di compiti definita dal titolo V della parte seconda della Costituzione.
      Le norme vigenti si muovono, nel loro complesso, in un'ottica urbanistica e vincolistica, mentre le disposizioni proposte vogliono affrontare i nodi di una tutela capace di integrarsi con la valorizzazione del patrimonio storico urbano, esaltandone il valore storico-artistico e ambientale. L'avvio di una politica di sviluppo urbano e territoriale che non si inceppi di fronte ai delicati problemi di intervento conservativo, connessi con la qualità storico-ambientale, e con le esigenze di gestione dei comuni, presuppone anzitutto una più stretta e organica collaborazione tra gli organi pubblici preposti alla tutela del patrimonio culturale e i responsabili degli aspetti urbanistici.
      Da un punto di vista normativo, non esiste una definizione di «centro storico»: categoria, del resto, revocata in dubbio anche dalla elaborazione scientifica del settore. D'altra parte una delimitazione statica del patrimonio storico urbano non sarebbe adeguata all'evoluzione del tessuto edilizio e sociale della città. In generale, si possono ricomprendere nelle aree storiche non soltanto le zone centrali consolidate di interesse storico-artistico, ma anche i loro nuclei edilizi e sistemi urbani che sono caratterizzati architettonicamente e di particolare pregio ambientale.
      È utile ricordare come già la cosiddetta «Commissione Franceschini» (di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310) nella XL dichiarazione della relazione finale - che si occupa dei centri storici urbani, grandi e piccoli, interi o frammentari, completamente o parzialmente conservati nella loro originaria struttura - ha formulato la seguente definizione: «Sono da considerare centri storici urbani quelle strutture insediative urbane che costituiscono unità culturale o la parte originaria e autentica di insediamenti e testimoniano i caratteri di una viva cultura urbana». Oggi, un più maturo approccio, capace di assumere con maggiore consapevolezza le dinamiche dei processi trasformativi urbani, tende ad abbandonare una visione statica del centro storico, inteso come area delimitabile e isolabile nel contesto urbano, per riconoscere nella città storica una dislocazione più articolata dei valori culturali e ambientali, i quali si addensano, per lo più, nelle aree centrali ma si sviluppano anche verso la periferia secondo concatenazioni sistematiche che ricalcano, generalmente, una struttura urbana storica risalente al più lontano passato.
      In Italia l'esigenza di assicurare una adeguata ed efficace tutela delle città storiche fu particolarmente avvertita nell'immediato dopoguerra, prima con gli interventi di ricostruzione del tessuto edilizio distrutto dagli eventi bellici e, successivamente,
 

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con l'attività edilizia alimentata dalla ripresa economica.
      Tale difesa del patrimonio storico urbano dal degrado, dovuto all'azione sconsiderata dello sfruttamento fondiario ed edilizio, ha avuto un pioniere e una guida ideologica, già negli anni cinquanta, in Antonio Cederna.
      Le istituzioni pubbliche non rimasero, per parte loro, totalmente insensibili al problema e, nel 1956, venne nominata una Commissione parlamentare mista per la tutela del patrimonio artistico e culturale, che elaborò un piano di lavoro nel quale si prevedeva il censimento del patrimonio e l'individuazione di strumenti di tutela per fornire al Parlamento una esauriente documentazione, onde predisporre i provvedimenti necessari.
      L'affermarsi di questa nuova coscienza per la tutela e la conservazione del patrimonio artistico e culturale portò, in occasione del Convegno sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storici, tenutosi a Gubbio il 19 settembre 1960, ad affermare la coincidenza del concetto di monumento con l'intera città storica.
      In buona sostanza emerse, ormai con forza, come la cultura moderna avesse esteso il concetto di tutela del singolo monumento a tutto il patrimonio storico urbano e avesse imposto, quindi, di considerare di esso, come qualità essenziale e determinante, proprio il carattere d'insieme, sia nella sua unità complessiva che nella stratificazione delle tracce e delle memorie storiche determinanti la continua e composita configurazione edilizia e naturale.
      Monumento da rispettare e da salvaguardare è, quindi, non solo il bene individuo, ma tutta la città storica, tutto l'insieme della sua struttura urbana, quale si è venuta lentamente componendo nei secoli. Ha assunto una importanza sempre maggiore il valore del «contesto», del valore che un oggetto, un immobile assume non tanto di per sé, quanto per la cornice nella quale è inserito.
      La Carta di Gubbio del 1960 formulò i princìpi per la salvaguardia e il risanamento dei centri storici, tra i quali sono da evidenziare in modo particolare quelli tesi ad esaltare la natura di bene culturale dell'intero centro storico, quartiere o sito di interesse storico-artistico e cioè:

              1) la disposizione di un vincolo di salvaguardia, in attesa dell'adozione dei relativi piani di risanamento conservativo;

              2) l'adozione da parte dei comuni dei piani particolareggiati soggetti a un efficace controllo, con una snella procedura di approvazione e di attuazione;

              3) le modalità e la gradualità degli interventi da attuare per comparti, ciascuno dei quali rappresenti una entità di insediamento e di intervento;

              4) il rifiuto del criterio del ripristino e delle aggiunte stilistiche, del rifacimento mimetico, della demolizione di edifici, di ogni diradamento e isolamento di edifici monumentali.

      Oggi riconosciamo il valore decisivo di quelle formulazioni, non senza avere piena consapevolezza del limite teorico insito nel concetto di un «centro storico» inteso in termini di zonizzazione urbanistica, come comparto topograficamente limitato ad un'area centrale e come contesto urbano «diverso» dal resto della città, assoggettabile a normative puramente difensive e vincolistiche.
      La legislazione fondamentale in materia di tutela di centri storici è costituita dai due complessi normativi del 1939. La legge 1o giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, era diretta alla tutela delle cose di interesse storico e artistico attraverso i vincoli per le destinazioni d'uso e le autorizzazioni per realizzare modificazioni, restauri, rimozioni, demolizioni. La legge 29 giugno 1939, n. 1497, pur riguardando la tutela delle bellezze naturali, prevedeva vincoli paesaggistici che erano estesi a complessi di cose immobili che componevano un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale.
      Se si prescinde da queste norme (attualmente in gran parte confluite nel citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004), il problema della conservazione

 

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degli edifici esistenti - e quindi della conservazione del patrimonio storico urbano - non ha trovato una disciplina differenziata rispetto agli interventi normativi in materia edilizia.
      Nella legislazione che interessa il patrimonio storico urbano e quindi le città storiche nel loro complesso, assume, allora, particolare importanza la disposizione della legge 6 agosto 1967, n. 765, (cosiddetta «legge ponte»), recante modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, che attribuiva al Ministro dei lavori pubblici la possibilità di delimitare, con proprio decreto, le zone territoriali omogenee all'interno del territorio comunale. In applicazione di questa disposizione è stato emanato il decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, che, occupandosi di disciplinare gli standard da rispettare al momento della formazione dei nuovi strumenti urbanistici, prende esplicitamente in considerazione, all'articolo 2, classificandole come zone omogenee di tipo A), le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi (comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi).
      Per la prima volta viene, così, riconosciuta in sede legislativa la possibilità di intervenire attivamente nei centri storici, conferendo ai pubblici poteri la facoltà di incidere sulla disponibilità e sulla utilizzazione degli immobili in essi compresi.
      Successivamente la legge 5 agosto 1978, n. 457, ha disciplinato il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. Lo strumento individuato (per il recupero delle aree degradate) è il piano di recupero che, pur avendo una impostazione squisitamente urbanistica, non ha prodotto, per quanto concerne i centri storici, gli effetti sperati. È, infatti, mancato il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati destinatari del recupero e della valorizzazione del valore culturale espresso dai centri storici medesimi.
      Alla richiamata normativa generale hanno fatto seguito numerose leggi speciali, volte al recupero dei centri storici di singole città e dettate dall'esigenza di intervenire di volta in volta per risolvere particolari problemi. Soluzione, questa, che ha costituito, fino ad oggi, il principale modello di intervento in tema di patrimonio storico urbano.
      In Parlamento, nel corso degli anni, sono state presentate numerose proposte e disegni di legge di iniziativa parlamentare; si tratta di atti che, nella quasi totalità, riguardano interventi su singole città. Soltanto alcuni presentano una valenza generale intesa al recupero del patrimonio storico urbano delle città denominate «d'arte».
      Si pone intanto una questione relativa alla definizione di centro storico. Una definizione è quella che vuole soddisfatti i seguenti requisiti: la presenza di beni e di attività culturali di rilevante importanza, la conservazione delle caratteristiche storiche delle città, l'esistenza di consistenti flussi turistici e una popolazione non inferiore a 50 mila abitanti.
      Può essere utile, in questa sede, rimarcare come la definizione del concetto di città d'arte non sia stata ancora stabilita dal legislatore, mentre nel linguaggio corrente si tende ad identificare le città d'arte con i centri storici ricchi di tesori artistici e, perciò, dotati di rilevanti attrattive turistiche.
      Una tale definizione, però, non può essere accolta perché non appare utile ai fini della conservazione e della valorizzazione dei centri storici e, inoltre, rischierebbe di provocare una discriminazione inaccettabile per quelle città che, pur essendo di grande interesse storico-artistico, non raggiungono il numero di abitanti astrattamente determinato.
      Tale classificazione, infatti, se da una parte verrebbe a includere alcune delle cosiddette «aree metropolitane», dall'altra però escluderebbe centinaia, forse migliaia, di piccoli centri storici di eccezionale valore storico-artistico e ambientale. Si ritiene, quindi, più corretto parlare di
 

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città storiche, la cui definizione trova, invece, riscontro nella dottrina del settore.
      La speciale Commissione per le città storiche del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, incaricata di approfondire i problemi connessi alla tutela delle predette città e di indicare gli strumenti normativi e tecnici più idonei per il recupero, la conservazione e la valorizzazione delle medesime, aveva elaborato la seguente definizione, che può essere adottata come parametro di riferimento: «Città storica è quella che, con la stratificazione dei suoi monumenti e dell'intero tessuto urbano, rispecchia esemplarmente il processo evolutivo storico, antropologico, culturale e artistico di cui è stata protagonista».
      A differenza di progetti di legge analoghi, in questo caso, come si è accennato in precedenza, è stato dato larghissimo spazio, lo spazio che la Costituzione impone, a compiti e funzioni dei comuni. Ad essi è riservata la funzione di individuazione del proprio centro storico e la conseguente perimetrazione. Le soprintendenze statali intervengono solo in caso di inerzia dei comuni e qualora rilevino l'interesse storico o artistico del sito. Ai comuni comunque spetta - in un ambito di programmazione con le regioni e con lo Stato - il compito di promuovere, attuare, programmare e coordinare le attività di conservazione e di valorizzazione dei centri storici.
      Si concretizza quindi il principio secondo il quale allo Stato, e in particolare alle autorità preposte, sono attribuiti compiti di tutela sui centri storici e di definizione delle cosiddette «norme di cornice», mentre ai comuni è riservata ogni funzione relativa alla valorizzazione e alla conservazione dei centri storici, assolvendo così al principio della sussidiarietà e a quello della distribuzione delle competenze.
      Un simile provvedimento diventa poi oggi tanto più utile e urgente: le spinte verso politiche di valorizzazione e di gestione del patrimonio culturale in chiave esclusivamente finanziaria, il progressivo abbassamento del livello di guardia rispetto alla tutela dell'integrità dei centri storici, attraverso provvedimenti che subordinano l'interesse collettivo a quello particolare, la negazione del nuovo ruolo delle regioni e degli enti locali, sono tutti elementi che, in questo particolare ambito, rischiano di determinare lo sgretolamento materiale e simbolico dei nostri centri storici.
      L'articolato affronta i temi della identificazione e della perimetrazione dei centri storici (compiute di intesa tra comuni e soprintendenze competenti), della programmazione annuale dei progetti di recupero e di valorizzazione (di intesa con la soprintendenza competente, il programma è adottato in una apposita conferenza dei servizi) (articolo 1).
      Il Ministero dei beni e delle attività culturali, oltre a destinare una certa percentuale dei propri fondi al concorso per le spese di realizzazione dei programmi annuali (articolo 1), dichiara, tramite la soprintendenza competente, l'eventuale interesse culturale di locali, luoghi di tradizionali attività (articolo 3). Oltre, naturalmente, a sottoporre i centri storici alle disposizioni stabilite dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, con l'eccezione del dovere della comunicazione delle alienazioni e del diritto di prelazione (articolo 2).
      Una strettissima collaborazione tra soprintendenze, comuni, province e regioni si stabilisce per la programmazione degli eventi e delle manifestazioni (articolo 4), nonché per la concessione in uso di immobili di interesse storico-artistico (articolo 5).
      I comuni, le province e le regioni, ciascuno secondo le proprie prerogative e i propri ambiti, definiscono i criteri per la razionalizzazione e la ottimizzazione dei flussi turistici sul territorio (articolo 6).
      L'articolo 7 si occupa dell'autorizzazione di spesa per l'attuazione della legge e della relativa copertura finanziaria.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Centri, quartieri e siti storici).

      1. Costituiscono obiettivo primario dello Stato, delle regioni e degli enti locali, la conservazione e la valorizzazione delle città storiche che con i loro monumenti, aree e luoghi di interesse storico o artistico e con la stratificazione dell'intero tessuto urbano rispecchiano significativamente il processo evolutivo antropologico, storico e culturale di cui sono testimonianza. Spetta ai comuni, secondo una programmazione stabilita di intesa con la regione competente e con gli organi dello Stato cui è demandata la tutela del patrimonio culturale, promuovere e porre in atto o coordinare le attività finalizzate alla conservazione e alla valorizzazione delle città storiche.
      2. I comuni che hanno interesse alla loro conservazione e valorizzazione come città storica, provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, all'individuazione e alla delimitazione dei loro centri, quartieri e siti, anche non contigui, di valenza storica o artistica, confermando o aggiornando, qualora sia effettuata, l'analoga perimetrazione prevista dagli strumenti urbanistici vigenti. L'individuazione è compiuta di intesa tra il comune e la competente soprintendenza per i beni architettonici e paesistici, sentito il parere delle competenti soprintendenze per i beni archeologici e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoanetropologico. Il comune può anche effettuare di propria iniziativa la definizione o l'aggiornamento della perimetrazione e chiedere al competente soprintendente per i beni architettonici e paesistici la conformità della perimetrazione medesima all'estensione del patrimonio storico urbano. Il soprintendente

 

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provvede entro tre mesi dal ricevimento della richiesta. Qualora i comuni non effettuino la perimetrazione entro il termine indicato dal presente comma, il soprintendente, ove rilevi l'interesse storico o artistico, predispone la perimetrazione e la propone ai comuni interessati per le determinazioni del caso.
      3. I comuni, ottenuto l'accertamento di cui al comma 2, possono adottare il programma degli interventi a salvaguardia del patrimonio storico urbano presente nel proprio territorio, nonché le linee guida per la città storica relativa alla sua trasformazione. Il programma assicura l'integrità dei monumenti, dei luoghi e degli edifici di interesse storico e quelli di valore ambientale, nonché di ogni altro elemento tradizionale e caratteristico del contesto cittadino, preservando l'identità urbana definita dalla trama edilizia e dal rapporto con il territorio. Il programma riguarda anche le testimonianze archeologiche, comprese quelle di proprietà non statale. Il programma e le linee guida per la città storica sono approvati dal comune, sentiti i competenti soprintendenti.
      4. Ai fini del programma di cui al comma 1, il comune, di intesa con la competente soprintendenza per i beni architettonici e paesistici, determina, nell'ambito della zona perimetrata, gli ambiti urbani, i luoghi e le aree soggetti alle disposizioni di cui all'articolo 2. Per le restanti parti della zona perimetrata, il comune e la soprintendenza determinano, di intesa, i vincoli, le regole e le modalità di esecuzione degli interventi di conservazione e di valorizzazione.
      5. I comuni che hanno ottenuto l'accertamento di cui al comma 2 e si sono dotati del programma per gli interventi a salvaguardia del patrimonio storico urbano sono tenuti, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili, a predisporre ogni anno un programma volto ad assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, di proprietà pubblica e privata, esistente nelle città storiche.
      6. Il programma annuale di cui al comma 5 riguarda anche la qualità e le caratteristiche architettoniche, cromatiche
 

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e dei materiali dell'ambiente urbano nei suoi spazi pubblici e privati, nelle finiture e negli arredi delle facciate e delle pavimentazioni, nelle vetrine, nelle insegne e negli arredi mobili, nella sistemazione degli impianti e in ogni altro elemento incidente sull'immagine urbana, nel rispetto dei caratteri originali e tradizionali. Il programma annuale è adottato in una apposita conferenza di servizi tra rappresentanti del comune e delle competenti soprintendenze.
      7. Per la realizzazione del programma annuale il comune promuove accordi di programma con le amministrazioni pubbliche interessate e accordi con i privati sostitutivi delle determinazioni amministrative ai sensi dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
      8. Il Ministero dei beni e delle attività culturali, nell'ambito degli interventi di propria competenza, destina una quota complessiva, non inferiore al 30 per cento delle proprie spese di investimento, per la realizzazione di interventi di restauro e di manutenzione dei beni culturali, quale concorso nelle spese di realizzazione dei programmi annuali di cui al comma 5, già finanziati per almeno il 50 per cento della spesa complessiva.
      9. Il Ministero dei beni e delle attività culturali può, comunque, concedere contributi in conto capitale, che concorrono alla formazione della riserva del 30 per cento di cui al comma 7 del presente articolo, ai sensi dell'articolo 35 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per interventi sugli immobili privati e pubblici compresi nei perimetri individuati ai sensi del comma 2 del presente articolo. Il contributo può essere erogato anche in acconto non superiore al 30 per cento del suo ammontare.

Art. 2.
(Riconoscimento dell'interesse storico o artistico).

      1. I beni immobili pubblici e privati ricadenti nei perimetri dei centri, dei

 

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quartieri e dei siti di interesse storico o artistico, individuati ai sensi del primo periodo del comma 4 dell'articolo 1 della presente legge, sono sottoposti alle disposizioni del citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, ad eccezione di quelle relative all'obbligo della comunicazione delle alienazioni, nonché all'esercizio del diritto di prelazione sulle cose alienate. La notifica è sostituita dalla pubblicazione delle determinazioni adottate ai sensi del citato primo periodo del comma 4 dell'articolo 1, che sono affisse per due mesi all'albo pretorio del comune.

Art. 3.
(Dichiarazione di interesse culturale di locali luogo di tradizionali attività).

      1. Con provvedimento del competente soprintendente per i beni architettonici e paesistici, anche su proposta del comune, può essere dichiarato l'interesse culturale di locali, luogo di tradizionali attività culturali, artistiche, artigianali, commerciali, produttive, ricadenti nei centri, nei quartieri e nei siti storici o artistici. Il comune, nei programmi annuali di cui all'articolo 1, comma 5, prevede interventi, agevolazioni e incentivi per il sostegno di tali attività tradizionali.
      2. La dichiarazione di cui al comma 1, che contiene le indicazioni sulla conservazione dell'immobile e delle connotazioni relative all'attività, è notificata in via amministrativa al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile stesso ed è trascritta a cura della competente soprintendenza per i beni architettonici e paesistici presso la conservatoria dei registri immobiliari.
      3. Il proprietario, possessore o detentore dell'immobile sottopone al competente soprintendente per i beni architettonici e paesistici, per la preventiva approvazione, ogni modifica o intervento che intende apportare all'immobile o agli arredi. Il soprintendente, entro due mesi dal

 

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ricevimento della richiesta, comunica le proprie determinazioni. Decorso inutilmente tale termine l'autorizzazione si intende rilasciata.

Art. 4.
(Programma degli eventi e delle manifestazioni).

      1. Nei comuni il cui patrimonio storico urbano ha ottenuto il riconoscimento di cui all'articolo 2 è istituita la conferenza comunale degli eventi e delle manifestazioni, presieduta dal sindaco, della quale fanno parte due rappresentanti delle competenti soprintendenze.
      2. La conferenza stabilisce i criteri per utilizzare, in occasione di eventi e di manifestazioni, le vie, le piazze e gli altri luoghi pubblici in conformità alla natura e al decoro degli spazi.
      3. Il programma degli eventi e delle manifestazioni, i relativi progetti che interessano le vie, le piazze e gli altri luoghi pubblici dei centri, dei quartieri o dei siti di interesse storico o artistico, sono sottoposti all'esame della conferenza che delibera all'unanimità. Le pronunce dei rappresentanti delle competenti soprintendenze sono sostitutive delle approvazioni previste dal citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.

Art. 5.
(Concessione in uso di immobili demaniali di interesse storico o artistico).

      1. Nei centri, quartieri e siti riconosciuti di interesse storico o artistico, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono concedere in uso beni immobili demaniali di interesse storico o artistico da destinare anche a strutture e a impianti di ricettività e di fruizione turistica, ricreativa e culturale, previo accertamento, da parte delle

 

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soprintendenze competenti, della compatibilità della destinazione prevista con la salvaguardia dell'interesse storico o artistico del bene.
      2. La concessione ha durata triennale e prevede l'obbligo per il concessionario di provvedere al restauro e alla conservazione del bene e alla fruizione da parte del pubblico secondo modalità fissate nella convenzione. Con regolamento adottato con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di concessione degli immobili, ivi comprese le garanzie che il concessionario deve prestare. Per il restauro e la conservazione dell'immobile può essere erogato al concessionario il contributo statale previsto dall'articolo 35 del citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, fino al 50 per cento del costo totale degli interventi.

Art. 6.
(Promozione e qualificazione dell'offerta turistica).

      1. Per la razionale promozione e diffusione dei flussi turistici sul territorio, nonché ai fini della valorizzazione equilibrata del patrimonio storico, artistico e paesaggistico, i comuni, individuati i carichi massimi sopportabili dai servizi pubblici di trasporto e di viabilità, di acquedotto e di fognatura, svolgono, unitamente alla provincia nonché in collegamento con i piani di programmazione e di promozione regionale e preferibilmente tramite compartecipazione pubblico-privata, attività di promozione e di qualificazione dell'offerta turistica. Tale attività può essere svolta anche mediante:

          a) l'adeguato confezionamento di pacchetti viaggio e la comunicazione nei mercati di origine;

 

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          b) il potenziamento dei servizi di informazione e di prenotazione dei principali servizi, in particolare presso i punti di accesso;

          c) lo sviluppo della segnaletica riferita ai diversi percorsi turistici di individuazione nel centro storico;

          d) l'individuazione di itinerari culturali alternativi.

      2. Ai fini di cui al comma 1, i comuni e le province interessati stipulano apposite convenzioni con i competenti uffici periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali per l'utilizzo delle schede di catalogo dei beni culturali esistenti nel territorio comunale e per ogni altra utile iniziativa appositamente definita nella convenzione.

Art. 7.
(Autorizzazioni di spesa e copertura finanziaria).

      1. Per le finalità di cui al comma 7 dell'articolo 1 è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2006, di 23 milioni di euro per l'anno 2007 e di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2008 al 2010.
      2. Per le finalità di cui al comma 8 dell'articolo 1 è autorizzata la spesa di 2,8 milioni di euro per l'anno 2006, di 11 milioni di euro per l'anno 2007 e di 11 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2008 al 2010.
      3. Per le finalità di cui all'articolo 5 è autorizzata la spesa 2,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2006 al 2010.
      4. Al complessivo onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a 10,6 milioni di euro per l'anno 2006, a 36,8 milioni di euro per l'anno 2007 e a 38,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2008 al 2010, si provvede, per gli anni 2006, 2007 e 2008, mediante corrispondente

 

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riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali.
      5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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