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PDL 3412

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3412


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BONO

Divieto, a carico degli autori di efferati delitti, di trarre beneficio economico da opere ispirate ai loro crimini e di utilizzare il loro nome o le loro immagini a fini pubblicitari

Presentata il 4 febbraio 2008

      

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Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge si intende colmare una grave lacuna del nostro ordinamento, che non prevede alcun limite alla possibilità di lucrare, o comunque trarre beneficio economico, da opere dell'ingegno create dagli autori di efferati delitti e a essi riconducibili, ovvero di utilizzare o sfruttare, a scopi pubblicitari, l'immagine di persona imputata o condannata per gravi reati. Tra i tanti episodi che in questi ultimi tempi hanno drammaticamente evidenziato questa lacuna del nostro ordinamento giuridico, quello che certamente ha colpito di più è stato l'incidente di Appignano del Tronto, dell'aprile 2007. A scuotere gli animi degli italiani e a provocare una incontenibile indignazione non fu solo la tragica perdita di quattro ragazzi tra i quindici e i diciotto anni, falciati mentre andavano in bicicletta da un ventiduenne ubriaco; ma ciò che accadde successivamente, e cioè il fatto che al colpevole fu offerto un contratto per sponsorizzare una linea di abbigliamento, sfruttando la notorietà acquisita dal massacro provocato. Fatti come questi non devono più ripetersi! La commercializzazione della propria immagine, sia mediante opere dell'ingegno, sia mediante attività pubblicitarie, sulla spinta di una notorietà ottenuta per aver commesso un delitto, è sicuramente sconvolgente e contraria a qualsiasi principio di civiltà, ed è quindi obbligo morale del Parlamento varare leggi che ne impediscano l'esercizio. Permettere l'utilizzo della figura di chi ha commesso un reato, ed è diventato noto al pubblico per tale motivo, oltre ad essere eticamente inaccettabile, potrebbe costituire, infatti, una
 

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sorta di «istigazione» a delinquere per raggiungere la fama e conseguenti vantaggi economici. Si ritiene, dunque, necessario intervenire per interdire qualunque vantaggio economico a quanti si siano macchiati di reati che così profondamente hanno colpito l'opinione pubblica, anche in considerazione del pericolo di emulazione che l'improvvisa e ingiustificata notorietà potrebbe causare soprattutto fra i più giovani. L'analisi del tema in oggetto presuppone un'attenta riflessione su un punto di diritto di fondamentale importanza. Per ottenere l'affermazione di un tale principio, che potremmo definire «limitativo» del libero esercizio dell'utilizzo dei propri dati personali, il percorso, seppur semplice per i probi, è in realtà ostico e costretto tra la sottile scriminante che intercorre tra uso e abuso della propria immagine, anche a fini pubblicitari. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito a un fenomeno che potremmo definire «regressivo» rispetto a quanto accadeva in passato. Già il legislatore del '41 (legge n. 633 del 1941) si premurava di disciplinare la diffusione dell'immagine di chi avesse compiuto fatti o avvenimenti lesivi dell'onore e della reputazione della persona ritratta. Infatti l'articolo 97 della citata legge consente di ritrarre l'immagine altrui senza alcun consenso dei soggetti ritratti, allorquando la riproduzione e la diffusione dell'immagine siano giustificate dalla notorietà della persona, dall'ufficio pubblico da questa ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, o ancora da scopi scientifici, didattici o culturali, o allorquando siano invece collegate a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico, sempre però che non siano lesi l'onore, la reputazione e il decoro della persona ritratta. Ora invece è proprio il senso del decoro ad assumere tutt'altra accezione: negli ultimi anni si è assistito, specie in ambito giovanile, a una sorta di «competizione» per ottenere la propria «apparizione in pubblico», e in particolare nei mass media, che è funzionale alla crescita esponenziale del ritorno economico in termini di commercializzazione del proprio nome e della propria immagine personale.
      Nei casi disciplinati dalla presente proposta, e cioè nelle ipotesi di notorietà derivante dall'aver commesso efferati delitti, si vuole impedire la degenerazione di tale tendenza, peraltro criticabile, in quanto evidenzia una certa deriva dai valori tradizionali, accompagnata a un progressivo degrado sociale e civile della società contemporanea. La presente proposta di legge, che consta di sei articoli, nasce, quindi, alla luce dei mutamenti etico-storici sintetizzati. All'articolo 1, comma 1, viene introdotto il divieto, sia nei confronti di chi è imputato in un procedimento penale, sia ovviamente nei confronti di chi è stato condannato, di trarre profitto o beneficio economico da opere dell'ingegno che siano riconducibili, anche solo in modo allusivo, alla commissione del reato per il quale il soggetto è imputato o sia stato condannato. Il divieto opera qualora il reato contestato abbia suscitato particolare allarme sociale, o sia stato caratterizzato da elementi di efferatezza, o abbia causato profonda emozione nell'opinione pubblica nazionale. Al comma 2, si prevede la possibilità, per l'autorità giudiziaria, di applicare tale divieto qualora l'imputato sia sottoposto a una misura cautelare, o qualora il reato contestato sia aggravato dalle circostanze semplici previste dal codice penale. Il divieto posto dall'articolo 1 è valido anche nel caso in cui sia utilizzato uno pseudonimo o in anonimia, ed è esteso anche ai familiari del condannato o imputato. In sintesi quindi, si vieta all'imputato e al condannato di potere lucrare sul delitto compiuto o contestato mediante la diffusione di libri, opere cinematografiche o teatrali, e in generale con qualsiasi altra espressione che, anche in modo sotteso, si ispiri all'atto criminale.
      L'articolo 2 prevede il divieto di stampa, edizione, pubblicazione, distribuzione, riproduzione cinematografica e rappresentazione teatrale di opere dell'ingegno create dai soggetti sottoposti al divieto di cui all'articolo 1. L'articolo 3 prevede le sanzioni, sia per i soggetti trasgressori del
 

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divieto di cui all'articolo 1, sia per i soggetti di cui all'articolo 2.
      Gli articoli 4 e 5 vietano la possibilità di un uso distorto e l'ottenimento di vantaggi economici dallo sfruttamento dell'immagine e del nome della persona condannata per gravi reati. L'articolo 4, in particolare, vieta l'utilizzo a fini pubblicitari del proprio nome e immagine agli stessi soggetti sottoposti al divieto di cui all'articolo 1. Il divieto in oggetto differisce da quello di cui all'articolo 1 per il suo valore «oggettivo», poiché mentre il primo articolo, infatti, vieta all'imputato o al condannato di trarre profitto o comunque beneficio economico dal compimento di efferati delitti, il divieto di cui all'articolo 4 si impone per chiunque ne utilizzi l'immagine o il nome. In particolare, il divieto disciplinato all'articolo 4 si applica alle diverse forme di comunicazione specificate, quali in particolare, i contratti di «sponsorizzazione», gli «spot pubblicitari» e le «telepromozioni». Il cosiddetto «contratto di sponsorizzazione», figura non specificamente disciplinata dalla legge, ma definita dalla giurisprudenza, «comprende una serie d'ipotesi nelle quali comunque si ha che un soggetto, detto sponsorizzato, (...) si obbliga a consentire ad altri l'uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo. L'uso di tale immagine pubblica può prevedere che lo [sponsorizzato] tenga anche determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale» (Corte di cassazione, I sezione civile, 4 giugno 1997, n. 9880). Così definita, l'obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell'articolo 1174 del codice civile e quindi, sotto il profilo civilistico, anche questo tipo di contratto dovrebbe trovare confine e limite di stipula nella clausola dei boni mores, del «buon costume», di cui all'articolo 1343 del medesimo codice; clausola che senz'altro apre una sorta di «finestra sull'ordine etico» e sulla nozione di illiceità della causa. Sul piano economico la pubblicità - e i contratti per essa stipulati - è lo strumento fondamentale della comunicazione d'impresa, poiché non solo informa il pubblico della provenienza dei prodotti o servizi per cui è usata, ma è anche «messaggio» che il pubblico ad essa ricollega, ed è quindi fondamentale che non si consenta l'inquinamento etico di tale strumento.
      L'articolo 6, infine, attribuisce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare sull'osservanza del divieto di cui all'articolo 4. Nel caso di trasgressione, segnalabile anche da privati, sarà compito dell'Autorità deliberare l'irrogazione della sanzione amministrativa, sia per il condannato o sottoposto a misure cautelari, sia per il soggetto che svolge le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati, o che comunque detenga la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi.
      Mentre il consenso all'utilizzazione della propria immagine a fini pubblicitari ha ormai da tempo trovato una propria veste giuridica, è dovere del Parlamento tutelare la dignità e il dolore delle famiglie delle persone offese da reati ignobili. Il Parlamento non può permettere che tali famiglie assistano inermi all'arricchimento di coloro che, dopo aver compiuto efferati delitti, proprio da questi traggano un lucro. Allo stesso tempo, quale messaggio moralmente accettabile potrebbe diffondere chi, approfittando di una fama conquistata delinquendo, ricorresse all'uso della sua improponibile immagine per pubblicizzare prodotti commerciali, veicolati nel vasto pubblico attraverso l'orrenda evocazione diretta o indiretta di terribili fatti di cronaca nera? Tale domanda chiede una risposta puntuale e unitaria del Parlamento italiano, e, in nome dell'incontro inevitabile tra etica e diritto, si auspica il più celere esame e la conseguente approvazione della presente proposta di legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Divieto di trarre beneficio economico da opere create dagli autori di efferati delitti).

      1. È fatto divieto, all'imputato o al condannato, di utilizzare economicamente, o comunque di trarre profitto o beneficio economico, da opere dell'ingegno appartenenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, al teatro o alla cinematografia che siano riconducibili, anche solo in modo allusivo, alla commissione del reato per il quale il soggetto è imputato o condannato, qualora il reato contestato abbia suscitato particolare allarme sociale, o sia stato caratterizzato da elementi di efferatezza, o abbia procurato profonda commozione nell'opinione pubblica.
      2. Il divieto di cui al comma 1 è applicabile altresì, a discrezione dell'autorità giudiziaria, qualora l'imputato sia sottoposto a una delle misure cautelari di cui alla parte I, libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura penale, ovvero qualora il reato contestato sia aggravato da una delle circostanze di cui all'articolo 61 del codice penale.
      3. Il divieto di cui al comma 1 permane per l'imputato fino al mantenimento di tale qualità, in ogni stato e grado del processo.
      4. Il divieto di cui al comma 1 permane per la durata di non meno di cinquanta anni successivi alla sentenza definitiva di condanna.
      5. Il divieto di cui al comma 1 si applica anche nel caso in cui la rappresentazione, l'esecuzione o comunque la pubblicazione dell'opera sia avvenuta con uso di pseudonimi o in forma anonima.

 

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      6. Il divieto di cui al comma 1 si estende ai parenti, ai congiunti e agli affini del condannato o dell'imputato fino al sesto grado.
      7. Il divieto di cui al comma 1 si applica ad ogni forma di messa in commercio o in circolazione, o comunque a disposizione del pubblico, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi titolo, anche mediante uso di pseudonimi o in forma anonima.
      8. La riabilitazione fa cessare gli effetti del divieto di cui al presente articolo.

Art. 2.
(Divieto di stampa, edizione, pubblicazione, distribuzione, riproduzione cinematografica e rappresentazione teatrale di opere create da autori di efferati delitti).

      1. Sono vietate la stampa, l'edizione, la pubblicazione, la distribuzione, la riproduzione cinematografica e la rappresentazione teatrale di opere dell'ingegno create dai soggetti sottoposti al divieto di cui all'articolo 1.

Art. 3.
(Sanzioni).

      1. La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 è punita con la reclusione da tre mesi a tre anni, con la confisca delle somme a qualsiasi titolo percepite e con la multa da 25.000 euro a 100.000 euro.
      2. La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 2 è punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni, con la confisca delle somme a qualsiasi titolo conseguite e con la multa pari al triplo degli utili percepiti e, comunque, non inferiore a 200.000 euro.

Art. 4.
(Divieto di utilizzo a fini pubblicitari di nome o immagini di imputato o condannato per gravi delitti).

      1. È vietato utilizzare a fini pubblicitari il nome o l'immagine di chi sia imputato

 

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o sia stato condannato per un reato riconducibile a una delle fattispecie di cui all'articolo 1, comma 1.
      2. Il divieto di cui al comma 1 si applica altresì, a discrezione dell'autorità giudiziaria, qualora l'imputato sia sottoposto a una delle misure cautelari di cui alla parte I, libro IV, titolo I, capo II, del codice di procedura penale, ovvero qualora il reato contestato sia aggravato da una delle circostanze di cui all'articolo 61 del codice penale.
      3. La riabilitazione fa cessare gli effetti del divieto di cui al presente articolo.

Art. 5.
(Applicazioni del divieto).

      1. Il divieto di cui all'articolo 4 si applica con riferimento alle seguenti forme di comunicazione:

          a) «sponsorizzazione», per la quale si intende l'erogazione di contributi da parte di un'impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche, o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, per il finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, le attività o i prodotti dell'impresa stessa, a condizione che non si facciano riferimenti specifici di carattere promozionale a tali attività o prodotti;

          b) «pubblicità», per la quale si intende ogni forma di messaggio televisivo o radiofonico, trasmesso a pagamento o dietro altro compenso, da un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

          c) «spot pubblicitari», per i quali si intende ogni forma di pubblicità di contenuto predeterminato, trasmessa dalle emittenti radiofoniche e televisive;

 

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          d) «televendita», per la quale si intende ogni offerta diretta trasmessa al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico, allo scopo di fornire, dietro pagamento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

          e) «telepromozione», per la quale si intende ogni forma di pubblicità consistente nell'esibizione di prodotti, presentazione verbale e visiva di beni o servizi di un produttore di beni o di un fornitore di servizi, fatta dall'emittente televisiva o radiofonica nell'ambito di un programma, al fine di promuovere la fornitura, dietro compenso, dei beni o dei servizi presentati o esibiti;

          f) «autopromozione», per la quale si intendono gli annunci dell'emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati.

Art. 6.
(Vigilanza e sanzioni).

      1. Alla verifica dell'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 4 provvede la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche sulla base delle segnalazioni effettuate da privati.
      2. Nei casi di violazione del divieto di cui all'articolo 4 la Commissione di cui al comma 1 del presente articolo, previa contestazione della violazione, delibera a carico della persona che ha prestato la propria immagine, o il proprio nome, e del soggetto responsabile legittimato a svolgere le attività editoriali o commerciali di diffusione, le seguenti sanzioni:

          a) confisca delle somme a qualsiasi titolo percepite in violazione dell'articolo 4;

          b) irrogazione della sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma pari al triplo delle somme di cui alla lettera a) del presente comma.

      3. La Commissione di cui al comma 1 dispone altresì la sospensione dell'efficacia

 

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della concessione o dell'autorizzazione, per un periodo da trenta giorni a tre anni, al soggetto legittimato a svolgere le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati, o che detenga la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi o radiofonici, o su stampa e dei relativi programmi-dati, destinati alla diffusione anche ad accesso condizionato, su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite, o con ogni altro mezzo di comunicazione elettronica.
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