|
|
CAMERA DEI DEPUTATI
|
N. 3259 |
La necessaria e urgente riforma del processo tributario.
Nell'attuale sistema tributario, il cittadino contribuente, quando deve esercitare il proprio diritto alla difesa, non si trova in una posizione processuale di parità con il fisco.
Sino ad oggi, infatti, si è discusso molto sulle norme «sostanziali» ma un'attenta e seria riflessione, purtroppo neppure da parte degli Ordini professionali interessati al problema, non si è mai condotta sulle norme «processuali», che poi sono quelle importanti per far valere, concretamente ed efficacemente, le proprie ragioni giuridiche e di merito, senza dover ricorrere ai concordati o agli accertamenti con adesione.
La modifica dell'articolo 111 della Costituzione che, finalmente, ha introdotto il principio generale del «giusto processo», valevole anche per quello tributario, deve essere un'occasione di analisi e di approfondimento per tutti gli operatori del settore per rivedere l'intera disciplina del processo tributario.
Il primo e secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione testualmente dispongono che «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata».
Nuova denominazione e organizzazione delle commissioni tributarie.
La questione preliminare per una seria riforma del processo tributario è, secondo noi, quella di sganciare totalmente le commissioni tributarie dalla dipendenza e dall'organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze che, in quanto parte interessata nelle controversie, si trova in un evidente conflitto di interessi.
I giudici tributari non solo devono essere terzi e imparziali ma, soprattutto, apparire tali all'esterno in modo che il cittadino-contribuente non possa nutrire alcun dubbio o sospetto. A tal proposito, si segnala l'interessante sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 31 luglio 2007 che ha stabilito i criteri per verificare l'imparzialità dei giudici e, tra questi, ha previsto che «anche le apparenze possono avere una certa importanza perché ciò che è in discussione è la fiducia della collettività sul funzionamento della giustizia» (articolo di Marina Castellaneta in Il Sole 24 ore del 3 settembre 2007, pagina 39).
A tal proposito, pende al Senato della Repubblica il disegno di legge di riordino della giustizia tributaria (atto Senato n. 1340, comunicato alla Presidenza il 21 febbraio 2007) ad iniziativa dei senatori Benvenuto, Bartolini e Paolo Rossi, in cui si prevede di cambiare la denominazione delle commissioni tributarie in tribunali tributari e corti d'appello tributarie e, inoltre, si prevede di spostarne le competenze, amministrative e organizzative, alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Questa, secondo noi, è un'ottima soluzione iniziale perché la nuova denominazione
Ampliamento della giurisdizione.
La competenza generale tributaria dei giudici, a seguito della nuova formulazione dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, introdotta dall'articolo 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001, ormai può giustificare l'ampliamento della giurisdizione, ricomprendendo questioni di natura, direttamente o indirettamente, tributaria, anche alla luce di recenti sentenze della Corte di cassazione, persino a Sezioni unite (ordinanza n. 123 del 9 gennaio 2007).
Così si possono attribuire alla cognizione degli organi di giurisdizione tributaria tutte le controversie relative ai contributi previdenziali.
Ancorché si sostenga da più parti che i contributi previdenziali potrebbero già rientrare nella disciplina introdotta con la modifica precedente, si tratta di un'utile specificazione, considerato che la Corte di cassazione, a Sezioni unite, con due sentenze (n. 4918 del 15 maggio 1998 e n. 10232 del 27 giugno 2003), ha affermato che «la contribuzione previdenziale ha assunto sempre più nel tempo una natura parafiscale», essendo intesa come una prestazione imposta dalla legge a favore di un ente pubblico e, quindi, qualificabile come «un'imposta speciale».
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 11082 del 15 maggio 2007, hanno ribadito che il giudice tributario ha competenza esclusiva e generale (non circoscritta ad alcuni aspetti) per tributi e tasse di ogni tipo. Tale competenza è indipendente dalla denominazione del tributo o dal contenuto della domanda presentata dai ricorrenti.
Pertanto, anche le liti che dovessero sorgere in relazione alle tasse automobilistiche rientrano sempre nella competenza del giudice tributario e non più in quella del giudice ordinario.
Tenuto conto di tale allargamento di competenze, per evitare duplicazioni di giurisdizione, che tanti disagi, preoccupazioni e decadenze determinano nei confronti dei cittadini-contribuenti, riteniamo opportuno far rientrare nelle competenze dei giudici tributari sia le contestazioni degli atti di esecuzione forzata sia le questioni relative ai risarcimenti danni derivanti da un illecito e illegittimo comportamento degli uffici fiscali, previdenziali, locali e degli agenti della riscossione.
Non bisogna, altresì, dimenticare che, con la celebre sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500 del 22 luglio 1999, è stato previsto il risarcimento danni anche per gli interessi legittimi e non più soltanto per i diritti soggettivi e, di conseguenza, questo innovativo principio può valere anche nel diritto tributario.
A tal proposito, occorre precisare che, ultimamente, il Consiglio di Stato, sezione V,
Translatio iudicii.
La Corte costituzionale, ultimamente, con l'importate sentenza n. 77 del 12 marzo 2007, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma dell'articolo 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 «nella parte in cui non prevede la conservazione degli effetti della domanda nel processo proseguito, a seguito di declinatoria di giurisdizione, davanti al giudice munito di giurisdizione, ispirandosi essa, viceversa, al principio per cui la declinatoria di giurisdizione comporta l'esigenza di
Notificazioni.
In tema di notificazioni nel processo tributario, specie in questi ultimi anni, è
A) Raggiungimento dello scopo.
La Corte di cassazione, a Sezioni unite, con la sentenza n. 19854 del 5 ottobre 2004, ha stabilito che la nullità dell'avviso di accertamento tributario, pur essendo un atto di natura amministrativa e non processuale, può essere sanata, ai sensi degli articoli 156, ultimo comma, e 160 del codice di procedura civile, in relazione al conseguimento della finalità dell'atto stesso di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e consentirgli, così, un'adeguata difesa. Tale importante principio, tuttavia, non deve essere inteso mai nel senso di attribuire, ex tunc, validità ad un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine allo scopo previsto dalle singole leggi di imposta.
Nonostante tale principio, riteniamo opportuno che il legislatore, relativamente al processo tributario, prenda una posizione totalmente diversa, nel senso di non consentire mai, in materia di notificazioni degli atti amministrativi non aventi natura prettamente processuale (per esempio, per gli avvisi di accertamento), l'applicazione degli articoli 156, ultimo comma, e 160 del codice di procedura civile; questo per non limitare la difesa dei contribuenti nel proporre eccezioni procedurali, rilevanti ai fini della sentenza.
B) Relazione di notificazione.
Nel processo tributario, in tema di relazione di notificazione, deve scrupolosamente osservarsi l'articolo 148 del codice di procedura civile e in particolare il primo comma, che testualmente dispone: «L'ufficiale giudiziario certifica l'eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all'originale e alla copia dell'atto».
In sostanza, come peraltro ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 6750 del 21 marzo 2007, la relazione di notifica di un atto, che l'articolo 148 citato vuole sia apposta solo in calce alla copia dell'atto notificato, e non in qualsiasi altra sede topografica dell'atto stesso, ha la specifica funzione garantistica di richiamare l'attenzione del notificatore alla regolare esecuzione dell'operazione di consegna della copia conforme all'originale; di talchè, solo la regolare effettuazione di questo adempimento conferisce fede privilegiata alla relazione redatta dal pubblico ufficiale, con la conseguenza che deve essere dichiarata nulla, per esempio, la notifica della sentenza di primo grado che sia stata eseguita senza il rispetto di tale modalità, mediante, invece, una relata apposta soltanto sul frontespizio dell'originale.
L'applicazione scrupolosa dell'articolo 148 del codice di procedura civile deve essere prevista anche nel processo tributario, a pena di nullità insanabile.
Il principio, peraltro, secondo noi, dovrebbe estendersi anche alla notifica degli atti impositivi, atteso che l'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, richiama espressamente le norme del codice di procedura civile per disciplinare le modalità di notificazione di tali atti.
Ciò darebbe maggiori garanzie al cittadino contribuente.
Qualora non sia esibita la ricevuta di cui all'articolo 109 del decreto del Presidente
C) Inversione dello schema procedimentale.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 10958 del 14 maggio 2007, ha stabilito che, in caso di notificazione dell'atto di impugnazione di una sentenza della commissione tributaria provinciale a mezzo posta o tramite consegna presso l'ufficio, l'utilizzo di copia dell'atto per la notifica e il deposito dell'originale nella segreteria della commissione tributaria, pur invertendo lo schema procedimentale (articoli 22, comma 1, e 53), integra non un'ipotesi di nullità, bensì una mera irregolarità formale. Essa, pertanto, non comporta l'inammissibilità dell'impugnazione, non potendosi fare discendere tale sanzione dalla mancanza, nella copia notificata dell'atto, della sottoscrizione dell'autore, che deve essere ritenuta presente per relationem, attraverso l'implicito rinvio all'originale depositato presso la segreteria della commissione e potendo eventuali contestazioni essere sempre rivolte dal giudice tributario, mediante l'ordine di esibizione dell'originale del ricorso (articolo 22, comma 5).
È opportuno consacrare con legge questo importante principio, per evitare che semplici irregolarità formali possano compromettere l'esito del giudizio (articolo 22, comma 1).
D) Messi autorizzati.
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 22849 dell'11 novembre 2005, ha precisato che i messi notificatori dell'Amministrazione finanziaria, previsti dall'articolo 60, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, al pari dei messi comunali, non sono abilitati ad effettuare notificazioni dinanzi agli organi giudiziari in senso proprio, neppure in via eccezionale.
Anche questa importante precisazione merita di essere confermata a livello legislativo, con l'aggiunta che le eventuali notificazioni da essi compiute devono considerarsi (articolo 16, comma 4) inesistenti (nullità insanabile), come previsto per i giudizi pendenti o promuovibili davanti all'autorità giudiziaria ordinaria (si rinvia alle sentenze della Corte di cassazione n. 16591 del 23 agosto 2004 e n. 8625 del 6 maggio 2004).
Anche questo è un modo di parificare la giustizia tributaria a quella ordinaria, in prospettiva di quanto esposto in precedenza.
E) Notifica plurima.
Con l'ordinanza n. 14335 del 20 giugno 2007, la Corte di cassazione, sezione tributaria, ha rimesso gli atti alle Sezioni unite per stabilire la legittimità della notifica di un'unica copia di un atto presso il procuratore che rappresenta, invece, una pluralità di parti. Ma non solo, la Suprema Corte ha, infatti, colto l'occasione per dirimere anche un altro contrasto, relativo all'applicazione, nel processo tributario, dell'articolo 330 del codice di procedura civile, con riferimento alle modifiche delle impugnazioni presso il procuratore costituito.
Sulle suddette problematiche vi è, tuttora, un insanabile contrasto nella sezione
Rimessione in termini.
In ambito fiscale può accadere che il contribuente, per cause a lui non imputabili o per errore scusabile, non riesca a proporre tempestivo ricorso nei termini di decadenza previsti dalla legge, con la conseguenza che si rende definitivo l'atto dell'ufficio, con gravi pregiudizi economici.
A tale proposito, tenendo conto del principio costituzionale dell'articolo 53 dell'effettiva capacità contributiva, riteniamo opportuno inserire nell'articolo 21 l'istituto processuale della rimessione in termini anche per le situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, contrariamente a quanto avviene nel processo civile, attesa, peraltro, la discrezionalità del legislatore nell'individuazione delle regole che disciplinano l'attività processuale, e dei termini perentori in particolare (Cassazione, sentenza n. 12132 del 9 agosto 2002), soprattutto alla luce degli articoli 3, 24 e 38 della Costituzione.
Certo, in un siffatto contesto, i giudici tributari devono stare particolarmente attenti a valutare le prove poste a giustificazione del contribuente, per evitare situazioni di prolungato conflitto.
In ogni caso, il contribuente, qualora non riesca a dimostrare ciò, e l'atto si renda definitivo, può sempre utilizzare l'istituto dell'autotutela, che verrà trattato successivamente.
Atti impugnabili.
Ultimamente, la Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 17119 del 3 agosto 2007, ha precisato che l'oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non attiene all'accertamento dell'obbligazione tributaria, da condurre attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da quanto risulta nell'atto impugnato. Tale meccanismo impugnatorio consiste, invece, nell'accertamento della legittimità della pretesa tributaria, in quanto avanzata con l'atto impugnato e alla stregua dei presupposti, in fatto e in diritto, in tale atto indicati.
Inoltre, ultimamente, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17526 del 9 marzo 2007, depositata il 9 agosto 2007, ha precisato che la fattura della tariffa igiene ambientale (TIA) è impugnabile dinanzi ai giudici tributari, in quanto ha natura di atto amministrativo impositivo.
Recentemente, la Corte di cassazione, a Sezioni unite, con l'importante sentenza n. 16428 del 26 luglio 2007, ha stabilito che devono essere qualificati come avvisi di accertamento, ovvero di liquidazione, quegli atti che contengono, nella sostanza,
A) Istanza di rimborso.
Le istanze di rimborso, da presentare quando il cittadino-contribuente non ha avuto concreta ed effettiva soddisfazione da parte dell'Amministrazione finanziaria, possono senz'altro riguardare anche gli interessi anatocistici (articolo 1224, secondo comma, del codice civile) e la rivalutazione monetaria (articolo 1283 del codice civile), come peraltro più volte ammesso dalla Corte di cassazione (da ultimo, con le sentenze n. 10783 dell'11 maggio 2007 e n. 16871 del 31 luglio 2007 delle Sezioni unite).
Infatti, la compatibilità (già affermata dalla sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza n. 2087 del 4 febbraio 2004) della disciplina degli interessi moratori contenuta in leggi speciali con il risarcimento del maggior danno, di cui all'articolo 1224, secondo comma, del codice civile, invero, non esclude che anche nei debiti di restituzione di somme di denaro versate a titolo di imposta il danno da inadempimento o da ritardo subìto dal contribuente creditore sia determinato, come nelle ordinarie obbligazioni di diritto civile (Cassazione, sezione III, sentenza n. 4197 del 13 maggio 1997), attraverso gli interessi legali sulla somma dovuta (intesi per «legali» anche gli interessi previsti nelle leggi speciali); per cui è sempre necessario che il creditore deduca e dimostri, documentalmente o per presunzioni, di aver subìto un maggior danno.
Inoltre, la svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore non giustifica, di per sé sola, il risarcimento automatico, sicché, a prescindere dagli oneri probatori posti a carico della parte istante, il maggior danno, rispetto a quello coperto dalla misura degli interessi legali, non può essere riconosciuto dal giudice in difetto di una specifica e documentata domanda (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 24858 del 25 novembre 2005 e Cassazione, sezione I, sentenza n. 1087 del 1o ottobre 1999).
Di conseguenza, tale richiesta non può mai essere formulata per la prima volta in grado di appello, stante il divieto di cui all'articolo 345 del codice di procedura civile, applicabile anche al processo tributario, come sarà chiarito in seguito.
Di converso, l'autonomia della domanda comporta che la statuizione attributiva del maggior danno, se non specificamente impugnata, è suscettibile di passaggio in giudicato, sia nell'an che nel quantum debeatur.
Infine, l'attribuzione degli interessi sugli interessi scaduti, secondo la specifica previsione di cui all'articolo 1283 del codice civile (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 4935 dell'8 marzo 2006, e sezione III, sentenza n. 7507 del 4 giugno 2001), postula anch'essa una specifica e documentata domanda del creditore, autonoma e distinta rispetto a quella rivolta al riconoscimento degli interessi principali, per cui, quando sia stata proposta in primo grado solo tale ultima domanda, la richiesta degli interessi anatocistici non può essere avanzata per la prima volta in grado di appello, ostandovi il medesimo divieto del citato articolo 345 del codice di procedura civile (articolo 57, comma 1), perché nuova rispetto a quella proposta per il solo riconoscimento degli interessi principali scaduti, a nulla rilevando (Cassazione, sezione III, sentenza n. 9474 del 19 maggio 2004), ai fini dell'applicabilità di tale principio, la natura corrispettiva o moratoria degli interessi principali.
Gli interessi anatocistici in questione, pertanto, in difetto di apposita domanda, non possono essere riconosciuti d'ufficio dal giudice (Cassazione, sezione I, sentenza n. 8377 del 20 giugno 2000).
L'articolo 37, comma 50, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006,
B) Autotutela.
L'istituto dell'autotutela, previsto e disciplinato dall'articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287, e dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 11 febbraio 1997, n. 37, è un atto discrezionale dell'Amministrazione finanziaria con il quale si possono annullare, in tutto o in parte, atti illeciti o illegittimi, sempre che non sia intervenuta sul caso una sentenza di merito passata in giudicato.
Sul sindacato giurisdizionale sull'autotutela ci sono state, nel corso degli anni, varie sentenze tra loro contrastanti.
Infatti, secondo il Consiglio di Stato (sezione IV, decisione n. 6269 del 9 novembre 2005), la competenza a decidere era del giudice amministrativo.
Invece, secondo la Corte di cassazione (Sezioni unite, sentenza n. 16776 del 10
C) Compensazioni.
Qualora l'erario si avvalga dell'istituto del fermo amministrativo di cui all'articolo 69 del regio decreto n. 2440 del 1923 per cui il pagamento di un credito d'imposta viene sospeso e il provvedimento successivamente perde di efficacia, al contribuente devono sempre essere riconosciuti gli interessi legali dal momento della costituzione in mora (in tale senso, commissione tributaria provinciale di Palermo - sezione I - con la sentenza n. 297/1/06 del 24 aprile 2007).
Inoltre, sempre in base alla suddetta sentenza, il provvedimento di compensazione di un credito vantato dal contribuente con un debito tributario dello stesso, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997, è sempre impugnabile davanti al giudice tributario, perché tale norma prevede espressamente l'impugnabilità del provvedimento di sospensione.
Infine, si conferma l'impugnabilità del divieto di compensazione di ogni tipo (articolo 19, comma 1, lettera i)), compreso il divieto di compensazione orizzontale del credito IVA per le società di
D) Misure cautelari.
Le misure cautelari dell'ipoteca e del sequestro conservativo, previste dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 472 del 1997, possono essere disposte solo a garanzia del credito riguardante le sanzioni amministrative applicate e non anche, cumulativamente, a tutela del credito per i relativi tributi.
Inoltre, le misure cautelari del sequestro conservativo e dell'ipoteca, previste dal citato articolo 22, possono essere concesse dall'adito giudice tributario anche dopo l'adozione dell'avviso di accertamento, a condizione che quest'ultimo atto contenga anche l'irrogazione delle relative sanzioni (in tal senso, correttamente, commissione tributaria provinciale di Genova, sezione I, con la sentenza n. 369 del 15 novembre 2006).
A tale proposito, a livello legislativo, è opportuno ulteriormente precisare che l'ipoteca e il sequestro conservativo non devono mai estendersi sino a tutelare pure i crediti per i tributi e i relativi interessi (articolo 19, comma 1, lettera g)).
E) Cartella di pagamento.
Una particolare problematica, tuttora non risolta, riguarda la legittimità o meno dell'emissione di una cartella di pagamento quando non sia stata preceduta dalla rituale notificazione del relativo avviso di accertamento.
Tanto è vero che, per dirimere la questione, la Corte di cassazione, sezione tributaria, con l'ordinanza n. 7263 del 26 marzo 2007, ha rimesso gli atti al primo presidente per l'eventuale rinvio alle Sezioni unite.
Infatti, in materia, si sono non recentemente espresse anche le Sezioni unite della Corte che, pronunciandosi sulla giurisdizione delle commissioni tributarie in tema di impugnativa dell'avviso di mora, hanno anche affermato che giusto il disposto del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 1981, n. 739, articolo 7, che, sostituendo, con effetto dal 1o gennaio 1982, il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, articolo 16, ha espressamente previsto la ricorribilità delle dette commissioni avverso tale atto, anche per motivi diversi da quelli relativi a vizi suoi propri, allorché esso non sia stato preceduto dalla notificazione dell'avviso di accertamento o dell'avviso di liquidazione dell'imposta (Cassazione, Sezioni unite, sentenze n. 1455 del 1993, n. 7553 del 2002 e n. 16464 del 2002).
Invece, in contrapposizione alla suddetta tesi, si va attualmente affermando un diverso e più drastico orientamento, che ritiene sempre necessaria la precedente notifica della cartella esattoriale in quanto il cittadino viene, per la prima volta, a conoscenza della pretesa fiscale attraverso tale atto per il quale la legge richiede l'indicazione dei motivi della liquidazione e dei dati su cui tale pretesa si fonda, elementi questi non richiesti per l'emissione dell'avviso di mora (Cassazione civile, sentenze n. 11227 del 2002, n. 16875 del 2003, n. 2798 del 2006 e n. 7648 del 2006).
Tale ultimo orientamento, relativo alla nullità dell'avviso di mora se non preceduto dalla previa notifica della cartella esattoriale, in due recentissime decisioni è stato, peraltro, diversamente motivato, nell'una, sostenendo che l'Amministrazione
1) è sempre onere del concessionario (oggi agente della riscossione) di procurarsi la prova che il contribuente sia stato messo nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della cartella di pagamento, con la conseguenza che la mancata notifica è da equiparare all'irrituale notificazione, perché tanto l'una quanto l'altra sono improduttive della conoscibilità dell'atto;
2) la necessità che la notificazione della cartella di pagamento preceda sempre l'avviso di mora si giustifica con l'esigenza di tutelare l'interesse del contribuente ad avere a sua disposizione tutto il tempo consentito dalla legge per effettuare il pagamento (sessanta giorni); tempo che l'esattore non può e non deve ridurre a suo piacimento;
3) inoltre, le norme processuali relative all'impugnazione degli atti conseguenti sono integrative ma cedenti rispetto alle norme sostanziali che regolano gli atti stessi ed i loro atti presupposti; per cui il decreto legislativo n. 546 del 1992, articolo 19, comma 3, che consente l'impugnazione congiunta di atti presupposti di imposizione tributaria e di atti conseguenti, è una norma stabilita esclusivamente a favore del contribuente, che gli consente di impugnare, solo se lo vuole, tutti gli atti presupposti non notificati o quelli che avrebbero dovuto essere notificati (pena il potere dell'Amministrazione finanziaria di non notificare tali atti, vincolando il contribuente alla loro impugnazione).
Ultimamente, la Corte di cassazione a Sezione unite, con l'importante sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007, ha risolto il suddetto contrasto giurisprudenziale, accogliendo la seconda tesi, più favorevole al contribuente. Infatti, la Corte ha stabilito che «la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.
Nella predetta sequenza, l'omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l'atto consequenziale notificatogli, rimanendo esposto all'eventuale successiva azione dell'amministrazione, esercitatile soltanto se sono ancora aperti i termini per l'emanazione e la notificazione dell'atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quest'ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria. Con la conseguenza che spetta al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, non sarà censurabile in sede di legittimità, interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di verificare se egli abbia inteso far valere la nullità dell'atto consequenziale in base all'una o all'altra opzione.
L'azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore».
Secondo noi è opportuno un chiaro intervento, decisorio e definitivo, da parte del legislatore, nel senso di pervenire ad un'equilibrata posizione che tenga conto,
Le parti nel processo tributario.
Le parti di un processo, di norma, sono costituite dalla persona che propone al giudice una domanda (il cosiddetto «attore» o «ricorrente in giudizio») e dalla persona nei cui confronti tale domanda viene proposta (il cosiddetto «resistente in giudizio»).
Nel processo tributario, di fatto, è l'ufficio l'attore in senso sostanziale, come più volte rilevato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenze n. 18710 del 2005 e n. 27341 del 2005), ed è anche per questo che abbiamo previsto che debba sempre essere l'ufficio ad esporre le proprie ragioni impositorie per primo, affinché venga data la possibilità al contribuente di concludere la discussione, anche dopo brevi repliche (articolo 34, comma 2).
A) Società italiana degli autori ed editori (SIAE).
La SIAE non può mai essere parte del processo tributario in quanto semplice mandataria dell'Amministrazione finanziaria, come correttamente chiarito dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 12449 del 28 maggio 2007.
La SIAE, infatti, deve sempre rimanere estranea al giudizio sulla fondatezza o meno della pretesa fiscale e può rispondere solo dei vizi imputabili alla propria attività esecutiva.
La legittimazione processuale, infatti, spetta soltanto all'Amministrazione finanziaria e non all'ente che, per mandato, è concessionario della riscossione dell'imposta sugli intrattenimenti e dell'IVA connessa.
B) Enti esponenziali.
Non devono mai intervenire nel processo tributario gli enti esponenziali (per esempio, associazioni dei consumatori), che si ergono a tutela di una generica e indefinita categoria di contribuenti.
Ciò in linea con quanto più volte chiarito dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con le sentenze n. 181 del 10 gennaio 2004 e n. 5957 del 14 marzo 2007, nel senso che neppure le associazioni aventi per fine la consulenza e l'assistenza fiscale dei contribuenti, ancorché costituite in forma di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), possono intervenire nel giudizio tributario riguardante uno o più contribuenti individuati come tali.
Il processo tributario, infatti, è un giudizio di tipo «impugnatorio», rivolto alla contestazione di uno specifico atto impositivo, espresso o tacito, secondo la tassativa tipologia elencata nell'articolo 19.
In tale giudizio non può esserci spazio per l'intervento di enti esponenziali che, come già detto, si ergono a tutela di una generica e indefinita categoria di consumatori, neppure se si tratti di associazioni o comitati formalmente costituiti, in quanto nel processo tributario non trova applicazione l'articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Semmai, qualora tali associazioni o comitati intendano impugnare atti di carattere generale, come i regolamenti o comunque atti amministrativi riguardanti la generalità dei contribuenti o alcune categorie di essi, potranno soltanto adire la giustizia amministrativa, cioè i tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato, come previsto e disciplinato dall'articolo 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
C) Accertamento negativo.
Tenendo conto dell'allargamento giurisdizionale dei giudici tributari (articolo 2), crediamo ormai sia giunto il momento di ritenerli competenti anche per le azioni di puro accertamento negativo, attinente la non debenza di un determinato tributo, ove sia sperimentata in via preventiva, in assenza cioè di un atto impositivo dell'Amministrazione finanziaria (articoli 2, comma 8, e 19, comma 1, lettera n)).
Fino ad oggi la Corte di cassazione, sul punto, è stata negativa, nel senso di non ammettere mai la suddetta azione (Sezioni unite, sentenza n. 10999 del 6 novembre 1993 e sezione tributaria, sentenza n. 9181 del 9 giugno 2003).
Oggi, però, non riteniamo più giustificabile la suddetta rigida interpretazione perché non bisogna impedire al cittadino contribuente di potersi efficacemente difendere prima di ricevere un atto impositivo, con il rischio delle successive iscrizioni provvisorie.
Per esempio, se viene accolta la suddetta modifica, il contribuente può avere la possibilità, in tema di redditometro o di studi di settore, di poter adire subito il giudice tributario, senza dover attendere inutilmente la notifica dell'avviso di accertamento.
D) Fallimento.
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la recente sentenza n. 12893 del 1o giugno 2007, ha precisato che ogni atto del processo tributario deve essere emesso soltanto nei confronti del soggetto esistente al momento e, quindi, per esempio, l'iscrizione a ruolo deve essere posta in essere, unicamente, nei soggetti della società tornata in bonis.
Con la decisione di fallimento la società non viene meno ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale e processuale, che viene assunta dalla curatela fallimentare che, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita. Ciò comporta che sono opponibili alla curatela (salva la sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 2704 del codice civile) gli atti formati nei confronti della società fallita mentre, dopo la dichiarazione di fallimento, gli ulteriori atti del processo devono indicare quale destinataria l'impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il curatore fallimentare.
Infine, a puro titolo informativo, citiamo la sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, n. 12887 del 1o giugno 2007, che ha precisato che il fallimento del contribuente è un motivo idoneo perché lo Stato iscriva nei ruoli straordinari l'imposta dovuta.
Infatti, permettendo il rapido inserimento nel fallimento della pretesa finanziaria, il ruolo straordinario costituisce «un utile strumento per incidere immediatamente sulla formazione dello stato passivo e dei relativi privilegi».
E) Liquidazione.
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 1327 del 22 gennaio 2007, ha precisato che nel processo tributario l'eccezione relativa alla mancanza di legittimazione passiva non può mai essere rilevata dal giudice, ma deve essere espressamente sollevata con apposito e specifico motivo nel ricorso introduttivo.
Inoltre, la contestazione circa la mancanza di responsabilità fiscale non può avvenire per la prima volta attraverso una semplice memoria difensiva ma deve comparire, innanzitutto, tra gli specifici motivi del ricorso.
La Suprema Corte, infine, con la citata sentenza, afferma che alla cancellazione di una società dal registro delle imprese non
F) Dirigente dell'ente locale.
La Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 6727 del 21 marzo 2007, ha precisato che nei processi tributari l'ente locale può farsi rappresentare in giudizio anche dal dirigente dell'ufficio tributi ovvero, nel caso in cui questa figura dirigenziale sia assente, dal titolare della posizione organizzativa in cui è collocato tale ufficio.
Invece, deve considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal dirigente dell'ufficio tributi, a meno che tale facoltà non gli sia stata espressamente conferita dallo statuto comunale (articolo 11, comma 3), come peraltro chiarito dalla stessa Corte di cassazione, a Sezioni unite, con l'importante sentenza n. 12868 del 16 giugno 2005.
Ammissibilità del ricorso cumulativo.
La Corte di cassazione, con varie sentenze (n. 7359 del 20 maggio 2002 e n. 19666 del 1o ottobre 2004), ha stabilito, correttamente, che nel processo tributario è sempre ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti, dovendo ritenersi applicabile l'articolo 104 del codice di procedura civile, il quale consente la proposizione contro la stessa parte e, quindi, la trattazione unitaria, di una pluralità di domande, anche non connesse tra loro, con il risultato analogo a quello ottenuto nel caso di riunione dei processi.
La dottrina tributaristica, che si è interessata al problema de quo, tende ad ammettere la possibilità di un ricorso cumulativo, sostenendo che tale possibilità si basa sulle stesse esigenze che giustificano la disciplina della riunione dei processi, secondo noi da rendere obbligatoria per evitare un contrasto di giudicati (articolo 29).
Il richiamo all'articolo 29 è senz'altro da condividere per l'identica ratio che caratterizza la disciplina dell'articolo 104, primo comma, del codice di procedura civile, anche se c'è da rilevare (ma ciò non è determinante) che l'articolo 29 assegna un potere al giudice tributario e non alla parte.
In definitiva, in base alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, peraltro più volte ripresa anche dalla giurisprudenza di merito (commissione tributaria regionale della Lombardia, con le sentenze n. 216 del 4 giugno 2002 e n. 23 del 30 giugno 2004, e della Toscana, sezione 13, con la sentenza n. 5 del 19 aprile 2004), si può concludere che, in tema di processo tributario, oggi: 1) nessuna norma prevede l'inammissibilità di un ricorso cumulativo; 2) la possibilità di un ricorso cumulativo, riconosciuta nel processo civile da una norma dettata nella parte generale del codice, e basata principalmente sull'esigenza dell'economia processuale, può benissimo essere estesa alla materia tributaria, anche perché in essa non si pone il problema della competenza per valore.
In sede di riforma, abbiamo cristallizzato i suddetti concetti nell'articolo 20, comma 3. Un ricorso cumulativo deve, pertanto, sempre ritenersi consentito allorquando siano chiaramente individuati gli atti soggetti a gravame e sia inequivoca la volontà di ricorrere avverso ognuno di essi.
Processo tributario e principio di non contestazione.
Una recente sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria (n. 1540 del
Contumacia dell'ufficio resistente.
In merito alla questione di illegittimità costituzionale dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992, relativamente al fatto che tale norma non disponga la sanzione dell'inammissibilità della costituzione dell'ufficio resistente, che può costituirsi anche oltre il termine ordinatorio di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 144 del 7 aprile 2006, ha dichiarato la questione stessa manifestamente infondata.
La questione è manifestamente infondata, sotto il profilo della violazione dell'articolo 3 della Costituzione, essendo la diversa disciplina delle conseguenze derivanti dalla tardiva costituzione un evidente riflesso della ben diversa posizione processuale che, specie in un processo di tipo impugnatorio, come quello tributario, la legge coerentemente attribuisce al ricorrente e al resistente.
Inoltre, sempre secondo la citata ordinanza, «anche quanto alla violazione dei principi del giusto processo, la questione è manifestamente infondata, potendo la tardiva costituzione del convenuto dar luogo, se così prevede la legge e nei limiti in cui lo prevede, a decadenze sia di tipo assertivo che probatorio, ma mai ad una irreversibile dichiarazione di contumacia, del tutto sconosciuta all'ordinamento».
Inoltre, la Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 18962 del 28 settembre 2005, ha precisato che nel processo tributario attuale la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire entro sessanta giorni della notifica del ricorso, altrimenti la parte decade dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi in causa (articolo 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992). Peraltro, come la stessa Corte ha già avuto modo di affermare (Cassazione, n. 7329 del 2003), qualora
Fase istruttoria.
La fase istruttoria, secondo la prevalente dottrina, è quella più importante e delicata dell'intero processo tributario sia perché le parti costituite devono offrire ai giudici le prove delle loro istanze, richieste ed eccezioni, sia perché i giudici devono valutarle serenamente, e solo in casi eccezionali integrarle, per poter giungere ad una «verità processuale» il più possibile corretta e vicina alla «verità storica».
Appunto per questo, durante tale fase, le parti non devono mai subire limitazioni di sorta nella produzione delle prove e i giudici non devono mortificare questa fase, come spesso accade oggi, nel risolverla in un'unica udienza pur di giungere, a tutti i costi, a una celere sentenza; la celerità del processo tributario, spesso tanto decantata nei discorsi ufficiali, non deve mai sacrificare l'equilibrio e la giustezza della sentenza, nel rispetto scrupoloso delle regole da parte di tutti.
La posizione di terzietà del giudice e la natura dispositiva del processo tributario devono consentire ai giudici di ordinare l'esibizione e il deposito dei documenti non diversamente acquisibili al processo e non certo dei documenti che avrebbero potuto essere agevolmente acquisiti e ritualmente prodotti nei termini in giudizio (in tale senso, Corte di cassazione, sezione tributaria, con le sentenze n. 952 del 26 gennaio 2002, n. 462 del 17 gennaio 2002, n. 9514 dell'8 settembre 1999 e n. 9715 del 14 aprile 1995).
Oltretutto, i poteri istruttori dei giudici tributari non devono avere la funzione di «rimediare a deficienze probatorie delle parti»; in ogni caso, qualora la situazione probatoria sia tale da non potersi pronunciare una sentenza ragionevolmente motivata senza acquisire d'ufficio alcune prove, ritenute determinanti, sarebbe scorretto il rifiuto da parte del giudice tributario di utilizzare i poteri di acquisizione della prova (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7129 del 9 maggio 2003).
Inoltre, anche in sede di riforma, secondo noi, è opportuno confermare l'abrogazione del previgente comma 3 dell'articolo 7 del citato decreto legislativo n. 546 del 1992, per effetto dell'articolo 3-bis, comma 5, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, in vigore dal 3 dicembre 2005.
La suddetta abrogazione ha, infatti, eliminato «ogni possibile limitazione al
Inutilizzabilità di atti e prove illegittimamente acquisiti.
Occorre, innanzitutto, codificare l'importante principio della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite (articolo 7, comma 2), in modo da sanare definitivamente sia l'attuale contrasto giurisprudenziale, sia, soprattutto, per ribadire il concetto che in uno Stato di diritto come il nostro tutti devono rispettare le regole, nessuno escluso, perché non deve esistere ufficio o ente «legibus solutus».
Infatti, ultimamente, con l'importante sentenza n. 9568 del 23 aprile 2007, la Corte di cassazione, sezione tributaria, ha confermato, per esempio, che l'illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica importa la inutilizzabilità, a sostegno dell'accertamento tributario, delle prove riferite nel corso della perquisizione illegale atteso che:
a) tale inutilizzabilità non abbisogna di un'espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo inficia tutti gli atti nei quali si articola;
b) il compito del giudice tributario di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;
c) l'acquisizione di un documento con violazione di legge non può influire a vantaggio del detentore, che sia l'autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile.
Questa corretta impostazione è orientata verso il conclusivo riconoscimento di un ruolo dominante e riequilibratore del giudice tributario, da intendere, secondo noi, quale arbitro autorevole e imparziale nel dialettico confronto tra il momento dell'autorità impositiva dello Stato e quello della libertà patrimoniale del contribuente, e al tempo stesso, però, quale fedele e rassicurante custode dei fondamentali valori della Carta costituzionale.
Nella circostanza, è stato anche precisato che «a prescindere dalla verifica dell'esistenza o meno, nell'ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, analogo a quello fissato per il processo penale dall'articolo 191 del vigente codice di procedura penale, l'inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell'inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell'articolo 14 della Costituzione» (in tale senso, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenze n. 19689 del 2004, n. 19690 del 2004, n. 1344 del 2002 e n. 15230 del 2001).
In definitiva, con la citata sentenza n. 9568 del 2007, la Corte di cassazione non condivide il diverso orientamento espresso dalla Cassazione n. 8344 del 2001, aderendo, invece, al corretto orientamento prima esposto, per il quale, per esempio, l'inutilizzabilità degli elementi acquisiti in assenza o sulla base di illegittima preventiva autorizzazione della competente autorità discende dal valore stesso dell'inviolabilità del domicilio, consacrato nell'articolo 14 della Costituzione, e non giustifica mai deroghe o contorte giustificazioni (come, purtroppo, è avvenuto con altre sentenze della stessa Corte, in particolare n. 9565 del 24 aprile 2007, n. 7900 del 30 marzo 2007, n. 7208 del 2003, n. 15538 del 2002, n. 15914 del 2001, n. 5557 del 2000 e n. 1932 del 1999).
Per sanare una volta per tutte il suddetto contrasto giurisprudenziale, persino presso la Corte di cassazione, nonché per mettere tutte le parti su un piano di perfetta parità, soprattutto per quanto riguarda il rispetto della legalità e dei princìpi costituzionali, in sede di urgente e moderna riforma del processo tributario, crediamo sia necessario codificare definitivamente il suddetto principio (articolo 7, comma 2), anche per dare dignità al processo tributario, che non deve assolutamente essere considerato un processo di «serie B», rispetto a quello ordinario (civile e penale) e amministrativo.
Documentazione.
Un altro importante principio che bisogna introdurre, in sede di riforma, è quello relativo all'acquisizione della documentazione.
A) Perizie dell'Agenzia del territorio e altre analoghe.
I giudici tributari, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono disporre, anche d'ufficio e in grado di appello, una consulenza tecnica (CTU) da affidare, però, sempre a professionisti esterni all'Amministrazione finanziaria e previdenziale, per evitare palesi contrasti di interesse (articoli 7, comma 3, e 58, comma 2).
Infatti, in più occasioni, la Corte di cassazione - sezione tributaria (da ultimo, sentenza n. 8890 del 13 aprile 2007) ha chiarito che «l'Amministrazione finanziaria si trova sullo stesso piano del contribuente, con la conseguenza che le stime dell'UTE da essa prodotte costituiscono delle semplici perizie di parte, cui può riconoscersi valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza,
B) Richiesta di documentazione.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 109 del 2007, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione.
In sostanza, l'immediato significato della statuizione della Corte, pienamente condivisibile, è quello di escludere in capo al giudice tributario ogni «supplenza» nell'esercizio dei poteri istruttori delle parti, ed in specie della parte pubblica, attraverso un incondizionato potere di iniziativa officiosa.
Oltretutto, anche la Corte di cassazione, con l'importante sentenza n. 14091 del 18 giugno 2007, ha stabilito che l'esercizio del potere discrezionale, attribuito alle commissioni tributarie dal medesimo decreto legislativo n. 546 del 1992 per l'acquisizione d'ufficio dei documenti necessari per la decisione, non può sopperire al mancato assolvimento dell'onere della prova, il quale grava sempre sull'Amministrazione finanziaria in qualità di attrice in senso sostanziale, e perciò è legittimamente esercitabile soltanto per sopperire all'impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell'altra parte.
Oggi, con la menzionata abrogazione del comma 3 dell'articolo 7 dello stesso decreto legislativo n. 546 del 1992, si potrebbero creare problemi di coordinamento con il comma 1, che invece non è stato abrogato.
Scrive magistralmente il professor Cesare Glendi che, oggi, è labile «il collegamento tra la terzietà del giudice nella prova e la natura asseritamente dispositiva dell'istruttoria del processo tributario, per di più circoscritta ai soli documenti, e sulla base di un tutt'altro scontato richiamo all'articolo 210 del codice di procedura civile L'intervento "sostitutivo" della Consulta, a questo punto, meriterebbe di essere quanto prima sostituito da un nuovo regime complessivo disciplinare, legislativamente determinato ed effettivamente rispondente alle peculiari esigenze del processo tributario» (vedi Il Sole 24 ore del 30 marzo 2007, pagina 33).
Il professor Glendi ha perfettamente ragione; l'importante è che si abbia il coraggio e la decisione di intervenire subito per l'auspicata riforma.
C) Abrogazione dell'articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
L'articolo 32 citato, oggi, impedisce alla parte di esibire in giudizio documenti che, volontariamente, non sono stati esibiti o consegnati durante le indagini fiscali.
Intervenuta sul punto, la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 181 del 7 giugno 2007, ha preferito liberarsi della questione senza affrontarla «funditus», eccependo formalmente il mancato riferimento dell'ordinanza di rimessione ai corretti parametri costituzionali e dichiarandola manifestamente infondata.
In sostanza, secondo i giudici costituzionali «tale prospettazione della questione è frutto di una evidente confusione fra il profilo sostanziale e quello processuale della tutela del contribuente, perché mentre il principio della capacità contributiva (articolo 53) ha natura sostanziale, in quanto attiene al presupposto del tributo, le preclusioni relative all'allegazione in giudizio di documenti o dati hanno invece natura processuale, in quanto attengono
D) Ammissibilità del giuramento e della testimonianza.
Attualmente, nel processo tributario, non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.
Nonostante varie perplessità, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2000, ha ritenuto legittimo tale sistema, perché nel processo tributario sono sufficienti mezzi e trattazione scritti, salvo la possibilità di introdurre semplici atti notori.
Su tale linea interpretativa si è, poi, costantemente inserita la Corte di cassazione, sezione tributaria, che, nell'ultima sentenza n. 11221 del 16 maggio 2007, ha testualmente confermato e stabilito che «nel processo tributario come è ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, fermo il divieto di ammissione della "prova testimoniale", posto dall'articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, con il valore probatorio proprio gli elementi indicatori, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte costituzionale, sentenza n. 18 del 2000), va del pari riconosciuto necessariamente anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi, in sede extraprocessuale, beninteso con il medesimo valore probatorio, dando così concreta attuazione ai princìpi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'articolo 111 della Costituzione, per garantire il principio della parità delle armi processuali, nonché l'effettività del diritto alla difesa (nella specie, mentre si è riconosciuto che correttamente la Commissione tributaria aveva preso in considerazione l'atto notorio, contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente, si è ritenuto, invece, errato aver assegnato a tali dichiarazioni il valore di prova vera e propria, basando la decisione solo su di esse, Cassazione, sentenza n. 4269 del 25 marzo 2002)».
Oggi, invece, secondo noi, in occasione di una più generale e meditata riforma in sede legislativa, è necessario consentire, anche nel processo tributario (articolo 7, comma 5), sia il giuramento (decisorio, estimatorio e suppletorio), ai sensi degli articoli 233 e 243 del codice di procedura civile, sia la prova per testimoni, ai sensi degli articoli 244-257 del medesimo codice di procedura civile, da ammettere sempre dal collegio giudicante (si veda il progetto di legge dell'onorevole Frattini, atto Camera n. 4095 del 1o agosto 1997).
Quanto esposto, proprio alla luce di una recente sentenza della Corte europea dei diritti umani (la n. 73053/2001 del 23 novembre 2006, causa Jussila contro Finlandia, in GT-Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 5, 2007, pagine 388 e seguenti, con l'interessante e condivisibile commento di Alberto Marcheselli).
1) in tema di applicazione delle sanzioni amministrative, soprattutto per determinare e valutare il grado di imputabilità o di colpevolezza (decreto legislativo n. 472 del 1997), come peraltro auspicato dalla citata sentenza n. 73053 del 2001 della CEDU; infatti, in tema di violazione delle norme tributarie, il decreto legislativo n. 472 del 1997 ha trasformato in sanzioni pecuniarie le soprattasse previste dalla normativa previgente. Tale trasformazione richiede il dolo o, quantomeno, la colpa dell'agente. Il giudice tributario, qualora ritenga incolpevole il mancato versamento dell'imposta, deve indicare nelle sue motivazioni l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della sanzione (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 1328 del 22 gennaio 2007);
2) in tema di redditometro (articolo 38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) per dimostrare la non disponibilità di determinati beni oppure (Cassazione, sentenze n. 2656 del 2007, n. 12294 del 2007 e n. 19403 del 2005), tenuto conto della recente circolare n. 49/E del 9 agosto 2007 dell'Agenzia delle entrate, con la possibilità di estendere le indagini anche alla cosiddetta «famiglia fiscale», dimostrare che anche eventuali unioni di fatto o altri gradi di parentela potrebbero neutralizzare le presunzioni del redditometro (si rinvia agli articoli sul tema, pubblicati in Il Sole 24 ore del 19 agosto 2007 e Italia Oggi del 18 agosto 2007, pagina 29, rispettivamente ad opera di Angelo Busani, Antonio Criscione e Andrea Borgi) o per dimostrare di aver ricevuto la provvista di denaro da altri, come precisato dall'Agenzia delle entrate con la circolare n. 49/E del 2007;
3) in tema di studi di settore, per dimostrare gli effetti deleteri della concorrenza e delle crisi di settore (Cassazione, sentenza n. 17229 del 28 luglio 2006);
4) in tema di residenze fiscali estere fittizie (con l'eclatante esempio estivo della vicenda dello sportivo Valentino Rossi), per dimostrare qual è effettivamente il centro principale dei propri affari e interessi ovvero la dimora abituale (articolo 43 del codice civile e articolo 2 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986); ciò, soprattutto, alla luce delle sentenze della Corte di cassazione n. 2936 del 5 maggio 1980, n. 3586 del 26 ottobre 1968 e n. 435 del 12 febbraio 1973, in base alle quali viene chiarito che la locuzione affari ed interessi «deve intendersi in senso ampio comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari» (articoli di Francesco Serao, in Italia Oggi del 18 agosto 2007, pagina 32);
5) in tema di crediti di imposta sugli investimenti, la non applicazione della norma antielusiva quando la ritardata entrata in funzione dei beni agevolati non è attribuibile alle decisioni del contribuente ma ad altre circostanze a quest'ultimo non imputabili (circolari dell'Agenzia delle entrate n. 62/E del 2004 e n. 53/E del 2005; risoluzione n. 101/E del 30 luglio 2004), soprattutto alla luce dell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente;
6) infine, riconoscimento dei costi in caso di omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili; infatti, la Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 10964 del 14 maggio 2007, ha precisato che, anche in presenza di irregolari registrazioni, il contribuente ha l'onere di provare i costi sopportati, seppure con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi certi e precisi.
E gli esempi potrebbero continuare a lungo, senza possibilità di compiutezza. Per concludere, riteniamo opportuno consentire, anche nel processo tributario, i suddetti mezzi di prova per non pregiudicare seriamente il diritto di difesa del cittadino-contribuente (e del suo difensore, il quale, logicamente, deve essere preparato e competente in materia processuale).
Sentenze dei giudici tributari.
Anche la relazione e la motivazione delle sentenze dei giudici tributari devono trovare ingresso nella generale riforma del processo tributario.
Infatti, per riprendere un passo dell'interessante articolo dell'avvocato Valdo Azzoni (in Bollettino tributario d'informazioni, n. 12, 2007, pagine 1018-1021), che a sua volta commenta una lezione sul tema tenuta da Raffaele Ceniccola, componente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, la congrua motivazione della sentenza deve rispondere a una «triplicità» di urgenze se è vero che essa:
1) racchiude l'essenza più profonda del sentire del giudice, che all'esterno va avvertita come frutto meditato di un confronto onesto e non certo come diktat arbitrario (motivazione come prius);
2) si traduce in un riscontro della decisione, ossia della risposta istituzionale ad una domanda di giustizia non circoscritta alle parti in lite verso le quali peraltro unicamente fa stato, ma estesa al più largo pubblico di tutti i potenziali interessati sotto forma di insegnamento e di modello (il cosiddetto «recedente») da confutare o, al contrario, da sostenere, arricchire o propalare;
3) fornisce materia prima all'eventuale, successivo scrutinio avviato con l'impugnazione (tanto meno incoraggiata, quest'ultima, quanto più il primo esito si afferma solido e blindato), per cui deve assolvere al compito di analitico chiarimento dei concetti espressi sinteticamente nella formula del dispositivo (motivazione come posterius).
Infine, per dare la possibilità alle difese di potersi esprimere senza strozzature, abbiamo previsto il limite massimo di venti fascicoli da portare in udienza, comprese le sospensive (come opportunamente deliberato, per esempio, dal presidente della commissione tributaria provinciale di Lecce, con provvedimento n. 144 del 18 maggio 2001).
A) Motivazione della sentenza.
Sulla necessità di una congrua motivazione delle sentenze dei giudici tributari si è più volte pronunciata la Corte di cassazione, che ha cristallizzato i seguenti princìpi:
1) la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e l'estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendono impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (sentenza n. 1944 del 12 febbraio 2001);
2) la sentenza tributaria con una motivazione «apparente» è da ritenersi affetta da nullità (sentenza n. 741 del 28 marzo 2001);
3) non adempie il dovere di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata, di cui condivida le argomentazioni, senza dare conto di aver valutato criticamente
Sulla particolare problematica della motivazione per relationem, però, c'è da rilevare che, ultimamente, la Corte di cassazione, sezione tributaria, con l'ordinanza n. 10327 del 7 maggio 2007, ha rimesso gli atti al primo presidente, perché valuti l'opportunità di assegnare la questione alle Sezioni unite per comporre un evidente contrasto giurisprudenziale.
Infatti, in alcuni casi, la Suprema Corte ha ritenuto che «quando il medesimo organo giudicante si trovi a pronunciare contestualmente più decisioni in cui siano affrontate questioni legate fra loro con un vincolo di consequenzialità necessaria, è consentito che la motivazione di una decisione consista in un rinvio alle argomentazioni svolte nell'altra; in tal caso, non si ha tanto la motivazione di una sentenza per relationem, cioè mediante rinvio ad argomenti contenuti in altra sentenza, ma piuttosto la constatazione che la decisione di una delle controversie, in un certo senso, comporta necessariamente l'identica conclusione per l'altra» (si rinvia a Cassazione, sentenze n. 10410 del 1998, n. 1634 del 2003 e, con qualche distinguo, n. 20095 del 2005).
Invece, in altre decisioni sulla stessa problematica la Corte di cassazione ha affermato che nell'ipotesi in cui il giudizio relativo al reddito di partecipazione di un socio sia stato separatamente instaurato e trattato rispetto al giudizio attinente all'accertamento del reddito della società, l'indipendenza dei due processi rende necessario che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di consequenzialità a quella inerente al ricorso proposto dalla società, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo e ai motivi, in fatto e in diritto, della decisione senza che il giudice possa limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla società (si rinvia a Cassazione, sentenze n. 11677 del 2002 e n. 19696 del 2006).
A questo punto, in sede di riforma, in attesa che le Sezioni unite si pronuncino e per dare certezze alle parti, è opportuno, secondo noi, precisare che la sentenza deve sempre contenere, a pena di nullità «la succinta esposizione dei motivi in diritto e in fatto, senza che il giudice possa limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione di altra sentenza, anche se connessa» (articolo 36, comma 5, lettera d)).
B) Sentenze parziali.
In sede di riforma, secondo noi, è necessario consentire ai giudici tributari anche l'emissione di sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande, con possibilità, di conseguenza, di appello parziale (articoli 35, comma 4, e 52), per affrontare, soprattutto, una celere definizione, seppur parziale, di una controversia, almeno sui punti in cui o le parti sono d'accordo o gli stessi giudici rilevano la possibilità di un immediato giudizio, senza ulteriore istruttoria.
Infatti, può accadere, per esempio, che in sede di ricorso avverso un avviso di accertamento, mentre sulla determinazione dei ricavi con una media aritmetica ponderata è necessario disporre una CTU (specie se anche le parti costituite hanno depositato corpose perizie di parte), di converso, sul recupero di determinati costi, perché non documentati, la parte deposita la relativa documentazione e, di conseguenza, i giudici possono decidere subito, accogliendo parzialmente il ricorso e impedendo all'ufficio gravose iscrizioni a ruolo, soprattutto se in precedenza non sia stata concessa la sospensiva (di cui si dirà oltre).
In tale ipotesi, non si capisce perché non si possa decidere subito, anche parzialmente, per evitare ulteriori, gravosi danni economici al ricorrente.
C) Sentenze pronunciate in base ad equità.
Attualmente, i giudici tributari non possono decidere in base ad equità, come
D) Spese del giudizio.
In sede di riforma, per la liquidazione delle spese del giudizio, si deve tenere conto, secondo noi, dei seguenti princìpi (articolo 15):
1) la sentenza sul punto deve essere congruamente e specificamente motivata, anche alla luce delle modifiche introdotte al codice di procedura civile, a far data dal 1o marzo 2006;
2) è applicabile l'articolo 96 del codice di procedura civile sulla responsabilità aggravata per lite temeraria; il carattere temerario della lite, che costituisce il presupposto della condanna al risarcimento dei danni, va ravvisato nella coscienza dell'infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di tale consapevolezza, non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere (in tal senso, correttamente, Cassazione, sentenze n. 18824 del 2006, n. 9060 del 2003, n. 9579 del 2000 e n. 7101 del 1994);
3) le spese del giudizio liquidate con le sentenze devono essere immediatamente esecutive, salvo le sospensive di cui si dirà oltre. Infatti, se l'ufficio può iscrivere a titolo provvisorio in corso di causa non si vede perché la stessa sentenza non debba essere immediatamente esecutiva anche per le spese del giudizio, soprattutto per evitare le liti temerarie di cui sopra;
4) nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio od ente (articolo 15, comma 3), la tariffa, seppur ridotta del 30 per cento, deve comprendere, oltre agli onorari, anche i diritti di procuratore, intesi come il compenso analitico per l'attività eminentemente formale che il professionista è legittimato a svolgere nel processo, nonché un rimborso forfetario delle spese generali, in ragione del 10 per cento sull'importo degli onorari e dei diritti (in tal senso, ultimamente, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 8622 del 6 aprile 2007);
5) è applicabile l'istituto della cosiddetta «soccombenza virtuale» (articolo 46, comma 3), soprattutto dopo l'intervento della Corte costituzionale, con la nota e importante sentenza n. 274 del 12 luglio 2005, più volte citata dalla Corte di cassazione (da ultimo, sentenza n. 21380 del 4 ottobre 2006);
6) infine, sul punto, è opportuno ribadire il concetto che i giudici tributari dovrebbero utilizzare la compensazione delle spese solo in casi eccezionali, perché la regola dovrebbe essere quella di condannare sempre la parte soccombente, anche per evitare contenziosi inutili e temerari, portati avanti con l'unico scopo di scoraggiare la controparte.
E) Principio dell'immutabilità del giudice nel processo tributario.
Il principio dell'immutabilità del giudice ha ingresso anche nel processo tributario (articolo 35, comma 3), come peraltro più volte confermato dalla Corte di cassazione, sezione tributaria (sentenze
F) Efficacia del giudicato esterno.
In sede di riforma, il principio dell'effetto vincolante del giudicato esterno (articolo 36, comma 3) riprende quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sezioni unite, con l'importante sentenza n. 13916 del 4 maggio 2006.
In sostanza, la Corte, con la suddetta sentenza, ha sanato un contrasto giurisprudenziale, partendo dal presupposto che il processo tributario non è un «giudizio sull'atto» (da annullare) ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente; un giudizio, quindi, che inevitabilmente si estende al merito e, di conseguenza, anche all'accertamento del sottostante rapporto tributario (cosiddetta «impugnazione-merito»).
Appunto per questo il giudice tributario è vincolato al giudicato esterno quando le statuizioni della sentenza passata in giudicato siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo, anche se riguardano tributi e anni diversi.
In sede di riforma, secondo noi, è opportuno codificare il suddetto principio (articolo 36, comma 3) non solo per dare riferimenti precisi ai giudici ma, soprattutto, per evitare ripensamenti giurisprudenziali sul tema (come ribadito con la sentenza n. 14012 del 7 maggio 2007 della stessa Corte di cassazione; contra Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 11226 del 2007).
Qualora, in sede di processo tributario, sia accertata con sentenza definitiva l'illegittimità dell'attività investigativa svolta dalla Guardia di finanza, tale giudicato spiega i suoi effetti nelle controversie insorte tra le stesse parti in relazione ad accertamenti riferiti a periodi di imposta diversi, scaturiti dalla medesima indagine (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 22036 del 13 ottobre 2006).
Il giudicato esterno può essere rilevato d'ufficio e anche per la prima volta nel giudizio di legittimità, purché la parte che lo invoca produca copia autentica della sentenza, recante attestazione del passaggio in giudicato, anche in relazione a un altro anno di imposta (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 24067 del 10 novembre 2006).
G) Rapporti con il diritto comunitario.
In un interessante articolo di Alessandro Sacrestano, apparso in Il Sole 24 ore. Norme e tributi del 20 agosto 2007, a pagina 30 si cita l'importante sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, n. 16130 del 20 luglio 2007, dove è stabilito il seguente principio: «trattandosi di verificare la conformità del regime ordinario di tassazione (secondo quanto sostenuto dall'Amministrazione finanziaria) al diritto comunitario, in forza del principio di effettività contenuto nell'articolo 10 del Trattato UE, l'indagine deve essere compiuta d'ufficio, anche a prescindere da specifiche istanze di parte, con conseguente inoperatività di preclusioni processuali, quali quelle derivanti dalla caratteristica di processo ad oggetto chiuso, come il giudizio di Cassazione. Tale regola, enunciata da una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità europea a partire dalla sentenza 16 gennaio 1974 in causa 166/73,
H) Litisconsorzio necessario.
Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'Agenzia delle entrate l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nell'unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre sempre un'ipotesi di litisconsorzio necessario (articolo 62, comma 1, lettera b)).
Qualora si verifichi una violazione della norma sul litisconsorzio necessario, l'intero processo resta viziato, cosicché in sede di legittimità si impone l'annullamento, anche d'ufficio, delle sentenze emesse in primo grado e in secondo grado e il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell'articolo 383, ultimo comma, del codice di procedura civile (in tale senso, Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 1052 del 18 gennaio 2007). Si supera, in tal modo, il principio secondo il quale la solidarietà tributaria non determina il litisconsorzio necessario.
Sostituto e sostituito sono entrambi legittimati ad agire in giudizio per il rimborso delle ritenute fiscali, con la necessaria partecipazione dell'Amministrazione finanziaria (Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 14911 del 28 giugno 2007).
I) Statuto dei diritti del contribuente.
Ultimamente, per segnalare il difficoltoso andamento della macchina amministrativa nel settore dei tributi è scesa in campo la stessa Corte dei conti con la corretta e impietosa relazione «Rapporti Fisco - contribuenti; stato di attuazione dello Statuto del contribuente e dell'obiettivo di ottimizzazione del servizio per i contribuenti-utenti» del 25 maggio 2007.
In tale relazione sono messe in risalto la complessità della legislazione tributaria e le ripetute inosservanze dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212).
Correttamente, scrive Ubaldo Perrucci, in Bollettino tributario d'informazioni, n. 13, 2007, pagina 1113, «in particolare, le deroghe allo Statuto dei diritti del contribuente furono introdotte dal Governo Amato con il decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2000, n. 354) e con la stessa legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001); poi riproposte dal Governo Berlusconi, con le finanziarie 2003, 2004, 2005; ma ancora di recente reiterate in materia di crediti di imposta e d'acconto dal decreto-legge n. 223/2006 (decreto Visco-Bersani).
Ma soprattutto i giudici contabili censurano il sempre più frequente ricorso a leggi fiscali retroattive e, in genere, l'attitudine di mutare le regole in corso di esercizio per giustificare esigenze di gettito, con un continuo proliferare di variazioni e di interventi».
A tal proposito, occorre rilevare che la Corte di cassazione, sezione tributaria, con le importanti sentenze n. 17576 del 10 dicembre 2002, n. 7080 del 14 aprile 2004 e n. 21513 del 6 ottobre 2006, ha chiarito e precisato che il tratto comune dei princìpi statutari è costituito «dalla superiorità assiologia dei princìpi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l'interprete: in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000 deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai princìpi statutari».
Secondo noi, in sede di riforma, è opportuno codificare il suddetto principio (articolo 36, comma 9) per dare una guida precisa ai giudici tributari.
L) Il giudice tributario non è vincolato da quanto stabilito in sede penale.
Ai sensi dell'articolo 654 del codice di procedura penale, che aveva portata modificativa dell'articolo 12 del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 516 del 1982, poi espressamente abrogato dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 74 del 2000, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario (articolo 36, comma 2), poiché in questo possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (per esempio, accertamento basato su presunzioni non qualificate, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973).
A causa del mutato quadro normativo, quindi, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente.
Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (in tal senso, Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 14953 del 28 giugno 2006).
Sospensione del processo.
Il processo deve essere sospeso, tra l'altro, quando si verifica l'ipotesi di cui all'articolo 295 del codice di procedura civile (articolo 39, comma 1, lettera a)), il quale testualmente recita: «Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisone della causa».
Oltretutto, la Cassazione ha più volte ritenuto applicabile, silentio legis, nel processo tributario, il citato articolo 295 del codice di procedura civile (da ultimo, Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 12997 del 4 giugno 2007; si veda anche sentenza n. 4509 del 10 aprile 2000).
In tema di sospensione necessaria, l'articolo 295 del codice di procedura civile, nel prevedere la sospensione del processo quando la decisione dipenda dalla definizione di un'altra causa, fa riferimento a un rapporto di effettiva consequenzialità tra due emanande statuizioni e, quindi, non a un mero collegamento fra esse, bensì a una situazione in cui uno dei due giudizi, oltre ad essere in concreto pendente e a coinvolgere le stesse parti, investa una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi, in tutto o in parte, l'esito della causa da sospendere, dovendosi ritenere che, sotto questo profilo, la nozione di dipendenza equivalga a quella di alternatività ravvisabile ove il possibile esito di uno dei due giudizi sia intrinsecamente incompatibile con l'accertamento richiesto nell'altro (in tal senso, Cassazione civile, sentenza n. 8819 del 28 giugno 2001).
Inoltre, nell'ipotesi di continenza tra cause pendenti in grado diverso, deve farsi ricorso all'istituto della sospensione necessaria del processo, al fine di evitare la contraddittorietà di giudicati (in tale senso, costantemente, Cassazione civile, sentenze n. 4326 del 28 aprile 1998, n. 12596 del 16 ottobre 2001 e n. 8833 del 18 giugno 2002).
Estinzione del giudizio di rinvio.
Una urgente e necessaria riforma riguarda il caso di mancata riassunzione del processo in caso di rinvio da parte della Corte di cassazione.
Oggi, l'articolo 63, comma 2, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992, stabilisce tassativamente che: «Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l'intero processo si estingue».
Ciò comporta l'assurdo che si rende definitivo l'atto impugnato, indipendentemente da ciò che è stato deciso nei precedenti gradi del giudizi.
Infatti, l'Agenzia del territorio, con la circolare n. 8 del 20 giugno 2007 (si veda anche l'articolo di Sergio Trovato in Il Sole 24 ore. Norme e tributi del 21 giugno 2007, pagina 29), ha precisato, sulla base del parere dell'Avvocatura dello Stato reso con nota n. 63883 del 30 maggio 2007, che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio rende definitivo l'atto di accatastamento originariamente impugnato. «In altri termini, pur non potendosi escludere, in assoluto, che l'Agenzia possa aver l'interesse ad assumere tale iniziativa, in presenza di una utilità concreta ed attuale, comunque connessa all'accoglimento del gravame da parte del giudice di rinvio o di una pronuncia conclusiva sulla controversia, l'eventuale interesse alla riassunzione del giudizio deve ritenersi di norma riferibile sempre in capo al contribuente- ricorrente, tenuto conto che l'estinzione del processo comporta la definitività dell'atto originariamente impugnato».
Secondo noi, invece, per evitare l'assurdo di cui sopra, in sede di riforma, l'articolo 63, comma 2, deve determinare l'estinzione del processo solo nel grado in cui si trova e, di conseguenza, si deve tener conto soltanto della sentenza impugnata; solo in questo modo tutte le parti processuali, in base ai propri interessi, sono coinvolte nel giudizio di rinvio e non soltanto il contribuente, come oggi avviene.
Appello. Ricorso per cassazione.
In tema di impugnative, occorre tenere conto dei seguenti princìpi:
A) Appello: deposito della copia.
L'articolo 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha modificato l'articolo 53, comma 2, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992, stabilendo che «Ove il ricorso non sia stato notificato a mezzo ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata».
La dottrina, fin dal primo momento, ha rilevato il fatto che la norma non fissa il termine entro il quale il citato deposito deve avvenire, per cui sono sorte varie interpretazioni sul punto, anche da parte di presidenti delle commissioni tributarie.
Infatti, il presidente della commissione tributaria regionale della Puglia, Salvatore Paracampo, con nota n. 113 del 3 maggio 2007, ha precisato: «La nuova norma non fissa un termine entro il quale il citato deposito deve avvenire ma, tenendo conto della funzione dell'adempimento e del fatto che la ricevuta dovrebbe essere allegata al fascicolo di parte, il deposito non potrebbe avvenire dopo la costituzione dell'appellante».
Pertanto, in sede di riforma, per dare certezze processuali alle parti, abbiamo previsto il termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell'appello (articolo 53, comma 3), a pena di inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio.
B) Appello: autorizzazione agli uffici.
Sull'attuale necessità della preventiva autorizzazione agli uffici di presentare appello è sorto un contrasto in seno alla Corte di cassazione.
Infatti, ultimamente, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14912 del 28 giugno 2007, non ritiene più necessaria la suddetta autorizzazione, tenuto conto che l'Agenzia delle entrate è un organismo autonomo rispetto al Ministero dell'economia e delle finanze; questa pronuncia, però, si pone in contrasto con altre sentenze che hanno affermato princìpi diversi. Infatti, con la sentenza n. 20516 del 22 settembre 2006 la Corte di cassazione ha giudicato inammissibile l'appello proposto dall'ufficio locale dell'Agenzia delle entrate, poiché l'autorizzazione da parte della direzione regionale non era stata rilasciata prima della notifica dell'atto di appello (vedi anche Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 13196 del 2007).
A questo punto, anche in questo caso, per dare certezze alle parti, in sede di riforma è opportuno non prevedere più alcuna preventiva autorizzazione, tenuto conto della nuova organizzazione autonoma dell'Agenzia delle entrate, rispetto al Ministero dell'economia e delle finanze (articolo 52, comma 1), in base all'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 300 del 1999.
C) Ricorso per cassazione.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione l'onere del ricorrente per cassazione di descrivere i fatti di causa può ritenersi adempiuto anche con la riproduzione del testo della sentenza impugnata, ma a condizione che questa sia a sua volta chiaramente illustrativa della fattispecie particolare e concreta oggetto della controversia, cosicché il rischio che il fatto di specie ultima sia stato descritto dal giudice di appello in maniera insufficiente è a totale carico del ricorrente, restando precluso ai giudici di legittimità l'esercizio sia di ogni potere
Conciliazione giudiziale anche in appello.
Da quanto fino ad ora schematicamente esposto, senza alcuna pretesa di compiutezza, può, intanto, senz'altro confermarsi valido il criterio normativo cosiddetto «misto» del diritto processuale tributario, distinguendo tra positivi richiami, specifiche esclusioni e adattamenti filtrati di singole norme o gruppi di norme di procedura civile rispetto alla riforma del processo tributario, in questa sede delineato.
Un esempio in tal senso è dato dall'istituto della conciliazione giudiziale (articolo 48), che deve tenere conto dei seguenti princìpi:
1) la Corte di cassazione, sezione tributaria, con l'importante sentenza n. 9222 del 18 aprile 2007, anche alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale esposti con la sentenza n. 276 del 2000, ha chiarito che le semplici udienze di rinvio non devono precludere la possibilità della conciliazione, tenuto conto del canone della ragionevole durata del processo;
2) la Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 21325 del 3 ottobre 2006, richiamando peraltro princìpi precedentemente formulati (Cassazione, sezione tributaria, sentenze n. 8455 del 22 aprile 2005 e n. 12314 del 6 ottobre 2001) ha precisato che con l'istituto in questione le parti determinano convenzionalmente l'imponibile e l'imposta dovuta e, di conseguenza, il rapporto di imposta controverso assume un assetto negoziale che si sostituisce integralmente a quello autoritativo anteriore alla procedura conciliativa. Pertanto, nell'ipotesi in cui nell'atto di conciliazione l'imposta sia quantificata in maniera errata, l'ufficio non può e non deve procedere all'emissione di un atto rettificativo, potendo invocare l'applicazione della disciplina dell'errore di calcolo solamente ove sussistano le condizioni previste dal codice civile (articolo 1430 del codice civile). In particolare, secondo la Corte di cassazione, «l'errore di calcolo che dà luogo alla sola rettifica del contratto ricorre allorquando in operazioni aritmetiche, posti per fermi i dati da computare ed il criterio matematico da seguire, si incorre in una svista materiale, rilevabile prima facie in base ai dati ed al criterio predetti ed emendabile con la semplice ripetizione del calcolo; non ricorre, invece, tale errore allorché la falsa conoscenza riguardi i dati aritmetici o il criterio matematico in base ai quali debba essere effettuato il calcolo, il quale, posti i dati ed il criterio seguiti, è invece esatto (Cassazione n. 1708 del 1969)» (sentenza n. 21325 del 2006);
3) infine, nel progetto di riforma, abbiamo previsto la possibilità di poter conciliare la controversia anche in appello (articolo 48, comma 7), logicamente riparametrando l'abbattimento delle sanzioni nella misura del 50 per cento.
Nella prima formulazione normativa della conciliazione era possibile, nel rispetto delle ulteriori condizioni stabilite, effettuarla anche in secondo grado e persino in Commissione centrale.
Si può, quindi, notare come l'istituto della conciliazione abbia subìto nel tempo
Sospensione dell'atto impugnato: eventuale appello.
La legge 30 dicembre 1991, n. 413, di delega per la riforma del contenzioso tributario, già all'articolo 30, comma 1, lettera h), non prevedeva espressamente l'inimpugnabilità dell'ordinanza in tema di sospensione dell'atto impositivo, per cui non si riesce a capire perché il legislatore, nell'attuale processo, non ha previsto l'eventuale appello.
In sede di riforma è opportuno colmare questo ingiustificato vuoto legislativo, consentendo alla parte interessata, così come avviene nel giudizio amministrativo, di poter proporre appello ovvero l'ordinanza. E ciò può tornare utile sia al contribuente, in caso di rigetto, sia al fisco, in caso di accoglimento, realizzandosi in tale modo una perfetta parità processuale, senza la lesione del diritto di difesa.
Se da più parti, giustamente, si auspica un riconoscimento formale della giurisdizione tributaria in posizione paritaria rispetto a quella ordinaria e amministrativa, persino a livello costituzionale, è bene sin da ora, per quanto possibile, uniformare le procedure, anche a livello di sospensive.
Infatti, è opportuno ulteriormente ribadire il principio dell'articolo 24 della Costituzione che contraddistingue lo Stato di diritto, secondo cui chi subisce qualsiasi misura afflittiva, cioè lesiva di sue posizioni soggettive, ha sempre il diritto di difendersi attraverso un processo equo, agevole ed efficace tra parti messe effettivamente su un piano di perfetta parità (articolo 111 della Costituzione), senza alcuna limitazione, distinzione o, peggio, supposta superiorità di una parte rispetto all'altra.
Oltretutto, con la riforma auspicata, si rende coerente il sistema con quanto previsto in tema di sanzioni amministrative, per le quali, invece, oggi, è prevista la possibilità della sospensione da parte dell'organo di appello (articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472).
Allora, non si riesce a comprendere la logica di consentire la sospensione in grado di appello solo per le sanzioni e non anche per i tributi, soprattutto quando le due entità sono intimamente connesse a seguito della notifica di un unico avviso di accertamento.
Ultimamente, la commissione tributaria regionale di Bolzano, con l'ordinanza n. 4 del 6 agosto 2007, ha confermato che in secondo grado non è possibile sospendere i pagamenti e ciò non è costituzionalmente illegittimo.
La soluzione prospettata, invece, sanerebbe questa ingiustificata e illegittima diversità.
Sospensione dell'esecuzione delle sentenze.
C'è un altro esempio eclatante, oggi, sulla mancanza di parità processuale fra parte pubblica e parte privata. È noto, infatti, che la sentenza non definitiva del contribuente (ad esempio, per un rimborso o per le spese di giudizio) non può essere utilizzata in un'esecuzione contro il fisco, ma bisogna aspettare, persino per molti anni, la sentenza definitiva e, di fronte all'ostinato comportamento omissivo dell'Amministrazione finanziaria, bisogna attivare l'ulteriore giudizio di ottemperanza, di cui, peraltro, tratteremo oltre. Al contrario, l'Agenzia delle entrate, per esempio a seguito di una sentenza di primo grado, anche se tempestivamente appellata, può obbligare il contribuente a pagare i due terzi dell'imposta, degli interessi e delle sanzioni.
Nell'attuale situazione, salvo qualche timido tentativo dottrinario, si è sempre esclusa la possibilità di chiedere, in grado di appello, la sospensione dell'esecuzione della sentenza.
In sede di riforma, proprio per evitare gli assurdi di cui sopra, abbiamo previsto la possibilità di applicare l'articolo 283 del codice di procedura civile (articolo 61, comma 1) e l'articolo 373 del medesimo codice di procedura civile (articolo 63, comma 3). Cosa che, fino ad oggi, hanno avuto il coraggio di fare soltanto i giudici della commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza del 22 agosto 2001 (presidente e relatore Sodo), e sezione staccata di Taranto, con l'ordinanza del 15 giugno 2005, n. 31 (presidente e relatore Bruschi; si veda Corriere tributario Ipsoa, n. 36, 2005, pagine 2861 e seguenti, con nota critica di Glendi), nonché i giudici della commissione tributaria regionale del Lazio, con ordinanza del 14 gennaio 1999, e del Molise, con ordinanza del 29 luglio 1998, e della commissione tributaria di Bologna, con ordinanza del 28 giugno 1996.
Oltretutto, lo stesso Glendi, uno dei padri dell'attuale processo tributario, pur criticando le suddette ordinanze nell'articolo citato, consiglia di rimettere gli atti alla Corte costituzionale per la lesione dei princìpi contenuti negli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione oppure, in caso di esito negativo, consiglia un immediato intervento legislativo, tenuto conto che «la spiccata specificità del processo tributario non può in alcun modo giustificare il mancato riconoscimento della tutela cautelare del contribuente oltre il primo grado di giudizio, tenuto conto, tra l'altro, che, di converso, in tale processo, lo stesso contribuente può esperire il giudizio di ottemperanza per la condanna al rimborso della somma indebitamente versata solo dopo che la sentenza sia passata in giudicato» (Cesare Glendi, articolo citato, pagina 2871).
Oggi, tenuto conto che le suddette eccezioni di incostituzionalità sono state rigettate dalla Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 119 del 21 marzo 2007, è chiaro e inevitabile che l'unica strada percorribile è quella indicata nel presente progetto di legge, proprio per tutelare al massimo il cittadino-contribuente ed evitare gli assurdi in precedenza denunciati ed evidenziati.
Giudizio di ottemperanza.
1) Nel giudizio di ottemperanza occorre, innanzitutto, codificare (articolo 71,
2) infine, si precisa che il commissario ad acta, sostituendosi in tutto e per tutto agli uffici inadempienti, può sempre utilizzare il conto sospeso, per accelerare al massimo le procedure di rimborso (articoli pubblicati da Il Sole 24 ore del 26 febbraio 2002, pagina 23, e del 3 maggio 2002, pagina 23, in merito a procedure adottate in vari giudizi di ottemperanza).
Applicazione della «legge Pinto».
La Corte di cassazione nell'applicazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta «legge Pinto» per l'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), dopo un'iniziale periodo di netta chiusura (sentenze n. 18739 del 17 settembre 2004 e n. 20675 del 25 ottobre 2005) ha ultimamente corretto il tiro (sentenze n. 17499 del 30 agosto 2005 e n. 21651 dell'8 novembre 2005).
Con quest'ultima sentenza, in particolare, la Corte ha ritenuto applicabile la legge Pinto anche nel processo tributario limitatamente:
1) al giudizio di ottemperanza (articolo 70) e a quello vertente sull'individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza o riguardante rimborsi di imposte non dovute;
2) alla materia penale, intesa quest'ultima come comprensiva anche delle controversie relative all'applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro gravità, assimilabili sul piano dell'afflittività ad una sanzione penale.
Oggi, in sede di riforma, tenuto conto che anche il processo tributario è destinatario delle garanzie sancite nel novellato articolo 111 della Costituzione, a pena di una ingiustificata disparità di trattamento di posizioni, censurabile davanti alla Consulta, è chiaro che si deve codificare il principio della piena applicabilità della legge Pinto anche al processo tributario (articolo 72) proprio in ossequio all'articolo 111, secondo comma, della Costituzione, che prevede «la ragionevole durata».
Considerazioni conclusive.
La peculiarità e la diversità del processo tributario, che pure costituiscono un forte segnale positivo, sono state, tuttavia, spesso utilizzate per distinguere, purtroppo, in chiave negativa e restrittiva il ruolo del rito tributario, tanto da affermare, in termini fortemente critici, «la irragionevole diversità» (così Enrico De Mita, in Il Sole 24 ore del 1o giugno 2000) del processo tributario rispetto agli altri riti processuali.
La disamina effettuata nella presente relazione evidenzia, invece, netta la volontà del futuro riformatore di affrancare definitivamente il processo tributario da mere finalità di recupero di gettito fiscale e di costruirlo, invece, quale «vero» processo ispirato, essenzialmente, ai princìpi fondamentali della paritaria partecipazione delle parti alla vicenda processuale, regolata in tutte le sue scansioni da un giudice terzo e imparziale (anche all'apparenza), sia pure con tutti i limiti insiti nella sua natura di rapporto processuale strettamente collegato all'impugnazione di un atto (sulla necessaria imparzialità del giudice tributario si rinvia all'interessante decisione del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 3760 del 22 maggio 2007; si veda
1. La giurisdizione tributaria, nel rispetto dell'articolo 111, primo e secondo comma, della Costituzione, è esercitata dai tribunali tributari e dalle corti d'appello tributarie di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1992, n. 545, come da ultimo modificato dalla parte seconda della presente legge.
2. I giudici tributari applicano le norme della presente legge e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.
1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi e le tasse di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali nonché i contributi previdenziali e i contributi per il Servizio sanitario nazionale, accertati dagli uffici delle agenzie fiscali e
1. Il difetto di giurisdizione è rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
2. È ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41, primo comma, del codice di procedura civile. In tal caso, deve essere disposta la sospensione del processo, ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lettera d).
3. Quando la Corte di cassazione stabilisce la giurisdizione del giudice competente, le parti interessate devono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, pena l'estinzione del grado del processo. In caso di tempestiva riassunzione del processo, si conservano sempre gli effetti della domanda nel processo proseguito, a seguito di declaratoria di giurisdizione, davanti al giudice munito di giurisdizione. In caso di tempestiva riassunzione davanti al competente giudice tributario, sono applicabili le norme della presente legge.
1. I tribunali tributari e le corti d'appello tributarie sono competenti per le cause proposte nei confronti degli uffici delle agenzie fiscali o dell'ente previdenziale ovvero degli enti locali o regionali ovvero degli agenti della riscossione, anche per delega, che hanno sede nella loro circoscrizione; se la controversia è proposta nei confronti del centro operativo di
1. La competenza territoriale è inderogabile.
2. L'incompetenza territoriale è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce.
3. La sentenza dei giudici tributari che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la competenza territoriale in essa indicata, se il processo viene riassunto a norma del comma 5.
4. Non si applicano gli articoli 42 e 43 del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza.
5. La riassunzione del processo davanti ai giudici tributari dichiarati competenti deve sempre essere effettuata con ricorso di parte nel termine perentorio fissato nella sentenza o, in mancanza, nel termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione del dispositivo della sentenza stessa, in conformità a quanto disposto dagli articoli 20, 21 e 22. Se la riassunzione avviene nei termini indicati dal periodo precedente, il processo continua davanti ai nuovi giudici; in difetto, si estingue il grado del processo.
6. L'estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa. Essa è
1. L'astensione e la ricusazione dei giudici tributari sono disciplinate dalle norme del codice di procedura civile.
2. Il giudice tributario ha l'obbligo di astenersi e può essere ricusato anche nell'ipotesi di partecipazione alla Commissione di cui all'articolo 13, comma 2, e in ogni caso in cui abbia o abbia avuto rapporti di dipendenza dal Ministero dell'economia e delle finanze o dall'agenzia fiscale o dall'ente locale o regionale o dall'agente della riscossione, nonché rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione, anche occasionale, con una delle parti.
3. Sulla ricusazione decide il collegio al quale appartiene il componente ricusato, senza la sua partecipazione e con l'integrazione di un altro membro della stessa sezione designato dal suo presidente. Il collegio decide con ordinanza motivata non impugnabile, dalla cui comunicazione decorre il termine perentorio di sei mesi per la riassunzione, pena l'estinzione del grado di giudizio.
4. In sede di appello, il motivo di ricusazione non può essere eccepito per la prima volta.
1. I giudici tributari, ai fini istruttori e soltanto nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, con ordinanza motivata non impugnabile, esercitano tutte le facoltà di accesso,
1. I giudici tributari, anche d'ufficio, dichiarano non applicabili le sanzioni amministrative
1. Il personale dell'ufficio di segreteria assiste i giudici tributari ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile concernenti il cancelliere.
2. Le attività dell'ufficiale giudiziario in udienza sono svolte dal personale ausiliario addetto alla segreteria.
3. La mancata assistenza del segretario alla formazione del processo verbale di udienza non determina alcuna nullità del procedimento.
1. Sono parti interessate nel processo tributario, oltre al ricorrente, che è esclusivamente colui che risulti destinatario e notificatario di uno degli atti indicati tassativamente nell'articolo 19, l'ufficio dell'agenzia fiscale, l'ente previdenziale, l'ente locale o regionale o l'agente della riscossione, che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto ovvero, se l'ufficio è il centro operativo di Pescara e di Venezia, l'ufficio dell'Agenzia delle entrate al quale spettano le attribuzioni nel rapporto controverso, ad eccezione dell'ipotesi di cui all'articolo 4, comma 2.
2. La Società italiana degli autori ed editori (SIAE) non può essere parte nel
1. Le parti interessate, diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3, possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale. La procura speciale, se conferita al coniuge e ai parenti o affini entro il quarto grado ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica, può risultare anche da scrittura privata non autenticata.
2. L'ufficio dell'agenzia fiscale e dell'ente previdenziale nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente, con un proprio dipendente delegato dal dirigente dell'ufficio.
3. L'ente locale o regionale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio, in primo e secondo grado, anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio. In ogni caso, è sempre fatto salvo quanto diversamente stabilito dallo statuto dell'ente locale o regionale.
4. Qualora il relativo servizio di accertamento e riscossione di tributi locali e regionali sia affidato in concessione, legittimato a stare in giudizio è soltanto lo stesso concessionario, che subentra in tutti i diritti ed obblighi inerenti alla gestione del servizio.
5. Il difetto di rappresentanza processuale è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
1. Le parti interessate, diverse dall'ufficio dell'agenzia fiscale o dall'ente locale o regionale o dall'ente previdenziale nei cui confronti è stato proposto il ricorso, devono stare in giudizio, salvo i casi in cui la legge dispone altrimenti, con il ministero di un unico avvocato legalmente esercente, senza alcuna limitazione territoriale e, davanti alla Corte di cassazione, con il ministero di un avvocato iscritto all'apposito albo.
2. Al difensore deve essere conferita la procura alle liti, ai sensi dell'articolo 83 del codice di procedura civile, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata o anche in calce od a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso avvocato. La procura speciale alle liti è valida sia quando la firma del difensore si trovi subito dopo la sottoscrizione del conferente sia quando la firma del difensore sia apposta in chiusura del testo del documento nel quale il mandato si inserisce. All'udienza pubblica la procura può essere conferita solo per iscritto e se ne dà atto nel verbale. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su un foglio separato che sia, però, congiunto materialmente all'atto cui si riferisce.
3. L'ufficio dell'agenzia fiscale, solo nel giudizio d'appello, può essere assistito dall'Avvocatura dello Stato.
4. Le cause di valore inferiore ad euro 2.582,28, anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali o
1. Nel processo tributario è applicabile l'istituto della difesa tecnica gratuita, come disciplinato dagli articoli da 74 a 86 del testo unico di cui al decreto del Presidente
1. Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Si applica l'articolo 2, comma 7. Il litisconsorzio necessario può essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1, è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
3. Possono intervenire volontariamente per adesione, entro il termine perentorio di cui all'articolo 32, comma 1, o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato oppure parti del rapporto tributario o previdenziale controverso. In ogni caso, non possono intervenire nel processo tributario gli enti esponenziali che si ergono a tutela di una generica e indefinita categoria di contribuenti.
4. Le parti chiamate si devono costituire in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili.
5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti costituite e
1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. I giudici tributari possono dichiarare compensate, in tutto o in parte, le spese, a norma dell'articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, con sentenza congruamente e specificamente motivata. È applicabile l'articolo 96 del codice di procedura civile.
2. Le spese del giudizio liquidate con la sentenza sono immediatamente esecutive, anche se viene proposto appello, salvo la sospensione dell'esecuzione della sentenza ai sensi dell'articolo 61.
3. Nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio dell'agenzia fiscale o dell'ente previdenziale, se costituito con propri funzionari, oppure a favore dell'ente locale o regionale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del 30 per cento degli onorari e diritti di avvocato ivi previsti, nonché un rimborso forfetario delle spese generali, in ragione del 10 per cento sull'importo degli onorari e dei diritti già ridotti.
1. Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria consegnato alle parti costituite, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. Le comunicazioni all'ufficio dell'agenzia fiscale o all'ente previdenziale o all'ente locale o regionale possono essere fatte mediante trasmissioni di elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, è restituito alla segreteria. La segreteria può anche richiedere la notificazione dell'avviso da parte dell'ufficio giudiziario o del messo comunale nelle forme di cui al comma 2.
2. Le notificazioni agli uffici competenti sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall'articolo 17 della presente legge.
3. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento ovvero al competente ufficio dell'agenzia fiscale o al competente ente previdenziale o al competente ente locale o regionale mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto, che ne rilascia ricevuta sulla copia.
4. L'ufficio dell'agenzia fiscale o l'ente previdenziale o l'ente locale o regionale provvede alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale di nomina giuntale o di messo speciale autorizzato dall'Amministrazione finanziaria o dall'ente previdenziale o dal dirigente dell'ente locale, con l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2; i suddetti messi, a pena di nullità insanabile, non sono abilitati, neppure in via eccezionale, ad effettuare notificazioni dinanzi agli organi giudiziari.
5. Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si
1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte nel luogo indicato dall'articolo 330, primo e secondo comma, del codice di procedura civile.
2. È valida la notifica di una sola copia dell'atto al procuratore costituito per una pluralità di parti.
3. Le indicazioni di cui al comma 1 hanno effetto anche per i successivi gradi del processo, salvo che non sia diversamente disposto.
4. Se mancano le indicazioni di cui al comma 1 o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria.
1. Il processo è introdotto soltanto con ricorso al tribunale tributario.
2. Il ricorso deve contenere l'indicazione:
a) del tribunale tributario cui è diretto;
b) del ricorrente e del suo attuale legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale;
c) dell'ufficio dell'agenzia fiscale o dell'ente locale o regionale o dell'ente previdenziale o dell'agente della riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;
d) dell'atto impugnato e dell'oggetto della domanda; non sono ammesse domande riconvenzionali;
e) dei motivi specifici.
3. I fatti non contestati nella prima difesa utile, quale che sia la parte che li abbia dedotti, non appartengono alla lite, se non come fatti pacifici, come stabilito dall'articolo 23, comma 3.
4. Il ricorso deve essere sottoscritto dall'avvocato del ricorrente e contenere la certificazione della procura, a norma dell'articolo 12, comma 2, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente, nei
1. Il ricorso può essere proposto dalla parte interessata, compreso il cessionario del credito, avverso i seguenti atti tassativi oggetto della giurisdizione tributaria, ai sensi dell'articolo 2:
a) l'avviso di accertamento o di rettifica del tributo, anche parziale, e l'avviso di recupero dei crediti d'imposta di ogni genere; il provvedimento di revoca dell'accertamento con adesione;
b) l'avviso di liquidazione del tributo, la comunicazione di irregolarità e l'invito bonario a versare quanto dovuto in modo definitivo e non condizionato;
c) il provvedimento che determina le sanzioni, comunque irrogate da uffici fiscali e previdenziali, comprese le sanzioni in caso di impiego di lavoratori irregolari;
d) il ruolo, la cartella di pagamento e l'estratto di ruolo;
e) l'avviso di mora e l'intimazione di pagamento;
f) il fermo amministrativo previsto dall'articolo 69 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e successive modificazioni, e quello previsto dall'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, nonché tutti i preavvisi di fermo e di atti esecutivi;
g) l'iscrizione di ipoteca giudiziale e il sequestro conservativo, applicabili alle sole sanzioni amministrative, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, e mai ai tributi e agli interessi; l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
h) gli atti relativi a tutte le operazioni catastali e alle tariffe d'estimo, ai sensi dell'articolo 2, comma 4;
i) il rifiuto, espresso o tacito, della restituzione o di sgravio di tributi, tasse, tariffe, canoni, contributi, sanzioni amministrative ed interessi od altri accessori non dovuti, compresi gli interessi anatocistici di cui all'articolo 1283 del codice civile, e la rivalutazione monetaria di cui all'articolo 1224, secondo comma, del medesimo codice civile, nonché le proposte degli uffici di compensazione di ogni tipo; le richieste di rimborso di cui alla presente lettera non possono mai essere riconosciute d'ufficio dal giudice tributario senza una specifica istanza di parte;
l) il diniego, espresso o tacito, dell'istanza di autotutela, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 11 febbraio 1997, n. 37;
m) il diniego o la revoca, espressi o taciti, di agevolazioni o il rigetto, espresso o tacito, di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; il rigetto, espresso o tacito, di tutte le istanze di
n) il rigetto, espresso o tacito, dell'azione di puro accertamento negativo di cui all'articolo 2, comma 8;
o) il pignoramento fiscale dei crediti verso terzi, ai sensi dell'articolo 72-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
p) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda tassativamente l'autonoma impugnabilità; ogni altro atto rientrante nell'oggetto delle controversie di cui all'articolo 2, comprese le fatture utilizzate per la riscossione della tariffa igiene ambientale disciplinata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono, a pena di nullità, contenere l'esatta indicazione del termine perentorio entro il quale il ricorso deve essere proposto e del tribunale tributario competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'articolo 20.
3. Gli atti diversi da quelli tassativamente indicati nel comma 1 non sono impugnabili autonomamente.
4. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili di cui al comma 1 può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo soltanto se il ricorrente intende trasferire la contestazione nel merito, impugnando specificamente anche l'atto presupposto insieme a quello consequenziale. In ogni caso è applicabile l'articolo 24, comma 2.
5. In caso di diniego, espresso o tacito, dell'istanza di autotutela, i giudici possono decidere, nel merito, del rapporto tributario sottostante anche in base ad equità, con sentenza non appellabile, salvo il ricorso
1. Il ricorso è proposto mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 dell'articolo 16.
2. La spedizione del ricorso a mezzo posta deve essere fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. In tal caso, il ricorso si intende proposto al momento della spedizione; in difetto, il ricorso si intende proposto al momento della ricezione.
3. È ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti, anche non connessi, come previsto dall'articolo 104, primo comma, del codice di procedura civile. È ammissibile il ricorso congiunto proposto da più soggetti avverso un medesimo atto impositivo o più atti impositivi tra loro intimamente connessi.
1. Il ricorso deve essere proposto, a pena d'inammissibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato, salvo l'ipotesi di cui all'articolo 40, comma 4. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo. Si applica la sospensione feriale dei termini processuali, prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e successive modificazioni.
2. Il ricorso avverso il rifiuto tacito delle restituzioni e delle istanze di cui all'articolo 19, comma 1, lettere i), m) e n), può essere proposto, a pena d'inammissibilità, rilevabile d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, dopo il novantesimo giorno dalla domanda di rimborso o dall'istanza presentata all'ufficio competente. La domanda di rimborso, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo tre anni dal pagamento
1. Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità, deposita, con la relativa nota, nella segreteria del tribunale tributario adito o trasmette con la relativa nota di deposito a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l'originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso, con la certificazione della procura se esistente, consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o soltanto della ricevuta di spedizione
1. L'ufficio dell'agenzia fiscale, l'ente locale o regionale oppure l'ente previdenziale o l'agente della riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso devono costituirsi in giudizio, con la relativa nota di deposito, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal giorno in cui il
1. I documenti devono essere elencati con la relativa nota di deposito negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale e in un numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti, nei termini perentori di cui all'articolo 32.
2. L'integrazione dei motivi specifici di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine del collegio giudicante, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia ufficiale di tale deposito, con il ritiro degli atti di controparte.
3. Se è stata già fissata la trattazione della causa, l'interessato, a pena d'inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso, la trattazione o l'udienza devono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma 4.
4. L'integrazione dei motivi si effettua, a pena d'inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, mediante atto avente i requisiti di cui all'articolo 18. Si applicano l'articolo 20, commi 1 e 2, l'articolo 22 e l'articolo 23, comma 3.
1. La segreteria iscrive il ricorso nel registro generale e forma il fascicolo d'ufficio del processo, inserendovi i fascicoli del ricorrente e delle altre parti costituite,
1. Il presidente del tribunale tributario assegna immediatamente il ricorso ad una delle sezioni; al di fuori dei casi di cui all'articolo 29, comma 1, il presidente del tribunale tributario può assumere gli opportuni provvedimenti affinché, anche su specifica e motivata richiesta delle parti costituite, i ricorsi concernenti identiche questioni di diritto o di merito a carattere generale o ripetitivo siano assegnati alla medesima sezione per essere trattati congiuntamente, per evitare possibili contrasti giurisprudenziali.
1. Il presidente della sezione, scaduti i termini perentori per la costituzione in giudizio delle parti, esamina preliminarmente il ricorso e ne dichiara l'inammissibilità nei casi espressamente previsti, se manifesta.
2. Il presidente della sezione, ove ne sussistano i presupposti, dichiara inoltre la
1. Contro i provvedimenti del presidente della sezione è ammesso reclamo da notificare alle altre parti nelle forme di cui all'articolo 20, commi 1 e 2, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla loro comunicazione da parte della segreteria.
2. Il reclamante, nel termine perentorio di quindici giorni dall'ultima notificazione, a pena d'inammissibilità, rilevabile d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, effettua il deposito secondo quanto disposto dall'articolo 22, comma 1, osservato anche il comma 3 del medesimo articolo.
3. Nei successivi quindici giorni dalla notifica le altre parti costituite possono presentare memorie difensive.
4. Scaduti i termini perentori, il collegio decide immediatamente il reclamo in camera di consiglio.
5. Il collegio pronuncia sentenza se dichiara l'inammissibilità del ricorso o l'estinzione del processo; negli altri casi, pronuncia ordinanza motivata non impugnabile nella quale sono dati i provvedimenti per la prosecuzione del processo.
1. In qualunque momento, il presidente della sezione, anche su istanza motivata delle parti, deve disporre con decreto la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi.
2. Se i processi pendono davanti a sezioni diverse il presidente del tribunale
1. Se non ritiene di adottare preliminarmente i provvedimenti di cui all'articolo 27, il presidente della sezione, scaduto in ogni caso il termine perentorio per la costituzione delle parti, fissa la trattazione della causa, secondo quanto previsto dagli articoli 33 e 34, e nomina il relatore.
2. Almeno un'udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è riservata alla trattazione di cause per le quali l'ammontare dei singoli tributi accertati, dei relativi interessi e delle conseguenti sanzioni amministrative non è inferiore ad euro 51.645,69. Un'altra udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è comunque riservata alla trattazione di cause nei confronti di società con personalità giuridica, nonché di cause inerenti l'applicazione dell'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
1. La segreteria dà comunicazione alle sole parti costituite della data di trattazione almeno sessanta giorni liberi prima.
2. Uguale avviso a quello previsto dal comma 1 deve essere dato quando la trattazione è stata rinviata dal presidente in caso di giustificato impedimento del relatore, che non può essere sostituito, o di alcuna delle parti o dell'avvocato difensore o per motivate esigenze di servizio.
3. Il tetto massimo di fascicoli da porre in udienza è fissato nel numero di venti, comprese le udienze per le sospensive di cui all'articolo 47.
1. Le parti costituite possono depositare documenti fino al termine perentorio di venti giorni liberi prima della data di trattazione, in conformità a quanto disposto dall'articolo 24, comma 1.
2. Fino al termine perentorio di dieci giorni liberi prima della data di cui al comma 1 ciascuna delle parti costituite può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti costituite.
3. Nel solo caso di trattazione della causa in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino al termine perentorio di cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio.
1. La causa è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti costituite non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza, anche inserita nel ricorso o nell'atto di costituzione, da depositare nella segreteria
1. All'udienza pubblica il relatore deve esporre, in maniera chiara e completa, al collegio i fatti e le questioni di diritto e di merito della causa e, quindi, il presidente ammette le parti presenti alla discussione.
2. Deve parlare per primo l'ufficio dell'agenzia fiscale, l'ente previdenziale, l'ente locale o regionale oppure l'agente della riscossione. Sono ammesse brevi repliche.
3. Dell'udienza è redatto processo verbale dal segretario.
4. Il collegio può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata o del suo difensore, quando la sua difesa tempestiva, scritta od orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti. Si applica l'articolo 31, comma 2, salvo che il differimento sia disposto in udienza con la presenza di tutte le parti costituite e le stesse siano d'accordo.
1. Il collegio giudicante delibera la sentenza in segreto in camera di consiglio.
2. Quando ne ricorrono i motivi la deliberazione in camera di consiglio può essere rinviata non oltre il termine di trenta giorni.
1. Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto. Il giudice, sia in primo grado che in appello, anche d'ufficio, può decidere il merito della causa secondo equità. In ogni caso, il giudice deve porre a fondamento della sentenza soltanto le prove proposte dalle parti costituite nonché i fatti non specificamente contestati, come stabilito dagli articoli 18, comma 3, e 23, comma 3. Per fatto notorio deve intendersi soltanto il fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile; tra le nozioni di comune esperienza non rientrano le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, come la determinazione del valore corrente degli immobili.
2. Ai sensi dell'articolo 654 del codice di procedura penale, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario. In ogni caso, quando uno stesso fatto è punito ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni, e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ai fini dell'articolo 19 del citato decreto legislativo n. 74 del 2000, si applica soltanto
a) l'indicazione della composizione del collegio, delle parti costituite e dei loro difensori se vi sono;
b) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;
c) le richieste specifiche delle parti costituite;
d) la succinta esposizione dei motivi in diritto e in fatto, senza che il giudice possa limitarsi a un mero rinvio alla motivazione di altra sentenza, anche se connessa;
e) il dispositivo.
6. La sentenza, inoltre, deve contenere, a pena di nullità, la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall'estensore. Si applica l'articolo 132, terzo comma, del codice di procedura civile.
7. Il contrasto tra la formulazione letterale del dispositivo e la pronuncia adottata in motivazione integra un semplice errore materiale emendabile ai sensi dell'articolo 287 del codice di procedura civile.
8. Il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, e successive modificazioni, deve essere risolto dal giudice tributario
1. La sentenza è resa pubblica, nel testo integrale originale, mediante deposito nella segreteria entro il termine di trenta giorni dalla data della deliberazione. Il segretario fa risultare l'avvenuto deposito apponendo sulla sentenza la propria firma e la data.
2. Il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro cinque giorni dal deposito di cui al comma 1.
3. La comunicazione di cui al comma 2 può essere effettuata anche a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tale fine, l'avvocato difensore può indicare nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere l'avviso.
1. Ciascuna parte può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza e la segreteria è tenuta a rilasciarle entro tre giorni dalla richiesta, previa corresponsione delle spese.
2. Le parti hanno l'onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti, a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, oltre la sospensione feriale dei termini
1. Il processo deve essere sospeso quando tassativamente:
a) si verifica l'ipotesi di cui all'articolo 295 del codice di procedura civile, anche se riferita a questioni comunitarie, nonché l'ipotesi di cui all'articolo 5, comma 7;
b) è presentata querela di falso, se necessaria per la prosecuzione del processo;
c) deve essere decisa, in via pregiudiziale, una questione sullo stato o sulla capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio;
d) è proposto il regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'articolo 3, comma 2.
2. In ogni caso, il processo tributario non può essere sospeso per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione,
1. Il processo deve essere interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica:
a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti costituite o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza, diversa dall'ufficio dell'agenzia fiscale o dell'ente previdenziale oppure dell'ente locale o regionale o dell'agente della riscossione;
b) la morte, la radiazione, la sospensione o la cancellazione volontaria dall'Ordine dell'avvocato difensore.
2. L'interruzione si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi di cui al comma 1, lettera b). In ogni caso, l'interruzione si ha al momento in cui l'evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte cui l'evento si riferisce.
3. Se uno degli eventi di cui al comma 1 si avvera dopo l'ultimo giorno per il deposito di memorie in caso di trattazione della causa in camera di consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica udienza, esso non produce effetto a meno che non sia pronunciata sentenza e il processo prosegua davanti al giudice adito.
4. Se uno degli eventi di cui al comma 1, lettera a), si verifica durante il termine
1. La sospensione del processo è disposta e l'interruzione è dichiarata dal presidente della sezione o dal collegio giudicante con ordinanza motivata non impugnabile.
2. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 28.
1. I termini in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 43. In ogni caso, il contribuente può proporre l'istanza di sospensione di cui all'articolo 47, ma non trova applicazione la disposizione di cui al comma 7 del medesimo articolo 47.
1. Dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data
1. Il processo si estingue per rinuncia scritta al ricorso.
2. Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti costituite, salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente di sezione o dal collegio con ordinanza motivata non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo.
3. La rinuncia non produce effetto se non è accettata dalle parti interessate costituite e dai loro difensori che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo.
1. Il processo si estingue, soltanto nel grado in cui si trova, nei casi in cui le parti alle quali spetta proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi hanno provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge è autorizzato a fissarlo.
2. Le spese del processo estinto a norma del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate.
3. L'estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata, anche d'ufficio, solo nel grado del giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti.
4. L'estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dal collegio con sentenza. Avverso il decreto del presidente della sezione è ammesso reclamo al collegio, che provvede a norma dell'articolo 28.
5. L'estinzione del processo non determina anche l'estinzione della relativa azione, ai sensi dell'articolo 310, primo comma, del codice di procedura civile, sempre nel rispetto dei termini di decadenza previsti dalle singole leggi d'imposta.
1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze
1. Il ricorrente, se dall'atto impugnato positivo o negativo, espresso o tacito, può derivargli un danno grave, può chiedere al giudice tributario competente la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositata in segreteria, a condizione che siano osservate le disposizioni di cui all'articolo 22.
2. La sospensione può riguardare tutti gli atti di cui all'articolo 19 per evitare le iscrizioni provvisorie o la riscossione o la garanzia delle somme contestate, anche in assenza di cartelle esattoriali o avvisi di mora o richieste di pagamento.
3. Il presidente della sezione fissa con decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
4. In caso di eccezionale urgenza il presidente della sezione, previa sommaria
1. Ciascuna delle parti costituite può proporre all'altra parte la conciliazione, totale o parziale, della causa.
2. La conciliazione può aver luogo non oltre la prima udienza utile di merito, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d'ufficio anche dai giudici tributari.
3. Se la conciliazione ha luogo è redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate precisamente e definitivamente le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano euro 51.645,69, previa prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria, bancaria o assicurativa. La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di trenta giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione della predetta garanzia sull'importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa rata e per il periodo di rateazione di tale importo. Per le modalità di versamento si applica l'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592. Le predette modalità possono essere modificate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, fermo restando quanto disposto dall'articolo 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
4. In caso di mancato pagamento, anche della prima o di una sola delle rate successive, se il garante non versa l'importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente
1. Alle impugnazioni delle sentenze e delle ordinanze di cui all'articolo 47 dei tribunali tributari si applicano tutte le disposizioni del titolo III, capo I, del libro secondo del codice di procedura civile, fatto salvo quanto disposto dalla presente legge.
2. Per la proposizione delle impugnazioni non sono applicabili gli articoli 184-bis e 294 del codice di procedura civile.
1. I mezzi tassativi per impugnare le sentenze dei tribunali tributari sono l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione, salvo quanto disposto dall'articolo 47, comma 10.
2. Le sentenze pronunciate secondo equità, ai sensi degli articoli 19, comma 5, e 36, comma 1, non sono appellabili e il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile.
3. All'acquiescenza tacita non deve essere ricondotto il caso in cui il contribuente effettua, spontaneamente o coattivamente, un pagamento.
1. Se la legge non dispone diversamente, il termine perentorio per impugnare la sentenza del tribunale tributario è di sessanta giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall'articolo 38, comma 3, della presente legge, oltre la sospensione feriale dei termini processuali, prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e successive modificazioni.
2. Qualora la sovrapposizione del termine breve a quello lungo avvenga in prossimità della scadenza di quello annuale di decadenza, il termine ultimo per l'impugnazione rimane comunque quello annuale anche se il termine breve scade in un momento successivo.
3. Nel caso di revocazione per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell'articolo 395 del codice di procedura civile, il termine perentorio di sessanta giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.
1. La sentenza del tribunale tributario, anche parziale, può essere appellata dalla parte interessata alla corte d'appello tributaria, o sezione staccata, competente per territorio, a norma dell'articolo 4, comma 3.
2. È ammissibile l'impugnazione, con un unico atto di appello, di più pronunce relative a distinti procedimenti, allorché queste siano state rese tra le stesse parti e abbiano trattato identiche questioni.
1. L'atto d'appello deve contenere:
a) l'indicazione esatta della corte d'appello tributaria cui è diretto;
b) l'indicazione dell'appellante e delle altre parti interessate nei cui confronti è proposto;
c) gli estremi precisi della sentenza impugnata o dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione pronunciata in primo grado, ai sensi dell'articolo 47, comma 10;
d) l'esposizione sommaria dei fatti;
e) l'oggetto preciso della domanda;
f) i motivi specifici dell'impugnazione riferiti soltanto alla sentenza contestata o all'ordinanza di cui alla lettera c).
2. L'atto d'appello è dichiarato inammissibile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi tassativamente
1. Le parti diverse dall'appellante devono costituirsi nei modi e nei termini perentori di cui all'articolo 23, depositando apposito atto di controdeduzioni.
2. Nello stesso atto depositato nei modi e nei termini perentori di cui al comma 1 può essere proposto, a pena d'inammissibilità, rilevabile d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, appello incidentale, anche tardivo, in caso di soccombenza parziale.
3. Qualora una o più domande della parte non siano state accolte in una sentenza che, nel suo complesso, dia ragione totalmente alla stessa parte, non sussiste interesse ad impugnare e, per far valere
1. Il presidente e i presidenti di sezione della corte d'appello tributaria hanno poteri corrispondenti a quelli del presidente e dei presidenti di sezione del tribunale tributario.
1. Le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza e nell'ordinanza del tribunale tributario, che non sono specificamente riproposte in appello, s'intendono rinunciate.
1. Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove, salvo la diversa qualificazione giuridica, e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili, anche d'ufficio. Possono, tuttavia, essere chiesti gli interessi moratori maturati dopo la sentenza impugnata.
2. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio. Si applica l'articolo 6, comma 4.
3. Non possono essere chiesti per la prima volta in appello la rivalutazione monetaria ai sensi dell'articolo 1224, secondo comma, del codice civile e gli interessi anatocistici di cui all'articolo 1283 del medesimo codice civile e gli stessi non possono essere riconosciuti d'ufficio dal giudice tributario, in conformità a quanto disposto dall'articolo 19, comma 1, lettera i), della presente legge.
1. Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, oltre quelle di cui all'articolo 7, salvo che non le ritenga assolutamente necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.
2. È fatta salva la facoltà delle parti costituite di produrre nuovi documenti o di richiedere la nomina di un consulente tecnico d'ufficio. Si osservano le condizioni di cui all'articolo 7, comma 3, per la nomina del consulente tecnico d'ufficio.
3. La produzione di nuovi documenti deve avvenire nei termini perentori di cui all'articolo 32, commi 1 e 2, e non occorre che la parte dimostri di non averli potuti produrre nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.
1. Nel procedimento d'appello si osservano tutte le norme dettate per il procedimento di primo grado, compresi gli articoli 47 e 48, salvo quanto disposto nel comma 2 del presente articolo e negli articoli 60 e seguenti.
2. Nel giudizio d'appello relativo alle istanze di sospensione in primo grado il collegio provvede con ordinanza motivata non impugnabile. Dopo la decisione gli atti devono essere trasmessi senza indugio al giudice di primo grado, che deve provvedere per la fissazione dell'udienza.
1. L'appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge.
1. L'appellante, nell'atto d'appello o con separata istanza, può chiedere alla corte d'appello tributaria la sospensione dell'esecuzione della sentenza di primo grado, anche per quanto riguarda le spese del giudizio, ai sensi dell'articolo 15, comma 1. È applicabile l'articolo 283 del codice di procedura civile.
2. Si applicano le condizioni, la procedura e i termini di cui all'articolo 47, salvo quanto disposto dal comma 3 del presente articolo.
3. Il giudice d'appello, con ordinanza motivata non impugnabile, può disporre che l'esecuzione della sentenza sia sospesa, eventualmente con la prestazione di fideiussione bancaria o assicurativa, in caso di comprovato pericolo per la riscossione.
4. In caso di accoglimento della richiesta di sospensione, l'ufficio dell'agenzia fiscale, l'ente previdenziale, l'ente locale o regionale, o l'agente della riscossione non deve iscrivere a ruolo, neppure a titolo provvisorio, o richiedere alcuna somma o garanzia.
5. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza d'appello, ai sensi degli articoli 37 e 59.
1. La corte d'appello tributaria deve rimettere la causa al tribunale tributario, che ha emesso la sentenza impugnata, nei seguenti casi tassativi:
a) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice;
b) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato o
c) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;
d) quando riconosce che il collegio del tribunale tributario non era legittimamente composto, tenendo altresì conto delle ipotesi di ricusazione di cui all'articolo 6;
e) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado, ai sensi dell'articolo 36, comma 6;
f) quando si verifica l'ipotesi di cui all'articolo 11, comma 6.
2. Al di fuori dei casi tassativi previsti dal comma 1, la corte d'appello tributaria decide nel merito previamente ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado.
3. Dopo che la sentenza di rimessione della causa al primo grado è formalmente passata in giudicato, la segreteria della corte d'appello tributaria, nei successivi trenta giorni, deve trasmettere d'ufficio il fascicolo del processo alla segreteria del tribunale tributario, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte.
1. Avverso la sentenza della corte d'appello tributaria può essere proposto ricorso per cassazione per i tassativi motivi di cui ai numeri da 1) a 5) del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile, che devono essere specifici, completi e riferibili alla sentenza impugnata.
1. Quando la Corte di cassazione rinvia la causa al tribunale tributario o alla corte d'appello tributaria la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza, nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado, in quanto applicabili.
2. Se la riassunzione non avviene entro il termine perentorio di cui al comma 1 o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, il processo si estingue nel grado in cui si trova e si tiene conto soltanto della sentenza impugnata.
3. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice cui il processo è stato rinviato. In ogni caso, a pena d'inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, deve essere prodotta copia autentica della sentenza della Corte di cassazione.
4. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel processo in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste ed eccezioni diverse da quelle
1. Avverso le sentenze che involgono soltanto accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione, ai sensi dell'articolo 395 del codice di procedura civile.
2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell'articolo 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al citato numero 6) dell'articolo 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto.
3. Se i fatti menzionati nel comma 2 avvengono durante il termine per l'appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso, sempre tenendo conto della sospensione feriale dei termini processuali prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e successive modificazioni.
1. Competente per la revocazione è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
a) gli elementi previsti dall'articolo 53, comma 1;
b) la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell'articolo 395 del codice di procedura civile;
c) l'indicazione del giorno preciso della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento.
3. La prova della sentenza passata in giudicato, che accerta il dolo del giudice, deve essere data mediante la sua produzione in copia autenticata.
4. Il ricorso per revocazione è proposto e depositato a norma dell'articolo 53, comma 3.
1. Davanti al giudice adito per la revocazione si osservano tassativamente le norme stabilite per il processo davanti ad esso, in quanto non derogate da quelle della presente sezione.
1. Ove ricorrano i motivi tassativi di cui all'articolo 395 del codice di procedura civile, il giudice tributario decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento consequenziale.
2. Avverso la sentenza che decide il giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi d'impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.
1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi tassativi in cui è stabilita la riscossione frazionata del tributo, oggetto del giudizio, il tributo stesso, con i relativi interessi previsti dalle leggi d'imposta, deve essere pagato:
a) per i due terzi, dopo la sentenza del tribunale tributario che respinge, in tutto o in parte, il ricorso;
b) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della corte d'appello tributaria.
2. Le sanzioni amministrative devono essere iscritte a ruolo solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nella misura dalla stessa determinata.
3. Per le ipotesi indicate nel comma 1 gli importi da versare devono essere, in ogni caso, diminuiti di quanto già corrisposto.
4. Se il ricorso è accolto, in tutto o in parte, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali e previdenziali, deve essere rimborsato d'ufficio entro il termine perentorio di novanta giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Trascorso inutilmente il suddetto termine, il ricorrente ha la facoltà di utilizzare la somma dovuta in compensazione dei futuri versamenti fiscali e previdenziali, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
5. Le imposte suppletive devono sempre essere corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso per cassazione.
1. Se il giudice condanna l'ufficio dell'agenzia fiscale, l'ente locale o regionale, l'agente della riscossione o l'ente previdenziale al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio liquidate ai sensi dell'articolo 15 della presente legge, la segreteria ne rilascia copia spedita in forma esecutiva, a norma dell'articolo 475 del codice di procedura civile, dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 369 del medesimo codice di procedura civile.
2. Il rilascio delle copie esecutive delle sentenze per procedere all'esecuzione deve avvenire senza il pagamento dell'imposta di bollo, applicando soltanto per le spese l'articolo 25, comma 2.
1. Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse può, in alternativa o contestualmente, chiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza passata in giudicato, anche parziale o intero, mediante ricorso da depositare in doppio originale presso la segreteria del tribunale tributario, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da esso pronunciata o confermata integralmente in appello, salvo le eventuali spese del giudizio, e in ogni altro caso presso la segreteria della corte d'appello tributaria, anche per quanto riguarda le sentenze della Corte di cassazione.
2. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l'adempimento da parte del competente ufficio dell'agenzia fiscale, dell'ente locale o regionale, dell'agente
a) la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione;
b) la precisa indicazione della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all'originale o in copia autentica dell'atto di messa in mora notificato a norma del comma 2, se necessario.
4. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria al competente ufficio dell'agenzia fiscale o all'ente locale o regionale o all'agente della riscossione oppure all'ente previdenziale, obbligato a provvedere in merito.
5. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 4 l'ufficio dell'agenzia fiscale o l'ente locale o regionale o l'agente della riscossione o l'ente previdenziale può trasmettere le proprie osservazioni al giudice competente, allegando la documentazione dell'avvenuto pagamento effettivo, senza poter eccepire alcuna compensazione.
6. Il presidente adito, scaduto il termine perentorio di cui al comma 5, assegna il ricorso alla stessa sezione che ha pronunciato la sentenza. Il presidente della sezione deve fissare il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso e ne viene data comunicazione alle parti interessate almeno dieci giorni liberi prima a cura della segreteria.
7. Il collegio, in camera di consiglio, senza la necessità di presentare l'istanza di cui all'articolo 33, comma 1, sentite le parti presenti in contraddittorio e acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili
1. Nel processo tributario è applicabile la normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, e successive modificazioni.
2. Nel processo tributario è applicabile la legge 24 marzo 2001, n. 89, e successive modificazioni, per l'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, in base al principio di cui all'articolo 111, secondo comma, della Costituzione.
1. Le lettere a), b), c), d), g), h), i), l), m) e z) del comma 1 dell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, sono abrogati.
1. I riferimenti alle «commissioni tributarie», alle «commissioni tributarie provinciali» e alle «commissioni tributarie regionali», contenuti nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, devono intendersi sostituiti dai riferimenti, rispettivamente, agli «organi della giurisdizione tributaria», ai «tribunali tributari» e alle «corti d'appello tributarie».
1. Nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, le parole: «Ministro delle finanze» e «Ministro dell'economia e delle finanze» sono sostituite, ovunque ricorrono, dalle seguenti: «Presidente del Consiglio dei ministri» e le parole: «Ministero delle finanze» sono sostituite, ovunque ricorrono, dalle seguenti: «Presidenza del Consiglio dei ministri».
1. All'articolo l del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, le parole: «da commissioni tributarie di primo e di secondo
b) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Le corti d'appello tributarie, i tribunali tributari e il numero delle relative sezioni sono indicati nella tabella A allegata al presente decreto. La dotazione organica unitaria del personale di magistratura, articolata per ogni corte d'appello tributaria e per ogni tribunale tributario, è indicata nella tabella B allegata al presente decreto»;
c) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Il numero delle sezioni delle corti d'appello tributarie e dei tribunali tributari può essere adeguato, in relazione al flusso medio dei processi, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della giustizia, sentito il Consiglio di presidenza»;
d) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Alla istituzione di nuove corti d'appello tributarie e di nuovi tribunali tributari e alle variazioni conseguenti, in relazione a mutamenti dell'assetto provinciale e regionale del territorio della Repubblica, si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della giustizia, sentito il Consiglio di presidenza».
1. L'articolo 3 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Giudici dei tribunali tributari). - 1. I giudici dei tribunali tributari sono nominati tra:
a) i magistrati ordinari e amministrativi, in servizio o a riposo;
b) i docenti di ruolo universitari o della scuola secondaria di secondo grado e i ricercatori in materie giuridiche, economiche o tecnico-ragionieristiche, in servizio o a riposo;
c) i dipendenti civili dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, in servizio o a riposo, in possesso di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o altra equipollente e che hanno prestato servizio per almeno dieci anni in qualifiche per le quali è richiesta una di tali lauree o altra equipollente. Sono esclusi i dipendenti del Ministero dell'economia e delle finanze, in servizio o a riposo;
d) i notai e gli iscritti agli albi professionali degli avvocati o dei dottori commercialisti, che hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni;
e) coloro che sono stati iscritti agli albi professionali di cui alla lettera d) e che hanno esercitato attività di amministratori, di sindaci, di dirigenti o di revisori dei conti in società di capitali;
f) coloro che hanno conseguito l'abilitazione all'insegnamento in materie giuridiche, economiche o tecnico-ragionieristiche e che hanno esercitato per almeno cinque anni attività di insegnamento;
g) gli iscritti agli albi dei ragionieri e periti commerciali, che hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni».
1. L'articolo 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 4. - (Giudici delle corti d'appello tributarie). - 1. I giudici delle corti d'appello tributarie sono nominati tra:
a) i giudici dei tribunali tributari, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), che
b) i giudici dei tribunali tributari, di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b), d), e), f) e g), che hanno svolto per almeno tre anni le funzioni di giudice tributario;
c) i giudici dei tribunali tributari, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), che hanno svolto per non meno di quattro anni le funzioni di giudice tributario.
2. Il Consiglio di presidenza, per la nomina a giudice delle corti d'appello tributarie, tiene conto degli anni di esercizio delle funzioni di giudice tributario, nonché della laboriosità, della capacità, della diligenza e della preparazione dimostrate nell'espletamento delle funzioni, sulla base di criteri obiettivi formulati dallo stesso Consiglio di presidenza».
1. L'articolo 5 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 5. - (Presidenti degli organi di giurisdizione tributaria e delle sezioni. Vicepresidenti di sezione). - 1. I presidenti dei tribunali tributari sono nominati tra i presidenti di sezione dei tribunali tributari e tra i presidenti di sezione delle corti d'appello tributarie, con almeno due anni di esercizio nelle funzioni di presidente di sezione, per i giudici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a); con almeno tre anni di esercizio nelle funzioni di presidente di sezione, per i giudici di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b), d), e), f) e g), purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio; con almeno quattro anni di esercizio nelle funzioni di presidente di sezione, per i giudici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio.
1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è abrogata.
1. All'articolo 9 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Procedimenti di nomina dei giudici dei tribunali tributari»;
b) al comma 1, le parole: «i componenti delle commissioni tributarie» sono sostituite dalle seguenti: «i giudici dei tribunali tributari»;
c) al comma 2, le parole: «negli articoli 3, 4 e 5, per il posto da conferire» sono sostituite dalle seguenti: «nell'articolo 3»;
d) al comma 3, le parole: «negli articoli 3, 4 e 5» sono sostituite dalle seguenti: «nell'articolo 3».
1. Dopo l'articolo 10 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è inserito il seguente:
«Art. 10-bis. - (Procedimento per la nomina alle funzioni e agli incarichi di giudice delle corti d'appello tributarie, di presidente degli organi di giurisdizione tributaria, di presidente e di vicepresidente di sezione. Procedimento per trasferimento). - 1. La vacanza dei posti di giudice delle corti d'appello tributarie, nonché di presidente, di presidente di sezione e di vicepresidente di sezione presso i tribunali tributari e presso le corti d'appello tributarie è annunciata dal Consiglio di presidenza e portata a conoscenza di tutti i giudici tributari in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale coloro che intendono concorrere all'assegnazione dell'incarico devono presentare la relativa domanda.
2. I giudici tributari, a prescindere dalla funzione o dall'incarico esercitati, non possono concorrere all'assegnazione di altre funzioni o incarichi prima di due anni dal giorno in cui sono stati immessi nelle funzioni esercitate al momento della domanda.
3. Alla nomina in ciascuna delle funzioni e degli incarichi si procede in conformità a quanto previsto dall'articolo 9, commi 1, 5 e 6. Nei casi di necessità di servizio, il Presidente del Consiglio dei ministri può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza, l'anticipazione dell'assunzione delle funzioni ai sensi del quarto comma dell'articolo 10 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.
4. Il Consiglio di presidenza procede alla deliberazione di cui al comma 1
1. All'articolo 11 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Durata dell'incarico e temporaneità della funzione»;
b) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. I presidenti delle corti d'appello tributarie e dei tribunali tributari durano in carica non oltre cinque anni e alla scadenza sono nominati, anche in soprannumero, presidenti di sezione presso l'organo giurisdizionale di appartenenza. I medesimi possono concorrere per la nomina ad altro posto di presidente di corte d'appello tributaria o di tribunale tributario dopo due anni dalla cessazione dell'incarico precedente»;
c) il comma 5 è abrogato.
1. Dopo l'articolo 11 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come da ultimo sostituito dall'articolo 83 della presente legge, è inserito il seguente:
«Art. 11-bis. - (Titolo onorifico) - 1. All'atto della cessazione dalla funzione o dall'incarico può essere conferito al giudice tributario il titolo ufficiale onorifico inerente alla funzione o all'incarico immediatamente superiore».
1. L'articolo 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«Art. 13. - (Trattamento economico). - 1. Il compenso fisso mensile spettante ai
1. Alla lettera d) del comma 2 dell'articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e per comportamento negligente o scorretto particolarmente grave che denota l'inidoneità a svolgere diligentemente e proficuamente la funzione di giudice tributario».
1. All'articolo 18 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. I componenti del Consiglio di presidenza eletti dai giudici tributari, che nel corso del quadriennio cessano per qualsiasi causa di farne parte, sono sostituiti per il restante periodo dal primo dei non eletti. Nel caso di cessazione di un componente eletto dal Parlamento, il presidente del Consiglio di presidenza ne dà comunicazione al Presidente della Camera che lo ha eletto, con richiesta di provvedere all'elezione del sostituto»;
b) dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. I componenti del Consiglio di presidenza per tutta la durata dell'incarico non possono partecipare ai concorsi previsti dagli articoli 9 e 10-bis.
2-ter. Per particolari esigenze connesse all'attività consiliare è disposto, per i componenti del Consiglio di presidenza che siano magistrati ordinari, amministrativi o pubblici dipendenti, l'esonero dalle rispettive
1. Dopo l'articolo 18 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è inserito il seguente:
«Art. 18-bis. - (Attribuzioni del presidente del Consiglio di presidenza). - 1. Il presidente del Consiglio di presidenza:
a) indìce le votazioni per l'elezione dei componenti giudici tributari;
b) richiede ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati di provvedere all'elezione dei componenti di rispettiva designazione;
c) convoca e presiede il Consiglio medesimo;
d) in caso di assenza o di impedimento, è sostituito da uno dei vicepresidenti e, nel caso di presenza di entrambi i vicepresidenti, da quello eletto tra i componenti di designazione parlamentare ovvero, se entrambi di designazione parlamentare o entrambi eletti dai giudici tributari, da quello nominato vicepresidente con il maggiore numero di voti e, in caso di parità, da quello che ha riportato il maggiore numero di voti nell'elezione a componente del Consiglio di presidenza».
2. Al comma 1 dell'articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, le parole: «e sono indette con decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana almeno trenta giorni prima della data stabilita» sono soppresse.
1. Al comma 1 dell'articolo 24 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera h) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, avvalendosi dell'ufficio studi e documentazione di cui all'articolo 29-ter»;
b) alla lettera m-bis), le parole: «componenti presso altra commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale» sono sostituite dalle seguenti: «presidenti di sezione, vicepresidenti e giudici presso altra corte d'appello tributaria o sezione staccata e di presidenti di sezione, vicepresidenti e giudici presso altro tribunale tributario» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per lo stesso periodo possono essere applicati presso le corti d'appello tributarie i presidenti di sezione, i vicepresidenti e i giudici dei tribunali tributari in possesso dei requisiti previsti dagli articoli 4 e 5».
1. Al comma 1 dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, le parole: «dal componente che lo sostituisce» sono sostituite dalle seguenti: «dal vicepresidente secondo quanto previsto dall'articolo 18-bis, comma 1, lettera d)».
1. Al comma 1 dell'articolo 26 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, la parola: «quattro» è sostituita dalla seguente: «sette».
1. L'articolo 27 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«Art. 27. - (Trattamento dei componenti del Consiglio di presidenza). - 1. I componenti del Consiglio di presidenza eletti dai giudici tributari sono esonerati dalle funzioni proprie di giudice tributario conservando la titolarità dell'ufficio.
2. Ai componenti del Consiglio di presidenza spetta il compenso fisso mensile pari al compenso fisso più elevato spettante ai presidenti di corte d'appello tributaria o di tribunale tributario.
3. Ai componenti del Consiglio di presidenza è attribuita un'indennità per ogni seduta, nonché, a coloro che risiedono fuori Roma, l'indennità di missione per i giorni di viaggio e di permanenza a Roma. La misura dell'indennità per seduta e il numero massimo giornaliero delle sedute che danno diritto a indennità sono determinati dal medesimo Consiglio, secondo criteri stabiliti nel regolamento di amministrazione e contabilità di cui all'articolo 29-bis».
1. Al comma 1 dell'articolo 29-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Il Consiglio di presidenza adotta il regolamento di amministrazione e contabilità, con il quale sono disciplinate la gestione delle risorse finanziarie e le relative modalità».
1. Nel capo III del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, dopo l'articolo 29-bis, come modificato dall'articolo 93 della presente legge, è aggiunto il seguente:
«Art. 29-ter. - (Ufficio studi e documentazione del Consiglio di presidenza). - 1. Presso il Consiglio di presidenza è istituito un ufficio studi e documentazione con i seguenti compiti:
a) curare l'attività di studio e di raccolta di documenti attinenti al diritto tributario;
b) organizzare, anche d'intesa con la Scuola superiore dell'economia e delle finanze e in convenzione anche con altri enti, convegni, incontri e seminari di studio fra i giudici tributari al fine di favorirne l'aggiornamento professionale. I temi, la sede e la durata degli incontri e dei seminari di studio sono definiti dal Consiglio di presidenza, che nomina anche i coordinatori e i relatori, che possono essere anche avvocati tributaristi;
c) fornire gli elementi per la redazione della relazione annuale sull'andamento dell'attività degli organi di giurisdizione tributaria.
2. L'ufficio è diretto da un giudice tributario in possesso dei requisiti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), e che eserciti le funzioni di presidente di sezione di corte d'appello tributaria o di tribunale tributario. All'ufficio sono addetti giudici tributari, in numero complessivamente non superiore a cinque unità.
3. All'assegnazione dei giudici tributari addetti all'ufficio provvede, con il loro consenso, il Consiglio di presidenza, che a tal fine provvede alla determinazione dei relativi criteri di scelta.
4. I giudici tributari addetti all'ufficio sono esonerati dall'attività giudicante e il loro trattamento economico è ragguagliato,
1. L'articolo 30 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 30. - (Ufficio di segreteria del Consiglio di presidenza). - 1. Il Consiglio di presidenza è assistito da un ufficio di segreteria, al quale sono assegnati un dirigente generale, tre dirigenti, nonché funzionari e impiegati di diversi livelli e profili professionali, appartenenti al ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi di giurisdizione tributaria di cui all'articolo 38, nei limiti fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
2. L'ufficio di segreteria è posto alle dirette dipendenze del comitato di presidenza del Consiglio di presidenza, composto dal presidente, dai vicepresidenti e da due componenti eletti dal Consiglio stesso.
3. L'assegnazione di dirigenti, funzionari e impiegati all'ufficio di segreteria deve essere preventivamente approvata dal Consiglio di presidenza. La revoca di tale assegnazione può essere richiesta e, in ogni caso, deve essere approvata dal medesimo Consiglio.
4. Con apposito regolamento il Consiglio di presidenza disciplina l'organizzazione e il funzionamento dell'ufficio di segreteria».
1. L'articolo 32 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 32. - (Personale addetto agli uffici di segreteria). - 1. Agli uffici di
1. Al comma 3 dell'articolo 33 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, le parole: «Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro» sono sostituite dalle seguenti: «Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze».
1. L'articolo 34 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, abrogato.
1. L'articolo 36 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 36. - (Ufficio centrale del contenzioso tributario). - 1. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'Ufficio centrale del contenzioso tributario, che provvede alla gestione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia tributaria, svolgendo le seguenti funzioni:
a) curare l'attività relativa alle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri e della Presidenza del Consiglio dei ministri prevista dal presente decreto;
b) effettuare ispezioni, verifiche e indagini per l'esercizio dell'alta sorveglianza del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 29 e dell'azione disciplinare di cui all'articolo 16;
c) provvedere alla gestione automatizzata delle attività degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria e delle rilevazioni statistiche sull'andamento dei processi, comprese la formazione e la tenuta dei ruoli;
d) curare la gestione dell'ufficio del massimario, nonché la rilevazione e l'esame delle questioni di rilevante interesse o di ricorrente frequenza nelle controversie pendenti dinanzi agli organi di giurisdizione tributaria, sulla base di segnalazioni periodiche dei presidenti degli stessi;
e) segnalare al Ministro dell'economia e delle finanze, nonché ai direttori delle Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane le questioni sulle quali si registra un univoco orientamento giurisprudenziale e le questioni di particolare importanza sulle quali non vi è un univoco orientamento giurisprudenziale;
f) provvedere all'amministrazione del personale inquadrato nel ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria di cui all'articolo 38;
g) curare, d'intesa con la Scuola superiore dell'economia e delle finanze, corsi di aggiornamento per il personale inquadrato nel ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria di cui all'articolo 38.
2. All'Ufficio centrale del contenzioso tributario sono assegnati dirigenti, funzionari e impiegati dei diversi livelli e profili professionali appartenenti al ruolo unico del personale degli uffici di segreteria di cui all'articolo 38, nei limiti fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri».
1. L'articolo 37 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 37. - (Direttore dell'Ufficio centrale del contenzioso tributario). - 1. Il direttore dell'Ufficio centrale del contenzioso tributario è scelto tra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato o dirigenti di prima fascia delle amministrazioni dello Stato, che svolgono o che hanno svolto funzioni di giudice tributario.
2. Il direttore è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
3. L'incarico ha durata quinquennale ed è rinnovabile una sola volta.
4. Al direttore compete un'indennità di funzione non eccedente il trattamento onnicomprensivo spettante ai capi dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
5. Il direttore è collocato fuori dal ruolo organico dell'amministrazione di appartenenza ed è sospeso dalla funzione che svolge presso il tribunale tributario o la corte d'appello tributaria».
1. L'articolo 38 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 38. - (Ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria). - 1. È istituito il ruolo unico del personale degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria, inquadrato nell'Ufficio centrale del contenzioso tributario.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri
1. Al comma 1 dell'articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, le parole: «la direzione centrale di cui all'articolo 37, comma 1, avvalendosi del servizio di cui all'articolo 36,» sono sostituite dalle seguenti: «l'Ufficio centrale del contenzioso tributario».
1. L'articolo 40 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, è sostituito dal seguente:
«Art. 40. - (Ufficio del massimario). - 1. È istituito presso ogni corte d'appello tributaria un ufficio del massimario che provvede a rilevare, classificare e ordinare in massime le decisioni della stessa e dei tribunali tributari aventi sede nella circoscrizione.
2. Il Consiglio di presidenza, sentito l'Ufficio centrale del contenzioso tributario, assegna a ciascun ufficio del massimario
1. Gli articoli 41 e 44-ter del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono abrogati.
1. La tabella E allegata al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e
1. È soppressa la Commissione tributaria centrale con sede a Roma.
2. Tutti i fascicoli delle controversie pendenti presso la Commissione tributaria centrale sono trasmessi, d'ufficio, alle corti d'appello tributarie competenti per territorio in base alle sedi degli uffici dell'Agenzia delle entrate, degli enti locali e degli agenti della riscossione.
3. I presidenti di sezione delle corti d'appello tributarie, entro due anni dalla ricezione dei fascicoli di cui al comma 2, devono fissare le date delle udienze di tutte le controversie provenienti dalla soppressa Commissione tributaria centrale.
1. Entro il 31 dicembre 2008 il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e l'Ufficio centrale del contenzioso tributario, istituito ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituito dall'articolo 99 della presente legge, verificati i flussi delle pendenze e delle sopravvenienze dei ricorsi, nonché il numero delle sentenze assunte da ciascun organo della giurisdizione tributaria, individuano e propongono le variazioni da apportare al numero delle sezioni, agli organici dei giudici e al ruolo unico del personale degli uffici di
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto in apposita
Allegato 1
(Articolo 105, comma 1)
«TABELLA E
TITOLI | PUNTI |
Titoli accademici o di studio | |
Idoneità in concorso universitario per professore ordinario o associato in materie giuridiche o economiche, superamento di concorso di secondo grado per l'accesso alle magistrature, superamento dell'esame per l'iscrizione agli albi per il patrocinio avanti le giurisdizioni superiori | 3,50 |
Dottorato, ricercatore, libero docente in materie giuridiche o economiche | 3 |
Abilitazione all'insegnamento in materie giuridiche, economiche o tecnico-ragioneristiche | 3 |
Abilitazione avvocato o dottore commercialista | 3 |
Titoli di servizio | |
Punteggio per anno o frazione d'anno superiore a sei mesi. | |
A) Uditorato e magistratura | |
Uditore giudiziario | 0,50 |
Magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, in servizio o a riposo: | |
per i primi 10 anni di servizio | 1 |
da 11 a 20 anni di servizio | 2 |
per ogni anno successivo | 3 |
B) Attività professionali | |
Effettivo esercizio della professione di avvocato dello Stato, avvocato, notaio, dottore commercialista, ragioniere commercialista laureato in giurisprudenza o in economia e commercio: | |
per i primi cinque anni di servizio | 0,50 |
da 6 a 10 anni di servizio | 1 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,50 |
Insegnamento in materie giuridiche, economiche o tecnico-ragioneristiche; effettivo servizio come dipendente dello Stato o di altra pubblica amministrazione in qualifiche per le quali è richiesta la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio: | |
per i primi 5 anni di servizio | 0,50 |
da 6 a 10 anni di servizio | 0,75 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,40 |
per ogni anno successivo | 2 |
Effettivo servizio come dipendente dello Stato o di altra pubblica amministrazione con la qualifica di dirigente generale o apicale: | |
per ogni anno | 2 |
Attività di ricercatore di ruolo o professore a contratto in discipline giuridiche o economiche in università statali o abilitate al rilascio del titolo di laurea: | |
per i primi 5 anni di servizio | 0,50 |
da 6 a 10 anni di servizio | 1 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,50 |
per ogni anno successivo | 2,50 |
Attività di professore associato, straordinario, ordinario o stabilizzato in materie giuridiche o economiche in università statali o abilitate al rilascio del titolo di laurea: | |
per i primi dieci anni di servizio | 1 |
da 11 a 20 anni di servizio | 2 |
per ogni anno successivo | 3 |
Effettivo esercizio della professione di ragioniere e perito commerciale non laureato in giurisprudenza, in economia e commercio o lauree equiparate: | |
per i primi 5 anni di servizio | 0,30 |
da 6 a 10 anni di servizio | 0,60 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,30 |
per ogni anno successivo di servizio | 1,80 |
Attività di ingegnere, architetto, dottore in agraria, iscritti ai rispettivi albi professionali: | |
per i primi 5 anni di servizio | 0,25 |
da 6 a 10 anni di servizio | 0,50 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,25 |
per ogni anno successivo | 1,75 |
Servizio effettivo prestato, nelle qualifiche per le quali è richiesta la laurea, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, le Agenzie delle entrate e delle dogane, il Servizio consultivo ed ispettivo tributario del Ministero dell'economia e delle finanze (SECIT), nonché presso i servizi tributari delle regioni e degli enti locali: | |
per i primi 5 anni di servizio | 0,50 |
da 6 a 10 anni di servizio | 1 |
da 11 a 20 anni di servizio | 1,50 |
per ogni anno successivo | 2 |
Servizio effettivo prestato come dirigente presso il Ministero dell'economia e delle finanze, le Agenzie delle entrate e delle dogane, il SECIT: | |
per ogni anno | 2,50 |
Servizio effettivo prestato come dirigente generale presso il Ministero dell'economia e delle finanze, le Agenzie delle entrate e delle dogane, il SECIT: | |
per ogni anno | 3 |
Ufficiali del Corpo della guardia di finanza: | |
per ogni anno di servizio effettivo prima della nomina a colonnello | 0,75 |
per ogni anno di servizio effettivo quale colonnello o generale di brigata | 1,75 |
per ogni anno di servizio effettivo nella qualifica di generale di divisione o di corpo d'armata | 2,75 |
|