|
|
CAMERA DEI DEPUTATI
|
N. 3388 |
Princìpi di codificazione.
Nello svolgimento dei lavori della Commissione è stata prestata particolare attenzione a formulare, soprattutto sui punti più innovativi rispetto al codice vigente, direttive chiare e precise oltre che sufficientemente circostanziate, seguendo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale nell'interpretazione dell'articolo 76 della Costituzione. Si è inoltre ritenuto opportuno far precedere le direttive di delega da alcuni «princìpi di codificazione», tra cui l'affermazione del principio di legalità (da attuare mediante la previsione chiara e determinata di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato, nonché l'indicazione espressa di tutti i presupposti della punibilità), l'esclusione di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva (prevedendo «come sole forme di imputazione il dolo e la colpa») e l'indicazione per cui non possono avere rilevanza penale fatti che non «offendono beni giuridici di rilevanza costituzionale».
Compito principale del legislatore penale deve essere, infatti, quello di garantire la salvaguardia dei beni giuridici di rango costituzionale: questo il motivo per cui - pur nella consapevolezza che la nostra Carta costituzionale, nel vincolare il contenuto dei divieti penali al rispetto di altri princìpi esplicitamente dichiarati (libertà, uguaglianza, riserva di legge), non esplicita testualmente il principio di offensività - si è ritenuto, pur con qualche opinione dissenziente, che la protezione dei beni giuridici costituzionalmente rilevanti assurga a scopo ultimo del diritto penale. Se si considera che l'articolo 13 della Costituzione assegna un valore preminente alla «libertà personale» - bene di rango costituzionale sul quale incide la sanzione penale - ne dovrebbe coerentemente conseguire il fatto che la sanzione penale, che incide su tale libertà, sia prevista solo per la tutela di beni che, se pur non di pari grado rispetto al valore sacrificato (la libertà personale), siano almeno dotati di rilievo costituzionale.
L'inserimento, tra i princìpi di codificazione, dell'esclusione di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, deriva dall'interpretazione che la Corte costituzionale ha dato dell'articolo 27, primo comma, della Costituzione, allorché ha chiarito, nella ben nota decisione relativa al problema della scusabilità dell'ignorantia juris,
Principio di legalità.
Unanime è la convinzione che le linee della riforma debbano tendere a realizzare la razionalità, la coerenza, l'efficienza del sistema penale e la consonanza con le regole e i valori della Costituzione. Il conseguimento di tali obiettivi dipende essenzialmente dal principio di legalità, presidio di certezza e garanzia insostituibile della libertà e della dignità della persona, la cui piena attuazione è indispensabile soprattutto in un momento storico nel quale più forte è l'incidenza dei vari fattori di crisi della legalità e della certezza del diritto.
L'essenzialità della funzione garantista del principio di legalità è confermata dalla disposizione contenuta nell'articolo 7, paragrafo 1, della citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e, quindi, inserita nell'ordinamento italiano in una collocazione sovraordinata alle leggi ordinarie, trattandosi di norma derivante da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tale, insuscettibile di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria (Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 1993).
L'ambito della riserva di legge deve evidentemente coprire tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato e le sanzioni comminate per la violazione del precetto, nel senso che la predeterminazione legale deve avere per oggetto il fatto, la colpevolezza, le circostanze che aggravano o attenuano la pena, la punibilità nonché i presupposti della punibilità, delle pene, dei casi di conversione, dei criteri di ragguaglio, le conseguenze sanzionatorie e gli altri effetti penali.
Anche il principio di determinatezza è parte integrante del principio di legalità. La Corte costituzionale ha definito la determinatezza come un profilo coessenziale al principio di legalità, che contrassegna un «modo di essere» della legge penale: da essa deriva la necessità che il precetto sia enunciato in termini precisi e univoci così da evitare l'impiego di espressioni linguistiche ambigue, oscure e di valenza polisemantica, che pregiudichino la garanzia della certezza giuridica e permettano al giudice di erodere il limite invalicabile della riserva di legge, aprendo la strada ad
Riserva di codice.
Con tale direttiva si è voluto sottolineare la necessità di fare del codice il testo centrale dell'intero sistema penale, onde porre un freno al continuo inserimento di fattispecie penali in leggi speciali con effetti negativi sia in relazione alla chiarezza che all'effettiva possibilità di conoscenza, da parte dei cittadini, delle condotte penalmente rilevanti. Ciò anche al fine di evitare, per quanto possibile, ulteriori estensioni della legislazione penale che, come già evidenziava, nel lontano 1991, la relazione al progetto Pagliaro, «aveva assunto dimensioni abnormi».
Il principio della «riserva di codice» - pur attenuato dalla necessaria indicazione di prevedere disposizioni penali inserite in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono (ad esempio, normativa sugli stupefacenti, sul contrabbando, sulle armi) - era già stato previsto dall'articolo 3 del progetto Grosso. La Commissione Pagliaro aveva previsto, tra i princìpi di codificazione, che il codice penale dovesse «porsi come testo centrale e punto di riferimento fondamentale dell'intero ordinamento penale, in modo da contrastare il pericolo di decodificazione».
La previsione di una «riserva di codice», che si potrebbe definire «attenuata» in quanto tiene conto della peculiarità del nostro sistema penale, intende rafforzare il principio di legalità allo scopo di superare la crisi di efficienza e di garanzie del diritto penale, nonché di creare i presupposti di un'effettiva possibilità di conoscibilità delle norme penali (principio garantista che ha, nel contempo, un'efficacia deterrente): il codice penale dovrebbe diventare un testo esaustivo e, per quanto possibile, esclusivo dell'intera materia penale, della cui coerenza e sistematicità il legislatore dovrebbe ogni volta farsi carico. Ne verrebbe accresciuta la sua capacità regolatrice, tanto nei confronti dei cittadini quanto dei giudici, con conseguente incremento della certezza e della credibilità del diritto penale e con una riduzione della sua area di intervento, conformemente al suo ruolo di strumento estremo di difesa di beni e diritti fondamentali.
Unanime è stata la condivisione di tali considerazioni da parte dei componenti della Commissione: non sono mancate,
Principio di offensività.
La previsione, a livello di legge ordinaria, di una clausola di necessaria offensività è apparsa non solo opportuna, ma necessaria anche in un sistema penale completamente riformato, che contenga descrizioni pregnanti dei fatti punibili, in termini di chiara, afferrabile lesione o messa in pericolo di beni significativi: ciò sia per rimediare a sempre possibili scarti tra descrizione legale astratta ed offesa concreta, sia per orientare l'interprete nei casi dubbi (articolo 5, comma 1, lettera a).
Il confronto si è sviluppato partendo dall'articolo 4 del progetto Pagliaro, ispirato al principio di offensività quale canone ermeneutico di interpretazione della legge penale. Come si legge nella relazione del progetto del 1999, il principio di offensività costituisce «il baricentro di ogni diritto penale non totalitario, poliziesco, liberticida» e perciò è stato assunto come principio regolatore, informatore del nuovo codice. La finalità di tale principio è duplice: da un lato, di «fondamentale direttrice di politica legislativa» e, dall'altro, di criterio interpretativo delle fattispecie, la cui formulazione deve essere in termini di concreta offensività del bene giuridico (salvo deroghe espresse ammissibili «solo per la prevenzione della lesione di beni primari individuali, collettivi o istituzionali»).
Irrilevanza del fatto.
Partendo da tali considerazioni, e dopo essersi soffermata sul dibattito e sulle proposte dei progetti Grosso e Nordio, la Commissione ha dedicato specifiche sessioni di lavoro all'approfondimento del tema e ai riflessi di una sua esplicita accettazione nel sistema penale, concordando sulla funzione del principio di offensività nel duplice momento della formulazione della fattispecie tipica e della applicazione della norma penale.
Il tema dell'offensività ha portato la Commissione ad un approdo ulteriore. La lettera b) del comma 1 dell'articolo 5 disciplina i casi di scarsa significatività del danno o del pericolo in relazione al tipo di interesse tutelato dalla norma penale. Per i fatti connotati da una marginale offensività, è sembrato opportuno offrire la possibilità al pubblico ministero e al giudice di pervenire a soluzioni di non punibilità, quando la situazione di fatto legittimi e giustifichi la rinuncia all'applicazione della pena (anche in un'ottica di deflazione dei carichi penali). La previsione espressa degli indici fattuali di valutazione - quali la tenuità dell'offesa al bene giuridico e l'occasionalità della condotta - mira a disciplinare razionalmente l'istituto in questione, peraltro già utilizzato, come è emerso nel corso del dibattito, con una certa ampiezza nella prassi giudiziaria in sede di archiviazione al di fuori di qualunque regolamentazione (salvo i casi previsti dal decreto del Presidente
Principio di colpevolezza.
Uno degli elementi qualificanti della proposta di legge delega è costituito dall'attuazione del principio di colpevolezza quale principio desumibile, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 364 del 1988, dall'articolo 27, primo comma, della Costituzione. La Commissione - in piena consonanza con l'opinione, ormai unanime in dottrina, per la quale il principio di colpevolezza costituisce uno dei princìpi fondanti del diritto penale - ha ritenuto che la «colpevolezza» non potesse non assumere, nel nuovo sistema penale, un ruolo garantistico fondamentale, in quanto elimina la possibilità che possa essere perseguita una condotta senza prendere in considerazione la situazione soggettiva in cui si sia trovato l'autore del fatto.
Il principio di colpevolezza esige innanzitutto che non sia punibile chi non abbia violato alcun comando normativo e chi non sia stato nella condizione di poterlo adempiere. Del pari esclude che possano rilevare, ai fini del giudizio di responsabilità penale, elementi della personalità o dell'ambiente di vita che non abbiano attinenza al fatto commesso (e che dunque non concorrano a delineare la cosiddetta «colpevolezza del fatto»). Sul punto è stata del resto tassativa la Corte costituzionale allorché ha precisato che «dal collegamento tra il primo e il terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione» emerge «insieme con la necessaria rimproverabilità soggettiva della violazione normativa, l'illegittimità costituzionale della punizione di fatti che non risultino essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto con i valori della convivenza, espressi dalla norma penale».
Efficacia della legge penale nel tempo.
Dopo aver stabilito l'irretroattività delle norme incriminatici e la retroattività della legge penale più favorevole, il progetto prevede un'articolazione delle diverse ipotesi di abolizione di incriminazioni precedenti (nessuno può essere punito per un fatto non più previsto dalla legge come reato; in caso di condanna irrevocabile, ne devono cessare l'esecuzione e gli effetti penali). In caso di modifica di leggi si deve applicare quella in concreto più favorevole, sempre che la sentenza di condanna non sia già passata in giudicato: in tal caso, se la legge successiva prevede una pena di durata minore o di specie meno afflittiva, la pena deve essere rideterminata (articolo 8, comma 1, lettera c).
Altra questione dibattuta è stata quella relativa ai casi di modificazioni «mediate»
Efficacia della legge penale nello spazio.
In relazione all'attuale disciplina della legge penale nello spazio, oltre ad aggiustamenti di ordine terminologico, si sono ritenuti necessari alcuni interventi modificativi in relazione alle seguenti problematiche.
Quella derivante dall'articolo 4, numero 7), lettere a) e b), della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, recepita dall'articolo 18, comma 1, lettera p), della legge 22 aprile 2005, n. 69, secondo la quale la corte d'appello rifiuta la consegna della persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato d'arresto europeo «se riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio».
Tale previsione ha imposto la ricerca di un punto di equilibrio tra l'esigenza di dare attuazione al principio di territorialità e quella di estendere l'applicabilità della legge penale italiana anche ai reati commessi al di fuori del proprio territorio relativi a fatti di «criminalità di Stato», a interessi primari e a fenomeni criminali tipicamente transnazionali. L'attuale disciplina (cosiddetto «principio di ubiquità») non è stata condivisa - soprattutto in relazione ai casi di concorso di persone
Il reato.
Dopo ampia discussione, e un doveroso approfondimento di diritto comparato, la Commissione, a stretta maggioranza, ha ritenuto di superare la distinzione tra delitti e contravvenzioni. Il tema è stato affrontato fin dalle prime riunioni: data la delicatezza del tema, e la diversità di opinioni, la decisione è stata rinviata dopo la discussione e l'approvazione delle norme relative all'elemento psicologico, al tentativo e al sistema sanzionatorio.
Nel dibattito sono emerse valide argomentazioni sia a favore che contro il mantenimento dell'attuale dicotomia delitti-contravenzioni. Diversità di opinioni che, come emerge dalle relazioni dei progetti Grosso e Nordio, si erano già manifestate nelle precedenti Commissioni.
La Commissione Grosso aveva optato per il mantenimento dell'attuale distinzione sostanzialmente per le seguenti considerazioni:
a) pericolo di un appesantimento della categoria dei delitti a fronte della
b) persistente validità del modello contravvenzionale in ragione della sua specifica idoneità a recepire le esigenze di una configurazione dinamica delle fattispecie di reato (fattispecie di mera condotta e di pericolo astratto, con una tipicità soggettiva poco marcata e tale da giustificare la previsione indifferenziata);
c) esistenza di contravvenzioni non trasformabili agevolmente in delitti;
d) validità del modello di reato contravvenzionale individuato, in adesione a quanto previsto dal progetto Pagliaro, nei reati relativi a violazione di regole cautelari, in quelli integranti un irregolare esercizio di attività sottoposte a poteri amministrativi di concessione, autorizzazione, controllo o vigilanza e nei fatti di ridotta offensività.
La Commisione Nordio era invece pervenuta, a larga maggioranza, a diversa conclusione. I principali motivi che avevano determinato tale decisione sono stati sostanzialmente tre:
a) residualità del diritto penale: il diritto penale è infatti incompatibile con le fattispecie rappresentative di comportamenti assiologicamente neutri, o comunque di scarsa valenza antisociale;
b) presa d'atto che l'attuale catalogo dei reati contravvenzionali non ubbidisce a ragionevoli criteri di differenziazione rispetto ai delitti: da un lato, infatti, vi sono delitti puniti con la sola pena pecuniaria e, dall'altro, contravvenzioni per cui è prevista la pena detentiva; vi sono delitti perseguibili a querela e contravvenzioni perseguibili d'ufficio. Il che, come si legge nella relazione, «rivela una visione contraddittoria che impone una riduzione ad armonia ed equità»;
c) assoluta ineffettività della sanzione, neutralizzata dall'inevitabile prescrizione, che impone la depenalizzazione dei reati bagattellari quale scelta coerente e doverosa rispetto all'impianto complessivo del progetto di nuovo codice penale.
Sulla base di tali considerazioni, la Commissione Nordio aveva anche iniziato una ricognizione dei reati contravvenzionali «contenuti non solo nel codice, ma nello sterminato ambito delle leggi speciali», proprio al fine di evitare l'abrogazione o la depenalizzazione di condotte che dovevano mantenere una rilevanza penale, ma tenendo conto della decisione, auspicata da più parti, di mirare ad una più coerente riduzione della sanzione penale alle sole violazioni rilevanti in chiave di pericolosità, sia pure in uno stadio anticipato, perseguendo quel cosiddetto «diritto penale minimo» volto ad assicurare efficacia al principio di legalità e maggiore garanzia contro l'arbitrio e l'errore.
La Commissione, come detto, si è confrontata a lungo sulle ragioni che avevano portato i precedenti progetti a scelte diverse. Uno dei motivi addotti a sostegno dell'eliminazione dell'attuale distinzione tra delitti e contravvenzioni, e che si è aggiunta a quelle già evidenziate dalla Commissione Nordio, è stata quella della coerenza con il principio di colpevolezza e con la conseguente necessità di evitare qualsiasi tipo di responsabilità di carattere oggettivo o, come invece spesso avviene per le contravvenzioni, senza una valutazione dell'elemento psicologico del reato. In numerosi interventi, inoltre, è stato rilevato come, alla fine, l'unica distinzione tra delitti e contravvenzioni (non solo di fatto ma anche nell'analisi delle Commissioni che avevano mantenuto l'attuale assetto), si trovi nella «diversa specie delle pene rispettivamente stabilite». Da parte di numerosi commissari si è inoltre osservato, da un lato, come, in presenza di contravvenzioni che hanno un'effettiva e reale funzione preventivo-cautelare per beni particolarmente rilevanti, non sia più procrastinabile la loro trasformazione in «delitti»; e, dall'altro, come, invece, molte delle attuali contravvenzioni debbano essere depenalizzate, con il vantaggio non solo di decongestionare, semplificare e razionalizzare il sistema penale ma anche
Soggetto attivo, condotta, evento e nesso di causalità.
Soggetto attivo può essere sia il titolare di particolari doveri o poteri giuridici specificamente attribuitigli al momento del fatto sia chi, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto tali poteri (articolo 14, comma 1, lettera a), numero 1). L'articolo 14 stabilisce altresì che nessuno possa essere punito per un'azione od omissione prevista dalla legge come reato se non l'abbia posta in essere con coscienza e volontà, salvo i casi di forza maggiore o di costringimento fisico: in tali casi risponde del reato l'autore della violenza (lettera a), numero 3).
La Commissione ha ritenuto di dover prevedere ancora questo primo livello di imputazione soggettiva del fatto, comune al dolo e alla colpa, senza però inserire nel novero dei fattori che escludono la coscienza e la volontà della condotta il caso fortuito, concetto poco preciso e di incerta collocazione sistematica.
Per quanto concerne il nesso di causalità, si è fatto riferimento - per stabilire la regola generale - al concetto di «condizione necessaria», mutuandolo dalla dottrina e dalla giurisprudenza che hanno maggiormente sottolineato, da un lato, la necessità, derivante dal principio di legalità, della ricostruzione del rapporto tra condotta ed evento a leggi scientifiche di copertura e, dall'altro, il fatto che l'evento in questione deve essere quello che si è verificato in concreto, con l'esclusione di ogni livello della cosiddetta «causalità alternativa ipotetica».
La Commissione, anche recependo specifici stimoli dottrinari ribaditi in vari convegni giuridici, tra cui quello di Siracusa, ha ritenuto tuttavia necessario introdurre alcune linee guida relative alla tematica, ulteriore rispetto a quella del rapporto condizionalistico, del nesso di imputazione giuridica tra condotta ed evento. Quando si tratta di assegnare il carattere di tipicità ad una condotta in funzione della causazione dell'evento - e quindi in tutti i reati di evento - il passaggio da compiere deve essere duplice: è necessario innanzitutto ravvisare il rapporto di causalità materiale e, successivamente, valutare se, anche dal punto di vista del diritto, il riscontrato rapporto sussista: ne consegue la necessità di indicare i parametri giuridici attraverso i quali operare la «selezione» e formulare l'imputazione oggettiva. Sul punto il dibattito in Commissione è stato particolarmente acceso, in quanto, da parte di alcuni commissari, si sono sostenute l'inutilità e l'improprietà del riferimento al concetto di «fattore eccezionale» e, da parte di altri, la pertinenza del rischio al tema soggettivo del reato. Si è infine giunti alla formulazione dei numeri 5) e 6) della lettera a) del comma 1 dell'articolo 14, con l'intento di consentire al giudice di operare una valutazione sia della qualità della condotta tenuta (ex ante), sia circa le modalità concrete del riscontrato decorso causale (ex post), nella convinzione che il diritto non possa considerare rilevanti né
Dolo, colpa, colpa grave.
Il ripudio della responsabilità oggettiva, che aveva già trovata ampia convergenza nei più recenti progetti di riforma, ha portato la Commissione a prevedere, quali unici titoli di imputazione soggettiva, il dolo e la colpa, con esclusione di qualsiasi ipotesi di responsabilità preterintenzionale: il che non significa, evidentemente, impunità per condotte che oggi hanno una loro specifica collocazione nel codice (ad esempio, omicidio preterintenzionale), ma significa ricondurre tali condotte al concorso di reati tra il fatto-base doloso e l'ulteriore fatto più grave, imputabile a colpa dell'agente.
Già il progetto Pagliaro, all'articolo 12, prevedeva di «escludere qualsiasi forma di responsabilità incolpevole, prevedendo due sole forme di imputazione: il dolo e la colpa». Il progetto Grosso, all'articolo 25, ha inteso stabilire che «la colpevolezza dell'agente per il reato commesso è presupposto indefettibile della responsabilità penale» e che «nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto se non lo ha realizzato con dolo, salvi i casi di delitto colposo espressamente previsti dalla legge». L'articolo 19 del progetto Nordio prevede che «nessuno possa essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non lo ha commesso con dolo, salvi i casi di reato colposo espressamente previsti dalla legge».
La Commissione ha pressoché unanimemente condiviso le seguenti considerazioni preliminari:
a) che fossero maturi i tempi di una definitiva messa al bando della responsabilità oggettiva, non solo nelle forme espresse, ma anche in quelle «occulte» e, quindi, più insidiose;
b) che, in tale materia, formulazioni contenute in norme definitorie hanno comunque una ridotta capacità di incidenza sugli orientamenti giurisprudenziali;
c) che quanto al dolo andrebbe contrastata l'attuale tendenza giurisprudenziale a svalutare la componente volontaristica del nesso psichico e a privilegiare l'instaurazione di un vorticoso processo di oggettivizzazione e di normativizzazione, che riduce il dolo a componente estremamente malleabile sul piano applicativo e quindi facile terreno di coltura per scorciatoie probatorie, soprattutto nel concorso di persone;
d) che vi sia una tendenza all'appiattimento della colpa specifica sulla responsabilità oggettiva, anche in quanto la giurisprudenza tende a non riscontrare il nesso di imputazione tra condotta ed evento, nonché il grado di esigibilità dell'osservanza della regola cautelare violata; che tale tendenza determina, non raramente, una «trasformazione» della colpa specifica in colpa generica mediante l'impiego di clausole generali a sfondo cautelare, con la rinuncia di fatto al controllo di prevedibilità in concreto dell'evento e con la liquidazione del principio di affidamento sulla base del «convincimento» che questo non può essere invocato da chi viola una regola cautelare;
e) che una vera rivoluzione copernicana si potrebbe attuare solo introducendo una terza tipologia di elemento soggettivo, intermedia tra quelli che oggi chiamiamo dolo e colpa e mutuata dall'esperienza inglese della «reklessness», e incentrata sul carattere sconsiderato della condotta posta in essere dal reo, in modo non dissimile da quanto realizzato in Francia a proposito della «mise en danger»: scelta che porterebbe a distinguere l'area della «volontà del fatto» dall'area della «volontà del (mero) rischio del fatto» e ciascuna di queste due dall'area della «non volontà» dell'uno o dell'altro;
f) che tuttavia tale scelta non è ad oggi realizzabile, sia in quanto la distinzione tra «volontà del fatto» e «volontà del mero rischio del fatto» non sempre è agevole, in quanto comporta per il giudice la difficoltà di spiegare perché chi ha così intensamente voluto il rischio del fatto in realtà non ha voluto il fatto e chi si è rappresentato il fatto in maniera sbiadita
Nella consapevolezza, dunque, che un codice non debba imporre scelte di élite, ma debba limitarsi a registrare cambiamenti sufficientemente maturati nella esperienza giuridica, la Commissione si è mossa sulla linea tradizionale della dicotomia delle forme di imputazione soggettiva: una incentrata sull'effettiva volontà del fatto da parte dell'agente (dolo), l'altra sulla sua non volontà e sulla contemporanea violazione della diligenza esigibile dall'agente nella situazione concreta (colpa).
In ordine alla formulazione scelta per definire il reato doloso, l'allontanamento dalla vigente definizione si misura nella chiarificatrice sostituzione dell'evento, quale oggetto del dolo, con il fatto costitutivo di reato e nella soppressione dell'inciso «secondo l'intenzione», che non può non apparire distonico in un sistema in cui hanno cittadinanza all'interno del modello doloso anche forme non intenzionali (il reato è doloso quando l'agente si rappresenta concretamente e vuole il fatto che lo costituisce - articolo 15, comma 1, lettera a), numero 2).
Tale carattere è ribadito nella definizione che la Commissione, pur nella varietà estrema delle posizioni espresse dai singoli componenti, e dopo un'iniziale propensione a escludere espressamente la possibilità di responsabilità per «dolo eventuale», ha infine deciso di adottare con riguardo al dolo eventuale (articolo 15, comma 1, lettera a), numero 3). In proposito va sottolineato come la rappresentazione del fatto in tal caso debba materializzarsi nei termini dell'alta probabilità e come l'accettazione dello stesso non possa essere dal giudice automaticamente ricavata da tale mero stato intellettivo, imponenendo invece uno sforzo di autonoma ricostruzione da ulteriori elementi indicativi. La previsione di un'attenuante facoltativa consente al giudice di pervenire nei casi limite ad una conclusione tollerabile sul piano della giustizia sostanziale, stemperando la radicalità delle conseguenze di una scelta decisoria che può a volte presentarsi come estremamente problematica (articolo 15, comma 1, lettera a), numero 3).
Un più evidente tratto di innovazione caratterizza la scrittura della norma relativa alla definizione del reato colposo. A parte il richiamo alla non volontà del fatto costitutivo di reato, che conferma la posizione della colpa in un territorio esattamente contrapposto a quello del dolo, la disposizione ha cura di esplicitare i distinti passaggi che devono guidare l'interprete nell'accertamento di tale elemento psicologico, menzionando accanto alla violazione di una regola cautelare la prevedibilità ed evitabilità del fatto commesso, allo scopo di impedire intollerabili sovrapposizioni tra la responsabilità colposa e quella oggettiva. Nel prevedere una rimproverabile corrispondenza tra il fatto verificatosi e quello da evitare, si è espressamente esclusa una responsabilità nei casi in cui l'evento cagionato non rientri tra quelli che la regola cautelare violata mirava specificamente a prevenire (articolo 15, comma 1, lettera a), numero 4): «il reato è colposo quando il fatto che lo costituisce non è voluto dall'agente e questi lo realizzi come conseguenza concretamente prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di regole di diligenza, di prudenza o di perizia ovvero di regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o atti di autonomia privata»).
La novità più rilevante riguarda la previsione della figura della colpa grave, con conseguente abbandono della cosiddetta
Ignoranza ed errore.
La disciplina dell'errore e dell'ignoranza è stata riunita in un unico articolo, calibrato sui possibili oggetti dell'errore o dell'ignoranza (articolo 16). Con il numero 1) della lettera a) del comma 1 si è inteso ribadire, onde evitare diverse interpretazioni, che l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la responsabilità a titolo di dolo (anche se tale conclusione ben si poteva ricavare dalla stessa definizione di dolo come esplicitata all'articolo 15). Tale proposizione in positivo consente anche di chiarire che non vi può essere responsabilità a titolo di dolo anche nei casi in cui l'errore sul fatto derivi da errore su legge extrapenale. La Commissione ha inteso ribadire con forza che la responsabilità dolosa debba essere esclusa in tutti i casi in cui vi sia errore sul fatto di reato, non solo nei casi in cui l'errata rappresentazione riguardi direttamente dati fattuali, ma anche allorché riguardi qualificazioni normative del fatto stesso.
Quanto alle cause di giustificazione e alle cause soggettive di esclusione della responsabilità, la disciplina introdotta non è dissimile da quella attuale (esplicita o comunque mutuata dal diritto vivente). In particolare il numero 2) della lettera a) del comma 1 dell'articolo 16 prevede che l'erronea supposizione di una causa di giustificazione escluda il dolo anche nel caso in cui derivi da errore su legge diversa da quella penale, ancorché avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi.
Quanto all'errore sul precetto penale, si è mantenuta la disciplina prevista dall'articolo 5 del codice vigente, come interpretato dalla Corte costituzionale, esplicitandosi i casi di errore scusabile, in linea con le indicazioni contenute nella citata sentenza
Cause oggettive di giustificazione e cause soggettive di esclusione della responsabilità.
Ampia è stata la discussione sull'opportunità di prevedere, nelle direttive di delega, una distinzione tra «cause oggettive di giustificazione» e «cause soggettive di esclusione della responsabilità» (articoli 17 e 18). La Commissione si è espressa unanimemente per la decisione - già presente nei progetti Pagliaro e Nordio - di distinguere le cause di giustificazione (scriminanti) dalle cause soggettive di esclusione della responsabilità (scusanti): ciò anche sulla base dell'elaborazione dottrinale, maturata dopo l'entrata in vigore del codice Rocco, tesa a rimuovere gli aspetti della vigente disciplina che recano un'impronta marcatamente autoritaria nonché della opportunità di ancorare la normativa interna alle prospettive tratte dalle fonti internazionali, dalle più significative esperienze di altri ordinamenti e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Tale impostazione è fortemente innovativa rispetto alla sistematica dell'attuale codice che finisce con l'inquadrare, nell'ambito della generica categoria delle cause di esclusione della pena, fattispecie assai eterogenee tra di loro, che vanno dalla incapacità di intendere e volere fino alla mera esenzione personale dalla sanzione penale.
La previsione di una categoria autonoma di scusanti si ricollega ad una elaborazione scientifica che ha già dato frutti sufficientemente consolidati, offrendo un coerente inquadramento dogmatico per alcune ipotesi legislativamente previste - come lo stato di necessità cogente e l'esecuzione dell'ordine illegittimo insindacabile - che trovano un plausibile fondamento nel principio di inesigibilità, piuttosto che nei modelli esplicativi (riconducibili ai princìpi dell'interesse prevalente e dell'interesse mancante) posti alla base delle vere e proprie scriminanti.
Mentre le cause di giustificazione escludono l'antigiuridicità intesa come contrasto tra il fatto e l'intero ordinamento giuridico, determinano la non applicabilità di sanzioni e si estendono a tutti i concorrenti, la categoria delle cause soggettive di esclusione della responsabilità fa venir meno esclusivamente la rimproverabilità dell'agente (sottoposto alla pressione di circostanze psicologicamente coartanti che rendono inesigibile un comportamento diverso), lascia integra l'illiceità oggettiva del fatto e l'applicabilità di sanzioni civili e amministrative e opera solo nei confronti della persona il cui processo motivazionale è stato condizionato (e non è quindi estensibile a eventuali altri concorrenti).
Reato tentato.
Le problematiche che si sono poste nel corso del dibattito sono state sostanzialmente quella della definizione del tentativo, del suo ambito di applicazione, della compatibilità tra dolo eventuale e tentativo e del trattamento sanzionatorio. Così come era avvenuto nell'ambito delle precedenti Commissioni, e nel dibattito successivo alla presentazione dei relativi progetti, sono emersi due orientamenti: uno teso a mantenere la vigente formulazione, ancorando quindi il tentativo all'idoneità e alla non equivocità degli atti, seppur accentuandone i profili di materialità, l'altro fondato sul momento dell'esecuzione.
Nel primo senso si era espressa sia la Commissione Pagliaro (articolo 19), che ha definito il tentativo come il fatto di «chi, con l'intenzione o la certezza di cagionare l'evento, compie atti idonei oggettivamente diretti in modo non equivoco a realizzare un delitto» sia la Commissione Nordio (articolo 41), che lo ha definito come il «compimento di atti diretti in modo oggettivamente univoco e idonei alla realizzazione del reato». Nel secondo senso si è indirizzato il progetto Grosso («Chi intraprende l'esecuzione di un fatto previsto dalla legge come delitto, o si accinge ad intraprenderla con atti immediatamente antecedenti, risponde di delitto tentato se l'azione non si compie o l'evento non si verifica»).
1) qualunque enunciato voglia accogliersi, il problema del tentativo gravita inevitabilmente sulla distinzione tra atti punibili in quanto espressivi di una volizione materializzatasi con determinate forme o modalità e atti non punibili in quanto privi di tale consistenza: il che vale quanto affidarsi alla distinzione fra atti esecutivi e preparatori, la cui carica significativa allude ai medesimi concetti. Problematica che tende ad assumere, quindi, una portata nominalistica: il che rende illusorio pensare - dopo oltre due secoli di sforzi della dottrina penalistica - di poter rinvenire la chiave di volta per una soluzione definitiva;
2) l'espressione «atti idonei e (oggettivamente) univoci» è ormai entrata nel nostro lessico penalistico come sinonimo del tentativo punibile, ma non per questo è accreditabile di contenuti maggiormente garantistici rispetto alla formula incentrata sull'inizio dell'esecuzione. Ove poi voglia ritenersi che l'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale abbia proceduto a realizzare una eterogenesi dei fini, ribaltando il significato di quella espressione in modo da mantenerla nel solco di una concezione oggettiva, ciò può valere solo ad accentuare la valenza nominalistica del problema, ma non certo a riabilitare il vigente articolo 56 del codice penale;
3) a livello di diritto comparato è indubbiamente prevalente la formula impostata sul principio di esecuzione: essa, infatti, si rinviene, da un lato, nei codici francese (articolo 121-5), spagnolo (articolo 16) e svizzero (articolo 21) e, dall'altro lato, nei codici tedesco (paragrafo 22), austriaco (paragrafo 15) e portoghese (articolo 22). Posto che non sussistono rilevanti differenze fra ordinamenti che legano il tentativo all'«inizio dell'esecuzione» e ordinamenti legati al fatto di «accingersi immediatamente» all'esecuzione della fattispecie, in una prospettiva di armonizzazione comunitaria deve ritenersi che ogni definizione del tentativo sia destinata a presentare una struttura incentrata sul principio di esecuzione, come tale nettamente divergente dal nostro articolo 56 del codice penale. Non si può del resto negare che i concetti di univocità e idoneità degli atti mantengano una notevole vaghezza dei contorni. Quanto all'univocità, come dimostrato anche dall'evoluzione del pensiero di Carrara e dalle sue oscillazioni tra una percezione di tale concetto come criterio di essenza ovvero solo probatorio, essa soffre di una inevitabile proiezione sull'accadimento concreto e di una altrettanto inevitabile sua valutazione alla luce delle circostanze contingenti (a meno che, ovviamente, non si ritenga univoco solo l'atto che immediatamente precede - o, addirittura, nel quale consiste - la consumazione del reato); onde la sua configurazione oggettiva vale solo a togliere rilievo alla confessione dell'agente, ma non può giungere fino a caratterizzare una qualità oggettiva e immutabile della condotta nel suo grado di prossimità rispetto all'evento (salvo che, con uno slittamento semantico, la si renda equivalente alla natura «esecutiva» della condotta);
4) anche il concetto di idoneità degli atti rimane ben distinto dall'idoneità dell'azione nel suo complesso e attiene ad una adeguatezza, nel senso di potenzialità causale, che può caratterizzare anche atti rientranti nella fase preparatoria del reato.
Tali considerazioni hanno determinato la Commissione a formulare una direttiva di delega per cui è punita, con la pena ridotta da un terzo a due terzi, la condotta di chi, intenzionalmente e mediante atti idonei, intraprenda l'esecuzione di un reato, o si accinga ad intraprenderla con atti che immediatamente la precedono, se
Circostanze del reato.
La dottrina è pressoché unanime nel ritenere che il codice vigente affida al giudice un potere discrezionale eccessivo. Ciò rappresenta il frutto della rinuncia ad una penetrante revisione del profilo sanzionatorio, che ha portato all'approvazione di alcune riforme tese a fornire al giudice strumenti di attenuazione delle pene edittali previste dal codice, proprio in quanto considerate eccessive (reintroduzione delle attenuanti generiche, allargamento dei confini dell'articolo 69 del codice penale, facoltatività della recidiva, aumento dei limiti entro i quali è concedibile la sospensione condizionale della pena). L'aumento dei poteri discrezionali del giudice ha costituito, se si considerano i livelli di pena previsti dal nostro ordinamento penale, una risposta alla «non scelta legislativa» sulla gerarchia dei valori penalmente tutelabili, sulle sanzioni e sulla loro misura.
La Commissione ha ritenuto necessario porsi una serie di obiettivi: orientare il giudice in base alle funzioni della pena affermate dalla Carta costituzionale, assoggettare le scelte ad un effettivo controllo di legittimità e assicurare la certezza del diritto nella commisurazione della pena. Ciò ha portato la Commissione ad interrogarsi sull'idoneità degli attuali criteri fattuali (articolo 133 del codice penale) e sulla necessità di fare ricorso all'indicazione codicistica dei cosiddetti «criteri finalistici», come già previsto da alcuni codici stranieri (ad esempio quelli di Germania, Brasile e Portogallo).
Tenuto conto delle indicazioni provenienti dai lavori delle precedenti Commissioni e dei costanti suggerimenti della dottrina, si sono previsti:
a) una tendenziale diminuzione delle circostanze del reato e la contestuale indicazione espressa delle circostanze medesime;
b) l'adozione di soluzioni che favoriscano la restaurazione di un regime applicativo conforme ai postulati del principio di colpevolezza e di determinatezza della fattispecie circostanziale;
c) la revisione dell'entità degli aumenti e delle diminuzioni per le circostanze comuni;
d) la rivisitazione del sistema vigente di calcolo delle circostanze eterogenee, sottraendo al giudizio di bilanciamento le circostanze ad effetto speciale;
e) un ridimensionamento degli effetti della recidiva, con un aumento di pena obbligatorio per chi, dopo esser stato condannato per un reato doloso, commetta un altro reato doloso della stessa indole nei cinque anni successivi: il non commettere un nuovo reato della stessa indole per cinque anni può, infatti, essere considerato elemento tale da far presumere il ravvedimento del reo e l'adeguatezza della condanna già subita.
Le circostanze sono fondate sulla valorizzazione di aspetti di maggiore o minore disvalore del fatto di reato, in una prospettiva finalistica orientata ad esigenze di retribuzione o di prevenzione generale. In questo senso, si distinguono dagli indici di commisurazione della pena di cui all'articolo 133 del codice penale,
1) esprimere una maggiore o minore intensità dell'offesa rispetto al bene protetto dalla norma incriminatrice;
2) tutelare beni diversi da quelli protetti dalla norma incriminatrice (ad esempio: articoli 61, numeri 2) e 9), 576, primo comma, numero 5) e 625, primo comma, numero 2), del codice penale) in caso di condotte plurioffensive;
3) precisare atteggiamenti psichici o caratteristiche tipiche della personalità dell'offensore che si riflettono sul grado di colpevolezza e sul disvalore complessivo della condotta.
Si è ritenuto che - mantenendo l'obbligatorietà della loro applicazione e collocandole nell'alveo della commisurazione legale della pena - le circostanze possono svolgere ancora oggi un'importante funzione retributiva e generalpreventiva. Tuttavia, anche in considerazione dell'orientamento di parte della dottrina favorevole all'eliminazione delle circostanze - e come punto di equilibrio tra le diverse posizioni (basate su argomentazioni pregevoli) - si è deciso di ridurne il catalogo e di contenere gli spazi di discrezionalità relativi sia all'applicazione delle circostanze sia all'entità degli aumenti o delle diminuzioni di pena.
Si segnala, in particolare, la previsione di nuove circostanze aggravanti comuni (articolo 20, comma 1, lettera b), tra cui «l'aver commesso il fatto per finalità di discriminazione razziale, religiosa, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche, di genere e di orientamento sessuale»; nonché «l'aver commesso il fatto per finalità terroristiche, ovvero per agevolare associazioni di stampo mafioso o associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale».
La Commissione ha condiviso la scelta di eliminare fattispecie circostanziali di dubbio significato (ad esempio l'aver agito per suggestione della folla in tumulto) o di indistinto e indiscriminato valore (aggravante teleologica).
Le circostanze incidono sulla commisurazione legale della pena e non sulla commisurazione giudiziale: si è quindi ritenuto di non prevedere le circostanze indefinite e di subordinare la previsione di tutte le future previsioni circostanziali al vincolo della determinatezza. Ne consegue la preclusione nei confronti delle aggravanti direttamente e scopertamente in contrasto con l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione (si pensi alle aggravanti speciali espresse con le formule «nei casi più gravi» e «di rilevante gravità», come ad esempio quelle previste negli articoli 171-bis e 171-octies della legge n. 633 del 1941, in materia di diritto d'autore, o quella per i reati ministeriali data dalla «eccezionale gravità» del fatto prevista dall'articolo 4 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1). Sono situazioni in contrasto con l'inviolabilità del diritto di difesa, nelle quali sono già stati notoriamente ravvisati i margini di una potenziale illegittimità costituzionale dei casi indefiniti di aggravamento della pena.
Per quanto concerne le attenuanti generiche si è ritenuta opportuna, proprio sulla base delle considerazioni sopra accennate, la loro abolizione: la loro indeterminatezza, se non collide con i princìpi costituzionali in tema di previsioni penali sfavorevoli, rappresenta tuttavia un veicolo di discrezionalità (se non di arbitrio) giudiziale, ben poco rispettoso del canone di certezza che pure deve informare la predeterminazione legislativa della cornice edittale e orientare (sia pure con i debiti temperamenti) la commisurazione della pena da parte del giudice. Ne è conseguita la decisione della Commissione di escludere
a) obbligatoria (per garantire a tutti i recidivi eguale trattamento e per rispettare il diritto di difesa attraverso precise garanzie processuali);
b) specifica (in base all'antica convinzione che recidivo sia solo chi ricade in un reato della stessa natura, in quanto solo in presenza di un nuovo reato omogeneo si può ritenere che la pena sofferta si è rivelata insufficiente);
c) temporanea (l'astensione dal delitto per un certo numero di anni depone a favore della sufficienza della pena e del ravvedimento del reo).
La Commissione ha ritenuto di non estendere la recidiva ai reati colposi, attualmente esclusa in virtù della legge n. 251 del 2005. Quanto all'inquadramento sistematico, da cui derivano conseguenze anche rilevanti, la recidiva va considerata una circostanza comune in senso tecnico.
Concorso di reati, concorso formale, reato continuato.
Varie erano le prospettive, quanto meno in via astratta, per disciplinare il concorso di reati: utilizzare il criterio del cumulo materiale, quello del cumulo giuridico, per il quale alla pluralità di reati si applica la pena del reato più grave congruamente aumentata, ovvero quello del cosiddetto «assorbimento», per il quale si applica esclusivamente la pena per il reato più grave.
La Commissione ha ritenute valide le ragioni di ordine sostanziale e comparativo per abbandonare il sistema del cumulo materiale e per conservare le figure del reato continuato e del concorso formale come ipotesi privilegiate rispetto alla disciplina generale del cumulo giuridico. L'unitarietà del fatto punibile, riscontrabile nel «concorso formale» e nel «reato continuato», ha portato la Commissione a prevedere, in tali casi, la pena prevista per il reato in concreto più grave, aumentata fino al doppio (articolo 21, comma 1, lettera b).
Al fine di ricondurre a ragionevolezza la tendenza alla dilatazione della unificazione dei reati, si è ritenuto di ancorare il riferimento alla «risoluzione criminosa unitaria» tenendo conto anche, ma non solo, dell'indole, delle modalità esecutive e
Concorso di persone nel reato.
La priorità che si è posta la Commissione nel disciplinare il concorso di persone nel reato è stata quella di assicurare la definizione del contributo punibile, nel rispetto dei princìpi di determinatezza, tassatività e chiarezza della legge penale. Condiviso è stato anche l'obiettivo di ridurre il tasso di genericità dell'attuale disciplina, da imputare anzitutto alla formulazione dell'articolo 110 del codice penale.
Le direttive approvate intendono anche fornire una risposta all'ulteriore esigenza di adeguare il sistema ai princìpi di colpevolezza e di proporzionalità dell'intervento punitivo. Ne è derivata una disposizione per cui ciascun concorrente deve rispondere del reato nei limiti e in proporzione al contributo materiale e psicologico offerto alla realizzazione del fatto.
Per evitare clausole generiche, non sufficientemente determinate, quale quella dell'attuale articolo 110 del codice penale, si è scelto di individuare nella tipologia del contributo prestato alla realizzazione del fatto il criterio generale che conferisce rilevanza alla condotta concorsuale, specificando che concorre nel reato chi partecipa alla sua deliberazione, preparazione o esecuzione, ovvero chi, determinando o istigando un altro concorrente o prestando un aiuto obiettivamente diretto alla realizzazione medesima, apporta un contributo causale alla realizzazione del fatto (articolo 22, comma 1, lettera a).
La vigente disciplina del concorso di persone lascia configurare forme di responsabilità oggettiva, equiparando contributi radicalmente diversi dal punto di vista dell'elemento psicologico, come avviene nel caso previsto dall'articolo 116 del codice penale. Per questa ragione si è ritenuto di inserire una disposizione volta a consacrare il principio secondo il quale ciascun concorrente risponde nei soli limiti della sua colpevolezza in rapporto al contributo effettivamente prestato (articolo 22, comma 1, lettera e).
Il problema della comunicabilità delle circostanze ai concorrenti è poi stato positivamente risolto facendo riferimento alla struttura delle circostanze, singolarmente considerate. Dal punto vista della valutazione delle cause di giustificazione e delle «esimenti» in senso ampio, sono note le incertezze interpretative concernenti l'attuale articolo 119 del codice penale, alle quali era necessario dare una risposta chiara e soddisfacente. Il criterio di fondo adottato, che ripercorre quello seguito dai precedenti progetti, deve cogliersi nella struttura oggettiva o soggettiva delle singole situazioni considerate.
In linea di principio dovrebbero reputarsi munite di una struttura oggettiva quelle fattispecie di non punibilità che maturano indipendentemente da particolari coefficienti psicologici, risultando perciò anche «oggettivamente» accertabili dal giudice; soggettive quelle che invece presentino tali coefficienti. In quest'ultimo caso, un effetto di «comunicazione» ai concorrenti non sembra adeguato perché lascerebbe valorizzare, a favore di taluni tra i concorrenti, elementi squisitamente personali, appartenenti ad altri, ai quali soltanto si collega l'effetto esonerante previsto dalla legge.
In relazione ai casi di desistenza e recesso - istituti che presuppongono impegnative opzioni di politica penale, concernenti gli strumenti che è utile mettere in campo per assicurare la tutela dei beni, prospettando al destinatario della norma i vantaggi di un ritorno alla legalità - non si è condivisa la soluzione prevista dal codice vigente, che distingue gli effetti della desistenza e del recesso, affidando all'interprete il compito di tracciare, in concreto, la linea di confine (scelta che ha assicurato flessibilità, comportando, per altro verso, carenze di precisione emerse soprattutto in tema di concorso di persone).
Si è quindi scelto di fissare una regola che chiarisca i presupposti e gli effetti della desistenza volontaria. Si è così precisato che non è punibile il concorrente
Imputabilità.
La Commissione è partita dalla constatazione della profonda crisi che ha vissuto il concetto di imputabilità, anche quale riflesso dei controversi rapporti tra giustizia penale e scienze psichiatriche. Ciò essenzialmente in quanto, al profilo normativo del concetto di imputabilità, si aggiunge quello empirico, che rientra nella competenza dello psichiatra e che attiene alla prevedibilità dei comportamenti futuri di chi ha commesso un reato in una situazione di compromessa capacità di intendere e di volere.
Altro problema - che riguarda soprattutto i casi di ubriachezza e di assunzione di sostanze stupefacenti - è quello dell'utilizzo massiccio di fictiones iuris, che costituiscono una deroga espressa alla regola che esige, ai fini della punibilità, la sussistenza della capacità di intendere e di volere al momento del fatto.
Il codice Rocco, in un'ottica legata ad esigenze squisitamente preventive, ha dato vita per tali ipotesi ad un sistema di attribuzione della responsabilità penale sganciato dall'accertamento effettivo delle condizioni personali al momento della realizzazione del fatto (articoli 92 e seguenti del codice penale). Tale disciplina è difficilmente armonizzabile con il principio di personalità della responsabilità penale e, soprattutto, con un diritto penale del fatto. Evidente è, infatti, lo iato tra fatto e colpevolezza, caratteristico dello schema dell'actio libera in causa, tra norma e realtà sottostante, che costringe il legislatore al ricorso a finzioni giuridiche, le quali a loro volta finiscono per collidere irrimediabilmente con il principio di colpevolezza, dando luogo ad ipotesi di responsabilità oggettiva (occulta o mascherata), che in quanto tali vanno rigorosamente bandite dall'ordinamento giuridico.
Sulla base di tali considerazioni, la Commissione ha fatto le seguenti scelte di fondo (articoli 23 e 24):
a) abolizione del sistema del doppio binario, che prevede l'applicazione congiunta di pena e di misura di sicurezza;
b) abolizione delle finzioni di imputabilità, che costituiscono una deroga alla regola che esige, ai fini dell'imputabilità, la sussistenza della capacità di intendere e di volere al momento del fatto;
c) recepimento, quanto al vizio di mente, dei princìpi fissati dalle sezioni unite penali (sentenza n. 9163, Raso, 25 gennaio-8 marzo 2005), con il conseguente abbandono di un rigido modello definitorio dell'infermità in favore di clausole aperte, più idonee ad attribuire (a determinate condizioni) rilevanza anche ai disturbi della personalità;
d) previsione, nei casi di incapacità di intendere e di volere, di misure di cura e di controllo, determinate nel massimo e da applicare in base alla necessità della cura;
e) applicazione, nei casi di ridotta capacità di intendere e di volere, di una pena ridotta da un terzo alla metà finalizzata al superamento delle condizioni che hanno ridotto la capacità dell'agente.
Nel corso della discussione è stato ampiamente condiviso il concetto per cui l'imputabilità è la capacità di colpevolezza e, quindi, è presupposto per la rimproverabilità di un determinato comportamento: capacità di comprendere il significato del proprio comportamento illecito non significa, però, coscienza dell'antigiuridicità del fatto, valutata alla stregua della norma incriminatrice, ma più semplicemente comprensione del suo significato
a) la prima, che ruota sostanzialmente attorno a due princìpi cardine: 1) l'esaltazione del contenuto specialpreventivo dell'istituto della sospensione condizionale della pena. Il beneficio della sospensione della pena sarà infatti subordinato a un percorso terapeutico, disposto dal giudice sulla base di una perizia che abbia valutato positivamente le possibilità di riuscita e di efficacia dell'intervento più idoneo alla rieducazione e al reinserimento sociale del reo; 2) la previsione (per le pene superiori a quelle che possono rientrare nella sospensione condizionale) della liberazione condizionale con effetto estintivo della parte residua di pena da scontare, con riferimento a condannati semi-imputabili - segnatamente soggetti affetti da disturbi della personalità - che già in carcere si siano sottoposti a un programma terapeutico e che abbiano accettato di proseguire tale percorso di recupero anche all'esterno (come misura di sicurezza, che si andrebbe a sostituire - e non ad aggiungere come nell'attuale sistema del doppio binario - alla pena), sempre a patto che sussistano apprezzabili chance di riuscita del trattamento terapeutico;
b) la seconda soluzione, fatta propria dal progetto Grosso, è quella che prevede il ricorso ad una pena (diminuita da un terzo alla metà) caratterizzata in senso decisamente specialpreventivo, che si avvicina - quanto a contenuto e a modalità di esecuzione - alle misure di sicurezza. I punti salienti sono i seguenti: determinazione della pena in funzione del superamento delle condizioni che hanno ridotto la capacità dell'agente, in particolare prevedendo un trattamento terapeutico o riabilitativo; possibile ricorso all'istituto della sospensione condizionale della pena, anche in questo caso subordinata a un trattamento terapeutico o riabilitativo (sulla falsariga di quanto previsto dalla normativa sugli stupefacenti); previsione di accesso a misure alternative qualora non
A larghissima maggioranza la Commissione ha optato per questa seconda soluzione, che pare meglio conciliare le esigenze di sicurezza della collettività e la necessità di trattamento del reo.
Partendo dallo scioglimento del nesso ideologico fra condizione organica e disturbo psicopatologico, la Commissione è stata unanime nella decisione di eliminare la correlazione immediata - retaggio di vecchie teorie organicistiche - tra condizione di sordomutismo e vizio di mente, in quanto non vi è alcun motivo di considerare il sordomutismo, di per sé, come iscrivibile a condizioni di non imputabilità. Conseguentemente non si è prevista una norma quale quella di cui all'articolo 96 del codice Rocco.
A maggioranza la Commissione ha ritenuto di confermare la soglia minima dell'imputabilità ai quattordici anni e la necessità di un accertamento in concreto della capacità (rectius: della maturità) per i minori con età tra i quattordici e i diciotto anni. Nel primo caso resta confermata una presunzione assoluta di incapacità; nel secondo, invece, è demandato al giudice il compito di accertare di volta in volta se il minore al momento in cui ha commesso il fatto aveva la maturità sufficiente per poter comprendere il significato del fatto o comunque per agire secondo tale capacità di valutazione (articolo 23, comma 1, lettera e).
Anche sulla base di tali considerazioni la Commissione ha ritenuto di differenziare la posizione del minore tra i sedici e i diciotto anni e quella del minore tra i quattordici e i sedici anni. Per il minore imputabile che ha compiuto i sedici anni si prevede una diminuzione di un terzo della pena; per il minore imputabile che non ha ancora compiuto i sedici anni la diminuzione potrà essere da un terzo alla metà, lasciando quindi al giudice la possibilità di valutare, in concreto, se sia opportuna o meno una diminuzione più ampia di quella prevista per chi ha superato i sedici anni.
Passando, quindi, alla proposta delle singole misure, si prevedono diversi tipi di «risposte sanzionatorie» per i non imputabili, evidentemente diversificate in considerazione della causa di non imputabilità: 1) quelle di tipo terapeutico per gli infermi di mente; 2) quelle finalizzate alla disintossicazione per i tossicodipendenti o per gli alcolisti; 3) quelle rieducative per i minori (il sistema sanzionatorio per i minori è stato delegato ad altra specifica Commissione). Si è escluso con decisione il ricorso agli ospedali psichiatrici giudiziari, anche in quanto la legge n. 180 del 1978 ha abolito i manicomi e gli ospedali psichiatrici giudiziari altro non sono che manicomi criminali.
Nel corso del dibattito è emersa, in maniera ancora più pressante, la necessità di riforma delle misure per gli alcolisti e i tossicodipendenti, riconosciuti non imputabili, atteso che allo stato l'intossicato cronico (da alcol o da sostanze stupefacenti) è sottoposto alle stesse misure di sicurezza previste per gli infermi di mente: non v'è chi non veda l'assoluta inadeguatezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario per i tossicodipendenti o per gli alcolisti. Occorre, dunque, prevedere nuovi presìdi che salvaguardino le esigenze di cura del singolo, senza tuttavia pregiudicare quelle di tutela della collettività.
Persona offesa dal reato.
La doverosa attenzione alle persone offese dal reato ha permeato tutti i lavori
Querela, istanza e richiesta.
Per quanto concerne la querela, i princìpi approvati seguono le linee di fondo della disciplina vigente, salvo talune innovazioni di rilievo. Si è mantenuto, quale termine per proporre la querela, quello attuale di tre mesi (nella parte speciale si potranno evidentemente prevedere eccezioni, quale quella oggi prevista dall'articolo 609-septies del codice penale in caso di violenza sessuale), ma si stabilisce che tale termine decorra dal giorno in cui l'offeso sia venuto a conoscenza della realizzazione del reato. Si prevede inoltre che, nel caso in cui la persona offesa si trovi in stato di obiettiva soggezione nei confronti dell'autore del reato, il termine decorra dal momento di cessazione di tale stato (articolo 26, comma 1, lettera c). In caso di pluralità di persone offese, il termine decorre, per ciascuno dei soggetti offesi, dal momento in cui la singola parte lesa sia venuta a conoscenza del reato: la querela proposta anche da un solo avente diritto produce tuttavia effetti anche nei
Le pene.
Il sistema sanzionatorio si caratterizza per la diversificazione delle pene rispetto a quanto previsto dal codice vigente. Si è superata, inoltre, la distinzione tra pene principali e pene accessorie.
Le ragioni che hanno portato a tale scelta sono state molteplici e attengono principalmente ai seguenti nodi problematici:
a) l'inefficienza del diritto penale in molti settori, soprattutto quelli non attinenti alla criminalità comune, dipende oggi essenzialmente dall'indisponibilità di strumenti sanzionatori in grado di incidere efficacemente in senso preventivo sugli interessi in gioco. La previsione sistematica della pena edittale carceraria ha comportato, infatti, che le conseguenze sanzionatorie relative a pur gravi condotte pericolose si siano rivelate ampiamente ineffetttive: da una indagine dell'Istituto EURES-Ricerche economiche e sociali è emerso che dal 1995 al 2005 (prima quindi del provvedimento di indulto dell'agosto 2006) sono stati 850.000 gli anni di detenzione inflitti e non scontati. Il rapporto tra anni scontati e anni di reclusione comminati da sentenze passate in giudicato dimostra che l'indice di certezza della pena, vale a dire gli anni effettivamente trascorsi in carcere rispetto a quelli inflitti, ha toccato nel 2001 la punta più bassa (38,4 per cento) e nel 1995 la punta più alta (44,9 per cento). Una gamma diversificata delle pene consente di evitare modalità sanzionatorie che finiscono con l'essere troppo spesso solo simboliche e di fornire strumenti, di prevenzione e di punizione, estremamente efficaci anche rispetto a reati economico-finanziari, ambientali, colposi eccetera;
b) le pene non detentive consentono di valorizzare l'esigenza che siano annullati i vantaggi derivanti dal reato: esigenza essenziale ai fini della prevenzione e tuttavia fino a oggi non adeguatamente considerata. Sanzioni diverse dal carcere sono altresì particolarmente idonee a fungere da disincentivo rispetto al perseguimento antigiuridico di un interesse economico, nell'ambito degli illeciti commessi per finalità di lucro;
c) la reclusione ha di fatto scarsa efficienza specialpreventiva, come si evince dagli elevati tassi di recidiva nei casi di esecuzione della pena carceraria non mediata da strumenti alternativi di reinserimento sociale: i tassi di recidiva dopo modalità sanzionatorie diverse da quella carceraria risultano di gran lunga inferiori (circa il 70 per cento per chi sconta la pena in carcere; l'11-12 per cento per chi usufruisce di misure alternative alla detenzione). Del pari, i costi economici complessivi dell'applicazione di sanzioni non aventi carattere detentivo risultano molto meno elevati rispetto a quelli del ricorso al carcere;
d) l'introduzione di pene non detentive costituisce una modalità attuativa sostanziale dell'orientamento previsto dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, per cui le pene sono chiamate a favorire l'integrazione sociale del condannato e non a realizzare la sua espulsione dal contesto della società: ciò nella consapevolezza che l'orientamento all'integrazione e alla responsabilizzazione non deriva da esigenze umanitarie, ma è un vero e proprio elemento strategico finalizzato alla prevenzione. Nulla come l'avvenuto «recupero» del condannato rafforza l'autorevolezza dei precetti penali e, dunque, la stessa prevenzione generale.
Sulla base di queste premesse - e dell'oggettivo fallimento dell'attuale sistema penale - la Commissione ha pro
a) la pena pecuniaria per tassi (che in molti ordinamenti europei costituisce la sanzione penale più applicata) consente di rendere finalmente disponibile, ove ne sia adeguatamente garantita l'effettività esecutiva, uno strumento tale da poter essere modulato - in termini non desocializzanti - alle effettive condizioni economiche del condannato. La possibilità, che non si è ritenuto di cancellare, di comminare sanzioni pecuniarie per entità determinata consente forme di intervento mirato al valore di determinate operazioni economiche illegali, specie nei casi in cui non siano facilmente eseguibili provvedimenti di confisca;
b) le pene interdittive consentono un intervento molto mirato - senza desocializzazione detentiva e con attenzione a non privare il condannato dei presupposti necessari per la garanzia dei suoi diritti fondamentali nonché per l'assolvimento dei suoi doveri sociali e familiari - sui presupposti specifici di una data condotta criminosa: tale modalità d'intervento si è dimostrata, là dove è stata applicata, particolarmente efficace per assicurare, in settori particolarmente delicati come quelli amministrativo o commerciale, le esigenze fondamentali della prevenzione;
c) le pene prescrittive rappresentano un importante strumento per delineare percorsi comportamentali conformi alle esigenze di salvaguardia dei beni fondamentali e per favorire condotte riparative o conciliative (anche attraverso il lavoro in favore della comunità, la messa alla prova o procedure di mediazione). Rappresentano, inoltre - anche in quanto non ne è prevista la sospensione condizionale - uno strumento fondamentale per evitare il senso di impunità che deriva dalla non effettività della pena e che è spesso il presupposto della recidiva;
d) il ricorso alla detenzione, da prevedere nei termini sopra menzionati, dovrebbe consentire - limitando in maniera stabile la popolazione penitenziaria - interventi tesi alla risocializzazione più credibili e mirati rispetto alla situazione attuale, con un attento monitoraggio della fase del reinserimento sociale e con conseguente rilevante diminuzione della recidiva;
e) la previsione di una pena «di massima durata» non più coincidente con l'ergastolo, ma tale da assicurare una durata assai consistente della detenzione, garantisce dal pericolo della reiterazione di gravi reati e dalla perpetuazione dei legami di appartenenza a organizzazioni criminali, consentendo nel medesimo tempo un pur limitato adeguamento della pena alle caratteristiche del caso concreto, in conformità al principio costituzionale di colpevolezza; del pari, assicura un più facile realizzarsi dello scopo rieducativo richiesto dalla Costituzione, facendo sì che la cessazione della pena - la cui possibilità è stata ritenuta necessaria dalla Corte costituzionale anche in rapporto all'ergastolo - abbia comunque data certa, seppure secondo termini temporali molto rigorosi che non implicano un affievolimento dell'intervento sanzionatorio rispetto alla situazione attuale. Le esigenze di tutela della società sono del resto rafforzate attraverso misure di controllo specificamente previste per il condannato a pena di massima durata che torni in libertà. La previsione di una verifica periodica nel corso dell'esecuzione della pena, che subordina, anche in questo caso, a una specifica serie di giudizi positivi l'accesso nel lungo periodo a misure alternative, rappresenta un significativo rafforzamento del controllo sul percorso effettuato in carcere dal condannato e un importante fattore di stimolo, per il medesimo, alla revisione delle scelte comportamentali,
La Commissione è consapevole dei rilievi che, da più parti, sono stati sollevati in merito alla gamma, ritenuta troppo vasta, delle pene non detentive previste dal progetto. Tali rilievi fanno leva soprattutto sulla difficoltà applicativa del prospettato sistema sanzionatorio e sulla eccessiva discrezionalità che un simile sistema comporterebbe nell'applicazione e nella commisurazione della pena. Ha tuttavia ritenuto, anche in considerazione di commenti favorevoli all'allargamento della gamma sanzionatoria, di mantenere - in questa fase dei lavori - uno spettro ampio di sanzioni non detentive, con l'impegno di un'ulteriore riflessione, anche sulla base delle indicazioni derivanti dal dibattito parlamentare.
La Commissione, a larga maggioranza, non ha previsto la pena dell'ergastolo, sostituita con la «detenzione di massima durata». E ciò pur nella consapevolezza che la decisione sul mantenimento o meno del «fine pena mai» non potrà che essere di carattere innanzitutto politico.
Il confronto su tale tema, particolarmente delicato, è iniziato dalle problematiche relative alla costituzionalità o meno della pena perpetua, soprattutto, ma non solo, in relazione all'articolo 27 della Costituzione, secondo cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Una pena «eliminativa», che sopprime per sempre la libertà di una persona escludendola dalla convivenza civile, non può non essere considerata una pena disumana, anche in quanto finisce con il negare anche la dignità individuale. Proprio per questo, ad esempio, in Francia, mentre fu mantenuta dal codice penale del 28 novembre 1791 la pena di morte, fu escluso l'ergastolo, giudicato più intollerabile, e si previde, come sanzione più grave dopo la morte, la pena di ventiquattro anni di ferri.
L'ergastolo, inoltre, pone non pochi dubbi di legittimità costituzionale anche in relazione al principio, parimenti stabilito dall'articolo 27 della Costituzione, secondo cui le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato». È infatti evidente che se per «rieducazione» si intendono, secondo l'opinione unanime della dottrina, la risocializzazione e il reinserimento sociale del condannato, l'ergastolo è logicamente incompatibile con la finalità rieducativa della pena.
Né basta ad escludere questa incompatibilità la circostanza che la pena dell'ergastolo, come ha affermato la Corte costituzionale con le sentenze n. 264 del 1964 e n. 274 del 1983, non sempre è perpetua, dato che di fatto possono essere concesse agli ergastolani la grazia e la liberazione condizionale, in quanto la pena perpetua contraddice anche il principio di giurisdizionalità delle pene, il quale esclude pene fisse, non graduabili sulla base di quel momento essenziale della giurisdizione che è la valutazione del caso concreto. È perciò per sua natura una pena iniqua, soprattutto se prevista rigidamente senza alternative edittali, perché non è graduabile equitativamente dal giudice, che non può attenuarla sulla base dei concreti, singolari e irripetibili connotati del fatto. In contrasto con un'altra classica garanzia, quella della proporzionalità delle pene, l'astratta fissità dell'ergastolo non consente, insomma, l'individualizzazione e l'adeguamento della pena alla personalità del condannato e alla specificità del caso concreto, che rappresentano una dimensione necessaria della giurisdizione penale.
Il superamento dell'ergastolo è anche un atto di civiltà imposto da ragioni di carattere etico-politico. L'ergastolo, infatti, non è assimilabile alla reclusione, ma è una pena qualitativamente diversa, assai più simile alla pena di morte. Al pari di questa, è una pena capitale, nel senso della capitis deminutio del diritto romano, in quanto è una privazione della vita futura, e non solo della libertà; e poiché è una pena eliminativa che, con l'interdizione legale, esclude per sempre una persona dal consorzio umano. Equivale, secondo la definizione che ne dette l'articolo 18 del codice francese del 1810, alla «morte civile». D'altra parte, molti Paesi europei
Commisurazione della pena.
La Commissione, preso atto delle attuali disfunzioni del modello di discrezionalità vincolata sul versante della commisurazione in concreto della pena, ha lungamente dibattuto sulle possibili soluzioni in grado di dare una risposta all'esigenza di regolamentare ex lege la questione in modo più incisivo, anche al fine di orientare il giudice, pur senza vincolarlo, verso decisioni tali da assicurare il più possibile la certezza del diritto nella commisurazione della pena.
Anche su questo tema si è tenuto conto delle soluzioni adottate dalle precedenti Commissioni e da quanto previsto in alcuni ordinamenti stranieri (ad esempio, Portogallo e Germania). L'approfondimento che ne è seguito ha confermato la difficoltà, per quanto concerne la commisurazione della pena, di realizzare forme di discrezionalità vincolata e, soprattutto, orientata a criteri finalistici indicati dal legislatore. È quindi parsa opportuna la previsione, analoga a quella del progetto Nordio, secondo cui «il giudice motiva analiticamente la determinazione della pena». Si è deciso inoltre di prevedere, oltre ai consueti indici fattuali, alcuni criteri finalistici della pena, desumibili dalle norme costituzionali (articoli 25 e 27 della Costituzione).
Il riferimento alla colpevolezza è parso doveroso, rivestendo un ruolo centrale anche in tema di commisurazione della pena, anche alla luce dell'interpretazione della Consulta (sentenza n. 364 del 1988), che lo fanno assurgere a principio guida del diritto penale moderno. Si è così stabilito - al fine di evitare pene eccedenti la misura della colpevolezza (ad esempio per esigenze di prevenzione generale o di risposta «esemplare» all'allarme sociale suscitato dal reato) - che la pena, oltre a dover essere determinata entro il limite della proporzione con il fatto commesso, deve avere in concreto finalità di prevenzione speciale, con particolare riferimento al reinserimento sociale del condannato e con esclusione, quindi, di ragioni di esemplarità punitiva.
Oblazione.
La Commissione ha ritenuto, pur in presenza di una sostanziale modifica del sistema sanzionatorio e dell'eliminazione delle contravvenzioni, di mantenere, pur con significative modifiche, l'istituto dell'oblazione la cui ratio è da ricercare anche, ma non solo, nello scopo deflattivo: permettere all'imputato/indagato di reati cosiddetti «bagatellari» di estinguere il reato, previo pagamento di una somma di denaro, parametrata alla pena massima, evitando così processi per reati di scarso disvalore sociale, con evidente vantaggio per la struttura giudiziaria oltre che per l'imputato che evita una condanna ma non va esente da «sanzione». L'attuale oblazione speciale, prevista dall'articolo 162-bis del codice penale, ha avuto un ruolo decisamente positivo assolvendo non solo finalità di carattere deflattivo ma anche di prevenzione speciale, riparatorie e risarcitorie; tale istituto, infatti, è caratterizzato dalla facoltatività dell'ammissione alla procedura e prevede, ad esempio, che siano eliminate le conseguenze dannose o pericolose del reato (il mancato adempimento di tale condizione diviene ostativo per l'ammissione all'oblazione).
Proprio per questo si è ritenuto di condizionare l'ammissione all'oblazione - possibile per i reati puniti con pena pecuniaria o con pena pecuniaria alternativa a pena di specie diversa - alla non permanenza di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte dell'agente. Per non slegare l'ammissione al beneficio al disvalore del fatto si è lasciata al giudice la possibilità di non accogliere la domanda di oblazione in rapporto alla gravità del fatto: la genericità del dettato normativo potrebbe creare delle perplessità
Messa alla prova.
La Commissione ha ritenuto di estendere al processo per adulti, in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva e di reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, l'istituto della «messa alla prova», che nel processo minorile ha dato risultati positivi in una percentuale, secondo stime del Ministero della giustizia, attorno all'85 per cento.
Tale istituto, peraltro contenuto anche nel disegno di legge governativo in materia di accelerazione del processo (atto Camera n. 2664), oltre a consentire di pervenire all'estinzione del reato (laddove la rinnovata sospensione condizionale della pena potrà solo estinguere quest'ultima), avrà sicuramente effetti positivi anche in termini di deflazione del carico giudiziario (articolo 46).
Poiché tale istituto si configura come una probation giudiziale con sospensione del procedimento, la sua concessione non poteva non essere ancorata alla tipologia di pena e a parametri edittali: in particolare la messa alla prova sarà possibile solo in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni. In caso di esito positivo della prova, il reato si estingue. La Commissione ha optato per non prevedere la disciplina concreta dell'istituto che, per il suo carattere fondamentalmente processuale, dovrà trovare spazio nel codice di rito.
Si è previsto, onde evitare l'eccessiva cumulabilità dei benefìci, che - se la sospensione del processo con messa alla prova sia stata concessa per reato punito con pena detentiva - un'eventuale successiva sospensione condizionale della pena non potrà mai essere concessa più di una volta.
Prescrizione del reato.
L'istituto della prescrizione - tanto del reato, quanto della pena - disciplina dal punto di vista del diritto sostanziale la difficile alternativa tra punire o non punire, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dal fatto. Nel nostro ordinamento, con particolare riferimento alla prescrizione del reato, tale alternativa è divenuta problematica a causa di una strutturale sperequazione tra tempi disponibili per il processo penale e tempi necessari al processo. Si registra cioè una permanente incongruenza tra il tempo che la prescrizione del reato lascia a disposizione dell'attività giurisdizionale e l'estensione cronologica di alcune tipologie di procedimenti penali, caratterizzati dall'elevato numero di imputati, dalla particolare composizione del quadro probatorio o dalla complessità degli accertamenti necessari per il giudizio.
Ne è conseguito che la prescrizione ha di fatto subìto una trasformazione silente a causa del complessivo mutamento del sistema penale: da strumento eccezionale, volto a conferire implicitamente una legittimazione tecnica alla permanenza del potere punitivo statale nel tempo, a congegno continuativo di deflazione e di contenimento dell'ipertrofia penale.
La Commissione ha valutato diversi possibili assetti della disciplina in materia di prescrizione:
1) la disciplina prevista, dal 1995, nel nuovo codice penale spagnolo (articolo 132, comma 2, del codice penale), che stabilisce che tutta la durata del processo deve essere scorporata dal computo della prescrizione. Il legislatore iberico ha ritenuto contraddittorio permettere la prescrivibilità di un reato mentre è in corso un procedimento per accertare le singole responsabilità. Non si è ritenuto di aderire a questo orientamento in quanto la lentezza dei nostri procedimenti, derivanti dalla scarsità di risorse umane e materiali disponibili per la giustizia penale, addosserebbe il peso della inefficienza del sistema
2) si è poi valutata la proposta di istituire due distinti meccanismi estintivi. Il primo (prescrizione del reato) opererebbe prima dell'inizio dell'attività giurisdizionale e il secondo (prescrizione endo-processuale) regolerebbe la durata massima del processo, nel caso venisse instaurato. L'esercizio della prescrizione penale fungerebbe da causa di estinzione della prescrizione del reato e varrebbe come momento da cui computare la prescrizione dell'azione. Se il primo regime prescrizionale rimane pressoché invariato rispetto all'originaria configurazione codicistica, il secondo prevede distinti intervalli estintivi che valgono per ciascun grado del processo. Non esisterebbe un tetto massimo della prescrizione e il limite finale alla durata del processo si ricaverebbe sommando i termini valevoli per ciascun grado, termini che possono inoltre subire un allungamento in presenza di cause di sospensione, che però non possono mai dilatare i termini di oltre la metà. La Commissione non ha aderito a tale proposta in quanto, sommando i tempi della prescrizione del reato ai vari intervalli che compongono il termine temporale per la prescrizione del processo (con le relative sospensioni), si giungerebbe a termini prescrizionali cumulativi eccessivamente dilatati: ad esempio diciassette anni per le contravvenzioni punite con l'arresto e più di cinquant'anni per i delitti più gravi, stante l'operatività congiunta dei due meccanismi prescrizionali;
3) altra proposta esaminata è stata quella contenuta nel disegno di legge atto Senato n. 260 del 2001, XIV legislatura, primo firmatario il senatore Fassone. Tale disegno di legge delineava, al pari del precedente progetto, una prescrizione del reato assai simile a quella codicistica precedente alla riforma ex Cirielli e una prescrizione del procedimento e prevede un meccanismo di delimitazione temporale della prescrizione del processo penale. L'autorità giudiziaria avrebbe la facoltà di rinnovare la prescrizione tramite gli atti di cui all'articolo 160 del codice penale (cui si aggiungono l'iscrizione nel registro delle notizie di reato e le impugnazioni), ma tali atti dovrebbero succedersi a una distanza temporale non superiore ai due anni l'uno dall'altro. I rilievi che sono stati mossi a tale proposta, nel corso del dibattito, si sono incentrati essenzialmente sull'«appiattimento» del termine biennale per ogni categoria di reato (dai reati bagatellari a quelli di criminalità organizzata), che sarebbe inoltre identico per tutte le diverse fasi del processo. È inevitabile, come per il precedente progetto, lo scontro con il principio della durata ragionevole del processo, anche perché il tempo trascorso durante una delle diverse cause di sospensione della prescrizione del processo non ha alcun effetto ai fini prescrizionali.
Le riflessioni della Commissione si sono incentrate soprattutto sul fatto che una razionale riforma di tale istituto non può non tener conto dei fattori di ineffettività dell'ordinamento penale e che la scelta tra diverse opzioni non deve essere guidata da una cornice puramente valoriale: la difesa sociale versus la garanzia del reo. Il piano esclusivamente assiologico è infatti povero di contenuto informativo per il riformatore alle prese con concreti problemi di disciplina. Inoltre, a ben interpretare l'esigenza di difesa della società dal crimine, non si riscontra nessuna implicazione in ordine alla dilatazione dei termini prescrizionali. In realtà, sia la garanzia dei diritti di imputati e rei, sia l'effettiva difesa della società dall'illegalità, puntano al medesimo risultato: l'applicazione della pena in tempi ragionevoli, comunque quanto più ravvicinati nel tempo alla commissione del reato. Non si può infatti ritenere efficace un sistema che infligga la pena a così grande distanza di tempo dai fatti, tanto
1) distinta regolamentazione di due regimi prescrizionali: uno precedente all'azione penale; l'altro che interviene quando l'interesse pubblico alla punizione si sia manifestato tramite l'esercizio dell'azione penale;
2) i termini del primo tipo di meccanismo prescrizionale devono essere parametrati in funzione della gravità del reato, valutato sulla base della pena edittale, tenendo conto delle eterogenee comminatorie edittali presenti nel nostro ordinamento. Anche in questo caso la Commissione ha ritenuto a maggioranza di definire tali termini per classi (numericamente ridotte) di fattispecie, come previsto dal codice penale prima dell'attuale normativa, e non sulla base della pena edittale massima prevista per il singolo reato;
3) una volta esercitata l'azione penale, la prescrizione deve essere delineata sulla base dei tempi di accertamento richiesti dalla tipologia del processo (definiti tramite l'individuazione di limiti temporali ben definiti);
4) previsione di cause di sospensione della prescrizione cosiddetta «processuale», tra cui lo svolgimento di perizie di particolare complessità, rogatorie internazionali, impedimento dell'imputato o del difensore, dichiarazione di ricusazione eccetera. Ne consegue, ad avviso della Commissione, che la prescrizione non rientri più tra le cause di estinzione del reato ma tra le cause di procedibilità (ovvero, come è parsa orientata la Commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale, come «causa di decadenza»).
I commissari dissenzienti, in alternativa, hanno proposto una disciplina della prescrizione sostanzialmente ricalcata sul modello degli articoli 157 e seguenti del codice penale previgenti alla legge ex Cirielli, ovvero una disciplina che si basa sull'entità della pena edittale che viene aumentata in caso di atti interruttivi o sospensivi. Non sono neppure mancate proposte, anch'esse respinte dalla maggioranza, di considerare unitariamente i tempi del processo ai fini di un computo globale del termine prescrizionale.
La Commissione aveva quindi approvato, oltre a quanto previsto dall'articolo 46, la seguente direttiva:
«Prevedere che, ove esercitata l'azione penale entro i termini innanzi indicati, decorrano i seguenti ulteriori termini:
a) cinque anni per la pronuncia del dispositivo che conclude il primo grado di giudizio;
b) due anni per la pronuncia del dispositivo che conclude ogni eventuale successivo grado di giudizio.
Prevedere che:
1) i termini di cui al comma 5 siano aumentati in misura non inferiore a un terzo quando si procede in ordine a taluno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;
2) la prescrizione operi rispetto ad ogni singolo reato e sia rinunciabile con dichiarazione fatta dall'imputato personalmente o dal difensore munito di mandato speciale;
3) nei casi di reato tentato la prescrizione decorra dal momento in cui è cessata l'attività dell'agente; in caso di reato permanente dal momento in cui è cessata la condotta.
Prevedere che il corso della prescrizione rimanga sospeso in tutti i casi in cui la sospensione del processo sia imposta da una particolare disposizione di legge, nonché: a) nel caso di perizie il cui espletamento sia di particolare complessità e comporti la sospensione necessaria del processo per un periodo, comunque, non superiore a sei mesi; b) nei casi di rogatorie internazionali quando sia assolutamente necessario sospendere il processo; c) durante il tempo intercorrente tra il giorno della lettura del dispositivo e la scadenza dei termini per l'impugnazione; d) durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore ovvero a causa dell'assenza, dell'allontanamento o mancata partecipazione del difensore che renda privo di assistenza l'imputato, ovvero per effetto della dichiarazione di ricusazione del giudice o della richiesta di rimessione del processo. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione».
Ad analoga proposta è pervenuta la Commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale. Dovendosi necessariamente procedere a un coordinamento tra i testi predisposti dalle due Commissioni, si è ritenuto di mantenere nel codice penale la prescrizione del reato e di demandare al codice di rito la «prescrizione del processo per decorso dei termini» (direttiva 1.8 della Commissione presieduta dal professor Riccio).
Sospensione condizionale della pena.
I casi di estinzione della pena previsti dal progetto sono: la morte del condannato, l'indulto, la grazia, la sospensione condizionale della pena non revocata, la sospensione condizionata della pena residua, la prescrizione della pena.
Per quanto concerne l'indulto (articolo 48), si è inteso risolvere, disciplinandole espressamente, alcune questioni sorte in mancanza di indicazioni legislative. Si è così precisato che, in caso di concorso di reati, l'indulto si applichi sulla pena cumulata ai sensi delle disposizioni sul concorso di reati e, in caso di continuazione e in presenza di reati ostativi all'indulto, si applichi alla pena inflitta per i reati non ostativi.
Nel dibattito sulla sospensione condizionale della pena, la Commissione è partita dalla constatazione che tale istituto ha, e può avere, carattere polifunzionale a seconda di come è prospettato e regolamentato. In particolare, può avere un'incisiva finalità di deterrenza e di «intimidazione speciale», attraverso l'istituto della revoca; può essere un autonomo strumento alternativo alla pena, anche per evitare l'ingresso in carcere per quei soggetti non responsabili di gravi reati e per i quali vi è una prognosi favorevole; e, infine, può essere un utile ed efficace strumento sia riparatorio-risarcitorio che rieducativo, se, ad esempio, subordinato alla «messa alla prova» o a prescrizioni specifiche.
Non vi è dubbio però, come è stato autorevolmente evidenziato, che «oggi la sospensione condizionale si trova al centro di una colossale contraddizione. Con i suoi tassi di applicazione che si attestano alla metà delle condanne inflitte, essa contribuisce ad assicurare la sopravvivenza del sistema complessivo (...) ma per contro, tutti sono d'accordo nell'attribuire alla sospensione e alla prassi giudiziaria della sua concessione indiscriminata, la maggiore responsabilità delle ineffettività del sistema penale» (Francesco Palazzo, «Trasformazione o declino della sospensione condizionale della pena nel sistema penale italiano?» in Certezza o flessibilità della pena. Verso la riforma della sospensione condizionale di Francesco Palazzo e Roberto Bartoli, Giappichelli, Torino, 2007).
Sanzioni civili.
Per quanto concerne le sanzioni civili ci si è riportati al libro primo, titolo VII, del codice penale vigente, con alcune modifiche (articolo 56).
Si è previsto espressamente che il danno non patrimoniale sia determinato dal giudice in via equitativa, con motivazione espressa, tenendo conto della sofferenza cagionata dal reato e della natura dolosa o colposa di questo. Si è altresì stabilito che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obblighi il colpevole al risarcimento, anche nel caso in cui si accerti la sussistenza della lesione di interessi legittimi (si sancisce quindi esplicitamente, anche in sede penale, la risarcibilità degli interessi legittimi). Ulteriore innovazione è rappresentata dalla previsione espressa della trasmissibilità iure proprio ai prossimi congiunti e ai conviventi more uxorio del diritto al risarcimento del danno. Si è ritenuto necessario, inoltre, disciplinare analiticamente l'ipotesi in cui il risarcimento e le restituzioni possano essere richiesti da persone giuridiche, enti o associazioni, limitando la legittimazione di tali soggetti ai soli casi in cui abbiano ricevuto un danno diretto, economicamente valutabile, e attinente alle funzioni o agli scopi da loro perseguiti.
Altra rilevante innovazione è quella prevista dalla lettera e) del comma 1 dell'articolo 56, per cui il giudice potrà, in presenza di reati di particolare natura o gravità - se non vi è stata costituzione di parte civile e la persona offesa ha espressamente rinunciato all'azione civile o non è stata identificata - disporre il risarcimento e le restituzioni, quantificando, almeno in misura parziale, la somma dovuta, che potrà essere accantonata per un certo periodo di tempo in un fondo di solidarietà a favore delle vittime del reato, salva la definitiva acquisizione da parte del fondo medesimo. La finalità di tale norma è, tra l'altro, quella di rendere possibile, con la sentenza di condanna, un obbligo risarcitorio anche quando, come ad esempio nei casi di criminalità mafiosa, la non costituzione di parte civile deriva non da una libera scelta ma da una situazione «ambientale» o da minacce o atti di violenza. Il giudice, con la sentenza di condanna, può altresì disporre l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose
Confisca.
Inizialmente la Commissione aveva previsto la confisca come pena principale. Nel corso dei lavori è però emersa la necessità di «regolamentare» autonomamente questa figura giuridica, in considerazione del ruolo che, sempre più, potrà e dovrà avere anche quale strumento di contrasto della criminalità.
L'istituto della confisca, infatti, ha attraversato, negli ultimi decenni, una fase di intenso dinamismo evolutivo, che ne ha comportato una crescente valorizzazione sul terreno delle strategie di contrasto della criminalità economica e organizzata. Recentemente la confisca ha avuto un nuovo impulso con conseguente estensione sia dei casi di obbligatorietà della confisca che dei beni confiscabili; è stata altresì eliminata o attenuata la necessità di un diretto collegamento tra beni confiscabili e reato commesso.
Una profonda trasformazione è riscontrabile già in relazione alle forme «classiche» di confisca, costruite sul modello della figura generale prevista dall'articolo 240 del codice penale. In relazione ad esse le recenti riforme legislative si sono orientate secondo quattro linee-guida:
a) la generalizzazione delle ipotesi di applicazione obbligatoria della misura patrimoniale, al fine di prevenire e di reprimere alcune fenomenologie delittuose tipicamente produttrici di arricchimento illecito (è questa la soluzione accolta negli articoli 270-bis, 322-ter e 416-bis del codice penale);
b) la sottoposizione alla confisca anche dell'«impiego» dei proventi del reato (articoli 270-bis e 416-bis del codice penale), allo scopo di contrastare la complessa canalizzazione di risorse finanziarie e la combinazione di attività economiche legali e illegali, che sono tipicamente presenti sia nel contesto della criminalità organizzata sia in quello del finanziamento del terrorismo;
c) la previsione della confisca di valore (o confisca per equivalente), e cioè avente per oggetto beni rientranti nella disponibilità del reo e aventi un valore equivalente a quelli che derivino dal reato e di cui non sia possibile l'ablazione (è questa la soluzione accolta negli articoli 322-ter, 640-quater e 644 del codice penale, che mirano a potenziare l'efficacia dell'intervento patrimoniale nel contrasto di alcune gravi forme di criminalità);
d) il perfezionamento della disciplina di tutela dei terzi che vantano diritti sulle cose confiscate.
Nell'ambito delle strategie moderne di lotta contro la criminalità organizzata, il tema delle misure patrimoniali sta assumendo una sempre maggiore centralità, che si manifesta sia nella dimensione nazionale, sia in quella europea e internazionale. Solo con strumenti in grado di incidere in profondità sulle radici economiche del crimine organizzato, e su quell'ampia rete di rapporti finanziari su cui si basano sempre di più la forza e la capacità di controllo del territorio da parte dei poteri criminali, sarà quindi possibile contrastare efficacemente organizzazioni criminali che controllano intere regioni del nostro Paese e che tendono, sempre di più, a espandere il loro potere.
Sin dall'inizio degli anni ottanta, del resto, l'intervento patrimoniale è stato considerato come uno snodo essenziale per potenziare l'efficacia dell'approccio giudiziario al fenomeno mafioso sulla base di un duplice ordine di motivazioni: la valenza dissuasiva di tipo «sostanziale» e la particolare funzionalità sul piano «processuale», in presenza di difficoltà spesso insormontabili nella raccolta delle prove.
La Commissione ha ritenuto di cercare, attraverso una regolamentazione ampia dell'istituto, di offrire una risposta a esigenze di grande rilievo, che vanno dalla creazione di un netto disincentivo alla commissione di reati (concretizzando
Responsabilità degli enti.
La Commissione è stata, fin dall'inizio dei propri lavori, concorde nel ritenere che la responsabilità degli enti dovesse essere inserita nel codice penale. Infatti, con l'entrata in vigore del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica) l'inedita forma di responsabilità degli enti è entrata a tutti gli effetti a far parte del nostro ordinamento penale.
Pur in presenza di dubbi sulla compatibilità di una responsabilità penale o parapenale dell'ente a fronte del principio di «personalità» consacrato dall'articolo 27 della Costituzione, l'Italia non poteva sottrarsi alla direttiva prevista dall'articolo 2 della Convenzione OCSE sulla lotta alla
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la parte generale del codice penale.
2. Almeno sessanta giorni prima della scadenza del termine di cui al comma 1, il Governo trasmette alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di cui al medesimo comma 1 per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione esprime il proprio parere entro quaranta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei decreti legislativi. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.
3. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge.
4. Il Governo, nell'esercizio della delega di cui al comma 1, procede altresì all'abrogazione esplicita di tutta la normativa incompatibile con il codice penale.
5. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo può emanare disposizioni integrative o correttive dei medesimi decreti legislativi.
1. Il codice penale adottato con i decreti legislativi di cui all'articolo 1 si
a) prevedere come reati solo i fatti che offendono beni giuridici di rilevanza costituzionale;
b) escludere qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, prevedendo come sole forme di imputazione il dolo e la colpa;
c) affermare il principio di legalità in tutte le sue implicazioni, attuandolo mediante la previsione chiara e determinata di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato, nonché mediante l'indicazione espressa di tutti i presupposti della punibilità;
d) prevedere che le disposizioni del codice penale non possano essere abrogate da leggi posteriori se non per dichiarazione espressa del legislatore e con esplicito riferimento alle singole disposizioni abrogate.
1. In materia di principio di legalità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al princìpio e criterio direttivo di prevedere che nessuno sia punito per un fatto non espressamente previsto come reato da una legge dello Stato, né con pene o con altre conseguenze sanzionatorie che non siano stabilite dalla medesima legge.
1. In materia di riserva di codice, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al princìpio e criterio direttivo di prevedere che le nuove disposizioni penali siano inserite nel codice penale ovvero in leggi che disciplinano organicamente l'intera materia cui si riferiscono, coordinandole con le disposizioni del medesimo codice penale e nel rispetto dei princìpi in esso contenuti.
1. In materia di principio di offensività e di irrilevanza del fatto, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che nessuno sia punito per un fatto che in concreto non offenda il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice;
b) prevedere che l'agente non sia punibile quando risultino la tenuità dell'offesa e l'occasionalità del comportamento.
1. In materia di principio di colpevolezza, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al princìpio e criterio direttivo di prevedere che nessuno sia punito se non per un fatto commesso colpevolmente.
1. In materia di interpretazione e applicazione della legge penale, i decreti
a) prevedere che le norme penali non si applichino a casi diversi da quelli espressamente previsti;
b) prevedere che in caso di concorso di norme, nel rispetto del principio in materia di ne bis in idem sostanziale, la legge o la disposizione di legge speciale deroghi alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia diversamente stabilito, e che quando un medesimo fatto sia riconducibile a più disposizioni di legge, si applichi la norma che ne esprime per intero il disvalore;
c) prevedere che le disposizioni contenute nella parte generale del codice penale si applichino anche alle materie regolate da altre leggi penali, salvo che queste espressamente dispongano altrimenti.
1. In materia di efficacia della legge penale nel tempo, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) stabilire la non retroattività delle norme incriminatrici e di ogni altra disposizione penale che comporti per l'agente un trattamento più sfavorevole;
b) stabilire che nessuno sia punito per un fatto che non sia più previsto dalla legge come reato e che, se vi è stata condanna irrevocabile, ne cessino l'esecuzione e gli effetti penali;
c) stabilire che, se sono diverse la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le leggi successive, si applichi quella che, valutata complessivamente e in concreto, risulti più favorevole per l'agente, salvo che sia intervenuta sentenza
d) prevedere che la disciplina di cui alle lettere a), b) e c) si applichi anche in caso di successione di leggi diverse da quelle penali integratrici del precetto, da queste ultime richiamate;
e) prevedere che la disciplina della successione di leggi penali nel tempo si applichi in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale;
f) prevedere che la disciplina di cui alle lettere b) e c) non si applichi alle leggi espressamente dichiarate eccezionali o temporanee.
1. In materia di efficacia della legge penale nello spazio, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la legge italiana si applichi a chiunque commetta un reato nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno, dal diritto comunitario e dal diritto internazionale;
b) prevedere che la legge italiana si applichi altresì a tutti coloro che commettano il reato all'estero nei casi e nei limiti stabiliti dalla legge o dal diritto internazionale;
c) prevedere che le navi e gli aeromobili italiani siano considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera;
d) prevedere che il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato quando l'azione o l'omissione che lo costituisca sia, in tutto o in parte rilevante, ivi posta in essere ovvero si sia ivi verificato l'evento.
1. In materia di reati commessi all'estero, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere l'applicabilità della legge italiana per i seguenti reati da chiunque commessi all'estero, indipendentemente dalla legge penale del luogo di commissione del reato:
1) reati contro lo Stato o l'Unione europea;
2) reati di contraffazione del sigillo dello Stato o dell'Unione europea e di uso di tale sigillo contraffatto;
3) reati di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato o in valori o in carte di pubblico credito italiano;
4) reati commessi da pubblici ufficiali al servizio della pubblica amministrazione italiana o dell'Unione europea abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;
5) reati di omicidio doloso, sequestro di persona, lesioni gravissime dolose, anche quando le suddette fattispecie rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti di altri reati, se commessi a danno di un cittadino italiano;
6) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge, norme comunitarie o convenzioni internazionali stabiliscano l'applicabilità della legge penale italiana;
b) prevedere, per i reati di genocidio, tortura, crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi all'estero:
1) l'applicabilità della legge italiana, indipendentemente dalla legge del luogo di commissione del reato, se il fatto è stato commesso da un cittadino italiano;
2) l'applicabilità della legge italiana, indipendentemente dalla legge del luogo di commissione del reato, subordinando la procedibilità, in caso di straniero, alla sua presenza nel territorio dello Stato e, nel caso in cui lo straniero rivesta la qualifica di Capo di Stato o di Governo o di membro di Governo, alla richiesta del Ministro della giustizia;
c) stabilire, fuori dai casi previsti dalle lettere a) e b), l'applicabilità della legge italiana per i reati commessi dal cittadino all'estero per i quali la legge italiana commini una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, subordinandola al requisito della doppia incriminazione e alla presenza dell'agente nel territorio dello Stato, e per i reati puniti con pena inferiore, subordinandola alla richiesta del Ministro della giustizia o all'istanza o querela della persona offesa;
d) stabilire, fuori dai casi previsti dalla lettera a), l'applicabilità della legge italiana per i reati commessi all'estero dallo straniero per i quali la legge italiana commini una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, subordinandola al requisito della doppia incriminazione, alla presenza della persona nel territorio dello Stato e alla richiesta del Ministro della giustizia o all'istanza o querela della persona offesa;
e) nei casi previsti dalle lettere c) e d), prevedere la necessità della querela della persona offesa se il reato sia procedibile a querela secondo la legge italiana.
1. In materia di estradizione, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che l'estradizione per l'estero sia disciplinata dalle convenzioni internazionali e dal codice di procedura penale;
b) prevedere che l'estradizione per l'estero non sia ammessa:
1) se, in assenza di convenzioni internazionali, il fatto che forma oggetto della domanda non sia previsto come reato dalla legge italiana e dalla legge dello Stato richiedente;
2) quando vi sia ragione di ritenere che l'imputato o il condannato possa essere sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di lingua, di genere, di orientamento sessuale, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali ovvero a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti o comunque ad atti che configurino violazione di uno dei diritti fondamentali della persona;
3) se per il fatto per il quale sia domandata l`estradizione sia prevista la pena di morte dalla legge dello Stato estero.
1. In materia di apolidi, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere che, ai fini della legge penale, al cittadino sia equiparato l'apolide che abbia residenza o dimora abituale nel territorio dello Stato.
1. In materia di computo e decorrenza dei termini, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere che, quando la legge penale faccia dipendere un effetto giuridico dal decorso del tempo, si osservi il calendario comune e che, quando la legge penale stabilisca un termine, il giorno della decorrenza non sia computato.
1. In materia di soggetto attivo, condotta, evento e nesso di causalità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che:
1) quando la qualifica del soggetto attivo presupponga la titolarità di particolari poteri o doveri giuridici, essa si riferisca alla persona cui questi sono attribuiti al momento del fatto, nonché a chi, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i medesimi poteri giuridici;
2) nessuno sia punito per una azione od omissione prevista dalla legge come reato se non l'abbia posta in essere con coscienza e volontà;
3) sia esclusa la responsabilità di chi abbia commesso il fatto per forza maggiore o per costringimento fisico e che, in quest'ultimo caso, ne risponda l'autore della violenza;
4) nessuno sia punito se la sua condotta attiva od omissiva non sia stata condizione necessaria dell'evento dannoso o pericoloso;
5) la responsabilità per l'evento sia esclusa quando esso sia stato conseguenza di un fattore eccezionale o di un fattore sopravvenuto riferibile all'altrui sfera di signoria;
6) la responsabilità per l'evento sia esclusa quando l'evento non derivi dallo specifico rischio illecito creato dalla condotta;
b) prevedere che il non impedire l'evento sia equiparato al cagionarlo a condizione che:
1) sia stato violato un obbligo attuale di garanzia del bene giuridico;
2) il titolare dell'obbligo giuridico di garanzia sia in possesso dei poteri giuridici e di fatto idonei a impedire l'evento;
3) l'obbligo di garanzia sia istituito dalla legge e, nei limiti da essa determinati, possa essere specificato da regolamenti, provvedimenti della pubblica autorità, ordini o atti di autonomia privata;
c) prevedere che:
1) siano esplicitati i presupposti del legittimo trasferimento degli obblighi di garanzia dal titolare originario ad altri soggetti, sulla base di un provvedimento della pubblica autorità o di atti di autonomia privata;
2) la violazione degli obblighi giuridici di mera vigilanza sia punibile solo in quanto espressamente prevista dalla legge come reato;
d) prevedere, per i reati commessi con il mezzo della stampa o della radio-televisione, che:
1) l'autore risponda secondo i princìpi generali;
2) fuori dai casi di concorso doloso nel reato, quando l'autore non sia individuato o non sia punibile, ne risponda a titolo di colpa chi, in base alla legge o alle disposizioni organizzative dell'impresa, sia tenuto al controllo della pubblicazione o della trasmissione e non abbia, per colpa, impedito la realizzazione del reato;
3) se non siano individuati l'autore o l'editore ne risponda lo stampatore ai sensi del numero 2).
1. In materia di dolo, colpa e colpa grave, i decreti legislativi di cui all'articolo
a) prevedere che:
1) nessuno sia punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non lo abbia commesso con dolo, salvo i casi di reato colposo espressamente previsti dalla legge;
2) il reato sia doloso quando l'agente si rappresenti concretamente e voglia il fatto che lo costituisce;
3) il reato sia doloso anche quando l'agente voglia il fatto, la cui realizzazione sia rappresentata come altamente probabile, solo per averlo accettato, e ciò risulti da elementi univoci, salva in tal caso l'applicazione di un'attenuante facoltativa;
4) il reato sia colposo quando il fatto, anche se rappresentato, non sia voluto dall'agente e questi lo realizzi come conseguenza concretamente prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di regole di diligenza, di prudenza o di perizia o di altre regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o atti di autonomia privata;
5) la colpa sia grave quando, tenendo conto della concreta situazione anche psicologica dell'agente, sia particolarmente rilevante l'inosservanza delle regole ovvero la pericolosità della condotta, sempre che tali circostanze oggettive siano manifestamente riconoscibili;
6) quando da un fatto previsto come reato derivi per colpa un'ulteriore conseguenza, si applichino le regole del concorso formale di reati se per la conseguenza ulteriore la legge preveda la responsabilità per colpa;
b) stabilire che, se un fatto costituente reato sia commesso per ordine di un superiore, del reato rispondano sia chi abbia dato l'ordine sia chi lo abbia eseguito, qualora non ricorra l'ipotesi menzionata.
1. In materia di ignoranza ed errore, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che sia esclusa la responsabilità a titolo di dolo nei seguenti casi:
1) errore sul fatto che costituisce il reato, anche quando derivi da errore su legge diversa da quella penale, avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi;
2) erronea supposizione di una causa di giustificazione, anche quando essa derivi da errore su legge diversa da quella penale, ancorché avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi;
3) eccesso nelle cause di giustificazione quando per errore ne siano superati i limiti;
b) prevedere che:
1) nei casi di cui alla lettera a), sia fatta salva la punibilità a titolo di colpa se l'errore sia determinato da colpa e il fatto sia previsto dalla legge come reato colposo;
2) l'agente sia punito per il reato meno grave in caso di errore su un elemento differenziale tra più reati;
c) prevedere che escludano la responsabilità l'ignoranza e l'errore sulla legge penale incriminatrice nonché l'erronea supposizione di una causa soggettiva di esclusione della responsabilità, purché siano scusabili in rapporto alle circostanze oggettive del fatto e alle caratteristiche personali dell'autore;
d) prevedere che in caso di ignoranza o errore non scusabile la pena possa essere attenuata fino a un terzo se si tratti di reato doloso;
e) prevedere, salve le diverse disposizioni di legge, l'irrilevanza dell'errore sull'identità della persona offesa.
1. In materia di cause oggettive di giustificazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere come causa di giustificazione l'esercizio di un diritto;
b) prevedere come causa di giustificazione l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità; prevedere che, nel caso dell'adempimento di un dovere da parte del pubblico ufficiale che consista nel respingere una violenza o nel vincere una resistenza, la causa di giustificazione operi nei suoi confronti, e nei confronti della persona legittimamente richiesta, qualora il pubblico ufficiale faccia uso ovvero ordini di fare uso di armi o di altri strumenti di coazione, solo se l'uso di tali strumenti sia necessario e sia rispettata la proporzione tra i beni in conflitto nella situazione concreta;
c) prevedere come causa di giustificazione il consenso dell'avente diritto, nei reati aventi ad oggetto interessi disponibili, stabilendo che sia valido il consenso prestato da chi abbia la capacità di comprenderne il significato e di valutarne l'effetto;
d) prevedere come causa di giustificazione la legittima difesa, specificando che nel valutare la proporzionalità della difesa debba tenersi conto dei beni in conflitto, dei mezzi a disposizione della vittima e delle modalità concrete dell'aggressione; escludere che sia scriminato il fatto preordinato a scopo offensivo;
e) prevedere come causa di giustificazione lo stato di necessità, specificando che il soggetto debba aver agito per salvare un interesse personale proprio o altrui di rango superiore a quello sacrificato; specificare altresì che non sia giustificato chi,
1. In materia di cause soggettive di esclusione della responsabilità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere come causa soggettiva di esclusione della responsabilità l'esecuzione di un ordine illegittimo vincolante, nel caso di esecuzione di un ordine non sindacabile della pubblica autorità, sempre che non si tratti di ordine manifestamente criminoso o la cui criminosità sia comunque nota all'esecutore;
b) prevedere come causa soggettiva di esclusione della responsabilità la necessità cogente, nell'ipotesi in cui il soggetto abbia commesso il fatto per salvare sé o altra persona a lui legata da speciali vincoli affettivi, dal pericolo attuale, non altrimenti evitabile né volontariamente causato, di morte o di danno grave all'integrità fisica o alla libertà personale o sessuale, purché l'interesse salvato presenti una sostanziale equivalenza rispetto a quello offeso, stabilendo che non si escluda la responsabilità di chi agisca per salvare se stesso, avendo un particolare dovere di esporsi al pericolo;
c) prevedere come causa soggettiva di esclusione della responsabilità l'eccesso dai limiti della legittima difesa per grave turbamento psichico, timore o panico, in situazioni oggettive di rilevante pericolo per la vita, per l'integrità fisica, per la libertà personale o sessuale di un soggetto aggredito in luoghi isolati o chiusi o comunque di minorata difesa;
d) prevedere come causa soggettiva di esclusione della responsabilità l'affidamento
e) prevedere come causa soggettiva di esclusione della responsabilità l'ordine del privato nell'ipotesi in cui il soggetto esegua un ordine impartito nell'ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, in caso di tenuità del fatto e delle sue conseguenze.
1. In materia di reato tentato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che chi, intenzionalmente e mediante atti idonei, intraprenda l'esecuzione di un reato, o si accinga a intraprenderla con atti che immediatamente la precedano, sia punito per reato tentato, se l'azione non si compia o l'evento non si verifichi, con una pena ridotta da un terzo a due terzi rispetto a quella prevista per il reato consumato;
b) prevedere che sia esclusa la punibilità del tentativo nei casi di inesistenza dell'oggetto;
c) prevedere che non sia punibile chi volontariamente desista dall'azione o volontariamente impedisca l'evento o volontariamente si adoperi con atti idonei per impedire l'evento, anche se esso non si verifichi per una causa diversa;
d) prevedere che l'agente, nel caso di cui alle lettere b) e c), sia punibile per gli atti compiuti se essi costituiscano di per sé un reato;
e) prevedere che la punibilità per il tentativo possa essere esclusa per singoli reati o per categorie di reati.
1. In materia di circostanze del reato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che:
1) le circostanze del reato siano espressamente denominate come tali;
2) le circostanze risultino determinate nel loro contenuto;
3) costituisca titolo autonomo di reato il fatto per il quale la legge determini in modo autonomo la pena edittale;
4) le circostanze aggravanti siano valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa;
5) le circostanze attenuanti siano valutate a favore dell'agente anche se da lui ignorate o per errore ritenute inesistenti;
6) siano valutate a favore dell'agente le circostanze attenuanti erroneamente supposte, se l'errore di fatto non sia determinato da colpa;
b) prevedere come circostanze aggravanti comuni, salvo che la legge disponga diversamente:
1) l'avere commesso il fatto per finalità di discriminazione razziale, religiosa, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche, di genere o di orientamento sessuale;
2) l'avere, nei reati dolosi contro la persona o comunque realizzati con violenza alla persona, commesso il fatto con crudeltà ovvero per motivi abietti o futili;
3) l'avere commesso il fatto contro un pubblico agente a causa o nell'atto dell'adempimento delle sue funzioni ovvero contro una persona internazionalmente protetta;
4) l'avere commesso il fatto con abuso di autorità, di relazioni domestiche, di relazioni d'ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione o di ospitalità, ovvero contro persone disabili;
5) l'avere commesso il fatto facendo uso di armi;
6) l'avere commesso il fatto per finalità terroristiche ovvero per agevolare associazioni di stampo mafioso o associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale;
c) prevedere che:
1) la pena sia aumentata da un sesto a un quarto nei confronti di chi, dopo aver riportato una condanna per reato doloso, nei cinque anni successivi alla sentenza irrevocabile commetta un reato doloso della stessa indole;
2) siano considerati reati della stessa indole quelli che costituiscono violazione della medesima disposizione di legge ovvero offendono il medesimo bene giuridico ovvero, per la natura dei fatti o dei motivi che li hanno determinati, presentino in concreto caratteri fondamentali comuni;
d) prevedere come circostanze attenuanti comuni, salvo che la legge disponga diversamente:
1) l'avere commesso il fatto per motivi di particolare valore morale o sociale;
2) l'avere agito in stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso;
3) l'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto ingiusto della persona offesa;
4) l'avere commesso il fatto perché condizionato o indotto da persona alla cui autorità, pubblica o privata, l'agente era sottoposto;
5) l'avere, prima del giudizio, risarcito integralmente il danno o comunque
e) prevedere che:
1) gli aumenti o le diminuzioni di pena, stabiliti dalla legge per le circostanze aggravanti o attenuanti comunque denominate, si applichino aumentando o diminuendo la quantità di pena che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse alcuna circostanza;
2) gli aumenti o le diminuzioni di pena corrispondenti a una circostanza siano da un sesto a un quarto della pena che il giudice applicherebbe in assenza di circostanze;
3) l'aumento di pena corrispondente alla circostanza aggravante di cui al numero 6) della lettera b) sia da un quarto alla metà;
4) gli aumenti o le diminuzioni di pena in caso di concorso omogeneo di circostanze non possano comunque superare rispettivamente la metà del massimo o del minimo edittale;
5) quando la circostanza aggravante di cui al numero 6) della lettera b) concorra con altre circostanze aggravanti, l'aumento per le altre circostanze aggravanti non si applichi sulla pena base, ma sulla pena risultante dall'applicazione della suddetta circostanza;
6) in caso di concorso eterogeneo di circostanze aggravanti e attenuanti il giudice debba tenere conto di tutte le circostanze; che gli aumenti e le diminuzioni per ogni circostanza si calcolino sulla pena base; che per effetto della somma complessiva degli aumenti e delle diminuzioni, la pena non possa essere aumentata oltre la metà del massimo o diminuita oltre la metà del minimo edittale;
7) quando la circostanza aggravante di cui al numero 6) della lettera b) concorra con altre circostanze comuni, gli aumenti o le diminuzioni derivanti dal computo complessivo per le circostanze
1. In materia di concorso di reati, concorso formale e reato continuato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che nel concorso di reati si applichi la pena per il reato in concreto più grave, aumentata fino al triplo;
b) prevedere che quando più reati siano commessi con un'unica azione od omissione ovvero in esecuzione di una risoluzione criminosa unitaria si applichi la pena prevista per il reato in concreto più grave, aumentata fino al doppio; che al fine di valutare l'unitarietà della risoluzione criminosa si debba tenere conto anche dell'indole e delle modalità esecutive dei reati, nonché dell'arco temporale della loro esecuzione;
c) prevedere che nei casi previsti nelle lettere a) e b) la pena non possa comunque superare la somma delle pene applicabili per i singoli reati;
d) prevedere che nel caso di concorso di reati puniti con pene di specie diversa l'aumento si calcoli sulla specie di pena prevista per il reato più grave convertendolo successivamente nella specie di pena prevista per gli altri reati, operando il ragguaglio secondo i criteri previsti dal codice penale;
e) prevedere che per ogni effetto penale diverso dalla pena si abbia riguardo ai singoli reati per i quali sia stata pronunciata condanna, salvo che sia diversamente stabilito;
f) prevedere che le disposizioni sul concorso di reati non si applichino per i reati commessi dopo la condanna di primo grado, ferma restando la loro applicabilità
g) prevedere che sia stabilito in caso di concorso di reati un limite massimo per le pene prescrittive e interdittive.
1. In materia di concorso di persone nel reato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che concorra nel reato chi, partecipando alla sua deliberazione, preparazione o esecuzione ovvero determinando o istigando altro concorrente ovvero prestando un aiuto obiettivamente diretto alla realizzazione medesima, apporti un contributo causale alla realizzazione del fatto;
b) prevedere che le disposizioni sul concorso di persone si applichino anche se taluno dei concorrenti sia non imputabile o non punibile per cause di carattere soggettivo;
c) prevedere che sia punita la cooperazione nel reato colposo;
d) prevedere che nessuno sia punito per concorso nel reato se il fatto non sia stato realizzato almeno nella forma del tentativo;
e) prevedere che ciascun concorrente risponda soltanto nei limiti della sua colpevolezza in rapporto al contributo effettivamente prestato;
f) prevedere che la pena sia diminuita per le condotte di rilevanza oggettivamente modesta;
g) prevedere che la pena sia aumentata a carico di coloro che abbiano organizzato o diretto l'attività criminosa, nonché di coloro che abbiano determinato al reato persone a loro soggette ovvero un minore di anni diciotto, una persona totalmente incapace o con capacità
h) prevedere che le cause di giustificazione e le circostanze oggettive, nonché le circostanze soggettive servite ad agevolare la commissione del reato, abbiano effetto nei confronti di tutti coloro che siano concorsi nel reato;
i) prevedere che siano circostanze oggettive quelle che concernano la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità della condotta, la gravità del danno o del pericolo ovvero le condizioni o qualità personali dell'offeso;
l) prevedere che siano circostanze soggettive quelle che concernano l'intensità del dolo o il grado della colpa o le condizioni o qualità personali del colpevole ovvero i rapporti tra il colpevole e l'offeso;
m) prevedere che la punibilità sia esclusa per il concorrente che, volontariamente, neutralizzi gli effetti della propria condotta ovvero impedisca la consumazione del reato ovvero ponga in essere atti idonei a impedirne la consumazione, quando questa non si verifichi per altra causa;
n) prevedere che la pena sia diminuita per il concorrente che, volontariamente, ponga in essere atti idonei a impedire la consumazione del reato, quando questa nondimeno si verifichi;
o) prevedere che nei casi di cui alle lettere m) e n) il concorrente sia comunque punito per gli atti che costituiscano un diverso reato.
1. In materia di imputabilità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati
a) prevedere che:
1) non sia imputabile chi non abbia la capacità di intendere o di volere;
2) non sia punibile chi abbia commesso un fatto previsto dalla legge come reato, se nel momento in cui lo abbia commesso non era imputabile;
3) la capacità di intendere o di volere sia esclusa quando l'agente non sia stato in grado di comprendere il significato del fatto o comunque di agire secondo tale capacità di valutazione;
4) siano considerate cause di esclusione dell'imputabilità: l'infermità, i gravi disturbi della personalità, la cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti o psicotrope, se rilevanti rispetto al fatto commesso;
5) sia esclusa ogni presunzione di imputabilità, definendo i limiti in cui l'incapace di intendere o di volere per ubriachezza o stupefazione risponda per il fatto commesso per l'essersi posto colpevolmente nelle condizioni predette;
6) nei casi in cui l'agente non abbia la capacità di intendere o di volere sia applicata una misura di cura e di controllo;
7) le misure di cura e di controllo siano applicate tenendo conto della necessità della cura e che la loro durata non possa superare quella della pena che si applicherebbe all'agente imputabile;
8) la durata massima della misura di cura e di controllo determinata dal giudice non possa comunque superare il limite massimo di durata della pena edittale prevista per il reato contestato;
9) l'esecuzione della misura di cura e di controllo sia interrotta quando non risulti più necessaria a fini riabilitativi;
b) prevedere per i non imputabili le seguenti misure di cura e di controllo,
1) ricovero in strutture terapeutiche protette o in strutture con finalità di disintossicazione;
2) ricovero in comunità terapeutiche;
3) libertà vigilata associata a trattamento terapeutico;
4) obbligo di presentazione, eventualmente associato a trattamento terapeutico;
5) affidamento a servizi socio-sanitari;
6) svolgimento di un'attività lavorativa o di un'attività in favore della collettività;
c) prevedere che il giudice possa sempre disporre una misura:
1) meno restrittiva conforme al buon andamento del percorso riabilitativo;
2) più restrittiva in caso di violazione delle prescrizioni;
d) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere precedenti non si applichino quando l'agente si sia messo in condizioni di incapacità di intendere o di volere al fine di commettere il reato o di predisporsi una scusa;
e) prevedere che non sia imputabile chi abbia commesso il fatto senza avere ancora compiuto gli anni quattordici, ovvero, avendoli compiuti ma non avendo ancora raggiunto gli anni diciotto, non sia stato in grado, per immaturità, di comprendere il significato del fatto o comunque di agire secondo tale capacità di valutazione;
f) prevedere per i minorenni imputabili che abbiano compiuto gli anni sedici la diminuzione della pena di un terzo e per i minorenni imputabili che non abbiano compiuto gli anni sedici la diminuzione della pena da un terzo alla metà.
1. In materia di finalità del trattamento e di regime sanzionatorio in caso di capacità ridotta, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che le pene siano diminuite da un terzo alla metà nei confronti di chi, per infermità, gravi disturbi della personalità, cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti o psicotrope, nel momento in cui abbia commesso il fatto fosse in condizioni tali da ridurre grandemente la sua capacità di intendere o di volere, anche quando il reato sia commesso da un soggetto sotto l'influenza di sostanze alcoliche, stupefacenti o psicotrope;
b) prevedere che il giudice determini la pena in vista del superamento delle condizioni che abbiano ridotto la capacità dell'agente, in particolare prevedendo, se possibile e accettato, un trattamento terapeutico o riabilitativo;
c) prevedere che il giudice, in luogo delle pene detentive fino a tre anni, possa applicare misure sostitutive di carattere terapeutico o riabilitativo con il consenso del condannato e che, nel caso di esito positivo del trattamento, il residuo di pena da espiare si estingua;
d) prevedere che qualora un trattamento terapeutico o riabilitativo sia possibile, la sospensione condizionale in caso di condanna applicata a un soggetto in stato di capacità ridotta sia subordinata all'accettazione, da parte dello stesso, di un programma di trattamento in libertà, ritenuto idoneo al conseguimento della finalità di cui alla lettera b);
e) prevedere che qualora il trattamento terapeutico o riabilitativo di cui alla lettera b) abbia avuto esito positivo, il giudice possa disporre la sospensione condizionata di pena residua anche anticipatamente,
f) prevedere che il giudice possa condannare con rinuncia alla pena, per la tenuità del fatto e per il venire meno delle condizioni di ridotta capacità che lo abbiano determinato, salvo che permangano esigenze di prevenzione;
g) prevedere che le disposizioni di cui al presente articolo non si applichino quando l'agente si sia messo in condizioni di ridotta capacità al fine di commettere un reato o di predisporsi una scusa.
1. In materia di persona offesa dal reato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di disciplinare le modalità di tutela della persona offesa in conformità con quanto previsto dalla decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, e dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato.
1. In materia di querela, richiesta e istanza, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che nei casi in cui la legge stabilisca che il reato sia perseguito a querela della persona offesa, la querela possa essere proposta, secondo i requisiti e con le modalità stabiliti dalla legge processuale, entro tre mesi dal giorno in cui l'offeso sia venuto a conoscenza della commissione del reato, salvo che la legge stabilisca un termine diverso; che, in caso di pluralità di persone offese, il termine
b) prevedere che il reato commesso in danno di più persone sia punibile anche se la querela sia stata proposta da una soltanto di esse;
c) prevedere che quando la persona offesa si trovi in una obiettiva situazione di soggezione nei confronti dell'autore del reato, il termine di cui alla lettera a) decorra dal momento in cui cessa lo stato di soggezione;
d) prevedere che la querela debba manifestare in modo inequivoco la volontà che si proceda in ordine al fatto cui essa si riferisce;
e) prevedere che il diritto di querela sia esercitato:
1) da chi abbia la potestà di genitore o dal tutore, per i minori di anni quattordici e per gli interdetti;
2) da un curatore speciale, se la persona offesa dal reato sia incapace e priva di legale rappresentante, ovvero vi sia conflitto di interessi con il legale rappresentante;
3) dai minori che abbiano compiuto gli anni quattordici e da coloro che siano affidati a un curatore o all'amministratore di sostegno; che, in tal caso, il diritto di querela possa essere altresì esercitato dal genitore, dal curatore o dall'amministratore di sostegno;
f) prevedere che, in presenza di querela, il reato sia perseguibile nei confronti di tutti coloro che vi abbiano concorso, salva espressa rinunzia da parte del querelante nei confronti di taluno;
g) prevedere che il diritto di querela non si trasmetta agli eredi, salvo che la legge disponga diversamente; che la morte del querelante non faccia cessare gli effetti della querela presentata, salva espressa remissione da parte dei prossimi congiunti;
h) prevedere che il diritto di querela non possa essere esercitato in caso di espressa rinuncia o di comportamenti incompatibili con la volontà di proporre querela;
i) prevedere che la querela possa essere rimessa solo da chi l'abbia proposta;
l) prevedere che la remissione di querela estingua la perseguibilità del reato e che, per produrre effetti, la remissione della querela debba essere accettata;
m) prevedere che in caso di più querelanti la remissione della querela da parte di alcuni non produca effetto nei confronti degli altri;
n) prevedere che nel caso previsto dalla lettera b) la querela possa essere rimessa solo dal querelante;
o) prevedere che la remissione della querela possa essere effettuata nei confronti di taluni dei querelati, eventualmente condizionando la remissione a prestazioni risarcitorie o riparatorie;
p) prevedere che nei casi in cui la legge stabilisca che il reato sia perseguito ad istanza della persona offesa si applichino tutte le disposizioni precedenti:
q) prevedere che nei casi in cui la legge stabilisca che il reato sia perseguito a richiesta del Ministro della giustizia o di altra autorità si applichino le disposizioni di cui alle lettere a), c) ed e);
r) prevedere che la richiesta e l'istanza siano irrevocabili.
1. In materia di prescrizione del reato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che:
1) i reati puniti con pena detentiva non inferiore a dieci anni si prescrivano se
2) i reati puniti con pena detentiva non inferiore a cinque anni si prescrivano se l'azione penale non sia esercitata entro otto anni dalla consumazione del reato;
3) i reati puniti con pena detentiva inferiore a cinque anni si prescrivano se l'azione penale non sia esercitata entro sette anni dalla consumazione del reato;
4) i reati puniti con pena interdittiva, prescrittiva o pecuniaria si prescrivano se l'azione penale non sia esercitata entro cinque anni dalla consumazione del reato;
b) prevedere che, quando per il reato siano previste, alternativamente ovvero cumulativamente, pene di specie diversa, per determinare il termine di prescrizione si faccia riferimento alla pena più grave;
c) prevedere che i reati puniti con la detenzione di massima durata non si prescrivano;
d) prevedere che ai fini della prescrizione non si tenga conto delle circostanze;
e) prevedere che se è esercitata l'azione penale il processo si prescriva nei tempi previsti dal codice di procedura penale.
1. In materia di specie delle pene, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che le pene si distinguano in pecuniarie, prescrittive, interdittive e detentive, così indicate in ordine di gravità;
b) prevedere che le pene possano essere applicate, secondo quanto espressamente previsto dalle norme incriminatici, singolarmente, disgiuntamente o congiuntamente.
1. In materia di pena pecuniaria, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la pena pecuniaria si applichi per tassi giornalieri o per entità determinata;
b) prevedere che la pena pecuniaria per tassi vada da 30 a 360 tassi giornalieri e che i tassi giornalieri vadano da euro 5 a euro 1.000;
c) prevedere che la pena pecuniaria per entità determinata comporti l'obbligo di pagamento di una somma non inferiore a euro 150 e non superiore a euro 300.000;
d) prevedere che, nella determinazione della pena pecuniaria, il giudice possa aumentarla sino al triplo o diminuirla sino a un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa;
e) prevedere che l'esazione della pena pecuniaria abbia luogo di regola in rate mensili;
f) prevedere che in caso di mancato pagamento, anche parziale, della pena pecuniaria, il giudice proceda ad apprendere i beni del condannato per un importo equivalente, con le modalità e con i limiti previsti in tema di confisca;
g) prevedere che, in caso di mancata esazione, anche parziale o per equivalente, non dovuta a caso fortuito o a forza maggiore, il giudice possa convertire la pena pecuniaria non riscossa in altra sanzione, secondo un criterio di gradualità e
h) prevedere che, su richiesta del condannato, in luogo della pena pecuniaria il giudice possa applicare la pena del lavoro di pubblica utilità, specificando il rapporto di ragguaglio tra un'ora di lavoro di pubblica utilità, un tasso giornaliero di pena pecuniaria ovvero l'importo di pena pecuniaria per entità determinata.
1. In materia di pene interdettive, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere, anche congiuntamente, le seguenti pene interdittive:
a) la sospensione da uno o più uffici pubblici, per una durata non superiore a cinque anni;
b) l'interdizione perpetua o l'interdizione temporanea, per una durata non superiore a cinque anni, dagli uffici pubblici;
c) l'interdizione perpetua o l'interdizione temporanea, per una durata non superiore a cinque anni, ovvero la sospensione per una durata non superiore a cinque anni, da una professione o da un'attività di impresa, anche esercitata in forma cooperativa;
d) l'interdizione perpetua o l'interdizione temporanea, per una durata non superiore a cinque anni, ovvero la sospensione temporanea, per una durata non superiore a cinque anni, dall'esercizio di funzioni di amministrazione, direzione o controllo di persone giuridiche, enti, associazioni o imprese;
e) la revoca o la sospensione, per una durata non superiore a cinque anni, di licenze, concessioni, autorizzazioni amministrative o altre abilitazioni;
f) la decadenza o la sospensione, per una durata non superiore a cinque anni,
g) il divieto temporaneo, per una durata non superiore a cinque anni, di emettere assegni e di essere titolare o di utilizzare carte di credito o altri strumenti nominativi che abilitino al pagamento, al prelievo di denaro, all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi in forma elettronica;
h) la sospensione, per una durata non superiore a cinque anni, dai contratti con la pubblica amministrazione per fini diversi dalla fornitura di servizi pubblici essenziali;
i) l'interdizione perpetua o l'interdizione temporanea, per una durata non superiore a cinque anni, dalla capacità di contrattare con la pubblica amministrazione per fini diversi dalla fornitura di servizi pubblici essenziali.
1. In materia di pene prescrittive, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere le seguenti pene prescrittive:
1) l'allontanamento dalla famiglia, per un periodo non superiore a tre anni;
2) il divieto o la limitazione di accesso o di permanenza in determinati luoghi o il divieto di avvicinare determinate persone, per un periodo non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni;
3) il divieto temporaneo di allontanamento dal territorio dello Stato o di una regione, o di una provincia o di uno o più comuni, per un periodo non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni;
4) prescrizioni comportamentali, secondo modalità previste dalla legge e per un periodo non superiore a tre anni;
5) la libertà sorvegliata, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a tre anni, comportante le prescrizioni della sottoposizione a controllo e con eventuale obbligo di permanenza in luoghi particolari o per determinate fasce orarie;
6) il lavoro di pubblica utilità, per un numero di ore non inferiore a trenta e non superiore a seicentotrenta, consistente nella prestazione volontaria di attività non retribuita in favore della collettività;
7) l'espulsione dello straniero con divieto di reingresso, nei casi e per la durata stabiliti dalla legge;
8) l'obbligo di ripristino, di bonifica e di messa in sicurezza dei luoghi;
b) prevedere che il giudice, ai fini della decisione in ordine alle prescrizioni da applicare, possa acquisire le informazioni necessarie relative alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato.
1. In materia di pene detentive, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere le seguenti pene:
a) la detenzione domiciliare, anche per fasce orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a un mese e non superiore a tre anni;
b) la detenzione ordinaria, in misura non inferiore a tre mesi e non superiore a venti anni;
c) la detenzione di massima durata, in misura non inferiore a ventotto anni e non superiore a trentadue anni.
1. In materia di limiti agli aumenti delle pene detentive in caso di concorso di reati per la detenzione ordinaria e per la detenzione domiciliare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la detenzione ordinaria, in caso di concorso di reati, non possa superare il limite di ventiquattro anni;
b) prevedere che la detenzione domiciliare, in caso di concorso di reati, non possa superare il limite di quattro anni.
1. In materia di detenzione di massima durata, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che:
1) per un novero ristretto di reati di particolare gravità si applichi la pena della detenzione di massima durata;
2) nel caso di concorso tra un reato punito con pena di massima durata e reati puniti con pena detentiva l'entità complessiva della pena non possa superare i trentaquattro anni;
3) la detenzione di massima durata possa essere ridotta a seguito di verifiche periodiche dei risultati dell'osservazione della personalità del condannato;
4) la disciplina delle verifiche di cui al numero 3) e dei loro effetti positivi sia differenziata in relazione alla pena in concreto applicata;
b) prevedere, in particolare, che:
1) in caso di complessivo esito positivo di tutte le verifiche periodiche la pena applicata si estingua dopo che il condannato abbia scontato i quattro quinti della sua durata;
2) nel caso in cui le verifiche effettuate manifestino significativi progressi nell'evoluzione della personalità del condannato, la pena applicata possa essere diminuita in misura da stabilire e comunque non superiore a quattro anni;
c) prevedere che, intervenuta la liberazione, il condannato sia sottoposto a prescrizioni di controllo e sostegno;
d) prevedere che, dopo lo scadere del diciottesimo anno di detenzione, il condannato possa essere ammesso alla semilibertà, determinando le condizioni per l'ammissione al beneficio.
1. In materia di ragguaglio tra pene di specie diversa, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) stabilire criteri di ragguaglio tra pene di specie diversa;
b) prevedere, in particolare, che:
1) quando il giudice proceda al ragguaglio tra pene detentive e pene interdittive, prescrittive o pecuniarie, un giorno di detenzione ordinaria sia equiparato a euro 75 di pena pecuniaria, a due giorni di detenzione domiciliare, a cinque giorni di pena interdittiva o prescrittiva;
2) agli effetti del ragguaglio, la pena interdittiva perpetua sia equiparata a quattro anni di detenzione ordinaria;
3) nell'operare il ragguaglio, non si tenga conto delle frazioni di pena.
1. In materia di pene che comportano prescrizioni e obblighi e della relativa inosservanza, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che l'applicazione della pena che imponga obblighi di fare sia subordinata al consenso e che, in caso di diniego di consenso, il giudice possa applicare altra pena, secondo un criterio di gradualità e proporzionalità;
b) prevedere che in caso di inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni imposti dal giudice, questi sostituisca la sanzione irrogata con altra più afflittiva secondo un criterio di gradualità, avuto riguardo alla gravità della violazione.
1. In materia di indici di commisurazione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che, ai fini della determinazione della pena, salvo che la legge espressamente li indichi quali elementi costitutivi o circostanze del reato, il giudice valuti:
1) la gravità del fatto e le sue conseguenze dannose o pericolose;
2) l'intensità del dolo o il grado della colpa;
3) i motivi che abbiano determinato la commissione del reato;
4) i precedenti penali e i comportamenti del colpevole anteriori e successivi al reato;
5) le condizioni di vita del condannato, anche al momento della sentenza;
b) prevedere che:
1) la capacità di commettere nuovi reati sia valutata solo ai fini di attenuazione della pena;
2) nel determinare in concreto il valore del tasso giornaliero o la somma complessiva dovuta per la pena pecuniaria, il giudice tenga conto delle condizioni economiche del condannato;
3) l'ammontare dei tassi giornalieri possa essere modificato in relazione a mutamenti delle condizioni economiche del condannato.
1. In materia di criteri per l'applicazione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che il giudice determini la pena, con provvedimento analiticamente motivato, entro il limite della proporzione con il fatto commesso, avendo riguardo alle finalità di prevenzione speciale, con particolare riferimento al reinserimento sociale del condannato e con esclusione di ragioni di esemplarità punitiva;
b) prevedere che la pena detentiva espiata all'estero e la custodia cautelare sofferta all'estero siano sempre computate in caso di rinnovamento del giudizio in Italia.
1. In materia di correttivo di equità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere che il giudice possa applicare, con provvedimento analiticamente motivato, una diminuzione della pena per non più di un terzo nei casi in cui, dopo aver determinato la pena in concreto, questa risulti palesemente eccessiva rispetto all'effettivo disvalore del fatto.
1. In materia di effetti della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere quali conseguenze della pena, nei casi e secondo i criteri e le modalità stabiliti dalla legge:
a) la pubblicazione del provvedimento di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ovvero di altri provvedimenti, atti o informazioni;
b) il divieto di compiere determinate attività informatiche, con eventuale privazione della facoltà di esercitare la gestione di connettività e di accedere a sistemi informatici o telematici presso enti pubblici o privati e a reti telematiche o satellitari che comportino uno scambio di informazioni tra il condannato e l'esterno.
1. In materia di rinvio dell'esecuzione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di disciplinare le ipotesi di rinvio dell'esecuzione della pena in ragione dell'età, delle condizioni di salute, dello stato di donna incinta o di madre o in presenza di altre gravi situazioni personali del condannato.
1. In materia di condizioni obiettive di punibilità, i decreti legislativi di cui all'articolo 1
a) prevedere che la legge determini i casi nei quali la punibilità del reato commesso sia subordinata al verificarsi di condizioni estranee all'offesa, nominandole espressamente quali «condizioni obiettive di punibilità»;
b) prevedere che le condizioni obiettive di punibilità operino oggettivamente.
1. In materia di attività riparatorie, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che, nei casi espressamente stabiliti dalla legge, reati di non particolare gravità possano essere dichiarati estinti quando, prima del giudizio, l'agente abbia posto in essere adeguate condotte riparatorie o risarcitorie, sole o congiunte ad attività e a prescrizioni stabilite dal giudice;
b) prevedere che il giudice, se ritenga non adeguate le condotte riparatorie o risarcitorie prestate, possa indicare la loro integrazione assegnando un termine per l'adempimento.
1. In materia di cause di estinzione del reato, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere le seguenti cause di estinzione:
a) la morte dell'imputato;
b) l'amnistia;
c) l'oblazione;
d) l'esito positivo della messa alla prova con sospensione del processo;
e) il perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto.
1. In materia di oblazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che, a titolo di oblazione, l'imputato, se non permangano conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte dell'agente, sia ammesso a pagare prima dell'apertura del dibattimento ovvero prima del decreto penale di condanna:
1) nei reati puniti con la sola pena pecuniaria, una somma pari a due terzi della pena massima oltre le spese del procedimento;
2) nei reati puniti con pena pecuniaria alternativa a pena di specie diversa, una somma compresa tra i due terzi e la metà della pena pecuniaria massima oltre le spese del procedimento;
b) prevedere che nel caso previsto al numero 2) della lettera a) il giudice possa respingere con ordinanza la domanda di oblazione, in considerazione della gravità del fatto;
c) prevedere che il pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione estingua il reato.
1. In materia di messa alla prova, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che nei procedimenti relativi a reati puniti con pena diversa da quella detentiva o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, sola o
b) prevedere che la sospensione del processo con messa alla prova possa essere disposta una seconda volta solo per reati commessi anteriormente all'inizio della prima messa alla prova;
c) prevedere che l'esito positivo della prova estingua il reato.
1. In materia di cause di estinzione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere le seguenti cause di estinzione:
a) la morte del condannato;
b) l'indulto e la grazia;
c) la sospensione condizionale della pena se non revocata;
d) la sospensione condizionata della pena residua;
e) la prescrizione della pena.
1. In materia di indulto e di grazia, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che l'indulto o la grazia condonino, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commutino in un'altra specie di pena stabilita dalla legge e che, ad ogni altro effetto diverso, la pena estinta per indulto si consideri come pena inflitta;
b) prevedere che, nel caso di concorso di reati, l'indulto si applichi sulla pena cumulata ai sensi delle disposizioni sul concorso di reati e, ove concorrano reati ostativi all'indulto, l'indulto si applichi alla pena inflitta per i reati non ostativi.
1. In materia di sospensione condizionale della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, possa sospendere l'esecuzione della pena per un periodo non inferiore a due anni e non superiore a cinque anni quando presuma che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati e che, in caso di condanna alla pena della detenzione ordinaria, il periodo di sospensione sia di cinque anni;
b) prevedere che la sospensione della pena possa essere concessa, per non più di due volte, in caso di condanna a pena detentiva complessivamente non superiore a due anni e che in caso di pena detentiva congiunta a pene di specie diversa, il giudice possa sospendere la sola pena detentiva, nei limiti anzidetti, salvo che il condannato non chieda espressamente la conversione della pena di specie diversa in pena detentiva per il cumulo con la stessa ai fini della sospensione;
c) stabilire che se sia già stata concessa la sospensione con messa alla prova per un reato punito con pena detentiva, la sospensione condizionale non possa essere concessa più di una volta;
d) prevedere che:
1) la sospensione condizionale della pena sia subordinata, se oggettivamente e soggettivamente possibile, al risarcimento del danno in favore della persona offesa ovvero all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato;
2) la condanna a pena sospesa non comporti, di per sé, l'applicazione di misure di prevenzione, né costituisca impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati, né motivo di diniego di concessioni, licenze o autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorative;
e) ai fini della sospensione ovvero della determinazione dei relativi obblighi e prescrizioni, il giudice possa acquisire informazioni sulle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato, anche pronunciandosi sulla sola colpevolezza in attesa delle informazioni necessarie;
f) stabilire, ove possibile:
1) limiti di pena più elevati per la sospensione in ragione dell'età e delle condizioni personali del condannato;
2) la sospendibilità, per una sola volta, delle pene interdittive temporanee, subordinata, in caso di condanna a pena interdittiva temporanea congiunta a pena pecuniaria, al pagamento di tale pena e, se soggettivamente e oggettivamente possibile, al risarcimento del danno in favore della persona offesa e all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
1. In materia di sospensione condizionale della pena con prescrizioni e misure di controllo, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che il giudice, nel sospendere l'esecuzione della pena, possa ordinare la messa alla prova del condannato per il periodo corrispondente per favorirne il reinserimento sociale e che in caso di seconda concessione la messa alla prova sia obbligatoria;
b) prevedere che in caso di messa alla prova:
1) il giudice, sentite le parti, determini prescrizioni per il reinserimento sociale che non siano lesive della dignità e dei diritti fondamentali del condannato e che, per le prescrizioni che prevedano obblighi di fare, sia obbligatorio il consenso del condannato e che, in caso di rifiuto, il giudice, ove comunque la conceda, possa subordinare la sospensione ad altre prescrizioni;
2) il giudice possa revocare o modificare le prescrizioni;
3) il giudice dia, quando necessario, disposizioni per interventi di aiuto, di sostegno e di controllo del condannato;
4) la prova decorra dalla condanna, salvo che l'imputato richieda un inizio anticipato;
5) il giudice possa dichiarare l'estinzione anticipata del periodo di prova quando ritenga avvenuto il reinserimento sociale dell'imputato.
1. In materia di revoca della sospensione e di estinzione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la sospensione condizionale della pena sia o possa essere revocata in base ai presupposti stabiliti dalla legge qualora il condannato commetta uno o più reati ovvero riporti, nei termini stabiliti per la prova, un'altra condanna per un reato commesso anteriormente alla messa alla prova, ovvero commetta gravi o reiterate violazioni degli obblighi o delle prescrizioni imposti, salvo che in tal caso il giudice non ritenga sufficiente prolungare la prova o modificare le prescrizioni;
b) prevedere che, dalla pena da eseguire a seguito della revoca della sospensione condizionale con messa alla prova, si detragga un periodo corrispondente a quello di prova eseguita, secondo i criteri di ragguaglio stabiliti per le pene prescrittive;
c) prevedere che la disciplina della revoca si applichi anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti;
d) prevedere che la pena si estingua:
1) se nei termini stabiliti non si verifichi alcuna delle ipotesi di revoca;
2) in caso di esito positivo della prova, ove disposta.
1. In materia di sospensione condizionata della pena residua, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che il condannato alla pena della detenzione ordinaria, che abbia partecipato positivamente al trattamento rieducativo, possa essere ammesso alla sospensione condizionata della pena residua quando il giudice presuma che si asterrà dal commettere ulteriori reati;
b) prevedere che il condannato possa essere ammesso al beneficio di cui alla lettera a) se abbia scontato almeno due anni e comunque non meno di due terzi della pena inflitta;
c) prevedere che, nel provvedimento di concessione della sospensione condizionata della pena residua, il giudice indichi le prescrizioni e le misure di controllo e sostegno più idonee al completamento del percorso di reinserimento sociale;
d) prevedere che la sospensione sia revocata se il condannato, entro un termine da stabilire, commetta un reato della stessa indole ovvero punito con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni;
e) prevedere che la sospensione sia revocata in caso di grave o reiterata trasgressione alle prescrizioni e alle misure di controllo e sostegno;
f) prevedere che la pena inflitta al condannato ammesso al beneficio si estingua decorso un tempo pari alla durata della pena residua sospesa.
1. In materia di prescrizione della pena, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la pena della multa si estingua decorso un tempo di cinque anni se non ne sia iniziata l'esecuzione;
b) prevedere che le pene interdittive e prescrittive si estinguano decorso un tempo di cinque anni;
c) prevedere che la pena detentiva ordinaria si estingua decorso un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a venticinque anni e non inferiore a cinque anni;
d) prevedere che le pene di massima durata non si prescrivano;
e) prevedere che, in caso di concorso di reati, si abbia riguardo, per l'estinzione della pena, a ciascuno di essi, anche se le pene siano state inflitte con la medesima sentenza;
f) prevedere che il tempo di estinzione della pena prescrittiva, interdittiva e detentiva sia computato dal giorno in cui diventi eseguibile.
1. In materia di non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale,
a) prevedere che il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate all'articolo 38, possa disporre che della sentenza di condanna a pena detentiva non superiore a due anni ovvero a pena interdittiva non perpetua, a pena prescrittiva o a pena pecuniaria, non sia fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dell'interessato, per ragioni diverse da quelle di diritto elettorale, e che, in caso di successive condanne a pena detentiva, la non menzione possa essere disposta purché la pena complessiva non superi i due anni;
b) prevedere che della sentenza di condanna a pena sospesa non sia fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dell'interessato, per ragioni diverse da quelle di diritto elettorale;
c) prevedere che la non menzione della condanna possa essere revocata quando il condannato commetta un ulteriore reato, entro limiti da stabilire.
1. In materia di riabilitazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che essa estingua gli effetti penali della condanna;
b) prevedere che sia concessa quando siano decorsi tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o sia altrimenti estinta e non sussistano condotte illecite di rilevanza tale da escludere l'avvenuto reinserimento sociale, tenuto conto dell'indole del reato commesso;
c) prevedere che non sia concessa quando il condannato non abbia eliminato le conseguenze dannose del reato e non
d) prevedere che sia revocata in caso di condanna per un reato doloso commesso entro tre anni dal provvedimento di riabilitazione;
e) prevedere che si applichi anche alle sentenze straniere di condanna, se riconosciute.
1. In materia di sanzioni civili, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di disciplinare gli effetti delle sanzioni civili da reato riproducendo il contenuto del libro primo, titolo VII, del codice penale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge, con le seguenti modificazioni:
a) prevedere che ogni reato obblighi alle restituzioni, a norma delle leggi civili;
b) prevedere che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, anche per lesione di interessi legittimi, obblighi al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto del medesimo; prevedere che il danno non patrimoniale sia determinato dal giudice in via equitativa, con motivazione espressa, tenendo conto della sofferenza cagionata dal reato e della natura dolosa o colposa dello stesso;
c) prevedere che, in caso di morte della persona offesa, il diritto al risarcimento si trasmetta ai prossimi congiunti e
d) prevedere che il risarcimento e le restituzioni possano essere richiesti da persone giuridiche, enti o associazioni nei soli casi in cui abbiano ricevuto un danno diretto, economicamente valutabile, e attinente alle funzioni o agli scopi previsti e da loro perseguiti;
e) stabilire che, per reati di particolare natura o gravità, quando la persona offesa abbia rinunciato all'azione civile ovvero non sia stata identificata, il giudice possa disporre il risarcimento e le restituzioni anche in difetto di costituzione di parte civile, quantificando, anche parzialmente, la somma dovuta; prevedere che, in tal caso, la somma sia destinata a un fondo di solidarietà per le vittime di reati;
f) prevedere che il giudice, con la sentenza di condanna, disponga, se oggettivamente e soggettivamente possibile, l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato non riparabili mediante restituzione o risarcimento;
g) prevedere e disciplinare, anche mediante rinvio alle leggi civili, i presupposti dell'azione revocatoria per atti dispositivi del proprio patrimonio compiuti dal colpevole prima della condanna.
1. In materia di confisca, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere la seguente disciplina della confisca dello strumento di reato:
1) obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, se appartenenti a uno degli agenti, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti;
2) possibilità di non disporre la confisca qualora si tratti di cose di valore insignificante, ovvero qualora la misura risulti sproporzionata alla gravità del fatto;
3) possibilità di disporre la confisca dello strumento di reato su cose appartenenti a persona diversa dall'autore, soltanto nei casi di agevolazione colposa;
4) applicazione della confisca dello strumento di reato nei casi in cui il reato sia stato realizzato mediante cose, impianti o macchinari sprovvisti dei requisiti di sicurezza richiesti dalla legge, nell'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni o controlli dell'autorità amministrativa, soltanto se i suddetti beni siano stati nuovamente utilizzati senza che sia stata data attuazione alle prescrizioni opportune per la messa in sicurezza impartite dall'autorità amministrativa, o comunque alla messa in sicurezza, sempre se ciò sia possibile;
b) prevedere la seguente disciplina della confisca del prodotto, del prezzo e del profitto di reato:
1) obbligatorietà della confisca del prodotto e del prezzo del reato, nonché del profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato, e del suo impiego, nella parte in cui non debbano essere restituiti al danneggiato, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti; possibilità di prevedere la confisca obbligatoria degli stessi beni, nella parte in cui non debbano essere restituiti al danneggiato, nel caso di proscioglimento per mancanza di imputabilità o per estinzione di un reato, la cui esistenza sia accertata con la sentenza che concluda il giudizio dibattimentale o abbreviato;
2) possibilità di eseguire sempre la confisca, totalmente o parzialmente, anche su altri beni di valore equivalente a quello delle cose che costituiscano il prezzo o il prodotto o il profitto del reato, con eccezione per i beni impignorabili ai sensi dell'articolo 514 del codice di procedura civile;
3) disciplinare i limiti della confisca nei confronti della persona, estranea al reato, che ne abbia beneficiato o che abbia ricevuto i beni per diritto successorio;
c) prevedere la seguente disciplina della confisca delle cose intrinsecamente illecite:
1) obbligatorietà della confisca delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituiscano reato;
2) possibilità di non disporre la confisca quando la cosa appartenga a persona estranea al reato e la fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione possano essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa;
d) adeguare la disciplina prevista dal codice penale agli obblighi imposti dalla decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato;
e) prevedere che con la sentenza di condanna sia disposto lo scioglimento delle società o delle associazioni utilizzate esclusivamente o prevalentemente per la realizzazione di attività penalmente illecite e sia confiscato, totalmente o parzialmente, il patrimonio che eventualmente residui dalla liquidazione;
f) prevedere che, ai fini della confisca, i beni che l'autore del reato abbia intestato fittiziamente a terzi, o comunque possieda per interposta persona fisica o giuridica, risultino come a lui appartenenti;
g) prevedere che, salvo il disposto del numero 2) della lettera c), la confisca non pregiudichi i diritti dei terzi in buona fede;
h) prevedere che, nei casi di confisca penale disciplinati da norme particolari, si applichino le disposizioni del presente articolo, salvo che la legge espressamente disponga altrimenti, e che in ogni caso si applichino le disposizioni poste a garanzia dei terzi estranei al reato.
1. In materia di responsabilità degli enti, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono adottati in conformità al principio e criterio direttivo di prevedere la responsabilità dell'ente per fatti di reato, recependo la disciplina prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, con i seguenti adeguamenti:
a) escludere la qualifica della responsabilità come «amministrativa»; escludere altresì la denominazione delle sanzioni come «amministrative»;
b) chiarire che rispondono del reato tutti gli enti, società, associazioni anche non riconosciute, nonché gli enti pubblici in quanto esercitino attività economica e nei limiti della stessa, con esclusione di Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali, autorità indipendenti ed enti di piccole dimensioni, salvo quelli aventi personalità giuridica;
c) perfezionare l'adeguamento dei criteri di imputazione al principio di personalità, chiarendo, in particolare, che la persona giuridica risponde soltanto dei reati commessi nel suo interesse;
d) stabilire che la responsabilità della persona giuridica si perfeziona solo se il reato sia stato reso possibile da una lacuna organizzativa ascrivibile alla stessa o dalla carenza di sorveglianza o controllo ovvero sia stato commesso su indicazione dei vertici organizzativi o gestionali della stessa;
e) estendere il novero dei reati per i quali la persona giuridica deve rispondere se commessi nel suo interesse, in particolare includendovi i reati in materia di sicurezza del lavoro e ambientale;
f) prevedere l'applicazione nella specifica materia delle disposizioni del codice penale, in quanto compatibili, provvedendo a ogni opportuno coordinamento, anche con riferimento a misure di attenuazione o di esclusione della sanzione in caso di condotte riparatorie.
|