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PDL 3369

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3369



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato LAURINI

Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di disciplina del patto di convivenza

Presentata il 25 gennaio 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Il dibattito sui «patti di convivenza» non ha avuto fino ad oggi in Italia adeguati sbocchi legislativi a causa della mancanza di univocità di intenti, determinata soprattutto dalla coesistenza nel nostro Paese di tradizioni, culture e ideologie differenti, che prospettano ipotesi di assetto della società e dello Stato molto diverse, spesso confliggenti con l'anima cattolica della grande maggioranza degli italiani. Un dibattito condizionato negativamente dall'idea che il cambiamento debba passare necessariamente attraverso l'aggressione al patrimonio delle nostre esperienze storico-culturali, ignorando che anche la società più aperta tende a far evolvere il modello che la ispira, non certo a distruggerlo. Un errore di valutazione che emerge da non pochi dei progetti di legge presentati in Parlamento e che, anziché prospettare soluzioni adeguate ai nuovi bisogni della società, non fanno altro che proporre l'allargamento «sic et simpliciter» del concetto di famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna ad altre forme di convivenza che, di fatto, la contraddicono nello spirito e nella sostanza.
      Giovanni Paolo II, il «Papa di tutti», ebbe ad affermare che: «Alla radice di questi fenomeni sta spesso una corruzione dell'idea e dell'esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forma di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico interesse». Parole che ritroviamo nella nostra Costituzione, non solo all'articolo 2, che riconosce e tutela ogni formazione
 

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sociale nella quale si sviluppano la personalità e la dignità dell'individuo, ma anche agli articoli 29, 30 e 31, dai quali emerge con chiarezza l'intento dei Padri costituenti di tutelare la famiglia fondata sul matrimonio come cellula fondamentale della società.
      A ben vedere non è la netta distinzione tra fattispecie e gruppi tipologici diversi di «unione» a creare forme di discriminazione e a comprimere il valore di ogni libertà ma, paradossalmente, è proprio il tentativo di appiattimento delle eterogeneità tipologiche dei legami affettivi che diviene - esso sì - fattore di discriminazione.
      In nome del rispetto della libertà individuale, la società si addentra sempre più in dinamiche che, anziché inaugurare una nuova stagione di libertà, fanno entrare in un periodo di confusione e di arbitrarietà che inizia anzitutto con un «attacco ai legami». Ecco perché il legislatore non può esercitare le sue funzioni sulla base di richieste mosse dall'emotività del momento, dimenticando il disegno generale della società.
      La stessa Corte costituzionale ha affermato a più riprese questo concetto, ribadendo in diverse pronunce che la pretesa di porre sullo stesso piano la famiglia fondata sul matrimonio e altre forme di convivenza contraddice la natura stessa di queste ultime, volute da chi ha deciso liberamente di non farvi discendere determinati diritti e doveri. Ed è giunta ad affermare, nella sentenza n. 166 del 1998, che le convivenze more uxorio «rappresentano l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio e che l'applicazione alle unioni di fatto di una disciplina normativa potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti». La stessa Corte ha anche più volte sollecitato il Parlamento a intervenire nella materia con un provvedimento organico, che esalti gli elementi distintivi delle varie unioni come ulteriore «luogo di affetti», imputando alle stesse diritti e riconoscimenti ritenuti meritevoli di tutela.
      Il contesto culturale del quale è espressione, invece, la maggior parte dei progetti di legge fin qui presentati interpreta la libertà dell'individuo come una prerogativa che rasenta l'arbitrio, ignorando - come da qualcuno autorevolmente si sostiene - che «molti di questi cambiamenti non sono altro che forme di condizionamento ideologico che, come tali, non possono essere considerate prettamente culturali, ma tendono piuttosto a creare situazioni effimere che durano il tempo di una generazione» (Rino Fisichella, «Nel mondo da credenti», Milano, Mondadori, 2007).
      La pluralità di forme relazionali, d'altro canto, non elimina (né mai potrebbe) la famiglia come istituto unico e insostituibile a livello sociale, fondata sull'unione affettiva ed economica tra un uomo e una donna, in grado di assolvere alle funzioni cui essa da sempre è finalizzata: l'amore, la riproduzione della specie, l'educazione della prole, la reciproca assistenza economica e morale. Sin dai primordi dell'umanità, l'individuo ha vissuto in un gruppo familiare e la società si è formata e sviluppata sul nucleo fondamentale rappresentato dalla famiglia. L'antropologo e psicologo francese Claude Lévi-Strauss nel 1997 dette una definizione di famiglia molto efficace, descrivendola come «l'emanazione a livello sociale di quei requisiti naturali senza i quali non ci potrebbe essere la società né, in fondo, il genere umano». È dunque dalla famiglia come «gruppo» sociale che nasce la famiglia come «istituzione» sociale in forme diverse, ma comunque ispirata sempre all'archetipo di un legame tra un uomo e una donna che desiderano costruire un rapporto stabile e profondo tra loro. In questo senso la famiglia è l'operatore primario delle relazioni tra generazioni, necessariamente fondata sull'incontro tra maschio e femmina, con l'interscambio della propria sessualità.
      Il fatto che oggi sembri attenuarsi la rappresentazione tipica di famiglia non è indice della sua scomparsa, in quanto essa rimarrà sempre la matrice fondamentale del processo di ulteriore sviluppo della società, anche se è indubitabile che l'evoluzione
 

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dei costumi l'ha trasformata profondamente, creando un modo nuovo e diverso di intendere i rapporti di coppia, sviluppando, sempre di più e per ragioni diverse, la convivenza fuori dal matrimonio, divenuta parte del costume della società moderna.
      E ciò anche se nel nostro Paese il fenomeno dell'unione di fatto, stando alle stime ufficiali, è rimasto più contenuto di quanto si voglia far credere, essendosi attestato nel biennio 2000-2001 sul 3,1 per cento del totale delle coppie, in percentuale più elevata al nord e nelle aree metropolitane, più bassa al sud e nelle aree rurali.
      In questo contesto, sebbene il legislatore non abbia ancora varato una legge organica, non sono mancati alcuni interventi mirati, che hanno sostanzialmente riconosciuto, seppure a limitati effetti, la legittimità di unioni extra-familiari.
      Rilevante, da questo punto di vista, è la nozione di «famiglia anagrafica», che emerge dall'articolo 4 del regolamento anagrafico sull'anagrafe della popolazione residente nel comune, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, per il quale «Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune», precisando che «Una famiglia può essere costituita da una sola persona».
      L'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), da parte sua, ha adottato una classificazione con due diverse terminologie per designare, da un lato, la famiglia nucleare tradizionale e, dall'altro, il «nucleo familiare» come l'aggregato domestico composto da un uomo e da una donna legati da vincolo di coppia, con o senza figli, ma senza matrimonio.
      Vanno altresì ricordate la legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario, che ha consentito al detenuto di ottenere il permesso di visitare un familiare o il convivente in pericolo di vita; la legge n. 405 del 1975 che ha istituito i consultori familiari, ammettendo a fruire del servizio non solo le famiglie riconosciute, ma anche le coppie di fatto; la legge n. 184 del 1983 in materia di adozione, che ha introdotto l'affidamento familiare del minore temporaneamente sprovvisto di un ambiente familiare idoneo, ammettendo la famiglia di fatto ad espletare le funzioni di nucleo provvisorio di assistenza; la legge n. 302 del 1990, che all'articolo 4 estende al convivente more uxorio l'indennità per le vittime del terrorismo; la legge n. 91 del 1999 in materia di consenso al trapianto; la legge n. 154 del 2001 che, nel dettare le misure contro la violenza nelle relazioni familiari, fa riferimento sia alla famiglia tradizionale che ad altre forme di convivenza familiare. Senza dimenticare, infine, l'articolo 199, comma 3, del codice di procedura penale, che ha dato rilievo alla testimonianza processuale del convivente.
      La Corte costituzionale, dal canto suo, nella sentenza n. 404 del 1988 ha riconosciuto il diritto a succedere nel contratto di locazione del convivente e il tribunale di Roma, nella sentenza n. 9693 del 9 luglio 1991, ha affermato il diritto alla risarcibilità del danno biologico nei confronti di terzi in caso di morte del convivente. Dunque l'idea che accanto alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio esistono altre forme di convivenza, meritevoli di attenzioni e che non confliggono con la prima, è entrata a fondo nel tessuto sociale, di pari passo con il loro diffondersi «di fatto» nella società.
      A questo punto il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi a un intervento organico che, da una parte, elimini il sistema di «paralegalità» che si è andato formando e, dall'altra, conferisca legittimità e tutela a quei comportamenti personali che nell'attuale comune sentire non ledono il principio - assolutamente prioritario - della salvaguardia della famiglia come nucleo fondamentale della società. Un impegno che il Parlamento deve assolvere non senza avere però chiara consapevolezza delle soluzioni legislative adottate da altri Paesi europei, anche se ognuna di esse risente ed è espressione coerente del patrimonio di tradizioni, di cultura e di valori etico-religiosi del rispettivo
 

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popolo, non sempre convergenti con il nostro, anzi spesso con esso profondamente confliggenti.
      Il nostro intervento non può dunque limitarsi ad adottare pedissequamente soluzioni altrui ma, come i popoli di più antica e raffinata civiltà insegnano, ne deve tenere conto nel realizzare la modernizzazione del Paese, rispettando i valori che ne hanno animato e caratterizzato la storia.
      Ma qual è lo «scenario» europeo in questo settore?
      La Svezia è stato il primo Paese ad approvare una legislazione sulle convivenze di fatto con la legge n. 232 del 1987, successivamente estesa alle coppie omosessuali. Sul finire degli anni '80 (precisamente nel 1989), la Danimarca ha approvato la legge n. 372 sulle relazioni interpersonali alternative al matrimonio, che consente alle coppie omosessuali di registrare il loro rapporto attraverso un'unione simile al matrimonio (cosiddetta «partnership registrata»). Sullo stesso filone si sono collocate la Finlandia e la Norvegia.

      Dal 1996 sia l'Islanda che l'Ungheria riconoscono a tutte le coppie conviventi eguali diritti e l'Olanda dal 1998 ha concesso ai conviventi di registrarsi in appositi registri comunali, indipendentemente dal sesso.
      In Belgio è stata la legge 23 novembre 1998 (entrata in vigore il 1o gennaio 2000) a legittimare la «cohabitation légale».
      Per quanto riguarda i Paesi a noi più vicini, il 15 novembre 1999 la Francia con la legge n. 99 ha introdotto una nuova forma di unione, il «patto civile di solidarietà» (Pacs), distinta dal matrimonio concluso tra due persone maggiorenni, di sesso differente o del medesimo sesso, al fine di organizzare la loro vita in comune (che ha ispirato alcuni dei progetti di legge presentati al nostro Parlamento). La legge francese, inoltre, ha introdotto nel capitolo II del titolo XII del libro I del codice civile, all'articolo 515-8, il «concubinaggio», inteso come «unione di fatto caratterizzata da una convivenza stabile e continuativa tra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso, che vivono in coppia», riconoscendo alcuni diritti ai partner che coabitano.
      La Germania ha introdotto il 16 febbraio 2001 l'istituto della «convivenza registrata», senza alcuna equiparazione al matrimonio. Nello stesso anno, il Portogallo ha approvato la legge sulle unioni di fatto, che disciplina la situazione giuridica di due persone che, indipendentemente dal sesso, vivano un'unione di fatto da più di due anni.
      Nel 2002 la Finlandia ha completato la sua disciplina della materia, approvando una legge per le unioni civili, che riconosce parte dei diritti accordati ai coniugi.
      Nel 2004 l'Austria ha introdotto nel suo ordinamento la norma che consente espressamente il diritto di sottoscrivere davanti al notaio un accordo «di unione», e nel medesimo anno il Lussemburgo ha riconosciuto la partnership registrata, seguito dal Regno Unito con il Civil Partnership Act.
      Fino ad arrivare alla Spagna che, con la legge 1o luglio 2005, n. 13, ha compiuto una sterzata violenta rispetto alle sue tradizioni e al comune sentimento del suo popolo, consentendo addirittura il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, con la possibilità dell'adozione congiunta.
      Da ultima la Repubblica ceca, che sino allo scorso gennaio 2006 era priva di una legislazione per la regolamentazione delle unioni civili.
      Allo stato, quindi, i Paesi membri dell'Unione europea che ad oggi non hanno previsto e disciplinato con una specifica normativa forme di convivenza diverse dal matrimonio sono, oltre all'Italia, la Grecia, l'Irlanda, Malta, Cipro, la Lettonia, l'Estonia, la Lituania, la Slovacchia e la Polonia.
      La presente proposta di legge si inserisce in questo panorama di legislazione europea e tiene ben presenti i dodici progetti di legge pendenti alla Camera dei deputati e i nove presentati al Senato della Repubblica, oltre al disegno di legge governativo (atto Senato n. 1339, presentato dai Ministri Bindi e Pollastrini) e, soprattutto, quello successivamente elaborato dal presidente della Commissione giustizia,
 

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Cesare Salvi, nel tentativo di arrivare ad un testo unificato, tuttora all'esame del Comitato ristretto della Commissione. Un tentativo che, tenendo conto della proposta elaborata dal senatore Biondi, segna un netto salto di qualità verso un'equilibrata e per molti versi accettabile disciplina della delicata e complessa materia delle forme di convivenza diverse dal matrimonio.
      La presente proposta di legge si muove nell'ambito dell'articolo 2 della Costituzione, istituendo il «patto di convivenza», quale soluzione privatistica a cui chiunque può liberamente ricorrere per pianificare consapevolmente la propria sfera personale di interessi, nell'ambito di una formazione sociale nella quale si sviluppa la sua personalità. E ciò conoscendo i diritti e gli obblighi che ne derivano e che nel nostro comune sentire sono compatibili con i valori e con i princìpi che ispirano e disciplinano l'istituto della famiglia tradizionale quale prevista e tutelata negli articoli 29, 30 e 31 della Carta costituzionale.
      Punto centrale della disciplina è dunque il «patto di convivenza» e non la semplice «unione di fatto», così valorizzando la volontà dei conviventi, offrendo loro non solo la possibilità di optare per una forma di convivenza diversa dal matrimonio, ma anche di scegliere se formalizzare o no il rapporto di convivenza al fine di farvi discendere o no diritti e obblighi. L'idea, infatti (che è alla base di altri progetti di legge) secondo la quale diritti e obblighi vadano comunque collegati ipso iure alla semplice situazione di fatto, da una parte si presta - a causa delle molte zone d'ombra che accompagnano l'«unione di fatto» - ad abusi e addirittura a soprusi a danno del convivente, dei terzi e perfino dello Stato quando i diritti che ne derivano si proiettano oltre i rapporti inter partes (si pensi, ad esempio, al riconoscimento al convivente superstite di diritti successori, al diritto di abitazione e di subentro nel contratto di locazione nella casa comune, al diritto di partecipazione agli utili dell'impresa del de cuius eccetera), dall'altra viola un diritto fondamentale di libertà del cittadino di poter dare vita - indipendentemente dal sesso e dal rapporto affettivo o di semplice convenienza economica che ne è alla base - ad un rapporto di convivenza senza farne derivare diritti e obblighi. Né è pensabile oggi, nel 2008, che ci siano persone che hanno bisogno che lo Stato «tutore» vegli sulla loro vita privata al punto da imporre ex lege ciò che esse non hanno la capacità di imporre.
      Insomma, il rapporto tra due persone che decidono di convivere (more uxorio o no, poco importa) non può essere messo sullo stesso piano del rapporto di mero fatto costituito dal possesso materiale di un bene che, in quanto tale, è suscettibile di trasformarsi, attraverso l'istituto dell'usucapione, in un rapporto giuridico di proprietà valido erga omnes!
      In tale ottica è stata privilegiata la denominazione «patto di convivenza» rispetto ad altre che contengano la parola «unione» o vi facciano comunque riferimento. Qui non si tratta, infatti (come da alcuni si vorrebbe), di «istituzionalizzare» un rapporto personale e patrimoniale, ma più semplicemente di prevedere e di regolare diritti e obblighi che la collettività ritiene giusto riconoscere ai cittadini che manifestino formalmente la volontà (e vi diano concreto seguito) di «vivere insieme», secondo un concetto che non corrisponde necessariamente a quello di «unione», che è invece legato etimologicamente e nel comune sentire ad un rapporto affettivo more uxorio. Un rapporto quindi che non può e non deve esaurire tutte le ipotesi di convivenza, che invece vanno ben oltre, estendendosi ad aree e regioni non legate a tale rapporto.
      Viviamo in un'epoca in cui lo Stato, spinto dal «vento» prepotente delle «liberalizzazioni», è costretto a fare ogni giorno un passo indietro non solo nell'economia, dismettendo progressivamente le vesti dell'imprenditore, ma anche nel settore complesso e delicato della vita e dei rapporti dei cittadini, liberandoli progressivamente dalle oppressive regole inderogabili dettate dal «principe» in un'epoca in cui essi ne avevano maggiore bisogno.
 

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Non è quindi pensabile di imporre ora dall'alto un modello organizzativo di convivenza a chi, avendo ripudiato l'idea del matrimonio, desideri soltanto convivere, senza farne derivare necessariamente ed ipso iure diritti e obblighi. Così esercitando concretamente quel diritto dei cittadini all'autoregolamentazione che oggi si dice di voler valorizzare.

      D'altra parte è anche maturo il tempo per riconoscere loro il diritto di stipulare un patto dal quale far discendere diritti e doveri non solo dalle clausole spontaneamente sottoscritte, ma anche da alcune norme giustamente imposte - queste sì - dal legislatore per chi manifesti espressamente la volontà di sottomettervi il rapporto di convivenza.
      Un patto che è molto difficile possa essere già oggi stipulato nell'attuale stato della legislazione che fa salvo, come più volte la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto, il valore di gerarchica sovraordinazione costituzionale della famiglia legittima su quella di fatto. Pertanto, in assenza di un'espressa previsione di legge e nell'incombenza di valori protetti dalla Costituzione, soltanto attraverso il delicato e sempre problematico «giudizio di meritevolezza costituzionale» (ben noto ai giuristi raffinati) si potrebbe forse rendere possibile alle parti e al notaio di pervenire alla sottoscrizione di un atto - non radicalmente nullo - avente ad oggetto il riconoscimento di diritti e doveri reciproci ai conviventi. In ogni caso con serissimi dubbi e più che comprensibili preoccupazioni per la stabilità e per la sicurezza del rapporto che scaturisce dal negozio e con la certezza, ad esempio, dell'invalidità di una clausola che contravvenisse al divieto dei patti successori di cui all'articolo 458 del codice civile.
      Non manca oggi, in verità, qualche voce secondo cui, pur in assenza di una disciplina compiuta delle convivenze, sarebbe possibile un accordo patrimoniale tra i conviventi avente ad oggetto, ad esempio, la disciplina degli acquisti futuri, in guisa da determinare una contitolarità del tutto assimilabile alla comunione legale od ordinaria, ovvero la collocazione dei beni in una situazione di «separazione» simile al fondo patrimoniale. Ma secondo la communis opinio (manca giurisprudenza sul punto) il nostro ordinamento non consente in alcun modo la stipula di tali atti, in quanto il vincolo di inalienabilità e di inespropriabilità dei beni che ne formano oggetto e quella sorta di parziale effetto di «separazione» degli stessi, di cui alla disciplina degli articoli 167 e seguenti del codice civile, non possono che derivare da un'espressa previsione legislativa, confliggendovi la relatività del contratto, che ha forza di legge solo tra le parti (articolo 1372 del codice civile).
      Accordi siffatti, oltre ai generali dubbi che determinano in ordine al concetto di «messa in comunione», sono certamente inidonei, in assenza di una norma espressa, sia a creare un «regime patrimoniale» valido per tutti gli atti a farsi, sia a consentire la trascrizione del contratto (ai fini dell'opponibilità ai terzi), che è prevista solo per ipotesi tassative.
      Di qui la forza innovativa sul piano tecnico della presente proposta di legge, che rafforza lo spirito, che la permea tutta, di venire incontro ad esigenze ormai diffuse (e obbiettivamente sentite) nella società, salvaguardando però rigorosamente quei valori etici e costituzionali che oggi - in assenza di un'espressa previsione legislativa - sarebbe estremamente problematico tentare di tutelare nella contrattazione privata, attraverso quel «giudizio di meritevolezza costituzionale» cui accennavo prima, il cui esito resta legato troppo soggettivamente alla sensibilità, alla cultura e alla professionalità di ciascuno. E mai come nell'epoca presente, caratterizzata da una forte tendenza della magistratura e, in misura minore, degli altri operatori del diritto a privilegiare un'interpretazione «evolutiva» del diritto, l'Italia ha bisogno di certezze che solo possono derivare da regole chiare, facilmente interpretabili e applicabili.
      In un Paese a democrazia liberale avanzata, rispettoso di tutte le sensibilità e le culture e al passo con i tempi, si deve riconoscere al cittadino il diritto di scegliere,
 

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nell'organizzare la propria esistenza, tra:

          a) il matrimonio (civile e/o religioso) con la sua disciplina pubblicistica inderogabile;

          b) un patto di convivenza liberamente disciplinato e sottoscritto, con la previsione di diritti e doveri, alcuni dei quali non derogabili;

          c) la semplice convivenza «di fatto», dalla quale nessun diritto od obbligazione reciproca può derivare, non avendolo i conviventi voluto, come dimostra la mancata formale sottoscrizione del patto. Diversamente, far derivare ex lege effetti giuridici da un semplice comportamento concreto (la convivenza), oltre che mettere a rischio, come precedentemente sottolineato, diritti e interessi di terzi, significherebbe violare, per eccesso di tutela, il diritto dell'individuo di organizzare la propria vita in maniera del tutto libera, svincolata - nella misura in cui non debordi dalla sfera di rapporti inter partes e non urti contro l'ordine pubblico e il buon costume - da regole imposte dall'alto. L'eccesso di tutela confligge sempre con il principio di libertà!

      La presente proposta di legge, coerente con questa impostazione, utilizza sia lo strumento della «novella» al codice civile, di cui integra il libro quarto introducendo gli articoli da 1986-bis a 1986-octies, sia quello della modifica di leggi speciali che regolano materie nelle quali si sostanziano diritti e doveri connessi alla convivenza.
      Per quanto concerne la forma, la presente proposta di legge prevede la forma scritta a pena di nullità rientrando tra gli atti di cui al numero 13) dell'articolo 1350 del codice civile. Qualora le parti intendano rendere opponibile ai terzi l'atto, devono stipularlo in forma pubblica o scrittura privata autenticata da un notaio, che provvederà alla trascrizione nel Registro unico nazionale dei patti di convivenza. Ciò in quanto la serietà e l'affidabilità del Registro di pubblicità legale impongono la serietà e l'affidabilità degli atti che vi vengono trascritti. Di qui la necessità dell'atto pubblico notarile che, con la sua solennità, conferisce particolare importanza e affidabilità alle manifestazioni di volontà che contiene, garantendo non soltanto la provenienza delle dichiarazioni e l'identità di chi le sottoscrive, ma anche che esse sono state espresse in piena libertà e consapevolezza, di cui è garante il notaio, che deve per legge indagare personalmente la volontà dei contraenti e controllare la conformità dell'atto alla legge. L'atto può, peraltro, essere egualmente e validamente trascritto, se le sottoscrizioni sono autenticate da un notaio, anche se le pattuizioni in esso contenute non avranno la stessa forza di quelle contenute in un atto pubblico, valide fino a querela di falso.
      I contraenti potranno rivolgersi, sia per la costituzione che per le successive modifiche, ad un qualsiasi notaio italiano senza alcun vincolo territoriale, che provvederà in tempo reale, attraverso la rete intranet, alla trascrizione del patto nel Registro nazionale. Tale Registro potrebbe essere attivato rapidamente, con tutte le prescrizioni e le garanzie previste per i registri della pubblicità legale, dal Consiglio nazionale del notariato che ha già un progetto di archivio informatico con una struttura da poter utilizzare nell'immediato, per l'ipotesi di introduzione in Italia del testamento biologico, e che è idonea anche, con minimi adattamenti, per l'archiviazione di altri tipi di atti. E ciò senza alcun aggravio di lavoro e di costi per l'amministrazione pubblica.
      Il costo complessivo dell'atto costitutivo e delle eventuali successive modifiche può essere molto contenuto, prevedendo (articolo 4 della presente proposta di legge) sia la totale esenzione da imposte e tasse in sede di registrazione (analogamente a quanto già previsto per gli atti connessi a procedure di divorzio e di separazione personale dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987), sia l'onorario notarile nella misura fissa minima, in considerazione del carattere marcatamente sociale della prestazione. E ciò al pari di quanto già avviene in altri Paesi, nei quali l'impegno

 

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del notaio nel settore del diritto di famiglia è stato già sperimentato con successo, a partire da due Paesi oggi ritenuti all'avanguardia nella disciplina legislativa delle unioni extra-familiari e cioè la Francia, con le leggi n. 99-944 del 15 novembre 1999 e 2004/439, e la Spagna con la legge n. 11 del 19 dicembre 2001, nonché il Belgio con il Code judiciaire (articoli 1287 e seguenti) in materia di divorzio. Altri esempi sono il decreto 4436/2005 sulla semplificazione delle procedure burocratiche in Colombia e il Code civil del Québec in materia di dissolution de l'union civile. Sintomatica, infine, è la recentissima legge francese che ha attribuito al notaio la competenza in materia di divorzi, allegerendo così fortemente il carico di lavoro dei tribunali, nonché semplificando e velocizzando le procedure.
      E veniamo in particolare ai singoli articoli della presente proposta di legge.
      L'articolo 1 integra il libro quarto del codice civile aggiungendo al titolo III il capo XXVI-bis, suddiviso nei sette articoli dal 1986-bis al 1986-octies:

          l'articolo 1986-bis definisce il «patto di convivenza», indicandone con precisione l'oggetto, costituito dalla disciplina dei rapporti patrimoniali nell'organizzazione della vita in comune dei contraenti, dei quali non è necessario indicare il sesso. Si è volontariamente evitato ogni riferimento al tipo di legame affettivo esistente tra i contraenti stessi ovvero l'indicazione del sesso, che nella filosofia e nell'impianto della presente proposta di legge si è voluto mantenere fuori. E ciò in quanto il legame che unisce i contraenti - quale che esso sia - è, e resta, un «motivo» del contratto, che non assurge a «causa» dello stesso. Insistere invece sul riferimento affettivo ed espressamente alle coppie omosessuali ha solo il senso di una forzatura politica e psicologica che fa intravedere una propensione (neanche larvata) verso effetti che vanno ben oltre il rapporto di coppia, investendo platealmente quello con i figli, naturali e adottivi. Rapporti, questi ultimi, che scuotendo dalle fondamenta princìpi etici nei quali tuttora si riconosce la stragrande maggioranza degli italiani, incidono in tale misura sull'armonia e sulla stabilità dei rapporti all'interno della famiglia e della società da meritare riflessione e confronto in altra e più specifica sede. Diversamente non si fa che complicare e allontanare la soluzione dei problemi della convivenza di cui qui ci occupiamo e che la società civile sente e ci sollecita non da oggi. Nello stesso contesto europeo, dopo talune fughe in avanti di alcuni Paesi sull'onda di una effimera emotività, già si intravede qualche ripensamento. È recente, del resto, la posizione espressa dal Ministro della giustizia inglese Brian Lenihan, secondo cui un eventuale provvedimento per il riconoscimento delle coppie omosessuali sarebbe in contrasto con la Costituzione inglese;

          gli articoli 1986-ter e 1986-quater stabiliscono che il patto deve avere la forma scritta a pena di nullità e, ai fini dell'opponibilità ai terzi, deve essere redatto in forma pubblica o di scrittura privata autenticata da un notaio, con l'obbligo per lo stesso di procedere alla trascrizione nel Registro nazionale dei patti di convivenza e all'anagrafe del comune di residenza, ai sensi del citato regolamento sull'anagrafe di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989. Il Registro nazionale funzionerà presso il Consiglio nazionale del notariato in base ad un regolamento di attuazione che sarà emanato dal Governo entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge;

          l'articolo 1986-quinquies disciplina le ipotesi di nullità, in perfetta armonia con il sistema di norme e di princìpi che regolano i contratti in generale;

          l'articolo 1986-sexies riguarda gli effetti patrimoniali del patto, vale a dire quali obbligazioni i contraenti possono contrarre con il patto. Questo aspetto vale a delimitare l'ambito di liceità entro cui lo stesso notaio che deve redigere l'atto può autenticare il patto e a rendere esso, attraverso la pubblicità, opponibile nei confronti dei terzi. In questi termini, i contraenti possono convenire le modalità

 

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di contribuzione per la loro vita in comune, la comunione ordinaria per i beni acquistati a titolo oneroso dopo la stipula del patto, le obbligazioni derivanti dalla cessazione del patto per cause diverse dalla morte, la possibilità di attribuire pattiziamente al convivente in deroga al divieto di patti successori di cui all'articolo 458 del codice civile, ma nel rispetto dei diritti dei legittimari, una quota dell'eredità non superiore alla disponibile. È questa la prima importante e vera deroga all'antico e per alcuni versi obsoleto divieto di disporre per contratto della propria successione (cosiddetto «patto dispositivo»), che è l'unico mezzo per assicurare al superstite, in concreto e senza la possibilità di ripensamenti, un diritto sull'eredità del convivente. Un diritto che deve essere formalizzato al momento della sottoscrizione del patto e che solo aleatoriamente potrebbe essere contemplato in un testamento, che per sua natura resta revocabile fino al limite vitae. D'altro canto, può essere nell'interesse stesso di uno dei contraenti e per l'equilibrio complessivo del patto poter garantire subito al partuer una concreta attribuzione patrimoniale - non revocabile - senza rendere necessario, come oggi spesso capita di dover fare in mancanza di altre soluzioni, un trasferimento attuale di un proprio cespite patrimoniale. Se si aggiunge che nel patto deve essere previsto che l'assegnazione pattizia della quota di eredità è condizionata al fatto che la morte del contraente intervenga dopo almeno nove anni di convivenza, si vede come la deroga al citato articolo 458 del codice civile è collegata indiscibilmente ad un legame serio e duraturo;

          l'articolo 1986-septies riconosce ai conviventi i diritti in materia di assistenza sanitaria e penitenziaria, e la possibilità di affidare al convivente, facendone esplicita menzione nel patto trascritto, le decisioni in caso di sopravvenuta incapacità di intendere e di volere relativa allo stato di salute, al trattamento del corpo, ai funerali e finanche alla donazione degli organi. La scelta di prevedere delle prerogative nascenti dal rapporto di convivenza, oltre a rispondere ad una esigenza molto diffusa e sentita nel territorio, vuole eliminare le incertezze legislative che ancora esistono, nascenti da interpretazioni difformi che hanno dato spazio a non poche discriminazioni;

          l'articolo 1986-octies disciplina le ipotesi di risoluzione del patto di convivenza e le connesse forme di pubblicità che le rendono opponibili ai terzi. Particolare riflessione merita il numero 5) del primo comma, che prevede come causa di risoluzione la mancata convivenza effettiva per tre anni e che ha la sua ragion d'essere nella necessità di evitare unioni solo formali, da cui discenderebbero ingiustamente diritti e doveri per contraenti che, in realtà, non hanno voluto convivere e che hanno formalizzato un rapporto inesistente o, comunque, effimero, al solo scopo di creare i presupposti per godere di alcuni vantaggi o diritti. Di particolare importanza la previsione del subsequens matrimonio come causa espressa di risoluzione del patto di convivenza, diretta a marcare la netta differenza e l'assoluta impossibilità di coesistenza tra patto e matrimoinio (che ha un regime patrimoniale).

      L'articolo 2 introduce l'articolo 230-ter al libro primo, titolo VI, del codice civile, prevedendo il diritto di partecipare agli utili dell'impresa del convivente qualora vi presti stabilmente la propria opera e sempreché abbia sottoscritto il patto da almeno cinque anni, essendo allo stesso assolutamente inapplicabile l'articolo 230-bis, che prevede solo i familiari ed è focalizzato, nella lettera e nello spirito, sulla famiglia. In più la norma è derogabile per patto.
      L'articolo 3 prevede l'estensione al convivente superstite della successione nel contratto di locazione dell'alloggio stipulato dal convivente deceduto, già prevista per altri soggetti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e peraltro già riconosciuta dalla giurisprudenza al superstite.
      L'articolo 4 prevede l'imposta fissa di registro per l'atto, le modificazioni e la risoluzione del patto di convivenza, anche se comporta la divisione dei beni comuni,

 

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con la fissazione al minimo degli onorari notarili e con un'aliquota dell'imposta sulle successioni e donazioni ridotta rispetto a quella prevista per gli estranei. Si tratta di un trattamento fiscale, quindi, diverso rispetto agli atti connessi ai casi di scioglimento del matrimonio e agli altri casi di cui all'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74.
      L'articolo 5 è una norma «di chiusura», che rinvia a tutte le norme del codice civile e alle leggi speciali vigenti in materia contrattuale, in quanto compatibili, nonché ai princìpi di diritto internazionale privato.
      L'articolo 6 prevede la copertura finanziaria.
      La presente proposta di legge, rigorosa sotto il profilo tecnico-giuridico, vuole essere una risposta politica, forte ed equilibrata alla tendenza verso un accentuato pluralismo etico che caratterizza la nostra epoca, proponendosi come punto di possibile incontro e contemperamento tra le diverse istanze che vengono dalla società civile. Una risposta che il Parlamento deve dare sollecitamente per non lasciare ancora insolute questioni che ormai da troppo tempo agitano le coscienze degli italiani, scuotendo le stesse basi culturali ed etiche della nostra società. Basi che abbisognano in questo momento di essere consolidate e rilanciate con spirito laico e con una visione lungimirante e rispettosa dei loro valori fondanti, mediante scelte razionali e meditate, che si proietteranno inevitabilmente con onda lunga sulle future generazioni.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Patto di convivenza).

      1. Al titolo III del libro quarto del codice civile, dopo il capo XXVI è aggiunto, in fine, il seguente:

«Capo XXVI-bis
DEL PATTO DI CONVIVENZA

      Art. 1986-bis. - (Nozione). - Il patto di convivenza è il contratto con il quale due persone disciplinano i reciproci rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune e alla sua cessazione.

      Art. 1986-ter. - (Forma e pubblicità). - Il patto di convivenza, le sue successive modifiche e il suo scioglimento devono risultare da atto scritto a pena di nullità.
      Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il notaio che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato le sottoscrizioni deve provvedere, entro i successivi dieci giorni, a trascrivere l'atto nel Registro nazionale dei patti di convivenza di cui all'articolo 1986-quater e a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e successive modificazioni.
      Qualora il notaio che riceve o che autentica l'atto contenente le modifiche o la dichiarazione di cessazione della convivenza sia diverso da quello che ha rogato il contratto, deve anche nello stesso termine notificarlo, nelle forme idonee ad assicurare la prova dell'avvenuta ricezione, al primo notaio. Questi lo annota a margine dell'originale da lui custodito, a norma dell'articolo 59 della legge 16 febbraio 1913, n. 89.

 

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      Art. 1986-quater. - (Registro nazionale dei patti di convivenza). - È istituito il Registro nazionale dei patti di convivenza al quale si applicano, in quanto compatibili, le norme contenute nel capo I del titolo I del libro sesto.
      Chiunque vi abbia interesse ha diritto di ottenere dal Registro nazionale, con il pagamento dei soli diritti di segreteria, il rilascio di un'attestazione relativa alla sussistenza di un patto di convivenza.

      Art. 1986-quinquies. - (Nullità). - Il patto di convivenza è nullo:

          1) se uno dei contraenti è vincolato da precedente matrimonio per il quale non sia stata pronunciata separazione giudiziale o sia stata omologata separazione consensuale;

          2) se una delle parti sia vincolata da un altro patto di convivenza trascritto;

          3) se tra i contraenti vi sia un vincolo di parentela in linea retta o collaterale entro il secondo grado o vi sia un rapporto di adozione o di affiliazione o siano entrambi figli adottivi della stessa persona.

      Al notaio che riceve o che autentica un patto di convivenza nullo esclusivamente per i motivi di cui al primo comma si applicano le disposizioni dell'articolo 28 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, e successive modificazioni.

      Art. 1986-sexies. - (Diritti patrimoniali). - Le parti possono stabilire nel contratto:

          1) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, anche in riferimento ai termini, alle modalità e all'entità delle rispettive contribuzioni;

          2) che i beni acquistati a titolo oneroso anche da uno dei conviventi successivamente alla stipula del patto siano soggetti al regime della comunione ordinaria regolata dagli articoli 1100 e seguenti;

          3) i diritti e le obbligazioni di natura patrimoniale derivanti per ciascuno dei

 

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contraenti dalla cessazione del rapporto di convivenza per cause diverse dalla morte;

          4) che in deroga al divieto di cui all'articolo 458 e nel rispetto dei diritti dei legittimari, in caso di morte di uno dei contraenti dopo oltre nove anni dalla stipula del patto spetti al superstite una quota di eredità non superiore alla quota disponibile.

      In assenza di legittimari, la quota attribuibile pattiziamente può arrivare fino a un terzo dell'eredità.

      Art. 1986-septies. - (Diritti di assistenza). - Il patto di convivenza può prevedere che ai contraenti siano assicurati i diritti e i doveri in materia di assistenza, informazione e misure di carattere sanitario e penitenziario. Può prevedere altresì che in presenza di uno stato sopravvenuto di incapacità di intendere e di volere anche temporaneo, fatte salve le norme in materia di misura di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia di cui al libro primo, titolo XII, capo I, tutte le decisioni relative allo stato di salute e in generale di carattere sanitario, ivi comprese quelle concernenti la donazione degli organi, il trattamento del corpo e i funerali, siano adottate, nei limiti delle disposizioni vigenti, dal convivente.
      In assenza di ascendenti o discendenti diretti, tutte le decisioni di cui al primo comma sono comunque adottate dal convivente.

      Art. 1986-octies. - (Risoluzione del contratto). - Il patto di convivenza si risolve per:

          1) accordo delle parti;

          2) recesso unilaterale;

          3) matrimonio di uno dei contraenti;

          4) morte di uno dei contraenti;

          5) mancanza di effettiva convivenza per oltre tre anni;

          6) sopravvemuto matrimonio tra i contraenti.

 

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      La concorde volontà di risoluzione e il recesso unilaterale devono risultare da atto scritto, ai sensi dell'articolo 1986-ter.
      Nel caso di recesso unilaterale da un patto trascritto, il notaio che riceve o che autentica l'atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui all'articolo 1986-ter, commi secondo e terzo, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo indicato dal recedente o risultante dal contratto.
      Nel caso di cui al numero 3) del primo comma, il contraente che ha contratto matrimonio deve notificare all'altro contraente e, se l'atto è stato redatto in forma pubblica o autenticato ai sensi dell'articolo 1986-ter, secondo comma, anche al notaio che ha ricevuto o che ha autenticato il contratto, l'estratto dell'atto di matrimonio.
      Nel caso di cui al numero 4) del primo comma, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al notaio l'estratto dell'atto di morte.
      Il notaio provvede ad annotare a margine del contratto originale l'avvenuta risoluzione del patto e a trascriverla nel Registro nazionale dei patti di convivenza e all'anagrafe del comune di residenza.
      Nel caso di cui al numero 5) del primo comma, chiunque vi abbia interesse può promuovere un giudizio di accertamento della mancanza di effettiva convivenza, anche ai fini della trascrizione della risoluzione nel Registro nazionale dei patti di convivenza e all'anagrafe del comune di residenza.
      Gli effetti della risoluzione si producono per le parti dalla data della stipula dell'atto pubblico o di autentica della scrittura privata contenente lo scioglimento consensuale, ovvero dalla data del matrimonio o del decesso di uno dei contraenti e, in ogni caso, dalla data della legale conoscenza da parte dell'altro contraente dell'atto di recesso.
      Nel caso di cui al numero 6) del primo comma, se il patto è stato trascritto, i contraenti devono notificare al notaio che ha redatto o che ha autenticato l'atto l'avvenuta risoluzione del contratto, ai fini degli adempimenti di cui al sesto comma.

 

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      Qualora il patto di convivenza sia stato trascritto e il notaio che ha rogato o che ha autenticato l'atto sia cessato dalle sue funzioni nel distretto, le notifiche di cui al presente articolo devono essere effettuate all'archivio notarile distrettuale depositario dei relativi atti. Il conservatore dell'archivio provvede all'annotazione a margine dell'atto e alla trascrizione della modifica o dello scioglimento nel Registro nazionale dei patti di convivenza e all'anagrafe del comune di residenza».

      2. All'articolo 458 del codice civile, dopo le parole: «dagli articoli 768-bis e seguenti,» sono inserite le seguenti: «nonché dall'articolo 1986-sexies, primo comma, numero 4),».
      3. Il Governo provvede ad emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della giustizia, un regolamento recante le modalità di attuazione e di funzionamento del Registro nazionale informatico dei patti di convivenza istituito ai sensi dell'articolo 1986-quater del codice civile, introdotto dal comma 1 del presente articolo, a cura del Consiglio nazionale del notariato, nel rispetto dei princìpi generali in materia di pubblicità legale degli atti.

Art. 2.
(Diritti nell'attività di impresa).

      1. Al libro primo, titolo VI, capo VI, sezione VI, del codice civile, dopo l'articolo 230-bis è aggiunto, in fine, il seguente:

      «Art. 230-ter. - (Diritti del convivente). - Al convivente che da almeno cinque anni abbia stipulato un patto di convivenza e presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta, salvo diversa disposizione contenuta nel patto, una partecipazione agli utili commisurata al lavoro prestato.

      Il diritto non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».

 

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Art. 3.
(Successione nel contratto di locazione dell'alloggio).

      1. Al primo comma dell'articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, le parole: «ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi» sono sostituite dalle seguenti: «, i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi ed il convivente che abbia sottoscritto un contratto di convivenza da almeno cinque anni e vi abbia stabilmente convissuto».

Art. 4.
(Agevolazioni).

      1. Gli atti contenenti il patto di convivenza di cui al libro quarto, titolo III, capo XXVI-bis, del codice civile, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, le sue modifiche e la sua risoluzione, anche con divisione di beni comuni, sono soggetti all'imposta fissa di registro.
      2. Per la stipula dell'atto o per l'autentica della scrittura privata costitutivi o modificativi del patto di convivenza spetta al notaio l'onorario in misura fissa minima, calcolato secondo le procedure previste dalla legge 5 marzo 1973, n. 41.
      3. I beni ereditari devoluti, per patto o per testamento, al convivente superstite sono soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'articolo 2, comma 48, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, nella misura del 5 per cento del loro valore complessivo netto eccedente i 500.000 euro.

Art. 5.
(Norme applicabili).

      1. Al patto di convivenza di cui al libro quarto, titolo III, capo XXVI-bis, del codice civile, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, si applicano i princìpi generali, le norme contenute nel libro

 

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quarto, titolo II, del citato codice civile e le disposizioni delle leggi speciali in materia contrattuale, in quanto compatibili.
      2. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, è inserito il seguente:

      «Art. 30-bis. - (Patti di convivenza). - 1. Ai patti di convivenza disciplinati dal libro quarto, titolo III, capo XXVI-bis, del codice civile, si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo di registrazione della convivenza.
      2. Ai patti di convivenza tra cittadini italiani oppure ai quali partecipa un cittadino italiano, ovunque siano stati celebrati, si applicano le disposizioni della legge italiana vigenti in materia.
      3. Sono fatte salve le norme nazionali, internazionali e comunitarie che regolano il caso di cittadinanza plurima».

Art. 6.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere di 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008 derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.    


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