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PDL 2990

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2990


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

COLASIO, VILLARI, BIMBI

Disposizioni per la tutela e il recupero del percorso dell'antica Via Popilia-Annia e istituzione del relativo parco archeologico

Presentata il 31 luglio 2007

      

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Onorevoli Colleghi! - Voluta nel corso del II secolo avanti Cristo da un magistrato romano che lasciò un'iscrizione - tuttora esistente - in cui ascrisse a se stesso il vanto di aver costruito la via ab Rhegio ad Capuam e di averla dotata di ponti, miliari e tabellari, questa via consolare ebbe il merito di mettere in collegamento l'estremo sud della penisola con la Campania e, nella fattispecie, con Capua, punto di snodo viario da cui si dipanava la via Appia, che a sua volta fungeva da rapido collegamento tra la Campania e Roma: non è quindi esagerato affermare che la via ab Rhegio ad Capuam costituiva, in realtà, il collegamento tra la capitale e il meridione. Orbene, anche se questa via non fu tra le più note e frequentate perché fu costruita attraverso luoghi impervi e a tratti ostili che rendevano più pratico il viaggio per mare, anche se le fonti antiche non ne hanno tramandato una precisa denominazione - pur avendola molte volte citata (la menzionano Lucilio, Cicerone, Strabone, Svetonio e il tardo Procopio) - di essa tuttavia si conservarono sempre il ricordo e la funzionalità, tanto che ancora in epoca moderna, ovvero tra il XIII e il XIX secolo, essa si configurava quale unica via di penetrazione verso sud. E ancora oggi, non a caso, la ben nota autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria per un lungo tratto ne ripercorre il tracciato e in alcuni punti quasi vi si sovrappone. A tutti gli effetti, quindi, si può affermare che la via da Reggio a Capua si configurò come spina dorsale delle regioni meridionali e con la sua presenza determinò lo sviluppo dei territori attorno ad essa gravitanti.

      Ma procediamo per gradi. Vexata quaestio è ancora, sul piano scientifico, l'identità
 

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del magistrato che, con grande lungimiranza, la volle costruire. L'iscrizione commemorativa che ne ricorda le gesta, nota come Lapis Pollae, essendo stata rinvenuta a San Pietro di Polla, nel salernitano, è infatti lacunosa proprio in corrispondenza della parte iniziale, dove presumibilmente ne era riportato il nome. Gli studiosi sono però oggi abbastanza concordi nel ritenere, sulla base di un'analisi comparata di elementi interni ed esterni all'iscrizione stessa, che il magistrato in questione sia da identificarsi con Publio Popilio Lenate, che fu pretore in Sicilia nel 135 e, secondo i Fasti consulares, rivestì la carica di console nel 132 avanti Cristo. Nell'iscrizione di Polla, infatti, colui al quale va ascritta la responsabilità della costruzione della strada dice di essere stato pretore in Sicilia e di aver in quell'occasione catturato e riconsegnato «gli schiavi fuggitivi degli Italici, per un totale di 917 uomini», parimenti sostiene di aver fatto per primo in modo che sull'agro pubblico attraversato dalla strada «i pastori cedessero agli agricoltori». Affermazioni di non poco conto, che riportano ad una situazione politica ben precisa e che forniscono elementi dirimenti sia per risalire all'identità del costruttore della strada, sia per determinare la cronologia. Basandosi sulle testimonianze delle fonti, gli storici sostengono infatti che, nel 132 avanti Cristo, in Sicilia vi fu la prima di una serie di guerre servili i cui protagonisti furono gli schiavi che, sempre più maltrattati e insofferenti, lavoravano nei grandi latifondi dei cittadini romani o dei coloni venuti dall'Italia. L'azione del nostro magistrato andrebbe dunque collocata qualche anno prima dell'evento bellico vero e proprio, ovvero nel momento in cui gli schiavi, non ancora coalizzati, avevano iniziato a ribellarsi e a fuggire nelle campagne dandosi al brigantaggio, di fatto ponendo le premesse per quella che nel volgere di qualche anno sarebbe divenuta una rivolta organizzata. Egli dunque, in qualità di pretore - ovvero di magistrato ordinario - avrebbe provveduto a raccogliere e a restituire ai proprietari 917 fuggitivi, quei fuggitivi cioè che di lì a poco, nel 132 avanti Cristo, avrebbero dato vita alla guerra servile. Non meno importante è poi il secondo elemento che si evince dall'iscrizione di Polla, ovvero il fatto che il magistrato si vanta di aver per primo fatto assegnare l'ager publicus dislocato lungo la strada ai contadini, sottraendolo ai pastori e trasformando così quello che era terreno di pascolo in terreno arativo. Tutto ciò è cronologicamente inquadrabile nel 132 avanti Cristo: in quell'anno infatti sappiamo che Publio Popilio Lenate fu console, ed è l'anno a ridosso della legge agraria di Tiberio Gracco del 133 e che precede i provvedimenti di distribuzione delle terre presi dalla commissione triumvirale graccana (tresviri agris iudicandis adsignandis) a partire dal 131, come ben testimoniano i tanti cippi - colonnine indicanti le centurie nelle assegnazioni - sparsi in territorio lucano. Infine, nell'ultima riga del Lapis Pollae, il nostro magistrato ricorda di aver eretto, nel luogo stesso in cui si trovava l'iscrizione, un foro e degli edifici pubblici, affermazione che ha indotto alcuni studiosi a ravvisare nel toponimo Polla la derivazione da Forum Popilii, attestato nella Tabula Peutingeriana (e forse preceduto da un'agoras Popilias in Dion. Hal., I, 21), che riporterebbe ancora una volta alla gens Popilia.
      Bene, alla luce di questi dati, tutto converge all'identificazione di Publio Popilio Lenate quale estensore della strada e a datarla nel 132, tuttavia non solo suo fu il merito. A questo console dovette infatti affiancarsi, probabilmente in un secondo momento, un magistrato della gens Annia, il cui ruolo fu forse soltanto di portare a termine quanto ancora non era stato completato. Negli anni cinquanta, infatti, in contrada Vaccarizzu di Sant'Onofrio nei pressi di Vibo Valentia, dunque proprio lungo il tracciato della strada, venne alla luce un cippo miliare con un'iscrizione che menzionava «Tito Annio, pretore, figlio di Tito», identificabile con il console del 153 Tito Annio Lusco o, più verosimilmente, con il pretore del 131 Tito Annio Rufo. Con il nome di Annio poi la via da Capua a Reggio risulta ricordata anche in un'iscrizione
 

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rinvenuta a Roma e dedicata a Caracalla (nel 214 dopo Cristo) da alcuni funzionari preposti, appunto, alla Via Annia cum ramulis; e ancora ad Annio riconducono la località Forum Anni cui accenna Sallustio (Hist., III, 9 ) e la statio (luogo di sosta) Annicia, nella Piana di Sant'Eufemia, ricordata dalla Tabula Peutingeriana.
      In definitiva, si può quindi affermare che la via ab Rhegio ad Capuam a buon diritto va denominata Via Popilia-Annia, prendendo il nome da tutti e due i magistrati che, a vario titolo, ne determinarono la costruzione. Interessante è perciò il parallelismo che si viene a creare con un'altra strada dell'Italia romana, ovvero con la Via Annia, che da Adria si snoda lungo la linea litoranea del golfo di Venezia fino ad Aquileia e che, secondo una delle ipotesi più accreditate, altro non sarebbe che la prosecuzione della Via Popilia congiungente Rimini ad Adria. Entrambe queste strade - ovvero il sistema Rimini-Adria/Adria-Aquilieia e la via ab Rhegio ad Capuam - sarebbero dunque ascrivibili, con dinamiche apparentemente molto simili, alla medesima coppia di magistrati Popilio e Annio, entrambe risultano databili al medesimo periodo storico, e anzi allo stesso anno 132, entrambe, infine, sembrerebbero nascere come strumenti funzionali al controllo di territori di recente acquisizione da parte di Roma e di fatto si configurano quali veicoli primari di romanizzazione.
      Orbene, lasciando agli storici e agli archeologi il compito di approfondire le ragioni che stanno all'origine di questo parallesismo, resta da chiedersi quale fosse esattamente il percorso della Via Popilia-Annia ab Rhegio ad Capuam e, di conseguenza, a quali esigenze rispondesse. Per quanto attiene alla prima questione, il Lapis Pollae in precedenza menzionato fornisce ancora una volta elementi utili. Ivi si legge infatti che dal punto in cui l'iscrizione era collocata «a Nocera intercorrono 51 miglia, a Capua 84, a Morano 74, a Cosenza 123, a Vibo Valentia 180, allo Stretto, presso Ad Statuam, 231, a Reggio 237; la somma da Capua a Reggio è di 321 miglia». Ora, considerando che un miglio romano corrisponde a circa 1.480 metri, facilmente si desume come la distanza tra Capua e Reggio fosse computata intorno ai 475 chilometri, distanza di fatto molto simile a quella attuale. Se l'iscrizione di Polla ci fornisce l'indicazione delle principali località raggiunte dalla strada, il suo percorso è ricostruibile nel complesso con un buon grado di attendibilità mediante un'analisi comparata dei dati desunti dagli scavi archeologici e dagli Itinerari stradali antichi (Itinerarium Antonini, Itinerarium Burdigalense, Tabula Peutingeriana, Geographia e Cosmographia), una sorta di «guide turistiche» della tarda antichità che descrivevano il mondo conosciuto puntualizzando la distanza tra i centri che si succedevano lungo i tracciati.
      Sappiamo così che la strada partiva da Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere) e si dirigeva verso sud-est raggiungendo Suessula (Cancello). Di qui perveniva a Nola e quindi alla statio ad Teglanum (Palma Campania) secondo il percorso oggi riproposto dalla Caserta-Salerno. Entrava quindi nell'ager Nucerinus (con andamento ripreso dall'odierna strada statale 367), dirigendosi verso il valico della Montagna Spaccata (dove insistono ruderi romani), oltrepassato il quale scendeva su Nuceria (Nocera). Gli studiosi avanzano due ipotesi sullo sviluppo del tracciato: secondo la prima ipotesi la via sarebbe entrata in città dalla zona di Porta Romana, ne avrebbe costituito il cardo maximus e sarebbe uscita dal settore orientale (conservati nei pressi della stazione ferroviaria lacerti di basolato e un edificio termale); secondo l'altra ipotesi, invece, la città sarebbe stata collegata alla strada mediante un diverticolo, mentre la via principale avrebbe proseguito in direzione sud-est (lungo l'attuale strada statale 18). Ad ogni modo, uscita da Nocera la Via Popilia-Annia raggiungeva Salerno - e l'Itinerarium Antonini lo conferma - dove entrava attraverso la Porta Nucerina, costituendo molto probabilmente il decumanus maximus della città. A Salerno, in quella che è ritenuta la zona del foro romano, nel 1841 venne trovata una colonnina
 

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miliaria in cui sono menzionati i lavori di risistemazione e restauro del tracciato stradale nel tratto Nuceria-Salerno. Da Salerno la strada si dirigeva quindi a Consentia (Cosenza), costeggiando dapprima la Piana del Sele e allontanandosi dalla costa verso Battipaglia ed Eboli. Oltrepassava il Sele molto probabilmente in una località che la Tabula Peutingeriana denomina ad Silarum, quindi entrava nell'agro della città di Volcei (Buccino). La via, divenuta a questo punto un sentiero stretto e scomodo, saliva inerpicandosi verso il Piano del Pagliarone per poi puntare agli Iuga Eburina (colline di Serra) e alle Nares Lucanae (Passo dello Scorzo, ai piedi dei monti Alburni), di cui danno notizia sia Cicerone (ad Att., III, 2-3), sia gli itinerari antichi, attraversando un paesaggio aspro e montuoso. Di qui scendeva verso la valle del Tanagro, che superava con un ponte oggi ancora parzialmente visibile, e puntava alle attuali località Auletta e Pertosa per proseguire nel Vallo di Diano, una lunga e stretta piana alluvionale al cui ingresso si colloca Polla, da molti studiosi identificata con Forum Popili. La strada raggiungeva quindi Atina (Atena Lucana), nei cui pressi - in località Fossa Aimone - indagini archeologiche di recente condotte per la costruzione dell'autostrada A3 hanno riportato alla luce un tratto di acciottolato su cui versavano due ferri d'asino; la via proseguiva poi per Sala Consilina, Teglanum (Teggiano), per Cosilinum (dove oggi sorge la Certosa di Padula) e quindi per la statio Marcelliana (oggi battistero di San Giovanni in Fonte). Uscita dal Vallo procedeva nell'accidentato paesaggio che, con un andamento oggi riproposto dalla strada statale 19, portava alla catena del Pollino, confine naturale tra Basilicata e Calabria, dove era ubicata la statio di Nerulum nei cui pressi confluiva nella Via Popilia-Annia la Via Herculia. Non è chiaro poi quale fosse il percorso fino a Campo Tenese, vasto altopiano ai cui margini era situata la statio ad Muranum (Morano Calabro); ma da qui procedeva lungo il corso del Coscile fino ad ovest di Sibari dove, secondo la Tabula Peutingeriana, era situata Interamnium, importante snodo viario verso l'area ionica. La strada quindi procedeva verso Trigneto di Roggiano Gravina (area archeologica), quindi arrivava alla zona di Castello di San Marco Argentano, forse da identificarsi con la statio di Caprasia, e di qui si inoltrava lungo la valle del Crati, costeggiata da insediamenti, fino a Consentia, dove giungeva seguendo un tracciato pressoché rettilineo, la cui ubicazione è ipotizzata a sud dell'attuale linea ferroviaria. In uscita dalla città raggiungeva Laurignano e, seguendo il crinale, arrivava a Campi di Malito (dove sopravvive un lacerto di acciottolato), da dove si portava alla valle del Savuto, caratterizzata dalla presenza di un ponte di epoca traiano-adrianea detto «di Annibale». Di qui fino a Vibo Valentia il percorso era breve ma assai accidentato, arroccato sull'altopiano della Sila: passava per la statio ad fluvium Sabatum (Martirano), quindi per la Piana di Lamezia, superava il fiume Lamato in prossimità della statio ad Turris e quindi giungeva a Vibo Valentia, anticamente Hipponion, lungo quella che oggi è nota come «Via Grande». Uscita dalla città raggiungeva la statio di Nicotera (Mortelleto) e di qui arrivava a Tauriana (Gioia Tauro), a Seminara scendendo poi verso Santa Domenica di Reggio (dove è stato rinvenuto un miliare) seguendo un percorso di crinale. Secondo alcuni studiosi questa località dovrebbe coincidere con l'Ad Fretum ad Statuam ricordata dal Lapis Pollae, toponimo forse da ricollegare alla presenza di una statua che segnalava, a guisa di faro, la presenza del porto. Secondo altri questo luogo sarebbe da identificarsi con la mansio ad Columnam ricordata dall'Itinerarium Antonini come punto di imbarco per la Sicilia.
      Bene, questo è, sia pure con alcune incertezze, il percorso che gli studiosi hanno ricostruito per la Via Popilia-Annia; fondamentale è tuttavia comprendere quali furono le ragioni che indussero i Romani a collegare con questo tracciato la Calabria con il resto dell'Italia, con un tracciato che, di fatto, per quanto a tratti disagevole perché ricavato in luoghi scoscesi e su un fondo inghiaiato e non
 

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pavimentato (i tratti della Via Popilia-Annia rinvenuti testimoniano infatti che si trattava per lo più di una via glarea strata, ovvero con summum dorsum costituito da una massicciata di ghiaia poggiante direttamente sulla ruderatio, senza strati intermedi di sabbia), continuerà ad essere il solo collegamento esistente anche nelle epoche successive, nel periodo bizantino e poi oltre, fino al XIX secolo, denotando un'eccezionale persistenza nella funzionalità. All'origine ci furono indubbiamente esigenze di natura militare e di riorganizzazione del territorio abitato da Lucani, Sanniti, Bruttii e dalle popolazioni italiote eredi di quella che era stata, secoli prima, la Magna Graecia, ma forse le finalità politico-militari non esauriscono la complessità delle ragioni che ne determinarono la costruzione. Si pensi, infatti, anche alle profonde implicazioni economiche: la Via Popilia-Annia attraversava infatti le fertili regioni interne del Bruzio e «sembra essere quel filo rosso che si infila per valli e pianure, attraversando la miriade di orizzonti interni chiusi, di paesaggi diversi, sfruttando per il suo cammino i terreni geologicamente più saldi e ancora oggi più produttivi». E proprio questo aspetto, cioè la valorizzazione delle potenzialità agricole del territorio grazie al passaggio dell'arteria viaria, è ben presente anche nel Lapis Pollae, laddove Publio Popilio Lenate si vanta di aver destinato all'agricoltura ciò che prima era destinato semplicemente al pascolo, facendo della strada lo strumento con cui realizzare questo obiettivo. Queste regioni furono dunque profondamente e capillarmente romanizzate, e lungo la strada e nel territorio contiguo sorsero e prosperarono molti centri abitati - si pensi a Volcei, Atina, Teglanum e Cosilinum per non citarne che alcuni - che trovarono nella strada la loro ragion d'essere.
      Ben si coglie da questo rapido excursus, quindi, come la Via Popilia-Annia si sia configurata, per la storia della nostra penisola, come un asse viario che, per quanto meno celebrato e meno conosciuto rispetto ad altre strade romane, non è stato di certo meno importante, tanto più essendosi configurato come l'unico verso il meridione. Attraverso di esso sono state veicolati persone, mezzi, beni e - soprattutto - idee, e il suo ruolo, iniziato con l'epoca romana, non si è concluso allora. Si pensi, ad esempio, all'importanza che ebbe anticamente questa strada nel processo di romanizzazione, divenendo il perno di un sistema centuriato di cui oggi vanno sempre più emergendo le tracce, e ai cambiamenti che indusse negli schemi culturali delle popolazioni italiche nel momento in cui venivano in contatto con Roma. E ancora si è visto come, rispetto al territorio attraversato, la funzionalità del sistema viario di cui la Via Popilia-Annia fu la spina dorsale abbia conosciuto una persistenza, in dimensione diacronica, decisamente significativa.
      In questa continuità, dunque, sta la forza evocativa e culturale dell'antico tracciato romano. Pertanto, recuperare nel suo complesso l'intero tracciato equivale al recupero dell'identità storica di un territorio vasto e multiforme e delle sue molteplici interrelazioni. Recuperare l'intero tracciato della strada romana unendo il dato toponomastico, in cui si è sedimentata la memoria, alla valorizzazione dei ritrovamenti archeologici noti con la creazione di parchi archeologici diffusi e all'incremento della ricerca, laddove campagne di riprese aeree possano evidenziare tracce del percorso ancora esistenti, ma non più visibili, significa dunque recuperare quel filo conduttore che, in una prospettiva di ampio respiro, unisce, oggi come ieri, il cuore della penisola con sua la parte meridionale.
      Se da qui infatti ieri la Via Popilia-Annia da Capua - ma dovremmo più correttamente dire da Roma, dato il suo aggancio con l'Appia - attraversava l'Italia meridionale e arrivava alla punta della Calabria, oggi un progetto per il suo recupero potrebbe vedere coinvolte molteplici realtà territoriali, ovvero tre regioni - la Campania, la Basilicata e la Calabria - e otto province - Caserta, Napoli, Salerno, Potenza, Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria.
 

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      Un'azione sinergica di questi enti, unitamente alle locali soprintendenze archeologiche e alle università che conducono le ricerche sul campo, potrebbe infatti portare all'obiettivo di rendere l'antica Via Popilia-Annia il punto di partenza da cui innescare una significativa valorizzazione dei territori dell'Italia centro-meridionale. Una valorizzazione culturale, dunque, affiancabile a quei progetti di valorizzazione ambientale e di recupero delle tradizioni enogastronomiche che, in anni recenti, hanno visto un graduale coinvolgimento dei flussi turistici, oggi più consapevoli anche dell'importanza delle tradizioni racchiuse nella cultura dell'alimentazione.

          Pervenire a un siffatto obbiettivo significa dunque:

          1) potenziare la ricerca di nuovi siti archeologici correlati al percorso attraverso metodologie non invasive (indagini con georadar, telerilevamento, analisi con foto aeree e da satellite);

          2) potenziare lo studio geomorfologico del territorio;

          3) potenziare la ricerca archeologica in siti già noti gravitanti sul percorso della Via Popilia-Annia;

          4) incrementare gli interventi di recupero dei resti della struttura viaria (basolati) e delle infrastrutture viarie sparse nel territorio (ponti, viadotti eccetera);

          5) mettere in rete il complesso delle evidenze archeologiche note con l'aiuto di supporti didattici (pannelli esplicativi, pieghevoli, pubblicazioni sintetiche, cartografie), creando piccole realtà museali diffuse e idealmente collegate;

          6) incrementare la divulgazione scientifica dei risultati medianti convegni e pubblicazioni.

      La presente proposta di legge si compone di sette articoli. L'articolo 1 riconosce l'importanza dell'intero percorso della Via Popilia-Annia, l'articolo 2 istituisce il parco archeologico della Via Popilia-Annia, l'articolo 3 istituisce la Fondazione che gestirà il parco archeologico, l'articolo 4 istituisce il fondo speciale presso il Ministero per i beni e le attività culturali, l'articolo 5 regola l'accordo di programma, l'articolo 6 disciplina i contributi a carico del fondo speciale e l'articolo 7 definisce la relativa copertura finanziaria.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Riconoscimento della Via Popilia-Annia).

      1. Lo Stato riconosce l'importanza dell'antico percorso della Via Popilia-Annia, di seguito denominato «Via Popilia-Annia», quale risorsa storica, culturale e ambientale di notevole interesse pubblico.
      2. Allo scopo di cui al comma 1, lo Stato, d'intesa con le regioni attraversate dalla Via Popilia-Annia, promuove, ai sensi del titolo I della parte prima del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la tutela, la valorizzazione e il recupero della Via Popilia-Annia e dei territori circostanti, per il perseguimento dei seguenti obiettivi:

          a) promozione di iniziative volte a diffondere la conoscenza del percorso storico della Via Popilia-Annia;

          b) attuazione di interventi volti al recupero di tratti originali dell'antico tracciato e alla loro interconnessione con le infrastrutture per la mobilità esistenti, al fine di migliorare le possibilità di rivisitazione;

          c) realizzazione di opere di restauro scientifico e di risanamento conservativo dei siti di interesse storico, archeologico, artistico e ambientale esistenti su tutte le parti di territorio interessate dall'antico tracciato, al fine del miglioramento della pubblica fruizione;

          d) realizzazione di interventi per la creazione di nuove strutture ricettive e turistiche lungo l'antico itinerario, con priorità per gli interventi di recupero di edifici esistenti di interesse storico-artistico e ambientale;

          e) realizzazione di un sistema museale diffuso che colleghi le più importanti realtà museali adiacenti e inerenti la Via

 

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Popilia-Annia, valorizzando il progetto con le nuove tecnologie multimediali.

Art. 2.
(Istituzione del parco archeologico della Via Popilia-Annia).

      1. Al fine della salvaguardia e della tutela del patrimonio storico e monumentale costituito da una delle più importanti arterie stradali di epoca romana, è istituito il parco archeologico della Via Popilia-Annia, di seguito denominato «parco».

Art. 3.
(Istituzione della Fondazione).

      1. Il parco, alla cui gestione provvede un'apposita Fondazione costituita ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 27 novembre 2001, n. 491, è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali.
      2. Alla Fondazione, oltre al Ministero per i beni e le attività culturali e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, possono partecipare le regioni Campania, Basilicata e Calabria, le province interessate e tutti i comuni attraversati dalla Via Popilia-Annia, le università degli studi, le fondazioni bancarie e altri soggetti pubblici e privati, nonché rappresentanti delle soprintendenze archeologiche competenti.
      3. Il direttore del parco è nominato dall'organo con funzioni di indirizzo della Fondazione.
      4. Ai fini della gestione del parco, i compiti della Fondazione sono i seguenti:

          a) ricognizione, scavo, restauro e risanamento conservativo, manutenzione e conservazione di immobili di interesse archeologico e storico-artistico di proprietà pubblica, privata e di enti morali, ai fini della tutela del paesaggio e del ripristino o miglioramento delle condizioni di pubblica fruizione;

 

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          b) acquisizione di beni immobili di valore archeologico e storico-artistico al patrimonio degli enti pubblici;

          c) recupero dell'antico tracciato e sua interconnessione con le infrastrutture per la mobilità esistenti al fine di migliorarne la percorribilità anche a fini escursionistici;

          d) adeguamento della ricettività turistica con priorità per gli interventi di recupero dei manufatti di interesse storico-architettonico e dei beni storico-testimoniali esistenti;

          e) creazione di servizi di accoglienza, ivi compresa la ristorazione, e complementari alla ricettività turistica, con priorità per gli interventi di recupero di manufatti esistenti di interesse storico-architettonico, storico-testimoniale, agricolo o ambientale;

          f) interventi in parchi naturali, oasi ed aree protette, finalizzati alla valorizzazione delle zone che possono essere utilizzate per il miglioramento delle qualità paesaggistiche, della qualità ambientale del territorio e per la fruizione turistica, anche attraverso l'acquisizione di aree;

          g) tutela e salvaguardia del paesaggio, anche mediante interventi di architettura del paesaggio, nonché recupero delle aree degradate collegate al percorso e alla viabilità ad esso afferente attraverso il recupero della produzione agricola di qualità e biologica.

Art. 4.
(Istituzione del fondo speciale).

      1. Per la realizzazione degli interventi di cui all'articolo 1 e all'articolo 3 è istituito nello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali un fondo speciale di 9 milioni di euro per il triennio 2007-2009, in ragione di 3 milioni di euro per ciascun anno.

 

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Art. 5.
(Accordo di programma).

      1. Ai fini del perseguimento degli obiettivi di cui alla presente legge, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le regioni, le province e i comuni interessati stipulano, d'intesa con la Fondazione, nell'ambito di intese istituzionali di programma, un apposito accordo di programma quadro per la definizione del programma esecutivo degli interventi, nei modi e con le procedure previsti dall'articolo 2, comma 203, lettera c), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Art. 6.
(Contributi a carico del fondo speciale).

      1. Per gli interventi riguardanti beni non statali, sono concessi contributi a carico del fondo speciale di cui all'articolo 4, fino ad un importo massimo pari al 30 per cento della spesa riconosciuta.
      2. I contributi di cui al comma 1 possono essere corrisposti sia in corso d'opera, sia sulla base dello stato di avanzamento dei lavori ovvero a saldo finale previa verifica da parte della regione competente.
      3. La concessione dei contributi di cui al comma 1 è subordinata alla stipula di una convenzione tra la regione competente e il soggetto privato e deve prevedere la non trasferibilità degli immobili per almeno quindici anni e la conservazione della destinazione d'uso prevista dal progetto per lo stesso periodo.

Art. 7.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di

 

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parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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