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COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E VIII (AMBIENTE)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 13 giugno 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VIII COMMISSIONE ERMETE REALACCI

La seduta comincia alle 15,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, sugli indirizzi di politica estera in materia di cambiamenti climatici.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, sugli indirizzi di politica estera in materia di cambiamenti climatici.
Colgo l'occasione per ringraziare personalmente il sottosegretario Craxi per aver garantito la sua presenza, che utilizzeremo al meglio delle sue e delle nostre possibilità.
Come i colleghi sanno, l'odierna audizione si colloca nell'ambito di un lavoro preparatorio ad una seduta straordinaria della Camera dei deputati, deliberata dal Presidente della Camera, insieme ai presidenti di gruppo, sulla questione dei mutamenti climatici. La preparazione della seduta è affidata alla VIII Commissione, che sta lavorando di concerto con le altre Commissioni.
È inutile dirlo, si tratta di una questione che interessa l'insieme delle politiche ed è per questo che, oltre ad aver previsto audizioni del mondo economico, sociale, scientifico, e di istituzioni di vario livello, abbiamo già ascoltato i rappresentanti dei Ministeri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle politiche agricole, dell'istruzione, dei trasporti, delle infrastrutture, dell'università e della ricerca. Sentiremo, altresì, il Ministero dell'economia e delle finanze, ed inevitabilmente è importante il contributo che potrà venire dal Ministero degli affari esteri e dalla Commissione affari esteri.
Il sottosegretario Craxi, che ha seguito in più occasioni la vicenda negli appuntamenti internazionali, sa bene qual è l'importanza di questo contributo e in particolar modo potrà esprimere un giudizio sui cambiamenti che potranno intervenire a seguito dell'ultimo G8. È evidente, altresì, che è questione non solo di rapporti e accordi internazionali, ma anche, detto alquanto brutalmente, di leadership mondiale. Se oggi si dovesse individuare una missione dell'Europa tale da avvicinarla alla bella frase riportata nel Preambolo della cosiddetta Costituzione europea, laddove si parla dell'Europa stessa come «(...) spazio privilegiato della speranza umana (....)», e se conseguentemente dovessimo pensare anche ad una politica «offensiva» del nostro Paese con la quale possa proporsi quale soggetto responsabile nei confronti non solo dei propri cittadini ma anche del resto del mondo e del futuro, ebbene, poche politiche si presterebbero al raggiungimento di tali fini al pari di questa iniziativa legata ai mutamenti climatici.
Penso che il convergere dei grandi Paesi europei, della Presidenza tedesca


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attuale - e, su fronti diversi, non solo di Blair ma anche di Cameron - e di Sarkozy verso una politica «spinta» in questa direzione evidenzi nel contempo non solo la durezza del problema ma anche una missione internazionale del nostro continente che appare convincente anche in termini di opinione pubblica e di azione politica.
Da questo punto di vista, essendo noi, più nel piccolo, italiani, ci farebbe piacere che il nostro Paese svolgesse un ruolo, in materia, non inferiore a quello dei grandi Paesi europei, e per questo chiediamo lumi.
Do ora la parola al sottosegretario Craxi.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La ringrazio, signor presidente. Osservo subito, e non retoricamente, di essere contento di prendere la parola a nome del Governo in sede di Commissioni riunite e su questo tema.
Se c'è un punto che, pur nell'ancora breve esperienza in questo Governo - peraltro da me compiuta all'interno del Ministero degli affari esteri -, ho ritenuto qualificante - una questione (o, meglio, «la questione») che ritengo debba essere aggredita per tempo e padroneggiata con efficacia, con rigore e soprattutto con uno sforzo politico superiore - è l'emergenza climatica.
Prima di svolgere una sintetica esposizione, comunico sin d'ora che lascerò all'attenzione della Commissione un'ampia relazione, tenuto conto che la materia di cui discutiamo oggi è estremamente complessa e ha quindi bisogno, come è naturale, di essere corroborata e consolidata con una serie di dati di carattere tecnico-burocratico.
Mi preme sottolineare un aspetto che considero impressionante: molteplici protagonisti, uditori e diplomatici che hanno partecipato negli anni alle attività dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e hanno sentito allarmi di vario genere, mi hanno confermato di avere letto con stupore, disincanto o disinteresse i rapporti che venivano pubblicati (il più recente è il quarto) sui climate change, spesso indulgendo a commenti improntati ad incredulità.
La verità è che siamo di fronte, inevitabilmente, alla dura e cruda realtà di una questione la cui urgenza-emergenza non può essere in alcun modo sottovalutata. Credo che il Parlamento della Repubblica italiana faccia benissimo a convocare un'Assemblea straordinaria, o comunque ad avere impegnato l'ordine del giorno del Parlamento sulla questione dei cambiamenti climatici.
Ho partecipato ad una riunione - che molti hanno considerato storica - del Consiglio di sicurezza, promossa dalla Presidenza inglese, dedicata all'ambiente. Anch'io la definisco storica, perché il massimo organo della comunità internazionale in materia di sicurezza, del quale facciamo parte da quest'anno, per un biennio, ha così riconosciuto che la questione ambientale è ormai talmente vasta che la sua pericolosità rileva addirittura ai fini dello stesso mantenimento della pace e della sicurezza.
Più volte si è sottolineato come tra gli altri fattori di rischio e fra le conseguenze nefaste del cambiamento climatico vi siano proprio le immigrazioni forzate, i «profughi ambientali» (così vengono definiti) che cominciano ad essere particolarmente presenti nel continente africano.
Cercherò di tratteggiare sinteticamente tre grandi aree: i principali strumenti convenzionali e le principali prese di posizione internazionali; il ruolo di alcune grandi organizzazioni internazionali di cui facciamo parte; l'azione bilaterale del nostro Paese.
Il Rapporto dell'Intergovernmental panel on climate change (IPCC) delle Nazioni Unite uscito nei mesi scorsi ha confermato la gravità delle minacce all'ambiente. Questo organismo, composto da più di cento scienziati, conferma la necessità di contenere il surriscaldamento del pianeta per evitare effetti catastrofici, adottando misure urgenti in tutti i settori responsabili della produzione di gas a effetto serra.
Le economie emergenti, come Cina e India, diventeranno presto i principali


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produttori di emissioni, anche per l'elevata intensità energetica, dovuta al fatto che le tecnologie utilizzate sono meno avanzate che nei Paesi industrializzati.
Il Rapporto ha evidenziato anche la possibilità che la lotta ai cambiamenti climatici non comporti costi ma faccia crescere il PIL mondiale nei settori cosiddetti «puliti».
Durante il Vertice di Rio de Janeiro del 1992, oltre all'istituzione della Commissione delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, furono negoziate le tre più importanti convenzioni delle Nazioni Unite in materia di ambiente: la Convenzione sulla diversità biologica (CBD), la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e, poco più tardi, la Convenzione contro la desertificazione.
La più importante e nota è quella del cosiddetto Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012; al riguardo, manca un accordo fra gli Stati sugli impegni di riduzione dopo questa data. Il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon si sta impegnando in prima linea per superare questa impasse: ha nominato tre suoi inviati speciali per il clima, sta organizzando una riunione ad hoc a livello politico che si terrà a margine della prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel mese di settembre, per rilanciare questo negoziato, cercando di includere il maggior numero di Paesi.
La prossima Conferenza delle parti della Convenzione sui cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto si terrà quest'anno a Bali.
Il Governo ha sostenuto in più occasioni l'azione dell'ONU per promuovere il negoziato sui cambiamenti climatici, anche in vista della nostra Presidenza del G8 nel 2009.
L'iniziativa inglese di lanciare un dibattito su queste tematiche nel Consiglio di sicurezza è stata condivisa dal nostro Paese in qualità di membro del Consiglio di sicurezza nella prospettiva di accrescere la coesione e la consapevolezza sui legami tra cambiamenti climatici e sicurezza e pace. Soprattutto, ciò dovrebbe servire da impulso ad altri organismi delle Nazioni Unite (come l'Assemblea generale, che si terrà a settembre, e l'ECOSOC) per un rilancio del dialogo su questo tema nell'ottica di promuovere una governance mondiale della tutela ambientale.
Il nostro Paese ha assicurato un sostegno all'azione di sensibilizzazione degli inviati speciali per il clima nominati dal Segretario generale, cui più volte è stato espresso il nostro appoggio nei vari incontri bilaterali ad alto livello.
In preparazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a settembre, parteciperemo ai lavori del panel di alto livello dell'ECOSOC nel mese di luglio, dove incontreremo il direttore generale delle Nazioni Unite che si occupa del segmento dei rischi climatici.
Devo osservare che questa nostra azione politica non ha sempre trovato pari sensibilità in altri Paesi che partecipano al Consiglio di sicurezza. Non è un caso che l'unico esponente politico - a parte chi vi parla, per l'Italia - che ha partecipato alla riunione del Consiglio di sicurezza sul clima è stato il ministro degli esteri slovacco. Né gli Stati Uniti d'America, né la Francia, né la Cina, né la Russia, né i Paesi africani, né altri membri del Consiglio di sicurezza hanno aderito alla necessità di promuovere un'azione congiunta sul campo politico.
Da questo punto di vista, abbiamo utilizzato l'ultimo G8 per svolgere al meglio il nostro ruolo propulsivo nel negoziato sui cambiamenti climatici. Abbiamo sostenuto la Presidenza tedesca nella promozione di una piattaforma comune per negoziare un regime post-2012 (il cosiddetto Protocollo «post-Kyoto»).
Il Governo ha avuto un ruolo importante nel cruciale negoziato con gli Stati Uniti sul testo del documento approvato in occasione del recente Vertice G8 di Heiligendamm. Quest'ultimo, come ha affermato il Presidente del Consiglio, rappresenta un «buon compromesso» - buono, e pur tuttavia un compromesso - che ci «impegna ad assumere un'azione forte e rapida per contrastare i cambiamenti climatici e stabilizzare la concentrazione dei


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gas serra ad un livello che dovrebbe prevenire interferenze pericolose per la salute dell'uomo e del clima».
Il G8, tuttavia, ha confermato come l'ambiente sia un'assoluta priorità. L'accordo, che è il riflesso della dichiarazione finale del G8, riconosce infatti al processo delle Nazioni Unite il ruolo di principale foro negoziale. Vi è un impegno a partecipare attivamente e costruttivamente alla Conferenza di Bali, con l'obiettivo di raggiungere un accordo post-2012 che includa tutti i principali emettitori di CO2.
Dal canto loro, le iniziative americane previste per l'autunno prossimo, tra cui la convocazione di una conferenza internazionale, dovranno portare a definire entro il 2008 un global framework e confluire nell'alveo di un accordo globale nel quadro UNFCCC entro il 2009. Verranno seriamente esaminate le decisioni dell'Unione europea, del Canada e del Giappone, che prevedono di dimezzare le emissioni entro il 2050.
È un nuovo quadro, nel quale gli Stati Uniti sono passati da un atteggiamento di sostanziale rifiuto del processo di Kyoto ad un attivo coinvolgimento nella ricerca di soluzioni condivisibili. Chiaramente permangono ancora sensibili differenze di valutazione su alcuni punti estremamente importanti, in particolare sul mercato di scambi di emissioni, ma certamente si è usciti da una situazione di stallo precedente al vertice e si potrebbero - uso il condizionale perché è lecito, oltre che doveroso - aprire nuove interessanti prospettive negoziali.
L'Italia contribuisce attivamente a promuovere il ruolo di leadership dell'Unione europea in campo ambientale. Il Consiglio dell'Unione europea di marzo ha adottato impegni significativi e di un'ampiezza considerata senza precedenti nel quadro della strategia integrata per l'energia e il clima, dando sostanza all'ambizione europea di svolgere concretamente un ruolo guida nella protezione internazionale del clima. È un impegno unilaterale di riduzione dei gas serra del 20 per cento entro il 2020, a prescindere dal raggiungimento di un accordo per il seguito del Protocollo di Kyoto. Se questo accordo dovesse essere raggiunto, l'Unione europea si è detta disponibile a ridurre ulteriormente la propria produzione di gas serra del 30 per cento entro il 2020.
Abbiamo voluto riservare un'enfasi specifica alle tecnologie energetiche per rafforzare la ricerca: in tal senso, la Commissione presenterà un piano strategico in materia da sottoporre al Consiglio europeo entro il 2007.
Il Governo si ritiene soddisfatto del percorso delineato dal Consiglio europeo, ritenendolo pienamente in linea con le posizioni italiane. Per rispettare gli impegni che ci siamo dati nel campo sia della lotta ai cambiamenti climatici sia del rilancio della politica energetica occorre, tuttavia, un cambiamento profondo della politica industriale, nel solco delle misure che il Governo ha già avviato per promuovere l'efficienza energetica, la diffusione delle energie rinnovabili, la ricerca e l'innovazione tecnologica.
Il terzo punto riguarda l'azione bilaterale del nostro Paese. Il principale impegno internazionale dell'Italia è legato all'obiettivo di riduzione dei gas serra nella misura del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990.
L'adempimento degli obblighi previsti da Kyoto risulta per il nostro Paese particolarmente impegnativo. Alla fine dello scorso anno, per ottemperare agli obblighi di riduzione, l'Italia ha adottato, comunque, un piano nazionale di allocazione di emissioni per il periodo 2008-2012, grazie all'accordo raggiunto tra i Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico. La Commissione europea ha accettato il piano con riserva, chiedendo una riduzione delle emissioni del 6,3 per cento rispetto a quanto proposto.
L'Italia, inoltre, ha assunto degli impegni di cooperazione anche sul piano ambientale con taluni Paesi in via di sviluppo e, in quanto Paese tra i più industrializzati del mondo e membro del G8, promuove attivamente politiche di adattamento al cambiamento climatico e di riduzione della vulnerabilità nei diversi fora in cui è


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direttamente coinvolta, seguendo il principio delle sinergie tra i meccanismi multilaterali e ambientali.
Siamo coinvolti nel negoziato del Forum delle Nazioni Unite per le foreste (UNFF), il cui obiettivo è promuovere la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste attraverso la cooperazione internazionale.
Particolare rilievo ha la Cooperazione italiana - che fa capo al Ministero degli affari esteri - attraverso diversi interventi tesi ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre la loro vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Abbiamo, di recente, lanciato un programma triennale congiuntamente con il Ministero dell'ambiente al fine di sostenere i programmi e le iniziative degli Stati delle piccole isole del Pacifico per assicurare la previsione e la gestione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, e per l'uso delle fonti rinnovabili di energia, per un impegno finanziario totale di 8 milioni di euro nel triennio 2007-2009.
Per non citare, poi, i programmi in cui siamo stati coinvolti nel recente anno, dopo la catastrofe dello tsunami, i programmi di ricostruzione e prevenzione relativi a Paesi del Caricom che sono stati devastati (in particolare Grenada) non più di tre anni fa da un tifone. Si tratta di programmi di sviluppo, di intervento e di prevenzione di eventuali catastrofi climatiche.
In conclusione, forse questo non è tutto, non è molto o non è sufficiente, tuttavia mi pare costituisca un impegno serio e responsabile, che cerca di considerare la necessità di avvicinarsi alle questioni ambientali con profondo rispetto. Soprattutto, si tratta di una politica - la nostra - che si basa su un'etica coniugata con un ampio spettro di valori condivisi sulla base di un patrimonio comune di priorità, accresciute anzitutto dagli allarmi che vengono lanciati da settori degli organismi internazionali più autorevoli, che ci mettono quotidianamente alla prova sul versante della necessità di irrobustire la nostra capacità di intervento.
In questo senso invochiamo l'esigenza di una diplomazia pubblica in questa materia, una diplomazia che sia trasparente, che persegua obiettivi chiaramente definiti e condivisi e che operi in costante contatto con la collettività più ampia, nella quale vedo indubbiamente come attore fondamentale i nostri Parlamenti. Mi riferisco al Parlamento italiano, al Parlamento europeo e ai Parlamenti dei singoli Stati membri, per non parlare dei Parlamenti degli Stati che, a fatica e a singhiozzo, intendono sottoscrivere i protocolli di intesa, che probabilmente ci permetterebbero di compiere passi avanti rispetto alla dimensione del problema. Un problema che, come ho detto all'inizio, riguarda l'intera umanità e la sua stessa sussistenza, riguarda le catastrofi che possono rovesciarsi su continenti non lontani dal nostro e che drammaticamente potrebbero a loro volta tradursi in una catastrofe di carattere umanitario per noi. Tali diventano, del resto, queste imbarcazioni che approdano da noi per ragioni di povertà e di fame determinando il fenomeno dell'immigrazione clandestina che non riusciamo a governare e a padroneggiare: immaginiamo cosa potrebbe accadere se la fuga dalle catastrofi riguardasse milioni di uomini e di donne!
Dobbiamo lavorare per tempo, sensibilizzare - come voi fate e come fa l'intero sistema politico, e in particolare alcune forze politiche - l'opinione pubblica e non voltare la faccia di fronte alle evidenze. Di questo vi ringrazio.
Questo Governo ha mantenuto fede ai propri impegni e ha cercato di sviluppare una politica il più possibile aperta, di sensibilizzazione, con la presenza costante in organismi internazionali che, forse inconsapevolmente, avevamo un po' abbandonato e con i quali avevamo evitato negli ultimi anni di interagire. Oggi, invece, riteniamo che l'insieme delle agenzie delle Nazioni Unite non solo siano legittimate ma siano anche i fori idonei per giungere a compromessi politici e a soluzioni politiche più efficaci.
Vi ringrazio molto e rimango a vostra disposizione per eventuali chiarimenti.


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PRESIDENTE. La ringrazio, sottosegretario.
Autorizzo senz'altro la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione da lei consegnata.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROMOLO BENVENUTO. Desidero anzitutto ringraziare il sottosegretario Craxi per la sua relazione, da cui traspare una sensibilità anche personale, oltre che politica, su questo tema.
Ritengo che il nostro Paese potrebbe fare di più sulla questione dei cambiamenti climatici, sia per la posizione che ricopre nello scacchiere geopolitico, sia per la sensibilità precipua del nostro popolo. Come osservava il presidente Realacci, il tema dei cambiamenti climatici potrebbe diventare per l'Italia una cifra del suo «essere» internazionale, del suo stare su questo pianeta. Occorre, quindi, una visione molto più ampia.
Se stiamo ai fatti, purtroppo neanche sfioreremo l'obiettivo assunto in base al Protocollo di Kyoto, ovvero la riduzione, entro il 2012, delle emissioni di gas serra del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990. Infatti, siamo sopra quei livelli del 12 per cento, e quindi, da oggi al 2012, dovremmo scendere del 20 per cento, il che è onestamente molto complicato.
Serve dunque che si intraprendano azioni specifiche, ma occorre anche una visione nuova e più ampia: l'Unione europea, la Germania, la Gran Bretagna, come anche altri Paesi, si danno un orizzonte più vasto - 2030 o 2050 - e l'ONU parla del 2100. Non credo che siano solamente esercitazioni teoriche: forse tale approccio ci può aiutare a disegnare un processo che, per tappe successive, può diventare più concreto. Spostare in avanti non significa necessariamente non fare niente; al contrario, avere una visione lunga può consentire a tutti di adeguarsi con le tappe necessarie.
Penso siano necessarie azioni su tutti i tavoli che il sottosegretario ha citato e verso Paesi che hanno problemi diversi.
Da una parte, infatti, ci sono gli Stati Uniti, senza i quali è difficile immaginare una politica di riduzione delle emissioni di CO2; mi pare, tuttavia, che gli ultimi orientamenti dell'amministrazione americana, forse anche sotto la spinta di molti governatori e dell'opinione pubblica, stiano in parte mutando (e speriamo mutino nel verso giusto). Dall'altra, si sta portando avanti una politica verso i Paesi poveri che saranno afflitti da queste migrazioni climatiche che l'ONU disegna come epocali, di grandissime dimensioni e di grandissimo impatto non solo per quelle popolazioni, ma anche per noi che saremo destinati a riceverle. Inoltre, c'è un'azione da intraprendere nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, quelli nei quali la locomotiva economica ha cominciato a galoppare, a partire da Cina, India e Brasile. La Cina quest'anno è il primo emettitore di CO2 a livello mondiale: del resto, vi si costruisce una centrale a carbone a settimana, con tecnologie per lo più sorpassate e obsolete. Verso questi Paesi è forse necessario esercitare la spinta più forte sul piano della diplomazia internazionale; occorre far capire che si tratta non di limitare lo sviluppo di quelle popolazioni ma di puntare, piuttosto, a uno sviluppo compatibile. Da questo punto di vista, l'unica strada che ci può salvare è quella di un maggiore impiego di ricerca e tecnologia; da un tale percorso, in effetti, potremmo anche essere beneficiati come Paese. Infatti, a tal fine viene in considerazione l'ambito del commercio estero e della nostra industria; si tratta, in altri termini, di capire - puntando fortemente sulle nuove tecnologie, sull'innovazione, sulla ricerca, su un di più di cultura (e di capacità di fare, che nel nostro Paese è già molto forte) - come possiamo essere utili a noi ed anche a quei Paesi. Mi riferisco ad accordi che riguardino i livelli delle emissioni ma anche la promozione di scambi economici e di tecnologia - che noi, forse, possediamo in misura maggiore - con quei Paesi.


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Mi pare che questi terreni siano promettenti per disegnare un futuro interessante per l'Italia e, speriamo, utile per il pianeta.

GRAZIA FRANCESCATO. Vorrei anch'io anzitutto ringraziare il sottosegretario Craxi per questa relazione, che sicuramente rappresenta un passo nella direzione giusta.
Come ambientalista, devo osservare che aspettavamo il 2007 da trentacinque anni. Per anni abbiamo lanciato l'allarme inascoltati, venendo probabilmente considerati pazzi o utopisti. Adesso - non a caso in quest'anno - non soltanto tutto il mondo ammette che il climate change esiste ed è una delle sfide prioritarie e una minaccia globale che va affrontata nella direzione di una governance mondiale ma si raggiungono anche consensi sugli strumenti da usare.
Come membro della Commissione ambiente, insieme al collega dell'opposizione Antonio Mereu, faccio parte di un network internazionale che si chiama Globe, che si è già riunito a Washington e a Berlino e si riunirà prossimamente a Bali. All'interno di questo network ci sono sia i parlamentari dei Paesi del G8, sia quelli dei cinque Paesi cosiddetti «emergenti», ossia Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. Peraltro, all'ultimo convegno di Berlino hanno partecipato anche molti Paesi dell'Africa subsahariana, la Malesia e l'Indonesia perché in quella sede si è trattato anche del problema dell'illegal logging, ossia del disboscamento illegale, della distruzione delle foreste, che contribuisce non poco - in misura pari a circa il 20 per cento - all'incremento dei gas serra totali.
Per quello che riguarda il consenso, tutti i Paesi, anche quelli emergenti, ritengono che si debba procedere lungo due binari. Il primo binario è sicuramente la mitigation, ossia l'attenuazione del peso dei gas serra tramite le riduzioni e tramite lo strumento - che per ora è solo europeo, ma potrebbe essere allargato a livello mondiale - dell'emission trading system, il sistema del mercato delle quote di emissione. Pur con tutte le sue ombre (come sapete è entrato in vigore solo da due anni), esso può comunque costituire un modello interessante, se verrà esteso fino a comprendere, oltre al settore industriale, anche quello dei trasporti, che pesa per circa il 30 per cento. Mi riferisco ovviamente anche al trasporto aereo e marittimo.
Sul fronte dell'adaptation, dell'adattamento - questo, il secondo binario - c'è stata una forte pressione da parte dei Paesi come il Bangladesh e le isole del Pacifico per far capire che occorrono misure forti in quanto ormai il cambiamento climatico incombe. Katrina, purtroppo per noi, non sarà più un caso isolato, ma gli eventi estremi diventeranno la cifra del cambiamento climatico. Pertanto, ci dobbiamo muovere anche sul fronte dell'adattamento con particolare vigore. Mi riferisco anche alla sessione organizzata sull'illegal logging: non solo la deforestazione pesa per il 20 per cento, ma la distruzione della biodiversità - c'è un articolo molto bello di Vandana Shiva a questo proposito - impedisce di utilizzare gli ecosistemi forestali sani come serbatoi del carbonio.
Su tutte e due i fronti è importante muoversi. Si tratta di agire a trecentosessanta gradi, quindi di stringere un matrimonio tra ecologia ed economia, di integrare le dimensioni ambientale, sociale ed economica. Anche in fatto di politica estera, quindi, dobbiamo avviarci a una rilettura delle nostre strategie.
In materia di cooperazione, la chiave deve essere la sostenibilità, che non deve più costituire un mantra recitato in tutti i documenti e in tutti i convegni, ma deve invece tradursi in azione concreta. La sostenibilità deve essere ambientale e sociale; al riguardo, porterò il seguente esempio. Si parla moltissimo di biocarburanti come una delle chiavi di volta per abbattere le emissioni dei gas serra. L'Unione europea considera tale questione uno dei suoi punti strategici. Ebbene, bisogna stare molto attenti affinché tutto il tema delle biomasse e dei biocarburanti venga trattato in maniera politicamente


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corretta dal punto di vista sociale e ambientale. Ad esempio, in Colombia, ma anche in altri Paesi del mondo, si stanno realizzando vaste piantagioni di palma da olio - per vaste piantagioni intendo sei milioni di ettari solo in Colombia - che devastano sistemi forestali integri e spingono moltissimo le popolazioni di campesinos e di indigeni all'esodo. Ci sono anche moltissimi casi - in Colombia, ma non solo - di repressione violenta di chiunque si opponga a questo fenomeno.
Quindi, dobbiamo non soltanto adottare nel nostro Paese una filiera corta con riferimento ai biocarburanti ma anche fare attenzione che all'estero una tale filiera venga promossa in maniera sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
La nostra politica estera può, altresì, condurre un'azione di monitoraggio del comportamento delle nostre grandi multinazionali (penso, ad esempio, all'ENI in Nigeria). Anche su ciò dobbiamo vigilare, affinché la sostenibilità passi non soltanto attraverso le politiche istituzionali e governative ma anche attraverso il mondo del business.
Devo dire che da questo punto di vista gli incontri che abbiamo svolto a Washington e a Berlino sono stati illuminanti e interessanti perché abbiamo registrato una vasta partecipazione del mondo del business: dalla BP alla Vattenfall, alla Duke Energy. Prossimamente si arriverà anche ad avere la partecipazione del mondo dei trasporti, dal quale, devo dire, è stato espresso un consenso che sarà sicuramente di grande aiuto.
Permettetemi di esporre due ultime questioni. La prima riguarda il WTO e tutta la vicenda del commercio estero, che deve assolutamente essere presa in considerazione: la necessità di un commercio equo e solidale deve diventare non soltanto un interesse di nicchia ma anche una strategia globale.
In secondo luogo, qualunque ministero nel nostro Paese potrebbe adottare una politica di green procurement ovvero di acquisti verdi. Pensiamo al vasto patrimonio edilizio o ai trasporti o all'uso della carta. Non sarebbe male se tale condotta diventasse la cifra distintiva di tutti i ministeri italiani; ciò porterebbe sicuramente un contributo alla riduzione dei gas serra. Come lei ha detto, l'Italia è in terribile ritardo, il fattore tempo ci è nemico, quindi anche quella che può sembrare una piccola goccia verde, in realtà, sommata a tutte le altre, potrebbe dare un grande contributo.

FRANCO STRADELLA. Sono reduce da una missione internazionale che potrebbe smorzare un po' gli entusiasmi della collega Francescato. Siccome non sono un tifoso dei cambiamenti climatici, faccio prima ad osservare che su quanto detto dalla collega Francescato nutro taluni dubbi che tralascerò di esprimere in questa sede.
Voglio intanto ringraziare il sottosegretario Craxi per la sua relazione e avanzare un suggerimento alla luce di quanto ho appreso nei due giorni nei quali si è svolto l'incontro tra il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali sul futuro dell'Europa e quindi sul tema dei nuovi trattati. Sono stato informato, in quella sede, del fatto che non esiste una base giuridica all'interno dei trattati in vigore che possa essere utilizzata nel campo dell'energia e, quindi, del problema delle variazioni climatiche.
Il Governo italiano ha una particolare sensibilità su questo tema; nel nostro Paese esistono correnti di pensiero molto forti e sensibili su tale questione e, immagino, delle soluzioni, che però devono essere condivise. Tuttavia, da quanto ho potuto capire dagli interventi svolti nell'incontro citato, vi sono problemi enormi da superare: anzitutto, molti Paesi, tenendo anche conto del fatto che qualche Stato ha già «consumato» e quindi adesso dovrebbe fare qualche sacrificio, hanno come obiettivo la crescita e lo sviluppo. Questa è la teoria minimalista espressa in alcuni interventi.
Anche all'interno dell'Unione europea non c'è uniformità di intenti e di comportamenti, e soprattutto manca lo strumento giuridico per intervenire in questo


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senso. È stata nominata una Commissione sull'ambiente e sull'energia, presieduta da un italiano, Sacconi, che è intervenuto più volte. Credo, però, che l'attenzione del Ministero degli affari esteri su questa partita debba essere continua per evitare di intraprendere fughe in avanti che, tutto sommato, potrebbero penalizzarci e porre le nostre aziende in difficoltà.
Una settimana fa sono stato a Minsk, in Bielorussia, dove abbiamo visitato una centrale a biomasse (ho anche le fotografie, che poi consegnerò al presidente). Alla nostra domanda se avessero fatto la conferenza dei servizi ci hanno risposto che non sapevano cosa fosse. Quando glielo abbiamo spiegato - è l'accordo con le popolazioni - ci hanno detto che le popolazioni non potevano che essere contente, dal momento che avrebbero avuto l'acqua calda.
Il problema è anche quello di alleggerire la legislazione interna, per evitare che ogni cambiamento di strategia, di regole, di procedure debba impattare con una legislazione confusa e opprimente.
La collega Francescato ha parlato dei biocarburanti. Benissimo, ma voglio vedere che cosa ci diranno quando si saprà che la maggiore produttività di biocarburanti è data da organismi geneticamente modificati. Quelli normalmente sul mercato, infatti, danno una resa molto bassa.
Credo che al sottosegretario Craxi dobbiamo suggerire di rapportarsi in modo continuo con l'Europa per evitare, da parte nostra, fughe in avanti e per riservare, all'interno dei nuovi trattati, una particolare attenzione a questo problema. Infatti, si tratta comunque di un impegno che l'opinione pubblica, a parte gli scettici come me, condivide. La decisione va assunta tenendo conto delle conseguenze che essa comporta e della generalizzazione dell'accordo che non è evitabile.

PRESIDENTE. Onorevole Stradella, il ruolo degli scettici è fondamentale nell'affinare le risposte.
Vorrei porre rapidamente un quesito. La collaborazione, alla fine, c'è; giustamente si è fatto riferimento ad un ruolo più attivo dei Parlamenti in materia, ma questo ovviamente dipende anche dalla sensibilità dei Governi nel coinvolgere i Parlamenti nei vari passaggi negoziali che si svolgono a livello internazionale. Al riguardo, pur non dovendo sottolineare vulnus particolari da questo punto di vista, sarebbe opportuno vi fosse un'attenzione costante al coinvolgimento pieno del Parlamento, talvolta anche in sede preventiva, nei passaggi internazionali rilevanti. Credo che questo potrebbe contribuire a coinvolgere tutto il Paese nella direzione intrapresa.
Do la parola al sottosegretario Craxi per la replica.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Avete fatto sicuramente bene a sollecitare un'audizione, ma specifico che le competenze in materia di ambiente sono suddivise fra diversi dicasteri. Noi abbiamo il compito di rappresentare il nostro Paese negli organismi multilaterali più importanti. Ho cercato sinteticamente di fare un rapido excursus sulle nostre presenze all'interno di questi organismi, e ne ho dimenticate diverse. L'onorevole Francescato ha fatto riferimento al WTO; in particolare, il negoziato sui beni ambientali si esercita nell'ambito del cosiddetto Doha Round, dove non solo siamo presenti, ma stiamo anche seguendo da vicino questi negoziati appunto sui beni ambientali e sull'eliminazione delle barriere tariffarie.
In tal senso, non voglio essere presuntuoso ma vi rimando al testo della relazione dove sono contenute alcune specificazioni che rendono più evidente l'impegno complessivo del nostro Paese nei diversi settori, e non soltanto a livello governativo. Da tale punto di vista, emerge la forte necessità di evidenziare e valorizzare il lavoro che il Governo svolge, che è un lavoro comune e persegue obiettivi strategici assolutamente comuni anche ai Parlamenti, anche alla nostra rappresentanza parlamentare in Europa.
L'onorevole Francescato ha sollevato tre questioni. Alla prima ho cercato di rispondere dicendo qual è la nostra sensibilità.


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Per quanto riguarda l'azione di monitoraggio del comportamento delle nostre multinazionali, faccio soltanto notare che si tratta di aziende a partecipazione pubblica (in particolare, l'Ente nazionale idrocarburi, che si chiama così fin dai tempi in cui non eravamo ancora nati). Effettivamente, da questo particolare punto di vista, esse sono «irresponsabili», nel senso che non rispondono né al Parlamento né al Governo.
Per le vicende di carattere ambientale, sarebbe tuttavia utile che la Commissione ambiente le ascoltasse intanto sull'utilizzo delle nuove tecnologie, delle biomasse, sull'impatto sociale che questo determina, sul mantenimento dei valori di emissione nei Paesi dove esse sono presenti. Sollecito anzi una tale evoluzione in quanto utile sul piano parlamentare e sul piano politico.
Per quanto riguarda la strategia di intervento nel segmento della cooperazione, quello che viene definito comunemente sviluppo sostenibile, è ben chiaro - senza essere oppositori della globalizzazione per partito preso - che non è possibile pensare che i Paesi in via di sviluppo possano inseguire un modello di sviluppo identico al nostro. È questa la ragione per la quale dobbiamo non soltanto puntare sulla riduzione delle emissioni e fare leva sulla nostra pressione politico-diplomatica sulle grandi nuove realtà economico-industriali, ma anche evitare che lo «sviluppismo» finisca per influenzare anche queste aree del pianeta, dove inevitabilmente ci ritroveremo in una situazione di grandissima difficoltà: da una parte una crescente siccità e, dall'altra, uno sviluppo industriale incompatibile con l'ambiente, ma soprattutto insostenibile.
Attraverso una nuova cooperazione - nuova perché questo Governo ha aumentato, sia pur di poco, il volume di investimenti rispetto alla recente esperienza del Governo di centrodestra - abbiamo concentrato la nostra azione sulle nostre attività economiche e soprattutto sul piano umanitario. Non è un caso - anche se ciò esorbita alquanto dalle tematiche di competenza della Commissione ambiente - che in occasione del recente G8 abbiamo aderito al programma di intervento contro l'AIDS che, in parte, esaurirà le risorse della nostra cooperazione, e sarà un intervento squisitamente di carattere umanitario.
Noi lavoriamo affinché ciò possa costituire l'obiettivo comune: una cooperazione che tenga conto soprattutto dei fabbisogni più emergenti e più urgenti.
Ritengo che si dovrebbe tenere sotto controllo la vicenda dei cambiamenti climatici. Soprattutto, credo che si debba utilizzare l'attività parlamentare per promuovere atti parlamentari impegnativi (auspicabilmente bipartisan) come, grosso modo, è avvenuto nel campo dei diritti civili, dove il Parlamento nel suo insieme ha trovato una forma di convergenza politica. Ciò, a mio avviso, sarebbe molto importante - del resto, è un tema trasversale per eccellenza - e rafforzerebbe non poco l'attività del Governo.
In questo senso, onorevole, rispondo anche alla sua sollecitazione sulla questione se possa esserci una reciprocità; ebbene, questa va ricercata e sollecitata nelle forme più compatibili e più vantaggiose. In questo caso ritengo utile che l'Assemblea parlamentare concluda il proprio lavoro con l'approvazione di un documento unanime e che magari proprio tale atto possa essere il documento con il quale noi ci presenteremo e parteciperemo alla futura Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Per quando è prevista la convocazione di questa seduta dell'Assemblea?

PRESIDENTE. Per i primi di luglio, probabilmente. Il documento sarà definito entro la fine di giugno, in quanto siamo in attesa anche dei contributi delle varie Commissioni parlamentari per «vararlo», realisticamente, attorno al 25, 26 giugno.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Esprimo un suggerimento ad alta voce. Come sapete, abbiamo in animo di ospitare addirittura in Italia il Consiglio di sicurezza sotto la


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nostra Presidenza. Ebbene, ci preme che nell'agenda del Consiglio sia inserito un tema politico, rispetto al quale auspichiamo che il Consiglio di sicurezza non si riduca a riunirsi soltanto per mantenere le cose così come sono, ma raggiunga possibili risultati.
È vero che il Consiglio di sicurezza si è già riunito sul climate change, ma si potrebbe inserire anche questa tematica un anno dopo; se il Parlamento italiano suggerisse, stimolasse e spingesse il nostro Paese a fare propria la tematica, ciò rafforzerebbe - e non di poco - il ruolo dell'Italia su un tema così importante e fondamentale.
Lo dico in questa sede perché ritengo che la fonte primaria di legittimazione per un Governo derivi dal fatto che i parlamentari spingono il Governo stesso verso una direzione. Questo potrebbe essere di grande utilità, vista la sensibilità comune sul tema che abbiamo sviluppato oggi pomeriggio, mi pare con lecita e legittima passione e con chiaro interesse.

PRESIDENTE. Credo che la Commissione affari esteri non mancherà di sollecitarci in questa direzione. Ringrazio ancora il sottosegretario e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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