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COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di venerd́ 14 luglio 2006


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Audizione di rappresentanti del CNEL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis del regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti del CNEL.
Vorrei scusarmi per il fatto che ieri, essendo contestualmente convocata l'Assemblea, abbiamo dovuto interrompere l'audizione del ministro: vedremo di completarla nei prossimi giorni, anche per dare una risposta alle domande rimaste in sospeso.
È stato distribuito un calendario relativo alle audizioni previste in data odierna, che contiamo di completare in giornata. Peraltro, l'intero pacchetto delle audizioni previste, presumo si concluderà entro la mattinata di martedì.
Detto ciò, rivolgo un saluto al presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, professor Antonio Marzano, che conosciamo bene per essere stato parlamentare e ministro stimato da tutti. Lo invitiamo ad offrirci le sue riflessioni sul documento di programmazione economico-finanziaria ed anche a fornirci qualche consiglio in qualità di presidente di un organismo costituzionale.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Signor presidente, rivolgo un saluto a tutti i presenti (stavo per dire «colleghi», poiché ricordo la fase della mia vita in cui ero parlamentare).
Esporrò, in modo sintetico, il punto di vista della I commissione del CNEL. L'assemblea si terrà nel corso della prossima settimana: infatti, i tempi di convocazione della stessa non hanno coinciso con quelli dell'audizione.
Il quadro dell'andamento tendenziale dell'economia e della finanza pubblica delineato dal Governo conferma la complessità della situazione in cui versa l'economia italiana, anche nell'ambito di quella europea. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo dovrebbe attestarsi, al pari del 2006, all'1,5 per cento e, poi, ridursi negli anni successivi.
Gli andamenti stimati per tutta la fase di previsione indicano un rapporto tendenziale deficit-PIL intorno al 4 per cento: è una previsione. Se essa dovesse essere confermata, ciò porrebbe l'Italia al di fuori dei parametri europei e la esporrebbe al giudizio negativo delle agenzie di rating.
Il CNEL ritiene che l'intenzione del Governo di agire simultaneamente sui tre fronti dello sviluppo, del risanamento e dell'equità sia da condividere, ed è d'altronde difficile immaginare che, da qualsiasi parte, anche politica, si possa discutere


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sull'opportunità di perseguire lo sviluppo, il risanamento e l'equità. Le misure che verranno assunte con la prossima legge finanziaria dovranno però fornire una prova concreta di questa intenzione.
Come affermato negli orientamenti per l'elaborazione del DPEF approvati dal CNEL (che ha espresso un parere prima della formazione di tale documento ed un altro ex post), oggi, nessuna politica dei due tempi è più possibile. Cruciali, dal punto di vista dello sviluppo, saranno le riforme sul mercato dei beni e dei servizi delineati nel DPEF, volte a innalzare il tasso di crescita della produttività, fondamentale, a sua volta, per innalzare anche il salario reale e rendere più competitivo il sistema. In questo contesto deve muoversi l'annunciata riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese e dei lavoratori.
Il CNEL, in coerenza con quanto affermato negli orientamenti approvati nel suo precedente documento, condivide sostanzialmente l'obiettivo di ridurre l'ampiezza dei settori protetti e privi di concorrenza, che deprimono il livello del PIL potenziale del paese. Si tratta (dopo i primi interventi disposti con il noto decreto-legge) di muoversi con decisione sulla strada sollecitata dall'Unione europea e dall'Antitrust nei settori più importanti - quelli dei servizi pubblici locali e delle telecomunicazioni - e di proseguire nella liberalizzazione già avviata nel settore dell'energia. Questa è la condizione per rilanciare la politica delle privatizzazioni.
Il CNEL, nel testo iniziale, che ho già richiamato, ha indicato alcune linee di intervento, che riassumo per ragioni di tempo. Bisogna prevedere - dice il CNEL - misure e provvedimenti per soddisfare queste esigenze: fondi per la ricerca e per lo sviluppo, che incentivino la collaborazione fra imprese, istituzioni di ricerca e università e centri di ricerca, orientati verso aree ben delineate e coerenti con le piattaforme tecnologiche attivate a livello europeo; agevolazioni fiscali automatiche per gli utili reinvestiti in ricerca e sviluppo e per l'assunzione di ricercatori; incentivi all'accesso di capitali a rischio, anche attraverso la reintroduzione della dual income tax; agevolazioni fiscali alla crescita dimensionale delle aziende, incentivando fusioni, acquisizioni e joint venture.
Quanto alle infrastrutture: realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali prioritarie, con particolare riguardo alle infrastrutture portuali. A tale riguardo, ho notato che manca una tabella sulla programmazione degli investimenti: ritengo sarebbe opportuno predisporne una.
A proposito del comparto portuale, segnalo che in Italia si intravedono prospettive molto importanti. Ritengo assurdo (questa è una considerazione personale) che navi provenienti dall'Asia debbano necessariamente arrivare a Rotterdam - o giù di lì - quando invece, a seguito dell'apertura del canale, sarebbe anche economicamente più conveniente giungere nei porti della nostra penisola, sempre che siano opportunamente attrezzati.
Occorrono, inoltre: un'azione per l'innovazione ecologica in direzione della sostenibilità ambientale ed energetica quale elemento di orientamento e qualificazione degli interventi nel campo della struttura produttiva, della tecnologia, dell'istruzione e della ricerca; incentivi fiscali e ambientali per chi abita in prossimità delle centrali da costruire; garantire continuità alle politiche di riequilibrio territoriale, sia assicurando la costanza del rifinanziamento del fondo aree sottoutilizzate e del fondo rotativo per il cofinanziamento dei fondi strutturali, sia confermando gli obiettivi programmatici di spesa in conto capitale del Mezzogiorno (45 per cento del totale). Infine, occorrono misure che tengano conto complessivamente dell'andamento del potere d'acquisto dei redditi da lavoro e delle pensioni, anche per effetto del fiscal drag.
Perciò il CNEL ribadisce l'importanza delle anzidette 12 linee di intervento e, sostanzialmente, condivide le indicazioni del DPEF per quanto riguarda specificamente la ricerca, lo sviluppo, il capitale umano, la dimensione delle imprese, le


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infrastrutture. Rivolge, però, un invito a concentrare le scarse risorse disponibili sulle priorità da realizzare con maggiore intensità nel Mezzogiorno e nelle aree depresse.
Il CNEL ribadisce la necessità di una forte iniziativa per sostenere, presso la Commissione europea, l'introduzione di una fiscalità di vantaggio volta a promuovere gli investimenti nel Mezzogiorno. Mi sia consentita, a questo punto, una considerazione personale. Con l'ingresso di nuovi paesi nell'Unione europea - ormai siamo a 25 e, forse, arriveremo a 27 in tempi non troppo lontani - ciascuno di essi porta il proprio PIL pro capite. Ciò significa che il PIL pro capite dell'Unione europea si ridurrà, essendo il risultato della media dei PIL pro capite dei vari paesi. Verrà un giorno in cui, per effetto di questa tendenza statistica, il PIL pro capite del Mezzogiorno sarà, grosso modo, pari al PIL pro capite europeo. A quel punto, i fondi strutturali europei difficilmente potranno essere destinati al sud. A maggior ragione, bisogna battersi, in sede europea, per ottenere una fiscalità di vantaggio per il sud.
Il CNEL riafferma, inoltre, la necessità di porre attenzione alla politica ambientale. Esistono serie preoccupazioni connesse al trattato di Kyoto. Noi non stiamo raggiungendo le quote prefissate dal trattato, ed è diffusa la valutazione che l'onere sulle imprese italiane derivante da quegli impegni sarà particolarmente elevato. Probabilmente, ciò fa pensare all'opportunità, in sede europea, di riesaminare quegli impegni.
Riguardo ai conti pubblici, la sostanziale riduzione dell'avanzo primario e la prospettiva di un aumento dei tassi d'interesse implicano una correzione degli andamenti di finanza pubblica. A questo risanamento deve concorrere un sistema fiscale più equo, che riduca drasticamente la possibilità di pratiche elusive e contrasti l'evasione.
È importante procedere in questa direzione ed è anche auspicabile che, in sede di conversione del decreto-legge, si proceda, come proposto dal CNEL, ad armonizzare con le normative europee i trattamenti fiscali delle rendite e delle attività speculative.
Nel breve periodo, l'aumento del gettito tributario, insieme al taglio della spesa pubblica inefficiente delle amministrazioni centrali e locali, dovrà sostenere una parte consistente del risanamento e finanziare la riduzione del cuneo fiscale. La correzione delle tendenze strutturali della spesa pubblica relativa ai comparti degli enti locali, del pubblico impiego, della sanità e delle pensioni non potrà che avvenire, infatti, con gradualità. La spesa sociale non è, necessariamente, un freno allo sviluppo. Se strutturata in forme moderne ed efficienti - come, in special modo, insegna l'esperienza dei paesi del nord Europa - può rappresentare anche un importante fattore di coesione e, quindi, avere effetti positivi sulla crescita.
Le misure di riforma, così come quelle di sviluppo, andrebbero individuate - secondo quanto sostiene il CNEL - con la pratica della concertazione, pratica che, finora, non si è manifestata con sufficiente forza. Il CNEL sollecita un'approfondita fase di concertazione, per definire gli interventi da adottare con la legge finanziaria per il 2007.
Sono necessari alcuni interventi sui grandi comparti di spesa. Le indicazioni del CNEL in materia di politiche per l'invecchiamento attivo e per la non autosufficienza degli anziani ed il rilancio del tema dell'efficienza e della produttività della pubblica amministrazione possono rappresentare un'importante base su cui costruire, attraverso la concertazione, misure strutturali condivise.
Il numero dei dipendenti pubblici in Italia non è dissimile da quello degli altri paesi. Però, resta un differenziale negativo in termini di produttività ed efficienza della pubblica amministrazione su cui si può e si deve intervenire.
Per quanto concerne il capitolo degli enti locali, in particolare, il CNEL si riconosce nella proposta di un nuovo e più rigoroso patto di stabilità interno. Questa proposta - anch'essa avanzata nel precedente documento del CNEL - mette in


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evidenza la necessità di superare, con l'approvazione di una legge sul federalismo fiscale, il disaccoppiamento fra le funzioni trasferite a regioni ed enti locali e il relativo finanziamento.
Un miglioramento incisivo dei saldi realizzato attraverso gli interventi già evocati per aumentare le entrate - elusione, evasione e armonizzazione fiscale -, ma anche con l'adozione di misure di riforma di medio e lungo periodo sul lato della spesa, può essere in grado di fornire solide e credibili garanzie all'Unione europea e ai mercati finanziari sul riequilibrio strutturale dei conti pubblici, rendendo possibile, quindi, una tempistica pluriennale di realizzazione degli obiettivi di reddito, sull'esempio di quanto è stato già fatto con la Germania.
Tale tempistica, ad avviso del CNEL, eviterebbe pericolose tensioni sociali, non deprimerebbe la modesta crescita in atto e creerebbe l'indispensabile contesto per un grande sforzo collettivo delle parti sociali e del Governo, capace di innalzare il PIL potenziale del paese.
Questi sono, in linea di massima, i consigli del CNEL. Se lei mi permette, signor presidente, vorrei cogliere questa occasione per segnalare a voi parlamentari, anche a titolo personale, alcune questioni. Una di queste, in particolare, potrebbe sembrare di carattere tecnico-statistico, ma riflette un dubbio che mi porto dietro da molto tempo. Noi continuiamo ad elaborare le statistiche a livello macronomico, come se l'economia nazionale fosse chiusa ai mercati esteri. Ad esempio, il PIL si riferisce al valore prodotto sul territorio nazionale, e lo stesso vale per le altre grandezze. Mi sono spesso domandato se, in tempi di globalizzazione, questo modo di impostare le rilevazioni sia ancora valido o sufficiente.
Mi spiego meglio. Se imprese italiane si delocalizzano e una parte del prodotto delle stesse viene realizzato in altri paesi, quello non è PIL italiano: sarà prodotto interno lordo di altri paesi, ma vorrei sottolineare che si tratta pur sempre di valore aggiunto riferibile ad imprese italiane. Lo stesso si può dire a proposito della creazione di posti di lavoro, delle esportazioni, e via dicendo. Le imprese italiane che decidono di produrre, ad esempio, in Romania, sicuramente esporteranno da quella nazione. Sono esportazioni della Romania, ma sono anche esportazioni delle imprese italiane.
Se ci fosse un numero grosso modo equivalente di imprese estere che si stabilissero in Italia, le due voci si eliderebbero. Tuttavia, la mia sensazione è che sono più le imprese italiane che si delocalizzano altrove, che non le imprese estere che si stabilizzano in Italia. Se la cosa fosse ritenuta interessante, sarebbe molto utile proporre all'ISTAT di affiancare, alla contabilità nazionale, come tradizionalmente intesa, anche una contabilità che tenga conto del fatto che siamo in un'epoca di globalizzazione.
Sempre sul piano personale, se mi è consentito (ma l'occasione è troppo ghiotta per non farlo!), vorrei esprimere qualche altra considerazione. Il PIL cresce ad un tasso di sviluppo modesto. Considerando le grandezze del sistema bancario, si registrano un credito che cresce (c'è, infatti, molta liquidità), tassi di interesse abbastanza modesti, ROE bancari che migliorano nel tempo. Vi è, quindi, una situazione che agli occhi di un economista appare un po' strana: un sistema bancario che cresce, credito alle imprese che cresce, tassi di interesse non troppo alti; ma tutto questo sembra non avere impatto sul PIL.
Il credito è ininfluente sul PIL? Si pone, allora, il seguente problema: che tipo di credito prevale? Forse, quello finalizzato a finanziare acquisizioni e passaggi di proprietà tra le imprese, più che il credito volto a creare un allargamento della base produttiva. Questi non sono solo i miei dubbi, ma anche quelli del CNEL. So bene di essere qui come presidente del CNEL, ma vorrei far presente che sono anche un economista con una propria autonomia. Credo che sarebbe utile per il paese che le Commissioni competenti e il Parlamento sviluppassero qualche approfondimento su queste materie.


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PRESIDENTE. Grazie, presidente, sia per le considerazioni ufficiali ed istituzionali, sia per quelle, altrettanto interessanti, di natura personale.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GASPARE GIUDICE. Presidente Marzano, innanzitutto, la ringrazio per il contributo importante del CNEL, ma anche per i suoi suggerimenti finali.
Vorrei sottoporle alcune questioni di principio più generali. La prima: considerata la velocità con cui agiscono i fenomeni macroeconomici (oggi i relativi dati non vengono forniti dai singoli Stati membri, ma da Ecofin, quindi sono validi per tutta l'Europa) vorrei interrogarla sulla opportunità o sulla vetustà dello strumento del DPEF.
Ieri abbiamo ascoltato la relazione del ministro. Devo dire che, più che un programma politico, mi è sembrata una lezione di economia, che avrei potuto ricevere anche all'università, non già in un Parlamento, dove ci si aspetta qualcosa di diverso, ossia il progetto di un Esecutivo per affrontare le diverse problematiche. Ciò mi porta a chiedere se il DPEF non sia oggi uno strumento quasi inutile.
In secondo luogo - entro nel merito del DPEF - certamente, come lei ha detto, non esiste soggetto politico che oggi non possa condividere il giusto messaggio contenuto nelle parole «sviluppo, risanamento, equità».
La domanda che oggi ci si pone è la seguente: assisteremo, con la prossima legge finanziaria, all'introduzione di strumenti che permetteranno lo sviluppo, il risanamento e l'equità? Sugli obiettivi di base da perseguire credo che possa esserci solo condivisione. Ciò che mi preoccupa, in questo documento, è l'assenza di un progetto serio riguardante il mercato del lavoro.
Non possono esservi, a mio avviso, né sviluppo, né risanamento, né equità, se non si assume una posizione chiara su cosa si intende fare della legge Biagi e su quali interventi si possono attuare nel mercato del lavoro.
Proprio sul mercato del lavoro vorrei sentire il suo pensiero.

PRESIDENTE. Approfitto anch'io dell'occasione ghiotta di avere in questa sede il massimo rappresentante del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Come ho detto nell'introduzione, si tratta di un organo costituzionale, quindi di particolare pregnanza, del quale mi auguro una valorizzazione progressiva nel nostro paese.
Vorrei porre anch'io qualche domanda, sia pure utilizzando un tempo limitato, poiché il nostro calendario dei lavori è molto stringente. L'audizione di oggi, sua e di altri interlocutori, riguarda il documento di programmazione economico-finanziaria. Al di là delle opinioni circa il contenuto o l'astrattezza del documento, a me premerebbe avere da lei un'opinione in ordine alle modalità con cui costruire una visione, definire un approdo, in relazione al quale possono esserci misure più o meno condivisibili.
Le chiedo se, sulla base di un'analisi un po' schumpeteriana (essendo un economista, sa a cosa mi riferisco), il problema relativo alla produttività del nostro sistema non sia innanzitutto un problema di nuovi prodotti e nuovi mercati, considerando anche l'estenuazione, per non dire l'obsolescenza, dei tradizionali settori che nel nostro paese hanno qualificato la crescita produttiva.
La mia domanda è se, in sede CNEL, vi sia una riflessione sull'esigenza di lavorare sul numeratore - e non solo sul denominatore - dell'indice di produttività. Ovviamente, mi riferisco non solo alla produttività del lavoro, ma anche alla produttività totale dei fattori.
Chiedo, altresì, se in questa analisi esista (qualora non sia così, le domando se lei ritenga che debba esistere) un approfondimento rispetto a quello che mi sembra stia diventando il nuovo vincolo dell'economia italiana, ossia una produttività bassa per troppi anni. Insomma, le chiedo se lei ritenga che esista l'opportunità di indagare anche su quella che dovrebbe essere la nostra peculiarità nazionale, ossia


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il talento immaginativo-imprenditoriale, ovviamente da sostenere. Questa è una domanda che attiene alle politiche pubbliche possibili.
Lei ha accennato al discorso della fiscalità di vantaggio, con riferimento al rischio che l'abbassamento del prodotto interno lordo pro capite a livello europeo influenzi inevitabilmente in modo negativo i fondi strutturali, in particolare per il sud.
Noi, a livello globale, competiamo con paesi che localizzano le proprie imprese sul nostro territorio così come le nostre aziende si stabilizzano altrove: quindi, la sfida si gioca sulla frontiera dell'eccellenza. Lei non ritiene che questa politica di sostegno, anche a livello comunitario, debba interessare contestualmente sia le aree cosiddette depresse (Obiettivo 1, per intenderci), sia, in misura consistente, anche le aree di eccellenza? L'eccellenza non si conquista una volta per tutte. Quindi, c'è il rischio che, pur trovandoci oggi sulla frontiera dell'eccellenza, domani potremmo venirne fuori. Tuttavia, non solo non mi pare che esista una riflessione o una considerazione sostanziale in merito alle politiche da metterete in campo, ma mancano anche le risorse necessarie rispetto a questa seconda tranche.
Dottor Marzano, lei ha accennato all'esigenza di qualificare la pubblica amministrazione per quanto attiene al discorso dell'efficienza e della produttività. Questa è un'antica questione nel nostro paese. Vorrei sapere se, in termini di pars costruens, non solo di enunciazione del problema, esista qualcosa in sede CNEL. Insomma, vorrei sapere se, essendo questo un organismo che esiste per definizione per dare dei consigli (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro), si abbia l'intenzione di avviare una riflessione seria, lo ripeto, in termini di pars costruens, che non faccia solo la diagnosi - il nostro paese è pieno di diagnosi, ma mancano le terapie -, ma individui un percorso che conduca la pubblica amministrazione all'obiettivo di concorrere alla crescita del nostro paese.
Infine, last but not least, convengo con lei su quanto ha affermato - sia pure come opinione personale - circa l'opportunità di riflettere sul PIL, in questo scenario che sta cambiando. L'idea di una contabilità nazionale parallela, di cui lei parlava, m'intriga, se posso usare questo termine. Credo che sia una questione da risolvere innanzitutto a livello teorico o in qualche sede separata.
Intanto, la ringrazio per questa osservazione, che riprenderemo nelle sedi proprie e di cui faremo tesoro. Allo stesso modo, credo che dovrebbe diventare oggetto di una discussione pubblica il tema della dissociazione, per non dire schizofrenia, per cui abbiamo un credito che vede crescere i mondi, appunto, del credito, ma senza che ci siano legami intuibili in modo serio con il tema dello sviluppo; insomma, quasi una sorta di autoreferenzialità.
Visto che abbiamo l'occasione di sentire anche l'ABI, porremo anche in quella sede la questione, in termini costruttivi, per riprenderla in altre occasioni.
La ringrazio per avere confortato la nostra riflessione su queste importanti problematiche.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Grazie a lei, presidente. Cercherò di rispondere alle domande non facili che sono state poste. La prima riguarda le previsioni macroeconomiche. Prima ho sostenuto che il PIL prodotto dalle imprese italiane non è necessariamente il PIL dell'Italia come territorio. Le mie perplessità riguardano anche le previsioni del PIL, la cui validità è molto diversa, a seconda che siano fatte in un paese chiuso agli scambi con l'estero e, quindi, sotto il controllo del Governo o dei vari livelli di Governo, o in un paese con le frontiere aperte come è il nostro.
In un paese con tali caratteristiche, che grado di verosomiglianza possono avere le previsioni sul PIL? Su un paese aperto come il nostro arrivano «asteroidi» e «meteoriti» dal resto del mondo. Penso, ad esempio, al fatto che ieri il prezzo del petrolio è arrivato a 76 dollari al barile, una cifra pazzesca, ma anche alle incertezze politiche internazionali, e via dicendo.


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Tutti questi fattori non sono prevedibili, comunque non sono sotto il controllo dei Governi nazionali, e alterano in modo molto significativo l'andamento del PIL.
Direi che, oggi, le cosiddette previsioni sul PIL sono più ipotesi che previsioni vere e proprie. Tuttavia, di ipotesi abbiamo bisogno: una rotta va pur tracciata, quindi ci si affida alle ipotesi. Devo dire che gli economisti - lo dico come appartenente alla categoria -, in questo contesto di globalizzazione e di un'economia aperta agli impulsi che provengono da tutte le parti del mondo, spesso non indovinano le previsioni sul PIL. Qualche ipotesi, però, bisogna pur farla.
Sull'utilità del DPEF non saprei esprimere un'opinione. So che molti economisti, intervenendo anche attraverso la stampa, si sono chiesti se il documento di programmazione economico-finanziaria serva davvero. Il problema, a mio avviso, è il rapporto tra il DPEF e la finanziaria. Il DPEF, oggi come oggi, mi sembra un documento in cui sono rappresentati gli obiettivi che si vogliono raggiungere, più che i modi analitici in cui intervenire, che poi emergono, invece, in sede di finanziaria. Molti si chiedono perché produrre ancora il DPEF e ritengono che lo strumento importante sia la finanziaria. Su questo, comunque, non saprei esprimere un giudizio.
Sul mercato del lavoro, anticipo che, tra qualche giorno, probabilmente il 20 di questo mese, sarà pronto il rapporto del CNEL - signor presidente, se lei lo ritiene possiamo inviarlo a questa Commissione - nel quale troverà le valutazioni che mi sono state chieste.
Come dicevo, oggi gli economisti hanno difficoltà a fare previsioni. È sufficiente che voi vi muniate delle tavole in cui si confrontano le previsioni dei vari istituti e osservatori anche internazionali per notare numerose difformità. Se prendete, ad esempio, la tavola in cui si confrontano le previsioni con il consuntivo, noterete gravi difformità.
Ribadisco, dunque, che si tratta di ipotesi più che di previsioni nel senso tradizionale del termine, data l'imprevedibilità degli impulsi esogeni che arrivano alle economie nazionali aperte. Allora, cosa diventa più importante? Direi che il contributo principale degli economisti non è tanto sulle previsioni, quanto su come intervenire sui fondamentali dell'economia.
L'attenzione degli economisti si è spostata più su ciò che sappiamo per certo di dover fare. Il PIL ne beneficerà, ma non è detto che ne benefici nella misura dell'1,5 per cento, poiché questo dipende anche da altre circostanze.
Il contributo maggiore degli economisti credo che riguardi le politiche supply side, ossia le politiche dal lato dell'offerta, sui fondamentali dell'economia. Su quelle occorre soffermarsi più che sulle previsioni, che sono in realtà mere ipotesi.
Mi è stata rivolta una domanda sul miglioramento della competitività. Spesso diciamo, con ragione, che abbiamo troppo poche imprese di grandi dimensioni. Questo è vero, occorrono imprese di grandi dimensioni. Tuttavia, faccio notare che ci sono regioni italiane che sono state trasformate dalle piccole e dalle medie imprese. Il Veneto, non dimentichiamolo, era terra di emigrazione, così come le Marche. Ebbene, in quelle regioni la trasformazione è avvenuta grazie alle piccole imprese. Siamo d'accordo che servano anche le grandi imprese, ma storicamente il contributo dato dai piccoli imprenditori non può essere accantonato come irrilevante.
Avete ragione: i fondi europei non dovrebbero essere limitati soltanto alle zone in ritardo, ma si dovrebbe puntare molto sulle politiche rivolte a quelle zone.
Signor presidente, lei ha richiamato correttamente il problema della produttività, un problema di qualità e di innovazione del prodotto. Questo è tanto vero che, nella mia precedente esperienza, ho visto una delle principali imprese di questo paese in crisi fino a quando non ha introdotto nuovi modelli di prodotto. Il mercato non chiedeva e non assorbiva; ci fu persino un intervento, quello della rottamazione, chiaramente rivolto a sostenere


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questo settore in crisi. Tuttavia, poiché il settore produttivo italiano non aveva i modelli che il mercato chiedeva, quell'intervento in larga parte si risolse a favore di imprese estere, che invece avevano quei modelli. Quell'impresa ha creato nuovi modelli e adesso sta crescendo rapidamente. Non so se si possa dire che ha risolto tutti i suoi problemi, ma la risposta è nei prodotti che il mercato cerca, nei prodotti di eccellenza.
Questa considerazione vale per tutti i settori. Se vogliamo competere sul costo, non ce la faremo. Si prenda il turismo: non ha senso, su una spiaggia dell'Adriatico, continuare ad offrire un servizio turistico con qualità equivalente a quello delle spiagge dirimpettaie di altri paesi, ma a costi più alti. Il nostro turismo deve essere storico, culturale, oppure una combinazione dei vari tipi di turismo (sono circa una dozzina, e potenzialmente sono tutti presenti in Italia).
Per quanto riguarda le politiche della produttività, credo che sia molto importante monitorare il patto di Lisbona. La prossima settimana - lunedì o martedì prossimo, non ne sono sicuro - verrà al CNEL il ministro Bonino, per verificare fino a che punto gli obiettivi di Lisbona siano stati perseguiti.
Quanto alla pubblica amministrazione, abbiamo istituito un gruppo di lavoro, presieduto da Luca Anselmi, consigliere del CNEL, sui controlli di efficienza e di efficacia della pubblica amministrazione. Il lavoro è in progress, non è ancora definito, ma si sta andando avanti molto rapidamente.
Se posso aggiungere un'ultima considerazione, signor presidente, sono preoccupato per gli effetti che potrà avere Basilea 2, e credo che al riguardo bisognerebbe porsi qualche problema. In primo luogo, mi piacerebbe molto che ci fosse un'agenzia di rating italiana. Noi siamo un paese di piccole e medie imprese e conoscerne la situazione non è così facile quando si lavora da un punto di osservazione esterno. Credo, perciò, che un'agenzia di rating nazionale sarebbe un'iniziativa opportuna.
Per quanto riguarda il sud, ho sperimentato l'efficacia dei consorzi di garanzia fidi, quando ricoprivo una funzione diversa. Si potrebbe progettare un'agenzia di garanzia dei fidi per il sud, dove, come sapete, i tassi di interesse sono alti, a quanto dicono le banche, a causa del maggiore rischio. L'agenzia di garanzia dei fidi ridurrebbe il rischio, quindi questo sarebbe uno strumento da considerare nell'ambito della più complessiva politica per il sud.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente per le sue riflessioni e proposte. Speriamo di ricevere sempre più contributi dal CNEL, per la causa comune del bene del nostro paese.
Dichiaro conclusa l'audizione.

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