Commissioni Riunite III e IV - Resoconto di giovedì 6 luglio 2006


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SEDE REFERENTE

Giovedì 6 luglio 2006. - Presidenza del presidente della IV Commissione, Roberta PINOTTI. - Intervengono il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, e il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi.

La seduta comincia alle 8.50.

Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali.
C. 1288.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione e relatore per la III Commissione, nell'illustrare il provvedimento in titolo, sottolinea che esso è finalizzato a disciplinare la prosecuzione degli interventi di natura civile e militare che vedono l'Italia impegnata in diverse aree di crisi del mondo. Le missioni italiane all'estero operano nel quadro del principio, sancito dall'articolo 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e del principio, codificato nella Carta delle Nazioni Unite, che vieta l'uso della forza contro l'integrità di qualsiasi Stato e lo considera ammissibile solo se intrapreso per legittima difesa o su autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ritiene che, nel complesso delle missioni internazionali, l'azione concreta posta in essere dall'Italia è stata rivolta a favorire interventi di tipo umanitario, tesi al sostegno della ricostruzione civile ed istituzionale delle aree di crisi, anche al fine di garantire il rispetto degli accordi internazionali stipulati per porre fine a conflitti. È doveroso rimarcare che i militari italiani, impegnati nelle missioni all'estero, hanno lavorato ovunque duramente e si sono fatti apprezzare per dedizione e professionalità.
Formula l'auspicio che il confronto parlamentare sul disegno di legge in esame possa consentire un esame articolato delle


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diverse missioni ed una valutazione dei risultati ottenuti grazie alla presenza militare e civile italiana ai fini della pacificazione e della stabilizzazione di varie realtà, dai Balcani all'Afghanistan. In questo lavoro le Commissioni riunite avranno la possibilità di avvalersi degli elementi che potranno emergere dal ciclo di audizioni previste nel quadro dell'esame in sede referente.
Alla luce di tale premessa, ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni su aspetti di specifico interesse della III Commissione, oltre ad alcune riflessioni di politica estera connesse con la partecipazione dell'Italia a missioni internazionali.
Ricorda che, a partire dagli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la lotta al terrorismo internazionale è diventata una priorità per la comunità internazionale ed una sfida che, come è ovvio, non può essere affrontata unicamente dai singoli Paesi. La dimensione sovranazionale del fenomeno impone risposte che abbiano forza adeguata e che possano contare sulla legittimazione della comunità internazionale. In questo quadro il ruolo delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali, dell'ONU in primo luogo, diventa fondamentale.
A suo avviso, le sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nello scorso decennio contro alcuni Stati riconosciuti responsabili del sostegno a gruppi terroristici hanno avuto effetti non trascurabili se anche non hanno fermato le attività terroristiche, hanno reso per questi Stati più oneroso sostenerle. In generale, a partire dal 2001 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha elaborato una serie di misure volte a conferire una dimensione globale alla lotta al terrorismo internazionale.
Sembra giunto il momento tuttavia di dar luogo ad una riflessione sulla strategia di lotta al terrorismo che è stata adottata in questi anni. Si tratta della riflessione già in corso negli Stati Uniti e in Europa sui limiti, le contraddizioni, gli aspetti non sostenibili né accettabili nella strategia di lotta al terrorismo che ha prevalso in questi anni e che è sembrata esaurirsi in alcune fasi nell'uso della forza. L'intervento militare in Iraq, avviato sulla base di un'iniziativa unilaterale dagli Stati Uniti e che ha determinato una seria difficoltà nel tradizionale rapporto tra Europa e Stati Uniti, si è mosso in questa logica con le conseguenze che oggi si devono constatare per quanto concerne gli sviluppi della vicenda irachena e la repressione del terrorismo internazionale. Dovrebbe far riflettere che, a distanza di tre anni dalla deposizione di Saddam Hussein, il territorio iracheno è oggi più che mai teatro di azioni di gruppi terroristici che quotidianamente colpiscono obiettivi militari e civili.
Ritiene fondata la tesi, sostenuta anche negli Stati Uniti, per cui fu un errore aprire il fronte di guerra iracheno piuttosto che concentrare lo sforzo della comunità internazionale nella stabilizzazione dell'Afghanistan che, esso sì, aveva rappresentato con il regime moralmente indifendibile dei talebani un luogo di irradiamento della minaccia terrorista. I più attenti osservatori, sia in Europa che negli Stati Uniti, hanno avuto modo di segnalare la necessità di fronteggiare l'incremento delle centrali terroristiche con strategie comuni che collochino il ricorso legittimo alla forza in un quadro più ampio che riconosca la centralità degli strumenti della politica, della diplomazia e del dialogo culturale e interreligioso. Ecco perché la guerra in Iraq fu un errore.
Considera impossibile dimenticare come in questi anni si sia assistito ad una sostanziale inadeguatezza delle iniziative di politica internazionale capaci di prevenire l'insorgere di crisi come quelle - pure assai diverse fra di loro - dei Balcani o dell'Afghanistan. L'attenzione delle istituzioni sovranazionali e degli stessi organismi dell'Unione europea non è stata accompagnata a sufficienza da azioni concrete che potessero in qualche modo contribuire alla prevenzione dei conflitti e a individuare terreni di confronto politico e diplomatico, riducendo al minimo lo spazio di agibilità di interventi armati. Forse insufficiente è stata anche l'iniziativa politica nei confronti del mondo islamico


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moderato, che pure dovrebbe rappresentare l'alleato più importante nella lotta al terrorismo, giacché proprio i Paesi islamici sono stati più volte bersaglio di sanguinosi attentati da parte dei gruppi facenti capo Al Qaeda.
In questo quadro fa presente che è aperta negli stessi Stati Uniti la discussione intorno ai limiti di una visione che ha ritenuto che i processi di democratizzazione potessero essere promossi con l'uso della forza e con il cambio di regime forzato all'esterno. Non è in discussione l'obiettivo della democratizzazione. La questione è semmai tradurre una tale aspirazione in una strategia politica efficace che raccolga il consenso dei popoli. La democratizzazione delle aree di crisi resta un obiettivo nobile ma essa non può che essere il risultato di un processo complesso. Occorre rendersi conto che malcontento e disperazione possono provocare un'interpretazione estremistica della religione, che le sofferenze per la miseria e le preoccupazioni per il futuro possono spingere a rifugiarsi in una visione radicale dei precetti religiosi. Al fine di realizzare l'essenziale obiettivo della democratizzazione, la comunità internazionale e l'Occidente devono, a suo avviso, in questa fase concentrare i propri sforzi nella creazione di presupposti per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In questo contesto un ruolo cruciale può essere svolto dall'Unione europea che, nello sforzo teso a contrastare le minacce alla pace e alla sicurezza in questa parte del mondo, ha individuato come settori prioritari il potenziamento dello stato di diritto e il sostegno a progetti rivolti alla popolazione civile, nonché la cooperazione fra intelligence e forze di polizia. L'idea di sicurezza che l'Unione europea propugna nello scenario internazionale si fonda su una strategia do inclusione.
Fa presente che è in questo quadro che il disegno di legge in esame provvede a rifinanziare la partecipazione italiana alle missioni internazionali. Tra queste, particolare rilievo assume la prosecuzione dell'intervento in Sudan, nella regione del Darfur dove l'azione italiana è finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, in particolare nei campi profughi, mediante la cooperazione nel settore sanitario e in quello idrico nonché la fornitura di aiuti alimentari.
Nell'area dei Balcani - che costituisce da ormai molti anni una delle zone ove si è maggiormente realizzata la presenza italiana - va segnalato il finanziamento per la partecipazione ad un intervento deliberato dal Consiglio europeo in Kosovo (European Union Planning Team - EUPT). Vengono inoltre finanziate due nuove missioni: una in Congo, denominata EUFOR, a sostegno dell'attività degli osservatori dell'ONU, ed una in Palestina (EUPOL COPPS), in funzione di assistenza alla polizia civile palestinese.
Per quanto riguarda le missioni in Afghanistan, è noto che con la sconfitta del regime talebano si è aperta in quel Paese una fase di ricostruzione delle istituzioni e del tessuto sociale. Sarebbe impensabile tuttavia tacere delle difficoltà che si frappongono al processo di stabilizzazione. Vi sono zone del Paese ancora controllate da gruppi fedeli al precedente regime e permane una situazione di gravi difficoltà per la popolazione civile, soprattutto nelle regioni del Sudest dell'Afghanistan. Preoccupa che l'economia del Paese dipenda ancora per il 50 per cento del prodotto nazionale dalla produzione e dal traffico dell'oppio con ripercussioni che condizionano tutti gli aspetti della vita afgana. La verità è che ancora oggi senza il sostegno all'economia e l'aiuto militare proveniente dall'esterno l'Afghanistan precipiterebbe nell'anarchia e nella frammentazione.
Occorre riflettere, anche nelle sedi internazionali, sulle ragioni delle difficoltà insorte nel processo di stabilizzazione di questo Paese. Sarebbe impensabile non procedere a tale riflessione. Occorre un diverso equilibrio tra la presenza militare e gli interventi civili. Occorre, altresì, una riconversione dell'economia da attività illecite ad attività legali in grado di fornire un reddito. È indispensabile che le operazioni militari si svolgano ponendo maggiore


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attenzione alle conseguenze sulla popolazione civile. È necessario bandire la pratica di trattamenti disumani nei confronti dei prigionieri.
Ricorda che l'intervento italiano all'interno della missione ISAF si è articolato su diversi versanti: aiuti alimentari, supporto alle strutture sanitarie, reinserimento dei profughi, attività di sminamento. Particolarmente qualificato deve considerarsi il sostegno assicurato all'opera di consolidamento delle nuove istituzioni afgane, nell'ambito del quale va ricordato il ruolo primario assunto dall'Italia nella riforma del sistema giudiziario dell'Afghanistan. In questo contesto corrisponde agli obiettivi della comunità internazionale portare avanti un processo di stabilizzazione sempre più concentrato sul versante della ricostruzione del Paese. Appare pertanto coerente con tali obiettivi il mantenimento dell'impegno italiano che il disegno di legge sancisce autorizzando fino al 31 dicembre 2006 il rifinanziamento della partecipazione italiana alla missione ISAF e quello per la partecipazione alla missione multinazionale operante nell'ambito di Enduring Freedom.
Segnala che l'altra grande area di crisi è oggi costituita dall'Iraq, dove l'intervento militare del marzo del 2003, promosso dagli Stati Uniti, se ha portato al rovesciamento del regime di Saddam Hussein, ha aperto una fase di conflittualità fra le diverse comunità nazionali e religiose, che ha reso arduo il percorso verso la creazione di istituzioni democratiche. Le elezioni del 15 dicembre 2005 e la successiva formazione del Governo di unità nazionale costituiscono in ogni caso risultati importanti per il futuro dell'Iraq, sebbene il quotidiano susseguirsi di gravi attentati terroristici testimoni la fragilità dell'equilibrio politico ed istituzionale che si è determinato in tale Paese.
Diversamente da quello in Afghanistan l'intervento in Iraq non fu autorizzato dall'ONU ma ha avuto luogo sulla base di un'iniziativa unilaterale. Il nostro Paese non ha partecipato all'intervento militare ma nel mese di aprile 2003 ha deciso di associarsi alla Forza di Stabilizzazione Multinazionale, già operante nel territorio iracheno, con una missione militare denominata Antica Babilonia, finalizzata a garantire la cornice di sicurezza per l'arrivo degli aiuti, nonché a contribuire al ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali.
Le diverse posizioni assunte dalle forze politiche su questo intervento sono state ampiamente discusse negli anni e nei mesi scorsi ed è nota la forte contrarietà di gran parte delle forze politiche che oggi sono in maggioranza nel Parlamento. Non ritiene opportuno ritornare, in questa fase, sulle ragioni di questo dissenso, che sono state adeguatamente illustrate sia in sede parlamentare che in ambito di dibattito politico. Considera invece importante sottolineare che il disegno di legge in esame, in coerenza con il programma presentato agli elettori dalla attuale maggioranza, stabilisca espressamente due impegni: il rientro del personale militare italiano entro l'autunno 2006 e la prosecuzione ed il rafforzamento della missione umanitaria di stabilizzazione e di ricostruzione. Va segnalato che i tempi del rientro sono connessi alla realizzazione nella zone meridionale del Paese di alcuni progetti finalizzati al consolidamento del sistema di distribuzione dell'energia elettrica. Tali progetti dovranno essere terminati per ovvie ragioni di sicurezza entro il residuo periodo di permanenza del contingente militare italiano. Gli obiettivi prioritari della missione civile italiana sono articolati su un duplice versante: il sostegno allo sviluppo socioeconomico ed aiuti di tipo sociosanitario alla popolazione; il sostegno alle nuove istituzioni, mediante programmi di formazione nella pubblica amministrazione, nelle infrastrutture e nella informatizzazione.
Considera di particolare significato in questo quadro le iniziative di institution building che consistono in programmi di informazione rivolti a funzionari pubblici, tecnici, medici nonché personale delle istituzioni, quali magistrati e funzionari di pubblica sicurezza. Né va dimenticato che la collaborazione del nostro Paese ha riguardato anche la difesa del patrimonio


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artistico e culturale dell'Iraq con l'importante contributo alla ricostruzione della moschea di Samara e alla ristrutturazione di musei e altri centri di interesse culturale.
Rileva che la decisione di procedere, in tempi definiti, al rientro dei nostri militari, non può dunque essere intesa come la premessa di un progressivo disimpegno. Al contrario, la presenza italiana nel difficile processo di pacificazione dell'Iraq deve, a suo avviso, essere considerata un punto fermo della politica estera dell'Italia nell'area del Medio Oriente.

Roberta PINOTTI, presidente, in considerazione dell'imminente inizio dei lavori presso l'Assemblea, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 9.10.

SEDE REFERENTE

Giovedì 6 luglio 2006. - Presidenza del presidente della III Commissione, Umberto RANIERI. - Intervengono il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, e il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi.

La seduta comincia alle 14.

Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali.
C. 1288.

(Seguito esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta antimeridiana.

Roberta PINOTTI, presidente della IV Commissione e relatore per la IV Commissione, rileva che il provvedimento all'esame delle Commissioni riunite disciplina l'insieme degli impegni militari che l'Italia ha nel tempo contratto sullo scenario internazionale. Esso è posto alla nostra attenzione all'inizio di una nuova legislatura e da ciò deriva anche l'opportunità di una riflessione complessiva sugli indirizzi di sicurezza e difesa.
Intende con ciò fare riferimento alle linee generali di politica militare e di politica estera che in una fase di mutata realtà internazionale sono sempre più interdipendenti e vanno affrontate sempre sulla base di una significativa legittimazione internazionale da ricercare con tenacia nelle sedi e nelle organizzazioni di cui l'Italia fa parte: l'Onu, l'Europa, la Nato.
Un obbligo che il nostro paese deve sentire vincolante, oltre che per la complessità della politica internazionale, anche soprattutto perché ha il suo fondamento nel nostro dettato costituzionale.
Le norme in discussione hanno un duplice contenuto: da un lato definiscono lo stato giuridico, il trattamento economico e la giurisdizione da applicare al personale inviato nelle missioni internazionali. Dall'altra «autorizzano» la partecipazione delle nostre forze armate alla missione, definendone lo status internazionale e i compiti principali.
Così è per prassi normativa in uso da tempo. Una prassi legittima che può però essere migliorata ove le due tematiche venissero dal punto di vista normativo, separate.
Non vi è infatti alcuna necessità, dal punto di vista legislativo, di ridefinire periodicamente le norme che regolano gli aspetti del personale (trattamento giuridico ed economico) che, sia detto per inciso, vengono - con la stessa periodicità - riconfermate nei loro contenuti. Questa materia potrebbe quindi essere definita da una legge quadro.
Resta intatta invece l'assoluta necessità di lasciare nelle mani del Parlamento la decisione sulla partecipazione a missioni internazionali, per tutto ciò che riguarda non solo la durata e i compiti, come si è fatto sinora, ma anche gli obiettivi, la valutazione dei risultati, le regole e la


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legittimazione internazionale dentro le quali può essere consentito l'uso della forza militare.
Desta preoccupazione, infine, nella coscienza giuridica cui è ispirato il nostro stato di diritto il permanere di norme tratte dal codice penale militare di guerra.
Si tratta di problematica che deve essere affrontata con tempestività attraverso un'iniziativa legislativa che disciplini organicamente, mediante un apposito codice, i profili penali concernenti le particolari situazioni di impiego dei militari all'estero.
Prima di passare all'analisi dei contenuti del disegno di legge che stiamo esaminando, mi corre l'obbligo di sottolineare il mio personale apprezzamento per come è stata affrontato e risolta la conclusione della nostra partecipazione militare in Iraq con la missione Antica Babilonia.
Il provvedimento dispone il rientro del contingente militare e contestualmente la prosecuzione dell'opera di stabilizzazione, ricostruzione e cooperazione e per queste attività stanzia 33 milioni di euro contro i 19 milioni del semestre precedente.
Si tratta di uno stanziamento ancora lontano dalle effettive necessità dopo che la guerra e il terrorismo hanno distrutto il paese, ma è la parte di cui si fa carico l'Italia, proprio a concretizzare sotto altre forme la continuità del nostro impegno come concordato con lo stesso governo iracheno.
Per quanto riguarda i profili più strettamente normativi, il provvedimento prevede, il differimento del termine della partecipazione italiana alle missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, individuando, per ciascuna di esse, il costo previsto ed il termine temporale del differimento. Inoltre il testo in esame reca l'autorizzazione allo svolgimento di tre nuove missioni.
In particolare, il provvedimento in esame autorizza la spesa di oltre 129 milioni di euro per la fase di rientro, entro l'autunno 2006, del contingente militare che partecipa alla missione internazionale in Iraq denominata Antica Babilonia (ammontava a quasi 190 milioni di euro la spesa autorizzata nell'ultimo decreto di proroga).
Come è stato ribadito in varie occasioni dal Governo, la nostra missione militare si sta avviando a conclusione in stretto coordinamento con gli alleati e con il governo iracheno, con modalità che consentano di garantire la sicurezza di tutti. Si tratta di un atteggiamento responsabile che tiene conto delle difficoltà incontrate dalle nostre Forze armate in una missione difficile nella quale il nostro Paese ha già pagato un prezzo altissimo.
Si autorizza quindi fino al 31 dicembre 2006, la spesa per la prosecuzione della partecipazione di esperti militari italiani alla riorganizzazione dei Ministeri della difesa e dell'interno iracheni, nonché alle attività di formazione e addestramento del personale delle Forze armate irachene.
Per quanto riguarda l'Afganistan, si prevede l'autorizzazione fino al 31 dicembre 2006, la spesa di oltre 136 milioni di euro (quasi 149 milioni nell'ultimo decreto di differimento) per la proroga della partecipazione di personale militare alla missione internazionale International Security Assistance Force (ISAF). La partecipazione italiana a tale missione è iniziata il 10 gennaio 2002.
Ricordo che ISAF è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU 1386/2001 che, come previsto nell'Allegato 1 all'Accordo di Bonn, ha autorizzato la costituzione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'allora Autorità provvisoria afghana.
Il mandato iniziale, di sei mesi, è stato successivamente rinnovato dalle risoluzioni 1413/2002, 1444/2002 e 1510/2003. La risoluzione n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prorogare il mandato per un periodo di dodici mesi, autorizza la riorganizzazione delle attività di ISAF. Alla missione prendono parte circa 5.500 uomini di trentuno nazioni diverse, il 95 per cento dei quali provenienti da Paesi NATO.


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Il contingente italiano ha il compito di provvedere alla sicurezza del Comando della missione e alle attività di bonifica da ordigni esplosivi o da armi chimiche.
Esso è costituito, oltre che da unità dell'Esercito e dei Carabinieri di stanza a Kabul, anche da un nucleo dell'Aeronautica Militare presente ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti).
Il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell'operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e missione.
La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.
La guida politica è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all'operazione. Il vertice NATO di Istanbul di giugno 2004 ha deciso il rafforzamento della presenza militare in Afghanistan, in occasione delle elezioni presidenziali che si sono tenute il 9 ottobre 2004. L'Italia per consentire lo svolgimento della consultazione elettorale ha potenziato il proprio contingente con l'invio, da metà settembre a metà novembre 2004, di 500 alpini del battaglione Susa. Da ultimo, il decreto-legge n. 10 del 2006 ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006.
La missione, ora a guida NATO, in linea con le citate risoluzioni dell'ONU, ha il compito di assistere il Governo afgano al fine di realizzare e mantenere un ambiente sicuro favorendo lo sviluppo istituzionale creando le condizioni per estendere l'autorità del Governo a tutto il Paese.
La missione, inoltre mira a consolidare le istituzioni politiche afgane e ad accelerare la riforma del settore della giustizia e a promuovere i diritti dell'uomo e lo sviluppo economico e sociale.
Essa, nel contempo, si propone di favorire il disarmo, la smobilitazione e il reintegro di tutte le fazioni armate e supportando gli sforzi umanitari, di risanamento e di ricostruzione dell'Afghanistan, contribuendo ad assicurare il necessario quadro di sicurezza agli aiuti civili apprestati dall'Unione Europea, dall'UNESCO, dall'UNICEF, dall'OMS, dalla FAO e dagli altri organismi internazionali di sostegno.
La presenza dei militari italiani in Afghanistan nel quadro della missione ISAF è ritenuta tuttora indispensabile dalla comunità internazionale e dal Governo afgano. Dalla presenza dei contingenti militari dipende anche la sicurezza delle missioni civili presenti nel paese. Su questi aspetti particolari daremo corso, come è stato richiesto dai capogruppo a una serie di audizioni con le organizzazioni non governative impegnate a favore della comunità afgana. Come ha sostenuto lo stesso Kofi Annan: «È nell'interesse dell'intera comunità internazionale fornire assistenza all'Afghanistan perché il paese possa consolidare i suoi passi verso la pace, democrazia e la sicurezza quale presupposto di progressi su qualsiasi altro fronte».
Gli obiettivi proposti dalla risoluzione dell'ONU, di per sé già difficili da raggiungere in un contesto segnato da retaggi tribali e conflitti interni, divengono ancor più problematici perché è in atto un'attività terroristica e larga parte del paese è protagonista e vittima della coltivazione dell'oppio e dei traffici ad essa collegati.
La questione dell'oppio, come la situazione di generale instabilità del paese, non può essere sottovalutata ed anzi diventa condizione necessaria per qualunque progetto di ricostruzione e normalizzazione istituzionale e civile del paese.
Tali considerazioni testimoniano l'esigenza di una discussione più approfondita dell'intera situazione afgana in Parlamento e nell'ambito delle organizzazioni internazionali a cui partecipa il nostro Paese. È evidente che alla presenza militare deve essere affiancata una più incisiva strategia politica, economica e umanitaria in grado di corrispondere ai bisogni più urgenti della popolazione e alle attese della società afgana.
Le condizioni di sicurezza restano in Afghanistan molto precarie, si sono moltiplicati


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negli ultimi mesi attentati anche contro obiettivi civili registrando in tal senso una ripresa dell'attività dei gruppi armati e delle milizie talebane che rendono difficile anche gli interventi primari di ricostruzione.
In questo quadro svolge la propria attività la Cellula di Cooperazione Civile e Militare (CIMIC), che contribuisce a sostenere le campagne d'informazione e dei media, supporta i progetti di ricostruzione, comprese le infrastrutture sanitarie, sostiene le operazioni di assistenza umanitaria, presta assistenza sanitaria e veterinaria, sostiene gli interventi nei settori dell'istruzione e dei servizi di pubblica utilità.
Attraverso propri team specializzati, svolge infine attività di formazione ed addestramento delle Forze armate e di polizia locali.
La campagna militare che ha portato all'abbattimento del regime talebano è stata condotta dagli Stati Uniti e da una coalizione ad essi collegata con l'operazione Enduring Freedom.
All'operazione partecipano sia Paesi dell'Alleanza Atlantica sia Paesi non facenti parte della NATO. Dopo gli attentati di New York e Washington, il Consiglio atlantico, il 3 ottobre 2001, ha riconosciuto, per la prima volta nella storia dell'Alleanza, le condizioni per l'applicazione dell'articolo 5 del Trattato. Contestualmente il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato due risoluzioni in materia di lotta al terrorismo internazionale: la risoluzione n. 1368 del 12 settembre 2001, che condanna gli attacchi terroristici ed esprime la disponibilità a prendere tutte le misure necessarie per rispondere a tali attacchi; la risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001, che riafferma, tra l'altro, il diritto all'autodifesa. Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano.
L'operazione Enduring Freedom si propone attualmente di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, di definire d'intesa con gli altri Paesi della coalizione, gli strumenti necessari a prevenire il riemergere del terrorismo e a supportare le operazioni umanitarie, nonché l'addestramento dell'Esercito afgano. In Afghanistan convivono come noto due missioni: ISAF ed Enduring Freedom, che pur essendo tra loro coordinate, operano con modalità diverse. La prospettiva di una loro unificazione sotto ISAF ha molti aspetti problematici che sollecitano quindi un serio approfondimento a livello internazionale.
Sotto la missione Endurig Freedom sono state svolte attività navali nell'area del mare arabico e del Mediterraneo orientale.
In tal senso è utile precisare che in questo quadro l'Italia ha partecipato all'operazione dal 18 novembre 2001 con un Gruppo navale d'altura composto dalla portaeromobili Garibaldi, da due fregate e da una rifornitrice di squadra. Successivamente, l'impegno italiano si è ridotto prima a due unità (un cacciatorpediniere e una fregata) e poi ad una fregata, affiancata per un breve periodo da un'altra unità.
Dal 15 marzo al 15 settembre 2003 è stato operativa in Afghanistan la Task Force «Nibbio», costituita dal circa 1.000 unità dell'Esercito, con il compito di effettuare attività di interdizione d'area nella zona di Khowst, al confine tra Afghanistan e Pakistan, impedendo infiltrazioni di talebani e di terroristi. Si sono alternati nell'area gli alpini della Brigata «Taurinense» ed i paracadutisti della Brigata «Folgore». La situazione operativa in cui furono chiamati ad operare registrò anche nella discussione parlamentare molta preoccupazione.
Dal gennaio 2003 al dicembre 2004 la componente navale italiana ha operato nell'ambito della forza marittima europea EUROMARFOR che, con l'operazione Resolute Behaviour, ha svolto nella zona del Corno d'Africa e del Golfo Arabico compiti di ISR (Identificazione, Sorveglianza e Riconoscimento), eventualmente di MIO (Operazioni di Interdizione Marittima) e


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LIO (Operazioni di Interdizione della Leadership), nonché di monitorizzazione di eventuali traffici illeciti.
Attualmente, oltre a 8 uomini dell'Esercito presenti presso il Comando USA di Tampa in Florida, dove ha sede il Quartier Generale del Comando Centrale statunitense, che esercita la responsabilità operativa delle forze in campo, è presente nell'area delle operazioni la fregata Euro, che, unitamente ad unità delle Marine USA e tedesca, costituisce la Task Force 150 (TF 150) incaricata di svolgere operazioni di interdizione e contrasto navale, controllo del traffico marittimo, scorta di unità della coalizione.
Da ultimo, il decreto-legge n. 10 del 2006 ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006. Alla data del 5 giugno 2006, il contingente italiano ammontava, oltre ai citati 8 militari dislocati in Florida, a 240 unità della Marina Militare.
Il disegno di legge autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 25.569.180 milioni di euro per la proroga della partecipazione di personale e mezzi della Marina militare italiana alla missione multinazionale già denominata Resolute Behaviour, operante nel quadro della missione Enduring Freedom, e alla missione della NATO Active Endeavour ad essa collegata (erano 13.437.521 milioni di euro nell'ultimo provvedimento di rifinanziamento).
Stando alla relazione governativa, la spesa complessiva della missione sembrerebbe riferita anche alla presenza di una fregata che, soltanto ipotizzata (e quindi non dotata della relativa copertura finanziaria) nel provvedimento di proroga della missione per il primo semestre 2006, è stata di fatto impiegata a partire dal mese di febbraio.
Al momento, e più esattamente in data 28 giugno, è stata fatta rientrare dal mare arabico la fregata Euro (unità della classe Maestrale con spiccate capacità e dotazioni per il combattimento contro sottomarini, navi e aerei). Sotto la stessa data l'Italia ha assunto, con l'Ammiraglio Ruzitto il comando della 152o task force che opera nel Golfo Persico è sono state schierate due unità: nave Etna (nave appoggio con capacità logistiche ed ospedaliere) e nave Foscari, un pattugliatore armato di un cannone e due mitragliatrici con capacità belliche decisamente minori rispetto a quello dello schieramento precedente.
Per quanto riguarda le altre missioni ricorda che nel teatro balcanico l'impegno italiano è decisamente considerevole ed anche il più ampio per il numero di personale impiegato che assomma a 3378 unità. Il processo di riorganizzazione politica nei Balcani pone tuttora la comunità internazionale davanti a problemi di non facile soluzione, ma proprio per questo è evidente che appare obbligato un percorso che apra agli stati che si sono formati dopo la disgregazione dell'ex Jugoslavia la prospettiva e l'opportunità di essere parte dell'Unione europea. È dentro questa cornice che può svilupparsi con successo una iniziativa politico-diplomatica come quella che il Governo italiano è impegnato a portare avanti.
Per quanto concerne specificatamente le missioni in atto ricorda che quelle sotto comando Nato sono le seguenti:
Multinational Specialized Unit (MSU) svolta da Carabinieri, insieme ad appartenenti a Forze di polizia militare di altri Paesi, in Kosovo, con compiti di mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, a supporto delle autorità locali, e per il reinserimento dei rifugiati;
Joint Enterprise, svolta da forze militari, nell'area balcanica, con compiti di attuazione degli accordi sul cessate il fuoco, di assistenza umanitaria e supporto per il ristabilimento delle istituzioni civili;
Criminal Intelligence Unit (CIU), svolta da Carabinieri, in Kosovo, con compiti di intelligence contro la criminalità;
Albania 2 svolta in Albania dal 28o gruppo navale, con compiti di sorveglianza delle acque territoriali albanesi, al fine di prevenire e contenere il fenomeno dell'immigrazione clandestina in Italia.

Nel sottolineare come le missioni sotto la responsabilità dell'Unione europea, rappresentino


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anche un significativo banco di prova delle capacità militari dell'Unione di intervenire con risorse proprie, ricorda che esse sono cosyituite dalle seguenti:
ALTHEA in Bosnia-Erzegovina, volta a contribuire al mantenimento delle condizioni di sicurezza per l'attuazione dell'accordo di pace di Dayton;
European Union Planing Team (EUPT) in Kosovo, che vede la partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri;
Temporary International Presence in Hebron (TIPH 2), dove opera una forza multilaterale con il compito di contribuire alla sicurezza del territorio mediante attività di monitoraggio e osservazione;
European Union Border Assistence Mission in Rafah (EUBAM Rafah), con finalità di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah. La missione, collocandosi nel più ampio contesto degli sforzi compiuti dall'Unione europea e dalla comunità internazionale per sostenere l'Autorità nazionale palestinese nell'assunzione di responsabilità per il mantenimento dell'ordine pubblico, è volta a contribuire allo sviluppo delle capacità palestinesi di gestione della frontiera a Rafah, nonché ad assicurare il monitoraggio, la verifica e la valutazione dei risultati conseguiti nell'attuazione degli accordi in materia doganale e di sicurezza;
AMIS II, ovvero la partecipazione di personale militare alla missione dell'Unione europea di supporto alla missione dell'Unione africana nella regione del Darfur in Sudan, denominata per il rispetto dell'accordo sul «cessate il fuoco» fra le due parti in lotta, siglato l'8 aprile 2004, e la protezione degli osservatori;
EUPOL Kinshasa, missione di polizia dell'Unione europea nella Repubblica democratica del Congo, con funzioni di controllo, guida e consulenza dell'unità integrata di polizia (IPU) costituita a Kinshasa, nell'ambito della forza di polizia locale, con finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo e con ulteriori contributi dell'Unione europea e degli Stati membri;
EUFOR RD CONGO, missione militare dell'Unione europea nella medesima Repubblica democratica del Congo per sostenerne il processo di transizione verso l'istituzione dello stato di diritto nel Paese.

Nel seguito del provvedimento sono essenzialmente autorizzate, fino al 31 dicembre 2006, le spese per la proroga della partecipazione di personale militare alle diverse missioni nell'area balcanica: si può citare in primo luogo la partecipazione di personale militare del Corpo della guardia di finanza, nonché della Polizia di Stato, alla missione denominata United Nations Mission in Kosovo (UNMIK), forza internazionale dell'ONU delegata all'amministrazione civile del Kosovo. Ricordo che la missione UNMIK ha il compito di organizzare le funzioni amministrative essenziali, creare le basi per una solida autonomia ed autogoverno del Kosovo, facilitare il processo politico per determinare il futuro status del Kosovo, coordinare gli aiuti umanitari di tutte le agenzie internazionali, fornire sostegno alla ricostruzione delle infrastrutture più importanti, mantenere l'ordine pubblico, far rispettare i diritti umani, assicurare la sicurezza ed il regolare ritorno in Kosovo di tutti i rifugiati ed i dispersi.
Si ricorda inoltre la partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri alla missione in Bosnia-Erzegovina denominata EUPM, nella quale è coinvolto personale proveniente da quarantadue Paesi, con il compito di assicurare il proseguimento delle attività di riorganizzazione delle locali Forze di polizia. Il mandato della missione, in linea con gli obiettivi generali stabiliti nell'Accordo di Dayton, consiste nello stabilire dei dispositivi di polizia sostenibili sotto l'autorità della Bosnia-Erzegovina conformemente alle migliori pratiche europee ed internazionali, elevando in tal modo gli standard della polizia della Bosnia-Erzegovina. Il 24 novembre 2005 l'Unione europea, su invito delle Autorità bosniache, ha focalizzato il


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mandato della missione sul supporto alla lotta contro il crimine organizzato e sul processo di riforma della Polizia.
Rimando alla lettura della relazione governativa per quanto concerne l'illustrazione delle disposizioni riferite ai profili giuridici ed economici connessi alla proroga delle missioni: si tratta, in buona sostanza, delle consuete norme in materia di trattamento economico accessorio ed assicurativo da erogare al personale impiegato, delle disposizioni contabili e delle norme in materia penale, (sulle quali mi sono già espressa)
Inoltre si autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa per la prosecuzione dello studio epidemiologico, avviato all'inizio dell'anno 2004 (articolo 13-ter del decreto-legge n. 9 del 2004), indirizzato all'accertamento dei livelli di uranio e di altri elementi potenzialmente tossici presenti in campioni biologici di militari impiegati nelle missioni internazionali, al fine di individuare eventuali situazioni espositive idonee a costituire fattore di rischio per la salute, ciò consentirà di individuare eventuali situazioni espositive idonee a costituire, in termini statisticamente validi, fattori di rischio per la salute del personale militare impiegato nelle missioni. Lo studio epidemiologico è calibrato su un campione di circa 1.000 militari, i quali vengono sottoposti, su base volontaria, ad accertamenti di laboratorio, prima e al termine dell'impiego in zona di operazioni.
Dal testo in esame si prevede la clausola di copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione della legge: agli oneri derivanti dall'attuazione del provvedimento, pari complessivamente a 488.039.565 di euro per l'anno 2006, si provvede in gran parte mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1, comma 97, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006) e, in minor parte, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando alcuni accantonamenti.
È inoltre prevista la clausola di salvaguardia degli atti adottati, delle attività svolte e delle prestazioni effettuate dal 1o luglio 2006 alla data di entrata in vigore della legge e, si stabilisce il termine di entrata in vigore della legge.
Infine, con riferimento ad alcuni interventi avvenuti nella seduta antimeridiana dell'Assemblea con i quali si è lamentata la tardiva pubblicazione del decreto-legge di proroga delle missioni internazionali, sottolinea come nella scorsa legislatura il decreto-legge in diverse occasioni è stato emanato con alcuni giorni di ritardo rispetto alla scadenza delle missioni. In particolare, ricorda che l'ultimo decreto-legge di proroga è stato pubblicato dopo ben 18 giorni dalla scadenza delle missioni.

Il Viceministro degli affari esteri, Ugo INTINI, provvede ad illustrare in primo luogo alcuni elementi attinenti alla filosofia generale che ispira l'azione del Governo nella materia trattata dal provvedimento in esame. Osserva che è impossibile nel tempo della globalizzazione non assumere impegni di tipo globale e interdipendenti in tutte le aree del mondo. Tali impegni, pur dovendo prevalere il carattere civile ed umanitario degli interventi, includono purtroppo indispensabili aspetti di tipo militare. In questo quadro è auspicabile ampliare il più possibile l'impegno a favore della cooperazione e mantenere invece ad un livello ridotto quello militare. Peraltro, l'impegno militare può essere preso in considerazione soltanto quando esso si svolga sotto la guida diretta delle Nazioni Unite o di alleanze tradizionali, quali la NATO e l'Unione europea, e in generale in un quadro di legalità fondato su azioni di tipo multilaterale. Il Governo italiano è contrario ad impegni di tipo unilaterale che sono da considerare al di fuori della tradizione dell'Europa continentale. Per tali ragioni il Governo è contrario all'impegno militare in Iraq mentre è favorevole a quello in Afghanistan. Occorre ricordare che non soltanto quest'ultimo Paese rappresentava la sede in cui operava Bin Laden ma che l'intervento militare in questo caso è nato come


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diretta conseguenza degli attentati del settembre 2001. Peraltro per ogni area di intervento militare esiste la relativa exit strategy. La differenza è che per l'Iraq, considerata la base volontaria della partecipazione italiana, tale strategia può essere impostata in modo autonomo dal nostro Paese, mentre in Afghanistan l'Italia deve concertare la propria iniziativa con quella della comunità internazionale, considerando che in Afghanistan sono presenti non soltanto i Paesi che aderiscono all'NATO ma anche Stati come la Svezia e la Norvegia. Il Governo italiano è favorevole ad un impegno militare il più possibile limitato, prudente, rispettoso delle popolazioni e della loro autonomia ed eventualmente innovativo. Tale impegno potrebbe ad esempio essere decisivo per quanto concerne la soluzione della questione dell'oppio, che rappresenta la principale fonte di finanziamento di attività terroristiche ed illegali. Il compito dell'Italia nella NATO è quello di promuovere con autorevolezza tale impostazione in considerazione della responsabilità che deriva dall'essere parte dell'alleanza.
L'impegno italiano si estende anche al di là delle aree geografiche strategiche, interessanti per i potenti del mondo, per includere aree dimenticate, come ad esempio l'Africa, in cui accadono le tragedie peggiori e i conflitti producono milioni di vittime senza alcuna attenzione e intervento da parte della comunità internazionale.
Nel passare ad illustrare alcune questioni più analitiche, che potrebbero fornire elementi utili alle fasi successive del dibattito, sottolinea che, tra gli elementi di novità, il Governo ha predisposto un provvedimento che persegue l'obiettivo di ricondurre la presenza italiana nello scenario internazionale ad un disegno unitario, di respiro strategico, coerente con le finalità complessive di politica estera di cui proprio le missioni militari italiane all'estero costituiscono uno strumento prezioso. Fra tali elementi di novità sono da annoverare in particolare il rientro delle truppe italiane dall'Iraq, l'aumento della cooperazione civile in Afghanistan e Sudan, con un incremento pari a 17 milioni e mezzo di euro, e la partecipazione a fondi fiduciari diretti a sostenere il processo di riforma positivamente avviato a favore della società civile in Serbia ed in Bosnia-Erzegovina. Come già illustrato al Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli affari esteri, le finalità sono il rilancio dell'impegno per il rafforzamento della cooperazione multilaterale quale aspetto strutturale e qualificante della politica estera; riportare al centro dell'azione multilaterale la dimensione europea; adoprarsi affinché l'Europa sia un partner affidabile e non subalterno in una logica di rinnovata solidarietà transatlantica. Il Governo confida che il disegno di legge in esame possa costituire uno strumento essenziale per rendere possibile una significativa partecipazione alle principali operazioni che vedono la comunità internazionale impegnata a stabilizzare situazione di crisi e a garantire la sicurezza in numerosi regioni del mondo quale presupposto essenziale per lo sviluppo politico-istituzionale e socio-economico delle aree coinvolte. Ribadisce l'opportunità di procedere ad una riflessione politica ed operativa sulle missioni militari italiane con particolare riferimento ai risultati conseguiti e alle prospettive da fronteggiare. Nel sottolineare come la sede parlamentare rappresenti il luogo ideale per condurre tale riflessione, sottolinea che la partecipazione dell'Italia alle attività di mantenimento della pace condotte sotto l'egida dell'ONU qualifica la presenza italiana alle Nazioni Unite ed è coerente con la scelta multilateralista del nostro Paese, largamente condivisa da forze politiche ed opinione pubblica italiana. Il contributo italiano all'ONU si colloca in primo luogo al livello della partecipazione al finanziamento delle operazioni di pace. L'Italia è il sesto contributore al bilancio per il peacekeeping dell'ONU con un esborso complessivo nel 2005 di poco meno di 175 milioni di dollari, pari al 4,8 per cento del totale. L'ospitalità offerta a Brindisi alla più importante base logistica dell'ONU si configura come un altro aspetto del contributo


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fondamentale del nostro Paese alle missioni di pace delle Nazioni Unite. La riserva strategica di materiali depositati nella base e il centro di comunicazioni satellitari sono destinati a far fronte alle cruciali esigenze di rapido spiegamento delle forze ONU e di raccordo con il quartier generale di New York.
Anche se il numero complessivo di caschi blu italiani, in linea con quanto avvenuto per altri Paesi industrializzati, è oggi piuttosto ridotto se paragonato agli effettivi nazionali impegnati in missioni autorizzate dal Consiglio di sicurezza, non dirette dall'ONU, i nostri effettivi (128) assicurano sempre un contributo di assoluta qualità. Attivi in tre diversi continenti, essi svolgono prevalentemente missioni di osservazione, polizia militare, soccorso e assistenza. I contingenti principali sono schierati nell'ambito della UNIFIL e UNMIK, nelle aree più cruciali del Medio Oriente e dei Balcani. L'Italia intende contribuire alla nuova visione integrata delle missioni di pace, che si va progressivamente affermando attraverso l'ampliamento dei mandati conferiti dal Consiglio di sicurezza. Essa vede affiancarsi alla tradizionale componente militare del peacekeeping le componenti civili relative alle attività umanitarie, al rafforzamento dello stato di diritto, al sostegno dell'amministrazione locale. È un processo complesso che sulla base delle esperienze acquisite si va progressivamente sviluppando. Da questo punto di vista va anche ricordata la partecipazione dell'Italia - sesto contributore complessivo al sistema delle Nazioni Unite - al Comitato Organizzativo della neo istituita Commissione per il Consolidamento della Pace (Peace Building Commission) delle Nazioni Unite. Si tratta di un nuovo organo che avrà il compito di elaborare strategie per favorire il consolidamento dei processi di ricostruzione politica, sociale ed economica nei Paesi che emergono da situazioni di crisi.
Passando ad illustrare le principali missioni cui partecipa l'Italia, mentre si avvia al completamento la missione militare in Iraq con il rientro del contingente entro l'autunno del 2006, sottolinea che l'Italia vuole intensificare il proprio apporto alla ricostruzione civile dell'Iraq, aderendo così a una precisa richiesta delle Autorità irachene, espressa da ultimo in occasione degli incontri che il Ministro D'Alema ha avuto nei vertici iracheni a Baghdad il mese scorso, in linea con l'impegno civile già profuso dal nostro Paese a partire dal 2003 contribuendo con progetti ed interventi per oltre 200 milioni di euro allo sforzo internazionale in campo civile.
L'attuale momento politico è sotto gli occhi di tutti. Si è aperta una nuova fase del percorso di democratizzazione con la conclusione del processo politico tracciato dalla risoluzione 1546, che ha visto due elezioni parlamentari ed un referendum costituzionale nell'arco di un anno, due transizioni di governo in un biennio. La componente arabo-sunnita che si era autoesclusa dal processo politico ne è ora parte integrante dopo esservi stata associata - pur in difetto di una rappresentanza eletta - già nella fase della redazione costituzionale; il dibattito politico dopo le elezioni del 15 dicembre scorso si è incentrato sui tempi dell'unità nazionale e dell'inclusività. Il 21 maggio si è insediato il nuovo governo di Al Maliki, il primo formato sulla base della nuova costituzionale, che comprende la quasi totalità delle forze politiche scaturite dalle ultime consultazioni elettorali, rappresentativo di tutte le componenti della realtà irachena, con un programma di unità nazionale, inclusività e riforma economica. Primo atto di grande significato per la realizzazione di tale programma è stata la presentazione al Consiglio dei Rappresentanti iracheno da parte del Primo Ministro Al Maliki di un Piano di riconciliazione nazionale. Tutte queste sono note positive, che riguardano il piano istituzionale. Ma sul piano concreto, nelle strade, la situazione sembra di segno opposto, negativo. Si muore e si soffre dovunque, meno che nell'area curda. In pratica, il rischio di guerra civile e di tripartizione dell'Iraq (curda, sunnita, sciita) non è stato scongiurato.
Nella prospettiva di un ulteriore salto di qualità l'apporto italiano alla ricostruzione


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dell'Iraq, abbiamo previsto la conclusione di un Accordo bilaterale di Amicizia, Partenariato e Cooperazione che fisserà le linee guida su cui si svilupperà il rapporto fra i due Paesi. Subito dopo si riunirà una grande Commissione Mista presieduta dai due Ministri degli Esteri e con la partecipazione di vari Ministri dei due Paesi per discutere in dettaglio dei progetti da realizzare. In questa ottica, il programma di interventi civili la cui realizzazione è prevista per il secondo semestre dell'anno in corso si avvale di una maggiore disponibilità di risorse finanziarie, e si svilupperà secondo due direttrici: sul piano bilaterale ed in ambito multilaterale.
Sul piano bilaterale abbiamo ipotizzato numerosi progetti, identificati su richiesta delle Autorità irachene definiti d'intesa con loro, da realizzare a Baghdad, presso le Amministrazioni centrali, ed nelle due Province del Kurdistan ed il Dhi Qar. In quest'ultima, dove particolarmente gravi sono le condizioni di arretratezza economico-sociale dovute alle decennali vessazioni inflitte dal passato regime, sono stati previsti interventi di impatto immediato e di una certa visibilità da realizzare entro la fine dell'anno. Si stanno studiando i modi più opportuni per assicurare una continuità di iniziative, al tempo stesso coerenti con la decisione di far rientrare tutti i militari da quella Provincia entro l'autunno.
L'azione dell'Italia in Iraq si svilupperà con forme di assistenza tecnica per riqualificare le capacità gestionali e tecniche della nuova dirigenza irachena che deve affrontare ora la sfida di medio lungo-termine dell'ampliamento della base infrastrutturale e dello sviluppo di una adeguata capacità di governance. In questa prospettiva è anche previsto un contributo all'opera di ricostituzione delle strutture amministrative ed alla definizione di specifiche di sistema, espressione della nuova architettura politica ed istituzionale. Iniziative sono previste a favore delle fasce più deboli della popolazione irachena, in particolare donne e bambini, ma anche malati affetti da patologie particolarmente gravi e di difficile cura in Iraq. Proseguiranno anche gli interventi per la valorizzazione del patrimonio culturale iracheno e per promuovere la crescita di mezzi di informazione liberi e la formazione di una piccola imprenditoria su basi moderne.
Il Governo mirerà a favorire un processo di maggiore multilateralizzazione - attraverso le Nazioni Unite e l'Unione europea soprattutto, ma anche attraverso la NATO e le Istituzioni Finanziarie - dello sforzo della comunità internazionale in favore dell'Iraq. L'Italia intende adoperarsi ad ampliare il numero dei Paesi coinvolti nella ricostruzione dell'Iraq, coinvolgendo maggiormente i Paesi vicini ed altri Paesi europei. Al tempo stesso, proseguiranno i contributi alle attività di formazione ed addestramento del personale delle Forze di sicurezza irachene, sia sul piano bilaterale, che nell'ambito di un'apposita missione della NATO e di magistrati e funzionari del Ministero della giustizia iracheno nel quadro della missione dell'Unione europea EU JUST LEX.
Per quanto riguarda l'Afghanistan, il Governo è consapevole che la situazione nel Paese è in evoluzione e che sussistono rischi di peggioramento. Non sfuggono gli aspetti di deterioramento. Il Governo intende continuare a monitorare tale evoluzione valutando che i rischi si riducono moltiplicando non l'impegno militare, peraltro indispensabile, ma quello civile. L'impegno per la ricostruzione si ricollega al conflitto di fine 2001, ma più ancora alla grande Conferenza internazionale a quel conflitto immediatamente successiva (la Conferenza che si tenne a Bonn nel dicembre 2001), in cui fu approvato un piano operativo di ricostruzione.
Successivamente, con risoluzione n. 1386 del 20 dicembre 2001 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata costituita la forza internazionale di pace (ISAF) in un primo tempo stazionata solo a Kabul e poi (con Risoluzione n. 1510 del 2003) autorizzata ad estendersi su tutto il territorio afgano.
Della forza di pace fanno parte oggi contingenti militari di ben 36 Paesi, tra cui tutti i maggiori Paesi europei ed occidentali,


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come la Germania, la Francia, la Spagna e i Paesi scandinavi, oltre agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. L'Italia ha inviato proprie truppe all'ISAF fin dall'inizio ed è quindi il quinto anno che il nostro Paese contribuisce al mantenimento della pace in Afghanistan con forze proprie inserite nell'ISAF (attualmente il numero si aggira sulle 1200 unità).
L'ISAF, che opera quindi sotto l'egida e su mandato delle Nazioni Unite, agisce come un contingente NATO allargato. L'Afghanistan costituisce attualmente, per impegno politico e militare, la massima priorità.
L'obiettivo di ISAF è quello di contribuire alla creazione di uno Stato democratico, rispettoso dei principi contenuti nella Carta dell'ONU soprattutto in tema di diritti umani e autosufficiente. La sicurezza è il presupposto fondamentale perché le istituzioni locali possano funzionare e perché le attività di ricostruzione e sviluppo possano avere luogo. Senza una cornice di sicurezza adeguata assicurata dalla NATO sarebbero elevati i rischi di implosione delle sue fragili istituzioni e di regresso dell'Afghanistan a «stato fallito» con possibilità di ricostituzione di santuari per i terroristi.
L'operazione della NATO mira ad assistere ma non sostituire le legittime autorità afgane nell'esercizio del Governo. Il principio della titolarità afgana del processo di stabilizzazione e ricostruzione è uno dei cardini ispiratori di ISAF.
Pur con i suoi evidenti limiti il governo Karzai è il primo democraticamente eletto nella storia del Paese. Un Afghanistan stabile e democratico rappresenta il baluardo contro la ripresa del terrorismo internazionale. Per prevenire conflitto sarebbe stato opportuno provvedere ad instaurare canali di comunicazione tra Massud e i talebani oppure convocare la Loya Jirga, come pure provare a convincere il Pakistan a non sostenere i talebani. Si sarebbe dovuto intervenire in modo drastico per dirimere la questione dell'oppio ma tutto ciò non è stato possibile.
Come è noto il disegno di legge prevede lo stanziamento di 17 milioni e mezzo di euro per la cooperazione allo sviluppo in Afghanistan e in Darfur, da utilizzare per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, oltre al sostegno dello sviluppo socio-sanitario in favore delle fasce più deboli della popolazione. È da ritenere di primaria importanza che l'impegno italiano non si manifesti esclusivamente attraverso il mantenimento delle forze militari sul terreno ma che ad esso si affianchino interventi urgenti per la ricostruzione e lo sviluppo del Paese: essi sono destinati a dare un segnale concreto della volontà italiana di favorire iniziative concrete mirate al benessere generale. L'Italia intende essere tra i protagonisti della ricostruzione costituzionale, civile e materiale del nuovo Stato afgano ed è già partner prioritari nella riforma della giustizia, dove si sta svolgendo un'azione di coordinamento per la ricostruzione delle infrastrutture e la formazione di giudici e altri operatori, volta alla promozione dello Stato di diritto e alla sensibilizzazione in materia di diritti umani. L'impegno italiano nel settore della cooperazione allo sviluppo spazia da azioni umanitarie a favore delle fasce più deboli, alla ricostruzione di ospedali, a progetti di sviluppo rurali e di promozione del ruolo della donna. Come già accennato si tratta di una situazione che può sfuggire di mano e che facilmente può determinare la ripresa del conflitto e della guerra civile. È opportuno procedere ad un monitoraggio continuo da parte delle istituzioni con il contributo di esperti e di organizzazioni non governative che operano sul terreno. Ricorda in particolare lo sforzo personalmente profuso in Afghanistan con il supporto garantito da Gino Strada e dell'allora Presidente della Commissione europea, Romano Prodi.
Passando ad esaminare la questione dei Balcani, la stabilità della regione rappresenta un obiettivo strategico prioritario che tocca interessi di sicurezza. È necessario che il lavoro portato avanti per tanti anni con considerevoli investimenti di risorse civili e militari venga condotto a termine con successo. La sicurezza continua ad essere in Kosovo il requisito fondamentale


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ma ancora fragile affinché il processo di consolidamento politico ed istituzionale della regione possa essere completato. È nostra convinzione quindi che la capacità operativa militare debba rimanere invariata per i prossimi mesi e ancor più vigile adesso che lo scenario, dopo l'avvio dei negoziati per la definizione dello status della provincia è in rapida evoluzione e alimenta nuove aspettative che devono ancora trovare un punto di equilibrio. Solo dopo che i nodi si saranno sciolti e il quadro politico darà sufficienti garanzie di stabilità, sarà possibile cominciare ad affrontare la questione di se e quando la NATO debba considerare esaurito il suo ruolo.
Il contributo italiano in ambito NATO per la stabilizzazione dei Balcani può trovare anche un importante strumento nei Fondi fiduciari (2 milioni di euro) che mirano principalmente ad assistere nei processi di riforma della difesa i Paesi partners, per lo più attraverso programmi di distruzione di armi e munizionamento in esubero e progetti relativi alla riqualificazione ed al reinserimento del personale militare congedato. I programmi avviati in questo contesto si sono rilevati come uno dei più efficaci strumenti per favorire la stabilizzazione. In particolare la partecipazione italiana ai Fondi Fiduciari a favore della Serbia e della Bosnia-Erzegovina consentirebbe al nostro Paese di mantenere un profilo di primo piano in un'area di primario interesse e di integrare il nostro impegno complessivo nelle missioni internazionali di stabilizzazione nella regione. Le relazioni tra Italia e Bosnia-Erzegovina sono particolarmente intense sotto ogni aspetto. L'Italia ha fornito dagli anni della guerra civile in poi un contributo di particolare rilievo in tutti i settori per la stabilizzazione della Bosnia-Erzegovina e la realizzazione della sua prospettiva europea ed euro-atlantica. In quest'ottica abbiamo fornito assistenza all'institutional capacity building in tutti i contesti di rilievo ed aumentato i rilevanti programmi di cooperazione per il rilancio dell'economia. Abbiamo sostenuto l'avvio nel novembre scorso del negoziato tra Sarajevo e l'Unione europea per un accordo di stabilizzazione e associazione. Svolgiamo un ruolo di primo piano nelle missioni dell'Unione europea in Bosnia-Erzegovina, a partire da EUFOR ed EUPM, ambedue attualmente a guida italiana.
Passando ad analizzare l'Africa occorre innanzitutto sottolineare che essa deve cessare di essere il continente dimenticato.
Recentemente si sono aperte incoraggianti prospettive per la risoluzione di gravi ed annosi conflitti che hanno caratterizzato l'Africa sub-sahariana, come quello fra il Nord e il Sud del Sudan o quelli che a più riprese dal 1993 hanno duramente colpito la regione dei Grandi Laghi. L'operato dell'Unione europea in stretto raccordo con le Nazioni Unite e con l'Unione Africana, incoraggia questa tendenza sia attraverso il rafforzamento delle capacità africane in materia di gestione delle crisi, sia mediante la partecipazione diretta ad operazioni di pace nel continente.
In coordinamento con i partners dell'Unione europea, il Governo italiano si è adoperato per sostenere sul piano politico il processo di stabilizzazione in Darfur a seguito della firma, il 5 maggio scorso, dell'Accordo di pace di Abuja. Il persistere delle crisi e delle violenze sul terreno con il conseguente pericolo di un'estensione del conflitto anche al vicino Ciad, hanno infatti indotto la comunità internazionale a mobilitarsi a sostegno del processo di attuazione dell'Accordo.
L'Italia incoraggia con convinzione l'ampliamento del coinvolgimento della NATO nel Darfur nei limiti in cui le condizioni politiche e i requisiti militari lo renderanno possibile. Si tratta di una missione di pace e stabilizzazione in linea con l'evoluzione dell'Alleanza Atlantica che condividiamo e sosteniamo. Essa potrà avvenire nella misura in cui il suo ruolo continuerà ad essere richiesto e apprezzato dall'Unione Africana e dalle Nazioni Unite. Conseguentemente e contestualmente continueremo a sostenere l'esigenza di intensificare gli sforzi per mettere in atto efficaci meccanismi di dialogo politico con l'Unione europea e con l'ONU mirando


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a sviluppare visioni strategiche condivise che facilitino nelle congiunture operative l'identificazione dei rispettivi ruoli. È opportuno avviare sin da adesso una riflessione preliminare sulle possibili opzioni di accrescimento del nostro impegno militare in Darfur nell'assunto che le forze di terra verranno fornite dagli stessi Paesi africani e che l'apporto richiesto alla comunità internazionale sarà soprattutto in termini di assetti pregiati (key enablers) e specialistici.
Il Governo intende anche attivamente contribuire sul piano umanitario al processo di ricostruzione in Darfur. Tale intervento è finalizzato in particolare al miglioramento delle precarie condizioni di vita delle popolazioni attraverso l'attuazione di programmi in collaborazione con gli organismi internazionali. Si tratta principalmente di programmi nel settore sanitario e in quello idrico nonché di aiuti alimentari da destinare ai circa 2 milioni di sfollati che sopravvivono in critiche condizioni nei numerosi campi profughi del Darfur.
Sul piano politico, infine, intendiamo appoggiare l'Unione Africana anche finanziariamente (con un contributo di 250 mila euro) allo scopo di sostenerne gli sforzi per il varo del Foro di consultazioni noto come «Darfur-Darfur Dialogue» che intende diffondere tra la società civile del Darfur i contenuti dell'Accordo di pace e promuovere la riconciliazione interetnica a livello locale. L'obiettivo è quello di assicurare la ricostruzione del tessuto sociale della regione lacerato dalla guerra grazie al coinvolgimento nel processo di pace di tutti coloro che non hanno partecipato al negoziato di Abuja.
Nella Repubblica Democratica del Congo prosegue l'azione dell'Italia nel contesto dell'altra operazione comunitaria - EUPOL - , che provvede alla formazione ed alla consulenza dell'unità di polizia congolese integrate nella capitale Kinshasa. Il nostro Paese partecipa a tale operazione con quattro sottoufficiali dei carabinieri. EUPOL, oltre a svolgere una funzione essenziale per il successo dello stesso processo elettorale, rappresenta anche simbolicamente un contributo di grande valenza politica per il processo di pace congolese.
La neo-costituita operazione EUFOR, nata per assistere la Missione di pace delle Nazioni Unite in Congo (MONUC) durante il periodo elettorale ed immediatamente post-elettorale, è la seconda missione militare dell'Unione al di fuori del teatro europeo, dopo l'operazione ARTEMIS, sempre in Congo. Si tratta di una missione militare di grande rilevanza sotto diversi punti di vista. L'azione dell'Italia si inserisce pienamente nel solco tracciato dall'Unione europea. Il nostro Paese sostiene importanti processi di pace ed è impegnato direttamente nella formazione delle forze di pace africane. L'Italia parteciperà in maniera significativa all'operazione EUFOR, mediante quattro ufficiali dislocati nei due Stati maggiori di Potsdam e di Kinshasa e mettendo a disposizione un velivolo C-130 con un distaccamento aeronautico di un massimo di 55 militari di stanza nella base francese di Libreville in Gabon.
Concludendo, auspica un giudizio positivo da parte del Parlamento sulla filosofia complessiva, e sulla linea politica di fondo che guida il Governo per quanto riguarda la partecipazione alle missioni internazionali, e non su singole missioni o su aspetti di dettaglio di ognuna di esse.

Il sottosegretario Marco VERZASCHI, nel ringraziare i relatori per gli interventi svolti, ricorda che le Forze Armate italiane sono impegnate attualmente con circa 8 mila uomini schierati fuori dal territorio nazionale in operazioni con 8 contingenti veri e propri e con personale di staff, addestratori, osservatori, advisor in 17 missioni operative.
La maggior parte delle iniziative operative, a cui l'Italia partecipa, prendono corpo e sono dirette da organizzazioni sovranazionali quali la NATO (7 su 25), l'Unione europea (7 su 25) e l'ONU (7 su 25). Solo una piccola parte (4 su 25) è relativa ad accordi multinazionali ad hoc, a cui tuttavia partecipano un vasto numero di Nazioni.


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Tale distribuzione degli sforzi rispecchia l'orientamento politico militare nazionale a supporto delle organizzazioni sovranazionali e regionali nel contributo alla sicurezza internazionale.
Intende quindi sintetizzare gli attuali impegni operativi delle Forze Armate italiane, analizzando prioritariamente i principali Teatri operativi: quello afgano, quello balcanico e quello mediorientale, ove sono in atto le missioni più significative. La mia analisi si soffermerà in particolare sui risultati conseguiti in relazione alla missione assegnata e lascerò all'iniziativa del vostro dibattito lo spunto per trattare temi di interesse riguardanti altri teatri.
Non si sofferma sulla missione Antica Babilonia in Iraq il cui finanziamento è volto solo a garantire il completo rientro del contingente entro la fine dell'autunno. Comincio quindi con il Teatro Afgano, che ci vede ora presenti con circa 1250 uomini impegnati nelle missioni ISAF e Enduring Freedom.
La partecipazione italiana risale al 18 novembre 2001 e le attività in Afghanistan sono state sempre duplici, militari e umanitarie.
L'ONU, con le risoluzioni n. 1386 del 2001 e n. 1510 del 2003, ha autorizzato il dispiegamento nell'area di Kabul di una forza multinazionale, denominata (International Security Assistance Force) (ISAF), con il compito di assistere il governo transitorio afgano nel mantenimento della sicurezza nella città di Kabul e nella provincia di Konduz. Il fulcro della ricostruzione e stabilizzazione si è poi incentrato sull'attività dei Provincial Reconstruction Teams (PRT). Gruppi costituiti da personale militare e civile che lavorano nell'ambito di una determinata regione con il compito di concorrere al processo di espansione della NATO, assicurando il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nell'area. L'Italia ha la responsabilità di quello di Herat.
Il ruolo dell'Italia è stato inoltre fondamentale nell'ambito della Security Sector Reform, che rappresenta il complesso delle 5 riforme nel settore della sicurezza poste in atto dalla Comunità Internazionale a favore del Governo Afgano. Ciascuna delle 5 riforme è patrocinata, finanziata e condotta da Paesi amici di concerto con organismi locali e al nostro Paese è stata affidata la conduzione della riforma della giustizia.
È importante che l'Italia continui a dare il proprio contributo per la ricostruzione sociale, culturale ed economica del Paese, che ha bisogno di soccorso con medicine, alimenti, attrezzature e materiali d'ogni genere. Ha bisogno di ripristinare i sistemi idrici, sanitari, gli impianti ospedalieri, elettrici e delle comunicazioni. Ha bisogno, inoltre, di opere di bonifica da agenti inquinanti e da ordigni esplosivi, in particolare mine.
A questo scopo si sono conseguiti risultati importanti in tutti i campi: aiuti umanitari: distribuzione di generi alimentari, vestiti, scarpe, coperte, medicinali e altri beni di prima necessità. È stata garantita l'omogeneità di trattamento tra le diverse etnie presenti sul territorio.
Considerazioni di carattere logistico hanno imposto di orientare la ricerca di aiuti umanitari individuandoli tra quelli non deperibili durante il trasporto, di facile immagazzinamento e di ridotto volume, di qualità superiore rispetto a quelli reperibili in loco. In particolare, nel dicembre 2003, sono state donate dalla Croce Rossa Italiana n. 9 ambulanze, n. 1 autocarro furgonato n. 200 letti completi, arredi vari, attrezzature e materiali per ambulatori odontoiatrici e di medicazione, prodotti per l'igiene e capi di vestiario per un totale di 40 tonnellate.
Detti mezzi e materiali, trasportati in teatro mediante l'impiego di un vettore aereo tipo Antonov 124, sono stati ufficialmente consegnati alle autorità locali per essere destinati agli ospedali in Kabul e in altre province.
Nel corso del 2005, inoltre, sono stati portati a termine dei lavori infrastrutturali (costruzione di un asilo e lavori di ricostruzione di una scuola) con fondi del


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comune di Torino nell'ambito della cooperazione tra il Comune ed i comandi militari in loco.
impact projects: Viene effettuata la raccolta, l'analisi e la realizzazione con i fondi CIMIC (Cooperazione civile-militare) di progetti proposti dalle autorità locali o ritenuti di primaria utilità. Fra i progetti più significativi si annovera la realizzazione di pozzi ad uso agricolo ed umano in grado di fornire le risorse idriche necessarie ai villaggi interessati. Tale attività rientra nel Programma di emergenza che la cellula CIMIC del contingente italiano ha sviluppato per dare un sostegno immediato alla popolazione ed in particolare alle fasce più deboli e bisognose e, peraltro, è risultata una delle più remunerative, per quanto concerne il rapporto costo/beneficio.

Nel 2005, inoltre, sono stati realizzati progetti d'emergenza nei settori dell'educazione (fornitura di arredi scolastici, ausili didattici, materiale di cancelleria), della salute (fornitura di ambulanze, medicine e materiale sanitario) e della pubblica utilità (fornitura di attrezzi ed indumenti di lavoro agli operai del Comune);
assistenza sanitaria all'interno della clinica Hope: nell'ambito dell'attività CIMIC viene fornita assistenza sanitaria con medici militari specializzati all'interno della Clinica Hope (Kabul) soprattutto per curare le persone colpite dalla Lesmaniosi. Alcune stime indicano che 7 bambini su 10 sono colpiti da Lesmaniosi;
campagne di trattamento antiparassitario degli animali da pascolo.

Le principali attività CIMIC svolte nell'area di Herat riguardano, invece, la:
costruzione/ristrutturazione di n. 11 scuole di ogni ordine e grado;
ristrutturazione del Pronto soccorso dell'Ospedale di Herat, con la collaborazione della Protezione Civile della Bassa Romagna;
potenziamento della rete dell'acquedotto nel capoluogo;
costruzione/rafforzamento degli argini di alcuni fiumi per prevenire emergenze;
acquisto e rifornimento di materiali ed attrezzature sanitarie e scolastiche;
fornitura di veicoli, motoveicoli, apparati radio, arredi e apparecchiature per telecomunicazioni per la costituzione di un Joint Coordination Center che permetta alle forze di polizia di gestire le emergenze (elezioni, alluvioni, incendi, eccetera).

Sono state poi svolte:
attività di un team addestrativo dell'Arma dei Carabinieri a favore delle Stazioni di Polizia locale esistenti nell'area urbana di Herat;
attività di un addestrativo della Guardia di Finanza esplicitata a favore della Brigata di Polizia di Frontiera e della Polizia Doganale esistente nell'area di Herat.

Per quanto riguarda i Balcani, il contributo nazionale è stato di alto spessore sia qualitativo che quantitativo, riconosciuto con l'attribuzione di posizioni di comando di alta responsabilità. I risultati conseguiti in tale regione possono senza alcun dubbio essere valutati in senso positivo. Progressivamente, le autorità di governo di ciascuno di questi paesi conseguono importanti traguardi che aiutano il rinnovamento delle relative istituzioni. Una parte rilevante di questi risultati sono merito della cornice di sicurezza assicurata dalle Forze Armate Italiane, ivi compresa la preziosa attività di polizia dei reparti MSU dell'Arma dei Carabinieri.
Sono stati definiti programmi di addestramento e formazione su larga scala per unità dell'esercito e delle forze di polizia, in loco e in Italia al fine di promuovere standard occidentali di base con cui operare.


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Nel campo dell'attività CIMIC le principali attività condotte hanno riguardato:
la ristrutturazione di decine di edifici scolastici ed asili;
la ricostruzione dell'intera tratta ferroviaria Rajlovac-Banja Luka;
la distribuzione di grandissime quantità di medicinali e attrezzature sanitarie per ospedali nonché di centinaia di tonnellate di derrate alimentari e generi di prima necessità;
la realizzazione di programmi di vaccinazione e screening sanitario per migliaia di bambini;
l'assistenza sanitaria a favore della popolazione in loco e in Italia ove sono stati trasportati centinaia di pazienti per essere ricoverati in strutture specializzate;
la costruzione di ponti e strade;
l'assunzione di manovalanza locale;
la riparazione di chiese e conventi;
il supporto all'operato delle Organizzazioni Governative e non Governative in termini logistici e di sicurezza.

Nel teatro mediorientale la European Union Border Assistance Mission for Rafah Crossing Point è stata istituita dalla Unione europea il 15 novembre 2005, a seguito da un accordo siglato da Israele e dall'Autorità palestinese circa l'apertura del valico doganale di Rafah. La missione, di cui fanno parte 18 carabinieri italiani, consiste nel monitoraggio e nell'addestramento della polizia locale destinata al controllo e l'obiettivo politico militare nazionale è quello di contribuire allo sforzo della Unione europea nella stabilizzazione dell'area mediorientale e della cruciale crisi israelo-palestinese.
Inoltre l'Italia vede confermati a tutto il 2006 gli attuali impegni a diretto sostegno degli interventi di pace internazionali sotto diretta egida ONU o UE che comportano il dispiegamento di circa 100 caschi blu e operatori di pace, impiegati in particolare:
nei Balcani nella missione UNMIK (United Nations Mission in Kossovo), missione nata per sostenere un progressivo recupero di autonomia del Kossovo;
in Medio Oriente nell'ambito della missione TIPH (Temporary International Presence in Hebron) missione di monitoraggio svolta in base all'accordo israelo-palestinese del 15 gennaio 1997;
in Africa nella missione AMIS (Africa Union Mission in Sudan), missione dell'Unione europea in Darfur, dove dal 2003 è in corso il conflitto tra popolazioni locali nere, cristiane e animiste, e milizie arabe filogovernative e nelle missioni EUFOR CONGO ed EUPOL Kinshasa;
a Cipro nella missione UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cipro), missione istituita per il mantenimento della pace e per il controllo del cessate il fuoco a Cipro.

Come emerso dalla panoramica illustrata, l'Italia è un Paese impegnato nelle aree di crisi dove esplica l'azione internazionale contro varie forme di violenza. Il Paese sta manifestando con i fatti la consapevolezza dei propri doveri di grande democrazia industrializzata nei confronti della pace e della stabilità internazionale. Gli scenari operativi continueranno ad essere diversi e lontani, gli impegni molteplici e diversificati.
I militari italiani sono apprezzati, ascoltati e richiesti per le loro capacità intrinseche e per l'esperienza maturata nel condurre operazioni di difesa e di tutela della pace.
Dobbiamo esserne orgogliosi perché magnificamente testimoniano sempre e ogni dove l'alto valore dei principi su cui si fonda la nostra società.

Giuseppe COSSIGA (FI) sottolinea il fatto che, da un punto di vista formale, le Commissioni riunite hanno iniziato l'esame di un disegno di legge ordinario,


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anziché come di prassi, di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge. Al momento, infatti, non risulta ancora pubblicato il decreto-legge di proroga delle missioni internazionali, per cui queste ultime risultano prive di copertura legislativa dal 1o luglio 2006. Per altro, qualora non fosse emanato il decreto-legge di proroga, questa situazione di incertezza potrebbe prolungarsi fino all'approvazione del disegno di legge in esame. Auspica pertanto che il predetto decreto-legge venga pubblicato al più presto.
Da un punto di vista sostanziale, invece, rileva che il contenuto del disegno di legge non è diverso da quello dei decreti di proroga delle missioni internazionali che sono stati emanati negli ultimi anni. In proposito, valuta quindi positivamente le dichiarazioni del sottosegretario Intini secondo il quale il Governo ha voluto presentare un unico provvedimento comprensivo di tutte le missioni internazionali, in quanto ispirate alla medesima logica. Risulterebbe quindi improprio non esaminare congiuntamente tutte le missioni, come invece avvenuto nella scorsa legislatura quando venne attuato, su richiesta dell'attuale maggioranza, il cosiddetto «spacchettamento» dei decreti-legge, per distinguere la missione irachena dalle altre missioni. Non ritiene invece di poter condividere le affermazioni del sottosegretario Intini laddove afferma che la strategia di uscita dall'Iraq sia più agevole in quanto sul territorio iracheno, a differenza di quello che accade nelle altre missioni, opera una mera coalizione di volenterosi. In realtà il fatto che l'intervento in Iraq sia avvenuto su base volontaria non significa affatto che, anche in tal caso, non si operi al di fuori di precisi vincoli internazionali.
Sempre riguardo alla missione irachena sottolinea infine una discrasia tra il contenuto normativo del provvedimento che prevede un'autorizzazione di spesa finalizzata al rientro dei militari italiani dal territorio iracheno - che dovrebbe avvenire, come precisa il testo con una espressione di dubbio valore giuridico, entro l'autunno 2006 - e il contenuto della relazione tecnica. Quest'ultima infatti in primo luogo quantifica gli oneri relativi alla missione irachena per un numero di giorni che consentirebbe la copertura finanziaria della missione fino al 1o dicembre anziché a tutto l'autunno 2006 e, in secondo luogo, non reca alcuna indicazione sui mezzi che dovrebbero essere utilizzati per il rientro e sui relativi oneri che non vengono quantificati neppure forfetariamente. Quindi, considerato che le risorse necessarie per il rientro non vengono stanziate dal provvedimento, i nostri militari dovrebbero ritornare in Italia o con mezzi di fortuna oppure a piedi.

Elettra DEIANA (RC-SE) osserva che con il rientro dall'Iraq l'attuale Governo compie una scelta politica precisa che lo differenzia nettamente dal Governo Berlusconi che invece aveva deciso di intervenire in Iraq a fianco degli Stati Uniti. Si tratta di una scelta con la quale il Governo conferma il suo giudizio negativo sulla guerra irachena e sulle ragioni che l'avevano ispirata.
A suo avviso sarebbe stato preferibile attuare il rientro in tempi più rapidi, ma ciò non toglie che sulla scelta del rientro non possa che essere espresso un giudizio largamente positivo.
Ciò premesso, intende invece sottolineare alcuni punti di dissenso e di preoccupazione che riguardano la proroga della missione in Afghanistan. Il Governo è consapevole che per la maggioranza questa missione è terreno di sensibili divergenze. Il suo gruppo politico sta lavorando nella prospettiva di un rientro del contingente italiano dall'Afghanistan, con modalità ovviamente diverse da quelle con le quali è stato disposto il rientro dall'Iraq per il quale invece esiste una posizione unitaria all'interno della maggioranza. Sottolinea che anche nel caso della missione in Afghanistan come nell'Iraq non vi erano i presupposti per legittimare un intervento armato. Infatti l'attivazione dell'articolo 5 del Trattato istitutivo della NATO è avvenuta sulla base di informazioni, dalle quali sarebbe dovuta emergere la riconducibilità degli attentati alle torri gemelle a soggetti presenti sul territorio Afgano, che sono


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state secretate dal Pentagono. Il Governo, nella seduta odierna, ha evidenziato esclusivamente i dettagli tecnici e i profili umanitari dell'intervento in Afghanistan, senza entrare nel merito della missione Enduring Freedom che si caratterizza invece come una missione bellica.
Il Governo non ha chiarito ad esempio quale tipo di responsabilità ha assunto ultimamente l'Italia con i suoi mezzi navali nel mare arabico, quale sia il coinvolgimento del contingente italiano nella missione Enduring Freedom e cosa si può fare in prospettiva per ridimensionarlo. Soltanto sulla base di questi chiarimenti si può sviluppare in sede parlamentare una discussione approfondita sulla missione afgana che coinvolga tutti i profili di criticità che essa presenta a cominciare dalla sua compatibilità con il diritto internazionale e con l'articolo 11 della Costituzione.

Marco ZACCHERA (AN), nel condividere pienamente l'intervento del deputato Cossiga, osserva che le missioni oggetto del presente provvedimento possono essere concettualmente divise in tre categorie: la missione in Iraq, la missione in Afghanistan e le missioni in Africa e Medioriente.
Per quanto riguarda l'Iraq, il fatto che la missione sarebbe terminata in autunno era sostanzialmente noto da tempo. Non si conosce invece quali saranno gli orientamenti del Governo dopo il rientro del contingente militare. In particolare non è noto se il Governo intenda assicurare sul territorio iracheno la presenza di civili, a chi sarà in tal caso affidata la loro sicurezza, quale sarà la risposta del nostro Paese qualora il Governo iracheno, per esigenze di sicurezza, dovesse richiedere una ulteriore permanenza del contingente italiano.
Ancora più grave giudica la mancanza di chiarezza da parte del Governo per quanto riguarda la situazione in Afghanistan dove la situazione sta progressivamente peggiorando.
Non si riesce a capire se in prospettiva il Governo sia intenzionato a rimanere, quale sia la sua strategia contro i terroristi e contro la coltivazione dell'oppio che negli ultimi tempi è notevolmente aumentata. Per altro affidare la soluzione del problema, come prospettato dal Governo, all'acquisto di oppio per finalità terapeutiche da parte dei Paesi occidentali appare, a suo avviso, poco credibile.
Per quanto riguarda infine l'Africa e il Medioriente, il Governo dovrebbe chiarire se intenda destinare alle missioni che si svolgono in tali Paesi le risorse risparmiate con il disimpegno dal territorio iracheno. Sotto questo profilo ritiene la relazione tecnica carente, in quanto se da un lato descrive dettagliatamente alcune voci di spesa dall'altro lato non fornisce un quadro organico delle risorse finanziarie investite, né tanto meno offre alcuna indicazione di prospettiva.

Severino GALANTE (Com.It) osserva che, poiché le missioni sono numerose, il Governo non dovrebbe limitarsi ad una mera valutazione complessiva.
Ciò posto, ritiene che le missioni possano essere raggruppate nelle seguenti categorie: missioni nei Balcani, missione in Iraq, missione in Afghanistan e missioni in altre aree del mondo.
Sulle missioni che si svolgono nelle altre aree del mondo esprime un giudizio positivo, in quanto si tratta di interventi di carattere prevalentemente umanitario che riguardano aree del pianeta particolarmente svantaggiate.
Per quanto riguarda le missioni nei Balcani, nel ricordare il contesto storico nel quale sono maturate durante gli anni 90, osserva che esse sono indispensabili per la pacificazione dell'area anche alla luce della crescente situazione di tensione presente ultimamente in Kosovo. Valuta quindi negativamente il fatto che il provvedimento preveda un decremento, anziché un incremento, delle risorse da destinare a tali missioni.
Con riferimento all'Iraq ritiene che la decisione del Governo di predisporre il rientro del contingente italiano sia largamente condivisa nel nostro Paese e che invece la scelta del precedente Governo di


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intraprendere la missione militare sul territorio iracheno sia risultata ampiamente perdente.
Valuta invece negativamente la prosecuzione della missione in Afghanistan che, a suo avviso, contraddice la scelta di fondo del Governo di operare per un rafforzamento a livello internazionale del diritto e dell'Europa. Anche a prescindere dai profili di legittimità, la prosecuzione della missione in Afghanistan non appare convincente se è vero, come ha sostenuto il Ministro Parisi, che si partecipa solo alle guerre nelle quali si prevede di vincere. Infatti, se si esamina con attenzione l'attuale situazione in Afghanistan emerge un progressivo disimpegno da parte degli stessi americani e un crescente trasferimento di truppe da parte degli inglesi. In prospettiva quindi la situazione potrebbe sfociare in un conflitto anglo-afgano che avrebbe come scenario un Paese profondamente diviso in cui l'unico punto di aggregazione è costituito dal rifiuto della presenza straniera sul territorio. In una tale situazione appare quindi impensabile concludere con successo la missione in Afghanistan. E per tutte queste ragioni ribadisce il suo giudizio negativo sulla missione afgana.

Umberto RANIERI, presidente, ricorda che sulla base di quanto convenuto dall'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi la discussione proseguirà, nelle sedute di lunedì 10 luglio dalle 15 alle 17 e di martedì 11 luglio, dalle 10 alle 12 circa e dalle 14 fino all'inizio delle votazioni in Assemblea. Per quanto attiene alle audizioni ricorda che sulla base di quanto convenuto in ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, è prevista una missione dei deputati delle Commissioni esteri e difesa presso il Comando Operativo Interforze, dove si realizzerà un collegamento in teleconferenza con Kabul per ascoltare taluni dei soggetti indicati dai gruppi. Nel pomeriggio di domani a partire dalle ore 16 e fino alle ore 18 circa, si svolgeranno invece le audizioni informali di rappresentanti dell'Associazione «Donne per lo sviluppo» (AIDOS), dell'Associazione «Beati i costruttori di pace», delle organizzazioni non governative del Forum SOLINT e dell'Associazione «Tavola della pace».
Le votazioni sugli emendamenti e per il conferimento del mandato ai relatori si svolgeranno tra mercoledì 13 luglio e giovedì 14 luglio.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.15.