Commissioni Riunite III e IV - Resoconto di marted́ 12 settembre 2006


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SEDE REFERENTE

Martedì 12 settembre 2006. - Presidenza del presidente della IV Commissione, Roberta PINOTTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per la Difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri.

La seduta comincia alle 14.10.

DL 253/06: Partecipazione italiana alla missione in Libano.
C. 1608 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 6 settembre scorso.

Giuseppe COSSIGA (FI), in linea con quanto avvenuto nella seduta precedente, propone che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sia assicurata anche mediante l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Roberta PINOTTI (Ulivo), presidente, non essendovi obiezioni, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Sergio D'ELIA (RosanelPugno) esprime il consenso del suo gruppo sul provvedimento in esame malgrado le perplessità destate dai rischi connessi alla partecipazione dei militari italiani alla missione UNIFIL. Tale missione rappresenta il successo di un'azione diplomatica - posta in essere dal Governo italiano ma soprattutto dall'Unione europea e dal Segretario Generale delle Nazioni Unite - che attua il metodo multilaterale nella soluzione delle crisi internazionali. Essa costituisce una svolta determinata dalla evoluzione della politica estera americana, che ha portato al voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A suo avviso, a questa azione di tipo diplomatico deve seguire un'azione politica da parte dell'Italia. La risoluzione n. 1701 è fragile e ambigua e non può soddisfare l'idea, ad essa sottesa, del mero ripristino dello status quo ante, fondato su un assetto dello scenario mediorientale imperniato sui ideali nazionalisti. Auspica che tale azione politica non porti alla legittimazione di un Paese, quale l'Iran, che deve essere considerato come parte del problema e che incombe come una «spada di Damocle» sull'intera regione mediorientale. Non procedere a tale


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legittimazione e scongiurare l'attuazione da parte iraniana del programma di arricchimento dell'uranio sono da considerare condizioni essenziali per il successo di ogni iniziativa politica.
Osserva, inoltre, che la crisi del Medio Oriente si caratterizza, rispetto ad altre gravi crisi internazionali, per uno stato di conflitto costante, durato decenni. Tutti concordano nel ritenere che la situazione mediorientale abbia un elevatissimo potenziale di pericolosità, pochi sono però in grado di proporre soluzioni strutturali per una pace duratura. Per tali ragioni rende noto che il suo gruppo intende lanciare a livello internazionale un'iniziativa politica per una pace duratura, quale alternativa di tipo strutturale. Tale campagna ha alla base l'idea che non è pensabile affidare alla sola capacità militare di Israele o delle Nazioni Unite la difesa della sicurezza di quel Paese, che rappresenta un'esigua percentuale di popolazione e di territorio dell'intera regione. La soluzione va invece individuata nell'inserimento di Israele in una comunità di tipo più ampio in cui sia possibile, a fronte di una cessione di parte della sua sovranità, trovare adeguata garanzia di difesa e sicurezza. Allo stesso modo ritiene che la prospettiva di ingresso in una comunità più ampia, in cui siano tutelati e garantiti in modo uniforme i diritti e le libertà fondamentali di tutti, risponda agli interessi e alle aspettative di altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come lo stesso Libano, la Giordania, la Turchia, che al momento subisce la tendenza dell'Europa a porre ostacoli al suo ingresso nell'Unione, o il Marocco, che già nel 1987 fece domanda di adesione alle Comunità europee. In questo quadro, la strategia, al centro dell'iniziativa internazionale lanciata dalla Rosa nel Pugno, risponde ad un'idea di pace che non sia una mera petizione di principio ma sia organizzata dall'Europa nel quadro della nuova frontiera rappresentata dal Mediterraneo, secondo gli ideali enunciati nel Manifesto di Ventotene. Lo slancio ideale che, dopo il secondo conflitto mondiale, animò lo sforzo verso una comunità libera dalla guerra e non fondata sugli egoismi degli Stati nazionali, dovrebbe adesso dare corpo ad un'azione politica mirata al Medio Oriente.

Alessandro FORLANI (UDC) rileva che il provvedimento in esame rappresenta la naturale conseguenza della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701 e della risoluzione approvata dalle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato lo scorso 18 agosto. A suo avviso si devono apprezzare tanto il processo politico in atto, quanto il ritorno dell'Italia, dell'Europa e delle Nazioni Unite ad un ruolo attivo nella risoluzione delle crisi internazionali. A suo avviso, la missione in Libano avviene nel quadro di una linea di continuità della politica estera italiana: sono mutate le condizioni esterne e lo scenario internazionale, ed a tali cambiamenti è da collegare la diversa impostazione della missione in Libano, non al semplice avvicendamento politico avvenuto in Italia a livello di governo. Questa consapevolezza unisce le forze politiche presenti in Parlamento, favorevoli ad una ripresa da parte dell'Europa del ruolo di mediatore «morbido» nel negoziato sul Medio Oriente.
La partecipazione italiana in Libano avviene, come quelle in Afghanistan e in Iraq, a seguito di una richiesta da parte delle Nazioni Unite. Il nostro Paese non ha preso parte all'intervento militare di tipo unilaterale, posto in essere dagli Stati Uniti in Iraq, ma ha aderito solo in occasione di un preciso appello delle Nazioni Unite. D'altra parte durante la XIV legislatura furono confermate missioni militari inaugurate in periodi precedenti da forze politiche di natura diversa, a ulteriore conferma della continuità del nostro Paese in politica estera.
Nel ricordare il successo della missione italiana in Libano all'inizio degli anni '80, osserva che lo scenario attuale evidenzia il ruolo più incisivo giocato dall'Italia e dall'Unione europea. Sicuramente il ritiro di Israele dal Libano meridionale non sarebbe stato possibile senza l'azione diplomatica complessivamente portata a compimento con l'approvazione della risoluzione


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n. 1701. Adesso l'obiettivo futuro è il disarmo di hezbollah, che però comporta rischi evidenti, complesse questioni connesse all'uso della forza, alle regole d'ingaggio e, in generale, alla sicurezza dei soldati italiani. Vi sono interrogativi ancora aperti, quali il caso di ragionevole previsione di attacco o le conseguenze di un eventuale rifiuto di hezbollah ad attenersi alla risoluzione. Vi sono aspetti su cui, sul piano tecnico, non è possibile ottenere una rassicurazione piena e che rientrano nel margine di rischio connesso a questo tipo di missioni. Tuttavia, tali aspetti non possono compromettere un voto favorevole del Parlamento sulla missione e sul provvedimento in esame, che è basato su un fondamento politico molto forte. A tal riguardo ribadisce la necessità che si proceda ad una ferma azione politica da parte dell'Italia e dell'Unione europea, anche al fine di disincentivare possibili attacchi nei confronti dei militari italiani. Occorre, altresì, promuovere una significativa presenza di Paesi islamici tra le forze che partecipano alla UNIFIL, come pure affrontare la questione dei prigionieri israeliani ancora in mano a hezbollah. Si deve incoraggiare un ruolo attivo da parte della Siria al fine di esercitare una adeguata pressione nei confronti dell'Iran. Infine, il recente accordo tra hamas e al fatah dovrebbe essere sostenuto in quanto costituisce un elemento fondamentale per riavviare il negoziato finalizzato alla attuazione della road map.
In conclusione, ritiene che la preoccupazione comune alle forze politiche deve essere il sostegno alla missione UNIFIL, senza desistere da un'azione politica finalizzata alla fondazione di uno sato palestinese e alla cessazione dei conflitti.

Iacopo VENIER (Com.It), alla luce delle riflessioni indotte dalla commemorazione del quinto anniversario dell'attentato alle Torri Gemelle, ritiene che vi siano molti aspetti non chiari e di aperta criticità. Non si deve dimenticare la situazione di guerra civile in Iraq e di grave insicurezza in Afghanistan, in cui il fallimento della missione militare internazionale è riuscito a rafforzare una forza, i talebani, fino ad allora rimasta minoritaria.
Quanto al Libano, l'Italia, che ha avuto coraggio, deve adesso cogliere a pieno l'occasione presentata dalla difficile missione UNIFIL, che molti hanno interesse a fare fallire. In realtà, non solo il contesto internazionale è mutato ma anche il Paese. Lo testimonia il fatto che oggi la maggioranza è unita intorno ad una missione che corrisponde al programma del centrosinistra e al dettato costituzionale. Le forze armate italiane partecipano, infatti, alla missione in Libano in una posizione di piena terzietà rispetto alle parti in conflitto. In ordine alle regole di ingaggio, la forza UNIFIL ha il dovere di difendere il popolo libanese contro ogni tipo di minaccia, eventualmente ricorrendo a metodi proporzionati a tale compito. Inoltre, per realizzare pienamente la pace non si può fare a meno di guardare al ruolo dell'Iran e di prendere seriamente in considerazione la sospensione dell'accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele, siglato nella scorsa legislatura. Ritiene, altresì, che la veemente reazione del governo siriano all'attentato odierno all'ambasciata americana dimostri la volontà di tale Paese di affrontare la crisi della regione in modo efficace.
Infine, rispetto prospettiva di allargare i confini dell'Unione europea fino ad includere Israele, rileva la necessità di fondare semmai una comunità mediterranea in cui l'Italia sia posta al centro e non sia semplice strumento della politica estera degli Stati Uniti.

Giuseppe COSSIGA (FI) conferma la condivisione del gruppo di Forza Italia degli obiettivi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701 dell'11 agosto 2006, già espressa in sede di esame della risoluzione approvata dalle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa nella seduta del 18 agosto 2006. Sottolinea come la condivisione degli obiettivi della missione non significhi peraltro condivisione delle singole disposizioni del recente decreto-legge. Ai fini


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dell'espressione di un voto favorevole sul provvedimento in esame è necessario infatti capire su quali punti della risoluzione n. 1701 e del decreto-legge vi sia accordo tra maggioranza e opposizione. A questo riguardo, ricorda che il Ministro Parisi ha riconosciuto, con onestà intellettuale, la natura problematica delle regole di ingaggio della missione. Ricorda altresì di aver richiesto nello scorso Ufficio di Presidenza delle Commissioni riunite III e IV l'audizione del Capo di stato maggiore della difesa proprio per fare chiarezza su questo punto, ma tale richiesta non è stata accolta né si è riuscito a fare chiarezza sul carattere specifico di queste regole nel corso dell'intervento del Ministro della difesa. Infatti il Ministro Parisi ha dichiarato che le regole di ingaggio non possono essere rese note al Parlamento per ragioni di riservatezza, anche se, a suo avviso, il regolamento della Camera avrebbe consentito, attraverso l'applicazione delle disposizioni sulle sedute segrete, di assicurare la necessaria riservatezza. Ritiene pertanto che la ragione per la quale il Governo non abbia esposto nel dettaglio le regole di ingaggio non sia riconducibile a ragioni di riservatezza quanto piuttosto a ragioni politiche. Venendo ai punti caratterizzanti della risoluzione n. 1701, osserva innanzitutto che essa ha il merito di aver sancito almeno formalmente il cessate il fuoco tra le parti in conflitto che peraltro, in buona sostanza, si era già verificato al momento dell'approvazione della risoluzione stessa. Ritiene che la risoluzione deliberata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui al momento non fa parte l'Italia, sia il frutto di un'ampia convergenza che, a differenza di altre occasioni (come ad esempio nel caso dell'Iraq) è stata raggiunta in seno al Consiglio stesso. In tutta questa vicenda, l'Italia ha sicuramente svolto un ruolo attivo, ma sicuramente non un ruolo da protagonista come in alcuni circostanze si intende propagandisticamente far credere. Tornando al contenuto della risoluzione n. 1701, ritiene che il vero cambiamento prodotto da quest'ultima rispetto alla presenza dell'ONU sul territorio libanese riguardi l'ampliamento del mandato del contingente UNIFIL e il rafforzamento del personale militare che fa parte del contingente stesso. Per quanto riguarda l'ampliamento del mandato, ricorda che fra gli obiettivi della missione vi è quello dello smantellamento delle milizie armate, cioè in sostanza degli hezbollah. Sottolinea come la risoluzione affida il disarmo degli hezbollah al Governo libanese e non all'UNIFIL, che dovrà limitarsi a dare il suo sostegno su di richiesta del Governo libanese. In questo quadro, il problema che a suo avviso si pone è quello di comprendere se le forze UNIFIL in caso di richiesta da parte del Governo libanese siano in grado di provvedere al disarmo degli hezbollah facendo affidamento sulle regole di ingaggio e sugli armamenti a disposizione.
Riguardo alle regole di ingaggio, il Governo nel corso del dibattito nelle Commissioni riunite ha sostenuto che esse sono da ritenersi «robuste», specificando che i militari potranno difendersi se attaccati. Tali affermazioni tuttavia non appaiono però sufficienti a chiarire se le azioni che potranno intraprendere le forze UNIFIL consentiranno di realizzare l'obiettivo del disarmo degli hezbollah. Per quanto concerne i mezzi è necessario capire se il contingente UNIFIL disponga al suo interno di armamenti pesanti e se l'Italia intenda avvalersi, e con quali compiti, di un servizio di intelligence. Soltanto sulla base dei chiarimenti che saranno forniti dal Governo a questi interrogativi il gruppo Forza Italia valuterà l'opportunità di presentare eventuali emendamenti in Assemblea.

Ramon MANTOVANI (RC-SE) ricorda che vi sono tre tipi di missioni delle Nazioni Unite: quelle promosse e condotte dall'ONU, come UNIFIL; quelle autorizzate e delegate a singoli Paesi o gruppi di Stati, come quelle della NATO; quelle ratificate a posteriori. Dopo le missioni nei Balcani, le Nazioni Unite non hanno più promosso iniziative militari, sia per ragioni politiche connesse al Consiglio di sicurezza, sia per l'indisponibilità delle grandi potenze. In occasione della missione


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in Bosnia furono inviati uomini in numero del tutto insufficiente ad esercitare una funzione di reale deterrenza, connessa alla natura della missione. La mancanza di disponibilità da parte dei Paesi più forti rese quella missione inconcludente e, a suo avviso, non fu un caso che gli Stati Uniti si rifiutarono di parteciparvi. Ritiene che in quella occasione si volle pervenire al fallimento delle Nazioni Unite, anche a costo di far morire decine di migliaia di persone. Oggi il Medioriente risente dell'azione di destabilizzazione prodotta dalla guerra in Iraq, come correttamente analizzato dal ministro D'Alema. Sottolinea di avere anche in passato affermato che gli Stati Uniti hanno mirato alla destabilizzazione e alla ingovernabilità di lungo periodo dell'Iraq al solo fine di giustificare la propria presenza nel Paese, anche durante una lunga fase di ricostruzione. Quanto accaduto è dunque il frutto di una strategia precisa. Sulla linea di condotta italiana, precisa che durante la passata legislatura l'allora maggioranza di governo usò parole di incitamento e giustificazione dell'azione politica americana, malgrado oggi si dica che tale azione era sbagliata e che ha prodotto risultati allora non prevedibili.
Ritiene necessario procedere ad una precisazione sul concetto di multilateralità nell'azione di politica estera. A suo avviso, sia la guerra in Kossovo sia quella in Iraq sono state guerre unilaterali. Esse hanno contrassegnato una fase di progressivo rovesciamento del diritto internazionale e di sua rifondazione sul predominio della forza e sulla «dittatura» dell'Occidente. Il pericolo non è del tutto superato, però la missione in Libano mira a ripristinare il diritto internazionale delle origini e ad affidare alle Nazioni Unite il monopolio della funzione di polizia internazionale. Essa, inoltre, è destinata a produrre stabilità nel Medio Oriente, inteso come insieme di quegli Stati che sono il risultato della politica coloniale delle vecchie potenze europee.
Osserva che la missione in Libano si inserisce nell'obiettivo del Governo italiano di costruire un mondo multipolare, come conferma la partecipazione alla missione di Stati europei ed africani.
Nella convinzione che le considerazioni finora svolte possano non essere condivise dalla maggior parte dei colleghi deputati, ritiene che il voto favorevole sul provvedimento in esame debba corrispondere ad un consenso sui suoi obiettivi, senza la necessità di ricorrere a formule retoriche e strumentali che rischiano di trasformare la politica estera del Paese nel mero riflesso del dibattito politico quotidiano. Nel ricordare che il gruppo di Rifondazione Comunista ha sempre votato a favore delle missioni militari all'estero condotte sotto l'egida delle Nazioni Unite, con la sola eccezione della Somalia, ribadisce il consenso del suo gruppo sul decreto-legge in esame auspicando un dibattito il più possibile scevro da polemiche pretestuose.

Salvatore CICU (FI) rileva come l'intervento del deputato Mantovani, da cui emerge in buona sostanza che l'unica fonte di legittimazione delle missioni militari internazionali sia rappresentata soltanto dall'ONU, sconfessi molte delle missioni avviate dal Governo di centrosinistra nella XIII legislatura, come ad esempio quelle nei Balcani. Ciò posto, ritiene del tutto legittima e fondata la richiesta di audizione del Capo di Stato maggiore della difesa presentata dal deputato Cossiga nel corso dello scorso Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, in quanto tendeva a fare chiarezza sulle regole di ingaggio ossia su un punto fondamentale della missione UNIFIL. Sottolinea peraltro come il successo della missione non dipenda esclusivamente dalle regole di ingaggio, ma anche da un'efficace azione politica che miri a trovare un punto di mediazione tra le parti in conflitto, guardando alle ragioni di tutti i contendenti e non ad una soltanto delle parti in causa. Ritiene necessario fare chiarezza sulla politica estera del Governo, che non può essere finalizzata solo «a fare bella figura» in Italia e all'estero oppure a risolvere problemi di politica interna. In altri termini, il centrodestra non può dire


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sì ad una missione con chi non dice no al nucleare iraniano o va a braccetto con gli hezbollah, senza affrontare in profondità le radici dei conflitti internazionali in atto e cioè quelle della scarsa democraticità di alcuni Paesi. Questa richiesta di chiarezza non può essere semplicisticamente liquidata come una posizione infantile assunta dal centrodestra sulla missione libanese. Si tratta invece di una posizione del tutto legittima, come quella sostenuta nella scorsa legislatura dall'attuale maggioranza che, in occasione del rinnovo delle missioni internazionali, chiedeva al Governo approfondimenti sull'evoluzione e sugli obiettivi di ciascuna missione.

Filippo ASCIERTO (AN) rileva che, nonostante la missione in Libano si presenti estremamente rischiosa, il centrodestra non si tirerà pregiudizialmente indietro davanti ad operazioni che consentano di creare condizioni di libertà in altri Paesi e di combattere il terrorismo, come già fatto in numerose altre occasioni che hanno visto il coinvolgimento delle nostre Forze armate. A questo riguardo ricorda con commozione il suo collega e amico Alfonso Trincone che, animato da spirito altruistico, ha partecipato a numerose missioni internazionali, l'ultima delle quali, a Nassirya, l'ha visto vittima dell'attentato del 12 novembre 2003. Ritiene quindi sbagliato fare delle distinzioni tra missioni internazionali avviate da questo o quel Governo, in quanto comunque tutte le missioni deliberate del Parlamento sono state rispettose del dettato costituzionale. Considera pertanto pienamente condivisibile l'ordine del giorno di cui si è paralto, all'accoglimento del quale è subordinato il voto favorevole del suo gruppo sul presente decreto-legge, volto a sottolineare la continuità delle missioni internazionali a cui partecipa l'Italia e a riconoscere il ruolo di operatori di pace a tutti i militari italiani impegnati all'Estero. Infine ritiene che, se si vuole effettivamente risolvere il problema del disarmo degli hezbollah, e, più in generale, la questione del terrorismo internazionale, sia necessario fare chiarezza sulle regole di ingaggio.

Fabio EVANGELISTI (IdV) ritiene che il dibattito politico italiano sulla missione libanese, se incentrato su questioni di politica interna anziché sulla tragedia libanese e sullo stato di insicurezza di Israele o sul dramma del popolo palestinese, risulti poco comprensibile all'opinione pubblica estera. Considera quindi quanto mai opportuni gli interventi dei deputati Mantovani e Cicu; che, concentrandosi sul merito della questione libanese, hanno tentato di evitare questa deriva.
Ritiene inoltre evidente come la cifra politica della missione in Libano sia del tutto diversa dalle iniziative assunte in Afghanistan e in Iraq, anche se ciò non toglie che la missione stessa si presenti molto complessa.
Del resto gli avvenimenti politici dell'ultima ora in Medio Oriente fanno capire come non si possa affidare solo alle armi la risoluzione dei conflitti, ma che un ruolo di primo piano deve essere affidato alla politica. Vanno quindi giudicate positivamente tutte le iniziative che si muovono nel senso della soluzione politica dei conflitti: da quella del Ministro degli Affari esteri D'Alema a quella del Presidente dell'Unione Interparlamentare Casini. Infine ritiene opportuno un chiarimento da parte del Governo sulla sproporzione che emerge dal testo del decreto-legge tra i fondi stanziati per la missione militare (186 milioni di euro per gli ultimi quattro mesi del 2006) e quelli stanziati per la cooperazione allo sviluppo (30 milioni di euro senza alcun riferimento temporale).

Salvatore CANNAVÒ (RC-SE) ritiene che la proposta avanzata da Alleanza nazionale di un ordine del giorno che riconosca il ruolo svolto dalle Forze armate nelle missioni internazionali sia del tutto inutile e fuorviante. A suo avviso infatti è chiaro che il ruolo delle Forze armate non è mai stato posto in discussione. Diverso è invece il giudizio che deve essere espresso sulle ragioni politiche che hanno ispirato gli interventi a cui le Forze armate sono state chiamate a partecipare.


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Ciò premesso, pur ritenendo che ci sia una discontinuità tra le missioni irachena e afgana, da un lato, e l'attuale missione libanese, dall'altro, ritiene che quest'ultima attualmente all'esame delle Commissioni riunite, presenti alcuni profili di ambiguità che dovrebbero essere chiariti dal Governo.
In primo luogo la risoluzione sostiene che il conflitto è scaturito da hezbollah, ma sottace le devastazioni a cui è stato sottoposto il Libano a causa della reazione del Governo israeliano che è apparsa del tutto sproporzionata.
In secondo luogo le modalità con le quali la risoluzione affronta la questione dell'intervento multinazionale e del disarmo degli hezbollah si presenta come un'ingerenza sulla sovranità del Libano e sulla sua politica interna.
Inoltre l'Italia ha stipulato in passato un accordo politico militare con lo Stato di Israele che compromette la sua posizione di imparzialità rispetto alle parti in conflitto, come invece richiederebbe il diritto internazionale, secondo cui l'interposizione deve essere garantita da Paesi terzi. Appare pertanto necessario una sospensione temporanea del citato accordo, al fine di non compromettere la terzietà del contingente italiano.
Ritiene altresì necessario che l'Italia assuma una netta posizione di discontinuità rispetto alla politica estera del precedente Governo con particolare riguardo alla missione in Afghanistan, in mancanza della quale il nostro Paese rischierebbe di compromettere la sua credibilità proprio nel territorio libanese.
Un'altra ragione di dissenso riguarda i costi della missione, che appaiono molto cospicui e che indurrebbero ad una riconsiderazione della missione in Afghanistan, al fine di evitare un'eccessiva esposizione finanziaria. Sempre riguardo al profilo dei costi, ritiene del tutto condivisibili le osservazioni del deputato Evangelisti sulla sproporzione tra gli stanziamenti destinati alla missione militare e quelli rivolti alla cooperazione allo sviluppo. Infine, nell'esprimere compiacimento per le parole espresse dal ministro D'Alema sulla lotta palestinese, ritiene che la condizione della popolazione palestinese sia divenuta del tutto insostenibile sia a causa della repressione israeliana, che si è accentuata nei territori occupati dopo la sospensione del conflitto in Libano, sia a causa dell'insediamento di nuove colonie israeliane nei territori palestinesi. In conclusione, rileva come l'attuale politica multilaterale, che si muove nell'ottica del partenariato tra Stati Uniti ed Europa, nella prospettiva di una correzione della politica estera americana da parte europea, non solo non sia priva di rischi, come ha dimostrato l'esperienza passata in Somalia e in Kosovo, ma non sia condivisibile, in quanto non mette in discussione gli assi principali della politica internazionale fondata sul rapporto verticale tra occidente e paesi arabi. Sottolinea pertanto come tutte queste riserve potranno essere superate solo in presenza di impegni espliciti da parte del Governo sulla questione palestinese, sulla non ingerenza negli affari interni libanesi e sul ripensamento della missione italiana in Afghanistan.

Valdo SPINI (Ulivo) rileva che, dopo il voto del 18 agosto scorso, la situazione politica internazionale è migliorata. Allora non si potevano prevedere le prese di posizione dell'Unione europea, il mutamento di condotta da parte della Francia, l'assunzione di responsabilità da parte della Turchia, della Cina e della Russia. Nel ricordare che nel corso della XIII legislatura l'allora opposizione di centrodestra assicurò il sostegno parlamentare a importanti provvedimenti in materia di difesa e politica estera, rivolge un appello ai gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale affinché possano ritrovare lo spirito di collaborazione dimostrato in occasione della approvazione della risoluzione del 18 agosto.
Sottolinea che, come rilevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, le questioni di politica estera sembrano avere unito la maggioranza e disgregato l'opposizione che dovrebbe auspicabilmente assumere


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una linea conforme all'interesse del Paese e dei lavori parlamentari ad un voto chiaro.
In ordine all'importanza del lavoro svolto dal Governo italiano, è innegabile che il coraggio dimostrato dell'Italia ha indotto altri Paesi ad assumere iniziative, senza nulla concedere a toni trionfalistici. A suo avviso, anche la Francia ha agito positivamente quando ha preferito attendere il consolidamento di una posizione precisa da parte dell'Europa.
Sottolinea con soddisfazione la partecipazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite al Consiglio Affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea, che stabilisce un obiettivo rilevante e promettente per tutti coloro che auspicano il consolidamento di una politica di difesa europea; la missione in Libano ancor più di quella in Kossovo sancisce il rapporto tra le Nazioni Unite e l'Europa. Rileva, inoltre, che l'Italia ha dato il contributo al rafforzamento di organismi internazionali - le Nazioni Unite e l'Unione europea - che erano in difficoltà per ragioni istituzionali o per ragioni connesse a esperienze negative passate, soprattutto nei Balcani. Occorre dare atto al Governo italiano di avere bene interpretato e lavorato all'attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite. Il risultato è rappresentato da una condizione politica ambigua ma positiva, vale a dire il consenso alla missione assicurato sia da Israele che dal Libano. Certo, la missione garantisce un cessate-il-fuoco e non un trattato di pace per il Medi Oriente. Malgrado tutto, essa ha però funzionato e le recenti minacce provenienti da al qaeda dovrebbero indurre a consolidare una volontà comune e positiva. Nel ricordare l'importante segnale del riconoscimento dell'amministrazione Bush nei confronti dell'iniziativa italiana in Libano, ritiene che un voto contrario da parte dell'opposizione sarebbe fuori linea rispetto alla comunità internazionale.
Rileva che a questo punto resta da compiere un lavoro ulteriore e che, malgrado il successo della missione dei primi anni '80, la notevole consistenza del contingente italiano destinato al Libano descriva bene la maggiore complessità di tale impegno rispetto al passato.
In relazione a quanto osservato dal deputato Cannavò, ricorda che il capo di hezbollah ha riconosciuto i propri errori e implicitamente ammesso che la politica in Medio Oriente deve essere condotta in modo diverso. Si deve innanzitutto rafforzare il governo libanese. che per la prima volta intende assumere con il proprio esercito il pieno controllo del territorio. Il mandato delle Nazioni Unite concerne l'aiuto alle truppe libanesi svolgendo un ruolo attivo essenziale per scongiurare eventuali attacchi. Occorre anche sostenere il Libano nel consolidamento della propria sovranità e, in generale, il processo di pace tra Israele e il popolo palestinese. La crisi in Libano ha costituito un grave pericolo proprio nel momento in cui si era pervenuti ad un accordo sui prigionieri; adesso si torna a parlare di un governo di unità nazionale per l'Autorità nazionale palestinese che potrebbe costituire un importante elemento per una soluzione definitiva. Ritiene poi che sia difficile pervenire alla pace senza il coinvolgimento della Siria, che non è automaticamente da considerare posta sotto l'egemonia sciita. Osserva anche che un ulteriore elemento positivo è costituto dagli esiti dell'incontro di oggi tra Javier Solana e il negoziatore iraniano.
Nella piena consapevolezza di tutti gli aspetti finora menzionati, l'accordo per il cessate-il-fuoco costituisce la premessa per un trattato di pace. Tuttavia si deve valutare positivamente la richiesta che perviene dalle Nazioni Unite, senza nascondere le questioni che separano la maggioranza e l'opposizione e senza rinunciare a richieste di chiarimento.
Ritiene che il mantenimento dello spirito collaborativo gioverebbe al prestigio dell'Italia e non sarebbe in contrapposizione con l'apprezzamento sempre manifestato alle forze italiane impegnate in missione di pace. Tuttavia, non è possibile insistere affinché le singole forze politiche sconfessino posizioni prese nel passato. A suo giudizio, vi sono i presupposti di un


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voto unanime su tale missione, che conferma la ripresa del metodo multilaterale e del ruolo italiano in politica estera.
In conclusione, considerato il senso di responsabilità dimostrato dall'Italia in una fase impegnativa anche da un punto di vista economico, auspica un voto condiviso che consenta al Paese di dare un contributo alla realizzazione dell'obiettivo della pace.

Patrizia PAOLETTI TANGHERONI (FI) concorda circa l'evoluzione della situazione generale dopo il voto del 18 agosto. Soprattutto in occasione delle commemorazioni degli attentati dell'11 settembre 2001, rileva che si sono registrate talune gravi confusioni da parte di alcune forze politiche nel rappresentare il rapporto tra la causa e gli effetti di quegli attentati. Tutto ciò non pregiudica comunque la possibilità di pervenire a delle posizioni comuni, una volta ottenuti dal Governo i chiarimenti richiesti. Per quanto riguarda le osservazioni del deputato Cannavò sulle minacce provenienti da al qaeda, osserva che la politica internazionale non può essere condizionata dai terroristi e che la comunità internazionale debba essere unita nell'azione di contrasto. Per quanto riguarda le riflessioni del deputato Spini sul multilateralismo, ritiene che si tratta di una scommessa da sostenere alla luce della lunga esperienza di fallimenti, tra i quali rientra la stessa missione UNIFIL.
Nel concordare con i rilievi espressi dal deputato Cossiga, ritiene improprio che l'impostazione del provvedimento enfatizzi gli interventi di cooperazione allo sviluppo che, da un punto di vista economico, sono del tutto marginali rispetto alla missione militare. Il provvedimento riguarda interventi di emergenza che soltanto nel futuro si collegheranno allo sviluppo.
Sottolinea inoltre che la mancata presentazione di emendamenti in questa fase dell'iter di esame è mirata a testimoniare l'atteggiamento collaborativo dell'opposizione. Osserva che la risoluzione delle Nazioni Unite non equipara Israele ed hezbollah che, come rilevato dal deputato Cannavò, hanno avuto responsabilità diverse nel conflitto. Infine, per quanto riguarda la previsione di corsi di lingua araba destinate ai militari italiani, rileva che è da presumere che essi saranno del tutto inadeguati ad una conoscenza di base della lingua araba, di cui attesta, in virtù della personale esperienza, un'assoluta complessità

Roberta PINOTTI, presidente e relatore per la IV Commissione, nel registrare l'ampio e proficuo dibattito, sottopone a sua volta al rappresentante del Governo il problema, segnalato da molti interessati, della disparità di trattamento economico del personale della missione a seconda che risulti imbarcato o meno. Nel rimarcare l'evidente sperequazione che tale regime determina, invita il sottosegretario Forcieri a verificare i termini della questione per trovarvi una soluzione.

Il sottosegretario Giovanni Lorenzo FORCIERI, nell'apprezzare il dibattito svoltosi, dal quale è del parere che si possa registrare un diffuso apprezzamento sull'iniziativa del Governo nella crisi in Libano, rimarca come le critiche più pesanti siano state sollevate soprattutto fuori dal contesto del dibattito parlamentare sulla missione.
Dopo aver ricordato l'importante contributo italiano nell'impostazione della soluzione della crisi in Libano, a partire dalla Conferenza di Roma e anche durante le fasi della definizione della risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, ricorda le tempestive iniziative diplomatiche dell'Italia che ne sono seguite e la pronta predisposizione di un contingente militare, che ha permesso di realizzare la missione, come riconosciuto dallo stesso Peres. Un contributo in tal senso è venuto dal voto quasi unanime alla partecipazione alla missione, registrato presso le Commissioni esteri e difesa delle due Camere il 18 agosto scorso.
Dopo aver ricordato gli evidenti risultati della risoluzione n. 1701, come la cessazione degli scontri e l'apertura di un percorso di pace, respinge in particolare la critica sollevata da una parte politica, per


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la quale la risoluzione sarebbe stata «rivoltata come un calzino»: si tratta di una critica da indirizzare al Consiglio di sicurezza dell'ONU piuttosto che al Governo italiano.
Sottolineando che il decreto non si limita ad autorizzare la partecipazione militare italiana alla missione UNIFIL ma anche un significativo contributo di 30 milioni di euro per interventi di cooperazione, si sofferma sul problema politico posto nel dibattito per primo dal deputato Fini, circa il significato politico delle missioni intraprese dal precedente Governo. Sul punto precisa che i militari italiani operano come forza di pace in qualsiasi paese, situazione o teatro si trovino a svolgere i loro compiti, dato il chiaro tenore dell'articolo 11 della Costituzione Ma non tutte le missioni si inseriscono nello stesso contesto: infatti, sulla missione in Iraq, a causa dello specifico contesto che l'ha generata, precisa che l'attuale maggioranza conserva un giudizio negativo, già ripetutamente espresso. In proposito, nonostante il deputato Fini abbia ricordato nel suo intervento del 6 settembre scorso che anche sotto il Governo di centrodestra la politica estera italiana si era basata su tre coordinate, multilateralismo, atlantismo e europeismo, ravvisa sul punto una evidente diversità di quel Governo rispetto a quello attuale, in quello che definisce un problema di «dosaggio» fra tali coordinate: infatti la partecipazione decisa dal centrodestra alle operazioni in Iraq non è stata il frutto di una scelta maturata in sede multilaterale, ma fuori e contro l'ONU, che ha indebolito la NATO e spaccato l'Europa. Sul punto ricorda come la stessa commissione di inchiesta costituita presso il Senato degli Stati Uniti sia giunta nella propria recente relazione alla conclusione dell'inesistenza delle ragioni addotte dall'Amministrazione Bush per giustificare l'attacco all'Iraq. La comunità internazionale è ora alle prese con una nuova emergenza nella regione, nella soluzione della quale è auspicabile che siano coinvolti tutti i Paesi dell'area.
Sottolinea quindi come la politica estera portata avanti dal Governo sia nei suoi capisaldi improntata sia all'europeismo ed alla preservazione delle relazioni transatlantiche sia ad una forte attenzione verso i Paesi del Mediterraneo.
Quanto agli specifici quesiti posti nel corso della discussione, ai deputati La Malfa, Gamba, Forlani e Cossiga intervenuti sul tema delle regole di ingaggio, osserva che tali regole sono uno strumento procedurale ad uso delle forze operanti sul campo per uniformarne il comportamento, qualora si presenti la necessità di reagire a situazioni operative improvvise ed urgenti che non consentono una consultazione con i livelli superiori. Da una parte esse devono codificare l'autodifesa, dall'altra devono precisare il livello di uso della forza, per raggiungere lo scopo della missione, se vengono incontrati atteggiamenti ostili di opposizione. Nel processo decisionale di adesione all'operazione richiesta dall'ONU, questo argomento è stato ampiamente discusso sulla base delle esperienze acquisite dai militari italiani nelle missioni internazionali e facendo altresì riferimento anche ad eventi negativi emersi durante missioni sotto diretta responsabilità dell'ONU. L'autorità politica responsabile, in questo caso l'ONU, deve dettare le regole di ingaggio in modo tale da consentire all'autorità militare di poter tradurre in codificazione operativa concreta e fattibile tali linee d'indirizzo. Ciò in passato non è avvenuto e la mancanza di chiarezza è stata origine di avvenimenti negativi e lontani dallo scopo della missione. In questo caso invece il risultato della discussione è stato soddisfacente ed è stato possibile togliere la riserva su questo punto.
Chiarisce comunque che la codificazione di comportamenti che viene elaborata deve essere per sua natura altamente riservata in quanto la loro conoscenza di dettaglio può costituire elemento di pericoloso vantaggio da parte di un avversario che voglia rendere più efficaci ed insidiosi gli attacchi. Sul punto, dopo aver sottolineato che la classifica di riservatezza data dall'ONU e le giuste ragioni che sono alla base di essa impediscono di entrare nel dettaglio tecnico e di divulgare il set di


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regole, precisa che in sostanza le regole pervenute consentono l'uso della forza per fare rispettare la risoluzione ONU in modo puntuale. Vengono così evitate situazioni analoghe a quelle registrate a Srebrenica o in Ruanda, dove, a fronte di violazioni evidenti, non vi erano comportamenti decisi e determinati da assumere: ritiene questa la parte più critica e delicata perché impone un comportamento attivo, soggetto a possibili resistenze.
Ricorda che l'uso della forza sarà consentito contro chiunque tenti di impedire all'UNIFIL di espletare i propri compiti e di limitarne la libertà di movimento. È consentito di intervenire attivamente anche nel caso venga messo in pericolo l'incolumità della popolazione civile. Pertanto l'UNIFIL potrà agire con i mezzi a disposizione per impedire che qualsiasi attività ostile venga effettuata nell'area di propria competenza. A tal fine rileva coerenza tra obiettivi e strumenti perché sono messe a disposizione tutte le adeguate autorizzazioni all'uso della forza per realizzare gli obiettivi della missione. In particolare, dopo aver ricordato la consistenza della early entry force, precisa che le forze successive (follow on forces) consisteranno in una unità a livello di brigata, che possiede tutte le componenti a livello di uomini, mezzi ed armamento per assolvere alla missione in coerenza con le regole di ingaggio.
Dopo aver ricordato, in risposta ai deputati De Zulueta e Gamba, che è in fase di completamento la procedura selettiva preliminare alla nomina del responsabile della cellula strategica presso l'ONU, si sofferma sulla questione del disarmo di hezbollah, posta in particolare dai deputati Boniver, La Malfa e Gamba. In proposito osserva che il disarmo della milizia hezbollah è stato per la prima volta formalmente richiesto dalla risoluzione n. 1559 del Consiglio di Sicurezza, adottata il 2 settembre 2004. La risoluzione chiedeva oltre al ritiro delle forze straniere rimanenti nel Paese, lo scioglimento ed il disarmo di tutte le milizie libanesi e non-libanesi, la più importante delle quali era e resta hezbollah. La prima parte della risoluzione n. 1559 ha avuto definitiva attuazione con il ritiro delle truppe siriane dal Libano, ufficialmente completato il 26 aprile 2005. La questione del disarmo della milizia è invece ancora aperta. Il cosiddetto «dialogo nazionale», esercizio avviato il 2 marzo 2006 da tutti i leader politici libanesi, non ha finora trovato una soluzione anche perché è stata finora scartata l'idea di una possibile integrazione della milizia nell'ambito dell'esercito regolare. I partiti alleati del Presidente della Repubblica Lahoud ed il duetto Amal-hezbollah, hanno insistito nel voler condizionare il disarmo al ritiro israeliano dalle terre ancora occupate (riferendosi in particolare alla controversa questione delle «fattorie di Chebaa»). Per privare la milizia del pretesto per non disarmare, il Primo ministro libanese Siniora non perde occasione per ribadire la necessità che Israele si ritiri al più presto dalle fattorie di Chebaa e dalle limitrofe colline di Kfarchouba.
Ricorda quindi che la risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza prevede che il contingente dell'UNIFIL debba accompagnare e sostenere le forze armate libanesi nel loro dispiegamento nel Libano meridionale e assisterle nel loro compito di ricondurre l'area alle previsioni stabilite nel paragrafo 8 (completo raggiungimento degli obiettivi fissati dagli Accordi di Taif del 1989 ed attuazione delle risoluzioni n. 1559/2004 e n. 1680/2006). Tra i compiti a carico del Libano e di Israele la risoluzione menziona espressamente: «il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano, in modo che non vi siano in Libano né altre armi né altra Autorità al di fuori di quelle dello Stato libanese». Il disarmo di hezbollah si inserisce quindi nel più ampio processo di ricostruzione della sovranità dello Stato libanese. Attualmente, in conformità alla risoluzione n. 1701, l'esercito libanese ha dispiegato oltre 25.000 militari nella zona a sud del fiume Litani e sta prendendo progressivamente controllo della regione. Parallelamente al dispiegamento dell'UNIFIL, Israele sta altresì ritirando progressivamente le sue truppe a Sud della linea blu. Quanto descritto lo


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induce conclusivamente a sostenere come sia ormai in corso un processo politico, non militare.
Quanto alla questione posta dai deputati Deiana e Cannavò circa l'accordo tra Italia e Israele di cooperazione nel campo della difesa, rileva che esso, firmato a Parigi il 16 giugno 2003, non è stato ancora ratificato da Israele. Inoltre segnala come analoghi accordi bilaterali nel settore della difesa siano stati stipulati dall'Italia tra il 1998 e il 2004 con la Giordania (in vigore dal 2004), l'Egitto ed il Libano (entrambi in attesa dello scambio degli strumenti di ratifica).
In tema di cooperazione allo sviluppo ricorda l'importante contributo assicurato dal Ministero degli Affari esteri, dettagliato nel documento che il Ministro degli Affari esteri ha depositato agli atti della Commissione il 6 settembre scorso. In tale contesto, rispondendo ad un quesito posto dal deputato De Zulueta, ricorda che l'Italia per risolvere il problema ambientale delle coste libanesi ha inviato un team di esperti che ha valutato con il ministro dell'ambiente libanese i possibili interventi di recupero. Sulla base di tali valutazioni è stato definito un piano operativo, approvato dal Consiglio dei ministri l'8 settembre scorso, che prevede: il monitoraggio e la bonifica del tratto di mare antistante la centrale elettrica colpita il 14 luglio scorso, dalla quale è fuoriuscita una gran quantità di combustibile, riversatosi in mare, al fine di consentire all'impianto, allorché riportato in efficienza, di attivare il prelievo dal mare delle acque di raffreddamento senza introdurre nel circuito parti oleose; il monitoraggio strumentale dei mari e delle coste libanesi per una verifica degli effetti dinamici dello spandimento e per l'eventuale intervento su specifiche aree a rischio o meritevoli di particolare protezione. Il primo intervento di bonifica sarà operato con il coordinamento di un Pattugliatore della Guardia Costiera classe «Diciotti» con dotazioni anti inquinamento che giungerà nell'area nei prossimi giorni e dovrebbe concludersi in un arco temporale di 10-15 giorni.
Con riferimento infine a quanto rilevato dal presidente Pinotti, assicura l'attenzione del Ministero della difesa per una soluzione opportuna ed equa.
Rileva conclusivamente come il popolo libanese attenda un significativo aiuto da parte italiana, il cui intervento è stato peraltro richiesto anche da Israele. Sotto questo profilo non condivide le critiche rivolte al Ministro degli affari esteri per aver passeggiato tra le rovine di Beirut a braccetto di un deputato hezbollah: in proposito ricorda che anche il Segretario generale dell'ONU ha incontrato esponenti di tale movimento, dai quali è stato anche invitato a colazione.
Con particolare riferimento ai rilievi del deputato Cossiga assicura che l'Italia avrà cura di mantenersi terza rispetto alle parti in causa, impegnandosi soprattutto nell'aiuto della popolazione libanese, nel rispetto del ruolo del Governo del Libano.
L'UNIFIL ha il compito di consolidare la tregua per consentire alla diplomazia ed alla politica di avviare un percorso di pace che, cominciando dalla crisi tra Libano e Israele, possa produrre benefici anche ai fini della soluzione del conflitto israelo-palestinese. In tal senso depone anche la concreta prospettiva che si possa formare un governo di unità nazionale fra hamas e al fatah nei Territori. Nell'auspicio che la determinazione politica e l'impegno internazionale possano dare i loro frutti, confida in un forte sostegno parlamentare.

Roberta PINOTTI, presidente, accertato il consenso dei rappresentanti dei gruppi, avverte che le Commissioni si riuniranno domani alle ore 15 per esaminare gli emendamenti e per deliberare in ordine al mandato ai relatori a riferire in Assemblea. Conseguentemente non avrà luogo la seduta prevista per giovedì 14 settembre. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 18.05.