XIII Commissione - Mercoledì 13 settembre 2006


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ALLEGATO 1

Decreto-legge n. 251/2006: Adeguamento alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica.

DOCUMENTAZIONE PREDISPOSTA DAL RELATORE

Il decreto-legge che la Commissione si trova ad esaminare è stato adottato in relazione ad una ben precisa situazione di difformità tra l'ordinamento nazionale e l'ordinamento comunitario, che ha imposto al Governo di intervenire con un provvedimento di urgenza. La Commissione europea ha infatti avviato contro l'Italia due procedure di infrazione (si tratta, rispettivamente, delle procedure n. 2006/2131 e 2006/4043) relative al recepimento e all'applicazione nel nostro paese della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Per ciascuna delle due procedure, la Commissione europea ha trasmesso al Governo italiano, nell'aprile scorso, una lettera di messa in mora, alla quale ha fatto seguito, alla fine di giugno, un parere motivato.
I rilievi della Commissione europea interessano diversi profili della direttiva comunitaria, che non hanno ricevuto attuazione in modo soddisfacente. Tuttavia le contestazioni principali si concentrano sull'applicazione dell'articolo 9 della direttiva, che disciplina la possibilità di introdurre, nell'ordinamento interno di ciascuno Stato membro, deroghe alle misure previste dalla direttiva medesima per la protezione degli uccelli selvatici. Tali deroghe riguardano, tra l'altro, l'esercizio dell'attività della caccia, con riferimento al periodo in cui essa si svolge, alle specie cacciabili e ai contingenti numerici, alle modalità e agli strumenti con cui la caccia viene effettuata.
Si tratta di un profilo che già in passato era stato oggetto di controversie, al punto da indurre ad adottare la legge n. 221 del 2002, che aveva introdotto nella legge generale sulla caccia, la legge n. 157 del 1992, alcune disposizioni volte a disciplinare l'adozione delle deroghe da parte delle regioni. L'intervento operato con la legge n. 221 non si è tuttavia dimostrato sufficiente.
La Commissione europea osserva peraltro che le carenze dell'ordinamento italiano in questa materia non sono riconducibili alla legislazione nazionale, quanto piuttosto alle leggi e ai conseguenti atti amministrativi adottati dalle regioni. La Commissione europea dichiara testualmente che sono «le normative regionali che disciplinano la adozione delle deroghe nonché i singoli atti di deroga adottati dalle regioni» che risultano spesso non in linea con l'articolo 9 della direttiva. Già nel 2004 la Commissione europea aveva avviato procedure di infrazione che si riferivano in modo specifico alle leggi sulla caccia delle regioni Veneto e Sardegna; la seconda procedura di infrazione avviata nell'anno in corso ha per oggetto la legge sulla caccia della Liguria.
Nel parere motivato relativo alla procedura di infrazione 2006/2131, che ha carattere generale, inoltre, la Commissione esamina in modo dettagliato la legislazione e gli atti amministrativi adottati dalle diverse regioni, evidenziandone le inadeguatezze.
Si rileva che la deroga alle misure di protezione deve essere un provvedimento eccezionale, che, come tale, deve avere una validità limitata nel tempo e deve essere stato adottato attraverso una precisa analisi dei presupposti e delle condizioni di fatto corrispondenti alle previsioni dell'articolo


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9 della direttiva. Al contrario, le leggi regionali spesso non fanno puntuale riferimento ai requisiti previsti dal citato articolo 9, o individuano in via generale e astratta, senza limiti temporali, le specie cacciabili in deroga alla direttiva, o, in ogni caso, non motivano in modo specifico e concreto l'adozione delle deroghe. Quest'ultima carenza si riscontra anche negli atti amministrativi (in genere, delibere della giunta regionale) con le quali le singole deroghe sono applicate. In conclusione, la Commissione rileva che la normativa regionale in Italia si avvale del regime delle deroghe previsto dall'articolo 9 della direttiva «per autorizzare una sorta di regime semi-permanente di caccia agli uccelli rispetto ai quali la caccia è vietata».
In base alle norme contenute nel Trattato istitutivo della Comunità europea, una volta che la Commissione abbia adottato un parere motivato, lo Stato membro interessato può, entro il termine fissato dalla Commissione (in questo caso, due mesi), presentare proprie osservazioni e intervenire in modo da eliminare gli elementi di contrasto con l'ordinamento comunitario. In assenza di ciò, la Commissione può citare lo Stato membro di fronte alla Corte di Giustizia delle Comunità europee per non aver adempiuto agli obblighi discendenti dal Trattato.
Anche in considerazione della ristrettezza dei tempi a disposizione, il Governo ha adottato il decreto-legge al nostro esame, che, con efficacia immediata, interviene sulla situazione sopra richiamata sotto tre distinti profili. In primo luogo vengono stabilite alcune norme più rigorose, di cui, peraltro, si prevede l'applicazione non all'intero territorio nazionale, ma alle Zone di protezione speciale, vale a dire alle zone individuate per assicurare la protezione delle specie che, in base alla direttiva comunitaria, hanno necessità di misure speciali di conservazione (specie minacciate di sparizione o rare o caratterizzate dalla specificità del loro habitat). L'esigenza di definire la disciplina delle Zone di protezione speciale deriva anche da un intricato contenzioso giudiziario determinatosi in relazione agli atti amministrativi adottati in passato, contenzioso che di per se stesso avrebbe provocato serie difficoltà per l'avvio dell'attività venatoria. In secondo luogo viene resa più severa la normativa generale che disciplina l'adozione da parte delle regioni di deroghe alla direttiva comunitaria. In terzo luogo si interviene sulla legislazione regionale vigente e sugli atti amministrativi già adottati dalle regioni, disponendo la sospensione dell'efficacia per le prescrizioni difformi rispetto alla normativa comunitaria e richiedendo alle regioni di adeguare la propria disciplina alle previsioni comunitarie.
Per quanto concerne le Zone di protezione speciale, l'articolo 3 del decreto-legge definisce alcune misure di conservazione inderogabili da parte delle regioni. Tali misure riguardano i tempi di svolgimento dell'attività venatoria, in relazione ai quali si vieta l'esercizio in data antecedente alla prima domenica di ottobre e nel mese di gennaio, la preapertura, l'attività di addestramento di cani da caccia prima della seconda domenica di settembre e dopo la chiusura della stagione venatoria; le specie cacciabili, riguardo alle quali si escludono deroghe alla normativa comunitaria motivate con riferimento alla piccola quantità prelevabile di singole specie, e si vieta l'abbattimento di esemplari appartenenti alle specie individuate alla lettera i) del comma 1; le modalità di svolgimento, a proposito delle quali si vieta lo sparo al nido per il controllo dei corvidi e i ripopolamenti a scopo venatorio; norme specifiche di protezione ambientale, relative al divieto di realizzare nuove discariche o nuovi impianti di trattamento dei rifiuti. Si prevede, inoltre, l'obbligo di messa in sicurezza degli elettrodotti e delle linee aeree ad alta e media tensione. In sede di prima applicazione, per la stagione venatoria 2006/2007 si fissa alla terza domenica di settembre il termine entro il quale la caccia non può iniziare nelle Zone di protezione speciale.
Ulteriori misure di conservazione, concernenti il divieto di realizzare elettrodotti, impianti di risalita e piste da sci, centrali


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eoliche e di svolgere attività di circolazione motorizzata fuoristrada, sono previste dall'articolo 4. Tali misure, peraltro, si applicano fino all'intervento della normativa regionale di disciplina delle Zone di protezione speciale o, per quanto concerne le centrali eoliche, fino all'adozione di specifici piani di gestione per tali Zone.
Anche gli articoli 5 e 6 si riferiscono alla disciplina delle Zone di protezione speciale. In particolare, in relazione ad uno specifico rilievo della Commissione europea, si demanda ad un decreto ministeriale, da adottare di intesa con la Conferenza Stato-regioni, l'individuazione di tipologie ambientali di riferimento sulla base dei criteri ornitologici previsti dalla direttiva e la definizione di una normativa-quadro volta a individuare i requisiti minimi essenziali in base ai quali le regioni dovranno stabilire le misure di conservazione da applicare alle Zone di protezione speciale, agli habitat esterni alle zone suddette, ma funzionali alla conservazione degli uccelli e, in generale, alle tipologie ambientali definite dal decreto. Nel caso in cui le Zone di protezione speciale si trovino all'interno di aree naturali o marittime protette, si applicano le misure di salvaguardia più restrittive.
Oltre a stabilire una normativa più rigorosa per le Zone di protezione speciale, il decreto-legge interviene sulla disciplina generale, introdotta dalla legge n. 221 del 2002, in base alla quale le regioni adottano deroghe alla normativa comunitaria. Viene pertanto modificato l'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, che era stato appunto inserito dalla citata legge n. 221. In conformità ai rilievi della Commissione europea, le modifiche, di cui all'articolo 7 del decreto-legge, prevedono espressamente che le deroghe debbano avere un carattere eccezionale, con efficacia limitata nel tempo (in ogni caso non superiore ad un anno) e debbano essere motivate in modo specifico e concreto. La specificità della motivazione si riferisce sia all'assenza di altre soluzioni soddisfacenti sia alla precisa indicazione della tipologia di deroga adottata tra quelle individuate dall'articolo 9 della direttiva; la deroga deve altresì motivata in concreto, vale a dire adottata caso per caso, in base all'analisi di presupposti e condizioni di fatto che integrano i requisiti previsti dal citato articolo 9.
Ulteriori modifiche dell'articolo 19-bis attribuiscono carattere obbligatorio e vincolante al parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica ed escludono l'adozione di deroghe con riferimento alle specie la cui consistenza sia in diminuzione. Viene infine rivista la procedura di annullamento, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti di deroga adotti dalle regioni in difformità dalla normativa comunitaria e da quella statale. Tale procedura, come definita dalla legge n. 221 del 2002, è stata severamente criticata dalla Commissione europea per la sua macchinosità e lentezza, per cui l'annullamento interveniva di regola quando la deroga aveva esaurito i suoi effetti (ad esempio, era già trascorso il periodo in cui era stato anticipato lo svolgimento della caccia). La nuova disciplina dettata dal decreto-legge prevede una procedura più semplice e, in particolare, stabilisce il termine di dieci giorni entro il quale la regione diffidata deve conformare le proprie decisioni alla normativa comunitaria e statale. Trascorso tale termine, si procede all'annullamento del provvedimento di deroga.
La revisione della disciplina generale in base alla quale le regioni possono adottare deroghe alla normativa comunitaria lascia peraltro aperta la questione delle leggi e dei provvedimenti di deroga adottati in passato, che sono stati oggetto delle censure della Commissione europea. È questo il terzo profilo su cui interviene il decreto-legge. Al riguardo l'articolo 8, per un verso, dispone con efficacia immediata la sospensione delle deroghe adottate dalle regioni in difformità alla normativa comunitaria e statale (come rivista dal decreto-legge in esame). Per l'altro, richiede che le regioni abroghino o rivedano la legislazione e gli atti amministrativi (delibere e altri atti, ivi compresi quelli di approvazione dei calendari venatori regionali) non conformi a tale quadro normativo


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entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. Trascorso tale termine, nel caso in cui le regioni non provvedano, le leggi regionali si intendono abrogate e gli atti amministrativi che ne danno esecuzione si intendono annullati. È forse opportuna una riflessione, anche da parte del Governo, rispetto alle previsioni dell'articolo 8, per valutare se possa considerarsi appropriato prevedere con una legge statale l'abrogazione di leggi regionali. In ogni caso, occorre individuare una formulazione del testo che, facendo salva l'autonomia regionale, comunque intervenga sulle previsioni adottate dalle regioni in difformità alla normativa comunitaria. Occorre infatti evidenziare che tali previsioni hanno determinato l'avvio da parte della Commissione europea di procedure di infrazione rispetto alle quali non le regioni, ma il Governo è chiamato a rispondere e a subirne le eventuali conseguenze, anche sotto il profilo finanziario.
L'articolo 9 del decreto-legge introduce alcune modifiche alla legge sulla caccia che sono finalizzate in modo specifico e puntuale a dare seguito alle osservazioni formulate dalla Commissione europea. L'articolo 10, infine, precisa che il provvedimento in esame non comporta oneri a carico della finanza pubblica.
L'impianto del decreto-legge è pertanto rivolto interamente ad adeguare l'ordinamento interno alla normativa comunitaria superando i rilievi formulati dalla Commissione europea. Peraltro, non si tratta soltanto di evitare il rischio che l'Italia sia citata di fronte alla Corte di Giustizia e subisca una condanna, che, nel caso in cui l'inadempimento si protragga, potrebbe condurre anche all'imposizione di una sanzione pecuniaria. Sussiste un rischio più grave, di natura finanziaria, che accentua i caratteri di necessità e urgenza connessi all'adozione del provvedimento in esame. Si rischia, infatti, che si determini un grave ritardo nell'approvazione dei nuovi Programmi di sviluppo rurale, relativi agli anni 2007-2013, e, di conseguenza, nell'avvio dell'erogazione dei finanziamenti per lo sviluppo rurale, che per l'Italia ammontano complessivamente nel settennio a 8,3 miliardi di euro. La tutela della biodiversità rappresenta uno dei temi strategici della nuova programmazione dello sviluppo rurale, per cui la Commissione europea potrebbe rifiutarsi di affrontare i negoziati sui programmi regionali, in assenza di interventi che superino i rilievi evidenziati nella procedure di infrazione. Dal momento che i nuovi programmi dovrebbero applicarsi dal 1o gennaio 2007, il ritardo nella loro approvazione determinerebbe conseguenze molto pesanti in ordine alla erogazione e all'utilizzo dei finanziamenti assegnati all'Italia, che, se il ritardo si prolungasse, potrebbero in misura significativa andare perduti. Il problema si pone non solo per i contributi relativi allo sviluppo rurale, ma anche per quelli ordinari, connessi agli interventi di mercato (vale a dire al primo pilastro della PAC). È stata infatti avviata anche una procedura di penalizzazione finanziaria a carico della quota di finanziamenti relativa al regime di condizionalità, che potrebbe portare ad una sanzione pari a circa l'1 per cento dell'importo complessivo dei finanziamenti per gli interventi di mercato.
Alla luce di queste considerazioni emerge l'esigenza che il provvedimento in esame pervenga alla conversione in legge in tempi rapidi. Ciò non esclude, peraltro, la possibilità che, nel corso dell'esame parlamentare, in particolare per quanto riguarda l'esame in prima lettura da parte della Camera dei deputati, possano essere apportate alcune modifiche volte a migliorare il testo, senza stravolgere l'impianto del decreto-legge né impedire il raggiungimento degli obiettivi in vista dei quali è stato adottato.


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ALLEGATO 2

Decreto-legge n. 251/2006: Adeguamento alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica.

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL GOVERNO

La Repubblica italiana ha provveduto a recepire la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, con la legge 11 febbraio 1992, n. 157, successivamente modificata con legge 3 ottobre 2002, n. 221, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Tuttavia, la Commissione europea ha più volte manifestato la propria insoddisfazione per come è stata recepita la suddetta direttiva, specie per quanto riguarda la disciplina del regime delle deroghe ai divieti posti dalla direttiva. Ne è derivata l'attivazione di ben quattro procedure di infrazione (n. 2004/4926, 2004/4242, 2006/4043 e 2006/2131). Poiché le contestazioni della Commissione hanno un serio fondamento, si è ritenuto necessario agire su un duplice fronte, al fine di evitare una condanna certa da parte della Corte di giustizia europea. Da una parte, rafforzare il dispositivo della legge 3 ottobre 2002, n. 221, modificando l'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, dall'altra agire anche in via sostitutiva sulle difformi leggi delle autorità regionali responsabili dell'applicazione delle deroghe. Inoltre, sotto questo aspetto, è stato ritenuto necessario provvedere con urgenza ad assicurare un adeguato regime di tutela delle Zone di protezione speciale (ZPS), entrate anch'esse nel mirino della Commissione che contesta ulteriori inadempienze in quanto, nel prevedere misure speciali di conservazione, non si sarebbe tenuto conto dei criteri ornitologici individuati dalla direttiva (ma non definiti a livello nazionale). La straordinaria necessità ed urgenza di superare la suddetta procedura di infrazione muove oltre che dall'esigenza di scongiurare la condanna dell'Italia, anche dall'imminente rischio di pesanti conseguenze finanziarie nel contesto dello sviluppo rurale e della PAC. Per le suesposte ragioni, si è predisposto il presente decreto, finalizzato all'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa e agli obblighi comunitari (articolo 1).
Con l'articolo 2, si prevedono le misure di conservazione per le Zone di protezione speciale (ZPS) e le Zone speciali di conservazione (ZSC).
Con l'articolo 3 si dettano le misure applicabili inderogabilmente nelle ZPS e con l'articolo 4, quelle soggette a regolazione da parte delle regioni.
L'articolo 5 demanda a un decreto interministeriale, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, la individuazione delle specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella direttiva 79/409/CEE e delle esigenze ecologiche delle specie faunistiche presenti. Con il medesimo decreto si definiscono i requisiti minimi di tutela ambientale per assicurare coerenza ed uniformità - nella ricorrenza delle medesime situazioni di fatto - delle altre misure di conservazione di competenza regionale, applicabili nelle ZPS, tenendo conto dei criteri ornitologici, riferiti anche agli habitat esterni funzionali a dette zone e prevedendo anche l'estensione di dette zone (per ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia europea del 20 marzo 2003).


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L'articolo 6 prevede che tali misure si applicano, se più restrittive, anche alle zone in questione che ricadono all'interno di aree naturali protette o di aree marine protette; altrimenti si applicano le misure esistenti in dette aree.
L'articolo 7 è diretto a rafforzare l'attuale articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per venire incontro alle contestazioni del parere motivato della Commissione europea che ha rilevato l'uso, ritenuto non corretto, di adottare deroghe con leggi-provvedimento non motivate o con leggi-quadro, nelle quali già si autorizzano deroghe specifiche, il tutto in contrasto con il carattere che deve avere la deroga, di provvedimento puntuale, a carattere eccezionale, mirato sulla specifica situazione di fatto, con espresso riferimento alle tipologie previste dall'articolo 9 della direttiva e adottato di volta in volta. Si stabilisce, pertanto, il carattere eccezionale e puntuale del provvedimento e la necessità della sua specifica motivazione. Si aggiunge l'obbligo di attenersi al parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e si richiama espressamente la possibilità per il Governo di ricorrere al potere sostitutivo di urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 gennaio 2003, n. 131, in caso di violazione da parte delle regioni, come può avvenire nell'imminenza dell'apertura della stagione venatoria, con effetti irreversibili per la tutela delle specie protette di avifauna.
L'articolo 8 prevede le procedure per addivenire all'adeguamento della normativa regionale a quella statale di recepimento delle direttive comunitarie e consentire una corretta apertura della stagione venatoria. Nella specie, a fronte dell'inadempimento delle regioni, quale denunciato dalla Commissione europea, anche con la precisa individuazione delle leggi e dei provvedimenti regionali che contravvengono alla direttiva 79/409/CEE, è necessario procedere ad un intervento sostitutivo del Governo, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione e dell'articolo 8, comma 4, della citata legge n. 131 del 2003. A tale fine, la norma prevede che le regioni, entro novanta giorni, adeguino il proprio ordinamento alle disposizioni dell'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, come modificato dal presente decreto, abrogando o modificando le proprie leggi regionali, le delibere e gli atti applicativi e i calendari venatori nelle parti difformi dalle suddette disposizioni. Decorso inutilmente il termine suindicato, tali leggi ed atti regionali si intendono abrogati e annullati. Nelle more, per consentire la regolare apertura della stagione venatoria ed al fine di evitare la compromissione degli interessi protetti dalla normativa comunitaria, sono sospesi gli effetti dei provvedimenti regionali di deroga difformi.
L'articolo 9 apporta ulteriori modifiche alla legge n. 157 del 1992, necessarie per ottemperare al parere motivato (2006/2131) e chiudere così la procedura di infrazione.
L'articolo 10, infine, reca la clausola di invarianza della spesa.
Di seguito si svolgono ulteriori considerazioni integrative in merito alle penalizzazioni finanziarie da parte della Commissione europea nel settore agricolo.
L'articolo 7 del Reg. Ce 1258/99 (All. 1) prevede che la Commissione europea possa ecidere in merito all'ammissibilità delle spese comunitarie sostenute dai vari Stati membri; qualora si constati che alcune di queste non sono state eseguite in conformità alle norme comunitarie.
Tale disposizione in vigore per la fase di programmazione 2000-2006, è applicabile sia al primo che al secondo pilastro della Pac.
Per quanto concerne la condizionalità (primo pilastro), le norme comunitarie da rispettare sono elencate negli allegati III e IV del Reg. Ce 1782/03 (All. 2): tra queste figurano la Direttiva 79/409/CEE (Direttiva uccelli) e la Direttiva 80/68/CEE (Direttiva nitrati).
Tali norme, rappresentando un pre-requisito per l'accesso agli interventi previsti dallo sviluppo rurale; hanno incidenza anche sulle spese sostenute a titolo del cosiddetto secondo pilastro della Pac.


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In aggiunta a tali disposizioni, la Commissione europea ha divulgato un documento di lavoro con il quale si fissano alcuni principi generali nell'applicazione delle correzioni finanziarie conseguenti al mancato rispetto degli impegni di condizionalità (All. 3).
Le disposizioni sopra richiamate sono state poi riprese ed aggiornate con il Reg. Ce 1290/05 (All. 4), relativo alla fase di programmazione 2007-2013 ed in particolare, all'articolo 17 comma 1, relativo al Feaga (primo pilastro) e all'articolo 26, relativo al Feasr (secondo pilastro Pac).