I Commissione - Resoconto di mercoledì 27 settembre 2006


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 27 settembre 2006. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Intervengono il viceministro per gli interni Marco Minniti e il sottosegretario di Stato per la giustizia Luigi Li Giotti.

La seduta comincia alle 10.05.

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova nel luglio 2001 in occasione del vertice G8 e delle manifestazioni del Genoa Social Forum.
C. 1043 Mascia e C. 1098 Sgobio.

(Seguito dell'esame e rinvio).


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La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 14 settembre 2006.

Sesa AMICI (Ulivo) ricorda che già nel corso della passata legislatura si era svolta una indagine conoscitiva sui fatti in oggetto che si era conclusa con una relazione di maggioranza e due relazioni di minoranza; ciò testimonia come quell'indagine fosse stata connotata da una forte contrapposizione politica, che non aveva consentito una approfondita verifica dei fatti effettivamente svoltisi. In conseguenza di ciò, nel corso della medesima legislatura, è stata presentata da parlamentari dell'opposizione, una proposta di legge volta ad istituire una Commissione di inchiesta sul medesimo argomento. Sottolinea altresì come anche da parte del Parlamento europeo, come evidenziato nella relazione svolta dal relatore, siano pervenute sollecitazioni ad accertare se, nel corso della manifestazione tenutesi a Genova in occasione della riunione del G8 del luglio 2001, si siano registrate temporanee soppressioni delle libertà individuali. Ritiene che le proposte di legge in oggetto, volte a istituire una Commissione di inchiesta per verificare l'effettiva dinamica dei fatti allora occorsi, non debbano essere interpretate come un tentativo di effettuare un processo sommario alle Forze dell'ordine, che anzi devono essere tutelate, ma uno strumento per ricostruire le modalità di svolgimento di quei fatti in un'ottica di collaborazione istituzionale A nome del proprio gruppo esprime pertanto il proprio orientamento favorevole sulle proposte di legge in oggetto, auspicando che il confronto parlamentare in materia si possa svolgere in modo sereno, senza contrapposizioni frontali tra i due schieramenti politici.

Felice BELISARIO (IdV) ritiene che i fatti accaduti a Genova nel corso del vertice G8 nel luglio 2001 abbiano rappresentato un episodio di significativa gravità all'interno della vita democratica del Paese. A nome del proprio gruppo esprime, tuttavia, perplessità sull'istituzione della Commissione d'inchiesta in oggetto, paventando il rischio di una sovrapposizione con le indagini già svolte su quegli stessi fatti dall'Autorità giudiziaria o tuttora in corso. In proposito ricorda che anche nel corso della passata legislatura il proprio gruppo aveva espresso analoghe preoccupazioni, assumendo, ad esempio, una posizione di contrarietà per tale ragione rispetto all'istituzione della Commissione di inchiesta Telekom Serbia. Pur riconoscendo che la istituzione della Commissione è oggetto di un accordo tra i gruppi di maggioranza, invita a una ulteriore riflessione in merito, in ragione delle perplessità testè espresse.

Jole SANTELLI (FI) dichiara preliminarmente di avere apprezzato la prudenza mostrata dal relatore e dal deputato Amici nell'affrontare la questione in esame. Esprime, a nome del proprio gruppo, una determinata contrarietà alla istituzione della Commissione d'inchiesta in oggetto. Osserva al riguardo che le proposte di legge in esame si fanno carico di evitare interferenze con le inchieste giudiziarie in ordine all'accertamento di eventuali responsabilità individuali, attribuendo alla Commissione di inchiesta il compito di ricostruire la catena di comando politico-istituzionale nel corso delle manifestazioni in oggetto; in proposito ritiene che per una effettiva valutazione delle responsabilità di gestione dell'ordine pubblico sarebbe opportuno includere fra le materie oggetto di inchiesta anche i fatti verificatesi a Napoli il 17 marzo dello stesso anno, in occasione della contestazione contro il Global Forum sull'e-government, che rappresentano a suo avviso un elemento di valutazione necessario per ricostruire la citata catena di comando politico-istituzionale. Ricorda come durante le manifestazioni di Napoli il Ministro dell'interno fosse il senatore di Bianco, mentre durante quelle di Genova lo stesso incarico era ricoperto, da soli pochi giorni, dal deputato Scajola. Ritiene che lo svolgimento di un'inchiesta sui fatti in questione aprirebbe problemi politici per l'attuale maggioranza piuttosto che per l'attuale opposizione, in quanto le scelte


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relative alla sede del vertice G8 nonché alle varie questioni logistiche ad esso collegate furono compiute da un governo di centro-sinistra. Al riguardo sottolinea come la scelta di Genova quale sede del vertice fu effettuata, a suo avviso, per soddisfare una richiesta del sindaco, politicamente vicino alla compagine governativa, ancorché la città, per le sue caratteristiche urbanistiche, fosse assolutamente inadatta ad accogliere una manifestazione nella quale era predominante il problema del mantenimento dell'ordine pubblico. Da questo punto di vista, dunque, la Commissione d'inchiesta dovrebbe orientare le proprie indagini sull'attività svolta all'epoca, ta gli altri, da personalità politiche titolari di importanti incarichi istituzionali che sono oggi ministri dell'attuale Governo. Sottolinea altresì che l'inchiesta in titolo coinvolgerebbe inopportunamente anche i vertici delle forze di polizia che, in carica all'epoca di quei fatti, lo sono tuttora, evidentemente godendo della fiducia di tutte le forze politiche. Evidenzia poi le gravi perplessità e le preoccupazioni sul mantenimento dell'ordine pubblico che a livello internazionale erano state avanzate prima dello svolgimento del vertice G8 di Genova anche alla luce delle gravi manifestazioni che si erano svolte poco prima a Seattle ed a Goteborg, che hanno trovato un significativo riscontro nell'allarmante analisi svolta in proposito dal funzionario di polizia La Barbera sulla grave situazione dell'ordine pubblico in Italia. Mette quindi in luce la responsabilità internazionale di altri paesi per i fatti verificatisi a Genova che, con alcune discutibili decisioni, non collaborarono con l'Italia nella gestione dell'ordine pubblico nell'occasione specifica. Ritiene in conclusione del tutto inopportuno sul piano politico coinvolgere le forze dell'ordine in un processo di natura mediatica, che si intende svolgere al solo fine di accontentare alcune componenti più estremiste della compagine di governo. Rivolge pertanto un invito alla parte più moderata e responsabile della maggioranza a non trascinare i gruppi parlamentari in uno scontro ideologico.

Carlo GIOVANARDI (UDC) dopo avere ricordato gli incontri a cui partecipò con i rappresentanti dell'opposizione prima dello svolgimento del vertice G8 di Genova del 2001, al fine di garantire uno svolgimento pacifico delle manifestazioni, dichiara di non condividere la necessità di procedere all'istituzione della Commissione di inchiesta. Poiché lo scopo di una inchiesta è l'accertamento dei fatti, in riferimento agli eventi accaduti a Genova fa presente che le modalità di svolgimento dei diversi episodi, primo fra tutti quello gravissimo di Piazza Alimonda, in cui perse la vita il manifestante Carlo Giuliani, mentre era in atto una sorta di linciaggio delle forze dell'ordine incaricate di mantenere l'ordine pubblico, sono note a tutti, sebbene su di esse vi siano differenti letture politiche. Fatto presente che i vertici delle forze dell'ordine operanti a Genova sono quelli attuali, in una linea di continuità istituzionale, ritiene che, in caso di istituzione della Commissione di inchiesta sarà necessario che essa analizzi attentamente quanto accaduto a Genova, vale a dire le violente manifestazioni e saccheggi operati da gruppi armati nell'ottica di un disegno complessivo di violenza, al quale le forze dell'ordine hanno dovuto reagire.

Marco BOATO (Verdi) ricorda preliminarmente che all'inizio della scorsa legislatura i mezzi di comunicazione riportarono diffusamente la notizia che il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore Berlusconi aveva dichiarato che si sarebbero dovute istituire due Commissioni di inchiesta, rivolte contro l'opposizione di centrosinistra, sull'affare «Telekom-Serbia» e sul «dossier Mitrokhin», stigmatizzando come sia stata la prima volta nella storia repubblicana che un Presidente del Consiglio abbia dichiarato di voler utilizzare lo strumento della Commissione d'inchiesta contro l'opposizione. Fa presente inoltre, come nel corso dell'attività svolta dalle due citate Commissioni di inchiesta si siano verificati episodi di falsificazione di documenti e altre prove testimoniali che ne inquinarono l'azione.


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Ricorda inoltre che il presidente di una di esse era al contempo vicedirettore di un giornale, di area vicina alla maggioranza di centrodestra, che utilizzava come strumento di lotta politica. Ritiene che l'istituzione di una Commissione d'inchiesta non debba essere finalizzata alla ricerca di imputati, né alla pronuncia di condanne, che sono competenze riservate all'autorità giudiziaria, ma solo all'accertamento di fatti mediante l'approvazione di relazioni all'Assemblea. Per quanto concerne le proposte in oggetto rileva che l'attività di inchiesta si presenta molto complessa alla luce della pluralità delle vicende che saranno ad essa sottoposte, dichiarandosi non contrario a che l'indagine possa estendersi anche a fatti verificatesi precedentemente agli episodi di Genova del luglio 2001, quali sono quelli accaduti a Napoli il 17 marzo dello stesso anno, in occasione della contestazione contro il Global Forum sull'e-government, ove si presentino ad essi in connessione. Ritiene poi che il fatto che il vertice delle forze dell'ordine sia rimasto immutato rispetto a quello in carica durante la manifestazione di Genova rappresenta un elemento positivo che testimonia come tali soggetti che non possano temere che la Commissione d'inchiesta svolga un processo di natura politica sulla loro attività. Con riferimento alle preoccupazioni manifestate dal deputato Belisario rileva come l'attività di una Commissione d'inchiesta debba svolgersi in un ottica di collaborazione con l'autorità giudiziaria che eventualmente indaghi sulla stessa materia. Al riguardo, ricordando la propria esperienza parlamentare, fa presente come in numerose occasioni tra le Commissioni d'inchiesta e la magistratura si sia instaurato un proficuo rapporto di collaborazione che ha dato luogo anche ad uno scambio di documentazione, come accaduto, ad esempio, per le Commissioni d'inchiesta sulla mancata individuazione dei responsabili delle stragi e sul terrorismo e per quella che indagò sulle responsabilità relative alla tragedia del Cermis. In particolare per quanto concerne quest'ultima ricorda come si riuscì ad instaurare un clima cooperativo che portò la Commissione ad approvare unanimemente una relazione conclusiva su fatti che pure furono oggetto di acceso scontro politico, consegnando al Parlamento e ai parenti delle vittime una relazione che ebbe il merito di ricostruire le modalità di svolgimento di tutti i fatti che portarono alla tragedia. Ritiene pertanto che la Commissione potrà affrontare l'inchiesta in maniera serena ed equilibrata per ricostruire i fatti verificatesi a Genova in occasione del vertice G8 del luglio 2001 e per individuare le soluzioni idonee ad evitare che episodi analoghi possano ripetersi in futuro. Ricorda, infine, che l'indagine conoscitiva svoltasi presso questa Commissione sullo stesso oggetto nel corso della passata legislatura non ha prodotto risultati soddisfacenti sia a causa della vicinanza temporale con gli avvenimenti sia a causa della mancanza di obbligo di testimonianza per i soggetti chiamati a rispondere. Alla luce delle numerose problematiche che l'inchiesta dovrà affrontare, ritiene che si possa dare mandato al relatore di predisporre una proposta di testo unificato che eventualmente potrà inserire, nell'oggetto dell'inchiesta, anche la verifica di episodi verificatesi precedentemente a quelli di Genova.

Roberto ZACCARIA (Ulivo), intervenendo sull'ordine dei lavori, e tenuto conto che il relatore per concomitanti impegni istituzionali non può essere presente agli odierni lavori della Commissione, chiede di rinviare il seguito degli interventi sul provvedimento in titolo ad altra seduta.

Jole SANTELLI (FI) ribadisce, in risposta alle considerazioni svolte nel corso della odierna discussione, che il suo gruppo politico non nutre preoccupazione di parte in ordine ad un possibile utilizzo della Commissione d'inchiesta in senso ad esso contrario, ma forti perplessità sull'utilità di una inchiesta in materia, anche attese le dichiarazioni testè rese dai rappresentanti della maggioranza, in ordine alla intenzione di non voler procedere, nell'ambito dell'inchiesta, né all'accertamento di responsabilità individuali, di


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competenza della magistratura, né ad un processo di tipo politico dei vertici delle forze dell'ordine, cui è stata del resto confermata la fiducia da parte del Governo in carica, o del ministro pro tempore, cui ritiene inimmaginabile attribuire responsabilità specifiche in materia.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Benefici per le vittime del terrorismo.
C. 616 Mazzoni.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Carlo GIOVANARDI (UDC), relatore, osserva che la proposta di legge in titolo, composta di due articoli, estende i benefici previsti dalla legge n. 206 del 2004, recante norme in favore delle vittime del terrorismo, anche agli eventi accaduti all'estero a partire dal 1961. Tale termine è attualmente previsto dall'articolo 15, comma 1, della legge 206 esclusivamente per i fatti accaduti in Italia, mentre il comma 2 del medesimo articolo 15, prevede la corresponsione dei benefici per i cittadini italiani coinvolti in attentati all'estero avvenuti a decorrere dal 1o gennaio 2003. La proposta in esame è, dunque, volta a superare tale dicotomia indicando un unico termine iniziale di applicazione della legge, a prescindere dal luogo, in Italia o all'estero, dove si sono verificati i fatti. Osserva infine che il quadro normativo descritto è stato integrato di recente dalla legge 20 febbraio 2006, n. 91, recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell'eccidio avvenuto a Kindu l'11 novembre 1961. Con questa legge si è provveduto infatti a ad estendere le provvidenze previste dalla legge n. 206 ai familiari delle vittime di quell'eccidio.

Marco BOATO (Verdi) si dichiara preliminarmente soddisfatto per l'avvio dell'esame della proposta di legge in titolo, osservando come essa tende ad omogeneizzare gli interventi dello Stato nei confronti di tutte le vittime del terrorismo e delle loro famiglie. Ricorda al riguardo come nella passata legislatura si sia molto speso in favore dell'approvazione della legge 20 febbraio 2006, n. 91, volta ad assicurare benefici economici ai familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell'eccidio avvenuto a Kindu l'11 novembre 1961. L'approvazione della legge n. 206 del 2004, con la clausola di esclusione degli eventi accaduti all'estero prima del 2003, pur se comprensibilmente dovuta a motivi di natura finanziaria e dalla necessità di attribuire i benefici previsti dalla legge alle vittime degli attentati di Nassiriya e di Istanbul, aveva infatti determinato una ingiustificata disparità di trattamento, che era stata allora denunciata anche da una dei familiari superstiti delle vittime dell'eccidio di Kindu. Raccogliendo tale appello aveva quindi presentato una proposta di legge, sulla quale si era registrata una convergenza unanime dei gruppi. Tuttavia il mancato assenso del Governo al trasferimento del provvedimento alla sede legislativa, comunicato alla fine dell'anno 2005, aveva rischiato di compromettere la possibilità di giungere alla sua approvazione definitiva entro la fine della legislatura. Per tale motivo aveva personalmente interessato alcuni esponenti del Governo per ottenere l'assenso alla procedura di trasferimento in sede legislativa, che fu poi comunicato in tempi rapidi e consentì l'approvazione della legge. Al riguardo sottolinea tuttavia come per i soggetti che dovrebbero beneficiare degli effetti della legge n. 91 del 2006 non sia ancora stata presa alcuna misura di carattere attuativo. Con riferimento alla proposta di legge in oggetto, dopo aver rilevato che sarebbe stato opportuno aggiornarla per la parte di copertura finanziaria, esprime il proprio orientamento favorevole, anche se suggerisce di richiedere al Governo una relazione tecnica al fine di monitorare quali casi potrebbero essere interessati tra il 1961 ed il 2003, ad


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eccezione di quello previsto dalla citata legge n. 91 del 2006.

Carlo GIOVANARDI (UDC) ricorda che nella passata legislatura il Governo, del quale è stato Ministro per i rapporti con il Parlamento, non solo concesse l'assenso all'esame in sede legislativa del provvedimento volto assicurare benefici economici ai familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell'eccidio avvenuto a Kindu, ma si adoperò anche per garantirne la copertura finanziaria, la cui mancanza, inizialmente, aveva determinato il diniego di assenso.

Maria Fortuna INCOSTANTE (Ulivo) dichiara, a nome del suo gruppo, un orientamento favorevole sulla proposta di legge in esame, che è volta a colmare una lacuna legislativa nel nostro ordinamento. Ritiene, tuttavia, necessario verificare gli oneri finanziari da essa recati e la relativa copertura finanziaria, nonché le modalità attuative delle disposizioni proposte, prima di giungere ad una approvazione definitiva.

Luciano VIOLANTE, presidente, recependo il suggerimento del deputato Boato, e preso atto del consenso in tal senso, propone alla Commissione di richiedere al Governo, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del regolamento, di fornire dati e informazioni in ordine ai possibili beneficiari del provvedimento in titolo e dei conseguenti oneri finanziari da esso recati.

La Commissione concorda.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifica all'articolo 12 della Costituzione sul riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale.
C. 648 cost. Angela Napoli e C. 1571 cost. La Russa.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Italo BOCCHINO (AN), relatore, osserva che le proposte di legge costituzionale in esame, entrambe formulate in un unico articolo, di identico contenuto, intendono modificare l'articolo 12 della Costituzione aggiungendo un comma che stabilisce che la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano. Al riguardo rileva che con la loro approvazione verrebbe a colmarsi un vuoto legislativo, in quanto l'Italia è uno dei pochi paesi occidentali la cui Costituzione non prevede un principio di tal genere. Ricorda che analoghe iniziative legislative erano state esaminate dal Parlamento nel corso delle due precedenti legislature ma che, nonostante la presenza di concordi orientamenti, il relativo iter non giunse a conclusione. In particolare, nel corso della XIV legislatura, l'esame presso il Senato del testo approvato in prima deliberazione dalla Camera fu rallentato dal dibattito che ebbe corso sul principio della valorizzazione degli idiomi locali, introdotto nel corso dell'esame in Assemblea presso questo ramo del Parlamento. Ritiene pertanto che, al fine di evitare rallentamenti dell'iter legislativo, sarebbe opportuno soffermare l'esame sul testo delle proposte in oggetto, su cui dovrebbero registrarsi sensibilità comuni, evitando di inserire ulteriori argomenti nel dibattito.

Marco BOATO (Verdi) dopo aver ricordato i contrasti insorti nella passata legislatura in ordine alla questione della valorizzazione degli idiomi locali, cui personalmente non era contrario, ritenendo opportuno un riconoscimento del patrimonio storico culturale del Paese, che si esprime anche nella pluralità linguistica, si dichiara favorevole all'inserimento nella Costituzione del riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica. Auspica, pertanto, una rapida conclusione dell'esame del provvedimento in titolo.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.


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Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato.
C. 1242 cost. Boato.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame

Felice BELISARIO (IdV), relatore, osserva che la proposta di legge costituzionale in esame è composta da un solo articolo, recante una novella all'articolo 111 della Costituzione, nel quale sono raccolti i princìpi costituzionali che presiedono al «giusto processo» regolato dalla legge.
Si tratta a suo avviso di una norma semplice, ma essenziale e necessaria nell'ordinamento giuridico di un Paese che ha fatto del garantismo una vera e propria bandiera. Più precisamente, la proposta mira ad inserire, dopo il quinto comma dell'articolo menzionato, un nuovo comma ai sensi del quale la legge garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato. Al riguardo, ricorda che l'Italia, dopo l'approvazione della Carta costituzionale, ha sottoscritto e ratificato numerose convenzioni internazionali in materia di garanzie costituzionali del processo. Evidenzia altresì che tra le finalità dichiarate della proposta è anche quella di avviare, sul piano costituzionale, un percorso che porti alla piena attuazione di principi sanciti anche in ambito comunitario, riferendosi in particolare alla decisione quadro del Consiglio relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, (2001/220/GAI) adottata il 15 marzo 2001, le cui disposizioni sono mirate a ravvicinare le norme e le prassi relative alla posizione e ai principali diritti della vittima sia nell'ambito del procedimento penale in senso stretto, sia con riguardo alle misure di assistenza alle vittime che potrebbero adottarsi prima, durante e dopo il procedimento penale, e che potrebbero attenuare gli effetti del reato.

Roberto ZACCARIA (Ulivo) segnala al relatore la necessità di verificare, nel seguito dell'esame del provvedimento, quale possa essere la ricaduta della revisione costituzionale in discussione sulle vigenti norme processuali penali, atteso che il provvedimento in esame, essendo formulato sotto forma di integrazione dell'articolo 111 della Costituzione, è finalizzato ad assumere rilevanza sotto questo specifico punto di vista. Rileva in proposito come la formulazione dell'articolo 111 sia particolarmente analitica e in ciò asimmetrica rispetto alle altre disposizioni costituzionali.

Marco BOATO (Verdi), con riferimento alla formulazione del vigente articolo 111 della Costituzione fa presente come essa derivi sostanzialmente, dalle elaborazioni effettuate in senso alla Commissione parlamentare per le riforme istituzionali nel corso della XIII legislatura e che il testo fu successivamente arricchito con norme di maggior dettaglio anche per tenere conto di principi elaborati dalla Corte costituzionale in materia di giusto processo. Nel rilevare come anche altre disposizioni costituzionali recano disposizione di dettaglio, fa presente, comunque, che l'integrazione proposta dal provvedimento in esame è comunque finalizzata ad inserire un nuovo principio nel testo costituzionale.

Luciano VIOLANTE, presidente, fa presente che l'articolo 111 della Costituzione, che la proposta di legge in esame è volta ad integrare, si colloca nella sezione recante «norme sulla giurisdizione». Tale collocazione attribuisce al principio che si vuole introdurre in Costituzione rilevanza di carattere processuale e non anche sostanziale. Qualora si intenda conferire ad esso anche natura sostanziale, sotto il profilo risarcitorio, sarebbe probabilmente più opportuna una sua collocazione in altra parte della Costituzione, ad esempio, l'articolo 24.

Felice BELISARIO (IdV), relatore, esprime perplessità sull'opportunità di conferire al principio in questione anche una rilevanza di natura sostanziale, ritenendo di difficile applicazione il riconoscimento del diritto al risarcimento delle


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vittime di reati il cui autore non è identificato.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.40

SEDE REFERENTE

Mercoledì 27 settembre 2006. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Intervengono i sottosegretari di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato, il sottosegretario di Stato per l'interno Marcella Lucidi e il sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie locali Pietro Colonnella.

La seduta comincia alle 14.05.

Conflitto di interessi.
C. 1318 Franceschini.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 26 settembre 2006.

Roberto ZACCARIA (Ulivo), premesso che la materia in discussione si rivela tanto più complessa quanto più la si approfondisca, desidera svolgere alcune brevi considerazioni di carattere generale e preliminare. Rileva innanzitutto che la premessa da cui prendere le mosse è costituita inevitabilmente dal giudizio sull'efficacia della cosiddetta «legge Frattini», attualmente in vigore. Su questo punto, dichiara di nutrire molte riserve, soprattutto perché tale legge è stata approvata solo dopo l'entrata in vigore della legge di riassetto del sistema radiotelevisivo, eliminando così quello che avrebbe potuto costituire un significativo banco di prova della nuova disciplina in materia di conflitto di interessi. Osserva inoltre che, come è emerso anche nel corso delle audizioni dei presidenti dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le nozioni di incidenza preferenziale e di danno per l'interesse pubblico, impiegate dalla «legge Frattini», si sono rivelate di difficile applicazione e che lo stesso può dirsi della nozione di sostegno privilegiato al titolare di cariche di Governo, come rilevato in particolare dal presidente Calabrò. Fa quindi presente come la nozione di conflitto di interessi, a differenza di quanto avviene nell'ambito del diritto societario, risulta di assai difficile definizione per il diritto costituzionale, rivelandosi in questo caso nozione polisenso. Al riguardo, osserva che vi è una tendenza non condivisibile a confondere la problematica dell'accesso alla carica parlamentare, alla quale si può sotto questo profilo assimilare la carica di consigliere regionale, e quella dell'accesso alle funzioni di Governo. Ritiene che il problema si ponga con maggiore serietà in questo secondo caso e, pur apprezzando l'invito formulato da alcuni esponenti dell'opposizione a non procedere per casi concreti, giudica difficile affrontare la questione prescindendo dalla situazione dell'ex Presidente del Consiglio e attuale capo dell'opposizione, che ha rappresentato oggettivamente un caso unico nel panorama mondiale. Muovendo dall'accenno, contenuto nella relazione del presidente, al problema delle modalità di selezione della classe dirigente e di accesso alle cariche pubbliche, cercherà di sviluppare questo nodo problematico, concentrandosi sul conflitto che può prodursi tra titolarità di funzioni economiche da un lato e titolarità di funzioni parlamentari e di Governo dall'altro. Per quanto riguarda le funzioni parlamentari, ritiene che la ratio delle cause di ineleggibilità sia da rinvenire nella necessità di garantire la libertà dell'elettore e di escludere una particolare posizione di vantaggio del candidato. In proposito, fa notare come per il singolo cittadino che si candida al Parlamento è forse eccessivo configurare un'ipotesi di ineleggibilità di chiunque sia titolare di attività economiche, ancorché


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nel settore dell'informazione, sebbene riconosca che, su quest'ultimo aspetto specifico, sarebbe necessario un ulteriore approfondimento. Ciò non significa, a suo avviso, che non si possa avviare una verifica complessiva della congruità delle cause di ineleggibilità nell'ordinamento italiano. Ritiene invece che il problema si ponga in termini ben diversi quando si passi a trattare delle funzioni di Governo, a livello sia locale sia nazionale: in questo caso, è effettivamente necessario concentrarsi sull'individuazione delle possibili cause di conflitto di interessi potenziale e reale. Osserva quindi come i principi costituzionali che vengono in rilievo al riguardo siano quelli desumibili dagli articoli 3, 51, e, per quanto riguarda specificamente l'ineleggibilità, 65 e 122 della Costituzione; in particolare, appare significativa la previsione di cui all'articolo 51, in base al quale tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. Quanto ai principi riferibili all'esercizio delle funzioni pubbliche, ritiene che vengano particolarmente in rilievo gli articoli 54, 97 e 98 della Costituzione. Naturalmente, è consapevole del fatto che la normativa costituzionale non sia sufficiente a risolvere il problema, ma ritiene che i principi indicati possano costituire un utile riferimento per quell'azione di bilanciamento tra il diritto all'accesso alle cariche pubbliche e i principi costituzionali in materia di iniziativa economica e proprietà privata di cui agli articoli 41 e 42 della Costituzione. Alla luce delle considerazioni esposte, ritiene che si possa escludere di introdurre nuove ipotesi di ineleggibilità per l'accesso alle cariche parlamentari e che, per quanti ricoprono cariche di Governo, si possa tentare di migliorare la legislazione vigente. Più complesso è, a suo avviso, il problema posto dalla nuova legge elettorale che, come è noto, ha introdotto di fatto la figura del candidato premier: tale innovazione finisce per legare due aspetti problematici che altrimenti, come si è sforzato di mettere in luce, resterebbero separati. Osserva infatti che, nel caso di chi sia candidato alle elezioni in qualità di capo della coalizione, ove non si agisse preventivamente a livello di ineleggibilità, diventerebbe estremamente difficile configurare un intervento successivo, come tenta di fare la «legge Frattini». Rileva infine come il problema da ultimo segnalato sia oggettivamente aggravato dalla circostanza che il candidato premier sia a capo di una grande azienda di comunicazione: il tema del sostegno privilegiato, meno significativo per un qualunque candidato al Parlamento, assume in questo caso una rilevanza affatto speciale.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, chiede al deputato Zaccaria di precisare se il suo ragionamento debba valere anche nel caso dei leader di partito o di presidenti di gruppi parlamentari.

Roberto ZACCARIA (Ulivo) ribadisce che, a suo avviso, la distinzione fondamentale resta quella tra funzioni parlamentari e funzioni di Governo e che il problema del sostegno privilegiato, che una determinata attività economica può produrre a beneficio di un candidato, diviene particolarmente significativo nel caso del candidato alla Presidenza del Consiglio. Pur essendo consapevole che affrontare questo problema in termini di ineleggibilità può sollevare una questione di uguaglianza tra i candidati, peraltro attenuata dal ruolo particolare che la legge elettorale assegna al capo della coalizione, ritiene che un intervento successivo all'elezione rischierebbe di rivelarsi inefficace.

Roberto COTA (LNP), dopo aver ringraziato il presidente per l'ampia ed equilibrata relazione svolta, rileva, in questa fase preliminare del dibattito, come un buon punto di partenza per la discussione possa essere costituito dalla distinzione tra ineleggibilità e incompatibilità. Osserva quindi come, a meno di sostenere che chi è ricco non possa svolgere attività politica, ciò che sarebbe palesemente incostituzionale, il problema di un conflitto di interessi in capo a quanti rivestono cariche pubbliche sia pressoché inevitabile. Osserva


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infatti come, nel caso specifico del Presidente Berlusconi, qualora fosse stato costretto a disfarsi delle attività nel settore delle comunicazioni, i proventi della vendita sarebbero stati necessariamente investiti in altre attività economiche, producendo conflitti di interesse in altri settori. Sottolinea poi come il diritto di proprietà sia garantito dalla Costituzione e come, a suo avviso, sia incostituzionale una limitazione del diritto di proprietà, come quella che si verrebbe a produrre se un soggetto terzo fosse chiamato a gestire i beni di chi assume cariche pubbliche: la scelta dell'autorità competente, infatti, potrebbe ricadere su soggetti che, compiendo scelte diverse da quelle che avrebbe compiuto lo stesso proprietario, potrebbero dilapidarne il patrimonio, sostanzialmente all'insaputa dell'interessato. Quanto poi alle attività che sarebbero vietate al titolare di cariche pubbliche, si chiede se il criterio per individuarle possa essere costituito dall'esistenza di una qualunque concessione pubblica o soltanto di una concessione televisiva. Si chiede altresì come possa essere risolto il problema quando la titolarità della concessione sia riconducibile ad una società e, in particolare, a una società quotata, e come in tal caso si possa individuare la quota societaria rilevante. Osserva infine come, per affrontare in modo serio il tema del conflitto di interessi, sarebbe necessario occuparsi dei rapporti che intercorrono tra molte cooperative e le istituzioni, in particolare gli enti locali: tale problema è emerso con chiarezza, da ultimo, anche in alcune scelte contenute nel cosiddetto «decreto Bersani».

Jole SANTELLI (FI) valuta positivamente l'attuale fase del dibattito, di carattere per così dire preliminare rispetto alla discussione generale vera e propria, ma osserva come il percorso che attende la Commissione, nell'esame del presente provvedimento, sia particolarmente impervio, anche a causa del fatto che il problema del conflitto di interessi è stato sollevato per la prima volta in occasione dell'entrata in politica del Presidente Berlusconi, sebbene non fossero mancati, in anni precedenti, titolari di significative attività economiche chiamati a rivestire cariche di Governo. Premesso che, a suo avviso, la Commissione si trova oggi ad affrontare in chiave giuridica un problema che è essenzialmente di etica pubblica, riconosce come esista certamente una questione legata al conflitto di interessi, ma osserva allo stesso tempo come tale questione sia stata affrontata per la prima volta nel 1994 dal primo Governo Berlusconi, e sia stata risolta con un intervento legislativo nella scorsa legislatura, approvato dalla maggioranza guidata proprio dal Presidente Berlusconi. A questo punto, ritiene che, se l'attuale maggioranza sceglierà di percorrere la strada di una ricognizione dei limiti mostrati dalla legge vigente e dell'individuazione dei possibili miglioramenti, sarebbe sbagliato che l'opposizione erigesse barricate e si sottraesse al confronto. Ben diversa sarebbe, a suo dire, la situazione ove la maggioranza scegliesse di ignorare la legge esistente: al riguardo, osserva come non sia politicamente possibile che la maggioranza vari una legge per affermare che il capo dell'opposizione non può essere eletto. Fa poi notare come proprio l'esempio della regione Sardegna, citato anche dal presidente nella sua relazione, confermi la necessità di affrontare il problema in un'ottica complessiva e a tutti i livelli. Osserva quindi come, nel caso specifico del Presidente Berlusconi, si sia giunti a ventilare l'ipotesi della vendita, senza considerare che non pare esservi alcuno che sia in condizione di acquistarne le proprietà. Conclusivamente, ritiene che il problema debba essere affrontato in termini di etica pubblica e di trasparenza e che la via maestra consista in un reale e incisivo controllo successivo, anche al fine di non impedire a priori un'ampia partecipazione alla vita politica.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) chiede alcuni chiarimenti sul carattere preliminare della discussione in corso, cui hanno fatto riferimento alcuni degli interventi.


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Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, ricorda che la Commissione ha stabilito di fissare a domani il termine per l'indicazione dei soggetti da ascoltare nel corso delle audizioni, le quali saranno articolate su tre livelli (problemi di ordine costituzionale, societario e tecnico) e di dar corso, nel frattempo, a una prima serie di interventi.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) si dichiara d'accordo, anche a nome del proprio gruppo, sull'impostazione data alle audizioni da svolgere. Dichiara inoltre di non essere particolarmente appassionato all'argomento in discussione, ritenendo che altre siano le priorità di cui il Parlamento dovrebbe occuparsi. Riconosce tuttavia che il tema merita una riflessione e che la disciplina in materia necessita di qualche aggiornamento. Al riguardo, osserva come la materia sia particolarmente complessa e come anche gli interventi svolti sinora rivelino una pluralità di approcci metodologici. Ritiene peraltro che la relazione svolta dal presidente abbia costituito un contributo utile a fare chiarezza e che da questa occorra ripartire. Reputa altresì necessario che si effettui una scelta tra un intervento normativo veramente complessivo, volto a disciplinare la materia del conflitto di interessi a tutti i livelli, e un intervento molto più puntuale e circoscritto. Sottolinea quindi che se la scelta cadesse sull'elaborazione di una disciplina ampia, invasiva e improntata a un forte rigore, occorrerebbe individuare cause di ineleggibilità e di incompatibilità non limitate alle situazioni più suggestive ed evidenti, ma estese alla periferia e, in modo particolare, agli enti locali e alle cooperative. In proposito, ricorda come spesso i sindaci, anche di piccoli comuni, abbiano poteri rilevanti e possano trovarsi in situazione di grave conflitto di interessi. Non riterrebbe invece praticabile un intervento che concentrasse l'attenzione sul problema del Presidente Berlusconi. Conclusivamente, ribadisce che, a suo avviso, la scelta di fondo è tra un intervento che affronti complessivamente tutti gli aspetti del conflitto di interessi e il mantenimento, salvo puntuali aggiornamenti, della legislazione vigente.

Luciano VIOLANTE, presidente e relatore, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifica alla legge sulla cittadinanza.
C. 24 Realacci, C. 938 Mascia, C. 1462 Caparini, C. 1529 Boato, C. 1570 Bressa, C. 1607 Governo, C. 1661 Piscitello e C. 1686 Diliberto.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 26 settembre 2006.

Maurizio TURCO (RosanelPugno) si sofferma sul problema della naturalizzazione degli immigrati, osservando come la relativa disciplina sia attualmente oggetto di rivisitazione in alcuni Stati europei, quali Germania, Olanda, Svezia, Spagna e, recentemente, Francia. Con riguardo poi al merito dei provvedimenti in esame, si dichiara contrario alla concessione della cittadinanza per quei soggetti che si sono resi responsabili di reati di particolare gravità, quali ad esempio ritiene siano le pratiche di mutilazione genitale femminile. Si sofferma quindi sul cosiddetto test di integrazione, che ritiene debba avere un carattere sostanziale, con una particolare attenzione per la materia dell'educazione civica, e la cui definizione preferirebbe fosse operata, con equilibrio, dal Parlamento, piuttosto che rimessa al Governo. Si dichiara inoltre favorevole a contrastare il fenomeno dei cosiddetti matrimoni «di comodo», ricordando al riguardo che la legislazione francese è molto rigorosa sul tema. Conclude dichiarandosi favorevole a prevedere il limite di cinque anni per la concessione del diritto di cittadinanza, purché in presenza di rigorosi limiti espressamente definiti.

Enrico COSTA (FI) osserva preliminarmente che la relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo


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evidenzia la necessità di armonizzare la legislazione italiana a quelle europee nonché l'esigenza di non creare un favor per i cittadini comunitari rispetto a quelli di altre aree geografiche. Ritiene trattarsi di posizioni condivisibili che vanno tuttavia analizzate avendo riguardo soprattutto agli ordinamenti di quegli Stati nei quali non esistono condizioni di reciprocità. Al riguardo evidenzia l'arretratezza di numerose legislazioni di Paesi africani in tema di concessione di cittadinanza, e fa presente che la mancanza di reciprocità da parte di molti Paesi, sebbene non debba costituire il modello di riferimento nella elaborazione del provvedimento in esame, vada tuttavia presa in considerazione. Nel merito ritiene necessario assicurare tempi certi per la concessione della cittadinanza per quei cittadini che ne abbiano maturato il diritto, piuttosto che ridurre il termine di residenza legale nello stato necessario per avanzare la richiesta. In secondo luogo, ritiene di particolare rilevanza esaminare con attenzione e individuare in modo analitico le tipologie di reato che possono costituire, in caso di condanna, causa di esclusione dalla concessione della cittadinanza.

Sandro GOZI (Ulivo), con riferimento all'intervento svolto dal deputato Costa, ritiene che le legislazioni dei Paesi meno progrediti non possono costituire un valido modello legislativo di riferimento ai fini della definizione della disciplina in esame, essendo molto più ragionevole tenere in considerazione i modelli più avanzati. Fa quindi presente che la discussione sulla cittadinanza non può prescindere dalla considerazione che l'immigrazione è un dato strutturale della nostra società. La disciplina legislativa della cittadinanza deve essere volta ad assicurare un pieno riconoscimento dei diritti degli stranieri integrati nella comunità sociale. In proposito, condivide l'uso del criterio dello ius domicilii, che consente di assicurare un'efficace integrazione. Si sofferma quindi sull'integrazione delle seconde generazioni di immigrati, costituite prevalentemente da soggetti minori nati o cresciuti in territorio italiano, rispetto ai quali invita la Commissione ad approfondire l'esame, anche tenendo conto della Convenzione di Strasburgo sulla cittadinanza del 1997, che deve essere ancora ratificata dall'Italia. Reputa inoltre necessario garantire un adeguato coordinamento amministrativo, che coinvolga lo Stato, le regioni e gli enti locali, al fine di assicurare efficaci politiche di integrazione. Per quanto concerne i criteri in base ai quali viene concessa la cittadinanza, ritiene che sia necessario verificare l'effettiva integrazione dei soggetti che ne fanno richiesta. Al riguardo, rileva che la Commissione potrebbe ascoltare in audizione anche esperti di altri Paesi, che potrebbero fornire utili elementi di valutazione. Giudica comunque necessario distinguere, ai fini della concessione della cittadinanza, i cittadini comunitari da quelli extracomunitari, come pure reputa necessario prevedere la revoca della cittadinanza in tutte le ipotesi in cui essa venga ottenuta fraudolentemente, come è il caso dei matrimoni di convenienza. Conclude affermando la necessità che sia il Parlamento, e non il Governo, a definire compiutamente i limiti ed i vincoli ai fini della concessione della cittadinanza.

Jole SANTELLI (FI) dichiara preliminarmente di non condividere le motivazioni di fondo del disegno di legge governativo in oggetto, ritenendo che la cittadinanza non costituisca solo l'acquisizione di un diritto, ma rappresenti una condivisione di valori che connota l'essenza di un popolo. Sottolinea quindi la diversità di fondo che esiste tra il concetto di cittadinanza e quello di integrazione, ritenendo che, contrariamente a quanto previsto dal provvedimento in esame, la concessione del diritto di cittadinanza debba rappresentare la tappa finale di un processo di integrazione e non strumentale ad esso. Osserva poi che molti Paesi europei hanno dovuto verificare il fallimento delle politiche che hanno fatto ricorso allo strumento della cittadinanza per gestire i flussi migratori, e che hanno invece prodotto gravi fenomeni di disgregazione sociale, come è emerso recentemente in


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Francia e in Germania. Dichiara quindi di condividere l'impianto di fondo della vigente legge sulla cittadinanza del 1992, che costituisce espressione della lungimiranza del legislatore di allora. Ritiene altresì che sussiste un nesso evidente tra il tema della cittadinanza e quello dell'immigrazione, giudicando altrettanto evidente che alla base dei movimenti migratori non vi sia la volontà di acquisire la cittadinanza dei Paesi meta di immigrazione. Sottolinea quindi la differenza tra le politiche di accoglienza degli immigrati e la concessione della cittadinanza, alla cui base non deve essere solo la valutazione della condotta dei richiedenti, bensì anche l'accertamento della condivisione di determinati valori. Al riguardo, osserva che il criterio dello ius soli, rivalutato nel disegno di legge governativo in oggetto, ha dimostrato la propria inadeguatezza nei casi in cui è stato applicato. Ritiene pertanto necessario prevedere rigorose limitazioni alla concessione della cittadinanza, dichiarandosi tuttavia disponibile ad una discussione volta alla ricerca di adeguate soluzioni normative.

Mercedes Lourdes FRIAS (RC-SE) premesso che considera inscindibile il legame tra cittadinanza ed immigrazione, paventa il rischio di conferire carattere culturale a comportamenti devianti, che non trovano invece alcuna giustificazione in nessuna cultura. Ritiene necessario che l'Italia armonizzi la propria legislazione in materia di concessione della cittadinanza a quella di altri Paesi europei, osservando come la richiesta della cittadinanza rappresenti una scelta di radicamento che spesso matura successivamente all'arrivo del richiedente nel Paese di destinazione. Con riferimento ai provvedimenti in esame, sottolinea, in particolare, la necessità che sia garantito il diritto alla cittadinanza a chi nasce sul territorio nazionale, evitando di considerare la concessione di questo diritto come un premio da ottenere solo in base a determinati requisiti. Con riferimento ai criteri per la concessione della cittadinanza previsti dal disegno di legge governativo, dichiara di non condividere quello del reddito minimo, come pure quello dei cinque anni di residenza ininterrotta sul territorio nazionale. Ritiene inoltre necessario prevedere tempi burocratici rapidi e certi ai fini del riconoscimento effettivo di tale diritto per i soggetti che avendone i requisiti, ne abbiano fatto domanda. Si sofferma infine sul cosiddetto test di verifica dei requisiti, sottolineando come prolificheranno numerose agenzie che, organizzando corsi di preparazione, speculeranno sugli immigrati. In particolare ritiene che i requisiti previsti dalla proposta di legge C. 1462 Caparini siano talmente difficili da riscontrare da non fornire, di fatto, alcuna garanzia.

Pierangelo FERRARI (Ulivo) dichiara preliminarmente di ritenere, a differenza di quanto affermato dal relatore, che il nesso tra cittadinanza ed immigrazione sia del tutto evidente e inscindibile, benché condivida la tesi secondo la quale la concessione della cittadinanza con criteri più ampi di quelli previsti dalla normativa vigente non rappresenti affatto una «apertura» indiscriminata delle frontiere. Ribadisce inoltre che la maggioranza non intende affrontare la questione della cittadinanza per guadagnare consenso elettorale, come pure è stato sostenuto ma al ben diverso fine di separare l'area della legalità da quella della illegalità con l'obiettivo di garantire la sicurezza sociale. Pur non reputando infondate le argomentazioni svolte dal deputato Santelli, osserva che esse non contengono tuttavia alcuna proposta concreta, mentre è opportuno confrontarsi su quali siano le soluzioni migliori per assicurare la convivenza sociale e creare una società aperta, come è accaduto negli ordinamenti più avanzati in Europa. A tale fine ritiene necessario che si sviluppino proficue forme di dialogo con le comunità di immigrati, per evitare la creazione di veri e propri campi recintati, essendo invece a suo avviso meno significativa la discussione sulla soglia minima di anni di permanenza sul territorio nazionale quale requisito per la concessione della cittadinanza.


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Francesco ADENTI (Pop-Udeur) esprime apprezzamento per lo sforzo del Governo volto ad assicurare al Paese una moderna legislazione in materia di cittadinanza, dopo che si è assistito al fallimento della cosiddetta legge Bossi-Fini, che ha finito per aumentare l'immigrazione clandestina. La cittadinanza deve rappresentare un'idea unificante, come affermato da Stefano Rodotà, che però deve indurre chi la richiede ad integrarsi nella società, evitando ogni forma di separatismo e ghettizzazione. Si sofferma quindi sulla necessità di garantire adeguate forme di libertà ed uguaglianza religiosa, purché esse non siano volte ad intaccare i capisaldi dell'identità nazionale. Con riferimento al merito dei provvedimenti in esame, ritiene opportuno prevedere, ai fini della concessione della cittadinanza, un periodo di permanenza minimo di sette anni, in linea con le altre previsioni legislative europee. Osserva come questo tema si ricolleghi direttamente a quello dell'acquisizione degli strumenti e delle conoscenze linguistiche dei valori della cultura nazionale, mentre molto più significativa è l'acquisizione di una identità culturale che non può essere ancorata ad un periodo minimo di permanenza, ma che si trasmette solo tramite le diverse generazioni. Ritiene pertanto indispensabile creare un sistema formativo complessivo che sia volto a supportare le persone che richiedono la cittadinanza. Si sofferma inoltre sul tema dei ricongiungimenti familiari, osservando al riguardo come in altre culture, quale ad esempio quella araba, il concetto di famiglia è molto più allargato di quello italiano. Questa valutazione va tenuta presente in ordine alle ricadute che può produrre sul sistema sanitario nazionale, sul sistema pensionistico e sugli ammortizzatori sociali in generale, pur sottolineando come l'estensione delle garanzie assicurate dal welfare italiano debbano essere comunque riconosciute. Conclude sottolineando alcuni punti del disegno di legge governativo che ritiene debbano essere oggetto di esame approfondito. In particolare si sofferma sulla necessità di chiarire se, come pure ritiene, al momento dell'acquisizione della cittadinanza italiana si debba espressamente rinunciare a quella di origine. Inoltre evidenzia come debba essere chiarita l'espressione «senza interruzione» riferita al periodo minimo di residenza in Italia dello straniero, richiamando in proposito la legislazione del Regno Unito, che al riguardo stabilisce limiti massimi di tempo trascorribile all'estero.

Khaled Fouad ALLAM (Ulivo) osserva come in tutta Europa si viva attualmente in un contesto di forte eterogeneità culturale. La situazione in Italia non è dissimile da quella che esiste in altri Paesi europei, dove si ravvisa un forte nesso tra identità nazionale e territorio, che si trasforma in un legame tra diritto e cultura. Nel discutere le questioni relative alla disciplina della cittadinanza occorre tenere presente che essa costituisce un diritto individuale e non collettivo, collegato a valutazioni di ordine culturale. Reputa opportuno sviluppare un confronto tra maggioranza e opposizione per trovare soluzioni comuni che, tendo conto di questo fattore, siano capaci di rispettare la coesione socio culturale, tendo presente la modernità politica del tema della cittadinanza. È altresì necessario individuare formule nuove per portare avanti il processo di integrazione, quali ad esempio i contratti di integrazione, operando in termini giuridici, politici e culturali, Ritiene che la concessione della cittadinanza possa avere, in questo contesto, un valore pedagogico in quanto è parte di un percorso preciso di integrazione che l'immigrato sa di poter affrontare per giungere ad un livello reale di partecipazione alla vita della comunità.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.15.


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ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 27 settembre 2006. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE.

La seduta comincia alle 16.15.

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la programmazione aggiuntiva dei flussi d'ingresso di lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato per l'anno 2006.
Atto n. 14.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Sesa Amici (Ulivo), relatore, fa presente che lo schema di decreto in esame attua per la prima volta la disposizione del testo unico sull'immigrazione che, all'articolo 3, comma 4, consente al Governo, qualora nel corso dell'anno se ne ravvisi l'opportunità, di emanare ulteriori decreti di flussi che integrano quello principale. Il decreto flussi per il 2006, adottato con decreto del Presidente del Consiglio del 14 febbraio 2006, ha previsto un limite massimo di ingressi pari a 170.000 lavoratori non comunitari, di cui 120.000 subordinati non stagionali e 50.000 subordinati stagionali. Per quanto riguarda i lavoratori stagionali, la quota di 50.000 ingressi è stata già integrata di 30.000 unità con decreto del Presidente del Consiglio del 14 luglio 2006. Tale decreto aggiuntivo è stato emanato ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito in legge n. 80 del 2005, che ha introdotto una procedura accelerata, non soggetta all'ordinario procedimento di consultazione previsto dal testo unico sull'immigrazione, per l'aumento delle quote massime di lavoratori subordinati extracomunitari da destinare ai settori dell'agricoltura e del turismo.
Relativamente ai lavoratori non stagionali, al 31 maggio 2006 erano state presentate quasi 350.000 domande ulteriori rispetto ai 150.000 posti disponibili. Come si legge nella relazione illustrativa dello schema in esame, l'emergere di una domanda di manodopera straniera da parte del mercato del lavoro nettamente superiore al decreto di febbraio ha spinto il Governo all'adozione di un ulteriore decreto volto ad assorbire interamente le domande presentate.
Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio in esame pertanto prevede, all'articolo 1, la definizione di una ulteriore quota di 350.000 ingressi di lavoratori extracomunitari per motivi di lavoro subordinato non stagionale. L'accesso alla quota aggiuntiva non è subordinata alla presentazione di una nuova domanda, ma la concessione dei nuovi ingressi è basata sulle domande di nulla osta al lavoro già regolarmente presentate, entro il 21 luglio 2006, ai sensi del decreto flussi di febbraio, previa verifica delle condizioni di ammissibilità. Il comma 2 dell'articolo 1 specifica che la ripartizione della quota aggiuntiva degli ingressi sarà ripartita tra le regioni e le province autonome a cura del Ministero della solidarietà sociale.
A differenza del decreto flussi precedente, lo schema in esame non specifica il numero di ingressi per ciascuna tipologia lavorativa, né assegna le quote privilegiate destinate ai Paesi che hanno concluso accordi con l'Italia in materia di immigrazione. L'articolo 2 precisa però che nell'ambito delle domande dovranno essere ammessi in via preferenziale e in aggiunta rispetto al precedente decreto i lavoratori di origine italiana residenti in Paesi non comunitari e i lavoratori cittadini di Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia di immigrazione con l'Italia.
Fa quindi presenti che sullo schema in esame è stato espresso parere favorevole da parte della Conferenza unificata e che, tuttavia, le associazioni rappresentative degli enti locali hanno evidenziato l'esigenza di porre a disposizione di comuni e province le risorse indispensabili per fronteggiare le ricadute che l'emanazione del decreto comporta in termini di spese aggiuntive per inserimento alloggiativo, servizi scolastici e per l'integrazione. Conclude


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auspicando che l'esame del provvedimento si svolga in termini realistici e scevri da motivi di contrapposizione ideologica.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.25.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 27 settembre 2006. - Presidenza del presidente Riccardo MARONE.

La seduta comincia alle 16.25.

Introduzione nell'ordinamento di disposizioni penali in materia di tortura.
Testo unificato C. 915 Pecorella ed abb.
(Parere alla Commissione II).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione).

Riccardo MARONE, presidente e relatore, illustra il contenuto del provvedimento in esame osservando che la definizione del reato di tortura recata dal nuovo articolo 613-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 1 del testo unificato in esame, a causa della formulazione della condotta concretante il reato, potrebbe presentare profili di criticità in riferimento al principio della determinatezza della fattispecie penale. Rileva inoltre che l'articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dall'Italia con legge 3 novembre 1988, n. 498, definisce la tortura in termini più restrittivi, come atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze «forti», fisiche o mentali, pur facendo salva, all'articolo 2, la possibilità per la legge nazionale dettare disposizioni di più vasta portata. Propone pertanto l'espressione di un parere favorevole con l'osservazione di valutare l'opportunità di definire in termini più specifici la condotta concretante il reato di tortura.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere favorevole con osservazione del relatore (vedi allegato).

La seduta termina alle 16.30.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale.
C. 203 cost. Zeller, C. 980 cost. Bressa e C. 1241 cost. Boato, C. 1601 cost. Consiglio regionale della Valle d'Aosta e C. 1606 cost. Biancofiore.