XII Commissione - Marted́ 7 novembre 2006


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ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-00283 Zanotti: Dichiarazioni del Parlamento europeo sulla sordo-cecità

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'atto posto oggi in discussione si pone l'attenzione del Governo sulla necessità di conformarsi agli indirizzi contenuti nella Dichiarazione del Parlamento europeo, approvata in data 12 aprile 2004.
La Dichiarazione in esame è il segno di un impegno specifico delle istituzioni europee per rafforzare la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità, ma in particolare di quelle che a causa delle condizioni di particolare gravità sono più esposte al rischio di esclusione sociale, come le persone sordocieche.
La Dichiarazione ha pertanto invitato l'Unione europea e gli Stati membri a riconoscere i diritti di cittadinanza delle persone sordo-cieche, sottolineando che queste dovrebbero godere degli stessi diritti di cui godono tutti i cittadini dell'Unione europea attraverso l'applicazione di un'adeguata legislazione in ogni Stato membro con particolare riferimento al diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione, al diritto di avere accesso alla formazione, al lavoro, ad un'assistenza integrata ed incentrata sulla persona, che comprenda il diritto di un sostegno personalizzato.
In tal senso la legislazione italiana appare pienamente rispondente ai principi enunciati nell'atto del Parlamento dell'Unione europea, definendo un sistema fortemente avanzato in tema di riconoscimento dei diritti delle persona con disabilità, che in quanto persone e cittadini a tutti gli effetti devono godere, indipendentemente dalla loro specifica condizione di svantaggio, di tutte le opportunità alla pari con gli altri.
A dimostrazione di tale orientamento, in via prioritaria, l'Italia ha ritenuto che un presupposto fondamentale per la corretta attuazione della normativa vigente e per l'adeguata assegnazione delle risorse esistenti fosse necessario disporre di informazioni statistiche sulla disabilità ed ha ritenuto necessario dare vita al «progetto sistema di informazione statistica sulla disabilità» assegnando all'ISTAT e ad altre Istituzioni competenti in materia, il compito di costituire un insieme coordinato ed integrato di fonti statistiche sulla «disabilità» al fine di poter procedere, sulla base di dati completi e affidabili, ad una corretta programmazione degli interventi, in ottemperanza al disposto dell'articolo 41-bis della legge n. 162/98, (concernente modifiche alla legge n. 104/92).
Alla luce delle indagini svolte sull'entità e sulle condizioni di vita delle persone sordocieche in età evolutiva, si è giunti ad una stima sulla popolazione di età compresa tra 0 e 18 anni, secondo la quale i nati con minorazioni visive sono circa 25.000 e circa il 30 per cento di essi manifestano ulteriori forme di disabilità.
Un obiettivo che ci siamo prefissato è, attraverso il ricorso al Sistema informativo sulla disabilità, di realizzare una indagine specifica, finalizzata ad una ottimizzazione della conoscenza dell'entità dei fenomeno in esame, per poter offrire delle risposte adeguate da parte delle istituzioni centrali e locali.
Il progetto si avvale del sito internet www.disabilitaincifre.it, accessibile anche alle persone con disabilità, per dare la massima diffusione ai dati disponibili e a tutti i prodotti realizzati. Gli ambiti di


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azione e i macro prodotti del nuovo progetto, appena avviato, riguardano, tra l'altro, l'integrazione scolastica e sviluppi professionali delle persone con disabilità, l'offerta dei servizi socio-sanitari per le persone con disabilità, l'indagine sulle certificazioni di disabilità ed handicap ed, infine i concetti ICF negli attuali sistemi informativi nazionali.
Su quest'ultimo punto ci sembra giusto precisare che l'Italia è stata tra i 65 Paesi che hanno attivamente partecipato alla affermazione della validità dell'International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), quale risultato di un lungo lavoro iniziato dall'OMS fin dal 1983, per fornire sia una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, allo scopo di definire un linguaggio comune fra i diversi livelli di operatori sia tecnici che politici, che per poter confrontare a livello scientifico e internazionale i dati raccolti.
Nel quadro delle azioni di competenza intraprese e promosse dal Ministero della solidarietà in materia di politiche sulla disabilità, è opportuno ricordare, anche, che nell'ordinamento vigente del nostro Paese, la legge-quadro 104/92 e successive modificazioni, definisce un compiuto quadro dei diritti civili delle persone con disabilità, a prescindere dalla tipologie e gravità delle stesse.
La citata legge-quadro, all'articolo 3, precisa che «Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici». In questa ottica e in applicazione della citata legge-quadro stessa, sono state promulgate anche specifiche normative in relazione all'assistenza economica e all'integrazione delle persone con cecità e altre minorazioni.
Inoltre, la legge 429/91 dispone per le persone con pluriminorazioni sensoriali il cumulo delle prestazioni economiche continuative previste per le diverse categorie di disabilità, purché non vengano superati determinati i limiti di reddito.
La legge 284/97, poi, in favore di persone cieche e pluriminorate, dà la possibilità alle Regioni di programmare e realizzare a livello territoriale servizi di prevenzione, di assistenza domiciliare, di riabilitazione e di sostegno alla famiglia, nonché di supporto all'integrazione scolastica, lavorativa e alla vita di relazione. A tal fine nel primo periodo di applicazione della predetta normativa, nel triennio 1997-1999, sono state trasferite, dallo Stato alle regioni, risorse per circa 46 miliardi.
Vale la pena di ricordare che dall'anno 2001, le Regioni esercitano la competenza esclusiva in materia avvalendosi, se del caso, anche delle risorse trasferite e a valere sul Fondo nazionale delle Politiche sociali. A partire dall'anno 2001, infatti, in attuazione delle disposizioni dell'articolo 80 della legge 388/2000, anche le risorse afferenti alla citata normativa e in precedenza erogate per le finalità di cui sopra confluiscono nel Fondo nazionale per le politiche sociali e con apposito decreto ministeriale vengono ripartite annualmente tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
Considerato quanto sopra esposto e gli attuali assetti istituzionali delle competenze in materia, ridefinite con la promulgazione della legge-quadro 328/2000 e della legge costituzionale n. 3/2001 ci sembra opportuno ricordare tra le azioni finalizzate a migliorare le politiche sociali in favore delle persone con sordocecità, in parte già intraprese, si è proceduto nell'ambito della revisione dei criteri di accertamento delle disabilità, all'analisi delle problematiche connesse alla sordocecità.
Oltre a questo vorremmo aggiungere che tale questione potrebbe essere evidenziata anche nell'ambito dei lavori del Tavolo tecnico sulla valutazione e l'accertamento della disabilità gia istituito e attivato presso la Conferenza Stato-Regioni e al quale partecipano rappresentanti delle Regioni dei Ministero della salute e del Ministero della solidarietà sociale.
Quanto affermato nella Dichiarazione del Parlamento dell'Unione europea è tenuto in particolare considerazione dal Governo, infatti, nell'ambito delle attività di monitoraggio già avviate a livello regionale sui servizi per il «dopo di noi» e sulle


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strutture in favore delle persone in situazione di handicap grave realizzate in applicazione della Direttiva ministeriale del 23 settembre 2003, sarà evidenziata anche l'offerta esistente rivolta alle persone con disabilità plurime. Per il perseguimento di questo obiettivo sono già in corso consultazioni con le associazioni e gli Enti che operano in favore delle persone sordocieche, infatti. Sono in corso audizioni e incontri con le associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità e loro famiglie, nonché con Enti e Organizzazione altamente specializzati, come la Lega del Filo d'Oro.
Le specifiche questioni esposte saranno oggetto di attenta valutazione, al fine di individuare e promuovere interventi, anche di carattere normativo, che possano concorrere a migliorare l'autonomia e la qualità della vita delle persone che convivono con disabilità plurime.
Da ultimo, si pone in evidenza, ad ulteriore comprova dell'interesse e dello specifico impegno che questo Governo pone a sostegno dei disabili i Bandi Straordinari dell'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, del 1o settembre e del 3 novembre scorso che dispongono l'impiego di 970 volontari per l'accompagnamento ai ciechi civili e ai grani invalidi. Preciso che è stato possibile procedere all'emanazione dei suddetti bandi proprio in virtù della necessità avvertita dal Governo di provvedere ad un innalzamento dell'aliquota dei volontari riservata ai progetti destinati al sostegno dei disabili.


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ALLEGATO 2

5-00355 Bocciardo e Di Virgilio: Procedure di affido in seguito all'applicazione della legge 28 marzo 2001, n. 149.

TESTO DELLA RISPOSTA

Passo subito a rispondere al Primo quesito posto dall'On.le Bocciardo e chiarisco subito che la legge n. 149 del 2001 non prevede nessun nuovo istituto di assistenza, l'articolo 2, infatti dispone: «il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia».
Non c'è dubbio alcuno sull'interpretazione della legge e l'istituzione di nuove strutture diverse da comunità di tipo familiare sembra frutto di una disattenzione dell'interpellante.
La legge prevede in maniera precisa una gerarchia tra le modalità di intervento a sostegno del bambino e dell'adolescente.
In primo luogo quando in una famiglia si manifesta un disagio, di qualsiasi tipo, la famiglia va sostenuta. Infatti l'articolo 1 sancisce che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia».
In secondo luogo, laddove il sostegno alla famiglia non produrrebbe effetti apprezzabili nell'interesse superiore del bambino o della bambina o dell'adolescente, la legge prevede in alternativa il ricorso all'istituto dell'adozione - quando risulta del tutto impossibile, se non dannoso, il recupero della famiglia d'origine - o all'istituto dell'affidamento familiare. L'affidamento familiare consiste nell'accoglienza di un minore per un periodo di tempo determinato presso una famiglia, un single, qualora la sua famiglia d'origine stia attraversando un momento di difficoltà e per vari motivi (difficoltà educative e/o genitoriali, malattia, carcerazione, eccetera) non riesca a prendersi temporaneamente cura dei figli. L'affidamento è caratterizzato dalla temporaneità, dal mantenimento dei rapporti con la famiglia d'origine e dal rientro del minore nella propria famiglia d'origine.


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Solo laddove il bambino o la bambina non siano dichiarabili adottabili e non sia perseguibile la strada dell'affidamento familiare si ricorre all'affidamento alla comunità di tipo familiare, caratterizzata da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.
L'ultima strada percorribile era quella del collocamento in istituti di accoglienza per minori, che qualcuno ancora chiama orfanotrofi, termine anacronistico e atecnico, dal momento che gli orfani - o i non riconosciuti - sono rarissimi e vengono immediatamente dichiarati adottabili. In istituto restano solo bambini dichiarati adottabili, ma affetti da lievi o gravi patologie o disabilità, e bambini non adottabili.
Dal 31 dicembre 2006 questa strada non sarà più legittimamente percorribile e gli strumenti resteranno nell'ordine: il sostegno alla famiglia d'origine, l'adozione o l'affidamento (ovviamente con azioni di sostegno alla famiglia d'origine) e l'affidamento a comunità familiari.

Il percorso di chiusura degli istituti è stato completato in quasi tutte le Regioni d'Italia, ad eccezione di Sicilia, Calabria e Puglia.
I dati del costante monitoraggio sui minori fuori dalla famiglia realizzato dal Centro Nazionale di Documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza con il fattivo coinvolgimento delle Regioni e delle Province Autonome, al 31 dicembre 2005 sono i seguenti:
a) affidamento familiare: dal confronto con la rilevazione dei 1999 realizzata dallo stesso Centro Nazionale1 si passa dai 10.200 (al 30 giugno 1999) ai 12.845 casi di affidamenti in corso dell'ultima rilevazione (31 dicembre 2005); si

1 Si tratta, in assoluto, della prima indagine nazionale sull'affidamento familiare. L'indagine è stata pubblicata nella collana Questioni e Documenti del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l'infanzia e l'adolescenza «Quaderno 24 - I bambini e gli adolescenti in affidamento familiare», Firenze, Istituto degli Innocenti, agosto 2002.
riscontra, quindi, un importante incremento (26 per cento) nel corso dell'ultimo quinquennio (alcuni dati regionali sono però ancora provvisori).

La distribuzione territoriale, letta attraverso i tassi calcolati sulla popolazione di riferimento di 0-17 anni, evidenzia progressi in molte realtà regionali sebbene l'affidamento familiare risulti più praticato nelle regioni del Centro e del Nord piuttosto che nelle regioni del Sud.
Relativamente alla Regione Calabria si rende noto che dalla visita effettuata durante il mese di ottobre dal Sottosegretario di Stato Cecilia Donaggio è emerso che i minori in istituto sono 70.
È emerso in maniera chiara che la ricettività delle comunità familiari o di tipo familiare nella Regione è di gran lunga più ampia dei settanta posti letto ad oggi necessari.
Il processo di chiusura in Calabria è quasi al termine e, ad ogni modo, il Governo continuerà a monitorare l'effettività del processo di affidamento dei minori alle comunità familiari e di chiusura delle strutture residenziali da esse diverse.
Nella Regione Sicilia il processo di chiusura e un po' a rilento. Dalla visita effettuata durante il mese di novembre dal Sottosegretario di Stato Cecilia Donaggio è emerso che i minori in istituto sono 228. Anche in Sicilia, però, per ogni Provincia la ricettività delle comunità di tipo familiare è di gran lunga maggiore al numero dei posti letto necessari per la chiusura degli istituti di accoglienza, già in fase di conversione in centri polifunzionali.
Relativamente alla Regione Puglia i dati del monitoraggio riferiti al 31 dicembre 2005 risultano essere:
1.404 affidamenti familiari con un tasso di 1,8 affidamenti per 1.000 abitanti;
181 servizi residenziali che accolgono 1.208 minori con un tasso di accoglienza di 1,5 bambini per 1.000 abitanti;
41 istituti per minori che accolgono 222 bambini.


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All'inizio del mese di ottobre 2006, risultano aperti 6 istituti per minori, di cui solamente 3 ancora operanti con 120 minori ospitati. La Regione sta mettendo a punto un piano per la chiusura degli istituti entro il mese di dicembre 2006 con la definizione di un percorso omogeneo per l'avvio e la realizzazione dei percorsi di affido. A tal uopo, la Regione sta definendo le linee guida regionali sull'affidamento di minori con la piena disponibilità dei Presidenti dei Tribunali per minorenni, oltre alla definizione dei requisiti strutturali e organizzativi per l'autorizzazione delle nuove strutture residenziali per minori.
Quanto al Secondo quesito a differenza delle procedure per l'adozione nazionale o internazionale, che hanno tempi forse troppo lunghi, la procedura per l'affidamento familiare è già snella e abbastanza veloce. In sintesi il giudice per i minorenni provvede all'affido ai servizi sociali che individuano una famiglia affidataria o una comunità (dipende anche dal sostegno di cui ha bisogno il bambino o la bambina).
Come si è già detto, l'affidamento familiare consiste nell'accoglienza di un minore per un periodo di tempo determinato presso una famiglia, un single o una comunità di tipo familiare, qualora la sua famiglia d'origine stia attraversando un momento di difficoltà e per vari motivi (difficoltà educative e/o genitoriali, malattia, carcerazione, eccetera) non riesca a prendersi temporaneamente cura dei figli. Esso è caratterizzato dalla temporaneità, dal mantenimento dei rapporti con la famiglia d'origine e dal rientro del minore nella propria famiglia d'origine.
L'affidamento è consensuale nel caso sia condiviso e approvato dai genitori o giudiziale nel caso sia disposto dell'Autorità Giudiziaria. Si ottiene su richiesta della famiglia naturale ai servizi socioassitenziali territoriali di residenza e/o su proposta dei servizi stessi o in seguito a disposizione dell'Autorità Giudiziaria. Può essere diurno o part-time (quando è limitato ad alcune ore durante la giornata), oppure residenziale (quando il minore va a vivere, per un periodo di tempo, presso la famiglia affidataria, pur mantenendo, di norma, rapporti e incontri con la propria famiglia naturale). L'affidamento decorre dall'accordo formale tra i servizi socioassistenziali, la famiglia naturale e la famiglia affidataria «ritenuta idonea» o in base a quanto disposto dall'Autorità Giudiziaria. L'ascolto del minore è previsto qualora abbia compiuto i 12 anni di età, mentre per età inferiori vengono individuate le forme più opportune di coinvolgimento del bambino. La durata dell'affidamento è temporanea (da alcuni mesi fino a un massimo di due anni come disposto dalla legge). Essa viene definita, di volta in volta, nell'ambito dell'accordo tra i servizi socio-assistenziali, la famiglia naturale e quella affidataria e/o stabilita dal provvedimento dell'Autorità Giudiziaria. L'affidamento può cessare quando la situazione di temporanea difficoltà viene risolta dalla famiglia, da sola e/o con l'aiuto dei servizi, oppure in tutti quei casi in cui la sua prosecuzione rechi pregiudizio al minore.
L'affidamento può essere a parenti o a terzi (intendendo, con questo termine, famiglie che non hanno con i minori affidati nessun rapporto di parentela). Possono offrire la disponibilità all'affidamento coppie (coniugate e non coniugate) con figli e senza figli e anche persone singole. Non sono fissati particolari vincoli di età degli affidatari rispetto al minore affidato. Per offrire la disponibilità ad essere affidatari occorre rivolgersi ai servizi sociali territoriali di residenza. Un'apposita équipe dei servizi sociali territoriali effettua incontri e colloqui di conoscenza con le famiglie disponibili all'affidamento, al fine di poter raccogliere informazioni utili a valutarne la corrispondenza rispetto alle caratteristiche e ai bisogni dei minori da affidare. I servizi sociali territoriali riconoscono alla famiglia affidataria un contributo economico «di norma a carattere mensile» ed una specifica copertura assicurativa. Nel caso di affidamento a parenti, il contributo economico può essere di entità mensile ridotta e comunque è determinato dopo specifica valutazione della situazione socio-economica familiare da parte dei


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servizi. Oltre a prevedere misure di sostegno e aiuto economico comprendenti anche particolari possibilità di rimborso spese, la legge per il sostegno alla maternità e alla paternità estende gli stessi diritti in materia di congedi lavorativi e riposi giornalieri anche ai genitori affidatari. Le famiglie affidatarie possono incontrarsi e confrontarsi con altre famiglie all'interno dei gruppi di preparazione e auto-aiuto promossi dai servizi sociali territoriali oppure possono rivolgersi anche alle associazioni che si occupano di affidamento per ricevere informazioni, sostegno e accompagnamento.

Tavola 1 - Affidamenti familiari per Regione e Province autonome (*).

 
Affidamento familiare
Regioni
e Province autonome
periodo di
riferimento

totale
affidamenti
per 1.000
ab. 0-17 anni
Piemonte31/12/05 1.448
2,8
Valle d'Aosta31/12/05 46
2,4
Lombardia31/12/03 2.713
1,8
Provincia Bolzano31/12/05 201
2,1
Provincia Trento31/12/05 101
1,1
Veneto(a)31/12/05 548
0,7
Friuli-Venezia Giulia31/12/05 165
0,8
Liguria31/12/03 627
3,0
Emilia-Romagna31/12/03 1.246
1,4
Toscana30/06/05 1.462
2,8
Umbria31/12/05 171
1,3
Marche31/12/05 281
1,2
Lazio(b)31/12/03 918
1,0
Abruzzo(a)31/12/05 110
0,5
Molise31/12/05 82
1,5
Campania30/06/99 546
0,4
Puglia31/12/05 1.404
1,8
Basilicata31/12/05 8
0,1
Calabria31/12/04 316
0,8
Sicilia(c)31/12/05 373
0,4
Sardegna31/12/05 79
0,3
Totale 12.845
1,0

(*) Dati provvisori.
(a) Il dato si riferisce ai soli affidamenti giudiziali.
(b) Il dato non comprende gli affidamenti giudiziali del Comune di Roma.
(c) I dati sono parziali e riferiti a 255 dei 390 comuni complessivi.


b) accoglienza dei bambini nei servizi residenziali: I dati del monitoraggio evidenziano in Italia un tasso di accoglienza di poco più di 1 bambino ogni mille residenti (anche in questo caso alcuni dati sono da considerare provvisori e suscettibili di variazione).
Questo dato segna un trend di sostanziale stabilità della presenza di bambini nei servizi residenziali sebbene in molte Regioni/Province Autonome la tipologia di accoglienza si stia sempre più indirizzando, anche a seguito del dettato della legge 149/01, verso le comunità di tipo familiare, producendo dunque un miglioramento sensibile della «qualità» dell'accoglienza.


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Tavola 2 - Servizi residenziali che accolgono minori e minori accolti per Regione e Provincia autonoma (*).

 
Servizi residenziali
Regioni e
Province autonome
periodo di riferimento
strutture che
accolgono
minori

minori
accolti
accolti per 1.000
ab. 0-17 anni
Piemonte31/12/05 174
1.160
1,8
Valle d'Aosta31/12/05 2
21
1,1
Lombardia31/12/03 330
3.847
2,5
Provincia Bolzano31/12/05 33
151
1,6
Provincia Trento31/12/05 60
275
3,1
Veneto31/12/05 261
1.002
1,3
Friuli-Venezia Giulia31/12/05 31
229
1,3
Liguria31/12/05 66
n.d.
n.d.
Emilia-Romagna31/12/04 203
1.170
1,9
Toscana30/06/05 106
543
1,0
Umbria31/12/05 32
225
0,9
Marche31/12/05 50
577
4,5
Lazio31/12/03 354
n.d.
n.c.
Abruzzo31/12/05 41
232
1,1
Molise31/12/05 13
96
1,8
Campania31/12/99 179
1.364
1,1
Puglia31/12/05 181
1.208
1,5
Basilicata31/12/05 21
152
1,4
Calabria31/12/05 89
516
1,3
Sicilia(a)31/12/05 133
631
0,6
Sardegna31/12/05 62
337
1,3
Totale 2.421
13.736
1,4

(*) Dati provvisori
(a) I dati sono parziali e riferiti a 255 dei 390 comuni complessivi.

c) istituti per minori-strutture socioeducative residenziali di tipo assistenziale di grosse dimensioni che accoglie un alto numero di bambini e adolescenti: il monitoraggio del 31 dicembre 2005 evidenzia una diminuzione delle strutture e un conseguente calo dei minori accolti.
In particolare con l'approssimarsi del 31 dicembre 2006 molte strutture stanno chiudendo i battenti oppure stanno procedendo a riconvertirsi in altra tipologia di struttura di accoglienza. Rispetto alla precedente rilevazione del Centro datata 30 giugno 2003 si assiste, infatti, ad una riduzione delle strutture aperte che passano da 215 a 155 e del numero di minori accolti che passano da 2.633 a 801.


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Tavola 3 - Istituti per minori per Regione e Provincia autonoma (*).

 
Istituto per minori
Regioni e Provincie
autonome
periodo di
riferimento

strutture
minori accolti
Piemonte31/12/05 0
0
Valle d'Aosta31/12/05 0
0
Lombardia1/10/05 5
65
Provincia Bolzano31/12/05 1
17
Provincia Trento31/12/05 1
15
Veneto31/12/05 0
0
Friuli-Venezia Giulia31/12/05 0
0
Liguria31/12/05 0
0
Emilia-Romagna31/12/05 0
0
Toscana30/06/05 0
0
Umbria31/12/05 2
44
Marche31/12/05 0
0
Lazio31/12/05 0
0
Abruzzo31/12/05 17
68
Molise31/12/05 0
0
Campania31/12/05 9
81
Puglia31/12/05 41
222
Basilicata31/12/05 3
24
Calabria31/12/05 19
70
Sicilia31/12/05 57
195
Sardegna31/12/05 n.d.
n.d.
Sardegna31/12/05 0
0
Totale 155
801

(*) Dati provvisori.
(a) I dati sono parziali e riferiti a 255 dei 390 comuni complessivi.