II Commissione - Resoconto di giovedì 9 novembre 2006


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SEDE REFERENTE

Giovedì 9 novembre 2006 - Presidenza del presidente Pino PISICCHIO. - Interviene il sottosegretario per la giustizia Luigi Li Gotti.

La seduta comincia alle 11.35.

Decreto-legge n. 259/06: Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.
C. 1838 Governo, approvato dal Senato.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta dell'8 novembre 2006.

Giuseppe CONSOLO (AN) ricorda di aver posto a rappresentante del Governo, nel corso della seduta svoltasi ieri, una precisa questione politica, alla quale non è stata data risposta e che, pertanto, riformula. Invita, pertanto, il rappresentante del Governo a chiarire se sussista o meno la volontà politica del Governo di convertire il decreto-legge apportando modifiche al testo approvato dal Senato. Solo dopo che sarà stata risolta tale questione si potranno eventualmente affrontare le questioni


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tecniche inerenti al contenuto del decreto. A tale proposito ricorda che, in occasione dell'esame del disegno di legge inerente alla sospensione della riforma dell'ordinamento giudiziario, i gruppi della Casa delle libertà hanno abbandonato i lavori della Commissione giustizia non appena si è manifestata la volontà politica della maggioranza di non modificare il testo approvato dal Senato. Solo nel caso in cui non venisse manifestata una medesima volontà politica in questa occasione, il gruppo di Alleanza Nazionale sarà disposto a collaborare con gli altri gruppi affinché tale testo possa essere adeguatamente migliorato.

Paola BALDUCCI (Verdi), intervenendo a nome del proprio gruppo, ritiene che, anche alla luce della discussione che si è svolta in Commissione in ordine al provvedimento trasmesso dal Senato, sia opportuno esaminare tale provvedimento sotto il profilo tecnico giuridico, al fine di apportarvi le modificazioni necessarie in tempi utili per un nuovo esame da parte del Senato e, quindi, per poterlo convertire in legge entro il 21 novembre prossimo.

Enrico COSTA (FI) osserva che in base alla nota del Procuratore della Repubblica di Milano del 20 ottobre 2006, depositata ieri in Commissione dal rappresentante del Governo, sembrerebbero non sussistere ex post i requisiti di necessità ed urgenza che avrebbero dovuto legittimare l'adozione del decreto-legge. Ciò non toglie che la legge di conversione è comunque in grado di sanare tale vizio, come costantemente è stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al rapporto tra legge di conversione e decreto-legge. Tuttavia, non si può non avere la consapevolezza che oramai non vi sono i tempi necessari per convertire in legge il testo trasmesso dal Senato, qualora la Camera ritenesse di modificarlo.

Pino PISICCHIO, presidente, ritiene che, qualora si raggiunga una intesa politica tra maggioranza ed opposizione, vi è la possibilità di modificare il testo trasmesso dal Senato senza metterne in pericolo la conversione.

Manlio CONTENTO (AN) preliminarmente evidenzia il paradosso di una situazione in cui, da un lato, sembrerebbe che la procura della Repubblica di Milano ha nella propria disponibilità quel tipo di documentazione illecita per la quale il decreto-legge prevede l'immediata distruzione ma che arbitrariamente no ritiene di distruggere, e, dall'altro, il Parlamento si interroga sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza del decreto-legge.
Soffermandosi sul merito del provvedimento in esame, osserva che questo pone due ordini di questioni: l'una processuale, l'altra sostanziale. Sotto il profilo processuale, occorre stabilire la sorte delle intercettazioni illecite e dei documenti formatisi attraverso la raccolta illegale. Rileva che su questa questione vi è un accordo unanime tra i gruppi nel ritenere che tale documentazione debba essere considerata inutilizzabile per fini processuali. Vi è poi la questione sostanziale sulla individuazione di una nuova fattispecie penale alla quale ricondurre la condotta relativa alla formazione illegale di documenti attraverso la raccolta di documenti legittimi, come ad esempio le intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria.
Dichiara di non condividere, specialmente dopo le modifiche apportate al decreto-legge dal Senato, la scelta di utilizzare nuovi istituti per regolamentare la distruzione della documentazione illecita oggetto del decreto-legge. Molto probabilmente si sarebbero potuti utilizzare istituti già esistenti, come ad esempio quello del sequestro, i quali non avrebbero determinato tutti quei problemi applicativi che invece scaturiranno dal provvedimento in esame, qualora questo dovesse essere tradotto in legge. La procedura delineata dal decreto-legge, così come modificata dal Senato, non sembra essere in grado, ad esempio, di garantire


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sufficientemente tanto gli interessi dell'indagato quanto quelli delle cosiddette parti interessate, non essendo chiaro se queste possano prendere visione dei documenti da distruggere. Qualora ciò fosse possibile sorgerebbe il problema della diffusione del contenuto di documenti illeciti. Vi è poi una fase delle indagini che non viene disciplinata dal decreto-legge, quale è quella inerente all'attività della polizia giudiziaria che si imbatte nella documentazione oggetto del decreto-legge. In sostanza, per la fase antecedente a quella in cui è disposta la distruzione della documentazione, vi è un vero e proprio vuoto normativo, che è reso ancora più evidente dalla scelta operata dal Senato di limitare la condotta delittuosa alla sola ipotesi in cui la detenzione della documentazione illecita sia successiva al provvedimento con cui viene disposta la distruzione di tale documentazione. Non è chiaro neanche quali poteri di indagine sulla documentazione illecita abbia l'autorità giudiziaria, la quale, a torto, ma a causa della indeterminatezza della procedura delineata dal decreto-legge, potrebbe ritenere opportuno non distruggere immediatamente la documentazione illecita al fine di disporre in ordine ad essa ulteriori indagini.
Ritiene che il decreto-legge in esame possa essere convertito a condizione che sia sostanzialmente modificato il testo trasmesso dal Senato. Si potrebbe, ad esempio, fare ricorso ad istituti vigenti, come quello del sequestro, prevedere la distruzione immediata dei documenti secretati, vietando la pubblicazione di tali documenti anche sotto il profilo colposo, considerato che sia il direttore di un giornale che il giornalista deve avere la diligenza di non pubblicare ciò che è illecito, nonché rafforzare la sanzione penale nei confronti di chi trascrive i cosiddetti brogliacci delle intercettazioni telefoniche e poi ne fa un uso personale.

Gino CAPOTOSTI (Pop-Udeur) preliminarmente dichiara che il suo intervento sarà meramente politico, in quanto investirà i rapporti tra le due Camere ed il rapporto tra la maggioranza ed il Governo. Ricorda che presso il Senato dai gruppi di maggioranza e di opposizione vi è stata una condivisione in ordine all'urgenza di intervenire su un fenomeno che ha fortemente allarmato la società civile, come è quello delle intercettazioni illecite. Non ritiene che in base alla nota della Procura di Milano depositata ieri dal rappresentante del Governo in Commissione si possa ritenere che sia venuta meno quella emergenza che aveva portato il Governo ad adottare, in un clima di totale condivisione politica, il decreto-legge in esame. Per tale ragione almeno la maggioranza dovrebbe essere orientata a sostenere la conversione in legge del decreto. Un eventuale spazio per migliorare il contenuto del decreto-legge è da riconoscersi eventualmente all'opposizione. La maggioranza ha, infatti, una particolare responsabilità nei confronti del Paese a che sia data una risposta su un fenomeno tanto grave quanto è quello delle cosiddette intercettazioni illegali. A tale responsabilità si aggiunge un obbligo di lealtà verso il Governo, che dovrebbe indurre la maggioranza a sostenere la conversione del decreto-legge e non a metterla a rischio, facendo venir meno un accordo che comunque si è raggiunto al Senato.

Giulia BONGIORNO (AN), dopo aver dichiarato di condividere pienamente l'intervento dell'onorevole Consolo, ritiene che vi sia un equivoco di fondo sulla reale portata della nota del Procuratore della Repubblica di Milano depositata ieri in Commissione dal rappresentante del Governo. Evidenzia come sia del tutto errato evincere da tale nota che nel corso della cosiddetta indagine Telecom non siano stati acquisiti documenti ai quali si possano applicare le disposizioni contenute nel decreto-legge in esame. A tale proposito, richiama la predetta nota nella parte in cui si dichiara che «l'attività di illecita acquisizione di dati riservati attribuita all'associazione per delinquere così come individuata e ricostruita risulta allo stato essere stata realizzata mediante


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la commissione di delitti di corruzione, rivelazione del segreto di ufficio, reati di falso e appropriazione indebita». Da tale affermazione, ritiene che risulti evidente la sussistenza di materiale che, ai sensi delle disposizioni introdotte dal decreto-legge, si sarebbe dovuto distruggere. Altro equivoco in cui la Commissione rischia di cadere è quello di confondere le intercettazioni oggetto del decreto-legge in esame con le intercettazioni disposte dalla magistratura, quale mezzo di ricerca della prova. Nel primo caso si tratta di intercettazioni illecite, nel secondo caso si tratta di intercettazioni lecite. Da tale differenza dovrebbe conseguire anche una diversa disciplina sotto il profilo sostanziale e processuale. Ad esempio, si potrebbe giustificare sulla base della prevalenza del diritto di cronaca la pubblicazione di intercettazioni lecite, ma non certo anche la pubblicazione di intercettazioni illecite. Per tale ragione non condivide l'opinione di chi ritiene che la materia oggetto del decreto-legge possa essere trasfusa nella riforma della disciplina delle intercettazioni lecite che la Commissione giustizia sta esaminando in relazione ai progetti di legge C. 1164 Migliore, C. 1165 Fabris, C. 1170 Craxi, C. 1344 Mazzoni, C. 1638 Governo, C. 1257 Nan, C. 1587 Brancher e C. 1594 Balducci. Ritiene, pertanto, che qualora venisse adeguatamente modificato, il decreto-legge possa essere convertito.

Alessandro MARAN (Ulivo) ribadisce quanto già affermato nella seduta di ieri a nome del suo gruppo sulla necessità politica, in considerazione dei ristretti tempi a disposizione del Parlamento per convertire in legge il decreto, di raggiungere una intesa politica sulle eventuali modifiche da apportare al decreto medesimo. Invita, pertanto, la Commissione a esaminare nel merito il decreto-legge per individuare soluzioni condivise dirette a migliorarlo.

Francesco FORGIONE (RC-SE), dopo aver preso atto che rispetto alla seduta di ieri sembra essere mutato l'atteggiamento politico dei gruppi in ordine alla questione della conversione in legge del decreto, in quanto sembra esservi una disponibilità anche da parte dei gruppi di opposizione ad individuare quelle modifiche necessarie per la conversione in legge il decreto, sottopone alla Commissione due esigenze delle quali si deve tenere conto. La prima è quella di individuare una disciplina organica della materia delle intercettazioni telefoniche, mentre la seconda è quella di colmare il vuoto normativo relativo alla formazione di dossier attraverso documentazione sia lecita che illecita.

Paolo GAMBESCIA (Ulivo), relatore, preliminarmente dichiara di non condividere l'intervento del collega Capotosti, in base al quale la Camera dovrebbe sentirsi vincolata dagli accordi politici raggiunti al Senato tra i diversi gruppi. In un sistema di bicameralismo perfetto ciascuna Camera ha l'obbligo costituzionale di valutare nel merito i provvedimenti che si trovano al suo esame. Ciò non significa che gli accordi politici siano irrilevanti, quanto piuttosto che occorre verificare se l'accordo politico possa rimanere anche nel caso si intenda modificare il testo approvato dall'altro ramo del Parlamento. Non si tratterebbe di stravolgere il testo, bensì di apportarvi alcuni miglioramenti tecnico-giuridici. Nulla esclude che tale operazione si possa svolgere in un clima politico condiviso.

Luigi VITALI (FI) dichiara di condividere l'intervento del relatore, non ritenendo che il testo trasmesso dal Senato debba essere considerato «politicamente» blindato. Vi è, infatti, anche da parte dell'opposizione l'interesse a convertire in legge un decreto in relazione al quale essa stessa ha manifestato il proprio consenso nel momento sia dell'emanazione che dell'esame al Senato. Tale condivisione non significa che il testo trasmesso dal Senato sia immodificabile. Anzi, ritiene che sia opportuno che l'esame in Commissione sia


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organizzato in maniera tale da dedicare il maggior tempo possibile all'esame delle diverse proposte emendative che potranno essere presentate al fine di migliorare il testo trasmesso dal Senato.

Carolina LUSSANA (LNP) con stupore osserva un mutamento di atteggiamento da parte dei gruppi di maggioranza ed opposizione rispetto a quanto invece era emerso nella seduta di ieri. Forse nel corso della notte si è raggiunta una intesa tra i gruppi che, però, non ha coinvoltolo il gruppo della Lega. Non comprendendo le ragioni di tale mutamento, ribadisce la posizione contraria della Lega sul testo trasmesso dal Senato. Tale contrarietà, peraltro già manifestata al Senato, si è rafforzata a seguito della nota della Procura di Milano dalla quale emerge chiaramente l'assenza dei presupposti di necessità ed urgenza che avrebbero dovuto giustificare l'emanazione del decreto-legge. Tali presupposti non possono certamente rinvenirsi nel vuoto normativo denunciato dal rappresentante del Governo nella seduta di ieri. In caso contrario, vi sarebbero anche altri vuoti normativi, come ad esempio quelli relativi alla legislazione in materia di violenze sessuali, che meriterebbero di essere colmati attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza.

Federico PALOMBA (IdV) dichiara che il proprio gruppo è favorevole all'ipotesi di modificare il decreto-legge, così come modificato dal Senato, in maniera tale da assicurarne comunque la conversione in legge, per quanto, sulla base della nota della Procura di Milano, non sembrerebbero sussistere i presupposti della necessità e dell'urgenza. Ritiene che l'atteggiamento del Governo circa il fenomeno delle cosiddette intercettazioni illegali sia stato corretto, in quanto al momento della emanazione del decreto-legge vi era da parte di tutte le forze politiche la convinzione della necessità ed urgenza di un intervento legislativo volto a disciplinare il grave fenomeno delle intercettazioni illegali.
Conclude ribadendo la necessità di convertire in legge il decreto apportandovi comunque adeguate modificazioni rispetto al testo approvato dal Senato.

Enrico BUEMI (RosanelPugno) ritiene che l'opinione pubblica non sia eccessivamente preoccupata del fenomeno delle cosiddette intercettazioni illegali, ma che lo sia invece la classe politica. Da quanto è stato riportato dalla stampa, sembrerebbe che in realtà i cosiddetti dossier illegali, che sarebbero oggetto del decreto-legge in esame, siano stai rinvenuti e successivamente distrutti non dalla magistratura bensì con tutta fretta in una discarica di Roma. Ritiene che il decreto-legge, qualora se ne verifichi la sua adeguatezza a contrastare un fenomeno grave come quello delle intercettazioni illegali, debba essere convertito.

Silvio CRAPOLICCHIO (Com.It) ritiene giuridicamente scorretto legare in maniera indissolubili le sorti del decreto-legge alla vicenda giudiziaria Telecom, in quanto in tal modo si dimentica che il decreto-legge è un atto di natura generale ed astratta. Questo, pertanto, deve essere valutato sulla base del fenomeno che intende contrastare. Occorre, in sostanza, verificare se sia adeguato a disciplinare il fenomeno delle intercettazioni illegali e dei dossier illeciti. Dichiara, pertanto, che il proprio gruppo è favorevole a convertire in legge il decreto, apportandovi adeguate modifiche che lo migliorino nel contenuto ma che non ne mettano in rischio la sua conversione.

Pino PISICCHIO, presidente, rileva che dal dibattito svoltosi nella seduta odierna è emersa la possibilità di una intesa tra i gruppi che possa portare alla conversione del decreto-legge anche nel caso di modifiche al testo trasmesso dal Senato. Per raggiungere tale obiettivo sarà necessario accelerare i tempi di esame da parte della Commissione per poter trasmettere il testo all'Assemblea in tempi utili per poter poi consentire un ulteriore esame da parte dell'altro ramo del Parlamento. Si potrebbe,


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pertanto, dopo la risposta del Governo alla interrogazione a risposta immediata in Commissione presentata dall'onorevole Contento n. 5-000369 sull'applicazione del decreto-legge in esame, prevista per oggi alle ore 14, concludere l'esame preliminare e fissare a domani, alle ore 10, il termine per la presentazione degli emendamenti. Ritiene, infatti, che la risposta a tale interrogazione possa essere utile all'esame preliminare del disegno di legge all'ordine del giorno. Sospende, quindi, la seduta.

La seduta, sospesa alle 13.15, riprende alle 14.25.

Pino PISICCHIO, presidente, ricorda di aver sospeso la seduta al fine di consentire alla Commissione di prendere atto alla risposta che il rappresentante del Governo avrebbe fornito all'onorevole Contento in relazione alla sua interrogazione inerente alla concreta applicazione del decreto-legge in esame. Considerato che a tale interrogazione è stata appena data risposta, avverte che riprende l'esame preliminare che, comunque, si concluderà, come già annunciato, al termine della seduta odierna.

Gaetano PECORELLA (FI) ritiene che il testo trasmesso dal Senato susciti una serie di questioni, che sottopone al rappresentante del Governo. In primo luogo, osserva che inspiegabilmente la fattispecie introdotta dall'articolo 3 non punisce colui che detiene la documentazione illecita prima che sia stata disposta la distruzione dal giudice per le indagini preliminari e che, nel caso in cui questa sia stata disposta, vi potrebbe essere una difficoltà a provare la conoscenza del provvedimento di distruzione da parte del soggetto attivo del reato. Ritiene che il rappresentante del Governo dovrebbe chiarire anche il rapporto tra il reato previsto dall'articolo 3 e quello di ricettazione, precisando, in particolare, se si tratti di un concorso formale di reati e, quindi, un concorso di reati, o piuttosto di un concorso apparente di norme, in base al quale sarebbe applicabile solo la fattispecie di cui all'articolo 3 del decreto-legge, peraltro punita in maniera meno rigorosa rispetto alla ricettazione. Altra questione non chiara è quella della conoscenza del contenuto della documentazione da distruggere da parte sia dello stesso giudice per le indagini preliminari, non essendo previsto che tale documentazione gli sia trasmessa dal pubblico ministero, sia delle parti interessate legittimate comparire nell'udienza da tenersi ai sensi dell'articolo 127 del codice di procedura penale, non essendo prevista la trasmissione della documentazione nei loro confronti. Seri dubbi interpretativi sorgono anche nel momento in cui si cerca di individuare le parti interessate. Chiede, pertanto, chiarimenti al rappresentante del Governo in ordine alla nozione di parte interessata utilizzata dal decreto-legge in esame. Altro punto del decreto-legge che non sembra essere coerente è il rapporto tra le disposizioni contenute nel comma 6 dell'articolo 240 e il comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge, in quanto quest'ultimo prevede, in relazione all'azione di riparazione del danno, che agli effetti della prova della corrispondenza degli atti o dei documenti pubblicati con quelli distrutti fa fede il verbale di cui al comma 6 del medesimo articolo. Tutto ciò è incongruente, in quanto dal verbale, secondo quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 240 non è possibile desumere la predetta corrispondenza. Nel verbale, infatti, non viene fatto alcun riferimento al contenuto dei documenti distrutti.

Il sottosegretario Luigi LI GOTTI, replicando all'onorevole Pecorella, si sofferma preliminarmente sulla nozione di parte interessata, di cui al comma 4 dell'articolo 240, sottolineando che si tratta della stessa nozione utilizzata dall'articolo 127 del codice di procedura penale, la cui applicazione è espressamente richiamata dal predetto comma 6. Non si tratta, pertanto, di una nozione sconosciuta alla legge, alla giurisprudenza e alla dottrina.


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Gaetano PECORELLA (FI) dichiara di non condividere assolutamente l'intervento del rappresentante del Governo, in quanto la nozione di parte interessata, di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, si riferisce alle parti processuali, mentre la nozione di parte interessata utilizzata nel decreto-legge si riferisce alle parti interessate alla distruzione della documentazione illecita

Il sottosegretario Luigi LI GOTTI ritiene che la parte interessata alla quale è fatto riferimento nel decreto-legge sia riconducibile a quella utilizzata in relazione all'articolo 127 del codice di procedura penale, trattandosi in entrambi i casi di colui che giuridicamente può ancorare ad un interesse rilevante una legittima richiesta, cioè di colui che si sente leso e pregiudicato da un determinato fatto, che nel caso in esame è dato dalla intercettazione illegale o dal dossier illegalmente formato. In sostanza, la parte interessata è colui che comunque ha subito o ritiene di aver subito un danno da una attività illecita. Per quanto attiene alla questione della conoscenza del contenuto degli atti e documenti da distruggere ritiene che dal tenore del decreto-legge, anche così come modificato dal Senato, sia evidente che tanto il giudice per le indagini preliminari quanto le parti siano legittimate a conoscerne il contenuto, per quanto non sia possibile effettuarne copia. In ordine al delitto introdotto dall'articolo 3 del decreto-legge, ritiene che la fattispecie debba essere interpretata nel senso che il reato sussista anche quando la detenzione sia antecedente al provvedimento che ne dispone la distruzione, forse sarebbe stato meglio utilizzare una diversa formulazione, come ad esempio fare riferimento ai documenti per i quali ricorrono i presupposti per disporre la distruzione.

Gaetano PECORELLA (FI) ritiene che la formulazione della fattispecie penale di cui all'articolo 3 del decreto-legge sia chiara nel punire la detenzione solo nel caso in cui questa avvenga dopo che sia stata disposta la distruzione dei documenti.

Lanfranco TENAGLIA (Ulivo) osserva che la formulazione della fattispecie penale in questione può suscitare più di un dubbio interpretativo, per cui sarebbe stato opportuno introdurre nel decreto-legge una disposizione nella quale si sarebbero dovuti descrivere le caratteristiche degli atti e documenti da distruggere, per poter poi fare riferimento ad essi nell'ambito della formulazione della fattispecie penale.

Il sottosegretario Luigi LI GOTTI intervenendo sul rapporto tra il reato di cui all'articolo 3 del decreto-legge ed il reato di ricettazione, osserva che si tratta di reati che hanno una diversa portata, per cui, nel caso di condotta corrispondente all'articolo 3 si applicherà unicamente quest'ultima disposizione. In ordine alla circostanza che dal verbale di distruzione della documentazione non debba risultare il contenuto dei documenti distrutti, non ritiene che ciò determini una limitazione dei diritti della persona offesa in relazione all'azione di riparazione del danno, di cui all'articolo 4 del decreto-legge, in quanto questa è collegata non tanto al nuovo reato previsto dal decreto-legge relativo alla detenzione di documentazione illecita, quanto piuttosto ai reati che l'ordinamento già prevede quali forme di lesione della riservatezza.

Gaetano PECORELLA (FI) ritiene che il decreto-legge, nella parte in cui prevede che agli effetti della prova della corrispondenza della documentazione pubblicata con quella distrutta debba farsi riferimento al verbale, determini di fatto una «prova diabolica», che, a causa del contenuto limitato del verbale, la parte non è in grado di sostenere.

Pino PISICCHIO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, dichiara chiuso l'esame preliminare e fissa il termine per la presentazione di emendamenti


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alle ore 10 di venerdì 10 novembre. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Introduzione dell'azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori.
C. 1289 Maran, C. 1330 Fabris, C. 1443 Poretti, C. 1495 Governo e C. 1662 Buemi.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Alessandro MARAN (Ulivo), relatore, osserva che i progetti in esame sono diretti ad introdurre nell'ordinamento l'azione collettiva di tipo risarcitorio a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti. Nell'ordinamento italiano, infatti, non è prevista una tutela collettiva dei diritti dei consumatori che, mediante un'azione di gruppo, possa comportare, come nelle class actions americane, un diritto al risarcimento del danno subito in capo ai singoli appartenenti al gruppo. La particolarità del citato modello statunitense di tutela dei consumatori si incentra soprattutto su due aspetti: la possibilità di ricorrere ad una azione collettiva a fini risarcitori e quella di ottenere i cosiddetti danni punitivi. Negli Stati Uniti, un gruppo di cittadini può eleggersi a tutela di un interesse collettivo agendo in giudizio presso una Corte federale con una azione giudiziale di gruppo denominata class action.
Si tratta, in sostanza, di un meccanismo processuale che consente di estendere i rimedi concessi a chi abbia agito in giudizio ed abbia ottenuto riconoscimento delle proprie pretese a tutti gli appartenenti alla medesima categoria di soggetti che non si siano attivati. L'azione collettiva nasce dall'esigenza di consentire, per ragioni di giustizia, di economia processuale e di certezza del diritto, a chi si trovi in una determinata situazione di beneficiare dei rimedi che altri, avendo agito in giudizio ed essendo risultati vittoriosi, possono esercitare nei confronti del convenuto.
Forme di tutela dei consumatori non sono sconosciute all'ordinamento italiano, ma sono insufficienti. L'articolo 140 del codice del consumo consente alle associazioni dei consumatori e degli utenti (e ad altri soggetti collettivi legittimati ad agire negli altri Stati dell'Unione europea) di convenire in giudizio l'impresa e di ottenere dal giudice un provvedimento che inibisca l'uso della clausola di cui si sia accertata l'abusività. Si tratta quindi di provvedimenti di accertamento e di natura preventiva e non anche risarcitoria. I progetti di legge in esame sono diretti a colmare questa lacuna.
Come si è accennato, alla base di un intervento normativo volto a introdurre anche nel nostro ordinamento la cosiddetta «azione di gruppo» riparatoria e risarcitoria vi sono esigenze di giustizia, di economia processuale e di certezza del diritto. Esigenze di giustizia perché se un singolo consumatore cita in giudizio una grande azienda, rischia di essere schiacciato dalla difesa avversaria, mentre con l'azione collettiva il singolo consumatore si avvale della forza di un gruppo al quale appartiene. Esigenze di economia processuale perchè con un solo giudizio il sistema di tutela assorbirebbe migliaia di controversie, con ciò riducendosi l'impatto sulla macchina giudiziaria e con conseguente abbattimento dei relativi oneri difensivi. Esigenze di certezza del diritto in quanto con un'unica decisione in luogo di molte decisioni, ancorché originate da uno stesso fatto illecito, si evita in radice la possibilità di pronunce diverse ed, inoltre, perchè un'unica decisione valida per tutte le parti interessate in costanza di illecito assunto con effetti plurioffensivi corrisponde maggiormente agli interessi sia dei consumatori e degli utenti, sia delle imprese coinvolte.
Come è evidente anche dalla circostanza che i progetti di legge all'esame della Commissione giustizia sono stati presentati non solo dal Governo, ma anche da un ingente numero di deputati appartenenti agli schieramenti di maggioranza ed opposizione, è diffusa nella società civile la consapevolezza della insufficienza


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degli strumenti processuali che l'ordinamento mette a disposizione del consumatore che intenda tutelare i propri diritti nei confronti delle aziende. Per questa ragione, nella scorsa legislatura la Camera dei deputati approvò pressoché all'unanimità (su 445 votanti, hanno votato a favore in 437, hanno votato contro in 8 e si è astenuti 1) una proposta di legge volta ad introdurre nell'ordinamento italiano l'azione collettiva a tutela dei consumatori ed utenti, il cui esame si è fermato al Senato. Anzi, per essere più precisi, non è stato avviato dal Senato, nonostante che si trattasse di un provvedimento approvato con un consenso unanime dall'altro ramo del Parlamento.
Tre, tra i quali quello presentato dal Governo, dei cinque progetti presentati alla Camera in questa legislatura riprendono sostanzialmente il testo approvato dalla Camera nella XIV legislatura, mentre gli altri due, sostanzialmente simili tra loro, si basano su un diverso impianto normativo.
I progetti di legge C. 1289 Maran, C. 1495 Governo, C. 1662 Buemi, con alcune differenze tra loro, utilizzano il medesimo meccanismo processuale, basato su due fasi, utilizzato per la proposta di legge approvata dalla Camera nella scorsa legislatura. Nella prima fase, i soggetti protagonisti sono le associazioni dei consumatori e degli utenti, che si rivolgono al magistrato denunciando comportamenti plurioffensivi e chiedendone non solo l'interdizione, ma altresì che venga dichiarato il diritto dei consumatori e degli utenti stessi a vedersi risarcire il danno connesso al comportamento plurioffensivo. Nella seconda fase, i singoli consumatori e utenti possono rivolgersi al magistrato al fine di avere definita con sentenza l'entità del danno ricevuto, con la dichiarazione della responsabilità e, contestualmente, la condanna al risarcimento del danno stesso. Tra la prima e la seconda fase della proposta è prevista una ulteriore fase conciliativa riguardante la problematica connessa alle camere di conciliazione, ai filtri precontenziosi e agli strumenti idonei a filtrare la domanda giudiziale delle sentenze dei magistrati.
Più in particolare, il disegno di legge del Governo prevede una sola azione giudiziale, quella «collettiva» intrapresa dalle associazioni di consumatori; il secondo giudizio, azionato dal singolo consumatore nei confronti del danneggiante sarà solo eventuale ed avverrà solo in quanto le citate parti non trovino un accordo sul quantum da risarcire nella seconda fase del procedimento, quella conciliativa, tenuto conto della sentenza di condanna ottenuta in prima battuta dall'ente esponenziale della categoria.
Mentre il comma 1 dell'articolo unico del disegno di legge dichiara la finalità del provvedimento (istituzione e disciplina della class action), il comma 2 integra la disciplina della legittimazione ad agire giudizialmente a tutela degli interessi collettivi stabilita dagli artt. 139 e 140 del Codice del consumo (D.Lgs 6 settembre 2005, n. 206). A tale scopo, nello stesso Codice è introdotto un articolo aggiuntivo (articolo 140-bis) che disciplina e scandisce le diverse fasi dell'azione collettiva, mirante ad ottenere dal giudice una pronuncia che, accertando la lesione degli interessi di una determinata categoria di persone, condanni il convenuto ad un risarcimento. Le fasi del procedimento, necessarie ed eventuali, sono le seguenti. In primo luogo, le associazioni dei consumatori e utenti rappresentative a livello nazionale, le associazioni dei professionisti e le camere di commercio chiedono al tribunale competente il risarcimento e la restituzione di somme dovute direttamente a singoli consumatori per atti illeciti commessi in ambito contrattuale o extracontrattuale, comportamenti anticoncorrenziali e pratiche commerciali illecite (questa è l'azione collettiva in senso stretto, in cui si cerca solo di dimostrare la lesione della posizione giuridica di appartenenti ad una medesima categoria di persone). Si segnala, sul punto, l'ampliamento dell'ambito dell'azione collettiva rispetto alle previsioni della proposta approvata


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dalla Camera nella scorsa legislatura che prevedeva l'azione giudiziale in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi commessi nell'ambito di rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità previste dall'articolo 1342 del codice civile (contratti per adesione), ivi compresi quelli in materia di credito al consumo, rapporti bancari e assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investimento e gestione collettiva del risparmio, sempre che avessero lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. Le proposte di legge C. 1289 e C. 1662, invece, riprendono sul punto il testo approvato nella scorsa legislatura. Altra differenza del testo del Governo rispetto a quello approvato nella scorsa legislatura riguarda la mancata previsione di limitazioni all'applicabilità del nuovo strumento processuale a determinati settori. Nella scorsa legislatura la legittimazione era esclusa nei settori in cui fossero previste procedure di conciliazione o arbitrali per la risoluzione delle medesime controversie innanzi ad autorità amministrative indipendenti. Medesima esclusione prevista dalla proposta di legge C. 1289.
La promozione dell'azione collettiva interrompe il corso della prescrizione anche in relazione alle possibili azioni individuali dei consumatori.
Prima della eventuale sentenza di condanna le parti possono cercare una conciliazione per arrivare ad un accordo transattivo davanti al giudice. Se la transazione ha successo, una volta esecutivo il verbale di conciliazione o, in caso contrario, dopo la pubblicazione della sentenza di condanna - che stabilisce, se possibile, i criteri di liquidazione ovvero l'importo minimo da liquidare ai singoli utenti - si prefigurano due scenari anch'essi di natura conciliativa. Con il primo, le parti (ovvero le associazioni rappresentative e il convenuto) ricorrono alle camere di conciliazione presso il tribunale per promuovere la composizione amichevole delle azioni potenzialmente esercitabili dai singoli consumatori. La conciliazione si conclude con un verbale che riproduce i modi, i termini e l'entità del risarcimento; alla sottoscrizione del verbale ad opera delle parti consegue l'improcedibilità delle singole azioni risarcitorie eventualmente avviate prima dello spirare del termine stabilito per l'esecuzione della prestazione. un secondo scenario prevede, in alternativa e per le stesse finalità, il ricorso delle parti agli organismi di conciliazione costituiti per le controversie societarie.
In caso di fallimento dei tentativi di conciliazione, si prevede, a fini di tutela del singolo consumatore o utente, una seconda fase giudiziale, «di accertamento», stavolta riservata non all'associazione ma al singolo consumatore danneggiato; questi potrà, infatti, potrà instaurare un giudizio avente ad oggetto, in contraddittorio, il mero accertamento - in capo a se stesso, consumatore o utente - dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna derivante dalla class action nonché la precisa determinazione dell'ammontare del risarcimento dei danni genericamente riconosciuto dalla stessa sentenza. L'individuazione del quantum da liquidare sarà favorito dalla eventuale sentenza di condanna che abbia già definito i criteri di risarcimento (cfr comma 3) La sentenza di accertamento costituisce titolo esecutivo nei confronti del responsabile; è inibito alle associazioni l'intervento in tali giudizi. Alla sentenza di condanna ed all'accertamento della qualità di creditore (in sede conciliativa o giudiziale ovvero nel giudizio di accertamento di cui al comma 7), consegue il diritto del singolo consumatore e utente di chiedere al giudice l'emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti del debitore.
Da tale schema le proposte di legge C. 1289 e C. 1662 divergono sotto alcuni profili. Queste, ad esempio, non prevedono che la condanna a seguito dell'azione collettiva definisca anche l'importo minimo del risarcimento al singolo danneggiato. Inoltre, la sola proposta di legge C. 1662 prevede di sottoporre, a pena di improcedibilità le domande giudiziali delle associazioni di consumatori


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ad un tentativo preventivo obbligatorio di conciliazione davanti agli organismi di conciliazione delle controversie societarie. La proposta di legge C. 1662, in caso di obiezione alla citata conciliazione, stabilisce sia per il singolo consumatore che per le associazioni la possibilità di agire in giudizio singolarmente o collettivamente per ottenere la condanna del danneggiante; l'azione non può proporsi prima di 180 giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo. La sola proposta C. 1662 prevede che gli effetti della pronuncia del giudice o l'accordo risultante dalla conciliazione della lite si producono solo nei confronti dei consumatori e utenti intervenuti nel giudizio o alla conciliazione. Mentre le proposte di legge C. 1289 e C. 1662 prevedono che la sola sentenza di condanna emessa a favore dell'associazione dei consumatori costituisca prova scritta per la pronuncia da parte del giudice del decreto ingiuntivo di pagamento in favore del singolo danneggiato, il disegno di legge del Governo C. 1495 richiede, agli stessi fini, l'ulteriore accertamento della qualità di creditore in capo al singolo consumatore. La sola proposta di legge C.1289 stabilisce, infine, l'esenzione dal contributo unificato dei procedimenti relativi alla class action ed all'azione individuale di risarcimento nonchè alla richiesta di ingiunzione di pagamento da parte del singolo consumatore o utente.
L'impostazione delle proposte di legge C. 1330 Fabris e C. 1443 Poretti, pur riconducibile alle identiche finalità di introduzione di una tutela collettiva risarcitoria a favore dei consumatori, appaiono radicalmente diversa rispetto alle altre tre, essendo strutturate sul modello anglosassone. In primo luogo, la legittimazione ad agire è di «chiunque vi abbia interesse» e quella delle associazioni dei consumatori esiste solo in quanto l'azione sia affiancata da almeno un altro soggetto che vi abbia interesse. Il procedimento giudiziale parte con l'istanza di ammissione dell'azione collettiva che consiste nella richiesta rivolta al Tribunale di condannare soggetti pubblici o privati, autori di illeciti plurioffensivi, al risarcimento dei danni subiti e alla restituzione delle somme dovute ai singoli appartenenti alla cosidetta classe. Un estratto dell'istanza con tutti gli elementi utili all'identificazione dell'azione, del giudice competente nonché del termine utile per proporre eventuali istanze concorrenti, viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale a cura del procedente ed a spese dello Stato. Dal momento della notifica, il convenuto potrà proporre opposizione all'istanza di ammissione dell'azione collettiva. Inoltre avuta notizia dell'avvenuto deposito di un'istanza di azione collettiva, ciascun interessato può presentare, presso il medesimo tribunale, un'ulteriore istanza. A parte ciò, dal deposito della prima istanza di azione collettiva, chiunque vi abbia interesse può depositare una memoria integrativa. Spetta al giudice di scegliere il promotore della classe che ritiene maggiormente rappresentativo, sulla base degli elementi indicati dalle proposte di legge e della qualità delle argomentazioni sostenute. Il giudice, inoltre, assegna al curatore amministrativo il compito di tenere un elenco informatico di tutte le domande di partecipazione alla classe, di indire la votazione sulla proposta transattiva da sottoporre al giudizio della classe, nonché di ripartire le somme eventualmente conseguite dalla classe fra i partecipanti alla stessa in proporzione al danno da ciascuno documentato. Il curatore ha, altresì, il potere di rappresentare la classe davanti all'autorità giudiziaria ai fini dell'esecuzione della sentenza o dell'atto transattivo stragiudiziale con i quali si è conclusa l'azione collettiva. È, poi, prevista la possibilità delle parti e di ciascun partecipante alla classe di nominare, a proprie spese, un consulente che controlli l'operato del curatore amministrativo.
Il processo si svolge secondo il rito societario ordinario e collegiale. Qualora vi siano i presupposti, il promotore della classe può richiedere al giudice l'applicazione del rito di cognizione sommaria. È possibile concludere transazioni in corso di causa. Si prevede, anzitutto, che


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la validità dell'accordo transattivo raggiunto dalle parti sia subordinato all'approvazione da parte della maggioranza dei partecipanti alla votazione indetta dal curatore amministrativo dell'azione collettiva; le parti informano il giudice e il curatore amministrativo dell'accordo raggiunto. In caso di accordo transattivo, che deve includere anche la definizione delle spese del procedimento, nessun onere può essere addebitato al gratuito patrocinio. Si prevede, infine, che, acquisito il voto favorevole dei partecipanti alla classe, il curatore amministrativo sottopone l'accordo transattivo al giudice il quale, previa verifica della sua meritevolezza, lo approva definitivamente e lo trasmette al collegio che emette sentenza nei termini stabiliti dall'accordo stesso.
Al fine di scoraggiare gli illeciti plurioffensivi e rendere il danno risarcibile superiore al vantaggio ricavato dal danneggiante, l'istituto (già previsto in altri ordinamenti, specialmente quelli anglosassoni) del cosiddetto danno punitivo. In particolare, su richiesta del promotore della classe, il giudice, accertato che il vantaggio economico ottenuto dal convenuto in relazione agli illeciti plurioffensivi, risulta maggiore del risarcimento del danno quantificato ai sensi dell'articolo 1223 del codice civile, stabilisce un risarcimento a favore della classe pari al vantaggio economico derivante dagli illeciti plurioffensivi accertati.
Altra particolarità delle due proposte in esame è la previsione che nel caso di azioni collettive aventi ad oggetto prodotti o servizi venduti mediante contratti conclusi con le modalità previste dall'articolo 1342 del codice civile, ove sia accertata dall'autorità competente la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli, si prevede la nullità del contratto nei confronti di tutti i soggetti appartenenti alla classe che lo hanno sottoscritto nel periodo di diffusione del messaggio stesso. La nullità può essere fatta valere solo dal promotore della classe.
Per quanto attiene all'esecuzione della sentenza e il riparto del risarcimento, questa è emessa dal tribunale in composizione collegiale. In caso di condanna del convenuto, il tribunale stabilisce nella sentenza i criteri in base ai quali deve essere determinato l'importo da liquidare in favore dei singoli componenti della classe. Entro centottanta giorni dalla pubblicazione della sentenza o dall'approvazione della transazione, coloro che possiedono i requisiti per partecipare all'azione collettiva e non l'hanno ancora fatto, possono inoltrare al curatore amministrativo istanza. Nei trenta giorni successivi al decorso del termine suindicato, il curatore amministrativo deposita in cancelleria una relazione con la quantificazione della somma necessaria a risarcire tutti gli iscritti all'azione collettiva secondo i criteri indicati nella sentenza di condanna. Entro trenta giorni dal deposito della relazione, ciascuna parte che vi abbia interesse può proporre, a propria cura e spese, osservazioni sulla quantificazione. Sulla base della citata relazione, il giudice relatore emette, entro venti giorni dalla scadenza del termine previsto per le osservazioni, un decreto con il quale condanna il convenuto a pagare al curatore amministrativo la somma necessaria all'esecuzione della sentenza di condanna comprensiva delle spese di lite, degli importi destinati alla classe ed a ciascuno dei suoi partecipanti, dell'eventuale danno punitivo di cui all'articolo 12 e delle spese per il curatore amministrativo.
Ottenuta l'esecuzione del decreto, il curatore amministrativo procede senza indugio alla liquidazione degli importi dovuti ai singoli componenti della classe, procedendo in ordine cronologico di iscrizione. L'eventuale danno punitivo è ripartito in misura percentuale al danno emergente documentato da ciascun partecipante alla classe.
Analogamente, si procede per quanto concerne il riparto del risarcimento conseguente ad atto transattivi.
È prevista una particolare disciplina per le spese per l'azione collettiva, in quanto in caso di soccombenza del promotore della classe, il giudice liquida, in ogni caso, a carico del gratuito patrocinio


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la parcella del difensore del convenuto stabilita dal giudice, la parcella del curatore amministrativo, in base al tariffario minimo dei curatori fallimentari diminuito del 30 per cento e le altre spese legali, eccetto la parcella del difensore del promotore della classe al quale nulla è dovuto. La parcella dei difensori del promotore della classe è calcolata in percentuale sui risarcimenti conseguiti dall'azione collettiva, in relazione alla complessità della controversia, al risultato raggiunto e all'attività svolta dai difensori.

Silvio CRAPOLICCHIO (Com.It) annuncia di aver presentato una proposta di legge in materia di class action della quale chiede l'abbinamento ai progetti di legge in esame.

Pino PISICCHIO, presidente, assicura l'onorevole Crapolicchio che, verificati i presupposti, la sua proposta di legge sarà abbinata non appena sarà assegnata alla Commissione. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.50.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.05 alle 14.10.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Giovedì 9 novembre 2006. - Presidenza del presidente Pino PISICCHIO. - Interviene il sottosegretario di Stato per Luigi Li Gotti.

La seduta comincia alle 14.10.

Pino PISICCHIO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-00368 Costa: Sulla revoca dell'anticipazione a mezzo posta dei pagamenti delle spese di giustizia da parte del cosiddetto decreto Bersani.

Enrico COSTA (FI), illustrando l'interrogazione in titolo, evidenzia i problemi che sono stati causati dal cosiddetto decreto Bersani a seguito della soppressione del sistema delle anticipazioni postali in relazione alle spese di giustizia. Tale scelta effettuata dal Governo ha portato ad una serie di debiti da parte degli uffici giudiziari nei confronti dei professionisti che collaborano con i medesimi nonché del giudici onorari. In alcuni casi, il mancato pagamento da parte degli uffici giudiziari dei propri crediti ha avuto conseguenze drammatiche, come ad esempio è avvenuto a Torino quando un custode giudiziario di autovetture creditore non soddisfatto dell'amministrazione della giustizia si è suicidato. A Milano il procuratore della Repubblica, a causa della penuria dei fondi a disposizione dell'ufficio giudiziario, ha invitato i magistrati del suo ufficio a dotarsi degli strumenti tecnici necessari per salvare i dati informatici che altrimenti sarebbero a rischio di distruzione, non essendo in grado economicamente l'ufficio giudiziario di evitare tale rischio. Occorre, pertanto, capire esattamente quali siano stati gli effetti del decreto Bersani e, in particolare, sapere il numero dei creditori della giustizia e l'entità dei debiti dell'amministrazione della giustizia in relazione al suo bilancio.

Il sottosegretario Luigi LI GOTTI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

Enrico COSTA (FI) dichiara di non essere soddisfatto del contenuto della risposta del sottosegretario, in quanto non è ammissibile che per ragioni organizzative


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l'amministrazione della giustizia non sia in grado di pagare i propri debiti. Inoltre, si dichiara stupito del fatto che il Ministero non abbia effettuato un monitoraggio sul numero dei propri creditori e sull'ammontare del debito complessivo relativo alle spese di giustizia.

5-00369 Contento: Sull'applicazione del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.

Manlio CONTENTO (AN) illustra l'interrogazione in titolo, ricordando che la Commissione Giustizia sta esaminando il disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 22 settembre 2006, come modificato dal Senato, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche, i cui presupposti di necessità ed urgenza, richiamati nel preambolo del suddetto decreto, poggiano sulla necessità di rafforzare il contrasto «alla detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente, nonché ad informazioni illegalmente raccolte», nonché di «evitare l'indebita diffusione o comunicazione» degli stessi. Alla luce della risposta fornita dal Ministro della giustizia ad una interrogazione a risposta immediata dell'onorevole Mazzoni svoltasi il 18 ottobre scorso e di una nota della procura della Repubblica di Milano depositata ieri in Commissione giustizia dal sottosegretario per la giustizia Luigi Li Gotti, osserva che non sembra aver avuto alcuna applicazione la vigente disposizione di cui all'articolo 1, comma 2, del menzionato decreto-legge, relativa all'immediata distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illecitamente formati o acquisiti. Per tale ragione ritiene che sia opportuno sapere quali dati riservati illecitamente acquisiti, alla data odierna risultino, in qualunque procedimento, agli atti dell'autorità giudiziaria e sotto quale formato, in relazione a quanto dichiarato dalla procura della Repubblica di Milano con nota del 20 ottobre trasmessa al Ministro della giustizia e da quest'ultimo resa nota alla Commissione giustizia nella seduta dell'8 novembre 2006.

Il sottosegretario Luigi LI GOTTI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Manlio CONTENTO (AN) dichiara di essere del tutto insoddisfatto del contenuto della risposta del sottosegretario, in quanto, come già desumibile dalla stessa nota della procura della Repubblica di Milano depositata ieri in Commissione giustizia, risulta essere evidente che è stata acquisita dalla autorità giudiziaria la documentazione che il decreto-legge obbliga di distruggere immediatamente, ma che, nonostante ciò, a tale distruzione non si sia proceduto in quanto, secondo la procura di Milano, per potervi procedere è necessaria che prima sia effettuata la ricostruzione ed il completo accertamento, con riguardo ad ogni singolo episodio, della illiceità delle condotte utilizzate per la raccolta dei dati. In sostanza, secondo questa interpretazione, non sarebbe mai possibile quella immediata distruzione degli atti che il decreto-legge impone alla autorità giudiziaria. Tutto ciò dovrebbe indurre il Ministro a disporre una ispezione volta a verificare se effettivamente i magistrati della procura di Milano abbiano arbitrariamente stabilito di non applicare un atto con forza di legge, quale è il decreto-legge.

La seduta termina alle 14.25.

ATTI COMUNITARI

Giovedì 9 novembre 2006. - Presidenza del Presidente Pino PISICCHIO. - Interviene il Sottosegretario per la giustizia Luigi Li Gotti.

La seduta comincia alle 14.50.


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Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale (COM (2006) 399).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Pino PISICCHIO, presidente, ricorda che la Commissione, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, avvia oggi l'esame di una proposta di regolamento dell'Unione europea in materia separazione personale e di divorzio. L'esame si concluderà con l'adozione di un documento finale volto ad esprimere l'orientamento della Commissione, sulla proposta di regolamento, invitando eventualmente il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta possa essere modificata secondo le indicazioni della Commissione stessa. Si tratta, pertanto, di un procedimento consultivo che si innesta nella «fase ascendente» del processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell'Unione Europea. Attraverso la procedura di cui all'articolo 127 del Regolamento, la Commissione è messa nelle condizioni di partecipare, attraverso l'approvazione di un documento, al processo di formazione degli atti comunitari.
Nel caso in questione, la proposta di regolamento, presentata dalla Commissione dell'Unione Europea il 17 luglio 2006, segue la procedura di codecisione, secondo la quale il Consiglio dell'Unione Europeo decide a maggioranza qualificata, in accordo con il Parlamento europeo. Attualmente la proposta è in attesa di esame da parte del Consiglio, mentre il Parlamento europeo ha assegnato la proposta per l'esame alla Commissione per le libertà civili, giustizia e affari interni.
Segnala che la proposta di regolamento in oggetto è stata prescelta nell'ambito della Conferenza degli organismi specializzati per gli affari europei (COSAC) ai fini di un esperimento di procedura di controllo dei parlamenti nazionali sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
La Commissione europea - in occasione dell'incontro interparlamentare sul futuro dell'Europa che si è svolto a Bruxelles l'8 e il 9 maggio 2006 - ha deciso di trasmettere direttamente ai Parlamenti nazionali tutte le nuove proposte legislative e documenti di consultazione, invitandoli a reagire al fine di migliorare il processo di definizione delle politiche europee. La Presidenza finlandese ha informato, in occasione della riunione dei Presidenti COSAC tenutasi ad Helsinki nel settembre 2006, di svolgere in occasione della prossima riunione della COSAC (Helsinki, 21-22 novembre 2006) uno scambio di vedute sulle migliori pratiche nei Parlamenti nazionali in relazione alla loro esperienza sul «subsidiarity and proportionality check» sulla proposta di regolamento sulla legge applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio. Ritiene che sarebbe, pertanto, opportuno che la Commissione Giustizia approvi il documento finale prima della prossima riunione del COSAC, che, come visto, si terrà a partire dal 21 novembre prossimo.
Avverte, infine,che la Commissione Politiche dell'Unione europea ha espresso in data 24 ottobre 2006 il proprio parere sulla proposta di regolamento in esame.

Marilena SAMPERI (Ulivo), relatore, rileva che La maggior mobilità dei cittadini all'interno dell'Unione europea ha provocato un aumento dei matrimoni cosiddetti «internazionali», in cui i coniugi hanno una cittadinanza diversa oppure risiedono in Stati membri diversi o in uno Stato membro di cui almeno uno dei due non è cittadino. In questo quadro, la proposta di regolamento che riguarda la competenza giurisdizionale e che istituisce regole relative alla legge applicabile in materia matrimoniale rientra nelle attività in corso nell'UE finalizzate alla creazione di uno spazio giudiziario effettivo - basato sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie - previsto dal


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programma di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie del 2000 e confermato dal Consiglio europeo dell'Aja del novembre 2004.
La proposta in esame interviene in materia matrimoniale, stabilendo la legislazione e la giurisdizione da applicare nei procedimenti di divorzio e separazione personale. Il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003 (cosiddetto regolamento «Bruxelles II») fissa norme uniformi in materia di competenza giurisdizionale e riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia matrimoniale, ma non prevede norme sulla legge applicabile. A causa della diversità delle legislazioni nazionali in materia di determinazione della giurisdizione, secondo la Commissione dell'Unione europea, può risultare difficile per la coppia prevedere in base a quale legge verrà disciplinato il divorzio. Tali difficoltà inducono ciascun coniuge alla cosiddetta «corsa al tribunale», a rivolgersi cioè al giudice prima dell'altro coniuge, per assicurarsi che il procedimento sia regolato da una legge che tuteli meglio i propri interessi.
Alla luce di tali considerazioni la Commissione propone, con il progetto di regolamento in questione, l'introduzione di norme europee armonizzate relative alla legge applicabile e la modifica delle attuali norme relative alla competenza giurisdizionale in materia matrimoniale, allo scopo di rafforzare la certezza del diritto per le coppie che nell'Unione europea affrontano un divorzio «internazionale»
Come si legge nella relazione di accompagnamento, la proposta mira a raggiungere quattro obiettivi: rafforzare la certezza del diritto e la prevedibilità; aumentare la flessibilità, offrendo ai coniugi una certa possibilità di scelta relativamente alla legge applicabile e al giudice competente; garantire l'accesso alla giustizia; evitare la «corsa al tribunale» da parte di uno dei coniugi.
Per quanto attiene all'obiettivo di rafforzare la certezza del diritto e la prevedibilità, il paragrafo 7 dell'articolo 1 della proposta introduce nel regolamento (CE) n. 2201/2003 i nuovi articoli 20-bis, 20-ter, 20-quater, 20-quinquies e 20-sexies, relativi a norme di conflitto armonizzate in materia di divorzio e di separazione personale, in modo da permettere ai coniugi di prevedere quale sarà la legge applicabile alla loro procedura di divorzio. La normativa proposta si basa anzitutto sulla scelta dei coniugi. In particolare, i coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale scegliendo tra: la legge dello Stato dell'ultima residenza abituale comune dei coniugi (purché uno dei due vi risieda ancora); la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del «domicile» di uno dei coniugi; la legge dello Stato in cui i coniugi hanno risieduto per almeno cinque anni; la legge dello Stato membro in cui è presentata la domanda.
In mancanza di scelta delle parti, il divorzio e la separazione personale sono disciplinati dalla legge dello Stato in cui i coniugi hanno la residenza abituale comune o, in mancanza,dell'ultima residenza abituale comune dei coniugi, purché uno dei due vi risieda ancora o, in mancanza, dalla legge dello Stato di cui entrambi i coniugi hanno la cittadinanza o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del «domicile» di entrambi i coniugi o, in mancanza, in cui è presentata la domanda.
L'applicazione di una disposizione della legge designata in base alle norme previste dal regolamento in esame può essere omessa, solo ove tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro.
Vi è poi l'obiettivo di aumentare la flessibilità, offrendo ai coniugi una certa possibilità di scelta relativamente al giudice competente. A tale proposito, la proposta introduce un nuovo articolo 3-bis nel regolamento (CE) n. 2201/2003 con l'obiettivo di rendere più flessibile il quadro normativo riconoscendo ai coniugi una certa possibilità di scelta in ordine al giudice competente per i procedimenti


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di divorzio e separazione personale. Ciò potrebbe risultare particolarmente utile, secondo la Commissione, nei casi di divorzio consensuale. La scelta si limita alla legge o ai giudici degli Stati con cui i coniugi hanno un legame stretto, in quanto vivono o hanno vissuto in tale Stato o in quanto cittadini di tale Stato. Sono introdotte garanzie affinché i coniugi siano consapevoli delle conseguenze della loro scelta. La scelta deve quindi essere effettuata per iscritto e firmata da entrambi i coniugi.
Come si è detto, la proposta ha come obiettivo anche quello di garantire l'accesso alla giustizia. La proposta intende agevolare l'accesso alla giustizia nei casi di divorzio tra coniugi che siano cittadini di Stati dell'UE diversi o che vivano in un paese terzo. Secondo la Commissione, le norme attualmente in vigore non garantiscono in modo efficace che un giudice di uno Stato membro sia competente in materia matrimoniale per i coniugi che siano cittadini UE, di nazionalità diversa, o che vivano in un paese terzo. La proposta modifica quindi il regolamento (CE) n. 2201/2003 introducendo un nuovo articolo 7, sostitutivo del precedente, che reca una norma di competenza giurisdizionale residuale, uniforme ed esaustiva, al fine di garantire l'accesso alla giustizia in materia matrimoniale ai coniugi che risiedano in un paese terzo ma desiderino avviare un' azione giudiziaria in uno Stato membro con il quale abbiano stretti legami (perché cittadini o perché vi hanno risieduto).
Secondo la Commissione, attraverso le citate modifiche al regolamento (CE) n. 2201/2003, la proposta mira anche a ridurre i motivi che possono spingere alla «corsa al tribunale», a rivolgersi cioè al giudice prima del coniuge, per assicurarsi che il procedimento sia regolato da una legge che tuteli meglio i propri interessi. A parere della Commissione, la «corsa al tribunale» ostacola i tentativi di conciliazione, non lascia margini di mediazione e può inoltre causare l'applicazione di una legge che non tiene conto degli interessi del convenuto. La proposta, quindi, mira a ridurre i motivi che spingono a tali comportamenti, in quanto la legge applicabile sarà designata in base a norme comuni, indipendentemente dal giudice al quale ci si rivolge.
La Commissione Giustizia è chiamata a valutare la proposta in esame non solamente per il merito delle sue disposizione, ma anche sotto i profili di sussidiarietà e proporzionalità, previsti dall'articolo 5 del Trattato istitutivo della Comunità europea. L'articolo in questione prevede al secondo comma che «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario». Il principio di proporzionalità è previsto quale regola generale per l'esercizio di tutte le competenze comunitarie dal terzo comma dell'articolo 5, in base al quale «l'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato». Il paragrafo 4 del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato CE, stabilisce che «le motivazioni di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la conformità della proposta ai principi di sussidiarietà e proporzionalità; le ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio dalla Comunità devono essere confortate da indicatori qualitativi o, ove possibile, quantitativi».
La Commissione giustizia dovrà quindi esprimersi anche in relazione a tali profili.
Nella sezione della relazione illustrativa relativa al rispetto del principio di sussidiarietà la Commissione rileva che gli obiettivi della proposta non possono essere realizzati dagli Stati membri e richiedono l'adozione a livello comunitario di norme comuni in materia di competenza


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giurisdizionale e legge applicabile. Secondo la Commissione le norme sulla competenza giurisdizionale, come quelle di conflitto, devono essere identiche per garantire il duplice obiettivo della certezza del diritto e della prevedibilità a beneficio dei cittadini.
Questi profili sono trattati con maggiore dettaglio nella valutazione di impatto nella quale si evidenzia come l'intervento prospettato dalla proposta si renda necessario, in quanto la situazione attuale può comportare una serie di problemi nei procedimenti matrimoniali aventi carattere internazionale.
Nella valutazione di impatto la Commissione riporta dati statistici relativi al numero di matrimoni e divorzi internazionali. In particolare, il numero di matrimoni internazionali nell'UE ammonterebbe a circa 350.000 su un totale di 2,2 milioni di matrimoni celebrati ogni anno; il numero di divorzi internazionali sarebbe pari a circa 170.000 a fronte di 875.000 divorzi annui nell'UE. I problemi in questione, per la loro natura e dimensioni, non possono essere rimossi, secondo la Commissione, se non mediante l'intervento comunitario. Infatti, un'azione unilaterale degli Stati membri sarebbe insufficiente, considerato anche che tra essi non vige nessuna convenzione internazionale sulla legge applicabile in materia matrimoniale.
Alla luce dell'analisi delle opzioni, svolta secondo indicatori quantitativi e qualitativi, la Commissione è giunta alla conclusione che nessuna di esse consentirebbe di rimuovere adeguatamente gli aspetti problematici e di conseguire gli obiettivi dell'intervento prospettato dalla Commissione. Pertanto, la proposta di regolamento presentata combina differenti elementi di alcune delle opzioni regolative.
Circa i profili relativi alla proporzionalità, il dodicesimo considerando del preambolo della proposta si limita a rilevare che in ottemperanza a tale principio, il presente regolamento non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla proposta stessa. La relazione illustrativa della proposta evidenzia che essa è conforme al principio di proporzionalità poiché si limita rigorosamente a quanto necessario per conseguire i suoi obiettivi.
Si osserva innanzitutto che le norme proposte in materia di legge applicabile e proroga si riferiscono solo al divorzio e alla separazione personale e non si applicano all'annullamento del matrimonio. In secondo luogo, la proposta non comporta impegni finanziari o amministrativi supplementari per i cittadini e implica un onere supplementare molto limitato per le autorità nazionali. In terzo luogo, per quanto riguarda lo strumento legislativo, secondo la Commissione la natura e l'obiettivo della proposta impongono la scelta del regolamento. In particolare, l'esigenza di certezza del diritto e di prevedibilità rende necessario avere norme chiare e uniformi; le norme di competenza giurisdizionale e legge applicabile recate dalla proposta sarebbero dettagliate e precise e non necessiterebbero, pertanto, di recepimento nel diritto interno. La Commissione sottolinea che lasciare agli Stati membri un margine di discrezionalità nell'attuare queste norme equivarrebbe a compromettere l'obiettivo di certezza del diritto e di prevedibilità.

Pino PISICCHIO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
C. 528 Buemi.


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Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche.
C. 1164 Migliore, C. 1165 Fabris, C. 1170 Craxi, C. 1344 Mazzoni, C. 1638 Governo, C. 1257 Nan, C. 1587 Brancher e C. 1594 Balducci.

Riforma del codice di procedura penale.
C. 323 Pecorella e C. 1568 Mazzoni.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

5-000370 Cota e Lussana: Sulla gravità della situazione lavorativa del personale di polizia penitenziaria assegnato agli istituti penitenziari delle regioni Piemonte, Valle D'Aosta, Lombardia e Veneto.

COMITATO RISTRETTO

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle intercettazioni telefoniche, informatiche, telematiche o ambientali.
C. 706 Osvaldo Napoli, C. 1240 Cirino Pomicino e C. 1277 Buemi.