Commissione parlamentare per le questioni regionali - Mercoledì 15 novembre 2006


Pag. 75

ALLEGATO

Modifiche alla normativa sullo sportello unico per le imprese e in materia di dichiarazione di inizio attività. (C. 1428 Capezzone ed altri).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
esaminato il testo della proposta di legge n. 1428, come modificato a seguito degli emendamenti approvati dalla X Commissione Attività produttive della Camera;
considerato che il testo proposto autorizza il Governo ad adottare norme regolamentari in materia di sportello unico per le imprese, recanti modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1998, volte a conseguire una semplificazione dei procedimenti di competenza dello sportello unico per le attività produttive, ad abbreviare i relativi termini ed ad estendere il ricorso all'autocertificazione e alla dichiarazione di inizio attività;
rilevato che il testo stabilisce altresì disposizioni tese ad apportare modifiche alla disciplina prevista dall'articolo 19 della legge 241 del 1990 in materia di dichiarazione di inizio attività;
considerato che la materia oggetto del testo in esame, ex articolo 1, attiene alla localizzazione degli impianti produttivi di beni e servizi, alla loro realizzazione, ristrutturazione, ampliamento e riconversione dell'attività produttiva; rientrano peraltro tra gli impianti oggetto del regolamento modificato dal testo in esame quelli relativi a tutte le attività di produzione di beni e servizi, ivi incluse le attività agricole, commerciali e artigiane, le attività turistiche ed alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari, i servizi di telecomunicazioni, come si evince dall'articolo 1 del regolamento n. 447 del 1998;
considerato che la materia oggetto del testo in esame, ai sensi dell'articolo 2, attiene altresì all'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, compresi gli atti che dispongono l'iscrizione in albi o ruoli o registri, in ordine alle fasi iniziali delle attività medesime ed in relazione agli adempimenti ed obblighi amministrativi a ciò connessi;
preso atto che la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha posto in essere una sostanziale riforma del Titolo V apportando una nuova formulazione dell'articolo 117 della Costituzione, che riconduce alla competenza esclusiva o concorrente dello Stato le sole materie di cui all'articolo 117, commi 2 e 3, riconoscendo alla competenza esclusiva delle regioni le restanti materie o ambiti di interesse non espressamente contemplati dalle predette disposizioni costituzionali;
considerato che la riforma costituzionale del Titolo V ha prescritto con l'articolo 17, comma 6, che la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni, e che la potestà regolamentare è attribuita alle regioni in ogni altra materia. La disposizione costituzionale stabilisce altresì che i comuni, le province e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite;


Pag. 76


rilevato che l'articolo 118 della Costituzione statuisce che le funzioni amministrative siano attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; considerato in particolare il principio di sussidiarietà verticale, il principio di differenziazione e di adeguatezza che consentono di conferire ai comuni le funzioni amministrative anche in deroga al parametro dell'esercizio unitario anzidetto qualora siano afferenti a materie di esclusiva competenza regionale o locale;
considerato che il testo in esame rimette alla potestà regolamentare del Governo la disciplina di materie per le quali meglio si attaglierebbe l'esercizio della potestà regolamentare delle regioni, come espressamente sancito dall'articolo 117, comma 6;
rilevato, con riguardo all'articolo 1, che in relazione alla questione dei regolamenti di delegificazione, anche con specifico riguardo al predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1998 ed al successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 440 del 2000, modificativo del precedente, si è pronunciata la Corte costituzionale, con le sentenze n. 376 del 2002 e n. 364 del 2003, e che in tale ultima sentenza la Corte ha asserito che «i regolamenti di delegificazione emanati prima della entrata in vigore del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione non si presentano, in linea di principio, come idonei a produrre lesioni delle competenze regionali». La Corte ha altresì precisato che «anche ai regolamenti emanati, sempre prima dell'entrata in vigore della riforma costituzionale, per modificare norme dei preesistenti regolamenti di delegificazione, non possa che riconoscersi la stessa limitata portata e lo stesso carattere»; preso atto che tali pronunce espressamente si riferiscono al quadro costituzionale antecedente alla riforma del Titolo V operata nel 2001;
esaminata altresì la dettagliata disciplina contemplata dal testo in esame, che risulta formulata in termini prescrittivi incidendo su profili che, seppur regolati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1998 a cui il testo in esame apporta modifiche, afferisce a profili ed ambiti di materia di competenza della autonomia legislativa ed amministrativa costituzionalmente riconosciuta alle regioni;
evidenziata la mancanza nel testo in esame, come peraltro osservato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera nel relativo parere, di previsioni atte a promuovere forme di collaborazione, intese, accordi o meccanismi di coordinamento con il sistema delle regioni e delle autonomie territoriali;
considerato che le disposizioni recate dal testo in esame non assumono i connotati di norme cedevoli rispetto ad un successivo intervento normativo delle regioni e delle autonomie territoriali costituzionalmente competenti in materia;
esprime

PARERE CONTRARIO.