Commissioni Riunite III e IV - Resoconto di giovedì 8 febbraio 2007


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SEDE REFERENTE

Giovedì 8 febbraio 2007. - Presidenza del presidente della IV Commissione, Roberta PINOTTI, indi del presidente della III Commissione, Umberto RANIERI. - Intervengono il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, e il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi.

La seduta comincia alle 14.

DL 4/2007: Proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
C. 2193 Governo.
(Esame e rinvio).

Le Commissioni riunite iniziano l'esame del provvedimento.

Roberta PINOTTI, presidente della IV Commissione e relatore per la IV Commissione, avverte che, ove non vi siano obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione e relatore per la III Commissione, rileva che la partecipazione dei militari italiani ad operazioni multinazionali avviene in conformità a principi costituzionali e a quanto contenuto nei trattati stipulati dal nostro Paese. Si tratta di una partecipazione che trae la sua legittimità dal rispetto integrale dell'articolo 11 della Carta costituzionale, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e consente al nostro Paese di assumere la propria responsabilità nelle missioni delle Nazioni Unite. I militari italiani all'estero operano altresì in base al principio, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite, che vieta l'uso della forza contro l'integrità di qualsiasi Stato e lo considera ammissibile solo se intrapreso per legittima difesa e su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A questo principio si uniforma il nostro Paese quale membro delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e della Nato. L'appartenenza agli organismi internazionali è del resto la dimensione naturale della politica estera svolta dal Governo italiano, che fa della valorizzazione della dimensione multilaterale il proprio asse.
In tale contesto, l'impegno in Libano rappresenta una scelta significativa. La presenza di un numeroso contingente militare


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di Stati membri dell'Unione europea sotto la bandiera delle Nazioni Unite ha conferito all'operazione, che attua la risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un carattere particolarmente rilevante, quale sfida per i Paesi che vi partecipano e per la stessa Unione europea. Sottolinea che l'intervento in Libano mette alla prova il nuovo approccio del multilateralismo efficace. Questa convinzione ha guidato il Governo italiano, che si è speso per coinvolgere la comunità internazionale nella soluzione della crisi e per un'assunzione di responsabilità europea. Del resto, quella italiana è una politica estera che si sforza di riportare al centro dell'azione multilaterale proprio la dimensione europea e lavora per un'Europa in grado di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale. In questo quadro, l'azione concreta della missione militare italiana nei vari teatri di crisi, dal Libano all'Iraq, dall'Afghanistan al Sudan, ha mirato a rendere possibili interventi umanitari per la ricostruzione civile e delle istituzioni e per garantire il rispetto di accordi che ponevano termine ai conflitti.
Esprime, quindi, apprezzamento per i militari italiani che hanno profuso in questi anni il massimo impegno per realizzare obiettivi di pacificazione e stabilizzazione. Auspica che la discussione sul disegno di legge in esame tenga conto di questo lavoro e dei risultati che ha consentito di raggiungere. Alla luce di tali premesse, svolge alcune considerazioni di politica estera connesse con la partecipazione dell'Italia alle missioni militari.
Orientarsi di fronte al caotico scenario che ha fatto seguito alla fine della Guerra Fredda non è impresa facile. Si può iniziare da un bilancio dell'azione globale contro il terrorismo, su cui si confrontano i politici e gli studiosi sulle due sponde dell'Atlantico, senza tacere, a prescindere dai risultati pur raggiunti, le contraddizioni, i limiti, gli errori e le aspettative mancate, che sono emersi dall'attuazione della strategia adottata dalla comunità internazionale e in particolare dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre del 2001. La questione irachena rimane più aperta che mai, mentre sul futuro di quel Paese si espandono sempre più sinistre le ombre di un infinito dopoguerra. Gruppi terroristici che si rifanno al fondamentalismo islamico continuano a rappresentare una minaccia letale per la stabilità internazionale e le posizioni più radicali in termini politico-religiosi hanno aumentato la propria capacità di proselitismo in Medio Oriente e nell'universo musulmano. L'area che rappresenta l'epicentro dell'instabilità nel mondo globale, il grande Medio Oriente, conosce conflitti e tensioni acuti.
Non ritiene proficuo addentrarsi in un'analisi retrospettiva, che pur sarebbe utile per capire come si sono evolute le cose dal 2001 ad oggi. Certo, la decisione del ricorso alla guerra unilaterale in Iraq appare essere stato il più grave errore di politica estera commesso dagli Stati Uniti dai tempi del Vietnam. Si è trattato di una scelta che è stata all'origine di incomprensioni e tensioni tra gli Stati Uniti e Paesi fondamentali dell'Unione europea. La verità è che l'unilateralismo americano è apparso come il frutto di una tentazione legata ad una supremazia senza precedenti e alla convinzione che i partner non disponessero delle risorse, dell'autorità, della capacità e volontà necessarie a preservare la sicurezza. L'esperienza dimostra che quelle risorse di autorità, capacità e volontà dei partner non possono che derivare dalla condivisone di responsabilità e dal rispetto reciproco. La sensazione è che si sia determinata una scissione tra le tre dimensioni della strategia di contrasto del terrorismo, quella militare, quella politico-diplomatica e quella economica. È emerso sempre di più il rischio che a prevalere sia soltanto quella militare. Soprattutto sul versante europeo si è invece molto presto valutato che nella lotta al terrorismo le iniziative militari dovessero essere parte di una strategia più ampia di natura politica, diplomatica, economica e culturale.
In questo contesto si colloca la riflessione attuale sulla missione italiana in Afghanistan. La sconfitta del regime talebano ha aperto in quel Paese una fase tormentata e difficile per la ricostruzione


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delle istituzioni e del tessuto sociale. Non si deve sottovalutare alcun risultato ottenuto nel corso di questi anni: dagli sforzi compiuti nella ricostruzione istituzionale al ritorno a scuola di tanti bambini. Si sbaglierebbe a non riconoscerlo. Ma si sbaglierebbe ugualmente se si tacesse delle difficoltà, dei rischi e degli errori commessi. È un fatto che il livello di corruzione delle istituzioni resta molto elevato; il confine tra legalità e illegalità è difficile da percepire. La produzione di oppio lo scorso anno ha conosciuto un incremento del 50 per cento rispetto all'anno precedente; in Afghanistan si produce il 90 per cento dell'oppio presente al mondo. Gli introiti del traffico hanno alimentato la corruzione, finanziato i signori della guerra, mentre gran parte dei contadini sono divenuti preda dei trafficanti. Nelle province del Sud del Paese si ricomincia a guardare con favore al ritorno dei talebani. Il fatto più preoccupante è che strati della popolazione locale manifestano segnali di insofferenza verso le istituzioni e le organizzazioni internazionali a causa del permanere di uno stato di grave povertà, della mancanza di sicurezza e della presenza dei signori della guerra. In una situazione del genere non ci si può limitare a sostenere che occorre inviare più soldati. Nessuno è tanto folle da sostenere che in Afghanistan la stabilizzazione possa essere realizzata senza la presenza di una solida forza militare necessariamente multilaterale. E tuttavia evidente che non c'è una soluzione militare della crisi afghana. Ecco perché, pur consapevole che il contingente militare italiano nel quadro della Nato non può non continuare ad operare a Kabul e ad Herat, si avverte l'esigenza di ripensare la strategia adottata in due direzioni: accrescere mezzi e risorse per la ricostruzione economica e civile del Paese e intensificare la lotta al narcotraffico. I contadini dell'Afghanistan potranno essere convinti a coltivare grano e non oppio solo se sostenuti finanziariamente e adeguatamente garantiti. Inoltre, sarebbe opportuno valutare seriamente la fattibilità di una coltivazione controllata di oppio per uso medicinale e sanitario, come sembra sia possibile in base ad alcuni studi fatti sulla questione. L'altro punto che si accompagna alla decisione sul mantenimento del contingente italiano è l'impegno del Governo a proseguire nel lavoro politico e diplomatico, finalizzato allo svolgimento di una conferenza internazionale sull'Afghanistan, con l'obiettivo di coinvolgere nel processo di stabilizzazione anche i Paesi limitrofi all'Afghanistan.
In questo quadro, sottolinea come l'Italia stia intensificando il suo impegno in Afghanistan, sia per il consolidamento delle istituzioni che per la riforma del sistema giudiziario. Ferma restando la solidità dei rapporti transatlantici, la possibilità di individuare una capacità di governance internazionale per il XXI secolo dipende dalla cooperazione intelligente tra le due componenti del cosiddetto Occidente, vale a dire tra l'Unione europea e gli Stati Uniti. È necessario al riguardo instaurare un rapporto meno squilibrato facendo sì che l'Unione europea sappia assumersi le sue responsabilità e che gli Stati Uniti vedano nell'Unione europea un imprescindibile interlocutore di politica estera.
Fa poi accenno al fatto che nel provvedimento in esame sono altresì previsti finanziamenti destinati alle missioni e nei Balcani. Nel rinviare sul punto alla risoluzione approvata dalla Commissione Esteri a seguito di una recente missione a Belgrado e Pristina, sottolinea che la conferma della presenza del contingente italiano rappresenta un sostegno evidente al conseguimento di una soluzione condivisa ed equilibrata della crisi kosovara.
In conclusione, rileva che le missioni italiane sono parte della politica estera di pace condotta dal Governo, che sa assumersi le proprie responsabilità anche sul piano militare quando occorre ricorrere legittimamente alla forza contro la violenza e il terrore. Si tratta di un tratto distintivo della politica estera del nostro Paese, che ispira il disegno di legge in esame, di cui raccomanda l'approvazione. Al riguardo osserva che le audizioni previste potranno contribuire ad un più approfondito esame del provvedimento.


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Roberta PINOTTI, presidente della IV Commissione e relatore per la IV Commissione, ricorda che il 19 luglio 2006 l'Assemblea della Camera si è occupata delle missioni italiane all'estero non solo in occasione dell'esame del disegno di legge che ne autorizzava il rifinanziamento per il secondo semestre dell'anno appena trascorso, ma anche nell'ambito della discussione delle mozioni annesse.
Ricorda altresì che l'atto di indirizzo allora approvato dalla Camera dei Deputati, definisce il quadro politico entro il quale si muovono le nostre missioni all'estero, sia quelle umanitarie che quelle militari e delle forze di polizia. Quella mozione era il frutto di un dibattito intenso all'interno della maggioranza, un dibattito che ha avuto, anche in tempi recentissimi, momenti difficili. Vi era sottolineata la necessità che l'Italia si facesse promotrice di un'ampia fase di approfondimento nelle sedi internazionali di tutti gli strumenti con cui le Nazioni Unite e la NATO operano in Afghanistan. Vi si indicava l'impegno fondamentale a concludere la partecipazione dell'Italia alla missione Enduring freedom, e anzi, a promuoverne il superamento.
Inoltre, si impegnava il Governo ad accedere ad una separazione tra la cooperazione e gli interventi militari, e soprattutto il dibattito aveva evidenziato l'esigenza che il Governo stesso implementasse il proprio impegno nella prevenzione dei conflitti e nella gestione dei processi di pace nell'ambito delle iniziative delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte, con particolare riferimento alla situazione israelo-libanese, allora appena deflagrata.
In questo senso, alla luce del ruolo da poco assunto dall'Italia nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, ricorda che la mozione conteneva l'impegno del Governo italiano a porre in quell'autorevole consesso la questione della formazione di una forza militare permanente sotto il comando del Segretario generale dell'ONU.
Osserva come proprio in Libano si stia sperimentando una delle più importanti missioni guidate dalle Nazioni Unite dopo anni in cui si era verificata una concreta difficoltà a gestire missioni militari con tale guida.
Per quanto riguarda il disegno di legge approvato nel luglio scorso, ricorda che esso prevedeva, coerentemente con il programma di Governo - che tutte le forze di maggioranza hanno voluto e condiviso - il rientro del contingente militare dall'Iraq. Tale rientro è puntualmente avvenuto con modalità di attuazione concordate con le autorità irachene e le forze alleate in modo da assicurare, al popolo iracheno, la necessaria assistenza sul fronte della ricostruzione civile ed economica e dell'aiuto alla formazione.
Ritiene che sia doveroso riconoscere alle Forze Armate italiane l'efficienza con cui è stato organizzato e portato a termine il rientro. Un'operazione complessa che ha garantito il trasferimento in Italia di migliaia di uomini, di mezzi blindati, di supporti logistici e di attrezzature che erano state schierate in quel territorio nel corso dei 1.273 giorni in cui è durata la missione Antica Babilonia.
Nel sottolineare come in questa sede, non si possano dimenticare coloro, militari e civili, che non sono tornati a casa, rinnova, a nome di tutti i componenti delle Commissioni Esteri e Difesa, la vicinanza e la solidarietà alle loro famiglie.
Venendo alla situazione afgana, ricorda come, nella discussione parlamentare, sia invocava una riflessione più approfondita a cinque anni dall'intervento militare autorizzato dall'ONU in quel teatro, ma non si mettevano in discussione il mantenimento degli impegni assunti dall'Italia con l'ONU e con la NATO, nella consapevolezza che in Afghanistan sono presenti i principali paesi europei e che nessuna decisione è opportuno assumere fuori dalle sedi multilaterali.
A suo avviso, i risultati conseguiti in Afghanistan non consentono tuttavia di dimenticare la gravità della situazione del Paese.
In particolare, esprime preoccupazione per la rinata capacità militare dei talebani, per le condizioni di vita materiale ancora disastrose, per i programmi di sradicazione


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delle colture di oppio in forte ritardo e per l'individuazione di progetti sostitutivi rispetto all'economia dell'oppio.
Ricorda i numerosi interventi finanziari realizzati nel 2006. In particolare, rammenta l'erogazione di un contributo all'Afghanistan Reconstruction Trust Fund pari a 7 milioni di euro, al fine di fornire sostegno finanziario a due aree specifiche costituite dal finanziamento dei costi di gestione dell'Amministrazione statale afgana e dal finanziamento di progetti di investimento, quali sviluppo rurale, riabilitazione e sviluppo di infrastrutture di base. Ricorda inoltre l'erogazione di un contributo al Counter Narcotics Trust Fund, pari a 1 milione di euro, con l'obiettivo di mobilitare risorse addizionali per l'implementazione della strategia nazionale afgana di lotta alla droga, al fine di combattere la coltivazione, la produzione ed il traffico di droga e gli altri contributi agli organismi internazionali nei settori dei minori, della giustizia e del sostegno delle donne.
Per quanto riguarda lo stanziamento previsto dal presente decreto, sottolinea che esso sarà destinato, tra l'altro, al rafforzamento istituzionale ed al sostegno all'Amministrazione afgana attraverso nuovi contributi a favore dei principali Trust Fund di ricostruzione attivati dalle agenzie delle Nazioni Unite, nonché al settore giustizia, nel quale l'Italia ha un ruolo preminente.
Inoltre, proseguiranno le attività di cooperazione civile nella zona di Herat, dove si è deciso di operare una netta distinzione tra la componente della cooperazione civile e quella militare, individuando una sede logistica diversa, destinata unicamente alla gestione dei programmi di cooperazione, per la quale si è comunque previsto l'allestimento di tutte le misure di sicurezza attiva e passiva per assicurare la protezione del personale civile.
La fine prematura dell'operazione ISAF a suo avviso, non sarebbe senza conseguenze. Ritiene infatti che essa non significherebbe la fine della violenza che tutti auspicano e non creerebbe una situazione migliore, ma aprirebbe problemi e scontri tra prepotenze tribali rappresentate da signori della guerra, pronti ad agire per conquistarsi maggiori spazi di potere e di malaffare, e potrebbe costituire l'occasione per un ritorno, altrettanto feroce e oscuro, dei taliban con le loro ossessioni, pubbliche atrocità e collusioni con le centrali terroristiche di al quaeda.
Se è vero che la chiusura anticipata di ISAF, non appare opportuna, una riqualificazione della missione che sia più attenta alla ricostruzione della società civile, a suo avviso, risulta invece ineludibile. Osserva come in questa direzione, in continuità con il precedente provvedimento di proroga, si muova il decreto-legge in esame, che anzi accentua l'impegno umanitario dell'Italia. La direzione di marcia è quindi quella giusta e deve avere come orizzonte la realizzazione di una conferenza internazionale per la stabilizzazione e il rilancio sociale, politico ed economico dell'Afghanistan.
Ritiene che la situazione in Afghanistan necessiti di sostegno politico a un progetto sul quale registrare un forte e convinto consenso internazionale. Non solo le popolazioni afgane, che rappresentano la priorità non trarrebbero, a suo avviso, immediato giovamento da un disimpegno italiano, ma verrebbe sminuito anche il ruolo dello Stato italiano, quale convinto promotore della necessità di una conferenza internazionale sull'Afghanistan.
Ritiene, quindi, che a distanza di sette mesi dalla discussione sul rifinanziamento delle missioni all'estero per il secondo semestre 2006, siano stati raggiunti risultati tangibili.
Ricorda in primo luogo, oltre al già citato ritiro dall'Iraq, a dicembre 2006 e sempre in conformità con gli impegni contenuti nella mozione di luglio, è terminata la partecipazione dell'Italia alla missione Enduring Freedom.
Tali opzioni, a suo avviso, non hanno tuttavia implicato il venir meno dell'impegno civile ed umanitario in questi due paesi, come testimoniano i finanziamenti previsti nel decreto-legge in oggetto, ivi compreso quello preordinato all'organizzazione


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nel corso del 2007 della Conferenza di Roma sulla giustizia in Afghanistan.
Ritiene che l'orizzonte dell'Italia, come dimostrano i primi mesi di Governo, sia il multilateralismo nell'ambito delle istituzioni sopranazionali. A questo fine assume grande rilevanza il ruolo dell'Unione europea anche nella politica di Difesa, in quanto nessun paese europeo è in grado di gestire da solo in maniera credibile le situazioni di crisi all'estero. Se l'Unione europea si muove nel contesto di un'azione comune, invece, il suo contributo può, a suo avviso, rivelarsi significativo.
Ricorda che dal 2003 l'Unione ha svolto 4 operazioni militari - 3 concluse e una ancora in corso in Bosnia. Una delicata operazione civile e militare in Sudan, una in Darfur - in appoggio alla missione dell'Unione africana, 9 operazioni civili, di cui 4 concluse e 5 in corso. Attualmente, si sta impegnando in 3 nuove ampie operazioni civili in Kosovo, in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo, a seguito del compimento della fase costituzionale del nuovo Governo.
Significativo è l'impegno finanziario per consentire la continuità della presenza militare nei Balcani dove siamo presenti con 4 missioni: in Kosovo, in Albania, in Bosnia-Erzegovina e con la Joint Enterprise nell'intera area Balcanica.
Sottolinea come in quest'area da poco pacificata la situazione resti comunque difficile e renda quindi necessario il mantenimento dei contingenti multinazionali. Ricorda che proprio in questi giorni è stato presentato dall'inviato dell'Onu per il Kosovo, Martti Ahtisaari, il piano per uno status definitivo della provincia. Le molte riserve con cui il piano è stato accolto dalle parti in causa e dalla Russia aumentano le preoccupazioni, ma proprio per questo ritiene ci debba essere un maggiore sforzo politico per una soluzione condivisa nella quale l'Unione europea deve essere in prima linea.
Significativa per l'Europa deve essere ritenuta anche la missione nella regione del Darfur in Sudan. La partecipazione dei militari italiani nella formazione del contingente multinazionale ha consentito lo schieramento, a partire dall'estate del 2004, di un contingente dell'Unione africana, che dispone anche di osservatori, elementi di polizia e personale civile, per fare fronte all'emergenza umanitaria che ha reso necessario l'intervento.
L'Unione europea contribuisce alla missione con finanziamenti e personale impiegato nell'ambito degli organi di staff del citato contingente dell'Unione africana.
Ricorda che attualmente il personale è impegnato in due missioni molto delicate di cui abbiamo il comando: con il generale Pistolese, comandante dell'operazione Rafa di monitoraggio alla frontiera fra Gaza e l'Egitto, e con il generale Coppola, responsabile della missione di polizia in Bosnia.
L'apertura del valico di Rafa, che assume sicura rilevanza nel più ampio tentativo di pacificazione tra Israele e Palestina, subisce purtroppo le alterne condizioni dei rapporti tra i due Governi.
Soprattutto, nel contesto di un rafforzamento del ruolo e del peso politico dell'Unione europea nella gestione delle crisi, l'Italia ha dato un grande contributo, in termini diplomatici, finanziari e militari, alla costituzione della forza di interposizione inviata dall'ONU nello scorso settembre al confine israelo-libanese.
In Libano, il contributo italiano di 30 milioni di euro, stanziato nel 2006, ha rappresentato il primo, immediato segnale dell'impegno dell'Italia alla prima fase di riabilitazione e ricostruzione del Libano.
L'impegno finanziario dell'Italia si è tradotto in un Programma di cooperazione straordinario i cui fondi sono stati completamente erogati. In particolare, hanno preso avvio interventi di emergenza anche tramite le organizzazioni non governative italiane presenti in loco, per un valore di 15 milioni di euro. Tali progetti riguardano interventi di carattere socio-economico (scuole, servizi, sanità, ambiente).
Inoltre sono stati erogati alle agenzie delle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali 10 milioni di euro per realizzare interventi in diversi settori, tra


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i quali quelli dello sminamento umanitario, della sanità e materno-infantile, dell'agricoltura e dell'assistenza ai rifugiati palestinesi in Libano.
È stato altresì concesso ed erogato un contributo di 5 milioni di euro direttamente al Governo libanese per la ricostruzione della infrastruttura viaria danneggiata dagli eventi bellici.
Il nuovo contributo di 30 milioni di euro sarà destinato alla realizzazione di interventi individuati nell'ambito dell'Action Plan presentato il 4 gennaio scorso dal Governo libanese.
In particolare, ricorda che l'intervento italiano è destinato alla realizzazione di iniziative nel settore della formazione professionale, al sostegno alla microimprenditoria locale, alla riabilitazione di infrastrutture nei settori idrico/ambientale ed energetico nonché al rafforzamento istituzionale, nell'ambito degli interventi che in tale campo verranno effettuati dalla Commissione europea.
Osserva come l'impegno finanziario previsto nel decreto-legge in oggetto dia anche l'esatta misura dell'entità del contingente militare italiano presente in Libano con la missione UNIFIL di cui il generale Graziano ha assunto proprio in questi giorni il comando. Sono schierati in teatro 2.450 militari, uomini e donne con un assetto operativo organizzato su due reggimenti dotati di supporti tattici, logistici e unità di manovra.
Nel rilevare come l'Italia stia cooperando attivamente alla gestione di un difficile processo di pacificazione tra le parti in conflitto, nonché a tutte le iniziative finalizzate a scongiurare una nuova fase conflittuale, ritiene che ciò rappresenti senza dubbio l'attuazione di un preciso indirizzo politico formulato dal Parlamento.
L'elenco delle missioni che il decreto proroga, compresa quella in Afghanistan, consente di dare un giudizio complessivo sugli aspetti generali della politica di intervento dell'Italia all'estero. A fattor comune di tanti contesti così diversi vi è, a suo avviso, una situazione di grande instabilità. Si tratta spesso di una tregua seguita alla fine di conflitti cruenti o di un difficile equilibrio che senza l'intervento internazionale rischierebbe di degenerare in conflitto aperto. È quella che il presidente Prodi definisce come la nostra fatica quotidiana per la costruzione e il mantenimento della pace.
In quest'ottica, ritiene che le missioni internazionali nelle quali è impegnata l'Italia siano tutte basate su azioni mirate a favorire la sicurezza, la tutela dei diritti umani, la promozione della democrazia, nonché la stabilizzazione e la ricostruzione nell'ambito di operazioni di peace-keeping adottate in sintonia con gli organismi internazionali. A suo avviso, non è quindi un caso che nel testo del decreto-legge sia prevista, per tutte le missioni, l'applicazione del codice penale militare di pace.
Sottolinea inoltre che le Forze Armate e di polizia sono da sempre fortemente impegnate, anche con grande umanità e professionalità, con risultati eccellenti e apprezzamenti a livello internazionale e da parte delle popolazioni locali.
Il ricorso allo strumento militare può essere inevitabile di fronte a gravi minacce per la pace e la sicurezza collettiva, e l'Italia non si tira indietro. Esso dev'essere però sempre l'estrema ratio e deve essere esercitato nei limiti e sulla base del diritto internazionale, come prevede l'articolo 11 della nostra Costituzione.
Passando ad una illustrazione sintetica delle disposizioni del decreto-legge riferite alle missioni militari e delle forze di polizia, ricorda che l'articolato reca il differimento del termine della partecipazione italiana alla predette missioni e le rispettive autorizzazioni di spesa, con la precisazione che per ciascuna di esse il termine temporale del differimento viene stabilito al 31 dicembre 2007. La proroga viene quindi disposta con cadenza annuale e non più semestrale (ad eccezione della missione Althea), come finora sempre avvenuto nei precedenti provvedimenti autorizzativi.
Rinvia infine alla relazione governativa per la disamina delle consuete norme in materia di trattamento economico ed assicurativo


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del personale, di valutazione del servizio prestato e di eventuale richiamo in servizio per esigenze connesse alle missioni medesime, nonché per quanto attiene ai profili contabili correlati all'organizzazione delle missioni.

Il viceministro Ugo INTINI ritiene il provvedimento in esame rafforzi ulteriormente gli elementi caratterizzanti e per certi aspetti innovativi delineatisi nel luglio del 2006 in occasione del rifinanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali. Tali elementi caratterizzanti possono essere riassunti sostanzialmente in quattro punti: la promozione di un multilateralismo efficace; la difesa della democrazia e del buon governo, nonché il rispetto dei principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, soprattutto in tema di diritti umani; l'affermazione del ruolo dell'Europa come attore globale delle relazioni internazionali; la collaborazione con le popolazioni locali in una crescente attenzione agli aspetti della cooperazione civile. Il multilateralismo efficace presenta due profili. Il primo è quello della legittimità dell'azione internazionale. Sotto questo profilo, la visione alla base del disegno di legge è che impegni di carattere militare possono essere presi in considerazione solo quando si svolgano sotto la guida delle Nazioni Unite o comunque quando si basino su un quadro di legalità internazionale fondato su iniziative di tipo multilaterale.
Il secondo profilo riguarda le finalità dell'impegno dell'Italia, che nell'ottica del Governo deve puntare costantemente a sviluppare gli strumenti di dialogo e di cooperazione a disposizione della comunità internazionale, in modo da promuovere forme sempre più avanzate di global governance. Coerentemente con la predetta impostazione, è da ritenere opportuno rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite nella stabilizzazione delle situazioni di post-conflitto, al fine di ricostituire il tessuto sociale ed istituzioni di governo solide e democratiche. Anche per questo l'Italia sostiene concretamente, sul piano politico e operativo, il rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite nel mantenimento della pace. Questo principio ispiratore è ben visibile nelle motivazioni che ispirano le singole missioni cui partecipa l'Italia, ma riguarda in generale tutta la politica estera promossa dal Governo. Ne è una manifestazione, ad esempio, la campagna in atto per una moratoria universale della pena di morte.
In relazione al terzo punto, l'Italia ha sostenuto con convinzione, nello scorso anno, la crescita del ruolo dell'Unione europea nel settore della gestione delle crisi. Lo ha fatto non solo in coerenza con la sua tradizionale vocazione europeista ma anche nella convinzione che l'Europa possa svolgere un fondamentale ruolo di stabilizzazione in tutti i teatri di crisi. È ferma intenzione del Governo continuare ad agire lungo questa linea, svolgendo un ruolo centrale nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea con una crescente attenzione rivolta non solo alle attività di tipo militare, ma anche a quelle dirette alla prevenzione e risoluzione dei conflitti, agli aspetti civili della gestione delle crisi e alla stabilizzazione post-conflittuale.
In relazione al quarto punto, la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali è finalizzata all'affermazione di processi di costruzione o ricostruzione delle istituzioni centrali e locali, nell'ambito dei quali va valorizzata la crescente titolarità, e relativa assunzione di responsabilità, da parte dei Paesi interessati. È in questo contesto che si colloca la decisione di stanziare, nell'ambito della partecipazione italiana alle missioni internazionali in Afghanistan, Libano e Sudan, nuovi fondi per la cooperazione allo sviluppo. È particolarmente importante sottolineare come gran parte degli stanziamenti che il disegno di legge prevede di destinare alla cooperazione in questi tre Paesi siano aggiuntivi rispetto ai fondi già assegnati alla cooperazione allo sviluppo dalla legge finanziaria, ad ulteriore dimostrazione della priorità che il Governo assegna alle tematiche dello sviluppo.
Gli effetti della «filosofia» che ispira l'azione del Governo nel campo delle missioni


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internazionali sono facilmente rintracciabili nella nostra azione in Libano. Con la partecipazione alla Forza di pace dell'Onu in Libano (UNIFIL), l'Italia è ritornata dopo vari anni a fornire un consistente contingente di truppe ad una missione di caschi blu, passando ai primissimi posti - al primo fra i Paesi occidentali - nella graduatoria dei Paesi contributori di truppe alle missioni delle Nazioni Unite. Il coinvolgimento attivo dell'Italia ha svolto un effetto di catalizzatore per il rafforzamento di UNIFIL - divenuta la terza maggiore missione ONU - e per la partecipazione ad essa di altri Paesi europei. Ben 16 Paesi dell'Unione europea hanno infatti inviato truppe: in particolare, oltre all'Italia, la Francia (circa 1600 unità), la Spagna (circa 1300), la Germania, che guida la componente navale (circa 900 unità). Su impulso italiano è stata peraltro creata una cellula strategica militare presso il Dipartimento per le operazioni di pace dell'ONU (DPKO) che risponde a tre esigenze, fortemente sentite in passato e la cui mancata soddisfazione aveva limitato l'efficacia del peacekeeping onusiano: coinvolgere i vari Paesi contributori nell'adozione delle decisioni a carattere strategico; assicurare il raccordo effettivo tra le forze sul campo ed il vertice politico dell'ONU; integrare il DPKO con un'expertise puramente militare.
Grazie alla sua partecipazione a UNIFIL, e più in generale grazie alla azione politica «a trecentosessanta gradi» nei confronti delle parti interessate e degli altri partner internazionali, il Governo si propone di sostenere gli sforzi che l'Esecutivo libanese sta conducendo per riprendere il pieno controllo del suo territorio, incoraggiando la stabilizzazione politica del Paese, il dialogo fra le forze politiche e la ricostruzione dell'economia nazionale. In piena coerenza con questa impostazione, la nostra cooperazione allo sviluppo è impegnata in un programma straordinario di attività. Un primo stanziamento a dono di 30 milioni di euro è stato interamente erogato, ed ha riguardato interventi a carattere socio-economico, nei settori dello sminamento umanitario, della sanità, materno-infantile, agricolo e dell'assistenza ai rifugiati palestinesi in Libano, eseguiti anche tramite organizzazioni non governative presenti sul territorio e organizzazioni internazionali. L'ulteriore contributo straordinario di 30 milioni di euro previsto dal disegno di legge permetterebbe di completare l'insieme degli impegni annunciati dall'Italia, al pari degli altri grandi Paesi donatori, alla Conferenza internazionale di sostegno al Libano, tenutasi a Parigi lo scorso gennaio. Tale contributo sarà destinato alla realizzazione di interventi nell'ambito del Piano d'azione Recovery, Reconstruction and Reform, presentato dal Governo libanese, e permetterà in particolare il finanziamento di iniziative nei settori della formazione professionale, del sostegno alla micro-imprenditoria e della riabilitazione delle infrastrutture, nei settori idrico-ambientale e dell'energia e, attraverso la Commissione europea, in quello del rafforzamento istituzionale.
Il secondo grande teatro di impegno per l'Italia è, come noto, l'Afghanistan. L'azione italiana e dell'intera comunità internazionale è diretta ad un duplice obiettivo: sicurezza e sviluppo. Gli interventi nel settore civile e di sostegno alle nascenti istituzioni democratiche afghane presuppongono uno sforzo di appoggio alle autorità locali nel pacificare ed estendere la propria presenza in tutto il Paese. L'azione della comunità internazionale è volta infatti ad assicurare che siano sempre più gli afghani i protagonisti dei processi di sviluppo e di tutte le funzioni di governo e controllo del territorio. In questo quadro merita essere sottolineato che l'Italia si è presa l'incarico in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di svolgere il ruolo di capofila per quanto riguarda l'Afghanistan. In quest'ottica il nostro Paese, oltre a fornire, come noto, un significativo contributo di forze, all'operazione NATO International Security Assistance Force (ISAF), ha rinnovato il suo fermo impegno a percorrere la strada della cooperazione allo sviluppo.
Il provvedimento in discussione prevede infatti di destinare a questi interventi


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ulteriori 30 milioni di euro (nel provvedimento dello scorso anno, si ricorderà, che dei 17 milioni stanziati per la cooperazione 10 erano stati destinati all'Afghanistan). Alla Conferenza dei donatori di Londra del gennaio 2006, l'Italia ha confermato di voler mantenere l'impegno finanziario degli ultimi anni, cioè circa 46 milioni di euro l'anno. Ma occorrerà ora individuare gli strumenti adeguati per assicurare una maggiore presenza della nostra cooperazione civile in Afghanistan. Un'ulteriore qualificante iniziativa nella settore dell'impegno civile sarà poi la Conferenza internazionale su giustizia e rule of law in Afghanistan, che si terrà a Roma nella prossima primavera e che dovrebbe porsi l'obiettivo di varare un piano di azione concreto per il raggiungimento degli obiettivi di ricostruzione del settore giustizia stabiliti dal Compact, adottato in occasione della Conferenza di Londra. L'Italia, nella sua veste di key donor nel settore giustizia, dovrebbe guidare la comunità internazionale nella finalizzazione di tale cruciale strategia.
Quanto agli aspetti di sicurezza, è noto che con la risoluzione n. 1386 del 20 dicembre 2001 il Consiglio di Sicurezza ha dato mandato ad ISAF di operare in territorio afgano con il compito di garantire la sicurezza dell'Autorità Interinale Afgana. L'approvazione della risoluzione n. 1386 e i successivi rinnovi semestrali hanno dimostrato la perdurante compattezza della comunità internazionale nel condividere e sostenere le ragioni e le finalità dell'intervento in Afghanistan. Dall'agosto 2003, l'Alleanza ha preso direttamente il comando dell'operazione ISAF il cui mandato è quello di assistere le autorità afgane nel mantenimento di una cornice di sicurezza che renda possibile la pacificazione e ricostruzione del Paese.
Sin dall'inizio della loro partecipazione ad ISAF i nostri soldati si sono distinti in attività di cooperazione civile-militare soprattutto nei settori educativo e sanitario, utili a migliorare la vita di migliaia di famiglie afghane. Vale la pena sottolineare a tal proposito che la maggioranza della popolazione afghana, con particolare riguardo all'area di nostra competenza, manifesta apprezzamento e riconoscenza nei confronti di ISAF e mostra di desiderarne la permanenza. Nell'ambito della propria attività quinquennale di sostegno alla ricostruzione del Paese in seno alla missione ISAF, i contingenti militari italiani, attraverso i nuclei di cooperazione, hanno realizzato oltre 120 progetti di sviluppo nel settore educativo e socio-sanitario per un valore che eccede i 5 milioni di euro.
L'ISAF gioca inoltre un ruolo di primo piano nell'addestramento dell'esercito nazionale afghano e contribuisce alla formazione delle forze di polizia, un impegno che il vertice NATO di Riga ha anzi deciso di accentuare, nella consapevolezza che l'ampliamento progressivo delle capacità di risposta delle forze di sicurezza afghane è un prerequisito alla strategia di uscita della missione ISAF.
L'operazione ISAF è stata giudicata sinora un successo: da una parte, grazie alla presenza militare e in cooperazione con le forze di sicurezza afghane, essa ha favorito la progressiva pacificazione di una parte consistente del territorio. Dall'altra, la missione militare internazionale - attraverso l'attività delle squadre di ricostruzione provinciale (PRT) - ha fornito un apprezzabile contributo agli sforzi della comunità internazionale in materia di assistenza umanitaria e per la ripresa delle attività di ricostruzione e sviluppo dei servizi, delle infrastrutture e delle istituzioni.
Anche per questo l'Afghanistan è stato il tema maggiormente dibattuto nel vertice di Riga dei Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza atlantica, svoltosi nel novembre 2006, e nella recente riunione ministeriale dei Ministri degli Esteri della NATO tenutasi a Bruxelles lo scorso 26 gennaio. Queste riunioni hanno dato un nuovo impulso politico al dibattito sull'Afghanistan e soprattutto hanno fatto sì che si riconoscesse la centralità della dimensione politica del processo di stabilizzazione afghano che richiede un rafforzato impegno nei settori della ricostruzione, sviluppo, consolidamento istituzionale e


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cooperazione regionale. Da parte italiana, non si lesineranno sforzi per la definizione tra i paesi della regione di un'agenda concertata e condivisa sull'Afghanistan, principalmente incentrata sulla lotta al narcotraffico, al controllo delle frontiere e allo sviluppo economico. Il Governo italiano intende giocare un ruolo attivo nel mantenere vivo il momentum politico e diplomatico. Una conferenza internazionale potrebbe essere un'importante tappa per fare il punto per rinnovare l'impegno della comunità internazionale e per sostenere il governo di Kabul nell'affrontare le sfide politiche di sicurezza e di sviluppo.
In generale, si deve considerare che la stabilizzazione dell'Afghanistan non può essere responsabilità interamente affidata alla NATO: occorre che i Paesi limitrofi e in particolare la Cina, l'Iran, il Pakistan e la Russia si assumano maggiori responsabilità. Per quanto riguarda il Pakistan è notorio che tale Paese, che rappresenta il maggiore alleato degli Stati Uniti nell'area, ha sul proprio territorio basi di gruppi talebani o di guerrieri pashtun. Concorda con quanto osservato dal presidente Ranieri in ordine al clamoroso paradosso per cui l'Afghanistan sta realizzando i massimi introiti dalla produzione di oppio proprio in coincidenza della presenza nel Paese della comunità internazionale. Concorda altresì sulla proposta di prevedere la produzione controllata di oppio da destinare all'industria farmaceutica. Sicuramente, la diffusione di un vasto fenomeno terroristico nell'area deve indurre ad una riflessione profonda sugli errori politici e militari che sono stati commessi e che può avere luogo in occasione di una conferenza internazionale ad hoc.
Non vi è dubbio che Libano e Afghanistan rappresentino attualmente i principali impegni sotto il profilo della partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali. Esse non esauriscono però l'impegno italiano nelle missioni internazionali. In Iraq, dopo il passaggio delle responsabilità di sicurezza nella regione del Dhi Qar alle forze locali, si è chiusa con successo, nel dicembre dello scorso anno, la missione militare italiana nel sud di quel Paese. Questo non significa però che sia finito l'impegno dell'Italia per l'Iraq. Continua e si accresce, infatti, l'impegno civile già profuso dal nostro Paese a partire dal 2003, contribuendo con progetti ed interventi per oltre 230 milioni di euro allo sforzo internazionale in campo civile. A conferma della nostra volontà di un ulteriore salto di qualità nell'apporto italiano alla ricostruzione dell'Iraq, è stato firmato, lo scorso 23 gennaio, a Roma, un accordo bilaterale di amicizia, partenariato e cooperazione, che ha fissato le linee-guida su cui si svilupperà il rapporto privilegiato fra i nostri due Paesi. L'Italia si è impegnata con un contributo in crediti di aiuto per un ammontare che potrà arrivare a 400 milioni di euro in 3 anni. È previsto che nei prossimi mesi si riunisca una commissione mista per discutere in dettaglio i progetti da realizzare. Non va poi dimenticato che l'Italia è attualmente il maggior contributore della Training Mission della NATO in Iraq, che acquista un particolare valore nell'ottica del rafforzamento della capacità irachena di gestione autonoma della sicurezza del Paese.
Il Governo intende poi mantenere un pieno coinvolgimento nelle missioni intraprese nei Balcani e in Africa in esecuzione dei mandati internazionali ricevuti e fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati. L'impegno per la sicurezza e la stabilizzazione nei Balcani costituisce una componente fondamentale per la politica estera dell'Italia: il contributo dato allo sviluppo di un'area così vicina e alla quale siamo storicamente e geograficamente legati da rapporti strettissimi, costituisce non solo una priorità rispondente a oggettivi fattori di interesse nazionale, ma anche un convinto contributo per favorire l'avvicinamento, ed in prospettiva l'integrazione, di questi paesi nell'Unione europea e nella comunità euroatlantica. In quest'ottica, è nostra convinzione che la capacità operativa militare in Kosovo debba essere mantenuta, tanto più in coincidenza con i delicati negoziati per la definizione dello status della provincia. Questa linea è sostanzialmente condivisa dai nostri partner. Al vertice di Riga dei


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Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza Atlantica la NATO ha confermato il proprio impegno, nella consapevolezza che una robusta cornice di sicurezza costituisca il presupposto stesso del successo dei negoziati attualmente in corso sul futuro status. Solo dopo che la definizione dello status sarà stata completata e sarà stata approvata la nuova risoluzione delle Nazioni Unite chiamata a legittimare il nuovo quadro giuridico e il quadro politico avrà dato sufficienti garanzie di stabilità, sarà possibile cominciare ad affrontare la questione dei tempi e delle modalità di riconfigurazione del ruolo NATO in Kosovo, e in che misura l'Unione europea possa subentrare nelle competenze della KFOR, in analogia a quanto già avvenuto in Bosnia Erzegovina. È già stata in ogni caso avviata da parte dell'Unione europea una pianificazione di un suo possibile ruolo nella funzione di ordine pubblico. Questa futura iniziativa PESD raccomanda che il suo sviluppo avvenga in un quadro di raccordo e stretta concertazione con la NATO. A ciò il Governo italiano sta contribuendo con concretezza ed equilibrio nei due distinti fori, comunitario e atlantico.
Il Governo intende poi mantenere il proprio impegno anche sugli altri fronti, a cominciare da quello della Bosnia Erzegovina, pur in presenza di una graduale stabilizzazione del Paese di cui occorrerà tener conto. La nostra partecipazione alle missioni dell'Unione europea ci ha guadagnato, d'altra parte, molti apprezzamenti dai nostri partner, come sta a confermare il fatto che EUPM è attualmente a guida italiana, mentre EUFOR lo è stato fino alla fine del 2006.
Per quanto riguarda l'Africa sub-sahariana, vale la pena infine ricordare gli scenari di crisi del Sudan e della Somalia. Il Governo italiano è fortemente impegnato, in coordinamento con i partner dell'Unione europea, per sostenere sul piano politico il processo di pace in Darfur, dando sostegno tecnico e finanziario alla missione dell'Unione africana, prolungata fino al 30 giugno 2007 per assicurare il monitoraggio del disarmo delle milizie e la protezione dei civili all'indomani della firma del Darfur Peace Agreement, avvenuta il 5 maggio 2006. Le risorse aggiuntive stanziate proprio con il provvedimento in esame per il Darfur stanno a testimoniare la volontà del Governo di adoperarsi con tutti gli strumenti a sua disposizione per alleviare la crisi umanitaria in quella regione.
Per quanto riguarda la Somalia, infine il Governo ritiene che l'Italia non possa esimersi, per i vincoli storici che la legano a quel Paese e per la situazione oggettivamente delicata sul terreno, dal rispondere positivamente all'appello dell'Unione africana a favore della costituzione di una forza di pace africana da inviare in Somalia. D'altra parte la costante azione svolta dal nostro Paese a favore di quel Paese è stata ribadita sia dal Presidente del Consiglio nel corso della sua partecipazione al recente vertice di Addis Abeba dell'Unione africana, che nelle dichiarazioni rilasciate dal Ministro degli affari esteri in sede europea il 22 gennaio scorso.
Quanto fin qui rappresentato dovrebbe dare la misura dell'ampiezza degli sforzi che il nostro Paese è chiamato a compiere e della importanza dello strumento che il Parlamento si appresta a discutere.

Il sottosegretario Marco VERZASCHI, con riferimento al decreto-legge in oggetto, rileva che è intendimento del Governo proseguire, nel corso del 2007, nello sforzo attuato durante il 2006. Ricorda che le forze militari al momento impegnate nei diversi teatri operativi fuori del territorio nazionale, ricompresi nel decreto in esame ammontano mediamente a 7.500 unità.
In termini di consistenza dell'impegno, i teatri di intervento al momento più rilevanti sono tre, ovvero quello balcanico, il Libano e l'Afghanistan.
Nei Balcani l'intendimento è quello di confermare la partecipazione dell'Italia alla missione Joint Enterprise in Kossovo, a guida NATO, inclusa la partecipazione alla Unità Multinazionale Specializzata incentrata su un contingente di Carabinieri.


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L'Italia, come noto, partecipa sin dall'inizio all'operazione in Kossovo, ed ha condiviso con gli alleati i rischi ed i costi connessi con questa difficilissima operazione.
Nel corso degli anni, la presenza militare internazionale ha garantito condizioni accettabili di sicurezza, entro cui sia gli stessi contingenti militari e sia le Organizzazioni internazionali hanno potuto muoversi portando sollievo alla popolazione locale.
Osserva che in termini politici, la situazione rimane oggettivamente difficile, in virtù dell'irrisolta questione dello status finale della regione. È plausibile che tale questione sia affrontata nel breve termine dalla Comunità internazionale, ed è anche ipotizzabile che una qualche decisione a riguardo possa far crescere di nuovo la tensione interetnica. Ritiene perciò doveroso rimanere vigili circa l'evolvere della situazione sul terreno, attuando tutte quelle misure di protezione che riducano il rischio di ulteriori lutti per i civili kossovari.
In termini militari, ricorda che il contingente nazionale ha la responsabilità primaria nella Task Force Multinazionale dispiegata nel settore Ovest del Kossovo, congiuntamente ai contingenti di altri cinque paesi alleati. L'Unità Multinazionale Specializzata, dove operano i Carabinieri italiani, fa capo direttamente al Comando della Kossovo Force.
Complessivamente, partecipano all'operazione 35 paesi con circa 15.600 uomini mediamente dispiegati sul terreno. Di questi, circa 2.300 sono forniti dall'Italia.
Sottolinea come sia intenzione del Governo mantenere in Bosnia la presenza italiana nell'ambito della missione «Althea», a guida dell'Unione europea. Nell'osservare che la situazione in Bosnia sembra avviata verso un lento ma progressivo miglioramento, tanto che l'Unione europea dovrà esprimersi circa il proseguimento della missione nella seconda metà del 2007, sottolinea che il Governo, coerentemente con tale calendario, richiede di autorizzare la partecipazione nazionale alla missione «Althea» fino al 30 giugno 2007. Alla Forza europea in Bosnia partecipano circa 5.700 militari; di questi, circa 550 continueranno ad essere forniti dall'Italia.
Per quanto riguarda l'Albania, sottolinea come l'impegno dell'Italia prosegue, sia con l'operazione di sorveglianza aeronavale che con la missione di supporto a favore delle Forze armate e di polizia albanesi. Tale impegno dura ormai da oltre dieci anni e sta dando notevoli frutti, come si può desumere dalla drastica riduzione di fenomeni quali i traffici illegali provenienti da quel paese.
Il teatro balcanico, nel suo complesso, dimostra nei fatti come un'azione internazionale coordinata ed assidua possa realmente portare alla progressiva stabilizzazione ed all'allentamento delle tensioni. Osserva che la stabilità nel tempo dell'impegno internazionale e, in tale quadro, del contributo italiano, è stato premiante in Bosnia ed Albania, ed ha comunque drasticamente migliorato la situazione in Kossovo.
Ricorda che in Libano, l'Italia è stata fra i protagonisti dell'iniziativa di pace che ha portato, nell'estate scorsa, alla cessazione dei combattimenti ed al dispiegamento di una robusta componente militare di interposizione, sotto comando delle Nazioni Unite, a rafforzamento del contingente UNIFIL già in Libano sin dal 1979. L'intervento italiano è stato molto efficace, per la tempestività con cui si è materializzato e la credibilità che ha immediatamente dimostrato in termini operativi.
Al dispiegamento di una prima componente, giunta in teatro ai primi di settembre per via anfibia, ha fatto seguito l'invio di una seconda forza, che ha rimpiazzato la prima a partire da novembre.
Ricorda altresì che il Generale italiano Claudio Graziano ha di recente assunto l'incarico di guidare l'intero contingente di UNIFIL, segno evidente di come l'Italia stia fornendo alle Nazioni Unite un contributo fondamentale per l'attuazione sul terreno di quanto disposto dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
A fronte di tali successi, ritiene non si debba cadere nella trappola dell'eccessivo


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ottimismo, giacché la missione in Libano era e rimane estremamente delicata in termini politico-strategici, e caratterizzata da un livello di rischio non indifferente in termini prettamente militari.
Sottolinea come il contingente italiano operi nell'ambito di una forza sotto comando delle Nazioni Unite ed attui pertanto quanto disposto dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, utilizzando un insieme di regole di comportamento che sono state appositamente definite per la loro missione.
Ritiene che la missione in Libano sia ancora agli inizi e che proseguirà nei prossimi anni. Anche in Libano sarà necessario, quindi, dosare nel tempo lo sforzo militare, in aderenza con l'evolvere della situazione. Al tempo stesso, sarà fondamentale incrementare lo sforzo diplomatico per favorire una vera riconciliazione nazionale, condizione indispensabile per un miglioramento duraturo del quadro della sicurezza.
Fa presente che nel 2007, è intendimento del Governo mantenere la presenza militare nazionale su livelli analoghi a quelli dell'ultimo periodo del 2006, ovvero circa 2.400 unità. Non si prevede, al momento, infatti, alcuna significativa variazione dei compiti o della disposizione delle truppe italiane assegnante alle Nazioni Unite. Per contro, si attueranno tutte quelle misure di incremento della protezione del contingente, sulla base delle esperienze via via acquisite.
Rileva come, sulla base degli elementi forniti dal Teatro, il contingente italiano stia pienamente rispondendo agli scopi della missione sviluppando una costante cooperazione con l'esercito regolare del Libano per definire i meccanismi di coordinamento affinché UNIFIL possa più efficacemente assistere il Governo libanese nell'esercizio della sua sovranità nell'area di operazione.
Fa presente che sono in corso di definizione le procedure di cooperazione per lo svolgimento di attività congiunte e per la definizione di una comune capacità di reazione rapida per fornire un reciproco supporto operativo.
Gli obiettivi da realizzare consistono nel mantenimento di un atteggiamento imparziale al fine di preservare il consenso delle parti verso la missione e le forze UNIFIL e di prevenire il discredito della missione da parte di fazioni e gruppi ostili; nell'aumentare e nel consolidare la credibilità delle forze UNIFIL e delle forze libanesi schierate nell'area di responsabilità e nel promuovere attività e atteggiamenti miranti a conservare il supporto ed il consenso della popolazione locale.
Per conseguire i suddetti obiettivi operativi, viene posta in essere una costante azione caratterizzata da pattugliamenti e sorveglianza di punti sensibili e di bonifica da ordigni esplosivi. In totale, in circa quattro mesi di lavoro sul campo, sono state svolte circa 5500 pattuglie e 1600 controlli, rinvenendo nella zona circa 2800 ordigni inesplosi.
Inoltre nell'area di competenza della Joint Task Force sono state svolte, pur nel breve periodo, significative attività CIMIC. Tra queste in particolare segnala l'assistenza sanitaria offerta dai medici del contingente italiano a circa 800 pazienti, la distribuzione di generi di prima necessità e coperte nel villaggio di Shama e Alma AChaab e la distribuzione di generi di conforto presso la scuola elementare di Naqoura e presso l'orfanotrofio di Tienine.
Per quanto riguarda il teatro Afgano, osserva che, a partire dall'inverno del 2001, la presenza internazionale ha ottenuto innegabili risultati, in termini di sicurezza, avvio di un processo politico di normalizzazione, ricostruzione delle componenti militari e di polizia dello stato afgano, sostanziale incremento del reddito nazionale e pro capite, miglioramento dei servizi sanitari e di assistenza, ripristino del sistema scolastico, ritorno dei rifugiati.
Sottolinea come la Comunità internazionale ed il Governo italiano siano consapevoli di quanto la situazione afgana rimanga sospesa ed in bilico fra la progressiva normalizzazione e stabilizzazione ed un catastrofico ritorno al passato, ad una condizione cioè di caos e di guerra civile, dove ogni progresso ottenuto in questi cinque anni sarebbe perduto. Ritiene


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pertanto doveroso perseguire nell'azione di sostegno alle istituzioni afgane ed alle Organizzazioni internazionali che, nei diversi ambiti, operano in Afghanistan e per il bene dell'Afghanistan.
Ritiene che non si tratti di un compito facile da perseguire, né che si possa considerare il traguardo a portata di mano. Ciò nonostante giudica necessaria la permanenza in Afghanistan perché si tratta comunque di una missione giusta.
L'esperienza storica e il semplice buon senso portano a ritenere che la complessità dei problemi dell'Afghanistan sia tale da poter essere affrontata e risolta solo nel lungo periodo e solo per opera degli stessi Afgani. Il compito dell'Italia, pertanto, è quello di rendere materialmente possibile l'assunzione da parte del popolo e delle istituzioni afgane di responsabilità via via più vaste. L'azione deve essere finalizzata alla edificazione di capacità di governo che rendano l'Afghanistan autosufficiente, almeno per lo svolgimento delle primarie funzioni tipiche di ogni Stato sovrano.
La meta che ci si prefigge è pertanto associata ad una condizione da raggiungere - la ragionevole autosufficienza dell'Afghanistan - e non già ad un determinato evento o ad una data da collocare nel futuro.
Ritiene che il successo dell'azione si misurerà, dalla rapidità e dall'efficacia con cui si saprà raggiungere questa condizione di ragionevole autosufficienza. Tanto maggiori saranno la coerenza e l'intelligenza con cui si sapranno affrontare i problemi dell'Afghanistan, tanto più breve sarà il periodo nel quale si dovrà mantenere un contingente in quel paese.
Ricorda che la Comunità internazionale ha fissato, già in occasione della Conferenza di Londra del 2006, gli obiettivi precisi da raggiungere e la tempistica entro cui tali risultati devono essere conseguiti.
In particolare, per ciò che riguarda la sicurezza, la Comunità internazionale ha identificato nel 2010 l'anno in cui le capacità dell'Esercito Nazionale e della Polizia afgana dovranno raggiungere gli obiettivi prefissati. La stessa data è stata indicata per il completamento dell'azione di assistenza alla sicurezza ed alla stabilizzazione dell'Afghanistan, condotta dal contingente multinazionale.
Quanto ai piani operativi della NATO relativi alla missione ISAF, questi prevedono l'esecuzione di cinque fasi, di cui le prime due, relative all'introduzione della Forza nel teatro ed alla sua progressiva espansione a tutto il territorio afgano, sono state completate.
All'attuale fase tre, quella della «stabilizzazione», è previsto che segua una fase di «transizione» ed infine la fase del «ripiegamento». In altri termini, ritiene che vi sia un tracciato chiaro che conduce al trasferimento di responsabilità alle autorità afgane ed al completamento della missione.
Osserva che la situazione complessiva della sicurezza in Afghanistan rimane problematica. Nel paese sono attive numerosissime milizie irregolari, in genere frutto del protratto periodo di guerra e di caos vissuti, che hanno riportato l'Afghanistan ad una condizione pre-moderna.
Tali milizie sono la materiale espressione del potere esercitato dai cosiddetti «signori della guerra», i quali coincidono molto spesso con gli esponenti criminali più agguerriti, attivi come noto soprattutto nel traffico di oppio.
Sottolinea che in alcune regioni del paese opera poi un nucleo probabilmente molto ridotto di estremisti politici, eredi diretti dei Talebani che hanno dispoticamente governato il paese fino al 2001, violentandone la società civile fino a farla sprofondare a livelli minimali di sussistenza.
Questo nucleo di irriducibili ha buon gioco a cooptare alla propria causa frange di popolazione che, per l'estrema povertà, l'assenza di prospettive ed il retaggio di un periodo di esaltazione religiosa, rimane indifferente ai progressi sociali, politici ed economici di cui l'Afghanistan nel suo complesso sta beneficiando. Ritiene inoltre che non vada trascurata l'ingerenza nefasta di gruppi terroristici transnazionali, al-qaeda innanzitutto, che per la disponibilità di risorse economiche di cui dispongono,


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esercitano indubbiamente una forte attrattiva per tutti coloro che, a vario titolo, non hanno interesse a che l'Afghanistan si avvii sulla strada della stabilizzazione.
Per questi motivi quindi ritiene che l'azione delle forze militari internazionali in Afghanistan rimanga assolutamente vitale, giacché il pur crescente potenziale rappresentato dall'Esercito Nazionale e dalla Polizia afgana non sarebbe in grado, al momento, di far fronte a tali, molteplici minacce.
Al tempo stesso, considera necessario attuare un processo di sviluppo generalizzato del paese, che coinvolga tutti gli strati sociali, in tutte le regioni, anche quelle più remote. Soltanto così sarà possibile sottrarre definitivamente agli estremisti il loro spazio di manovra e la loro residua influenza sulla società afgana.
Sulla base di un'attenta valutazione della realtà afgana, in coerenza con il ruolo che l'Italia ha assunto per la ricostruzione del paese sin dalla Conferenza internazionale di Bonn del 2001, impegno poi ribadito più volte in diverse circostanze e contesti, afferma che il Governo intende attuare una linea d'azione che veda l'impegno sia delle forze militari e di polizia, sia delle risorse tecniche e specialistiche di altri Dicasteri, sia infine, ma non per importanza, delle Organizzazioni non governative.
Il contingente militare italiano è inquadrato nell'International Security and Assistance Force - ISAF a guida NATO, sotto mandato delle Nazioni Unite, ed il suo funzionamento è regolato da un accordo tecnico con il Governo afgano.
Nel corso del 2007, l'ISAF proseguirà la sua azione di sostegno alle Autorità afgane per garantire stabilità e sicurezza, spianando la strada per la ricostruzione di efficaci capacità di governo autonomo.
Relativamente alla partecipazione italiana, rileva che saranno mantenuti gli impegni sottoscritti, relativi alla partecipazione al contingente multinazionale di stanza nella regione di Kabul ed alla guida delle forze multinazionali operanti nel quadrante nord occidentale del paese, che ha come epicentro la città di Herat.
Le forze impiegate rimarranno sul livello attuale di circa 2.000 unità, con minime variazioni nel corso dell'anno, in funzione della periodica turnazione dei militari.
I compiti svolti dai nostri militari non si discosteranno da quelli svolti nel corso del 2006; non ci sarà un cambiamento nei criteri di impiego, nelle regole d'ingaggio o nella disposizione geografica.
Il dispositivo verrà ciclicamente adeguato alle esigenze di protezione e sicurezza dei nostri militari, qualora le circostanze dovessero richiederlo. Si sta già provvedendo ad aumentare la protezione passiva dei soldati mediante l'utilizzo di un numero crescente di veicoli di nuovissima concezione, con maggiori capacità di resistenza alle esplosioni. Fa presente che altre misure di prevenzione saranno rappresentate dall'utilizzo di velivoli non pilotati per la sorveglianza delle infrastrutture e delle vie di comunicazione.
Ricorda che le attività in Afghanistan sono state sempre duplici, militari e umanitarie. In particolare quelle militari, dirette a svolgere attività di sorveglianza e pattugliamento, mentre quelle umanitarie rivolte all'approvvigionamento di cibo e medicine a favore della popolazione civile presente nel paese o rifugiata in Pakistan. Ritiene importante che l'Italia continui a dare il proprio contributo per la ricostruzione sociale, culturale ed economica del Paese, che ha bisogno di soccorso con medicine, alimenti, attrezzature, materiali d'ogni genere e opere di ricostruzione, di ripristinare i sistemi idrici, sanitari, gli impianti ospedalieri, elettrici e delle comunicazioni e di opere di bonifica da agenti inquinanti e da ordigni esplosivi, in particolare mine. Sottolinea come siano stati conseguiti risultati importanti in tutti questi campi.
Ricorda altresì che tra il 2005 e il 2006, sono stati realizzati progetti d'emergenza nei settori dell'educazione (fornitura di arredi scolastici, ausili didattici, materiale di cancelleria, eccetera), della pubblica


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utilità (fornitura di attrezzi ed indumenti di lavoro agli operai del Comune) e della salute (fornitura di ambulanze, medicine, materiale sanitario e sostegno alla clinica Hope). Rammenta infatti che a Kabul, nell'ambito dell'attività CIMIC viene fornita assistenza sanitaria con medici militari specializzati all'interno della Clinica Hope volta, soprattutto a curare le persone colpite dalla Lesmaniosi. Alcune stime indicano che 7 bambini afgani su 10 sono colpiti da tale malattia. Sono state inoltre condotte campagne di trattamento antiparassitario degli animali da pascolo nonché la realizzazione di pozzi ad uso agricolo ed umano che hanno consentito ad alcuni villaggi di far fronte a croniche carenze di risorse idriche. Inoltre, per stimolare la ripresa delle attività artigianali, si è provveduto alla distribuzione di n. 1000 macchine da cucire e n. 500 telai per la fabbricazione di tappeti.
Relativamente alle attività CIMIC svolte nell'area di Herat segnala invece la costruzione e ristrutturazione di 11 scuole, la ristrutturazione, in collaborazione con la protezione civile, del Pronto soccorso di Herat, nonché il potenziamento della rete idrica del capoluogo e il consolidamento degli argini di alcuni fiumi. Inoltre segnala la costituzione di un Joint Coordination Center dal quale le forze di polizia locali potranno gestire efficacemente le emergenze derivanti da alluvioni e incendi.
Sono state poi svolte dall'Arma dei Carabinieri attività addestrative a favore delle locali forze di polizia e dalla Guardia di Finanza nei confronti della Brigata di Polizia di Frontiera e della Polizia Doganale operante nell'area di Herat.
Otre a questi tre teatri operativi principali, ricorda le missioni in atto in Africa, dove l'Italia sta già operando, ed intende continuare ad operare per il 2007, tra l'altro in Sudan ed in Congo.
Fa presente che in Medio Oriente è intendimento del Governo confermare la partecipazione alle missioni in atto a Cipro, a Hebron ed a Rafah ed alla missione UNTSO delle Nazioni Unite, nella quale l'Italia è presente fin dal 1958, oggi con otto uomini.
Per quanto riguarda l'Iraq, ricorda che l'Italia partecipa al programma di assistenza tecnica a favore delle forze di sicurezza irachene, essenzialmente nel loro Defence College interforze. Il contributo italiano si inserisce in un programma di assistenza al Governo afgano condotto sotto l'egida della NATO ed a cui partecipano attualmente 19 paesi. L'Italia impiegherà circa 70 militari per tale missione.
Ricorda altresì che esistono numerose missioni di collegamento con paesi alleati ed amici, in Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Malta.
Menziona inoltre le attività condotte dalla Marina Militare, che partecipa alle Forze Navali Permanenti della NATO e all'operazione Active Endeavour, con un impegno medio, nel corso del 2007, di circa 100 militari, nonché il Reparto Distaccato della 46a Brigata Aerea dell'Aeronautica, negli Emirati Arabi Uniti, in cui opereranno in media, nel corso del 2007, circa 100 militari impiegati per supporto logistico, ricompresi nel contingente autorizzato per la missione ISAF.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione e relatore per la III Commissione, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.30.