I Commissione - Resoconto di mercoledì 7 marzo 2007


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 7 marzo 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Marcella Lucidi.

La seduta comincia alle 14.10.

Disposizioni per favorire la ricerca di persone scomparse.
C. 1812 Dato.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Luciano VIOLANTE, presidente, avverte che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.

Mercedes Lourdes FRIAS (RC-SE), relatore, osserva innanzitutto che il provvedimento in esame è stato sottoscritto da un elevato numero di deputati appartenenti a forze politiche diverse. Tale circostanza testimonia la rilevanza delle questioni affrontate e la condivisione delle soluzioni previste nella stessa proposta di legge. Si sofferma quindi sulla definizione di «persona scomparsa», che il testo del provvedimento utilizza per riferirsi alla persona di cui non si hanno notizie. Al riguardo fa presente che, da parte delle organizzazioni di settore, si preferisce utilizzare la locuzione «vite sospese», che sottolinea lo stato di drammatica incertezza delle esistenze di queste persone, che coinvolge inevitabilmente anche la comunità dei familiari e degli amici più stretti.
Rileva che nel corso degli ultimi anni si registra un sensibile aumento delle segnalazioni delle persone che scompaiono, delle quali circa il sessanta per cento viene rintracciato, mentre del restante quaranta per cento non si hanno più notizie. Le ragioni alla base di questo fenomeno vanno individuate nei processi di impoverimento della società, della precarietà diffusa nel mondo occupazionale, nelle situazioni di disagio giovanile, nell'indebolirsi della protezione sanitaria pubblica,


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che coinvolge le famiglie non in grado di fare fronte ai problemi connessi alla presenza di persone con malattie degenerative della salute mentale. Si sofferma quindi sulla mancanza di politiche di ampio respiro per la gestione delle migrazioni, che invece potrebbero contribuire ad combattere fenomeni quali il lavoro nero, l'accattonaggio ed altre forme di abbandono dei minori, che sovente finiscono per diventare vittime della tratta di persone e delle organizzazioni criminali. Si sofferma quindi sui dati della Criminalpol relativi alla scomparsa dei minori. In proposito rileva che, di tutti i minori scomparsi fino al 2003, 1.043, due terzi dei quali stranieri, devono essere ancora rintracciati; a questi vanno aggiunti altri 3.391 minori scomparsi dall'inizio del 2004 al gennaio del 2007 per i quali sono state attivate le segnalazioni di ricerca, ma non sono stati ancora rintracciati. Al riguardo evidenzia come i minori scomparsi siano provenienti per il 42 per cento dal nord Italia e per il 36 per cento dalle regioni del centro, con prevalenza del Lazio e della Lombardia.
Con riferimento alle attività di investigazione sulla ricerca di minori scomparsi, osserva che nell'ambito della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato è stata istituita una apposita unità organizzativa, la Sezione minori, collocata nell'ambito del Servizio centrale operativo, con il compito di monitorare le fenomenologie criminali nelle quali sono coinvolti i minori, sia vittime che autori di reato, le violenze sessuali e domestiche, la scomparsa e la tratta di minori, con lo scopo di elaborare, successivamente, incisive strategie di contrasto. A livello centrale, la Sezione minori si occupa dell'attività di analisi e della formazione specialistica del personale della Polizia di Stato inserito negli uffici territoriali che si occupano di minori. La Sezione minori gestisce anche un apposito sito internet che pubblica le foto di bambini scomparsi, sul quale sono visibili i dati, relativi al periodo 2004-2007, riferiti ai minori italiani e stranieri per i quali sono stati attivate le segnalazioni di ricerca sul territorio nazionale e che risultano ancora da ricercare alla data del 2 gennaio 2007: da un totale di minori italiani e stranieri pari a 642 nel 2004 si passa ai 1.698 del 2006.
Per quanto concerne il contenuto della proposta di legge in oggetto, osserva che essa è volta, da un lato, ad assicurare un coordinamento efficace tra le diverse forze di polizia impegnate nella ricerca delle persone scomparse e, dall'altro, ad attribuire un ruolo specifico alle istituzioni pubbliche Stato nella soluzione del problema, attribuendo allo Stato anche una responsabilità nell'azione di supporto alle famiglie nell'ambito delle ricerche.
L'articolo 1 prevede l'istituzione del Comitato nazionale interforze sulle persone scomparse e del Comitato provinciale sulle persone scomparse; a tale scopo inserisce, dopo l'articolo 20 della legge n. 121 del 1981, due nuovi articoli con la previsione della composizione e delle finalità dei Comitati. In particolare, il nuovo articolo 20-bis disciplina il Comitato nazionale interforze, presieduto dal ministro dell'interno, avente il compito di monitorare i casi di scomparsi sul territorio nazionale, di valutare lo stato delle indagini e di assumere iniziative in grado di favorire la ricerca e di accelerare il ritrovamento delle persone scomparse. Il nuovo articolo 20-ter istituisce presso la competente prefettura-ufficio territoriale del Governo, qualora si verifichino casi di scomparsa di cui sia accertata la non volontarietà, il Comitato provinciale sulle persone scomparse. L'articolo 2 istituisce una banca dati nazionale sulle persone scomparse presso il Casellario centrale di identità del Ministero dell'interno, contenente le foto e tutte le altre informazioni utili all'individuazione e al ritrovamento delle persone scomparse. La banca dati è pubblica: se ne prevede infatti l'accessibilità a tutti gli utenti direttamente dal sito internet del Ministero dell'interno. Sempre presso il Casellario centrale d'identità del Ministero dell'interno, l'articolo 3 istituisce, sul modello presente in Australia, una banca dati nazionale di campioni di DNA delle persone scomparse. Un decreto del ministro dell'interno, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore


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della legge, individua i limiti e le modalità relativi ai prelievi dei campioni di materiale genetico. L'articolo 4 stabilisce la costituzione di un Ufficio centrale obitori, presso il quale gli obitori previsti dall'articolo 13 del regolamento di polizia mortuaria, provvedono ad inviare tutti i dati relativi ai cadaveri di cui non è stata riconosciuta l'identità, allo scopo di facilitarne l'identificazione. Sulla scorta dell'esperienza positiva che ha caratterizzato la messa in funzione dei numeri verdi antiusura e antitratta, è prevista l'istituzione presso il Ministero dell'interno di un numero verde sulle persone scomparse. In tal senso dispone l'articolo 5, che rimette a un decreto del ministro, da emanare entro sei mesi, la definizione delle modalità di funzionamento. L'articolo 6 istituisce presso il Ministero dell'interno un Fondo di solidarietà per i familiari delle persone scomparse, alimentato da un contributo statale pari a 3 milioni di euro annui, con lo scopo di sostenere economicamente le famiglie in caso di scomparsa di un congiunto di primo grado, nonché di contribuire alle spese per le attività di ricerca. L'articolo 7 introduce una nuova tipologia di permesso lavorativo retribuito a favore dei lavoratori, dipendenti da enti pubblici o da aziende private, che siano parenti o affini, entro il terzo grado, di persone scomparse, anche se non conviventi, per i giorni in cui devono motivatamente assentarsi per questioni legate alla scomparsa del familiare. L'articolo 8, infine, reca la norma di copertura finanziaria.

Cinzia DATO (Ulivo) si dichiara soddisfatta per l'avvio dell'esame del provvedimento in oggetto, che è stato sollecitato da numerose organizzazioni impegnate nel settore. Ringrazia quindi il sottosegretario Lucidi per l'impegno costantemente profuso sulla problematica delle persone scomparse, rilevando in proposito che recentemente il Ministero dell'interno ha nominato un apposito commissario.
Fa quindi presente l'opportunità di dare corso ad un breve ciclo di audizioni che potrebbero riguardare in primo luogo l'associazione Penelope ed altri soggetti dei quali si riserva di fornire le opportune indicazioni.

Luciano VIOLANTE, presidente, fa presente che, qualora la scomparsa di una persona origini da una scelta volontaria, si corre il rischio di avviare le ricerche contro le sue intenzioni.

Cinzia DATO (Ulivo) osserva che non sempre la scomparsa volontaria di una persona è finalizzata a far perdere le proprie tracce in quanto, in molti casi, essa rappresenta una sorta di richiesta d'aiuto relativa a particolari situazioni individuali. Con riferimento all'attività di ricerca degli scomparsi, ritiene opportuno che le attività di ricerca possano avere inizio senza indugio fin dalla relativa segnalazione. Attualmente invece le ricerche di una persona maggiorenne scomparsa vengono avviate dopo almeno quarantotto ore, cosa che impedisce di avvalersi degli elementi utili che possono emergere nell'immediatezza della scomparsa.
Rileva inoltre l'opportunità di prevedere appositi strumenti di sostegno per i familiari che spesso non dispongono dei necessari mezzi finanziari per affrontare le attività di ricerca e che in alcuni casi sono anche esposti al rischio di perdere il posto di lavoro per la necessità di dedicarsi alla ricerca del familiare scomparso. Conclude auspicando una rapida conclusione dell'esame del provvedimento in oggetto.

Luciano VIOLANTE, presidente, avverte che la discussione di carattere generale proseguirà nella seduta di domani, giovedì 8 marzo. Invita altresì i rappresentanti dei gruppi ad indicare entro al stessa data i soggetti che potrebbero essere ascoltati in sede di audizioni, il cui eventuale svolgimento sarà deliberato dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, già convocato per domani 8 marzo 2007. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.


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Modifiche alla legge sulla cittadinanza.
C. 24 Realacci, C. 908 Ferrigno, C. 909 Ferrigno, C. 938 Mascia, C. 1297 Ricardo Antonio Merlo, C. 1462 Caparini, C. 1529 Boato, C. 1570 Bressa, C. 1607 Governo, C. 1653 Santelli, C. 1661 Piscitello, C. 1686 Diliberto, C. 1693 Angeli, C. 1727 Adenti, C. 1744 De Corato, C. 1821 Angeli, C. 1836 Fedi e C. 1839 D'Alia.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 6 marzo 2007.

Dario RIVOLTA (FI) rileva preliminarmente come tutte le società multietniche siano in qualche misura conflittuali. Ciò è vero sia per quelle più piccole per estensione territoriale e numero di appartenenti, quali certune isole del Pacifico, sia per quelle più grandi e apparentemente pacifiche, quali i paesi del Sudamerica, dove, al di sotto di un'apparente compiuta integrazione, si rinviene una persistente contrapposizione tra i discendenti delle popolazioni bianche conquistatrici, i quali formano la classe dirigente, i discendenti di quanti nacquero dalla commistione delle razze, che si collocano a un livello sociale intermedio, e i discendenti delle popolazioni autoctone sottomesse, che si trovano per lo più ai livelli più bassi della struttura gerarchica. Esistono poche eccezioni, come nelle Mauritius e nelle Seychelles. Negli stessi Stati Uniti, dov'è oggi in vigore una legislazione non discriminatoria, che equipara, sotto il profilo giuridico, i discendenti degli schiavi neri e degli indigeni americani, nonché gli appartenenti alle diverse minoranze etniche divenuti cittadini, ai discendenti delle popolazioni bianche dominanti, i cosiddetti w.a.s.p., le contrapposizioni tra le diverse etnie e le diverse razze sono estremamente forti. Il medesimo fenomeno, dell'equilibrio instabile e precario tra le diverse etnie, interessa alcune città europee, per esempio Londra, e comincia a presentarsi in Italia.
Rilevato, quindi, che il testo unificato in esame muove dal presupposto che la diversità etnica culturale sia fattore di arricchimento e di crescita, esprime l'avviso che tale presupposto sia sbagliato: da una rapida rassegna dell'esperienza delle numerose comunità multietniche esistenti al mondo emerge che là dove convivono più etnie e culture la convivenza è sempre difficoltosa ed è fonte di conflittualità e di disagio sociale. La ragione sta forse nella natura dell'uomo, che si trova a proprio agio solo quando si sente a casa propria e tende a percepire l'estraneo, il diverso, come minaccioso e pericoloso. Tale fenomeno, del resto, si verifica anche all'interno delle società non multietniche, com'era fino a pochi anni fa quella italiana, dove sempre accade che gruppi con caratteristiche minoritarie, come ad esempio gli omosessuali, siano discriminati o emarginati. Il disagio generato dalla presenza dell'estraneo provoca, a sua volta, reazioni anche violente. Tutto ciò, ancorché non sia un bene, fa parte della natura dell'uomo e occorre quindi, a suo giudizio, tenerne conto.
Dopo aver constatato che i movimenti migratori sono oramai un dato incontrovertibile del mondo moderno e che è impensabile tentare di reprimerli o di contrastarli, si dice convinto che l'unica via per assicurare la coesistenza delle diverse etnie che risiedono su un medesimo territorio sia l'integrazione. Premesso poi che sulle vie per giungere all'integrazione c'è dibattito fra gli studiosi, esprime l'opinione che l'integrazione presupponga un rapporto equilibrato tra tre fattori: il numero degli stranieri immigrati rispetto a quello della popolazione originaria, l'ampiezza del territorio sul quale i nuovi venuti possono distribuirsi e il tempo richiesto per l'inserimento. Solo se questi tre fattori sono in equilibrio c'è possibilità di integrazione compiuta, in quanto è possibile che lo straniero, a contatto con la maggioranza residente, ne acquisti i costumi e i modi di pensare, ancorché apportandovi innovazioni feconde che la comunità locale abbia a sua volta il tempo di assimilare. Dove, per contro, l'immigrazione è troppo numerosa, o investe un


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territorio già densamente popolato, o sia troppo rapida, l'integrazione difficilmente si realizza.
Esprime quindi l'avviso che, proprio in vista della realizzazione di una società multietnica integrata e non conflittuale, che è senz'altro l'obiettivo perseguito dal provvedimento in esame, si debba utilizzare l'attribuzione della cittadinanza non come mezzo per l'integrazione degli stranieri, bensì, al massimo, come coadiuvante. In altre parole, la cittadinanza dovrebbe, a suo avviso, intervenire solo quando siano già autonomamente maturati le condizioni e i presupposti per l'integrazione, ossia dopo un congruo periodo di permanenza legale dello straniero sul territorio dello Stato. Dove, per contro, la cittadinanza sia riconosciuta anzitempo, quando i presupposti per l'integrazione non sono maturi e l'assimilazione dello straniero alla comunità locale non sia avvenuta, essa diventa un ostacolo all'integrazione, in quanto lo induce a sentirsi a casa propria e quindi in diritto di contrapporsi apertamente alla comunità autoctona o originaria.
In conclusione, auspica che la maggioranza accetti di rivedere in senso più restrittivo e gradualistico i criteri per l'attribuzione della cittadinanza agli stranieri che giungono in Italia, al fine di assicurare le condizioni per una vera integrazione non conflittuale.

Mercedes Lourdes FRIAS (RC-SE), premesso che il ragionamento sviluppato dal deputato Rivolta nel suo intervento meriterebbe un commento puntuale e ben più approfondito di quello che svolgerà in questa sede, si limita a rilevare che esso scaturisce da un equivoco di fondo, ossia dalla confusione tra quanto, negli esseri umani, è un dato immutabile, come la componente biologica e di storia personale, e quanto è invece un dato mutevole, come la cultura e le convinzioni. In altre parole, ritenere, come fa il deputato Rivolta, che l'integrazione debba essere assimilazione dello straniero all'autoctono equivale a ritenere impossibile o difficile l'integrazione. L'idea di fondo, infatti, è che l'identità culturale sia qualcosa di connaturato e immutabile, come un dato biologico, e che lo straniero debba conformarsi e assimilarsi alla cultura tradizionale della comunità locale, senza conservare una sfera di autonomia e di diversità.
Fa presente che gli stranieri che chiedono la cittadinanza di un Paese manifestano già solo con questo una forte volontà di integrazione, ossia una volontà di radicamento sul territorio e di appartenenza alla comunità di quel Paese nel lungo periodo. La stessa volontà di integrazione manifestano imparando la lingua italiana, trovando lavoro in Italia, adempiendo agli stessi doveri che gravano sui cittadini, per esempio quelli contributivi, e mandando i propri figli in scuole italiane ad imparare l'italiano e a socializzare con coetanei italiani. Si tratta, quindi, di un'integrazione che, nei suoi aspetti fondamentali - la condivisione della lingua, del lavoro e dei legami personali - è di fatto già avvenuta in quanti chiedono la cittadinanza. Le diversità che restano - come ad esempio le scelte alimentari, che riflettono la storia personale, o le convinzioni religiose - appartengono, a suo giudizio, alla sfera privata dei singoli e alle loro specificità individuali e non sono ragione di conflitto. La conflittualità delle società menzionate dal deputato Rivolta è infatti dovuta, a suo avviso, a dissensi di carattere economico e politico, esattamente gli stessi che si verificano tra le diverse componenti delle società tradizionali ed omogenee, e non a diversità etnico-culturali.
Entrando poi nel merito del testo unificato predisposto dal relatore, considera come l'elemento più importante e qualificante dello stesso l'introduzione dello ius soli come criterio di attribuzione della cittadinanza. Altri profili qualificanti sono, a suo avviso, che l'attribuzione della cittadinanza ai minori sia stata slegata dalla volontà dei genitori, che non sia previsto il requisito del reddito dei genitori per la cittadinanza dei figli, che sia possibile conservare una doppia cittadinanza e che il Governo sia chiamato a concreti interventi per favorire l'integrazione linguistica


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e sociale dello straniero. Ritiene per contro necessaria un'ulteriore riflessione in ordine ad alcuni altri punti del teso in esame: si riferisce, tra l'altro, alla previsione di una prova di conoscenza della lingua italiana e al mantenimento del requisito del reddito per l'attribuzione della cittadinanza; a quest'ultimo riguardo ricorda che la prima ondata di immigrazione in Italia era formata per lo più da donne che svolgevano lavori domestici e che oggi vivono di pensioni minime. Con riferimento poi all'ipotesi di reiezione dell'istanza di attribuzione della cittadinanza, ritiene che la valutazione della sussistenza di eventuali elementi di pericolo per la sicurezza dello Stato dovrebbe essere rimessa all'autorità giudiziaria, e non lasciata al Governo. Ritiene, infine, che si dovrebbe ridurre della metà il tempo di permanenza sul territorio in tutti i casi in cui essa sia prevista come requisito.

Francesco ADENTI (Pop-Udeur), intervenendo a nome del proprio gruppo, esprime apprezzamento per il testo unificato predisposto dal relatore, che ringrazia per il lavoro svolto. Pur condividendo i valori e gli obiettivi di fondo sottesi al testo base, fa presente l'opportunità di apportarvi alcune modifiche. Osserva preliminarmente che la concessione della cittadinanza rappresenta un significativo strumento del processo di integrazione, che deve essere concepito in un'ottica temporale di lungo periodo, a carattere generazionale. Per quanto concerne il periodo di soggiorno legale minimo richiesto all'immigrato al fine della concessione della cittadinanza, ritiene che questo debba essere comunque il più possibile uniforme alla media dei principali paesi europei. Osserva in proposito che l'ordinamento tedesco prevede un termine minimo di otto anni, mentre quello spagnolo ne prevede dieci. Reputa pertanto che tale termine, anche al fine di evitare di predisporre un percorso di acquisizione della cittadinanza troppo rapido, che pregiudicherebbe l'azione di contrasto al fenomeno della immigrazione clandestina, potrebbe essere elevato a sette anni.
Si sofferma quindi sulla lettera c) del comma 1 dell'articolo 1 del testo base, che stabilisce che è cittadino per nascita chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente nel nostro paese senza interruzioni da almeno tre anni. In proposito ritiene necessario chiarire il significato della locuzione «senza interruzioni», che potrebbe impedire, al fine della maturazione del requisito, la possibilità di fare rientro nel paese di origine anche per necessità obiettive quali ad esempio lutti o motivi di carattere sanitario; al riguardo fa presente che si potrebbe utilizzare il criterio applicato nel Regno unito, dove si richiede allo straniero la permanenza per un certo numero complessivo di giorni. Conclude sottolineando l'opportunità di approfondire la questione relativa al mantenimento o meno della cittadinanza di origine al momento dell'acquisizione di quella italiana.

Carlo COSTANTINI (IdV) osserva che dall'approvazione della legge n. 91 del 1992 sono trascorsi quindici anni, durante i quali si è determinato un radicale mutamento dei presupposti che diedero origine alle scelte operate a suo tempo dal legislatore, il quale mutamento rende oggi necessaria la revisione di quella legge. Cita ad esempio la presenza, sul territorio nazionale, dei minori stranieri, che erano poche migliaia all'inizio degli anni novanta e che oggi sono 600.000. Si tratta di persone che frequentano le nostre scuole, costituendo ormai una quota rilevante e sempre crescente della popolazione scolastica, e che tuttavia attraversano tutto il periodo fondamentale della crescita e della formazione della personalità in condizioni di estraneità in quello che pure ritengono il loro paese. Attualmente, infatti, secondo la legge n. 91 del 1992, il minore nato in Italia può chiedere la cittadinanza solo al raggiungimento del diciottesimo anno di età. Osserva inoltre che gli stranieri residenti in Italia e potenzialmente interessati al conseguimento della cittadinanza italiana erano anch'essi solo alcune decine di migliaia all'inizio degli anni novanta, mentre sono diventati oggi 4 milioni, determinando


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così un contesto radicalmente nuovo, del quale è urgente prendere atto anche a livello legislativo.
Dopo avere ringraziato il relatore per il lavoro svolto, osserva che l'esame del provvedimento in oggetto deve tenere necessariamente conto delle dinamiche assunte negli ultimi anni dal fenomeno dell'immigrazione e dei rischi che le nuove dimensioni di tale fenomeno portano con sé. Ritiene necessario quindi considerare gli effetti che dall'eventuale approvazione di tale provvedimento deriveranno su milioni di immigrati e sulle relative famiglie. Si riserva pertanto di presentare emendamenti che possano migliorare il testo, con l'obiettivo di valorizzare il contributo offerto alla nostra società dal fenomeno dell'immigrazione regolare, ma, al contempo, anche di contenere i rischi ed i pericoli che il medesimo fenomeno porterebbe con sé qualora la concessione della cittadinanza fosse erroneamente ritenuto un semplice strumento per favorire l'integrazione e non invece il punto di arrivo di un percorso non legato semplicemente al decorso di un certo periodo di tempo. Fa presente che il proprio gruppo ritiene che la concessione della cittadinanza non produca automaticamente l'integrazione e che pertanto essa debba essere concepita come un punto di arrivo del processo di integrazione, capace di stimolarla proprio perché condizionata alla sussistenza di fattori e di requisiti ulteriori rispetto al semplice decorso di un termine.
Si sofferma quindi su alcune modifiche che ritiene debbano essere apportate al testo base. Ritiene preliminarmente opportuno elevare il limite di cinque anni di residenza legale minima dello straniero, previsto dall'articolo 4 del testo base, per ricondurlo nella media dei termini previsti dagli ordinamenti degli altri paesi europei. Reputa altresì opportuna una modesta elevazione del termine previsto alla lettera c) dell'articolo 1 del testo base, nonché l'introduzione di un termine di residenza legale, seppure breve, anche alla successiva lettera d).
Con riferimento all'articolo 3, relativo al matrimonio, ritiene opportuno aggiungere al requisito della residenza legale quello dell'assenza dal paese per un periodo non superiore ad un determinato numero di giorni, secondo il modello adottato nel Regno Unito.
Fa quindi presente l'opportunità di prevedere, mutuandola dalle esperienze di altri paesi, la presenza del cosiddetto requisito di «onorabilità», che attiene alla regolarità negli adempimenti fiscali in genere, nonché di riflettere sulla ipotesi che l'acquisizione della cittadinanza italiana lasci impregiudicata la possibilità di conservare la cittadinanza del paese di origine, riservandosi in proposito di assumere una posizione definitiva nel corso dell'esame.
Rileva quindi l'opportunità di prevedere, al fine dell'acquisizione della cittadinanza da parte dello straniero, il requisito della conoscenza della lingua italiana in termini più stringenti rispetto al testo base, nonché la conoscenza comprovata di elementi di storia e cultura italiana ed europea e di educazione civica, oltre ad una attività di verifica finalizzata ad accertare la conoscenza dei principi costituzionali che esprimono i valori e le regole di convivenza nel nostro ordinamento ed il rispetto della persona e dei suoi diritti. Ritiene, infine, opportuno prevedere un termine certo per la conclusione del procedimento di attribuzione della cittadinanza.
Conclude riservandosi di presentare specifici emendamenti in Commissione e durante il successivo iter legislativo, in coerenza con le considerazioni testé svolte a nome del gruppo dell'Italia dei Valori.

Dario RIVOLTA (FI), svolgendo alcune ulteriori considerazioni in relazione alle posizioni emerse nel dibattito, afferma di essere un relativista culturale e di non identificarsi perciò in nessun sistema culturale chiuso e dato una volta per tutte. Si dice anzi convinto che una cultura non possa chiudersi alle altre e che le culture diverse non possano, incontrandosi, che influenzarsi reciprocamente in una maniera che è nel lungo periodo feconda e costruttiva. Ritiene tuttavia anche che nell'immediato


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questo processo di integrazione sia costruttivo non quando le diverse culture si incontrano su un piede di parità - perché allora inevitabilmente si contrappongono frontalmente - bensì quando una di esse sia in posizione di preminenza numerica e possa quindi svolgere la funzione di polo di catalizzazione. In questo caso, infatti, l'integrazione è tendenzialmente assimilazione della cultura minoritaria a quella maggioritaria, anche se poi nel lungo periodo appare evidente che anche quest'ultima è stata a sua volta influenzata dalla prima. Chiarisce poi che la sua idea di «autoctono» non è biologica, come ha inteso il deputato Frias, bensì culturale, ruotando intorno ad una comunanza di principi e valori e ad un sentimento di appartenenza e di riconoscimento reciproco, e quindi in sostanza intorno ad un'identità collettiva riassumibile in un «noi».
In conclusione, dichiara di non essere pregiudizialmente contrario ad una cittadinanza fondata sullo ius soli anziché sullo ius sanguinis. Ritiene infatti che l'adozione dell'uno piuttosto che dell'altro criterio sia essa stessa un fatto culturale, nel senso che ogni comunità ha una certa idea del legame che la fonda, attribuendo, a seconda dei momenti storici, un maggior peso al fatto della discendenza di sangue piuttosto che allo stare assieme. Ciò premesso, si dice non contrario all'allargamento della cittadinanza sulla base dello ius soli, ma auspica che tale allargamento avvenga con la necessaria gradualità.

Roberto ZACCARIA (Ulivo) rileva preliminarmente come, quando si esamina un provvedimento della rilevanza di quello in esame, emergono differenziazioni culturali sulle diverse problematiche. Fa presente che il testo unificato predisposto dal relatore, che è stato adottato dalla Commissione come testo base, rappresenta, nel perimetro dei valori costituzionali vigenti, la piattaforma su cui impostare l'esame del testo del provvedimento, le cui scelte di fondo ritiene però non debbano essere stravolte. In particolare osserva che il testo base prevede che la cittadinanza possa essere acquisita mediante attribuzione in presenza di determinati requisiti. Al riguardo ritiene che l'eventuale modifica dell'impianto del testo, prefigurata dalle riserve espresse dal deputato Adenti e, soprattutto, dal deputato Costantini, rischierebbe di pregiudicare le scelte di fondo già manifestate dalla Commissione al momento dell'adozione del testo base, vanificando il lavoro svolto finora dal relatore.

Marco BOATO (Verdi) dichiara di concordare con l'intervento svolto dal deputato Zaccaria, del quale condivide le preoccupazioni.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sui lavori della Commissione.

Marco BOATO (Verdi) esprime soddisfazione per l'approvazione, da parte del Senato, nel testo predisposto dalla Camera, del progetto di legge costituzionale di modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte (C. 193 e abb.), ed invita la Presidenza a prevederne la calendarizzazione in Commissione quanto prima, tenuto conto del fatto che sono già trascorsi i tre mesi, previsti dall'articolo 138 della Costituzione, dalla deliberazione della Camera in prima lettura.

Luciano VIOLANTE, presidente, assicura che l'esame del provvedimento sarà avviato tempestivamente, non appena trasmesso dal Senato ed assegnato alla Commissione.

La seduta termina alle 15.30.