XII Commissione - Mercoledì 4 aprile 2007


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ALLEGATO 1

Nuove norme in materia di parto. (C. 589 Lucchese, C. 1237 Palumbo, C. 1447 Bianchi e Poretti, C. 1611 Poretti, C. 1923 Governo, C. 1632 Dioguardi, C. 1754 Zanotti e Nicchi e C. 2230 Consiglio regionale del Piemonte).

TESTO UNIFICATO ELABORATO DAL COMITATO RISTRETTO ADOTTATO COME TESTO BASE

NORME PER LA TUTELA DEI DIRITTI DELLA PARTORIENTE, LA PROMOZIONE DEL PARTO FISIOLOGICO E LA SALVAGUARDIA DELLA SALUTE DEL NEONATO

Articolo 1.
(Finalità).

1. La presente legge persegue le seguenti finalità:
a) promuovere un'appropriata assistenza alla nascita, tutelando i diritti e la libera scelta della gestante;
b) assicurare la tutela della salute materna, il benessere del nascituro e quello delle famiglie nell'esperienza della genitorialità;
c) assicurare adeguati livelli di assistenza in tutte le situazioni di gravidanza e di parto a rischio dal punto di vista medico, psicologico e sociale;
d) promuovere un'assistenza ostetrica appropriata alla gravidanza a basso rischio, al parto fisiologico e al puerperio;
e) potenziare l'attività dei consultori familiari, anche nell'attività di prevenzione, mediante l'attivazione di programmi specifici per la salute preconcezionale e riproduttiva, per la tutela della maternità e del nascituro e per la promozione dell'allattamento al seno;
f) promuovere la più ampia conoscenza delle modalità di assistenza e delle pratiche socio-sanitarie raccomandate, con particolare riferimento agli incontri di accompagnamento alla nascita, anche al fine dell'apprendimento e dell'uso delle modalità, farmacologiche e non farmacologiche, per il controllo del dolore nel travaglio-parto, ivi comprese le tecniche che prevedono il ricorso ad anestesie locali e di tipo epidurale;
g) favorire il parto fisiologico e promuovere l'appropriatezza degli interventi, al fine di ridurre in modo consistente il ricorso al taglio cesareo e incentivare l'allattamento al seno, secondo le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS);


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h) assicurare la qualità dell'assistenza ostetrica anestesiologica e pediatrico-neonatologica nel periodo perinatale da valutare con indicatori scientifici adeguati;
i) contrastare le diseguaglianze territoriali e sociali nell'accesso ai servizi per la tutela materno-infantile, anche mediante l'adozione del modello operativo basato sull'offerta attiva e migliorando la fruibilità dei servizi da parte della popolazione più svantaggiata nonché prevedendo l'attuazione di programmi di assistenza socio-sanitaria e di mediazione culturale per le donne immigrate, favorendone l'integrazione;
l) promuovere l'informazione, l'assistenza e la consulenza alle donne e alle famiglie per gli interventi efficaci nell'ambito del puerperio e della salute psico-fisica relazionale nel periodo successivo al parto;
m) promuovere la continuità assistenziale per tutta la durata della gravidanza, nel periodo della nascita e dopo la nascita, garantendo l'integrazione tra territorio e strutture ospedaliere;
n) assicurare al neonato, durante il periodo di ospedalizzazione, la continuità del rapporto familiare-affettivo applicando il protocollo OMS-UNICEF «Ospedale amico del bambino» e fornire ai genitori ogni informazione sullo stato di salute del neonato e sui comportamenti atti a garantire lo stato di benessere del neonato medesimo.

Articolo 2.
(Livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore della gestante, della partoriente e del neonato).

1. Con la procedura prevista dall'articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, si provvede alla rimodulazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore della gestante, della partoriente e del neonato, in base alle seguenti priorità:
a) l'aggiornamento e la verifica delle prestazioni previste per l'assistenza preventiva per la salute preconcezionale e in gravidanza;
b) nel quadro di una sempre maggiore umanizzazione dell'evento nascita, il controllo e la gestione del dolore nel travaglio-parto, anche mediante il ricorso a tecniche avanzate di anestesia locale e di tipo epidurale.
c) l'allattamento materno precoce e il rooming-in;
d) la dimissione precoce, appropriata e condivisa della partoriente e del neonato nell'ambito di percorsi assistenziali specifici che comprendano risposte multidisciplinari, rivolte sia alla madre che al bambino nell'ambito dell'integrazione ospedale-territorio;
e) l'assistenza specialistica per la donna che presenta difficoltà di ordine psicologico, sociale o di dipendenza da sostanze;


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f) la garanzia di un'adeguata rete di emergenza per il neonato e per la gestante, favorendo, ove possibile, il trasferimento della gestante presso un centro appropriato.

2. Con la medesima procedura indicata al comma 1 sono contestualmente rimodulati i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali diverse da quelle di cui al medesimo comma 1, al fine di garantire la copertura dei maggiori oneri derivanti dall'attuazione di quanto disposto al comma 1 stesso.

Articolo 3.
(Integrazione al Piano sanitario nazionale 2006-2008).

1. Su proposta del Ministro della salute, il Governo e le regioni, in coerenza con il Piano sanitario nazionale 2006-2008, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 2006, stipulano, a integrazione del Piano sanitario nazionale stesso, una intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, finalizzata alla promozione delle attività volte a realizzare le finalità di cui alla presente legge.
2. Nell'ambito dell'intesa di cui al comma 1 le regioni concordano, nell'ambito dell'1,3 per cento delle risorse complessive poste in disponibilità per il Servizio sanitario nazionale e vincolate ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, l'entità della quota da destinare all'attuazione delle finalità della presente legge, tenuto conto degli interventi già attivati con tali risorse.
3. Il Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 9 dell'intesa tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano 23 marzo 2005, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005, individua le modalità di monitoraggio della presente legge.

Articolo 4.
(Campagna di informazione).

1. Il Ministro della salute, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, promuove campagne informative nazionali per diffondere la conoscenza in ordine agli incontri di accompagnamento alla maternità e alla nascita, alla prevenzione delle gravidanze e dei parti a rischio, alla scelta del luogo e delle modalità del parto nonché alla possibilità di accedere al parto-analgesia, anche al fine di favorire una libera e consapevole scelta da parte delle donne.
2. Le regioni e le aziende sanitarie locali determinano le modalità di partecipazione alla campagna di cui al comma 1 da parte dei consultori familiari previsti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, e successive modificazioni, e dei medici di medicina generale.


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Articolo 5.
(Incontri di accompagnamento alla maternità e alla nascita).

1. Le aziende ospedaliere e le ASL, anche attraverso il personale addetto ai consultori familiari, integrato da altri operatori del Servizio sanitario nazionale, coordinano appositi incontri di accompagnamento alla maternità e alla nascita, nel corso dei quali sono fornite informazioni sul percorso nascita, sui luoghi dove partorire, sulle metodiche di assistenza al travaglio-parto, comprese le tecniche per la gestione del dolore, e sull'allattamento al seno.

Articolo 6.
(Assistenza alla nascita).

1. Al fine di favorire l'unitarietà dell'assistenza durante la gravidanza, il parto e il puerperio, deve essere realizzato il collegamento funzionale tra i consultori familiari, le strutture ospedaliere e i servizi territoriali extraospedalieri presenti nel territorio attraverso un'azione di coordinamento attuata dai dipartimenti materno-infantili.
2. Le ASL provvedono a garantire, anche nell'ambito delle prestazioni dei servizi consultoriali e ambulatoriali e con la dotazione del personale necessario, il potenziamento degli interventi per l'assistenza alla donna durante tutto il periodo della gravidanza e, in particolare:
a) l'utilizzazione, su scala nazionale, di una cartella ostetrica computerizzata, nella quale sono annotati tutti i dati relativi alla gravidanza; tali dati, su richiesta, devono essere messi a disposizione della donna e degli operatori che la assistono durante e dopo il parto. Il Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto da emanare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, predispone il modello base della cartella ostetrica computerizzata, in modo da garantirne l'accessibilità a livello nazionale;
b) la realizzazione degli incontri di accompagnamento alla maternità e alla nascita, di cui all'articolo 5;
c) l'accertamento e la certificazione delle gravidanze a rischio e la individuazione dei fattori di rischio per la gravidanza;
d) l'assistenza sociale e psicologica nei punti nascita per affrontare le situazioni a rischio di carattere psichico e sociale con interventi immediati e prevedendo l'attivazione del rapporto con le strutture territoriali competenti.

3. L'assistenza sanitaria concernente le gravidanze a rischio è demandata, a partire dal momento dell'accertamento, alle strutture specialistiche pubbliche o private accreditate di II e III livello.


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4. Le strutture specialistiche pubbliche o private accreditate favoriscono, su espresso consenso della madre, la dimissione precoce e protetta della madre e del figlio, nell'ambito di un percorso integrato con i servizi territoriali, garantendo la possibilità di controlli ambulatoriali, nonché l'assistenza domiciliare integrata (alla madre e al neonato) per il controllo del puerperio, del neonato, per il sostegno dell'allattamento al seno, e, qualora fosse necessario, con l'apporto dei servizi psicologici e sociali di distretto. Le équipe interessate sono collegate, per le rispettive competenze, ad un medico ginecologo-ostetrico e ad un medico neonatologo o pediatra con formazione specifica, per eventuali prestazioni di carattere specialistico.
5. È favorita la presa in carico più precoce possibile del neonato da parte del medico pediatra di libera scelta.

Articolo 7.
(Livelli di cura).

1. Ad ogni madre e ad ogni nato, nell'ambito delle strutture ospedaliere, devono essere assicurate l'assistenza di personale dotato di competenze specifiche sia mediche sia infermieristiche e l'aderenza ai requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici definiti dai progetti obiettivo in materia materno-infantile, individuati dal Piano sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 1, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
2. L'assistenza ospedaliera al neonato è articolata su tre livelli di cura, secondo le indicazioni contenute nel progetto obiettivo in materia materno-infantile
3. Tutti gli ospedali pubblici e privati accreditati dotati di punto nascita, anche se privi di strutture operative complesse di neonatologia e di terapia intensiva neonatale, devono disporre di posti letto per cure minime ed intermedie, nell'ambito di unità operative di pediatria o di neonatologia.
4. Nei centri di II e III livello neonatologico devono essere assicurate una adeguata dotazione di posti letto per la gravidanza a rischio e la presenza di una struttura di terapia intensiva per l'assistenza della donna in condizioni critiche nel periodo immediatamente precedente e successivo al parto. Inoltre, nei punti nascita di II livello deve essere presente una guardia medica anestesiologica attiva ventiquattro ore su ventiquattro.

Articolo 8.
(Requisiti organizzativi e di personale).

1. Tutti i presidi sanitari pubblici o privati accreditati dotati di una unità operativa complessa di ostetricia devono essere dotati delle figure professionali necessarie per assicurare la più qualificata assistenza ostetrico-ginecologica, anestesiologica e psico-sociale, nonché i servizi di rianimazione primaria materna e neonatale.


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2. Il responsabile della procedura clinica ostetrico-ginecologica per tutta la durata del travaglio e del parto è un medico ginecologo, fatte salve le competenze specifiche del personale ostetrico.
3. Nell'ambito della sala parto, o in un locale direttamente comunicante con essa, deve essere predisposta una zona per le prime cure e l'eventuale intervento intensivo sul neonato, denominata «isola neonatale».
4. Responsabile dell'assistenza nell'isola neonatale è un medico neonatologo o un medico pediatra con competenze neonatologiche. Nelle strutture di cui è prevista la guardia attiva ventiquattro ore su ventiquattro del medico neonatologo o del medico pediatra con competenze neonatologiche, essi devono garantire l'assistenza al neonato in sala parto.

Articolo 9.
(Incentivi).

1. Il rimborso alle strutture sanitarie per i parti vaginali, spontanei o operativi, e per quelli con taglio cesareo deve essere stabilito attraverso un unico raggruppamento omogeneo di diagnosi e cura (DRG) da definire con decreto del Ministro della salute. Il DRG per il parto deve tenere conto dei costi effettivi e differenziati per l'assistenza al travaglio-parto per via vaginale o con taglio cesareo relativi sia all'impegno di personale medico e ostetrico sia alle tecnologie necessarie.
2. Le ASL, corrispondono previa richiesta e presentazione delle parcelle degli onorari, una somma corrispondente a non oltre il 70 per cento del DRG per il parto a chi ha partorito a domicilio.

Articolo 10.
(Formazione e aggiornamento del personale).

1. II personale sanitario del SSN addetto all'assistenza socio-sanitaria della donna durante la gravidanza, il parto, il puerperio e l'allattamento deve essere aggiornato e riqualificato ai sensi della presente legge. Il Ministro della salute, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua con proprio decreto i contenuti delle attività di formazione del personale medico e non medico addetto alle sale parto e di quello di anestesia per una corretta pratica della analgesia durante il travaglio. Gli operatori devono essere tra loro funzionalmente collegati in senso dipartimentale.
2. Per favorire gli scambi tra gli operatori di cui al comma 1 possono essere previsti comandi temporanei del personale dalle strutture territoriali alle strutture ospedaliere e alle strutture universitarie, e viceversa.


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3. Le regioni, di intesa con le aziende ospedaliere, con le aziende sanitarie locali e con i servizi socio-sanitari operanti nel territorio, promuovono corsi di aggiornamento in educazione continua in medicina (ECM) per il personale di cui al comma 1.
4. I corsi di aggiornamento e di riqualificazione del personale di cui al comma 1 perseguono i seguenti obiettivi:
a) riqualificazione del personale impiegato nei vari servizi e del personale convenzionato, in funzione di assistenza al parto;
b) aggiornamento specifico sulle tecniche e sulle metodologie ostetriche e sulle tecniche di parto-analgesia naturali e farmacologiche;
c) formazione pluridisciplinare degli operatori, comprensiva sia degli aspetti medico-sanitari sia delle problematiche sociali, culturali e psicologiche collegate all'evento nascita e alle esperienze della maternità.

Articolo 11.
(Parto fisiologico).

1. Nei reparti ospedalieri è garantita la possibilità di usufruire di spazi adeguati ai quali possa avere libero accesso la persona con cui la donna desideri condividere l'evento travaglio-parto-nascita. Compatibilmente con le indicazioni mediche deve essere evitata l'imposizione di procedure e di tecniche che risultino non rispondenti alla volontà della partoriente.
2. In base alle indicazioni dell'OMS, le modalità assistenziali devono garantire:
a) il pieno rispetto delle esigenze biologiche e fisiologiche della donna e del nascituro;
b) la promozione delle tecniche e dei metodi naturali e farmacologici per la gestione del dolore durante il travaglio e il parto e nel periodo successivo al parto;
c) un ambiente confortevole e rispettoso dell'intimità;
d) la possibilità della presenza del medico di fiducia;
e) la promozione dell'allattamento al seno immediatamente dopo la nascita e nei primi mesi di vita del bambino, secondo le indicazioni dell'OMS e dell'UNICEF.

3. Durante la permanenza della donna nella sala parto e nel corso del periodo di degenza la madre e il figlio devono avere la possibilità di restare l'una accanto all'altro e deve, inoltre, essere consentita la permanenza del padre o di altra persona indicata dalla donna.
4. I servizi socio-sanitari operanti sul territorio assicurano l'assistenza domiciliare al puerperio e all'allattamento, attraverso l'individuazione di percorsi personalizzati.


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Articolo 12.
(Luoghi per il parto fisiologico).

1. Per garantire alla donna il diritto a vivere l'evento travaglio-parto-nascita in un contesto umanizzato e sicuro, il parto può svolgersi:
a) in strutture sanitarie pubbliche o private accreditate o autorizzate;
b) in case di maternità individuate nell'ambito di eventuali progetti di ristrutturazione o costruzione da parte delle regioni e delle aziende sanitarie locali;
c) a domicilio.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le strutture pubbliche o private accreditate o autorizzate, individuate dalle regioni, attrezzano spazi adeguati per il parto e idonei a consentire l'effettuazione delle tecniche di parto-analgesia, e, successivamente al parto, in collaborazione con le unità operative neonatologiche, il contatto tra la madre e il bambino.
3. Gli spazi di cui al comma 2 sono realizzati, nell'ambito dei Piani di razionalizzazione dei punti nascita definiti dalle regioni in rapporto a ottimali bacini di utenza, dalle aziende sanitarie nell'ambito dei progetti di ampliamento, di ristrutturazione e di costruzione di reparti ostetrici, pediatrici, neonatologici ed anestesiologici ovvero, in attesa della realizzazione delle nuove strutture, tramite una riorganizzazione funzionale degli esistenti reparti ostetrici, pediatrici, neonatologici ed anestesiologici.

Articolo 13.
(Parto a domicilio).

1. Il parto a domicilio avviene per libera scelta della partoriente, dopo che essa è stata adeguatamente informata dei rischi e dei benefici e abbia sottoscritto la dichiarazione per il consenso informato.
2. Il medico ginecologo e l'ostetrica che hanno seguito la donna valutano e certificano se le condizioni di fisiologicità della gravidanza e di salute della partoriente e del nascituro nonché la situazione logistica ed igienico-sanitaria del suo domicilio siano adeguate alla richiesta di parto a domicilio.
3. L'ostetrica assicura alla donna, per almeno dieci giorni a decorrere dal momento del parto, un'adeguata assistenza al puerperio e all'allattamento al seno. Il controllo pediatrico del neonato deve essere effettuato entro ventiquattro ore dalla nascita, salvo che condizioni cliniche di emergenza richiedano un intervento più precoce. Deve altresì essere compilata una cartella neonatale nella quale risulti l'effettuazione degli screening e delle profilassi obbligatori.


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4. Il medico ginecologo e l'ostetrica che hanno seguito la donna la inviano, in caso di gravidanza a rischio o di patologie rilevanti ai fini dello stato di gravidanza, alle strutture competenti intraospedaliereed extraospedaliere, garantendo la continuità dell'assistenza.
5. Le regioni possono individuare le zone sanitarie nelle quali sperimentare servizi di parto a domicilio in attuazione delle disposizioni del presente articolo individuando le strutture ospedaliere di competenza alle quali fare riferimento. La azienda sanitaria locale competente per territorio garantisce tale servizio attraverso équipe, anche in regime di convenzione, di ostetriche itineranti per i giorni successivi al parto. Le équipe sono collegate a un medico pediatra e a un medico ginecologo reperibili per prestazioni di competenza specialistica.
6. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute provvede, con proprio decreto, all'adozione di linee-guida per l'assistenza al parto e al puerperio a domicilio.

Articolo 14.
(Servizio di trasporto materno e neonatale).

1. Al fine del tempestivo ricovero nei punti nascita, si applicano i criteri di riconoscimento delle gravidanze, dei parti e delle condizioni neonatali a rischio individuati dall'OMS.
2. In casi di particolare gravità, il trasporto assistito deve essere effettuato da personale con competenze specifiche, mediante il servizio di trasporto d'emergenza, e deve afferire a strutture assistenziali di II o di III livello, utilizzando un'unità mobile attrezzata per le cure intensive da prestare in corso di trasferimento.

Articolo 15.
(Donazione e raccolta del sangue del cordone ombelicale).

1. Lo Stato e le regioni promuovono la donazione e la raccolta del sangue del cordone ombelicale. La conservazione è consentita sia per uso autologo sia per uso allogenico per scopi terapeutici, clinici o di ricerca.
2. Le divisioni di ostetricia diffondono la cultura della donazione del sangue del cordone ombelicale informando le gestanti delle potenzialità della donazione, delle possibili utilizzazioni e dell'assoluta mancanza di ogni rischio per sé e per il neonato, e garantendo a tutte le partorienti il prelievo.
3. La conservazione del sangue del cordone ombelicale per uso autologo avviene senza oneri per lo Stato in istituti pubblici o privati accreditati dalle regioni e convenzionati con centri trasfusionali autorizzati. Sono fatti salvi i casi di conservazione autologa o destinata a consanguinei per patologia in atto o previa presentazione di motivata documentazione clinico sanitaria.


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Articolo 16.
(Cartella clinica neonatale).

1. Per ogni nato vivo deve essere compilata una cartella clinica personale, anche ai fini della compilazione della scheda di dimissione ospedaliera, contenente, oltre ai dati previsti dalle disposizioni vigenti in materia, i rilievi sulla gravidanza, sul parto e sull'adattamento neonatale. Tale disposizione si applica anche nel caso di parto a domicilio.
2. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute provvede, con proprio decreto, all'adozione delle linee-guida generali per la formulazione da parte delle regioni della cartella clinica di cui al comma 1.

Articolo 17.
(Controlli post-natali).

1. Tutti i neonati, in attesa che si completino i processi fisiologici di adattamento neonatale, devono essere sottoposti ai comuni controlli dei parametri vitali durante l'osservazione transizionale.
2. Qualora il neonato necessiti di cure speciali che determinano il temporaneo distacco dalla madre, deve essere assicurata, nelle forme possibili, la permanenza della stessa in spazi contigui e adeguati, anche in caso di degenza in terapia intensiva neonatale.
3. Per tutto il periodo di ospedalizzazione del neonato ai sensi del comma 2, la madre, o un altro familiare in sua vece, deve poter usufruire dei servizi di pernottamento e di vitto a carico della competente azienda sanitaria locale.

Articolo 18.
(Interventi a favore delle gestanti per garantire il segreto del parto).

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano garantiscono gli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti presenti sul proprio territorio, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica, che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati ed al segreto del parto. Alle gestanti e ai loro nati sono altresì garantiti gli interventi per la continuità assistenziale e per il loro reinserimento sociale.
2. Gli interventi di cui al comma 1 costituiscono livello essenziale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
3. Le leggi regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano individuano, ai sensi dell'articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli enti locali titolari degli interventi e le modalità di esercizio degli stessi.


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Articolo 19.
(Relazione al Parlamento).

1. Il Ministro della salute presenta annualmente al Parlamento, entro il mese di giugno, una relazione sullo stato di attuazione della presente legge.

Articolo 20.
(Applicazione della disciplina in materia di attività usuranti).

1. Al personale del ruolo medico dei ginecologi, anestesisti e neonatologi e dei profili professionali ostetrici e infermieristici operante nelle unità di terapia intensiva neonatale e in pronto soccorso ostetrico si applicano i benefici previsti dal decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, e successive modificazioni, nonché i provvedimenti attuativi previsti dall'articolo 12 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.


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ALLEGATO 2

Indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SULLE CONDIZIONI SOCIALI DELLE FAMIGLIE IN ITALIA

I N D I C E

1. IL PROGRAMMA E GLI OBIETTIVI DELL'INDAGINE CONOSCITIVA

2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO NELLA XIII, NELLA XIV E NELLA XV LEGISLATURA
2.1 Provvedimenti approvati nella XIII legislatura.
2.1.1 La riforma dell'assistenza (legge n. 328 del 2000).
2.1.2 Misure a favore dei portatori di handicap e dei minori.
2.1.3 Interventi a sostegno della maternità e della paternità, per il diritto di cura.

2.2 I Provvedimenti approvati nella XIV legislatura.
2.2.1 L'utilizzo delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali a favore della famiglia.
2.2.2 I contributi a favore dei bambini neonati o adottati.
2.2.3 Asili nido.
2.2.4 Il fondo famiglia e solidarietà.
2.2.5 Interventi a sostegno della maternità e paternità; provvedimenti a favore dei portatori di handicap.
2.2.6 Interventi nel campo della giustizia.
2.2.7 Interventi nel settore della scuola e della formazione.
2.2.8 Misure di sostegno del reddito.

2.3 I provvedimenti approvati nella XV legislatura.
2.3.1 Le competenze istituzionali.
2.3.2 Le risorse per la famiglia.
2.3.3 Piano servizi socio-educativi.


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2.3.4 Fondo per le non autosufficienze.
2.3.5 Fondo per le politiche giovanili.
2.3.6 Il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.
2.3.7 Interventi di natura fiscale e misure di sostegno al reddito.
2.3.8 Interventi a sostegno della maternità e paternità e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
2.3.9 Interventi nel settore della scuola e della formazione.
2.3.10 Interventi per fronteggiare il disagio abitativo.

3. LE TRASFORMAZIONI DELLE DINAMICHE FAMILIARI, LE CRITICITÀ CONSEGUENTI E I POSSIBILI INTERVENTI
3.1. Il processo di trasformazione delle famiglie.
3.1.1. Le trasformazioni demografiche.
3.1.2. I modelli familiari.
3.1.3. Rapporto famiglia-lavoro.
3.1.4. Le dinamiche familiari.
3.1.5. Il benessere socio-economico.

3.2 Le criticità conseguenti alle trasformazioni evidenziate.
3.2.1 La denatalità.
3.2.2 Le difficoltà nelle relazioni intrafamiliari.
3.2.3 Le difficoltà nella gestione del rapporto famiglia-lavoro; l'aggravamento della posizione della donna nello svolgimento delle funzioni lavorative e familiari.
3.2.4 Il ruolo di protezione sociale della famiglia.
3.2.5 Gli aspetti problematici del sistema fiscale.
3.2.6 Gli aspetti problematici delle politiche sociali.
3.2.7 Gli squilibri del sistema previdenziale.
3.2.8 Le lacune del sistema di sostegno alla non autosufficienza e alla disabilità.
3.2.9 Le criticità connesse alla condizione economica delle famiglie; impoverimento e sovraindebitamento.
3.2.10 Le carenze del sistema sanitario
3.2.11 Le difficoltà delle famiglie immigrate.

3.3 I possibili interventi per migliorare il sostegno alle famiglie.


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1. IL PROGRAMMA E GLI OBIETTIVI DELL'INDAGINE CONOSCITIVA

L'indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia è stata deliberata dalla XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati il 1o agosto 2006, dopo aver acquisito l'intesa del Presidente della Camera ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento.
Come evidenziato nel programma approvato dalla Commissione, il ricorso all'indagine conoscitiva è parso necessario anche in relazione alle numerose iniziative parlamentari promosse nel corso della XIII e XIV legislatura in ordine alle tematiche della famiglia.
Nel settore socio-assistenziale occorre tener conto della riforma del titolo V della Costituzione e dei relativi effetti sulla legislazione.
In considerazione della complessità e delicatezza del tema, gli obiettivi dell'indagine conoscitiva investono una pluralità di profili.
In primo luogo, il programma dell'indagine conoscitiva rimarcava l'esigenza di acquisire un quadro completo delle iniziative regionali e locali, assunte in attuazione sia della legge 8 novembre 2000, n. 328 sia dei provvedimenti in campo sociale e assistenziale adottati dalle singole Regioni, ivi inclusi quelli specificamente rivolti al sostegno della famiglia. La ricostruzione di tale quadro era diretta ad acquisire una migliore conoscenza dello stato dei servizi sociosanitari ed educativi, nelle diverse realtà territoriali, anche in relazione all'attività di sostegno svolta dalle associazioni di volontariato e dal terzo settore nel suo complesso.
In secondo luogo, l'indagine risultava finalizzata ad ottenere elementi di valutazione sull'esperienza offerta da alcune misure previste dalla legislazione nazionale, quali gli assegni di maternità, gli assegni ai nuclei familiari, i contributi per i genitori dei bambini nati o adottati, il reddito minimo di inserimento, gli assegni nei casi di invalidità civile, cecità e sordomutismo (per i quali non è stata attuata la delega al Governo che ne prevedeva il riordino).
In terzo luogo, è parso utile acquisire dati ed informazioni sull'attività svolta, prevalentemente a livello tecnico, per la definizione dei livelli delle prestazioni sociali, di cui all'articolo 46 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (LEP o LIVEAS).
Va rilevato, peraltro, che l'indagine ha perseguito, unitamente all'obiettivo di verificare l'efficacia degli strumenti previsti dalla normativa vigente per il sostegno alle famiglie, anche la finalità di analizzare, più in generale, l'evoluzione del ruolo e delle condizioni sociali della famiglia, in relazione ai cambiamenti economici, demografici e culturali intervenuti nella società italiana nel corso degli


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ultimi trenta anni. Secondo le linee di indirizzo definite nel programma, tale analisi era destinata a concentrarsi sui compiti di assistenza e solidarietà svolti dalle famiglie, quale momento di solidarietà intergenerazionale, nei confronti dei soggetti più deboli, come gli anziani non autosufficienti, i disabili ed i figli. Contestualmente, è stata rimarcata l'esigenza di un maggiore approfondimento in merito alla domanda di servizi e prestazioni da parte delle famiglie sul versante sanitario, su quello dell'accesso ai servizi sociali, sulle forme di sostegno al reddito più idonee al superamento delle disuguaglianze, delle condizioni di povertà, di esclusione sociale (in particolare della popolazione immigrata) e delle diversità territoriali esistenti nel nostro Paese.
Il programma dell'indagine precisa, inoltre, che gli elementi di conoscenza acquisiti sono propedeutici ad una ridefinizione degli strumenti previsti dalla legislazione vigente e alla promozione di politiche integrate a favore delle famiglie (in particolare per quelle con figli a carico), che consentano, tra l'altro, di definire i nuovi livelli delle prestazioni sociali, secondo quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione. In tale contesto, è stata evidenziata l'opportunità di dedicare una particolare attenzione ai servizi per i portatori di handicap e per gli anziani non autosufficienti.
Per quanto concerne i risvolti economico-finanziari, il programma ha messo in luce l'esigenza di avviare un dibattito sull'entità delle risorse finanziarie destinate sia al Fondo nazionale per le politiche sociali (come affermato anche dalla Corte costituzionale) sia al Fondo nazionale per le politiche della famiglia e, più in generale, agli interventi di natura socio-assistenziale.
La Commissione ha deliberato di procedere nell'indagine conoscitiva attraverso lo svolgimento di un ciclo di audizioni alle quali ha dedicato 13 sedute. In particolare, sono stati auditi i rappresentanti dei seguenti soggetti:
ISTAT;
Fondazione CENSIS;
Organizzazioni sindacali: CGIL, CISL, UIL, UGL;
Osservatorio nazionale sulla famiglia;
Istituti previdenziali: INPS e INPDAP;
Associazioni delle famiglie: Forum delle associazioni familiari, Associazione nazionale famiglie numerose (ANFN), Coordinamento genitori democratici (CGD), Lega italiana famiglie di fatto (LIFF);
Conferenza delle regioni e delle province autonome;
ANCI;
Associazioni dei disabili: Federazione italiana per il superamento dell'handicap (FISH), Federazione delle associazioni nazionali dei disabili (FAND), Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base (CSA);
Associazioni dei consumatori: Associazione per la difesa e l'orientamento dei consumatori (ADOC), Associazione per i diritti degli


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Utenti e Consumatori (ADUC), Associazione difesa consumatori e ambiente (ADICONSUM), Unione nazionale consumatori, FEDERCONSUMATORI, CODACONS, CITTADINANZATTIVA, Lega consumatori;
Associazioni imprenditoriali: Confindustria, Confapi, Confartigianato, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, Confcommercio, Confesercenti, Confederazione italiana agricoltori, Coldiretti, Confagricoltura e Casartigiani;
Istituzioni religiose: Commissione episcopale per la famiglia e per la vita presso la CEI, Consulta per l'Islam italiano, UCEI-Unione delle comunità ebraiche, Assemblee di Dio in Italia (ADI)-Chiese cristiane evangeliste, Unione delle chiese cristiane avventiste del 7o giorno e Federazione delle Chiese evangeliche in Italia;
Associazionismo e terzo settore: Forum terzo settore, Caritas, Comunità S. Egidio, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie-ANFAA, Movimento italiano genitori-MOIGE, Associazione genitori de la Nostra Famiglia, Centro accoglienza Le Onde di Palermo, Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico-ASSINDATCOLF, Associazione ACLI-COLF, Il Melograno-Associazione per i diritti civili delle persone vedove, Ageing Society-Osservatorio terza età;
docenti universitari, esperti della materia e Istituti culturali, di ricerca e a carattere scientifico: prof.ssa Chiara SARACENO, professore ordinario di sociologia della famiglia presso l'Università di Torino, prof. Filippo VARI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università europea di Roma, Centro internazionale studi famiglia (CISF), Associazione nazionale «Crescere insieme»);
operatori nel campo dell'assistenza sociale e loro ordini professionali e di docenti universitari, esperti della materia e Istituti culturali, di ricerca e a carattere scientifico (Associazione nazionale giuristi democratici, Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali, Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali, Associazione nazionale assistenti sociali);
Organi giurisdizionali che operano nel campo del diritto minorile e di famiglia: tribunale per i minorenni di Venezia, I Sezione del tribunale civile di Roma, procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni di Roma, Ufficio del giudice tutelare presso il tribunale di Roma sezione famiglia e minori della corte d'appello di Milano.

Il ciclo delle audizioni si è concluso con l'intervento del Ministro delle politiche per la famiglia, On. Rosy Bindi.
Gran parte dei soggetti auditi ha sottoposto all'attenzione della Commissione documentazione scritta in ordine alla tematica in esame. Il termine per la conclusione dell'indagine è stato fissato alla data del 31 marzo 2007.


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2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO NELLA XIII, NELLA XIV E NELLA XV LEGISLATURA

2.1 Provvedimenti approvati nella XIII legislatura.

2.1.1 La riforma dell'assistenza (legge n. 328 del 2000).

Le linee guida della legge di riforma dell'assistenza si collocano in una prospettiva federalista, valorizzando il ruolo dei comuni e assicurando il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. In particolare:
spetta allo Stato l'individuazione dei livelli essenziali, da definirsi in sede di piano nazionale di assistenza, e la ripartizione annuale delle risorse;
alle regioni sono attribuiti compiti di programmazione, anche al fine di integrare i servizi in esame con quelli garantiti in altri settori (sanitario, scolastico, avviamento o reinserimento in attività lavorative ecc.) e di definire gli ambiti territoriali ottimali;
alle province è affidata la raccolta delle informazioni sulle conoscenze e sui bisogni in ambito provinciale ai fini del funzionamento del sistema informativo dei servizi sociali;
ai comuni è demandata la gestione delle competenze oggi frammentate in distinti settori d'intervento e la partecipazione al procedimento di definizione degli ambiti territoriali.

La riforma mira ad assicurare un sistema integrato di servizi sociali, a promuovere gli interventi per garantire la qualità della vita e pari opportunità, riducendo le condizioni di disagio sociale, derivanti dall'inadeguatezza del reddito, da difficoltà sociali e condizioni di non autonomia. Il provvedimento detta inoltre disposizioni per la promozione di particolari misure sociali tra cui la realizzazione di progetti individuali per persone disabili, il sostegno domiciliare per anziani non autosufficienti, misure di valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari. Il provvedimento provvede altresì al riordino di tutti gli emolumenti che a vario titolo sono corrisposti in campo sociale.
La riforma prevede anche l'adozione di una carta dei servizi sociali, da parte di coloro che erogano i servizi medesimi, nella quale siano indicati i criteri per l'accesso e le modalità di funzionamento e ogni utile informazione per i potenziali utenti nonché le procedure per assicurare la tutela di questi ultimi. Altro utile strumento volto ad


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assicurare la conoscenza dei bisogni sociali è il sistema informativo dei servizi sociali, che lo Stato, le regioni, le province ed i comuni sono tenuti ad istituire.
Nel provvedimento sono, infine, previste diverse disposizioni per il coinvolgimento pieno, secondo il cosiddetto «principio di sussidiarietà orizzontale» dei soggetti pubblici e privati e, in particolare di quelli del privato sociale: ONLUS, fondazioni, associazioni, cooperative sociali, volontariato. Si tratta di un coinvolgimento che riguarda sia la fase della programmazione degli interventi sia quella della gestione della rete dei servizi.
Per la realizzazione delle finalità della riforma è previsto un incremento del Fondo per le politiche sociali.
In realtà l'evoluzione della dotazione delle risorse del Fondo è quella che risulta dalla seguente tabella:

Anno
Risorse complessive del Fondo nazionale per le politiche sociali
2001 1.590.713.072
2002 1.622.889.199
2003 1.716.555.931
2004 1.884.346.940
2005 1.308.080.940
2006 1.624.922.940
2007 1.637.141.000

Tra i livelli essenziali delle prestazioni sociali sono indicate anche misure di sostegno per le donne in difficoltà e misure di sostegno per le responsabilità familiari.
Le misure di sostegno per le donne in difficoltà devono garantire la continuità dei benefici recati dalle disposizioni previste a sostegno delle ragazze madri e dei bambini in stato di adottabilità. Relativamente al sostegno delle responsabilità familiari, si precisa che il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostiene l'associazionismo tra le famiglie e valorizza il ruolo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l'offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi.
Agli operatori è affidato il compito di coinvolgere e di responsabilizzare le persone e le famiglie per migliorare la qualità e l'efficienza degli interventi nell'ambito dell'organizzazione dei servizi. Nella predisposizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili nel territorio nazionale, e nei progetti obiettivo devono essere favorite le relazioni e la solidarietà tra generazioni.


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Ai comuni è riconosciuta la facoltà di concedere prestiti sull'onore consistenti in finanziamenti a tasso zero (secondo piani di restituzione concordati con il destinatario del prestito) per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l'autonomia finanziaria dei nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi di grave difficoltà economica.

2.1.2 Misure a favore dei portatori di handicap e dei minori.

a) I portatori di handicap.

La legge 21 maggio 1998, n. 162, recante «Norme di sostegno in favore di persone con handicap grave», affida alle regioni il compito di programmare interventi di sostegno familiare (aggiuntivi rispetto ai servizi operanti sul territorio) a favore dei soggetti handicappati gravi - affetti cioè da tetraplegia, grave insufficienza intellettiva, da minorazioni singole o plurime di cui all'articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 - con un'età compresa tra i diciotto e i sessantaquattro anni.
Gli interventi di sostegno familiare possono attuarsi mediante:
forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale;
istituzione di servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza;
rimborso parziale delle spese documentate di assistenza alla persona con handicap grave.

La legge promuove inoltre la predisposizione di programmi atti a garantire, ai soggetti interessati, il diritto ad una vita indipendente e, a tal fine, dispone che le regioni disciplinino le modalità di realizzazione di specifici programmi di aiuto alle persone disabili gestiti in forma indiretta, anche mediante la predisposizione, su richiesta, di piani personalizzati con verifica della qualità e della efficacia delle prestazioni erogate.
Con la legge finanziaria per il 2001 sono state previste ulteriori stanziamenti a favore dei soggetti con handicap grave (100 miliardi per il 2001, articolo 81 della legge 388/2000), dei cittadini colpiti dal morbo di Hansen e dalla sindrome di Down (articolo 97 della legge citata).

b) Misure assistenziali a favore dei minori e degli adolescenti.

La legge 28 agosto 1997, n. 285, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», istituisce un Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza (confluito poi nel Fondo nazionale per le politiche sociali) finalizzato alla realizzazione di interventi che favoriscano la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la socializzazione dell'infanzia e


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dell'adolescenza. I progetti ammessi al finanziamento devono perseguire determinate finalità:
la realizzazione di servizi di contrasto della povertà e della violenza;
la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia;
la realizzazione di servizi educativi e ricreativi per il tempo libero;
la realizzazione di azioni che promuovano l'esercizio dei fondamentali diritti civili, la migliore fruizione dell'ambiente urbano e naturale da parte di minori, lo sviluppo della qualità della vita per i minori, nel rispetto delle diversità culturali ed etniche;
la realizzazione di azioni che offrano un sostegno economico o attraverso servizi alle famiglie con uno o più minori portatori di handicap.

Al fine di realizzare le finalità della legge, il Dipartimento per gli affari sociali è tenuto all'attivazione di un servizio di informazione, di monitoraggio e di supporto tecnico, che si avvale del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia sopracitato. Tra le proprie funzioni il servizio provvede alla creazione di una banca dati dei progetti realizzati a favore dell'infanzia e dell'adolescenza, favorisce la diffusione delle conoscenze e assiste gli enti locali e territoriali che lo richiedano nell'elaborazione dei progetti.
Il Ministro della solidarietà sociale trasmette annualmente una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge e indice periodicamente, almeno ogni tre anni, la Conferenza nazionale sull'infanzia e sull'adolescenza (1).

2.1.3 Interventi a sostegno della maternità e della paternità, per il diritto di cura.

La legge 8 marzo 2000, n. 53, recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e per il coordinamento dei tempi delle città», costituisce l'esito di una elaborazione teorica, normativa e di una mobilitazione sociale più che decennale.
Il testo approvato si propone di intervenire sulla legge n. 1204 del 1971 a tutela delle lavoratrici madri, di favorire un percorso di formazione continua, nonché di migliorare l'organizzazione dei tempi sociali, attraverso la promozione di orari dei trasporti, dei servizi di commercio e degli uffici della pubblica amministrazione più rispondenti ai bisogni di chi ne usufruisce.


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La legge n. 53 del 2000 si articola intorno a tre fondamentali nuclei tematici:
la riscrittura organica della normativa sulle assenze dal lavoro per l'assistenza ai figli e l'ampliamento delle forme di agevolazione destinate ai genitori di portatori di handicap;
l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'ampliamento dei congedi per la formazione;
il coordinamento degli orari delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la legge riconosce valore sociale al tempo dedicato alla cura dei figli e dei familiari, introducendo nuove e più flessibili forme di congedo, ampliando i diritti dei genitori naturali, adottivi o affidatari e favorendo una ripartizione più equa tra uomini e donne del lavoro di cura, attraverso la fruizione maschile dei congedi parentali.
L'introduzione dei congedi formativi afferma invece il diritto alla formazione continua ed apre nuovi spazi di crescita agli individui non più «ingabbiati» in un percorso di vita scandito irrevocabilmente nella successione tra formazione, lavoro e riposo.
Infine la legge si propone di attenuare la rigidità degli orari delle città, che sottrae tempo ad uomini e donne. Le norme in questione sviluppano principi già contenuti nella legge 8 giugno 1990, n. 142, trasformando quelle che erano opportunità in compiti per i comuni. Regioni e comuni, infatti, sono chiamati a concertare e promuovere piani territoriali degli orari e a negoziarli tra erogatori e fruitori dei servizi.
Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, successivamente modificato e integrato dal D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115, ha ridefinito in modo organico la disciplina dei riposi e dei permessi, stabilendo il diritto delle lavoratrici madri di fruire, durante il primo anno di età del bambino, di due periodi di riposo, di un'ora ciascuno (ridotti alla metà in presenza di asilo nido o struttura simile messi a disposizione dal datore), anche cumulabili durante la giornata. Detti riposi spettano al padre nelle ipotesi previste dall'articolo 40. I riposi sono raddoppiati in caso di parto plurimo (articolo 41) e le ore fruibili sono individuate secondo l'orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi (circolare INPS n. 109/2000).
Le richiamate disposizioni si applicano anche in caso di adozione entro il primo anno di vita del bambino (circolare INPS 7 maggio 2001, n. 97).
Egualmente, nel caso di adozione o di affidamento si applicano le disposizioni dell'articolo 42, riferite ai riposi e permessi per i figli con handicap grave (articolo 45). La Corte costituzionale con sentenza n. 104/2003 ha precisato che in caso di adozione o di affidamento ai genitori spettano i riposi giornalieri entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia (circolare INPS n. 91 del 2003).
L'articolo 43 stabilisce il trattamento economico dei riposi e dei permessi, consistente in un'indennità, a carico dell'ente assicuratore e pari alla retribuzione afferente agli stessi, anticipata dal datore di lavoro e successivamente da questi conguagliabile.


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Le giornate di riposo o di permesso sono coperte da contribuzione figurativa, volontaria o da riscatto (articolo 44; circolare INPS n. 123 del 2001 e n. 85 del 2002).
Entrambi i genitori hanno diritto, alternativamente, di astenersi dal lavoro per malattia di ciascun figlio di età non superiore a tre anni nonché, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per malattia di ogni figlio di età fra i tre e gli otto anni. Tali congedi spettano anche per le adozioni e gli affidamenti, ma i limiti di età del bambino sono in tali casi elevati a sei e otto anni; il congedo è fruito nei primi tre anni dall'ingresso nel nucleo familiare del minore che abbia a quel momento un'età compresa tra i sei e i dodici anni (articoli 47 e 50).
I congedi per malattia del figlio sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti su ferie e tredicesima mensilità (articolo 48).
I congedi per malattia del figlio danno luogo a copertura figurativa fino al terzo anno di età del bambino; successivamente, e fino all'ottavo anno, è possibile la copertura contributiva figurativa (circolare INPS 123 del 2001), da riscatto o volontaria, secondo quanto previsto dall'articolo 35, comma 2 (cfr. anche articolo 49).
Si ricorda infine che l'articolo 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), aggiungendo un comma finale (4-bis) all'articolo 4 della L. 53 del 2000, ha riconosciuto il diritto al congedo lavorativo di cui al comma 2 dello stesso articolo 4 ai genitori, anche adottivi, di persone con handicap in situazione di gravità (2), o ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi, in caso di scomparsa del genitore.

2.2 I Provvedimenti approvati nella XIV legislatura.

2.2.1 L'utilizzo delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali a favore della famiglia.

L'articolo 46 della legge n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) ha introdotto significative modifiche alla disciplina del Fondo per le politiche sociali, anche al fine di adeguare la legislazione alle novità introdotte con la riforma del titolo V della Costituzione ed ai poteri attribuiti alle Regioni nel campo della assistenza sociale.
In particolare, si dispone la tendenziale soppressione dei vincoli di destinazione posti dalle singole norme di settore; con D.P.C.M. dovevano essere stabiliti i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (il provvedimento non è stato emanato). In sede di riparto del Fondo tra le diverse finalità, sono assicurate innanzitutto le prestazioni costituenti diritti soggettivi, la cui gestione è affidata all'INPS (assegni ai nuclei familiari; assegni di maternità; agevolazioni per portatori di handicap etc). e almeno il 10% delle disponibilità del Fondo deve essere destinato alle politiche di aiuto alla formazione della famiglia, in particolare all'acquisto della prima casa di abitazione e al sostegno alla natalità.


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Negli anni successivi, nell'ambito di alcuni provvedimenti normativi statali, sono stati reintrodotti nuovi vincoli di destinazione per una parte delle risorse del Fondo, che hanno riguardato anche gli interventi a favore della famiglia.
Ad esempio, il decreto legge n. 269 del 2003, ha posto a carico del Fondo il finanziamento relativo all'assegnazione alle donne residenti in Italia della somma di 1.000 euro per ogni figlio successivo al primo, nato o adottato nel periodo tra il 1o dicembre 2003 e il 31 dicembre 2004, prevedendo un contestuale incremento delle risorse del Fondo medesimo.
In sede di legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003, articolo 3, commi 116 e 117) è stata poi modificata la destinazione di una parte delle risorse aggiuntive del Fondo nazionale delle politiche sociali stanziate per il 2004 dal decreto-legge n. 269 del 2003. Le nuove finalizzazioni sono così indicate:
a) politiche a favore della famiglia e, in particolare, degli anziani e disabili: 70 milioni di euro;
b) abbattimento barriere architettoniche (3): 20 milioni di euro;
c) integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap: 40 milioni di euro;
d) servizi per la prima infanzia e scuola d'infanzia: 67 milioni di euro.

È importante sottolineare che la Corte costituzionale si è pronunciata più volte su tali vincoli di destinazione. Con la sentenza n. 423 del 2004, la Corte affronta in modo organico la problematica del sistema di disciplina e finanziamento del Fondo per le politiche sociali, nella fase attuale di transizione al nuovo modello di federalismo fiscale delineato articolo 119 della Costituzione.
La Corte evidenzia la piena autonomia delle Regioni nella decisione in merito alla finalizzazione delle risorse del Fondo ad esse destinate, nel caso in cui il legislatore statale non individui le prestazioni erogabili in concreto e, pertanto, non si possano richiamare i «livelli essenziali delle prestazioni» di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione.
Tale indirizzo è stato confermato con la sentenza n. 118 del 2006.

2.2.2 I contributi a favore dei bambini neonati o adottati.

Il decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito nella legge n. 326 del 2003), prevede all'articolo 21 che alle donne residenti in Italia - purché cittadine italiane o di Paesi membri della comunità, senza limiti di reddito - sia assegnata la somma di 1.000 euro una tantum per ogni figlio nato o adottato successivo al primo (per data di nascita


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o di adozione). La nascita o l'adozione devono cadere nel periodo tra il 1o dicembre 2003 e il 31 dicembre 2004.
La legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005, articolo 1, commi 331-334) ha disposto nuove misure a sostegno dei genitori per l'anno 2006, a carico del Fondo per la famiglia e per la solidarietà sociale (vedi infra). In particolare, si prevede un assegno di 1.000 euro:
per ogni figlio nato o adottato nell'anno 2005;
per ogni figlio nato nel 2006, secondo o ulteriore per ordine di nascita, ovvero adottato.

Ai fini del riconoscimento dei benefici in esame, è stabilito un limite di reddito del nucleo familiare pari a 50 milioni di euro. Tale limite si riferisce al reddito dell'anno 2004 e a quello dell'anno 2005, rispettivamente, per le due fattispecie summenzionate. Per la nozione di nucleo familiare, si fa rinvio alla disciplina di cui all'articolo 1 del decreto ministeriale 22 gennaio 1993 (4).
L'onere quantificato per i benefici in esame è pari a 696 milioni di euro per il 2006.

2.2.3 Asili nido.

a) la previsione di nuove risorse finanziarie per lo sviluppo delle strutture.

L'articolo 70 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) disciplina il finanziamento e la promozione degli asili nido, definiti come le «strutture dirette a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni e a sostenere le famiglie e i genitori» che «rientrano nelle competenze fondamentali dello Stato, delle regioni e degli enti locali».
A tal fine è previsto un fondo per gli asili nido nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (pari a 50 milioni di euro per il 2002, 100 milioni di euro per il 2003 e 150 milioni di euro per il 2004).
Entro il 30 settembre di ciascun anno, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, è operato il riparto delle risorse del fondo tra le regioni. Queste ultime provvedono a ripartire le risorse finanziarie (statali e regionali) tra i comuni, singoli o associati, che ne facciano richiesta per la costruzione e la gestione degli asili nido nonché di micro-nidi nei luoghi di lavoro.
La legge disciplina inoltre l'istituzione di micro-nidi, nell'ambito dei propri uffici, da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti


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pubblici nazionali (per i figli dei relativi dipendenti), nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio. Gli standard minimi organizzativi devono essere definiti dalla Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali.
La legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003), all'articolo 91, istituisce, a decorrere dall'anno 2003, il Fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro al fine di realizzare, nei luoghi di lavoro, servizi di asili nido e micro-nidi; tuttavia con la sentenza n. 320 del 2004, è stata dichiarata l'illegittimità anche delle norme sul Fondo di rotazione per il finanziamento dei servizi di asili nido o micro nidi, di cui all'articolo 91 della legge n. 289 del 2002.
La Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi presentati da diverse Regioni in merito ai due Fondi statali destinati al finanziamento degli asili nido.
Con la sentenza n. 370 del 2003, la Corte ha dichiarato l'illegittimità di alcune disposizioni dell'articolo 70 della legge n. 448 del 2001, che vanno fatti rientrare nell'ambito della potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ritenendo prevalenti i profili della formazione ed istruzione pre scolare del bambino (oltre che ad alcuni profili della tutela del lavoro, connessi alla finalità di favorire la conciliazione tra tempi lavorativi ed impegni familiari).
La Corte ritiene illegittima, ai sensi dell'articolo 119 della Cost., la costituzione di un fondo statale a destinazione vincolata, perché non rientrante nella fattispecie di cui al comma quinto dello stesso articolo 119 Cost., in ordine agli interventi sociali a favore di determinate regioni o enti locali. Il Fondo in questione lederebbe pertanto l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, mantenendo indebitamente poteri discrezionali allo Stato.
La Corte ha altresì censurato un'altra disposizione dell'articolo 70, che affidava alla Conferenza Unificata Stato e autonomie locali la determinazione degli standard minimi organizzativi relativi ai micro nidi nei luoghi di lavoro, in quanto in tal modo si verrebbe a negare la competenza legislativa delle regioni, nell'ambito dei principi posti dal legislatore statale.
In attuazione di tale sentenza, le risorse del Fondo per gli asili nido sono confluite dell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali.

b) le agevolazioni fiscali.

La legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) , all'articolo 70, comma 6, ha stanziato 6 milioni di euro nel 2002, i 20 milioni nel 2003 e i 25 nel 2004 per la copertura degli oneri legati alla deduzione delle spese di partecipazione alla gestione dei micro-nidi e dei nidi nei luoghi di lavoro. In particolare, i genitori possono dedurre le spese per un importo complessivamente non superiore a 2.000 euro per ogni figlio ospitato negli asili. Lo stesso importo (e per lo stesso periodo) sarà deducibile per i datori di lavoro dal reddito di impresa o dal reddito di lavoro autonomo, per ciascun bambino ospitato negli asili. Si dispone che la deduzione spetta esclusivamente


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con riferimento ai micro-asili e ai nidi nei luoghi di lavoro gestiti dai Comuni.
Successivamente, la legge n. 289 del 2002 (articolo 91, comma 6) ha specificato che la norma di cui all'articolo 70, comma 6, si interpreta nel senso che la deduzione si applica con riferimento ai nidi ed ai micro-nidi gestiti sia dai comuni sia dai datori di lavoro.
La legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 335) consente la detrazione d'imposta del 19 per cento, limitatamente al periodo di imposta 2005, per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento delle rette degli asili nido.
La norma prevede un limite massimo di spesa di 632 euro annui per ciascun figlio che frequenti l'asilo nido. Pertanto, l'importo massimo della detrazione risulta di euro 120,08.

2.2.4 Il fondo famiglia e solidarietà.

Si rammenta, infine, che con la legge n. 266 del 2005 (5) è stata prevista la costituzione di un Fondo di 1.140 milioni di euro per il 2006 per interventi «volti al sostegno delle famiglie e della solidarietà per lo sviluppo socio economico». La quota più rilevante di tali risorse (696 milioni di euro) è destinata al sostegno dei genitori, con l'assegnazione di un assegno di 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato nell'anno 2005 e per ogni figlio nato nel 2006, secondo o ulteriore per ordine di nascita, ovvero adottato: tale misura ha un'efficacia limitata all'anno 2006.

2.2.5 Interventi a sostegno della maternità e paternità; provvedimenti a favore dei portatori di handicap.

Il decreto-legge 14 aprile 2003, n. 73 ha provveduto a reperire ulteriori risorse finanziarie, al fine di assicurare il finanziamento per gli assegni ai nuclei familiari con almeno tre figli minori (6) e per gli assegni di maternità (7).
L'articolo 1 della legge 15 ottobre 2003, n. 289, modificando il comma 2 dell'articolo 70 del D.Lgs. 151 del 2001, in merito all'indennità di maternità per le libere professioniste, ha stabilito che tale indennità, che viene corrisposta dalla cassa di previdenza alla quale la professionista è iscritta, è pari all'80% dei cinque dodicesimi (corrispondenti ai cinque mesi di copertura dell'indennità) del reddito da lavoro autonomo percepito e denunciato ai fini fiscali nel secondo anno precedente a quello della domanda.
Il D.Lgs. 23 marzo 2003, n. 115 ha provveduto ad integrare le disposizioni del D. Lgs. n. 151 del 2001, ampliando le tutele già previste in favore della maternità. In particolare si è prevista: la


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possibilità di collocare in mobilità anche le lavoratrici in stato di gravidanza e puerperio; l'estensione in favore di alcune categorie di lavoratrici autonome, compresi i genitori adottivi o affidatari, del congedo parentale facoltativo; l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riposi e permessi nel caso di adozione o di affidamento di soggetti con handicap grave.
Nell'ultimo scorcio della legislatura la legge 24 febbraio 2006, n. 104 ha esteso alle lavoratrici e ai lavoratori appartenenti alla categoria dei dirigenti, che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati, la tutela previdenziale relativa alla maternità prevista dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, con particolare riferimento al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ai congedi parentali, e al diritto ad usufruire di tali congedi per il padre lavoratore.
Inoltre, si è estesa la possibilità di usufruire dei permessi per i parenti che prestano assistenza a portatori di handicap. In particolare l'articolo 3, comma 106, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004), ha eliminato il riferimento al periodo temporale di almeno cinque anni ai fini dell'accertamento della situazione di gravità dell'handicap di una persona con riferimento alla quale i genitori o i fratelli o le sorelle conviventi chiedano di poter usufruire dei permessi e dei congedi previsti dalla normativa vigente.
Sempre in materia di accertamento dell'handicap, va ricordato il decreto legge n. 4 del 2006, in base al quale i portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescienti, inclusi i soggetti affetti da sindrome di talidomite, sono esonerati da ogni visita medica successiva volta a verificare la permanenza della patologia.

2.2.6 Interventi nel campo della giustizia.

La legge n. 54 del 2006 definisce una nuova disciplina dell'affidamento dei figli conseguente alla separazione personale dei genitori, allo scioglimento, all'annullamento, alla cessazione degli effetti civili, alla nullità del matrimonio; la disciplina si applica anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Il principio cardine della nuova normativa consiste nel privilegiare la soluzione dell'affidamento condiviso, che diviene la forma di affidamento prioritario dei figli minori di genitori separati, in modo che l'affidamento ad un solo genitore (attualmente prevalente) diventerebbe una soluzione soltanto residuale. La finalità cui risulta ispirata la nuova normativa è quella di salvaguardare il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura istruzione ed educazione da entrambi. Vengono poi dettagliatamente disciplinati i diversi aspetti collegati a tale modalità di affidamento e i diversi modi di composizione innanzi al giudice delle possibili controversie in merito. Oltre all'opposizione all'affidamento condiviso viene attribuita ad entrambi i genitori la facoltà di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli; vengono altresì dettate specifiche disposizioni processuali.
La legge n. 38 del 2006, anche in attuazione della decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea del 22 dicembre 2003, adegua il quadro legislativo vigente in materia di contrasto allo


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sfruttamento sessuale dei minori, alla manifestazione di nuove forme ed espressioni del drammatico fenomeno della pedofilia anche a mezzo dell'utilizzo dei moderni strumenti telematici. La legge, oltre ad intervenire sulla definizione delle fattispecie criminose contemplate nel codice penale, opera un complessivo aggravamento delle sanzioni amministrative e penali applicabili alle stesse, dettando anche alcune modifiche a norme processuali. Viene inoltre istituito e disciplinato il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, al quale devono pervenire tutte le segnalazioni su siti pedopornografici e che opera in coordinamento con altri organi ed uffici istituzionali e finanziari. Il Centro ha compiti informativi nei confronti della Presidenza del Consiglio, utili alla predisposizione del Piano nazionale di contrasto e prevenzione della pedofilia.
Si segnalano infine la legge n. 46 del 2002 (di ratifica dei Protocolli alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, uno dei quali riguarda la vendita e la prostituzione dei bambini e la pornografia infantile) e la legge n. 6/2004 che introduce nel Codice civile (agli articoli 404 e seguenti) l'inedita figura dell'amministratore di sostegno.

2.2.7 Interventi nel settore della scuola e della formazione.

a) Tasse scolastiche e buono scuola.

L'articolo 28 del d.lgs. n. 226 del 2005, emanato ai sensi della legge n. 53 del 2003 (cosiddetta «Legge Moratti»), recante le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ha disposto, a partire dall'anno scolastico 2006/2007, la gratuità dell'istruzione impartita nei i primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale.
Un contributo particolare alle famiglie (c.d. «buono scuola») è stato poi previsto per la frequenza delle scuole paritarie: la legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002, articolo 2, comma 7) ha infatti autorizzato a tal fine la spesa di 30 milioni di euro, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005. L'individuazione di un limite di reddito per l'accesso al beneficio, introdotta dalla legge finanziaria 2004 (legge n 350 del 2003, articolo 3, comma 94), è stata abrogata dal DL n. 35 del 2005 convertito dalla legge n 80 del 2005 (art 14, comma 8-bis).
Va ricordato che la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) aveva finalizzato una quota del Fondo per le politiche sociali (per l'importo massimo di 100 milioni di euro negli esercizi 2004-2006) all'erogazione del «buono scuola»; la norma è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 423 del 2004 in quanto lesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni.

b) Integrazione scolastica dei portatori di handicap.

La riforma del sistema dell'istruzione scolastica e professionale, delineata della legge delega 28 marzo 2003, n. 53 e dai successivi


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provvedimenti di attuazione, ha confermato sostanzialmente la disciplina vigente in materia di integrazione scolastica, recata da alcuni articoli della legge quadro sull'handicap (legge n. 104 del 1992), poi confluiti nel cosiddetto «Testo unico dell'istruzione» (d.lgs.. 16 aprile 1994, n. 297). Strumenti principali di tale integrazione, oltre alla fornitura degli ausili tecnici necessari, sono: un progetto educativo individualizzato, il supporto di insegnanti specializzati (cosiddetti «insegnanti di sostegno»); la limitazione del numero di alunni nelle classi che ospitano alunni diversamente abili.
Alcune disposizioni innovative sono state adottate nell'ambito delle misure volte alla razionalizzazione della rete scolastica ed al contenimento della spesa per i docenti di sostegno: la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003, articolo 35, co. 7) ha infatti ridefinito le modalità per l'accertamento dell'handicap, affidandolo ad una verifica collegiale delle ASL (anziché all'esame dello specialista della patologia denunciata ovvero dello psicologo in servizio presso le aziende sanitarie ); contestualmente la norma ha attribuito l'attivazione dei posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni (uno a 138, ai sensi dell'articolo 40 della legge n. 449 del 1997) al dirigente dell'ufficio scolastico regionale, anziché al dirigente scolastico.

c) Iniziative a favore degli studenti universitari.

La legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004, articolo 4, commi da 99 a 103) ha previsto la concessione di prestiti fiduciari agli studenti capaci e meritevoli istituendo e finanziando con 10 milioni di euro per il 2004, un Fondo per la costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti concessi da banche ed altri intermediari finanziari.
La legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria 2006, articolo 1, commi 554-556) ha poi istituito, e finanziato con 25 milioni di euro per il 2006, un Fondo per le spese sostenute dalle famiglie per le esigenze abitative degli studenti universitari.

2.2.8 Misure di sostegno del reddito.

La legge n. 350 del 2003 prevede, all'articolo 3, comma 101, che lo Stato concorra, insieme con le regioni, al finanziamento del reddito di ultima istanza, la cui istituzione è facoltà delle regioni: si tratta di un beneficio economico collegato ai programmi di reinserimento sociale e destinato, secondo la definizione di cui al presente comma, alle famiglie:
a rischio di esclusione sociale;
e i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro.


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La quota di risorse con la quale lo Stato concorre al reddito di ultima istanza (8) è determinata dal Ministro del lavoro a valere sulla dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali.
L'istituto del reddito di ultima istanza sostituisce, di fatto, il cosiddetto reddito minimo di inserimento, che il D.Lgs. n. 237/1998 aveva introdotto in alcune aree territoriali in via sperimentale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 423 del 2004 ha affermato l'illegittimità di tale disposizione. Il reddito di ultima istanza, destinato a soggetti in stato di particolare bisogno (e non esteso in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale), non è infatti riconducibile all'articolo 117, comma 2, lett. m) (livelli essenziali delle prestazioni) ma alla materia «servizi sociali» e, pertanto, rientra nella competenza esclusiva delle Regioni. Risulta pertanto illegittima la previsione di un cofinanziamento Stato-regioni per finalità di carattere assistenziale.

2.3 I provvedimenti approvati nella XV legislatura.

2.3.1 Le competenze istituzionali.

L'articolo 1, comma 19 lettera e) del Decreto legge 18 maggio 2006, n. 181 (9), Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia «nelle sue componenti e problematiche generazionali», nonché competenze concernenti gli interventi a sostegno della famiglia.
In particolare, sono trasferite le funzioni in passato esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 46, comma 1, lett. c) del D.lgs. 300/1999 per quanto concerne:
il coordinamento delle politiche a favore della famiglia;
gli interventi a sostegno della maternità e della paternità e di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia;
le misure di sostegno alla famiglia, alla genitorialità e alla natalità;
il supporto all'Osservatorio nazionale sulla famiglia (tenendo informato il Ministero della solidarietà sociale dell'attività relativa);
il supporto - unitamente al Ministero della solidarietà sociale - all'Osservatorio nazionale per l'infanzia e al Centro nazionale di documentazione e analisi dell'infanzia.

Come già ricordato, le competenze in materia di famiglia sono state precedentemente esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso la Direzione generale per la famiglia, i diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese (CSR).


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Nell'ambito del Governo Prodi, l'incarico relativo alle politiche per la famiglia è stato attribuito al Ministro senza portafoglio Rosy Bindi.

2.3.2 Le risorse per la famiglia.

L'articolo 19 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (10), Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri tre distinti Fondi per interventi riguardanti:
politiche della famiglia (comma 1);
politiche giovanili (comma 2);
politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (comma 3).

Lo stanziamento per ciascuno dei tre Fondi è pari a 3 milioni di euro per il 2006 e a 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2007.
In base al comma 1 il Fondo per le politiche della famiglia è espressamente finalizzato a:
«realizzare e promuovere interventi per la tutela della famiglia, in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali»;
«supportare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia».

Si ricorda, inoltre, che l'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia si basa su una convenzione a titolo oneroso tra l'ex Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Comune di Bologna con funzioni di Comune capofila (11). Della struttura, oltre alla costituzione di un apposito Comitato di coordinamento tecnico scientifico, supportato da esperti e rappresentanti delle Amministrazione e da componenti e rappresentanti delle istituzioni regionali, locali e del mondo dell'associazionismo, fanno parte i rappresentanti di 25 Comuni italiani.
L'Osservatorio svolge in particolare i seguenti compiti:
Osservazione dei cambiamenti strutturali della famiglia e delle tipologie familiari
Monitoraggio dei principali indicatori socio-demografici
Individuazione di nuovi modelli di relazione tra le famiglie, le istituzioni, l'associazionismo sociale e il sistema produttivo
Strategie per la promozione e il sostegno delle relazioni e responsabilità familiari.


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Raccolta e diffusione delle iniziative delle amministrazioni locali e delle associazioni promosse sul territorio nazionale;
Mappatura delle risorse esistenti sul territorio a sostegno delle famiglie
Raccordo con gli Osservatori già esistenti a livello regionale e locale;
Banca dati della legislazione esistente in campo nazionale e internazionale;
Analisi delle modalità di coordinamento e di raccordo nella governance delle politiche per la famiglia tra il livello nazionale, regionale, locale;
Analisi successive di impatto reale e differenziato per quanto riguarda la formazione delle famiglie, la procreazione, la cura e crescita dei figli, l'assistenza parentale;
Attività di rilevazione e monitoraggio su esperienze locali di solidarietà familiare e reti di associazioni familiari, con particolare attenzione alla costruzione di relazioni e raccordi con la gestione delle politiche locali.

Nel corso dell'audizione presso la XII Commissione della Camera, il Ministro Rosy Bindi ha sottolineato l'orientamento del Governo di «promuovere l'elaborazione di proposte di legge e progetti di interesse nazionale con il coinvolgimento delle autonomie regionali e locali e finanziati dal Fondo nazionale delle politiche della famiglia anche attraverso forme di cofinanziamento e partenariato». Il Ministro ha altresì espresso la volontà di potenziare il ruolo dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, che dovrà qualificarsi anche come organismo tecnico scientifico di supporto alla Presidenza del Consiglio, prevedendo l'apertura di una nuova sede in una regione del Mezzogiorno (cfr.seduta del 18 luglio 2006).
Successivamente con l'articolo 1, comma 1250 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) è stato disposto uno stanziamento di 210 milioni di euro per l'anno 2007 e 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, al fine di integrare le risorse del Fondo per le politiche per la famiglia.
Il predetto comma precisa anche che le risorse sono utilizzate per le seguenti finalità:
istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, prevedendo la partecipazione delle amministrazioni statali, delle regioni, degli enti locali e del terzo settore;
iniziative di conciliazione del tempo di vita e lavoro di cui alla legge 8 marzo 2000, n. 53;
iniziative per la riduzione dei costi dei servizi per le famiglie con numero di figli pari o superiore a quattro;


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iniziative di sostegno dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile (12), dell'Osservatorio per l'infanzia e del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia (13);
valorizzazione delle iniziative degli enti locali ed imprese in materia di politiche familiari;
sostegno delle adozioni internazionali e della Commissione per le adozioni.
Il comma 1251 ha altresì disposto che il Ministro per le politiche della famiglia utilizzi il Fondo per le seguenti ulteriori finalità:
finanziare, d'intesa con le altre amministrazioni statali e con la Conferenza unificata, un piano nazionale per la famiglia, acquisire indicazioni per il piano medesimo e verificarne l'efficacia, mediante l'organizzazione, con cadenza biennale, di una Conferenza nazionale sulla famiglia;
realizzare, in collaborazione con il Ministro della salute, un'intesa in sede di Conferenza unificata, relativa alla riorganizzazione dei consultori familiari;
promuovere un accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, d'intesa con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della pubblica istruzione, per la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari.

Il riparto delle risorse del Fondo tra gli interventi di cui ai commi 1250 e 1251 è effettuato con decreto del Ministro delle politiche della famiglia (comma 1252); lo stesso Ministro disciplina con proprio regolamento l'organizzazione amministrativa e scientifica dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia (comma 1253).


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2.3.3 Piano servizi socio-educativi.

I commi 1259-1260 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 promuovono lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi.
Il comma 1259 prevede che, fatte salve le competenze delle regioni e degli enti locali, il Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri della pubblica istruzione, della solidarietà sociale e per i diritti e le pari opportunità, promuove una intesa in sede di Conferenza unificata, avente ad oggetto la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei criteri sulla cui base le regioni attuano un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati.
L'intesa sopraccitata è stipulata ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (14), secondo il quale il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni, il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.
Il piano straordinario di cui sopra è finalizzato al conseguimento, entro il 2010, dell'obiettivo comune della copertura territoriale del 33 per cento fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 e alla riduzione degli squilibri esistenti tra le diverse aree del Paese.
Per le finalità del piano è autorizzata la spesa di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.
Il comma 1260, inoltre, prevede che per le finalità del piano possa essere utilizzata anche parte delle risorse stanziate per il Fondo per le politiche della famiglia di cui al comma 1250 della stessa legge finanziaria.
Si ricorda che il Consiglio europeo di Lisbona, nel marzo 2000, ha identificato lo sviluppo delle strutture per l'infanzia come uno degli snodi principali per l'incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro in modo da raggiungere l'obiettivo del 60 per cento entro il 2010. In particolare in Italia il dato relativo all'occupazione femminile nel 2005 (donne tra i 15 e i 64 anni) è pari al 45,3 per cento (15). In particolare, si è rilevata la necessità di favorire tutti gli aspetti delle pari opportunità, compresa la riduzione della segregazione occupazionale, e di rendere più facile la conciliazione della vita professionale con la vita familiare, anche effettuando una nuova analisi comparativa in materia di miglioramento dei servizi di custodia dei bambini.
Al fine di raggiungere gli obiettivi sopra indicati, nel marzo 2002, il Consiglio europeo di Barcellona ha invitato gli Stati membri ad


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elevare l'offerta di asili nido, in modo da consentirne la frequenza al 33% dei bambini sotto i tre anni entro il 2010 (16).
Si segnala che la norma appare individuare risorse destinate a promuovere la realizzazione di servizi socio educativi su tutto il territorio nazionale, affidando ad una intesa in sede di Conferenza unificata la definizione dei criteri e delle modalità del relativo riparto. Al riguardo, si ricorda che la materia è stata oggetto di diverse pronunce della Corte costituzionale, che hanno interessato, in particolare, le disposizioni della legislazione nazionale volte ad ampliare il numero degli asili nido e degli asili aziendali.
Con la sentenza 17-23 dicembre 2003, n. 370, la Corte ha dichiarato l'illegittimità di alcune disposizioni dell'articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, concernenti il finanziamento e la promozione degli asili nido. La Corte, anche sulla base dell'evoluzione normativa in merito alla funzione degli asili nido, ha ritenuto prevalenti i profili relativi alla formazione e all'istruzione pre-scolare del bambino, riconducendo pertanto gli interventi in materia nell'ambito della potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni.
La Corte ha ritenuto illegittima, ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, la previsione di un fondo statale a destinazione vincolata, in quanto non rientrante nella fattispecie di cui al quinto comma dello stesso articolo 119 Costituzione, in ordine agli interventi sociali a favore di determinate regioni o enti locali. Conseguentemente, secondo la Consulta, il Fondo in questione lederebbe l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, mantenendo indebitamente poteri discrezionali in capo allo Stato.
In attuazione di tale sentenza, le risorse del Fondo per gli asili nido sono confluite nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Con la sentenza 28 ottobre 2004, n. 320, è stata dichiarata l'illegittimità anche delle norme sul Fondo di rotazione per il finanziamento dei servizi di asili nido o micro-nidi, di cui all'articolo 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
La Corte, richiamando i principi contenuti nella sentenza n. 370 del 2003, ha ribadito che il sistema di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni delineato dall'articolo 117 della Costituzione «vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze».


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2.3.4 Fondo per le non autosufficienze.

L'articolo 1, comma 1264 della legge finanziaria per il 2007 ha istituito un Fondo per le non autosufficienze presso il Ministero della solidarietà sociale, al fine di attuare i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riferimento alle persone non autosufficienti.
La dotazione del Fondo è pari a 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 (17).
Il comma 1265 prevede inoltre che gli atti e i provvedimenti concernenti l'utilizzazione del suddetto Fondo siano adottati dal Ministro della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata.

2.3.5 Fondo per le politiche giovanili.

L'articolo 1, comma 1290, della legge finanziaria per il 2007 dispone un incremento dello stanziamento relativo al Fondo per le politiche giovanili di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.
Si ricorda che il Fondo per le politiche giovanili è stato istituito dall'articolo 19, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (18) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con la finalità di «promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale e all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso interventi volti ad agevolare la realizzazione del diritto dei giovani all'abitazione nonché a facilitare l'accesso al credito per l'acquisto e l'utilizzo di beni e servizi».
Lo stanziamento previsto dal citato decreto-legge n. 223 del 2006 è pari a 3 milioni di euro per il 2006 e a 10 milioni di euro annui dal 2007 (19).

2.3.6 Il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.

L'articolo 1, comma 1258, della legge finanziaria per il 2007, stabilisce che il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, previsto all'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285 (20), a


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decorrere dal 2007, è provvisto di una dotazione determinata annualmente dalla legge finanziaria, con le modalità di cui all'articolo 11, comma 3, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (21).
Le somme impegnate ma non liquidate, entro la chiusura dell'esercizio finanziario, in favore dei comuni indicati all'articolo 1, comma 2, della legge 28 agosto 1997, n. 285, sono conservate nella dotazione dello stato di previsione del Ministero della solidarietà sociale per cinque anni.
Il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, previsto all'articolo 1 della citata legge n. 285 del 1997, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed è finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale destinati a favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza.

2.3.7 Interventi di natura fiscale e misure di sostegno al reddito.

La legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), ha apportato significative modifiche alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), decorrenti dal 1o gennaio 2007.
In particolare l'articolo 1, comma 6, ha rideterminato gli scaglioni di reddito e le relative aliquote di imposta e ha introdotto detrazioni di importo differenziato per i redditi di lavoro dipendente, di pensione e di lavoro autonomo.
Con specifico riferimento al trattamento fiscale della famiglia si segnala la sostituzione delle deduzioni per oneri di famiglia (22), con detrazioni per carichi di famiglia, operata dalla lettera c) del citato articolo 1, comma 6.
Si ricorda innanzitutto che per deduzioni s'intendono i valori che si possono sottrarre dal reddito complessivo, con un beneficio rapportato all'aliquota marginale raggiunta dal contribuente. Queste operano pertanto in modo diverso rispetto alle detrazioni, che invece abbattono l'imposta da pagare.
Le deduzioni per oneri di famiglia vigenti sino al 31 dicembre 2006 erano le seguenti:
a) 3.200 euro per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
b) 2.900 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, nonché per ogni


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altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile (23) (persone obbligate agli alimenti) convivente con il contribuente o percipiente assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Tale somma doveva essere ripartita tra coloro che avevano diritto dalla deduzione;
c) 3.450 euro, per ciascun figlio di età inferiore a tre anni, in alternativa alla deduzione di cui alla precedente lettera b);
d) 3.700 euro, per ogni figlio portatore di handicap, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
e) 3.200 euro, per il primo figlio, se l'altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, ovvero se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato.

Era infine prevista una deduzione, di importo massimo pari a 1.820 euro, per le spese documentate sostenute dal contribuente, in proprio favore o nell'interesse delle persone indicate nell'articolo 433 del codice civile, per gli addetti alla assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana [la corrispondente detrazione è ora disciplinata dall'articolo 15, comma 1, lettera i-septies) del TUIR, come novellato dall'articolo 1, comma 319, della citata legge n. 296 del 2006].
Il previgente articolo 12 del TUIR prevedeva un meccanismo in base al quale si determinava, in misura decrescente al crescere del reddito, l'importo delle deduzioni sopra indicate effettivamente spettante al contribuente (24).
Le attuali detrazioni per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato sono le seguenti:
1) se il reddito complessivo non supera 15.000 euro: 800 euro diminuiti del prodotto tra 110 euro e l'importo corrispondente al rapporto fra reddito complessivo e 15.000 euro;


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2) se il reddito complessivo è compreso tra 15.001 e 40.000 euro: 690 euro. La detrazione è aumentata di un importo compreso tra 10 e 30 euro nei casi in cui il reddito complessivo è compreso fra 29.001 e 35.200;
3) se il reddito complessivo è compreso tra 40.001 e 80.000 euro: 690 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro.

Le attuali detrazioni per i figli a carico sono le seguenti:
800 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, di età superiore a tre anni;
l'importo è aumentato a 900 euro per ciascun figlio di età inferiore a tre anni;
per i contribuenti con più di tre figli a carico la detrazione è aumentata di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo;
l'importo base della detrazione è aumentato di 220 euro per ogni figlio portatore di handicap.

La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 95.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 95.000 euro; in presenza di più figli l'importo di 95.000 euro è aumentato, per tutti, di 15.000 euro per ogni figlio successivo al primo (25).
La detrazione per i figli a carico è ripartita tra i genitori, non legalmente ed effettivamente separati, nella misura del 50 per cento ciascuno (26). È consentito, sulla base di un accordo tra i genitori, attribuire interamente la detrazione al genitore con un reddito complessivo di ammontare più elevato, in modo da permettere, in caso di incapienza di uno dei genitori, il godimento per intero delle detrazioni da parte del genitore fiscalmente capiente.
Nel caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione, in mancanza di accordo, spetta al genitore affidatario del (o dei) figlio (figli). Nell'eventualità di un affidamento congiunto o condiviso, la detrazione è ripartita tra i genitori nella misura del 50 per cento ciascuno, in mancanza di diverso accordo.
È inoltre previsto, nell'ipotesi in cui il genitore affidatario o, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari, non possa usufruire, in tutto o in parte, della detrazione, per limiti di reddito,


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che la detrazione stessa è assegnata per intero all'altro genitore, il quale è tenuto a riversare al genitore affidatario l'intera detrazione o, in caso di affidamento congiunto, il cinquanta per cento, salvo diverso accordo.
Nel caso in cui un coniuge sia fiscalmente a carico dell'altro, la detrazione spetta a quest'ultimo per l'intero ammontare.
Infine, è statuito che per il primo figlio si applichino, se più convenienti, le detrazioni per il coniuge a carico non legalmente ed effettivamente separato, nei seguenti casi:
qualora l'altro genitore manchi o non abbia riconosciuto i figli naturali e il contribuente non sia coniugato o, se coniugato, si sia in seguito legalmente ed effettivamente separato;
qualora vi siano figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non sia coniugato o, se coniugato, si sia successivamente legalmente ed effettivamente separato.

Tale misura, già prevista dalla disciplina previgente, costituisce dunque un'agevolazione per le famiglie monoparentali.
È inoltre riconosciuta una detrazione di 750 euro, da ripartire pro quota tra coloro che ne hanno diritto, per ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile (persone obbligate agli alimenti) che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro.
Le detrazioni per carichi di famiglia spettano esclusivamente quando i rapporti contemplati nelle varie ipotesi sono numeri maggiori di zero e minori di uno. Se il rapporto è pari a zero, minore di zero o pari a uno le detrazioni non spettano (comma 4 del nuovo articolo 12 del TUIR).
È stato confermato che le detrazioni sopra indicate, come le precedenti deduzioni, spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.
Con la stessa legge n. 296 del 2006 sono state inoltre introdotte le seguenti misure in favore della famiglia:
detrazione del 19 per cento delle spese sostenute per l'iscrizione annuale e l'abbonamento ad associazioni sportive, palestre, piscine e altre strutture e impianti sportivi destinati alla pratica sportiva dilettantistica, per i ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni. Le spese sono ammesse in detrazione per un importo non superiore a 210 euro annui (articolo 1, comma 319);
detrazione del 19 per cento dei canoni di locazione derivanti dai contratti di locazione stipulati o rinnovati dagli studenti universitari fuori sede per unità immobiliari situate nello stesso comune in cui ha sede l'università o in comuni limitrofi. La disposizione richiede che la facoltà universitaria sia ubicata in un comune diverso da quello di residenza, il quale disti da quest'ultimo almeno 100 chilometri e sia


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comunque situato in una provincia diversa. Le spese sono ammesse in detrazione per un importo non superiore a 2.633 euro annui (articolo 1, comma 319);
detrazione del 19 per cento delle spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale (c.d. badanti), nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana. Le spese sono ammesse in detrazione per un importo non superiore a 2.100 euro annui. Possono beneficiare di tale agevolazione solo i contribuenti il cui reddito complessivo non ecceda i 40 mila euro (articolo 1, comma 319).
Precedentemente all'entrata in vigore della legge in esame (27), per queste spese era concessa una deduzione, fino ad un massimo di 1.820 euro, con previsione di un meccanismo in base al quale si determinava, in misura decrescente al crescere del reddito, l'importo della deduzione effettivamente spettante al contribuente (28);
detrazione del 19 per cento delle spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento delle rette degli asili nido. Le spese sono ammesse in detrazione per un importo non superiore a 632 euro annui. La detrazione è riconosciuta relativamente al solo periodo di imposta 2006 (articolo 1, comma 400) (29);
riconoscimento, per il solo triennio 2007-2009, delle detrazioni per carichi di famiglia in favore dei soggetti non residenti (30) (articolo 1, comma 1324).

L'articolo 1, comma 11 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) dispone una rideterminazione degli importi dell'assegno per il nucleo familiare e dei relativi limiti di reddito, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (31).
Si consideri che l'adeguamento degli importi dell'assegno per il nucleo familiare rientra nell'ambito del più ampio intervento di


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riduzione del cosiddetto «cuneo fiscale e contributivo» (32) di circa 5 punti percentuali rispetto alla retribuzione lorda, di cui 2 punti (cioè il 40% della riduzione complessiva) sono destinati a favore dei lavoratori dipendenti, attraverso misure dirette alla riduzione dell'IRPEF e, appunto, all'aumento degli assegni familiari (33).
Tali interventi, aumentando il reddito disponibile soprattutto per i lavoratori con carichi di famiglia, possono contribuire alle politiche di redistribuzione del reddito e di inclusione sociale.
Più in dettaglio, per quanto riguarda la rideterminazione dell'importo dell'assegno per il nucleo familiare, l'articolo 1, comma 11 della L. 296/2006 determina in via diretta i nuovi importi dell'assegno e dei relativi limiti di reddito consentendo, inoltre, che con decreto interministeriale venga operata un'ulteriore rimodulazione. In particolare si prevede che:
i livelli di reddito e gli importi annuali dell'assegno per il nucleo familiare, con riferimento ai nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili nonché ai nuclei familiari con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, sono rideterminati secondo la Tabella 1 allegata alla legge in esame, a decorrere dal 1o gennaio 2007 (lettera a));
gli importi degli assegni per tutte le altre tipologie di nuclei con figli sono rivalutati del 15 per cento, sempre con decorrenza dal 1o gennaio 2007 (lettera b));
i livelli di reddito e gli importi degli assegni per i nuclei con figli di cui alle lettere a) e b) nonché quelli per i nuclei familiari senza figli possono essere rimodulati ulteriormente con decreto interministeriale (34), secondo criteri analoghi a quelli adottati nella Tabella summenzionata, «anche con riferimento alla coerenza del sostegno dei redditi disponibili delle famiglie risultante dagli assegni per il nucleo familiare e dalle detrazioni a fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche» (lettera c));
nel caso di nuclei familiari con più di tre figli, o soggetti equiparati, di età inferiore a 26 anni compiuti, ai fini della determinazione dell'assegno, si prendono in considerazione, oltre ai figli


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minori, anche i figli che abbiano già compiuto diciotto anni, ma che non ne abbiano ancora compiuto ventuno, purché siano studenti o apprendisti (lettera d));
gli ordinari criteri di rivalutazione dei livelli di reddito e dell'importo dell'assegno non si applicano con riferimento al 2007 e trovano nuovamente applicazione a decorrere dal 2008 (lettera e)) (35).

L'articolo 1 comma 1285 della legge finanziaria per il 2007 interviene sull'articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001) (36), disponendo una nuova proroga, dal 30 aprile 2006 al 30 giugno 2007, dell'utilizzo delle risorse, relative agli anni 2001 e 2002, finalizzate alla prosecuzione della sperimentazione del reddito minimo di inserimento.
Con il D.Lgs. 18 giugno 1998, n. 237, recante «Disciplina dell'introduzione in via sperimentale, in talune aree, dell'istituto del reddito minimo di inserimento, a norma dell'articolo 59, commi 47 e 48, della legge 27 dicembre 1997, n. 449», è stato istituito il reddito minimo di inserimento che costituisce una misura finalizzata a combattere la povertà e l'esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone impossibilitate per cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento proprio e dei figli. Il reddito minimo di inserimento si traduce in una serie di interventi finalizzati all'integrazione sociale ed all'autonomia economica dei soggetti e delle famiglie destinatari, grazie ad interventi che si riassumono sostanzialmente in due tipologie:
trasferimenti monetari integrativi al reddito (articolo 8);
realizzazione di programmi personalizzati (articolo 9).

Con la legge finanziaria per il 2001 sono stati previsti nuovi stanziamenti al fine di ampliare l'ambito della sperimentazione ad altri comuni (articolo 80, comma 1, della legge 388/2000).
Ai sensi del comma 1286, le somme non spese dai comuni entro la suddetta data (30 giugno 2007) devono essere comunque versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere poi riassegnate al Fondo nazionale per le politiche sociali (37).


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2.3.8 Interventi a sostegno della maternità e paternità e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

La L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha previsto vari interventi a sostegno della maternità e paternità e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
L'articolo 1, comma 788 della L. 296/2006 estende la possibilità di usufruire del congedo parentale ai lavoratori a progetto e le categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335, che non siano titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie (38).
In particolare, si dispone la corresponsione ai lavoratori in questione, aventi titolo all'indennità di maternità, per gli eventi di parto verificatisi a decorrere dal 1o gennaio 2007, di un trattamento economico per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, in misura pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell'indennità di maternità. Tale trattamento economico viene concesso anche nei casi di adozione o affidamento per ingressi in famiglia con decorrenza dal 1o gennaio 2007.
L'articolo 1, comma 791 della L. 296/2006, attraverso modifiche all'articolo 64, comma 2, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (39), concernente la tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335 che non risultino iscritte ad altre forme pensionistiche obbligatorie (ossia essenzialmente le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto), è volto ad estendere alle medesime lavoratrici la tutela più ampia sotto il profilo temporale nonché sotto il profilo del trattamento economico e normativo prevista per le lavoratrici dipendenti.
In primo luogo si prevede che resta ferma l'applicazione della disciplina di cui al citato decreto ministeriale 4 aprile 2002, per quanto riguarda l'estensione agli iscritti alla Gestione separata INPS della tutela della maternità nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente (40). In sostanza si attribuisce alla disciplina di cui al decreto ministeriale 4 aprile 2002 una valenza «a regime». Si evidenzia che, per quanto riguarda l'indennità di maternità, tale disciplina ricalca sostanzialmente, quanto alla durata e alla misura, quanto previsto per i lavoratori dipendenti dal combinato disposto degli articolo 16 e 22 del D.Lgs. 151/2001.
Inoltre si dispone che con un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell'economia, sia disciplinato - nei limiti delle risorse provenienti da una specifica aliquota contributiva da


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definire con il medesimo decreto ministeriale - l'ambito dell'estensione alle lavoratrici in oggetto della tutela più ampia prevista per le lavoratrici dipendenti dagli articoli 17 e 22 del D.Lgs. 151/2001, rispettivamente per quanto riguarda l'anticipazione temporale dell'astensione obbligatoria per maternità (con diritto alla relativa indennità) e il trattamento economico e normativo connesso al congedo di maternità.
Si ricorda che l'articolo 17 del D.Lgs. 151/2001 dispone che, in determinate ipotesi, l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice (fermo restando il diritto alla relativa indennità) sia anticipata rispetto ai termini ordinariamente previsti dall'articolo 16 del D.Lgs. 151/2001, che prevede tale astensione durante i due mesi precedenti alla data presunta del parto e i tre mesi successivi al parto.
In particolare l'articolo 17 dispone che l'astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto nell'ipotesi di lavori gravosi o pregiudizievoli in relazione all'avanzato stato di gravidanza. Inoltre, con provvedimento dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, può essere disposto il divieto di adibire al lavoro la lavoratrice in stato di gravidanza anche prima che cominci a decorrere il periodo di astensione obbligatoria, nelle seguenti ipotesi:
gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni nei casi previsti dal D.Lgs. 151/2001, cioè qualora la lavoratrice sia addetta a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri o qualora i risultati della valutazione dei rischi riveli un pericolo per la salute della medesima.
Si ricorda inoltre che l'articolo 22 del D.Lgs. 151/2001 prevede la corresponsione di un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, comprensivo sia del periodo di astensione obbligatoria ordinariamente previsto dal citato articolo 16 sia del periodo di anticipazione dell'astensione obbligatoria nei casi previsti dal citato articolo 17. Il medesimo articolo prevede che i periodi di congedo di maternità siano computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie e siano considerati come attività lavorativa ai fini della progressione nella carriera. Viene precisato inoltre che le ferie e le assenze spettanti ad altro titolo non devono essere utilizzate contemporaneamente ai periodi di astensione obbligatoria per maternità.
L'articolo 1, commi 789-790 della L. 296/2006 estende la facoltà di riscatto dei periodi di congedo per motivi di famiglia di cui all'articolo 4, comma 2 della L. 8 marzo 2000, n. 53 (41) anche ai


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periodi antecedenti al 31 dicembre 1996, demandando l'attuazione di tale disposizione ad un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle politiche per la famiglia. Si ricorda che l'articolo 4 della L. 53 del 2000, tra i congedi fruibili per eventi e cause particolari, prevede, al comma 2 che i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possano richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni (42).
L'articolo 1, comma 1266 della L. 296/2006 interviene sulla disciplina di cui all'articolo 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in base alla quale la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle, conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della L. 104 del 1992, possono usufruire, per l'assistenza al figlio (o, rispettivamente, al fratello), di un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, entro sessanta giorni dalla richiesta (43).
Integrando la disciplina in questione, il richiamato comma 1266 prevede che i soggetti su indicati, qualora usufruiscano del congedo in questione per un periodo continuativo non superiore a sei mesi, hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di ferie che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto alla contribuzione figurativa.
L'articolo 1, commi 1254-1256 della L. 296/2006 provvede a modificare la disciplina relativa alle misure per favorire la conciliazione tra tempo di vita e di lavoro di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000 n. 53. Si ricorda che tale ultimo articolo dispone l'erogazione di contributi per incentivare l'applicazione da parte delle aziende di accordi contrattuali che prevedano azioni positive per la flessibilità degli orari, volte a conciliare i tempi di vita e di lavoro.
Le novità introdotte modificando la formulazione dell'articolo 9 della L. 53/2000 riguardano una serie di aspetti della disciplina:
al fine di incentivare e promuovere tali azioni positive sono destinate apposite risorse non più nell'ambito del Fondo per l'occupazione, bensì nell'ambito del Fondo delle politiche per la famiglia di cui all'articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223. La quota per l'incentivazione di tali accordi - di cui non viene più precisato il limite massimo, che nella norma vigente è fissato in 40 miliardi di lire - viene individuata, con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia;


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tra le aziende destinatarie dei contributi vengono comprese anche le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere;
con riferimento ai progetti per consentire la fruizione di particolari forme di flessibilità degli orari di lavoro, è ora attribuita priorità ai genitori di bambini fino a dodici anni di età o fino a quindici anni di età, in caso di affidamento o di adozione, nonché quelli con figli disabili a carico;
tra le modalità con cui si esplicano le azioni positive si prevedono anche quegli interventi ed azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento, l'articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico ovvero con anziani non autosufficienti a carico.

Le risorse di cui all'articolo 9 della legge n. 53 del 2000 possono essere in parte destinate alle attività di promozione delle misure in favore della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni positive nonché all'attività della Commissione tecnica con compiti di selezione e valutazione dei progetti.
Modificando la vigente disciplina, si attribuisce la competenza ad adottare il decreto che fissa i criteri e le modalità per la concessione dei contributi al Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e dei diritti e delle pari opportunità. Comunque i soggetti pubblici possono accedere ai contributi solo una volta esaurite le richieste delle imprese private.

2.3.9 Interventi nel settore della scuola e della formazione.

a) Nidi primavera.

L'articolo 1 comma 630 della legge finanziaria 2007 (44), prevede l'attivazione di progetti sperimentali di formazione rivolti a bambini dai 24 ai 36 mesi di età, previo accordo in sede di Conferenza unificata.
Viene contestualmente abrogato l'articolo 2 del D.Lgs. 59/2004 (45) (emanato in attuazione della legge 53/2003, cosidetta «legge Moratti» (46)) ai sensi del quale potevano essere iscritti alla scuola dell'infanzia le bambine e i bambini che compissero i tre anni di età entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento (e non quindi come previsto in precedenza entro il 31 dicembre del medesimo anno scolastico).


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Alla copertura della spesa connessa ai nuovi percorsi, si provvede utilizzando le risorse di cui all'articolo 7, comma 5, della citata legge 53/2003, destinate al finanziamento della sperimentazione delle iscrizioni anticipate alla scuola dell'infanzia e alla scuola primaria prevista appunto dalla medesima legge. La somma in questione ammonta a 66.198 euro a decorrere dal 2005.

b) Tasse scolastiche.

L'articolo 1, comma 622, della legge finanziaria 2007 (47) ha previsto per almeno dieci anni l'obbligo di istruzione a partire dall'anno scolastico 2007/2008, ed ha ribadito il regime di gratuità dei primi tre anni delle scuole superiori o dei percorsi di istruzione formazione professionale (già previsto e finanziato dagli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs 226/2005 (48).
Si ricorda che l'articolo 28 del d.lgs. citato, emanato ai sensi della legge n. 53 del 2003 (cosiddetta «Legge Moratti») e recante le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ha disposto, a partire dall'anno scolastico 2006/2007, la gratuità dell'istruzione impartita nei primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale; relativamente ai percorsi citati non sono previste pertanto tasse di iscrizione e frequenza, mentre per gli anni successivi al terzo continua ad applicarsi l'eventuale esonero in base ai limiti di reddito (49).

c) Libri di testo.

La legge finanziaria 2007 (articolo 1 commi 628 e 629) ha inteso ampliare le misure agevolative già previste per la fornitura dei libri di testo a partire dalla XIII legislatura.
In particolare:
viene estesa agli studenti del primo e del secondo anno dell'istruzione secondaria superiore la gratuità parziale dei libri di testo, autorizzata per alunni in possesso di determinati requisiti di reddito, dall'articolo 27 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (50);


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si estende a tutto il corso di studi la disciplina relativa alla compilazione dei testi scolastici ed all'individuazione dei criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria recate sempre dall'articolo 27 della legge 448/1998 (51);
si autorizzano le istituzioni scolastiche, le reti di scuole e le associazioni dei genitori al noleggio di libri scolastici agli studenti e ai loro genitori;
si consente ai comuni di fornire ad alunni in possesso dei requisiti richiesti che adempiono l'obbligo scolastico, i libri di testo anche in comodato e non solo in maniera gratuita o parzialmente gratuita, secondo quanto finora disposto dall'articolo 27 della legge n. 448 del 1998.

Si ricorda che l'articolo 27, comma 1, della legge n. 448 del 1998 ha previsto - con uno stanziamento di 200 miliardi di lire - che i comuni garantissero, per l'anno scolastico 1999-2000, la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo agli alunni della scuola dell'obbligo nonché alla fornitura di libri di testo da dare anche in comodato agli studenti della scuola secondaria superiore. L'articolo rimetteva quindi ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della pubblica istruzione, previo parere della Conferenza Stato-regioni e delle competenti Commissioni parlamentari, l'individuazione delle categorie degli aventi diritto al beneficio. Il DPCM del 5 agosto 1999, n. 320 ha quindi indicato i criteri (reddito familiare fino a 30 milioni, salvo aumenti per situazioni particolari) per l'individuazione dei beneficiari della fornitura gratuita o semigratuita dei testi scolastici nella scuola dell'obbligo (in sostanza, a partire dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado, in quanto gli alunni delle elementari già beneficiavano della fornitura gratuita dei libri di testo) nonché della fornitura in comodato (prevista per gli studenti della scuola secondaria superiore) ed ha provveduto a ripartire tra le regioni le somme stanziate dall'articolo citato.
Successivamente l'articolo 53 della legge finanziaria 2000 (legge 488/1999) ha esteso il beneficio all'anno scolastico 2000-2001, autorizzando a tal fine la spesa di lire 100 miliardi, finanziamento integrato con altri 100 miliardi dalla tabella D della stessa legge finanziaria. Il DPCM del 4 luglio 2000, n. 226 ha confermato, con alcuni piccoli aggiustamenti, le disposizioni del DPCM n. 320 del 1999, rendendo però - pur in mancanza di un'esplicita previsione legislativa - permanenti i benefici, tramite un rinvio alle disponibilità di bilancio annuali ed una conferma del meccanismo di riparto dei fondi tra le regioni, da aggiornare con gli ultimi dati ISTAT disponibili.


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La fornitura gratuita dei libri di testo è stata quindi rifinanziata per gli anni seguenti, sempre per l'importo di 200 miliardi di lire - divenuti 103,3 milioni di euro con l'introduzione della nuova moneta - con la tabella D di successive leggi finanziarie (52).
Da ultimo il DPCM 6 aprile 2006 n. 211, sempre intervenendo sul DPCM del 1999, ha demandato ad un decreto dirigenziale l'aggiornamento delle tabelle con i dati ISTAT ed ha inserite nelle suddette tabelle le Province autonome di Bolzano e Trento, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d'Aosta, secondo il dettato della sentenza della Corte costituzionale 419/2001.

d) Integrazione scolastica dei portatori di handicap.

Si ricorda che l'integrazione degli studenti con handicap si realizza attualmente in tutti i gradi dell'istruzione scolastica all'interno delle classi ordinarie, secondo i princìpi stabiliti dalla legge quadro sull'handicap (legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt.12-16 (53)).
Con riguardo all'integrazione scolastica degli alunni con handicap., l'articolo 1 comma 605, lettera b) della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006) ha disposto che, con decreto del ministro della pubblica istruzione risultante dal concerto con il ministro della salute, sia modificato il rapporto docenti di sostegno/alunni - definito dall'articolo 40, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (54), procedendo all'individuazione di organici corrispondenti alle effettive esigenze rilevate attraverso certificazioni idonee a definire appropriati interventi formativi.

2.3.10 Interventi per fronteggiare il disagio abitativo.

Al fine di fronteggiare l'emergenza abitativa nelle grandi città, la legge 8 febbraio 2007, n. 9, recante «Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali», ha disposto alcune misure di immediata applicazione ed altre di natura strutturale.
Tra le prime si segnala la sospensione, per un periodo di otto mesi (55), delle esecuzioni dei provvedimenti di rilascio per finita locazione


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degli immobili adibiti ad uso di abitazione per particolari categorie socialmente deboli residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni confinanti con oltre 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa. La sospensione delle esecuzioni opera nei confronti di conduttori la cui condizione particolarmente disagiata sia dimostrata dal possesso di una serie di requisiti quali:
a) reddito annuo familiare lordo complessivo inferiore a 27.000 euro;
b) mancanza di altra abitazione nella regione di residenza adeguata al nucleo familiare;
c) essere o avere nel proprio nucleo familiare:
persone ultrasesessantacinquenni, ovvero
malati terminali ovvero;
portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento.

La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
Rispetto ai requisiti previsti dai precedenti provvedimenti d'urgenza adottati per fronteggiare l'emergenza abitativa, è stato inserito il riferimento ai figli a carico ed ai malati terminali ed è stata esplicitata la definizione di handicap utile, individuata non più nell'handicap grave, ma nell'invalidità superiore al 66 per cento.
Tra le misure di carattere strutturale, la legge prevede la predisposizione:
da parte delle Regioni, su proposta dei comuni interessati dal provvedimento e sulla base del fabbisogno di edilizia residenziale pubblica, di un piano straordinario da inviare ai Ministeri delle infrastrutture e della solidarietà sociale e al Ministro delle politiche per la famiglia (articolo 3);
da parte del Ministero delle infrastrutture (di concerto con i Ministri indicati e d'intesa con la Conferenza unificata), di un programma nazionale in materia di edilizia residenziale pubblica, sulla base delle indicazioni emerse nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative (articolo 4). Il programma è destinato a contenere, tra l'altro, gli obiettivi e gli indirizzi di carattere generale per la programmazione regionale di edilizia residenziale pubblica, nonché proposte normative in materia fiscale e per la normalizzazione del mercato immobiliare.

Si segnala, inoltre, che nella legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), è stato previsto, all'articolo 1, comma 1154, il finanziamento di piano straordinario di edilizia residenziale pubblica


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sovvenzionata (56), con un'autorizzazione di spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. La disposizione demanda ad un successivo decreto del Ministro delle infrastrutture, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la definizione delle modalità di applicazione e di erogazione dei finanziamenti.


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3. LE TRASFORMAZIONI DELLE DINAMICHE FAMILIARI, LE CRITICITÀ CONSEGUENTI E I POSSIBILI INTERVENTI

Dal quadro complessivamente tracciato dagli interventi e dai contributi resi nel corso delle audizioni svolte presso la commissione (dal settembre 2006 al marzo 2007), emerge in primo luogo come le famiglie, nel corso degli ultimi decenni, siano state investite da una dinamica di profonda trasformazione, effetto, a sua volta, di un complesso di fattori di natura culturale, demografica, sociale ed economica, che ne hanno modificato in modo incisivo la struttura e la fisionomia.
Queste trasformazioni hanno poi contribuito a determinare alcune specifiche problematiche delle realtà familiari odierne del nostro Paese, evidenziando anche alcune criticità, sia dal punto di vista delle condizioni sociali che da quello del sistema legislativo e amministrativo applicabile.

3.1. Il processo di trasformazione delle famiglie.

3.1.1. Le trasformazioni demografiche.

Nell'analisi del processo di trasformazione che ha investito in modo significativo i nuclei familiari, occorre partire dalla considerazione dei mutamenti demografici e sociali che hanno comportato una dilatazione ed un cambiamento delle fasi del ciclo di vita: si assiste, infatti, ad una riduzione della dimensione media delle famiglie alla quale si accompagna, tuttavia, un aumento della percentuale di persone che transitano nelle fasce di età più avanzate, effetto a sua volta del generale miglioramento delle condizioni di salute negli adulti (57). Da un lato, si assiste quindi ad un processo di semplificazione delle strutture familiari con una riduzione del peso delle famiglie con 5 componenti e più dall'8,4 per cento al 6,5 per cento tra il 1994-1995 e il 2004-2005, e delle coppie con figli, mentre aumentano le persone sole e le coppie senza figli. Dall'altro lato, il miglioramento dei livelli di sopravvivenza fa sì che le persone che vivono in coppia condividano una parte sempre più lunga della vita: negli ultimi dieci anni, infatti, gli anziani tra i 74 e gli 85 anni che vivono ancora in coppia sono passati dal 45,5 al 50,2 per cento. La famiglia italiana è quindi soggetta a fenomeni di contrazione e di invecchiamento (infatti il tasso di invecchiamento nel nostro Paese è il più rapido in Europa e nel mondo con diversificazioni tra le varie zone): si è determinato, infatti, un grande squilibrio tra le generazioni poiché nascono pochi bambini e c'è un invecchiamento della popolazione molto più dilatato rispetto


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agli altri paesi (58). Il tasso di invecchiamento nel nostro Paese cresce in maniera rapidissima, con un aumento consistente dei «grandi vecchi» di oltre 80-85 anni con problemi di non autosufficienza. Peraltro l'invecchiamento complessivo della popolazione ha anche determinato una maggiore e più articolata domanda di servizi assistenziali da parte delle famiglie.
Con tali caratteristiche quindi la famiglia non riesce più ad operare compiutamente come mediatore di solidarietà tra generazioni. Anche se in Italia, negli ultimi tre anni, la natalità è leggermente aumentata (da 1,22 a 1,31 figli per donna), questo aumento è dovuto essenzialmente alla circostanza che il tasso di fecondità delle donne immigrate è molto più elevato di quello delle donne italiane: 2,6 figli contro 1,3 delle donne italiane. Più in particolare, le nascite da genitori stranieri sono aumentate dal 6 per cento nel 1995 al 12 per cento nel 2004. Questi dati dimostrano che per la popolazione autoctona avere figli è ancora un grosso problema (59). La natalità si pone quindi come uno dei fattori cruciali nell'affrontare il problema della condizione familiare in Italia.
Tale assunto è avvalorato dalla circostanza che ai dati oggettivi sopra descritti si contrappongono dati soggettivi di segno opposto. Le coppie italiane, infatti, hanno normalmente un figlio in meno di quello che desidererebbero (60), per un complesso di fattori tra i quali gioca un ruolo non secondario il messaggio che il Paese sembra dare alle famiglie, vale a dire che avere figli risulterebbe al giorno d'oggi penalizzante, sia dal punto di vista dei costi, che da quello della difficile conciliazione tra lavoro e famiglia, sia infine per i limiti di un sistema fiscale sfavorevole per le famiglie con figli (questi aspetti saranno più diffusamente trattati nel paragrafo successivo).
Nati vivi della popolazione residente in Italia. Anni 1952.2004 (61)

Fonte - Rilevazione dei movimento e calcolo della popolazione residente


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3.1.2. I modelli familiari.

Vi è poi da considerare anche il profondo cambiamento dei «modelli familiari» connesso all'ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, che ha anche comportato la nascita di nuovi modelli di relazioni familiari, meno gerarchici del passato, e di nuovi bisogni non ancora del tutto soddisfatti.
Non solo in Italia, ma in tutti i paesi occidentali negli ultimi 10-15 anni si è assistito ad un progressivo dilazionamento dell'età del matrimonio in parte dovuto all'aumento dell'istruzione, in particolare femminile (62). Si tende infatti ad aspettare che uomo e donna portino a termine la propria istruzione e che si sistemino nel mercato del lavoro. Tuttavia la differenza dell'Italia (insieme ad alcuni paesi mediterranei) rispetto ad altri paesi europei è che il dilazionamento del matrimonio rappresenta anche un dilazionamento dell'uscita dalla famiglia d'origine e della costruzione di una nuova, con una tendenza a procrastinare nel tempo il momento della procreazione.
Infatti, anche se in Italia la percentuale delle nascite fuori dal matrimonio è aumentata del 70 per cento nel periodo 1995-2004 (dall'8,1 al 13,7), in altri paesi europei quasi tutti i primi figli nascono nell'ambito della convivenza, non quindi tra soggetti sposati.
Questo cambiamento di tipo «culturale» è in parte all'origine, in Italia, dell'aumento consistente della percentuale di «adulti», tra i 25 e 34 anni, che continuano a vivere all'interno del nucleo familiare di provenienza. Infatti i giovani celibi e nubili compresi in questa fascia di età che vivono ancora nella famiglia di origine passano dal 35,5 al 43,3 per cento dal 1995 al 2005, superando ormai la quota dei loro coetanei che vivono in coppia con i figli (che diminuiscono dal 40 al 29,4 per cento) (63). Questo fenomeno, tuttavia, può essere parzialmente spiegato anche in forza della sempre maggiore difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, della sua più diffusa precarietà, con la conseguente dilatazione dei tempi necessari al conseguimento di una posizione lavorativa stabile (soprattutto nel mezzogiorno) e con i problemi legati alla disponibilità di un'abitazione autonoma (legati alla rigidità dell'offerta abitativa, alla scarsità ed alla costosità degli alloggi).
D'altra parte, il conseguente spostamento in avanti dell'età in cui si ha il primo figlio determina una fecondità ridotta poiché può dar luogo a maggiori difficoltà ad avere figli per problemi di salute o per cause biologiche che, peraltro, possono essere scoperte tardi e risultare eventualmente più difficili da affrontare. Secondo i dati forniti dall'Istat, nel 2004 l'età media delle madri residenti in Italia alla nascita dei figli è stata di 30,8 anni, un anno in più delle madri del 1995 (64). In Europa il primo figlio nasce mediamente tra 26 anni e mezzo e trent'anni (65).


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La famiglia italiana, pertanto, si «contrae» nelle sue dimensioni e diviene più «lunga» e più magra: sarà più frequente per le nuove generazioni avere intorno nonni e bisnonni piuttosto che fratelli e cugini; acquisisce in conseguenza maggiore importanza la valorizzazione dei luoghi di socialità. La questione del «declino demografico» non interessa soltanto l'Italia, ma tutti i Paesi europei nei quali l'adozione di specifiche politiche familiari sta diventando una priorità. Inoltre, pur essendo ancora nettamente prevalente il modello tradizionale di coppia coniugata con figli, accanto ad esso si pongono e sono in continua crescita altri modelli familiari, formati da persone sole o da coppie senza figli. Peraltro, l'aumento dell'instabilità coniugale (pur essendo percentualmente più contenuto rispetto a quello della media dei paesi sviluppati) ha, da un lato incrementato il numero delle famiglie con un solo genitore, dall'altro favorito la costituzione di famiglie cosiddette «ricostituite» nelle quali uno o entrambi i partner provengono da un matrimonio precedente, che coinvolgono parentele particolarmente complesse quando sono presenti figli del matrimonio precedente (66). In linea più generale, poi, le nuove forme familiari, comprendenti i single non vedovi, le coppie non coniugate o ricostituite e i genitori soli, ammonterebbero a circa 5 milioni e duecentomila nel 2005 (23 per cento) rispetto ai 3 milioni e cinquecentomila nel 1995 (16,8 per cento) (67). Si registra, inoltre, una tendenza alla crescita dei single (25,9 per cento) e delle coppie senza figli (19,8 per cento), che si accompagna alla diminuzione delle coppie con figli (39,5 per cento) e delle famiglie estese o multiple (5,1 per cento).
L'assottigliamento dei nuclei familiari trova conferma nelle recenti rilevazioni dell'Istat, secondo le quali il 26,8 per cento delle famiglie è costituito da due componenti, il 21,8 per cento da 3, il 19 per cento da 4, il 5,2 per cento da 5 e solo l'1,3 per cento da 6 o più. Le stesse rilevazioni indicano che le coppie con figli sono 9 milioni e cinquecentomila circa, mentre le coppie senza figli si aggirano intorno ai 5 milioni. Un dato rilevante concerne, poi, i nuclei monogenitoriali che ammonterebbero a circa 2 milioni, di cui l'83,6 per cento è costituito da donne.
Le problematiche ed i fenomeni sopraccitati sono del resto variamente interconnessi tra di loro. Basti pensare che, poiché, essendo più istruite rispetto al passato, le donne intendono giustamente collocarsi sul mercato del lavoro - pur sapendo di andare incontro a difficoltà aggiuntive a causa del matrimonio e della nascita dei figli -, chi, tra esse, non è sufficientemente forte su tale mercato rischia di uscirne poiché le leggi di protezione esistenti (sulla maternità e sulla paternità) sono essenzialmente destinate ai lavoratori «regolari». Pertanto, le donne in età feconda quando devono decidere se avere o no un figlio si trovano spesso in situazioni non protette, sia sul piano del reddito che in quello della sicurezza del posto di lavoro.


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3.1.3. Rapporto famiglia-lavoro.

In generale, poi, per quanto attiene alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, va rilevato che se in tutti i paesi occidentali le donne con figli, specie se minori, hanno tassi di attività più bassi (talvolta di molto) delle donne senza figli, una più marcata differenziazione dei tassi di attività citati è rilevabile tra l'Italia e i paesi mediterranei in generale e gli altri paesi.
Peraltro, le differenze nei tassi di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne con responsabilità familiari sono forti anche a livello intranazionale e tra donne con diversi titoli di studio, poiché l'effetto negativo della presenza di responsabilità familiari è più alto per le donne a bassa qualificazione e che vivono nel mezzogiorno rispetto a quelle con titolo di studio medio-alto e che vivono nel centro-nord: queste ultime, infatti, sono più in grado delle altre di rimanere nel mercato del lavoro lungo il ciclo di vita familiare poiché hanno più risorse per acquistare servizi di cura e sono oggetto di un investimento più elevato da parte dei datori di lavoro.
Peraltro anche le rilevazioni statistiche dimostrano queste evidenze: da una campionatura dell'Istat risulta che circa 564.000 donne cercherebbero lavoro se avessero un adeguato supporto da parte dei servizi sociali.
In linea generale poi, la circostanza che entrambi i genitori siano impegnati fuori casa con le rispettive attività lavorative, ha anche comportato che, nella dinamica concreta della vita familiare, si è fortemente ridotto il quantitativo di tempo a disposizione da trascorrere con gli altri componenti del nucleo familiare, soprattutto nelle grandi città, anche a causa dei tempi di percorrenza del tragitto casa-lavoro. Le famiglie hanno quindi difficoltà ad avere relazioni con altre figure di parenti e con i figli e le difficoltà di relazione sono maggiori per le madri sole e per gli anziani, celibi o nubili.
Peraltro questi cambiamenti hanno comportato che la famiglia, soprattutto quando ha bisogno di assistenza, vale a dire quando ha al suo interno bambini piccoli da 0 a 3 anni o persone anziane o non autosufficienti, dato anche lo sviluppo insufficiente di strutture pubbliche di supporto (quali ad esempio gli asili nido), ha dovuto spesso provvedere in modo autonomo, divenendo datore di lavoro domestico e sobbarcandosi l'onere notevole delle retribuzioni - e degli ulteriori emolumenti - da corrispondere al collaboratore (da semplificare).
Si tratta di una realtà in costante aumento, anche perché ai dati ufficiali devono aggiungersi quelli del settore sommerso (68) (secondo i dati diffusi dall'INPS nel 2004 sarebbero 500 mila i rapporti di lavoro regolari di collaborazione in Italia). Tale evoluzione ha determinato l'inserimento nel contesto familiare di nuove figure, quali la lavoratrice domestica, la badante, l'assistente familiare, la baby sitter,


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figure con le quali le famiglie tendono ad instaurare un rapporto di tipo fortemente fiduciario.
Resta comunque il fatto che molte donne in Italia, alla nascita del primo figlio, sono costrette a lasciare il lavoro o a passare ad un'attività meno redditizia, poiché non sempre il nucleo familiare è in condizioni economiche tali da potersi permettere un aiuto esterno. Da dati Istat risulta infatti che una donna su cinque lascia il lavoro alla nascita di un figlio.
Inoltre, anche se vi è stato un aumento notevole degli asili nido dal 1988 al 2005 (da 140 a 221 mila), la quota dei bambini che frequentano un nido è ancora al di sotto del 20 per cento. Di questi, oltre la metà frequenta un nido privato, perché non c'è posto nei nidi pubblici (69).

3.1.4. Le dinamiche familiari.

La dinamica familiare italiana è tuttavia caratterizzata da tendenze contrapposte: infatti, a questi fenomeni di scomposizione della compagine familiare dovuta a un ritardo nel matrimonio ed ad una diminuzione del numero dei figli e dei componenti, si accompagnano tuttavia anche tendenze di carattere ricompositivo; si assiste infatti ad una essenziale solidità del nucleo familiare in Italia e, da un certo punto di vista, l'articolazione sempre più ampia delle tipologie familiari è uno dei fattori di forza che in molte situazioni permette alla famiglia di adattarsi alle sfide che le si presentano (70);
Infatti, pur avendo perso molte delle funzioni delle quali era titolare nel passato (salute dei propri membri, istruzione ed educazione dei figli), la famiglia ha conservato fortemente la dimensione della relazione sociale, della coesione, del supporto, dell'aiuto reciproco. Anche lo sfumarsi, all'interno del nucleo familiare, della distinzione netta che c'era nel passato tra ruolo maschile e femminile supporta ulteriormente la tendenza di forza delle relazioni intrafamiliari come sostegno a tutti i membri della famiglia.

3.1.5. Il benessere socio-economico.

Infine, un esame compiuto delle problematiche riguardanti le famiglie italiane, non può prescindere da un'analisi degli aspetti economici caratterizzanti la vita familiare e, più in generale, del benessere socio-economico delle famiglie.
Se in linea generale il reddito a disposizione delle famiglie negli anni più recenti ha continuato a crescere (71), sussistono all'interno di questo dato complessivo, differenze e tendenze di divaricazione che pongono l'Italia, da questo punto di vista, su livelli molto elevati di


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iniquità e differenziazione del benessere. Va in primo luogo ricordato che l'Italia è uno dei Paesi caratterizzato dalla più alta sperequazione dei redditi. Il Mezzogiorno mostra, al suo interno, la più alta sperequazione nel senso che la circostanza che richiede attenzione non è soltanto la differenza del valore medio dei redditi delle famiglie del Mezzogiorno rispetto a quello delle famiglie del nord, ma anche la maggiore sperequazione esistente all'interno delle aree meridionali rispetto a quella rilevabile all'interno di quelle settentrionali. Vi sono inoltre grandi fasce di povertà soprattutto nelle famiglie con un solo o nessun percettore di reddito concentrate soprattutto, ancora una volta, nel Mezzogiorno (72).
Guardando alla situazione complessiva del paese, sostanzialmente si è andata allargando la forbice delle disponibilità economiche tra le famiglie che vivono con un reddito da lavoro dipendente e quelle che vivono con un reddito da lavoro autonomo, nonché tra le famiglie «patrimonializzate» (quelle che hanno una o più case di proprietà o comunque una disponibilità di altre ricchezze reali) e quelle che non sono tali. Le situazioni di maggiore povertà si riscontrano tra le famiglie nelle quali al basso livello reddituale si accompagnano la numerosità del nucleo familiare, l'assenza di un secondo reddito, l'assenza di fattori protettivi e di un patrimonio consolidato all'interno della famiglia.
Inoltre il disagio economico vissuto dalle famiglie italiane è diversamente graduabile in rapporto alle diverse situazioni.
Da un lato ci troviamo di fronte ad una nuova «povertà dei ceti medi», che rappresenta, in realtà, una «povertà relativa», derivante dallo scarto tra il proprio reddito, la propria disponibilità economica e quella media del paese. È comunque caratteristica di una società ricca la circostanza che alcune famiglie (essenzialmente quelle monoreddito, lavoratori precari e famiglie spatrimonializzate) si trovino in difficoltà in quanto al di sotto dei redditi medi del paese. Va tenuto conto, tuttavia, che l'incidenza della povertà soggettiva, ovvero la percentuale di coloro che stimano non adeguato il proprio livello di reddito in relazione alle aspirazioni e stili di consumo (secondo una definizione soggettiva di «vita dignitosa») è sensibilmente più elevata (73).
Spesso le difficoltà economiche citate generano situazioni di sovraindebitamento, soprattutto in concomitanza con eventi particolari (si pensi ai casi di un divorzio, di un trasferimento per motivi di lavoro, della presenza di una persona non autosufficiente etc.) nelle quali le famiglie vivono costantemente in una situazione di difficoltà non temporanea ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni mediante i propri redditi (74).


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Le situazioni di povertà vera, estrema, tuttavia, si riscontrano dove c'è un mix di fattori, comprendenti anche la malattia, la solitudine, la mancanza di famiglia.
I disagi dei nuclei familiari sono inoltre più accentuati nelle zone rurali del Paese a causa del tasso maggiore di invecchiamento, dell'assenza di ricambio generazionale, delle ridotte dimensioni e dell'isolamento territoriale (75), e nelle famiglie con un componente non autosufficiente, famiglie queste ultime nelle quali il rischio di povertà aumenta in modo consistente (76).
Va infatti considerato che, a causa della tendenza del sistema socio-assistenziale a considerare la famiglia responsabile del figlio disabile delegando ad essa il più delle volte la funzione di assistenza, sono le stesse famiglie a contribuire all'85% al mantenimento del congiunto disabile. I costi per queste famiglie aumentano notevolmente poiché le persone con disabilità sono escluse dal mercato del lavoro e spesso uno dei familiari (genitori) del disabile è costretto a rinunciare al reddito, alla carriera, al lavoro a tempo pieno per lo svolgimento delle funzioni di assistenza (77).
Complessivamente, infine, tutti questi fattori di debolezza economica sono aggravati da una situazione di fragilità sociale che dipende dall'incertezza culturale e politica del contesto. Mentre nel passato, infatti le persone riuscivano a superare le situazioni di disagio poiché riuscivano a intravedere prospettive di sviluppo per sé, per il gruppo sociale e per il proprio Paese, oggi gli individui e le famiglie sono fragili poiché vengono meno le energie positive di voglia di crescere e fiducia (78).

3.2 Le criticità conseguenti alle trasformazioni evidenziate.

3.2.1 La denatalità.

Come già ricordato, uno dei tratti caratterizzanti del processo di evoluzione che ha interessato la famiglia italiana, è rappresentato dal basso indice di natalità.
In tale contesto, la tendenza dell'ultimo trentennio alla contrazione del numero delle nascite, che interessa, sia pure con differenti proporzioni, anche altri Paesi europei, è un indicatore della difficoltà di «fare famiglia», ossia della capacità delle famiglie italiane di auto-rigenerarsi.
Si tratta di un fenomeno articolato, con complesse interazioni di carattere economico, sociale, culturale e psicologico, che risultano, al contempo, causa ed effetto della contrazione delle nascite. Va osservato, ad esempio, che proprio la percezione dei disagi derivanti dal gravoso carico di responsabilità connesso alla costituzione del nucleo familiare incide sfavorevolmente sulla propensione a generare (de


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terminando un'ulteriore riduzione della natalità). A sua volta, l'assottigliamento delle giovani generazioni provoca rilevanti squilibri negli scambi generazionali: il calo della natalità, infatti, come sopra già ricordato, aumenta la probabilità che i minori possano crescere privi di reti parentali orizzontali (fratelli, sorelle, cugini), in un contesto in cui le reti verticali (genitori, nonni e bisnonni) risultano, da un lato, più fragili a causa della frammentazione del nucleo familiare e, dall'altro, più onerose per il progressivo allungamento delle aspettative di vita.
Il rinvio o l'abbandono dei progetti di genitorialità evidenzia, quindi, che la famiglia è oggi percepita non più come fattore di crescita e di arricchimento, ma come causa di impoverimento economico e sociale e di peggioramento delle condizioni lavorative, soprattutto nel caso delle famiglie numerose, che pure ricevono una specifica tutela sul piano costituzionale (articolo 31).
In generale, come emerge anche dalle considerazioni che saranno svolte nel prosieguo, si è determinato un clima sociale e culturale sfavorevole alla maternità e alla paternità.

3.2.2 Le difficoltà nelle relazioni intrafamiliari.

Il fenomeno della denatalità, unitamente a quello dell'invecchiamento della popolazione e dell'allungamento della vita media, influisce, tra l'altro, sulla capacità di instaurare una corretta rete di relazioni intrafamiliari ed intergenerazionali. Tale squilibrio è originato, in primo luogo, dall'aumento del divario anagrafico tra le generazioni (i figli nascono quando gli adulti hanno un'età sempre più avanzata) e dall'assottigliamento della rete parentale.
Per quanto concerne la difficoltà di comunicare e di rapportarsi all'interno della famiglia, tale criticità è originata da una molteplicità di fattori, tra i quali si segnalano, come già ricordato, la lontananza della residenza dal luogo di lavoro, l'inadeguatezza della rete dei trasporti (gli spostamenti assorbono in media 50 minuti al giorno), la rigidità dei modelli occupazionali e dell'orario di lavoro. Tali fattori, allungando il tempo trascorso fuori casa, comprimono le occasioni di scambio e di dialogo, oltre che gli spazi dedicati all'attività di cura e di educazione dei figli.
Il logoramento delle relazioni e dei canali di comunicazione intrafamiliare ed intergenerazionale, comporta, a sua volta, alcune importanti conseguenze, quali un diffuso malessere infantile e adolescenziale, fino ad episodi di vera e propria devianza minorile, il ritardo dei processi di responsabilizzazione, l'impoverimento culturale delle giovani generazioni, l'omologazione dei riferimenti valoriali, il radicamento dei fenomeni di estraneità e di individualismo, la delega dei compiti educativi propri della genitorialità ad altri soggetti (la scuola, l'associazionismo, i mass media), la solitudine ed emarginazione degli anziani e dei soggetti deboli.
Tra le difficoltà relazionali sempre più diffuse - destinate spesso a sfociare in vere e proprie forme di emarginazione - si segnalano quelle che interessano alcuni segmenti deboli del tessuto sociale, quali le madri sole, i coniugi separati e i divorziati, gli anziani, le persone celibi, nubili, vedove, e i disabili.


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Le tensioni all'interno del nucleo familiare investono, in modo particolare, il rapporto tra genitori e figli, peraltro con effetti contrastanti: se, in alcuni casi, infatti, si sono accresciute, in maniera abnorme, le attenzioni e le aspettative dei genitori sui figli (anche a causa della ridotta filiazione), in altri sono aumentate le distanze comunicative tra gli uni e gli altri fino al determinarsi di situazioni di abbandono, di violenza o di abuso all'interno del contesto familiare.
Spesso, poi, a causa dell'attenuarsi della struttura verticistica della famiglia e della crisi del suo ruolo «normativo» (ossia della tradizionale prerogativa del consesso familiare di definire regole, obiettivi e percorsi di vita), sono gli stessi figli ad avvertire la mancanza di indicazioni precise da parte delle generazioni più anziane in ordine alle prospettive future, ai valori di riferimento, alle scelte scolastiche, lavorative, affettive e culturali. I minori, in particolare, versano sempre più frequentemente in una situazione di solitudine sociale, privati del coinvolgimento intersoggettivo e del rapporto con le reti parentali, amicali e di vicinato.
Il fenomeno dell'instabilità coniugale in Italia presenta un andamento relativamente più contenuto, rispetto a quanto accade nei Paesi più sviluppati (inclusi gli Stati membri dell'Unione europea), se si considera che tale instabilità riguarda meno di un quarto dei matrimoni a fronte del 40-50 per cento di quelli contratti in Germania, Francia, Olanda, Austria e Paesi scandinavi (79).
Come si può rilevare dai dati Istat (80), l'instabilità coniugale è un fenomeno in costante aumento:

Separazioni e divorzi - Anni 1999-2003
ANNI
Separazioni
Divorzi
1999 64.915 34.341
2000 71.969 37.573
2001 75.890 40.051
2002 79.642 41.835
2003 81.744 43.856

Il versante delle relazioni familiari è aggravato dalla crescente conflittualità all'interno della coppia e dalla costante casistica relativa agli episodi di violenza contro la donna, molto spesso proprio nell'ambito delle mura domestiche. Le stime indicano che tale violenza, nei confronti della quale appare poco efficace l'intervento delle stesse istituzioni, sia subita dal 10-12 per cento della popolazione femminile con rilevanti costi sociali ed economici, cui il legislatore ha solo parzialmente posto rimedio con alcuni interventi normativi, quali la riforma del diritto di famiglia, la derubricazione del reato di violenza sessuale come reato contro la persona, l'introduzione di


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misure contro la violenza nelle relazioni familiari (legge 4 aprile 2001, n. 154), la repressione delle mutilazioni genitali femminili (legge 9 gennaio 2006, n. 7).
Con riferimento alla tutela della condizione dei minori nell'ambito della famiglia, diversi profili di criticità sono emersi in relazione all'attuazione della legge 8 febbraio 2006, n. 54, in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, che ha pienamente riconosciuto il diritto del minore a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori anche nei casi di separazione e divorzio. Le sfasature riscontrate - aggravate spesso dalla carenza delle infrastrutture di pubblico sostegno diffuse in altre realtà europee (ad esempio, in Francia) - riguardano principalmente il contemperamento dei principi di bigenitorialità e di condivisione dell'affidamento con alcune questioni di ordine pratico, logistico ed amministrativo, che investono le concrete modalità dell'affidamento (specialmente in caso di lontananza delle residenze dei genitori), l'assegnazione della casa familiare, l'assegno di mantenimento, l'istruzione scolastica e l'assistenza sanitaria del minore, nonché il riparto di competenze tra gli organi giudiziari.
Sempre in tema di salvaguardia della condizione dei minori, si segnala la posizione squilibrata dei figli naturali rispetto ai figli legittimi, con particolare riferimento alle aspettative ereditarie e al pieno riconoscimento, dal punto di vista giuridico, del rapporto di parentela con i congiunti del genitore naturale. Analogamente, la recente chiusura degli istituti di ricovero residenziali per i minori prevista dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 pone la necessità di attuare un controllo più stringente sull'adeguatezza delle comunità familiari.
La tutela dei minori presenta, poi, carattere di particolare urgenza in relazione agli stranieri, prevalentemente extracomunitari, che si trovano in condizioni di disagio psico-sociale e di abbandono: in tali ipotesi, la casistica dimostra che gli strumenti civilistici e i rimedi di natura preventiva alla commissione di reati si rivelano insufficienti, per la sostanziale carenza di supporto da parte della famiglia di origine e per la presenza di situazioni di clandestinità; conseguentemente, un intervento efficace è possibile solo in seguito al manifestarsi di una devianza conclamata del minore, mediante il ricorso a strumenti penalistici, quali l'istituto della «messa in prova».
Per quanto concerne gli strumenti di conciliazione finalizzati a ridurre la conflittualità della coppia, appare emergere la necessità di ottimizzare lo strumento della mediazione familiare, assicurandone l'applicazione su base volontaria e nel rispetto dei diritti di libertà della persona. Gli aspetti critici nell'attuazione di tale istituto attengono alla mancata regolamentazione dei contenuti professionali e delle modalità di esercizio della mediazione e alla carenza di una idonea campagna di informazione in merito alla possibilità di ricevere un supporto qualificato per la composizione delle controversie familiari.

3.2.3 Le difficoltà nella gestione del rapporto famiglia-lavoro; l'aggravamento della posizione della donna nello svolgimento delle funzioni lavorative e familiari.
La profonda modifica che ha interessato la struttura della famiglia, a partire dall'allungamento della vita media e dall'invecchiamento


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della popolazione, ha comportato un mutamento della domanda di servizi e di protezione sociali.
Nell'ambito delle attività quotidiane della famiglia il rapporto con il lavoro ha assunto una posizione di primo piano, cui si riconnettono importanti criticità. In linea generale, si assiste a due fenomeni antitetici: da un lato, sono divenuti sempre più pressanti i temi della disoccupazione e della precarietà del lavoro, dall'altro si evidenzia una eccessiva centralità del lavoro stesso rispetto ad altri aspetti della vita familiare, con complesse implicazioni concernenti la rigidità degli orari, l'eccessiva mobilità territoriale, il forte investimento nella progressione professionale ed economica a discapito del tempo libero e delle relazioni affettive. Il difficile accomodamento dei diversi profili nell'ambito dei delicati equilibri familiari coinvolge, quindi, il problematico binomio flessibilità/precarietà, nonché la gestione delle attività di cura e le esigenze della vita di relazione.
Appare evidente che la maggiore presenza delle donna italiana nel mondo del lavoro - benché il tasso di occupazione femminile resti di gran lunga inferiore alla media europea -, pone con ancora maggiore urgenza la questione concernente la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

ANDAMENTO DELL'OCCUPAZIONE PER SESSO 1995-2004 (*)
Anni
UOMINI
DONNE
Occupati
migliaia
pers.
Tasso di
Attività    Occupazione
Occupati
migliaia pers.
Tasso di
Attività    Occupazione
1995 13.019 72,5 65,9 7.007 42,3 35,4
1996 13.003 72,5 65,9 7.122 43,0 36,0
1997 13.015 72,4 65,8 7.192 43,5 36,4
1998 13.090 72,9 66,2 7.345 44,6 37,3
1999 13.158 73,2 66,7 7.533 45,5 38,3
2000 13.316 73,6 67,5 7.764 46,3 39,6
2001 13.455 73,6 68,1 8.060 n. 41,1
2002 13.593 74,0 68,8 8.236 47,9 42,0
2004 13.622 74,5 69,7 8.783 50,6 45,2
(*) Fonte ISTAT

In particolare, poiché la donna continua ad esercitare una intensa attività di assistenza agli anziani, ai figli minori e ai disabili, oltre a svolgere il lavoro domestico, risulta sempre più difficoltoso il contemperamento degli impegni lavorativi e domestici con i compiti di cura. In proposito, va ricordato che il 77 per cento del tempo complessivamente dedicato al lavoro familiare è ancora a carico della


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donna, con il conseguente persistere di una significativa disuguaglianza di genere in quest'ambito (81). La divisione dei ruoli, infatti, risulta ancora rigida poiché, pur essendo oggi i padri più collaborativi rispetto al passato, i cambiamenti sono piuttosto lenti: da dati Istat si rileva infatti che il tempo dedicato dai padri al lavoro familiare è cresciuto di 16 minuti in 14 anni. Peraltro anche l'istituto del congedo parentale, astrattamente fruibile da entrambi i genitori, risulta utilizzato soprattutto dalle donne.
In tale prospettiva, il tema della conciliazione tra vita professionale e familiare è stato affrontato dal legislatore già con la legge 8 marzo 2000, n. 53, con la previsione di apposite forme di flessibilità in ambito lavorativo e il tentativo di una più equa ripartizione del carico di cura e di assistenza tra i sessi. Da ultimo, la questione è stata oggetto di interventi specifici da parte della legge finanziaria per il 2007, che ha istituito un fondo per l'erogazione di contributi in favore di aziende che promuovono azioni positive in tal senso. Peraltro, la difficoltà della donna di conciliare tempi di vita e di lavoro (che la espone a giocare doppi e tripli ruoli) produce effetti, non solo nella piccola dimensione familiare, ma anche sulla crescita economica del Paese, se si considera che una cospicua percentuale della popolazione femminile (stimata nel 2004 in oltre il 45 per cento delle donne tra i 15 e i 61 anni ovvero nel 60 per cento delle donne in età compresa tra i 35 e i 44 anni) è costretta a ridurre l'orario di lavoro per prendersi cura dei figli minori. Conformemente a questa linea di tendenza, è sempre maggiore il numero delle famiglie (tra queste una rilevante quota è rappresentata da quelle con un unico genitore, in maggioranza donna) che affida stabilmente i compiti di cura dei minori in tenera età ai nonni, ai parenti o agli amici. Inoltre l'esigenza di una maggiore attenzione per la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro si scontra, come sopra già ricordato, con l'insufficiente sviluppo nel Paese di idonei servizi per l'infanzia, prima fra tutti la rete degli asili nido, che si presenta particolarmente carente nel Mezzogiorno. Le rilevazioni dimostrano che, con riferimento al tema degli asili nido e dei servizi per l'infanzia, l'Italia è ancora lontana dal raggiungimento dell'obiettivo del 33 per cento della copertura territoriale entro il 2010 fissato dal Consiglio europeo di Lisbona nel 2000, nonostante gli specifici stanziamenti contenuti nella legge finanziaria per il 2007.
Più specificamente, dalle rilevazioni Istat emerge che i bambini di età compresa tra 1 e 2 anni con madre che lavora vengono affidati, nell'ordine, ai nonni (52,3 per cento), al nido privato (14,3 per cento), al nido pubblico (13,5 per cento) e alla baby sitter (9,2 per cento). Peraltro il 28, 3 per cento delle madri che non si avvalgono di un nido, avrebbero in realtà voluto usufruirne ma non lo hanno fatto per l'assenza o la lontananza delle strutture (22 per cento), per la carenza di posti disponibili (19,5 per cento), per i costi elevati (28,5 per cento) per la rigidità dell'offerta (16,3 per cento).


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Va inoltre rilevato che solo nel 30 per cento dei comuni ci sono asili nido. D'altro canto, la quota parte di spesa sociale destinata all'infanzia in Italia si caratterizza per essere una delle più basse a livello europeo. La questione della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli destinati all'assistenza richiama, oltre al tema della cura dei minori, anche quello degli interventi in favore degli anziani e delle persone non autosufficienti, specialmente se si considera che all'invecchiamento progressivo del tessuto sociale non è corrisposto un aumento delle strutture, degli investimenti e delle politiche pubbliche in materia, che spesso si limitano a garantire prestazioni connesse alle funzioni vitali e al mantenimento di una vita autonoma, senza affrontare le ulteriori complesse implicazioni.
Come già ricordato, il considerevole incremento del lavoro di cura per le famiglie comporta, tra l'altro, un ricorso molto più consistente di quanto avvenisse in passato alla collaborazione familiare e domestica. Le nuove tipologie di lavoratori, in larga misura stranieri ed immigrati, soprattutto donne, manifestano l'esigenza di usufruire di maggiori garanzie dal punto di vista giuridico, economico, previdenziale, sottolineando peraltro l'anomalia del sistema italiano che non garantisce adeguata dignità e formazione a figure professionali ormai determinanti negli equilibri gestionali delle famiglie italiane.
Ai profili critici denunciati dalle associazioni dei collaboratori familiari si associano le anomalie evidenziate dalle organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro domestico, che lamentano la crescita esponenziale degli oneri a carico delle famiglie non adeguatamente sostenuta sul piano fiscale, oltre alla inadeguatezza delle politiche migratorie che non favoriscono l'esigenza delle persone non autosufficienti di disporre tempestivamente di lavoratori extracomunitari, considerata la scarsa appetibilità di tali forme di occupazione per i connazionali.
La crescente difficoltà della famiglia nell'affrontare le attività di cura e di assistenza è dimostrata, tra l'altro, dall'incremento delle reti di aiuto informale, che hanno visto aumentare considerevolmente negli ultimi 20 anni il numero delle persone e delle organizzazioni senza scopo di lucro disponibili a svolgere compiti di carattere sociale. In tale direzione, si registra anche una sensibile crescita del fenomeno del volontariato e dell'associazionismo e della cooperazione sociale, che opera sui molteplici fronti dell'assistenza, della tutela dei diritti e della promozione sociale con particolare riferimento agli anziani, ai minori, ai disabili, al settore delle tossicodipendenze etc..

3.2.4 Il ruolo di protezione sociale della famiglia.

Come già ricordato in precedenza, la famiglia, di fronte alle criticità evidenziate, viene ad assolvere un ruolo di protezione sociale, fornendo sostegno e solidarietà ai suoi componenti più deboli nelle situazioni di difficoltà, di disagio, di malattia, con particolare riferimento alle giovani generazioni, agli anziani e ai disabili (cosiddetta «famiglia tutor»).
L'esercizio di tale funzione di supporto e di soccorso, pur producendo indubbi effetti benefici (in virtù di una significativa azione


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di contenimento delle sacche di disagio e di emarginazione), comporta tuttavia dei costi elevati in termini sia sociali che economici. Anzitutto, va rilevato che i compiti di assistenza gravanti sul nucleo familiare determinano una perdita di opportunità occupazionali e di sviluppo professionale per i soggetti che si accollano tale onere (segnatamente le donne), con inevitabili riflessi sul benessere socio-economico del Paese, sulla crescita e sullo sviluppo.
Per quanto concerne, invece, il sostegno economico (e spesso alloggiativo) che la famiglia di origine assicura nei confronti dei giovani membri, va rilevato che tale fenomeno produce l'effetto distorsivo di procrastinare ulteriormente il raggiungimento del traguardo della prima occupazione e della piena autonomia, ritardando ulteriormente la costituzione dei nuovi nuclei familiari. Si ricorda, in proposito, che, alla luce dei dati Eurostat 2006, l'Italia si colloca tra i Paesi con il tasso di occupazione più basso nelle fasce di età giovanili (il tasso di disoccupazione italiano è pari al 24 per cento nel 2005, rispetto alla media dell'Unione europea del 18,6 per cento). Come si è visto, i giovani italiani vivono, a differenza dei loro coetanei europei, una vera e propria «sindrome del rinvio»: rinviano il termine della propria formazione, l'ingresso nel lavoro, l'uscita dalla famiglia di origine, la formazione di una nuova famiglia. Tante volte questi rinvii si traducono nella rinuncia ad avere i figli che si desiderano o a posticiparne la nascita.
I profili critici sopra evidenziati sono determinati, in larga misura, dalle lacune del sistema dei servizi alla persona e dalla inadeguatezza delle politiche pubbliche per la famiglia, che costringono lo stesso nucleo familiare ad esercitare una funzione surrogatoria dell'intervento pubblico nell'erogazione delle cure, dell'assistenza e della tutela economica ai componenti in situazione svantaggiata, sia in situazioni di normalità (cura dei nipoti da parte dei nonni) che di emergenza (malattia, disoccupazione), funzionando come una sorta di «camera di compensazione».
Tali rilievi sono confermati dai dati diffusi dall'Istat con il Rapporto annuale 2004, in cui si evidenzia che solo il 4,4 per cento del totale delle famiglie che hanno ricevuto forme di aiuto si è rivolta al settore pubblico. Il modello italiano di welfare continua, quindi, a fondarsi sulla disponibilità delle famiglie a supportare, sia pure in condizioni di sofferenza, i membri più deboli, facendo leva su un principio di solidarietà che si concretizza nell'assistere gli anziani e i bambini, nel fornire un alloggio, nel garantire un sostegno economico, nell'aiutare i giovani nella prosecuzione degli studi, nell'assicurare le varie forme di aiuto domestico.

3.2.5 Gli aspetti problematici del sistema fiscale.

Con riferimento alle politiche pubbliche, le sfasature maggiori si riscontrano nel settore del fisco, che non appare sufficientemente orientato a tener conto del carico familiare.
Allo stato attuale, i diversi strumenti di politica fiscale non sembrano, infatti, assolvere pienamente alla funzione di tutela e promozione della famiglia secondo i principi fissati in ambito costituzionale,


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che richiederebbero una adeguata valorizzazione della filiazione come bene di investimento per la collettività. Tali fattori di criticità sono stati peraltro evidenziati, a più riprese, anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze 14 luglio 1976 n. 179; 13-24 luglio 1995, n. 358; 28 gennaio-5 febbraio 1998, n. 12).
Gli squilibri del sistema fiscale risultano particolarmente evidenti con riferimento all'imposta sul reddito delle persone fisiche, all'imposta comunale sugli immobili, alla tassa sullo smaltimento dei rifiuti, che non prevedono adeguate agevolazioni in relazione al numero dei componenti del nucleo familiare (il quale spesso risulta anche monoreddito) (82).
Considerazioni analoghe possono essere svolte in ordine alle modalità di computo delle tariffe per i consumi di acqua, energia elettrica e gas, in quanto non sufficientemente rapportate alle peculiari esigenze delle famiglie numerose.
Nel corso dell'indagine sono state messe in risalto, tra l'altro, alcune criticità relative alla configurazione e all'applicazione dell'ISEE, ossia dell'indicatore della situazione economica (reddituale e patrimoniale) dei contribuenti, cui frequentemente si fa ricorso per l'accesso al sistema dei servizi e delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni. I profili evidenziati riguardano, in primo luogo, i coefficienti di calcolo utilizzati, che avrebbero effetti scarsamente premianti per le famiglie con più figli: tale anomalia è peraltro tanto più evidente se si confronta il modello italiano con quello in uso in altri Paesi europei, quali la Francia, ove i coefficienti dell'ISEE sono determinati con una maggiore attenzione al carico delle famiglie numerose. Inoltre, la struttura dell'ISEE in Italia, oltre a non consentire l'emersione dei fenomeni di elusione ed evasione fiscale, non appare tale da assicurare che, nella determinazione della situazione economica complessiva, vi sia una adeguata ponderazione delle varie fonti di ricchezza del nucleo familiare e delle concrete finalità per le quali l'indice è utilizzato.
Con riferimento alla legislazione fiscale, va peraltro rilevato che se in assoluto il valore monetario di un reddito può essere molto elevato (e, quindi, in teoria, maggiormente tassabile), in concreto il suo valore reale decresce al crescere del numero dei figli. Conseguentemente, è avvertita dalle famiglie l'esigenza di una piena realizzazione del principio di equità fiscale, inteso sia in senso verticale (ossia in relazione al reddito), sia in senso orizzontale (ossia in relazione al numero dei familiari a carico). Le politiche fiscali lasciano, infine, aperta la questione della cosiddetta «fascia di incapienza», ossia di quei soggetti a più basso reddito e in condizione di maggior bisogno, che potrebbero restare esclusi dai benefici di natura redistributiva introdotti con la leva fiscale.
Nel corso dell'indagine è stata altresì sottolineata l'importanza che riveste il meccanismo delle deduzioni e delle detrazioni d'imposta ai fini di una maggiore equità dell'imposizione fiscale sui redditi, segnatamente in quelle situazioni in cui è necessario realizzare


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maggiormente il principio di progressività e tenere in adeguata considerazione il carico familiare.
Si segnala, infine, l'esigenza manifestata da diverse istanze rappresentative del mondo produttivo e dell'associazionismo familiare di rivedere il tema degli assegni per il nucleo familiare, valutando l'estensione di tale beneficio nei confronti delle categorie attualmente escluse e potenziandone i benefici in rapporto al carico familiare.

3.2.6 Gli aspetti problematici delle politiche sociali.

Le audizioni svolte nel corso dell'indagine conoscitiva hanno evidenziato un certo grado di sottovalutazione del peso della realtà familiare nell'ambito delle politiche sociali, sottovalutazione che colloca l'Italia in posizione più arretrata rispetto ad altri Stati europei (Francia, Germania, Danimarca), con particolare riguardo al grado di soggettività della famiglia nel welfare.
In particolare, il modello invalso nel nostro Paese si caratterizza per una concezione dell'intervento pubblico di tipo essenzialmente riparatorio (con la tendenza ad intervenire soprattutto in situazioni di emergenza e di disagio acuto), piuttosto che per un approccio promozionale, volto cioè a valorizzare le risorse umane e sociali offerte dalla compagine familiare. Contestualmente, non risulta essere stata pienamente abbandonata la logica assistenzialistica e centralistica, nonostante il progressivo rafforzamento delle autonomie locali.
Un ulteriore dato ricavabile dall'attuale situazione delle politiche pubbliche è la presenza di un crescente ricorso ai servizi erogati attraverso la responsabilizzazione del c.d. Terzo Settore, che assiste e sostiene le famiglie nelle loro molteplici esigenze, con esplicito riferimento al principio di sussidiarietà.
Inoltre, un tratto caratterizzante delle politiche sociali è costituito dalla tendenza a privilegiare il canale dei trasferimenti monetari alle famiglie (sgravi fiscali, assegni, agevolazioni) rispetto a quello della rete integrata dei servizi alla persona. Le misure monetarie dirette a beneficio del cittadino e delle famiglie pongono il problema del reperimento sul mercato, spesso non regolamentato, di servizi inaccessibili dal punto di vista economico o limitati nell'offerta.
Da una recente rilevazione dell'Istat risulta inoltre che, nell'ambito della spesa sociale, la quota destinata alla famiglia è pari al 4,4 per cento; si tratta di uno dei valori più bassi, insieme a quello della Spagna, rispetto alla media dei valori riscontrabili negli altri Paesi europei.
La ripartizione della spesa sociale per categorie dimostra la persistenza di uno squilibrio a favore della componente più anziana della popolazione; solo una quota ridotta della spesa (rispetto a quella investita dai Paesi europei più sviluppati) è dedicata alle tematiche dell'infanzia, della gioventù, della disoccupazione, confermando la più generale tendenza delle politiche redistributive a privilegiare le famiglie anziane rispetto a quelle giovani, che possono disporre di una ricchezza complessivamente meno elevata.


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Analizzando i divari di spesa per interventi e servizi sociali a livello regionale (83), risulta che le regioni economicamente più forti (prevalentemente quelle del centro-nord) presentano una spesa media per abitante più elevata: tale dato rimarca il fatto che la spesa sociale ha un limitato effetto di riequilibrio dei divari esistenti tra le diverse regioni, ossia una ridotta funzione di perequazione in rapporto alle disomogeneità di servizi e prestazioni offerti nelle diverse aree geografiche del Paese.
Proprio il nuovo assetto di competenze introdotto dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, con la conseguente ridefinizione dei rapporti tra le amministrazioni statali e quelle regionali, ha determinato il rischio di una progressiva accentuazione delle disparità territoriali, ossia di pervenire ad un sistema delle politiche socio-assistenziali caratterizzato, oltre che da una forte disomogeneità territoriale nel livello quantitativo e qualitativo delle prestazioni rese, anche da una sostanziale penalizzazione delle regioni che dispongono di minori risorse finanziarie ed organizzative. In tale prospettiva, non va trascurato che, a seguito della richiamata evoluzione dell'impianto costituzionale, si è evidenziata una scarsa capacità di raccordo e di integrazione tra i diversi livelli istituzionali (statali, regionali e locali) coinvolti nell'ambito delle politiche sociali.
La questione delle disomogeneità territoriali è vieppiù aggravata dalla mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nel settore socio-assistenziale, che ha determinato un conseguente ritardo nell'individuazione e nel finanziamento dei cosiddetti diritti esigibili. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni presenta profili di particolare complessità, in quanto essa, pur rientrando nell'ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato alla luce della riforma costituzionale del 2001 e della nuova formulazione dell'articolo 117 Cost., determina rilevanti implicazioni sulle funzioni spettanti alle regioni e alle autonomie locali e sull'impiego e la ripartizione delle disponibilità finanziarie. I livelli essenziali di assistenza, tra l'altro, rappresentano un importante strumento per orientare le scelte in ambito regionale e avviare una razionale programmazione degli interventi sociali.

3.2.7 Gli squilibri del sistema previdenziale.

Per quanto concerne il settore della previdenza, i principali elementi di squilibrio, riguardano il carattere marcatamente gerontocratico del modello attualmente vigente. Come già accennato, la spesa per la protezione delle persone anziane è in Italia molto elevata rispetto a quella di altri Paesi europei, mentre risulta complessivamente ridotta quella per la componente giovane della popolazione (ad esempio, per la disoccupazione, i figli, l'abitazione). L'invecchiamento della società produce oltretutto una tendenza alla crescita degli oneri pensionistici, accentuando il peso del settore previdenziale rispetto


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agli altri comparti della protezione sociale e accrescendo ulteriormente l'iniquità intergenerazionale, per effetto di un'allocazione delle risorse sbilanciata a favore degli anziani. Tale impostazione risulta tanto più squilibrata se si considera che il sensibile aumento della percentuale di stranieri residenti, che presentano una struttura per età maggiormente centrata sui giovani, comporta un mutamento della domanda di protezione sociale.
I redditi da pensione costituiscono, peraltro, uno strumento di sostentamento per molte famiglie (circa un terzo delle famiglie beneficia di soli redditi da trasferimenti pubblici (84)). Le risorse derivanti dalle pensioni (di anzianità e di vecchiaia) consentono benefici più elevati al Nord, con la possibilità di attuare anche trasferimenti intrafamiliari a favore delle giovani generazioni, e meno consistenti al Sud, ove i redditi da pensione possono, in molti casi, rappresentare l'unica fonte stabile di reddito per il nucleo familiare. Benché la spesa previdenziale, unitamente a quella sanitaria, sia una componente consistente della spesa sociale, va rilevato che un profilo critico attiene all'importo delle pensioni più basse, che soprattutto per gli anziani soli finiscono per costituire una causa di esclusione sociale e di povertà.

3.2.8 Le lacune del sistema di sostegno alla non autosufficienza e alla disabilità.

Come sopra già ricordato la famiglia costituisce ancora oggi la principale risorsa a disposizione delle persone disabili e anziane per fronteggiare la non autosufficienza, e i costi della cura sono sostenuti principalmente dalle famiglie stesse, attraverso il ricorso alla rete parentale oppure al lavoro privato di cura (in gran parte sommerso), cosicché, al momento, le indennità di accompagnamento sono assai poco efficaci.
Secondo i dati dell'Istat il fenomeno della non autosufficienza coinvolge in Italia circa 2 milioni e ottocentomila persone, pari al 5,2 per cento della popolazione dai sei anni in su. La distribuzione per età mostra come la non autosufficienza interessi soprattutto, anche se non esclusivamente, gli anziani: gli ultrasessantacinquenni costituiscono oltre il 70 per cento dei disabili, con una concentrazione relativa sulle forme più gravi.
Particolarmente delicato è proprio il tema degli interventi a favore della disabilità, se si considera che le persone con handicap non anziane, secondo i dati forniti dall'Istat, sono 1 milione 641 mila, e che quasi la metà di tale categoria dichiara risorse scarse o insufficienti. Le istanze provenienti dal tessuto sociale manifestano forte disagio per l'esiguità delle risorse pubbliche destinate al sostegno della disabilità, pur valutando positivamente l'introduzione del Fondo per la non autosufficienza e le ulteriori misure previste dal legislatore a


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favore dell'handicap. Le famiglie con membri disabili, infatti, mettono in risalto l'esigenza che la collettività riconosca non solo il valore etico e morale della funzione di assistenza svolta, ma anche il peso economico che ne deriva.
Costituiscono ulteriori aspetti critici del sistema nazionale di assistenza la macchinosità delle procedure di accertamento dell'handicap, lo scarso livello qualitativo e la limitata diffusione territoriale dei servizi, con particolare riferimento ai centri di soggiorno e all'assistenza domiciliare specialistica, la persistenza di rilevanti barriere architettoniche e di ostacoli alla comunicazione (ad esempio, le carenze nella sottotitolazione dei programmi televisivi con riferimento alle persone affette da sordità), le difficoltà all'inserimento lavorativo dei disabili, il ridotto riconoscimento del volontariato intrafamiliare.
Sul piano delle risorse, si rileva che il sistema attuale di assistenza per i disabili sembra penalizzare i soggetti che dispongono di un reddito non così basso da poter accedere alle prestazioni pubbliche né sufficientemente alto da poter usufruire adeguatamente di servizi privati. In tale prospettiva, si colloca anche la domanda di riformare la disciplina della reversibilità della pensione.
Un dato evidenziato dalle associazioni dei portatori di handicap è l'attenzione precipua delle istituzioni nei confronti della disabilità intellettiva, mentre maggiori carenze si riscontrano con riferimento alla disabilità motoria e sensoriale, che pure genera gravi forme di invalidità. Analogamente, si rafforza la domanda da parte dei soggetti disabili di una maggiore attenzione per il tema della perdita della capacità di autodeterminazione in età adulta, che richiama la questione del progressivo superamento dell'interdizione legale, come strumento di tutela dell'incapace. Tale istituto, infatti, a differenza di altri strumenti come l'amministrazione di sostegno, si presta più alla tutela degli aspetti patrimoniali, che non alla cura dei molteplici profili attinenti al vivere quotidiano, alla qualità della vita di relazione, alla dimensione soggettiva e affettiva dell'incapace.

3.2.9 Le criticità connesse alla condizione economica delle famiglie; impoverimento e sovraindebitamento.

Vi sono, inoltre, alcune criticità più strettamente connesse alle condizioni economiche dei nuclei familiari, tema peraltro già affrontato in precedenza sotto il profilo del processo di trasformazione delle famiglie. Uno degli aspetti peculiari del disagio delle famiglie italiane è, infatti, il progressivo impoverimento di alcune classi sociali, che in taluni casi conduce a situazioni di deprivazione morale e materiale. In effetti, il rischio di povertà e di esclusione sociale interessa principalmente le famiglie numerose, i disoccupati con figli a carico, le coppie giovani con lavori precari, i lavoratori con un basso livello di istruzione e di qualificazione professionale, gli anziani e le donne sole, le famiglie residenti nel Mezzogiorno. Situazioni di disagio possono essere connesse anche a particolari dinamiche sociali, quali maternità precoce, allontanamento dal nucleo familiare, abbandono nella prima infanzia, scomparsa prematura dei genitori, separazioni


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e divorzi, immigrazione, non autosufficienza. Si tratta comunque di un fenomeno frequentemente riscontrabile nelle società industrializzate e nelle economie sviluppate.
Secondo i dati resi noti dall'Istat, circa 650 mila famiglie italiane sono costituite da persone che non hanno un'occupazione, due terzi delle quali si concentrano nel Mezzogiorno; complessivamente, nel 2004, sono relativamente povere circa 2,6 milioni di famiglie. Le famiglie a rischio povertà o in situazioni di disagio economico possono essere individuate in quei nuclei che si collocano statisticamente al di sotto della soglia di povertà relativa (917-920 euro al mese per famiglie di due componenti), considerando tuttavia che sulla condizione economica dei nuclei familiari pesano una molteplicità di fattori economici, abitativi, sociali, relazionali, sanitari, psicologici, non valutabili in astratto.
Secondo i dati Istat (gennaio 2007), il rischio povertà è superiore alla media nazionale relativamente alle famiglie con figli: la condizione più grave riguarda le coppie con tre o più figli, le coppie con membri aggregati e i nuclei monogenitoriali che risiedono al Sud. Il disagio economico diventa, poi, ancora più consistente con riferimento alle famiglie con figli minori: allarmante è la situazione del Mezzogiorno, ove risulterebbero in condizioni di povertà il 40 per cento delle famiglie con tre o più figli minori e quasi un terzo dei nuclei con un solo genitore e delle coppie con due figli minori. Più nel dettaglio, oltre il 70 per cento delle famiglie povere con figli risiederebbe nel Sud del Paese.
In linea generale, i dati sopra riportati confermano che il numero dei figli ha un impatto determinante sulla condizione economica delle famiglie. Basti pensare che il mantenimento di un figlio con meno di sei anni accresce i costi della coppia senza figli del 19,4 per cento. Considerando una spesa media mensile delle coppie senza figli per beni necessari pari a circa 1300 euro, il costo di mantenimento di un figlio per le classi di età 0-5 anni, 6-14 anni e 15-18 anni, corrisponde rispettivamente a 252 euro, 212 euro, 233 euro.
Analizzando il rischio di povertà in rapporto al ciclo di vita di una famiglia, esso appare assumere un andamento ad U (85), ossia il rischio si presenta più alto quando si hanno in famiglia bambini piccoli, si riduce quando il capofamiglia raggiunge l'apice della carriera lavorativa e aumenta nuovamente nel periodo del pensionamento. Tale situazione di difficoltà è complicata dal ridotto livello di mobilità sociale che caratterizza l'attuale fase storica del Paese e da fattori di carattere psicologico legati alla percezione di scarse prospettive di sviluppo.
Un aspetto allarmante nell'ambito della delicata questione del benessere economico della famiglia è la povertà dei minori, in quanto negli ultimi trenta anni la quota di minori in condizioni di povertà relativa sarebbe passata dal 23 per cento negli anni settanta al 32 per cento del 2004 (ossia 1 minore ogni 3) (86). Tale squilibrio rappresenta


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un aspetto pernicioso, atteso che, oltre a contraddire palesemente il principio di uguaglianza delle opportunità, provoca un considerevole svantaggio nel lungo periodo.
Accanto alle famiglie a rischio di povertà si collocano poi larghi strati del tessuto sociale che versano in condizioni di povertà assoluta, ossia di emarginazione ed esclusione sociale, fino a forme di accattonaggio e di degrado lesive della dignità della persona. L'esigenza di evitare forme di esclusione e di marginalità sociale per i soggetti più bisognosi è alla base dell'istituto del Reddito Minimo di Inserimento (introdotto, come si è visto, con una breve e limitata sperimentazione successivamente interrotta). Il citato istituto pone, tuttavia, questioni di natura giuridica (relativamente alla configurazione di un diritto soggettivo in capo al percettore), amministrativa (in ordine alle procedure di riconoscimento e controllo), finanziaria (per l'entità delle risorse necessarie) e di efficacia (in relazione all'effettivo reinserimento nel mondo del lavoro del beneficiario).
La sensazione di impoverimento e di sofferenza percepita dalle famiglie è, in parte, dovuta anche al progressivo incremento dei costi dei beni, dei servizi e delle prestazioni, un tema che risulta fortemente ancorato all'efficacia degli interventi di liberalizzazione e di promozione della concorrenza nei diversi settori dell'economia e ad un miglioramento complessivo del sistema di rilevazione e controllo delle dinamiche dei prezzi. L'importanza di tale fattore sull'evoluzione della situazione socio-economica del Paese è testimoniato dalla crescente diffusione negli ultimi anni del fenomeno dell'acquisto di prodotti a basso costo, che si è caratterizzato come uno strumento di autotutela della capacità d'acquisto delle famiglie oltre che come una strategia imprenditoriale.
L'emergenza determinata dal rischio povertà è connessa, oltre che alle problematiche derivanti dall'incremento dei costi, anche ad un altro fenomeno di attualità, già citato, vale a dire il sovraindebitamento delle famiglie italiane, ossia l'incapacità di fronteggiare gli oneri finanziari assunti.
Le cause che conducono al sovraindebitamento, fenomeno molto diffuso anche in altre realtà europee, sono legate ad una pluralità di fattori, tra i quali ricoprono un ruolo decisivo l'andamento dell'economia generale, l'innalzamento dei tassi di interesse, l'incremento della pressione fiscale e dell'inflazione, la perdita del posto di lavoro, l'insorgere di gravi malattie, l'esagerata ed incauta propensione al consumo.
Le famiglie, tra l'altro, hanno evidenziato, negli ultimi anni, una tendenza a ricorrere massicciamente al credito al consumo, non solo per singoli acquisti di beni e servizi, ma anche per assicurarsi il mantenimento di uno standard di vita costante a fronte della crescente erosione delle risorse disponibili. Secondo i dati contenuti nella Relazione annuale 2005 della Banca d'Italia, i prestiti bancari hanno raggiunto nel 2005 la soglia di 68 miliardi di euro, con un incremento del 20 per cento rispetto all'anno precedente. Analoghi effetti sono stati realizzati con il ricorso ad altre forme di accesso al credito o ad altri strumenti finanziari, quali le carte revolving e la cessione del quinto dello stipendio.


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Non va trascurato, inoltre, che una componente rilevante del sovraindebitamento delle famiglie è rappresentato dagli oneri connessi alla contrazione di mutui per l'acquisto dell'abitazione, a seguito della crescita esponenziale dei prezzi nel mercato immobiliare, soprattutto con riferimento alle città e ai grandi agglomerati urbani (cui si riconnette la cosiddetta emergenza abitativa).
Le conseguenze del sovraindebitamento risultano preoccupanti sia per il generale depauperamento delle risorse a disposizione delle famiglie sia per la possibilità che la famiglia sovraindebitata e non adeguatamente assistita possa incorrere verso la piaga dell'usura.

3.2.10 Le carenze del sistema sanitario.

Per quanto concerne il settore della sanità, diversi sono i punti di criticità messi in luce dalle famiglie italiane. In primo luogo, accanto alle note censure in ordine all'eccessivo aggravio di spesa per le famiglie, sono state sottolineate le frizioni concernenti l'accesso alle prestazioni sanitarie da parte del malato, che richiedono una messa a punto del sistema delle prenotazioni, l'eliminazione delle lunghe «liste di attesa» e una riorganizzazione dell'attività intramuraria svolta dal personale medico. Inoltre, è stata ribadita l'urgenza di pervenire ad una rivisitazione organica dei percorsi assistenziali e dell'intero comparto dell'assistenza sanitaria, con particolare riferimento all'assistenza domiciliare, ai poliambulatori, alle strutture di lungo degenza, ai centri di salute mentale, ai servizi di cura delle tossicodipendenze, tenendo conto delle rilevanti difformità organizzative e funzionali esistenti tra le diverse aree geografiche e delle situazione di sofferenza delle strutture ubicate nel Mezzogiorno.
Le sfasature e le inadeguatezze del sistema di assistenza sanitaria risultano, poi, particolarmente evidenti nei settori dell'oncologia, delle malattie croniche e rare e della salute mentale, ove è avvertita l'esigenza di aumentare le strutture dedicate. Più in particolare, con riferimento alle condizioni dei malati affetti da patologie inguaribili e alla situazione dei malati terminali, viene avvertita l'esigenza di affrontare in modo più organico la tematica delle cure palliative, del contrasto dell'accanimento terapeutico, dell'accompagnamento del paziente per evitare forme di abbandono e di rifiuto della presa in carico, e, infine, la questione del testamento biologico.
Una specifica attenzione richiede anche il tema della sicurezza delle strutture sanitarie (soprattutto quelle ospedaliere) sia dal punto di vista del contrasto alla diffusione delle infezioni, sia dal punto di vista del contenimento degli errori medici, predisponendo adeguate misure risarcitorie per i cittadini vittime di tali situazioni. Per quanto riguarda i costi gravanti sulle famiglie per le prestazioni sanitarie, si avverte una diffusa sensazione di difficoltà, segnatamente con riferimento a quei pazienti che sono affetti da patologie gravemente invalidanti o che richiedono costose terapie. Inoltre, più in generale, si registra un diffuso disagio in relazione al progressivo incremento della compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni sanitarie.


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3.2.11 Le difficoltà delle famiglie immigrate.

Tra i fattori di trasformazione che hanno inciso sulla struttura della famiglia italiana un posto di rilievo ha acquistato il fenomeno delle migrazioni e il massiccio ingresso di stranieri nel Paese, soprattutto extracomunitari. Tale presenza ha reso urgente la risoluzione di alcune questioni, che talvolta coincidono con quelle che interessano le famiglie italiane e talvolta presentano tratti peculiari legate alla condizione dello straniero. Alcune dei profili in questione sono particolarmente delicati, in quanto investono i diritti fondamentali della persona, quali il diritto all'unità familiare (mediante il ricongiungimento dei membri residenti all'estero), il diritto ad un alloggio dignitoso, il diritto all'inserimento nel mondo del lavoro nel rispetto delle garanzie e delle tutele previste dalla legislazione vigente, il diritto all'istruzione, il diritto all'integrazione sociale e culturale, il diritto alla cittadinanza. Il quadro delle nuove esigenze poste dalla popolazione immigrata riguarda anche il superamento dell'analfabetismo (soprattutto femminile), del degrado, della povertà, della discriminazione religiosa, etnica, culturale e di genere.
Inoltre, mentre si assiste ad una diminuzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane, appare sempre più consistente, invece, la percentuale del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza da parte delle cittadine straniere che vivono in Italia, sia in seguito all'aumento negli ultimi anni della loro presenza sul nostro territorio che a causa del maggior rischio di abortire (tre volte più alto) rispetto alle italiane.

3.3 I possibili interventi per migliorare il sostegno alle famiglie.

Dalle considerazioni sopra esposte emergono una serie di problematiche proprie delle famiglie in Italia, che richiedono risposte peculiari specificamente orientate alle nuove esigenze delineate.
Preliminarmente, dal punto di vista logico, appare opportuno portare a pieno compimento il complesso delle misure legislative ed amministrative vigenti riguardanti la promozione e la tutela della famiglia.
In tal senso possono essere individuate alcune priorità relative all'esigenza di avere un quadro completo dell'applicazione della legge 328/2000 a livello regionale e locale, di conoscere lo stato di integrazione, a livello nazionale e territoriale, delle politiche sociali con le politiche sanitarie, educative e della formazione professionale, del lavoro e della politica abitativa, di verificare lo stato di applicazione dell'ISEE e il grado di commistione tra misure assistenziali e previdenziali, nonché di approfondire le ragioni che ostacolano talvolta la piena espressione della sussidarietà orizzontale (87).


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A tale proposito va segnalato che nella maggior parte dei comuni italiani sono state realizzate esperienze di vario tipo a sostegno della famiglia; si tratta di esperienze e di progetti, realizzati nell'ambito della cornice legislativa esistente, sia di carattere nazionale che regionale.
In tal senso appare importante l'attività dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia, composto da un'assemblea di comuni (25) dei quali Bologna è la capofila. Oltre a ricerche scientifiche su temi particolari, l'Osservatorio ha avuto anche una dimensione di rete cercando di far colloquiare le città tra loro ed affiancando al lavoro di analisi dei testi normativi (sia nazionali che regionali) quello di ricerca pratica.
In secondo luogo occorre apprestare una serie di politiche innovative in grado di far fronte alle diverse e nuove esigenze emergenti anche operando attraverso interventi legislativi.
Dalla serie di audizioni realizzate, oltre che dalle indicazioni contenute nei documenti consegnati all'attenzione della Commissione, emerge una forte sollecitazione affinché la famiglia venga messa al centro di politiche legislative più adeguate che ne promuovano e ne sostengano il valore.
Si tratta di evitare interventi sporadici e misure meramente assistenziali. Emergono forti e diffuse aspettative con riferimento a politiche integrate e coordinate, capaci di modificare la condizione e la sostenibilità delle famiglie.
Gli obiettivi di benessere individuale, familiare, della comunità locale, non possono essere efficacemente perseguiti solo da politiche e interventi sociali, così come gli obiettivi di salute non possono essere conseguiti solo da politiche e interventi sanitari.
Una politica per le famiglie non è settoriale ma è data dalla convergenza della politica fiscale, del lavoro, dell'istruzione, della salute, della casa, dei servizi sociali, delle pari opportunità.
Solo un mix di strumenti, infatti, (fatto di servizi alle persone, interventi e agevolazioni fiscali, trasferimenti monetari, insieme alla buona occupazione, in particolare femminile, e alla conciliazione tra lavoro e famiglia) può garantire un reale sostegno alle responsabilità familiari.
Non è dunque solo un problema di politiche sociali, anche se esse rivestono una importanza particolare.
Da più parti è stata rimarcata l'esigenza di favorire uno sviluppo economico che punti sulla valorizzazione del fattore umano, anche attraverso politiche pubbliche adeguate, che diventino, così, motore della crescita economica e non soltanto strumento per ottenere interventi redistributivi.
L'obiettivo è quello di incrementare e riorientare la spesa, per sostenere politiche più adeguate, e rivedere la sua composizione, per portare, gradualmente, il livello delle risorse disponibili il più vicino possibile alla dimensione dei parametri europei. Il nostro Paese, infatti, deve colmare un forte differenziale rispetto all'Europa, visto che essa dedica alle famiglie l'8,5 per cento della spesa sociale, contro il 4,4 per cento di quella italiana.
La famiglia, nelle sue diverse articolazioni sociali, luogo primario del benessere delle persone e della coesione sociale, deve divenire il motore di un sistema di sicurezza e di promozione sociale che


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sostenga ed incentivi le responsabilità familiari, che riconosca e dia rilevanza ai contesti, alle condizioni economiche e ai carichi di cura familiari, che valorizzi la funzione di relazione tra le persone e tra le persone e la società.
Si possono, dunque, indicare a fondamento degli indirizzi da assumere, alcuni valori e linee guida in cui il legislatore può responsabilmente riconoscersi:
ritenere fondamentale il ruolo della famiglia per la formazione, il benessere delle persone, la coesione sociale, il dialogo e la solidarietà tra le generazioni;
dare importanza alla stabilità dei legami familiari, mettendo a disposizione opportunità e risorse perché i contesti culturali e sociali la favoriscano;
realizzare politiche ed interventi che non discriminino né le persone, né i legami familiari, con misure che promuovano la crescita della responsabilità e della solidarietà;
riconoscere l'importanza della funzione educativa degli adulti e il ruolo sociale della famiglia;
riconoscere e rispettare le differenze di cui è portatore ciascun componente della famiglia, comprese quelle connesse alle diverse stagioni della vita;
favorire le pari opportunità tra i sessi;
stimolare la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associarsi delle famiglie per realizzare obiettivi comuni.

In coerenza con queste linee guida, occorrono scelte che promuovano il ruolo attivo delle famiglie nell'ambito delle politiche sociali. Questo riconoscimento è già avvenuto nella nostra legislazione con l'articolo 16 della legge n. 328 del 2000, che costituisce, dopo la Carta Costituzionale, il punto più compiuto e alto di riconoscimento della soggettività delle famiglie, la loro insostituibile funzione nella promozione del benessere e della crescita delle persone. Inoltre, investire sulle responsabilità familiari e genitoriali, sui diritti dei soggetti che le compongono, è una condizione fondamentale per prevenire e contrastare le diseguaglianze e le varie forme di esclusione sociale.
Abbiamo visto, a questo proposito, i dati in costante crescita sulla povertà minorile in Italia.
Per contrastare questo fenomeno occorrono forti investimenti nella cura dei bambini, nel sostegno delle loro capacità cognitive nelle prime fasi della vita, nel sistema scolastico e formativo, nel sostegno al lavoro delle madri e nei servizi socio-educativi per i bambini da zero a sei anni di età, nella funzione educativa dei genitori.
La promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza costituisce un punto importante per gli indirizzi di una politica della famiglia che non dimentica e che anzi promuove i diritti e le opportunità di tutti i suoi componenti a partire da quelli più deboli.


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Insomma, l'indagine segnala diverse e corpose criticità, che sono state evidenziate nei capitoli delle pagine precedenti, e che riassumiamo sinteticamente:
le problematiche relative al reddito delle famiglie e al costo dei figli;
i limiti e i paradossi di un sistema fiscale non adeguatamente orientato in favore delle famiglie con figli, di quelle monoreddito e dei contribuenti cosiddetti incapienti, cioè di quelli più poveri;
le carenze e le difficoltà di fruizione della rete dei servizi;
la complessa conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare e le difficoltà delle donne di accedere al mercato del lavoro;
i problemi connessi con il costo e la reperibilità delle abitazioni;
la non autosufficienza e i carichi delle responsabilità di cura sulla famiglia ed, in particolare, sulle donne;
la povertà ed il disagio economico che colpisce, in particolare, le famiglie con figli, senza o con un solo reddito, residenti prevalentemente nel Mezzogiorno.

Dalle linee guida e con riferimento alle criticità evidenziate, può derivare un'agenda concreta di politiche e di misure legislative a sostegno della famiglia, sulla quale impegnare il Parlamento in questa e nelle prossime legislature e da sostenersi con un graduale ma consistente incremento di risorse finanziarie pubbliche, la sollecitazione di quelle private e la valorizzazione di quelle del privato sociale (Fondazioni bancarie, imprese sociali, associazionismo di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, Patronati, ecc.):
sostenere il desiderio di maternità e di paternità, con la rimozione degli ostacoli materiali e culturali che si frappongono alla libera scelta di avere figli, e la estensione alle donne che ancora non ne hanno diritto dei vari istituti riguardanti la tutela della maternità (in particolare per le lavoratrici con contratti atipici e discontinui e quelle del comparto del lavoro domestico e familiare);
agevolare ed estendere le forme di conciliazione tra lavoro e famiglia, anche per evitare che una parte consistente di donne abbandoni il lavoro dopo la nascita di un figlio e per incentivare gli uomini, che risultano ancora scarsamente coinvolti nel ricorso alle varie opportunità previste dalla legislazione per la cura dei figli piccoli e dei familiari disabili o non autosufficienti (permessi e congedi parentali, astensione temporanea dal lavoro, part-time, ecc.);
sostenere i genitori nella crescita e nella cura dei figli, sia per quanto attiene il costo sia per quanto attiene alla funzione educativa, intervenendo con strumenti e agevolazioni fiscali più rapportate alla numerosità della famiglia, con erogazioni monetarie adeguate e continuative, con l'attivazione ed il potenziamento della rete dei servizi, con particolare riferimento ai minori da zero a sei anni;


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favorire l'autonomia dei giovani e la formazione di nuove famiglie, attraverso l'incremento dell'occupazione stabile dei giovani, le agevolazioni per l'acquisto della prima casa o per il reperimento di abitazioni in affitto, ovvero l'attivazione di programmi di edilizia pubblica agevolata e/o convenzionata;
assistere le famiglie che vivono conflitti e difficoltà;
sostenere le famiglie con problemi connessi alla presa in carico di persone disabili o non autosufficienti, anche attraverso il graduale potenziamento finanziario del Fondo per la non autosufficienza, per garantire i livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni ed intervenire a sostegno delle spese di cura delle famiglie;
sostenere l'integrazione dei cittadini e delle famiglie di immigrati regolari.

In particolare, nel programmare e organizzare gli interventi, appare opportuno rivolgere una specifica attenzione all'impegno di «cura» e di «sostegno» nei confronti di alcune tipologie familiari la cui situazione, più di altre, si ritiene esposta a maggiori difficoltà:
famiglie con bambini piccoli;
le famiglie con persone disabili o non autosufficienti;
genitori soli con bambini;
famiglie con tre o più figli;
giovani che intendono costituire una nuova famiglia e giovani famiglie immigrate;
famiglie che affrontano cambiamenti di particolare complessità relazionale, quali la separazione coniugale.

L'esigenza, avvertita dalle famiglie, riguarda, non solo la realizzazione di un omogeneo livello di assistenza sull'intero territorio nazionale, ma anche il raggiungimento di un'adeguata capacità di integrazione nell'ambito dell'erogazione delle prestazioni sanitarie, socio-assistenziali, educative, formative e lavorative, potenziando la rete integrata dei servizi.
Un primo tentativo in questa direzione è stato compiuto con la legge-quadro 8 novembre 2000, n. 328, che, nell'attuare una revisione organica del comparto socio-assistenziale, ha tracciato un percorso di razionalizzazione degli interventi basato sul coordinamento dei diversi livelli istituzionali coinvolti. In proposito, va tuttavia notato che, a seguito alle profonde modificazioni introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 nel sistema dei rapporti tra amministrazione centrale e regionale, si è originata una forte conflittualità tra Stato e regioni, testimoniata dalla copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale.
Al fine di garantire una maggiore efficacia al reticolato di programmi ed interventi nel settore socio-assistenziale, appare quindi evidente l'esigenza di assicurare una compiuta attuazione della legislazione vigente, a partire dalla citata legge n. 328 del 2000, che


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va raccordata con gli altri interventi legislativi in materia, anche al fine di eliminare antinomie e sovrapposizioni. In primo luogo, si palesa la necessità di potenziare, dal punto di vista organizzativo, il sistema dei servizi sociali, in modo che possa fornire risposte tempestive e qualitativamente all'altezza delle questioni trattate. Le carenze dei servizi sociali, denunciate dagli operatori del settore e dal mondo dell'associazionismo, derivano, in molti casi, dalle politiche di contenimento della spesa, dalla soppressione del turn over e dalla riduzione degli organici, dalla scarsa attenzione per la formazione e l'aggiornamento professionale.
L'emergenza connessa a tali criticità investe anche l'esigenza di incrementare in misura considerevole il flusso delle risorse dedicate alla protezione sociale e alla famiglia, a partire da quelle del Fondo per le politiche sociali, del quale occorre razionalizzare l'impiego da parte delle istituzioni competenti secondo un'adeguata programmazione.
Analogamente, emerge la necessità di dare concreta attuazione ad alcune altre previsioni normative, dalle disposizioni della stessa legge n. 328 del 2000, in materia di progetti individuali per le persone disabili, a quelle sulle IPAB (Istituti di pubblica assistenza e beneficenza), dagli incentivi all'occupazione dei lavoratori disabili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), al coordinamento delle politiche per la disabilità di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), al riordino delle prestazioni monetarie nel settore della invalidità civile.
Con riferimento alla questione del raccordo delle politiche pubbliche e, specificatamente di quelle per la famiglia, l'indagine conoscitiva ha messo in luce l'esigenza di superare una certa frammentarietà degli interventi nel settore socio-assistenziale e di evitare la parcellizzazione delle competenze tra i diversi attori istituzionali. La citata segmentazione non favorisce, infatti, un approccio globale, multidisciplinare e interistituzionale delle delicate questioni da affrontare. Al riguardo, l'istituzione di un Ministero delle politiche per la famiglia rappresenta un possibile passo avanti verso l'obiettivo di dare organicità e unitarietà alle politiche di promozione e sostegno alla famiglia, ferma restando l'esigenza di rafforzare gli strumenti di concertazione e di raccordo tra i diversi livelli di governo.
Un altro aspetto degno di rilievo concerne la necessità di implementare adeguatamente l'informazione al cittadino in ordine ai servizi forniti sul territorio, atteso che spesso non sono sufficientemente accessibili e chiare le indicazioni relative alle prestazioni esigibili, ai soggetti e alle strutture eroganti, alle modalità di denuncia dei disservizi e delle carenze.
Risulta dunque del tutto evidente l'esigenza di potenziare e riorientare i flussi della spesa pubblica a favore della famiglia, potenziando al contempo, come abbiamo visto, gli strumenti di sostegno del reddito e dei carichi familiari (assegni familiari, benefici fiscali, con particolare riferimento alle famiglie numerose) e la rete dei servizi sul territorio.
In tal senso occorre attribuire maggiori risorse a tutti i canali di finanziamento esistenti sulla base della vigente legislazione (tra i quali


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si ricordano il Fondo per le politiche sociali, il Fondo per le politiche della famiglia, istituito dalla legge 296/2006, e il Fondo per la non autosufficienza). È necessario inoltre operare un'attenta verifica dei risultati realizzati dalla sperimentazione dell'istituto del reddito minimo di inserimento, al fine di valutare l'opportunità di una stabilizzazione futura, della misura quale sostegno permanente alle famiglie in situazioni di difficoltà economica. Sul versante previdenziale un'attenzione particolare va riservata al tema delle pensioni di importo più basso al fine di assicurare che gli importi delle stesse siano maggiormente aderenti al soddisfacimento dei bisogni essenziali della persona.
In termini più generali, appare oltremodo importante assumere uno orientamento preciso attorno al tema della definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale, dando corso all'impianto della Legge 328 del 2000, ed assicurando un miglior coordinamento tra politiche sociali e politiche sanitarie. In particolare, nell'ambito di un'azione generale di potenziamento dei servizi sociali, una specifica attenzione va dedicata al rafforzamento dei consultori, del segretariato sociale, e dell'istituto della mediazione familiare, quali possibili strumenti per la prevenzione, comprensione ed il superamento di conflitti o tensioni all'interno del contesto familiare (88). Va inoltre promossa e valorizzata la funzione del Terzo settore nell'ambito delle politiche sociali, attraverso una progressiva integrazione dei servizi e delle prestazioni erogate nelle forma previste dalle convenzioni locali, secondo il principio di sussidarietà e sotto la responsabilità dei comuni.
Appare meritevole di segnalazione la proposta di introdurre nell'ambito dei piani locali di intervento, uno specifico indicatore, la Valutazione dell'Impatto Familiare (VIF). Attraverso questo strumento sarà inoltre possibile, per riscontrare i risultati delle prestazioni e delle misure adottate, avviare politiche strutturali non più di solo aiuto e sostegno ma di autentica promozione della famiglia (89).
Inoltre, al fine più specifico di incentivare la formazione di nuove famiglie in modo da contrastare le descritte tendenze al declino demografico, vanno adottate misure per ridurre in modo consistente la precarietà dei rapporti di lavoro, diffusa soprattutto tra i giovani e nelle aree del mezzogiorno, nonché per risolvere il disagio abitativo soprattutto per le giovani coppie.
È stata segnalata, inoltre l'urgenza di una nuova configurazione degli indicatori assunti a parametro dell'ISEE che, per come è attualmente costruito, penalizza spesso le famiglie più numerose, nonché l'esigenza di una ridefinizione dell'imposta comunale sugli immobili, di quella sui rifiuti, e delle tariffe dei consumi di elettricità, di acqua, di gas, nel senso di graduarne l'importo in relazione alla consistenza del nucleo familiare. Va inoltre presa in considerazione la proposta di aggiornare il sistema della rilevazione dei prezzi, non solo per ricercare una migliore interpretazione del paniere (e quindi dell'andamento dell'inflazione), ma soprattutto per costituire nuovi panieri strutturati per aree geografiche e per classi sociali (90).


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Specifiche misure vanno poi adottate per affrontare il problema del sovraindebitamento delle famiglie.
Per quanto attiene, poi, al sistema sanitario appare urgente dedicare una specifica attenzione alla questione dell'accesso alle prestazioni (peraltro caratterizzata da tempi di attesa molto lunghi, soprattutto per la diagnostica strumentale e specialistica e gli interventi chirurgici) e della semplificazione dei percorsi assistenziali allo scopo di promuovere la presa in carico effettiva del paziente.
Occorrerebbe inoltre operare per garantire un livello adeguato di assistenza a domicilio per alcune patologie tra le quali si segnalano quelle oncologiche, nonché quelle croniche, rare e psichiatriche. In particolare, per quanto attiene a questo ultimo aspetto, va segnalato che la tutela della salute mentale continua a gravare in modo consistente sulle famiglie con gravosissimi oneri economici e psicologici (91). Più specificamente connessa al tema della maternità, è stata richiamata la necessità di rafforzare la tutela dei diritti della partoriente e del neonato, a partire dal diritto della donna di ricorrere al parto indolore, su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento all'assistenza prima, durante e dopo il parto e alla segretezza dello stesso.
Infine, un'importanza particolare riveste il settore del mercato farmaceutico, nel quale va portata avanti l'azione di rafforzamento del processo di liberalizzazione, anche al fine di aumentare l'efficacia del controllo dei prezzi riducendo in tal modo il carico per le famiglie.
Una particolare attenzione va poi riservata al potenziamento degli interventi a favore della non autosufficienza anche valutando l'introduzione di specifici sgravi fiscali per l'assunzione delle assistenti familiari (badanti).
In relazione alle fasce di disabilità occorrerebbe poi giungere ad una semplificazione delle procedure di accertamento, al potenziamento dell'assistenza domiciliare e alla realizzazione di centri di soggiorno, nonché ad un maggior coordinamento delle competenze centrali e locali delineate dalla legge n. 104 del 1992. Va riservata infine una considerazione particolare al tema della tutela delle persone maggiorenni divenute non autosufficienti a seguito di traumi o patologie.
Sussiste infine anche la necessità di affrontare alcune priorità relative alla condizione degli stranieri, tra le quali vanno segnalate l'opportunità di giungere ad una piena tutela dei diritti dei migranti (anche attraverso l'adesione alla Convenzione ONU del 1990 e gli opportuni adeguamenti del quadro normativo in materia di cittadinanza), di favorirne il ricongiungimento familiare, di consentirne l'inserimento sociale, lavorativo e scolastico, di adottare particolari misure per fronteggiare il disagio abitativo.
Al fine di ridurre, inoltre, la tendenza crescente delle donne immigrate a ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza, appare prioritaria l'esigenza di operare un rafforzamento dei consultori e degli altri strumenti di prevenzione, informazione e di sostengo alle donne medesime.


(1) Ad oggi sono state presentate alle Camere n. 6 relazioni sullo stato di attuazione della legge n. 285 del 1997 (relativamente agli anni 1997-1999, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004). L'ultima relazione, relativa all'anno 2004, è stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 16 gennaio 2006. A seguito dell'emanazione della legge n. 285 del 1997 sono state svolte inoltre n. 2 Conferenze nazionali sull'infanzia e l'adolescenza (nel novembre 1998 e nel novembre 2002).
(2) Ai sensi dell'articolo 3, co. 3, della legge n. 104/1992 la situazione di handicap assume la connotazione di gravità «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione». Gli accertamenti relativi sono effettuati ai sensi del successivo articolo 4 della stessa legge.
(3) Ex legge n. 13 del 1989.
(4) Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 1993.
(5) Legge finanziaria per il 2006; cfr. articolo 1, comma 330 e ss.
(6) Di cui all'articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
(7) Di cui all'articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
(8) Di cui all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.
(9) Convertito nella legge 17 luglio 2006, n. 233.
(10) Convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
(11) Il finanziamento dell'attività dell'Osservatorio è posto a carico del capitolo 3289, upb 6110, dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per un importo di 150.000 euro nel 2006.
(12) Ai sensi dell'articolo 17 della legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù), è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile con il compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni relativi alle attività, svolte da tutte le pubbliche amministrazioni, per la prevenzione e la repressione della pedofilia.
(13) L'articolo 2 della legge 23 dicembre 1997, n. 451 (Istituzione della Commissione parlamentare per l'infanzia e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia) ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'Osservatorio nazionale per l'infanzia, presieduto dal Ministro per la solidarietà sociale. L'Osservatorio predispone ogni due anni il piano nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva di cui alla Dichiarazione mondiale sulla sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo dell'infanzia, adottata a New York il 30 settembre 1990, con l'obiettivo di conferire priorità ai programmi riferiti ai minori e di rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell'infanzia nel mondo. Ai sensi dell'articolo 3 della stessa legge, l'Osservatorio si avvale di un Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia, con i seguenti compiti: raccogliere e rendere pubblici normative e dati statistici; realizzare una mappa aggiornata dei servizi e delle risorse destinate all'infanzia; analizzare le condizioni dell'infanzia; formulare proposte per migliorare le condizioni di vita dei soggetti in età evolutiva e per l'assistenza alla madre nel periodo perinatale; promuovere la conoscenza degli interventi delle amministrazioni pubbliche; raccogliere e pubblicare regolarmente il bollettino di tutte le ricerche e le pubblicazioni, anche periodiche, che interessano il mondo minorile.
(14) Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
(15) Cfr. Istat, Le statistiche di genere, in, www.Istat.it.
(16) La relazione illustrativa allegata al disegno finanziaria evidenzia che l'attuale copertura territoriale, al 31 dicembre 2005, è pari al 9,9 per cento. Secondo le stime del Centro nazionale di documentazione per l'infanzia e l'adolescenza, riportate dalla medesima relazione, per ogni incremento del 5% della copertura nazionale sarebbero necessari due miliardi di euro. La relazione sottolinea, pertanto, che il raggiungimento dell'obiettivo indicato dal comma 1259 (copertura territoriale del 33% entro il 2010) richiederebbe una cifra complessiva di 9 miliardi di euro. In ragione dell'attuale congiuntura economica, lo stanziamento previsto da questa norma, fatta salva la possibilità di incrementare le risorse negli anni futuri, è sensibilmente inferiore alle necessità.
(17) Nella relazione di accompagnamento del disegno di legge finanziaria si puntualizza che tali risorse finanziarie potranno essere utilizzate per la sperimentazione di modelli di intervento a favore di soggetti non autosufficienti, in previsione della creazione di un sistema integrato, che dovrà essere realizzato nel rispetto delle competenze istituzionali disciplinate dagli articoli 117 e 119 della Costituzione e nell'ambito dei principi dettati dalla legge n. 328 del 2000.
(18) Convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
(19) Si ricorda che nell'ambito delle politiche dei giovani l'articolo 5 del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297 prevede l'istituzione dell'Agenzia nazionale per i giovani, con sede in Roma, in attuazione della decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006.
(20) Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza. Si evidenzia che il citato articolo 11, comma 3, della legge n. 468 del 1978 si limita a definire il contenuto della legge finanziaria, prevedendo che essa non può contenere norme di delega, di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, ma esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale.
(21) Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
(22) Le deduzioni per oneri di famiglia erano state introdotte dall'articolo 1, comma 349, lettera b), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), in luogo delle precedenti detrazioni.
(23) L'articolo 433 del codice civile prevede che all'obbligo di prestare gli alimenti siano tenuti nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi anche naturali;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
(24) Le deduzioni spettavano per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare di 78.000 euro, a cui occorreva aggiungere l'importo delle deduzioni e degli oneri deducibili, e quindi sottrarre il reddito complessivo, e l'importo di 78.000 euro. Se il rapporto era maggiore o uguale a 1, la deduzione competeva per intero; se il rapporto era pari a zero o minore, la deduzione non competeva; se il rapporto era compreso tra zero ed 1, la deduzione spettava in misura proporzionale a tale rapporto.
(25) In altri termini, in caso di due figli, l'importo base di 95.000 euro diviene di 110.000 per entrambi i figli; nel caso di tre figli, l'importo su cui calcolare la detrazione diviene di 125.000 euro per tutti e tre i figli.
(26) La deduzione previgente poteva essere ripartita fra i soggetti che vi avevano diritto, nella misura da essi scelta: ciò consentiva ai contribuenti di adottare la proporzione più conveniente in ragione del livello di reddito di ciascuno.
(27) La deduzione per le c.d. badanti era stata introdotta dall'articolo 1, comma 349, lettera b), n. 3), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), a decorrere dal 1o gennaio 2005, mediante una novella all'articolo 12 del TUIR. Il comma 6 della legge finanziaria ha sostituito integralmente l'articolo 12, sopprimendo tale deduzione.
(28) Le deduzioni spettavano per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare di 78.000 euro, a cui occorreva aggiungere l'importo delle deduzioni e degli oneri deducibili, e quindi sottrarre il reddito complessivo, e l'importo di 78.000 euro. Se il rapporto era maggiore o uguale a 1, la deduzione competeva per intero; se il rapporto era pari a zero o minore, la deduzione non competeva; se il rapporto era compreso tra zero ed 1, la deduzione spettava in misura proporzionale a tale rapporto.
(29) L'articolo 1, comma 335, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) aveva concesso la stessa detrazione relativamente al periodo di imposta 2005.
(30) Si considerano non residenti coloro che, cittadini italiani o meno, non risultano iscritti per la maggior parte del periodo d'imposta nelle anagrafi della popolazione residente, e non hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (articolo 2, comma 2, del TUIR). Per poter essere considerati soggetti passivi IRPEF, i soggetti non residenti devono aver percepito redditi prodotti in Italia, i quali costituiscono il loro reddito complessivo ai fini IRPEF.
(31) Decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 1988, n. 153.
(32) Il cuneo fiscale o cuneo contributivo è la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall'impresa e la retribuzione netta che resta a disposizione del lavoratore: in pratica è la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo il restante importo versato al fisco e agli enti di previdenza.
(33) I restanti 3 punti percentuali (cioè il 60% della riduzione complessiva) sono invece destinati a favore delle imprese, in modo da incentivare l'assunzione di lavoratori a tempo indeterminato (e quindi a ridurre la percentuale dei lavoratori precari) attraverso la deduzione di parte del costo del lavoro dipendente a tempo indeterminato dalla base imponibile IRAP mediante la deduzione di tutti gli oneri sociali riferibili ai lavoratori a tempo indeterminato, nonché un'ulteriore deduzione pari a 5.000 euro per ogni lavoratore a tempo indeterminato (nelle regioni del Mezzogiorno tale ultima deduzione è pari a 10.000 euro).
(34) Si prevede l'emanazione di un decreto interministeriale del Ministro delle politiche per la famiglia e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale e con il Ministro dell'economia e delle finanze.
(35) Con circolare n. 13 del 12 gennaio 2007, l'INPS ha provveduto a fornire le prime istruzioni per l'applicazione della nuova disciplina introdotta dall'articolo 1, comma 11 della legge finanziaria per il 2007. Con la successiva circolare n. 26 del 26 gennaio 2007, l'Istituto ha altresì trasmesso le tabelle con gli importi giornalieri, settimanali, quattordicinali e quindicinali, oltre ai nuovi livelli di reddito per il periodo 1o luglio 2007 - 30 giugno 2008.
(36) Il citato articolo 80, comma 1, della legge n. 388 del 2000 è stato modificato prima dall'articolo 5 del decreto-legge 25 ottobre 2002, n. 236, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2002, n. 284 e, successivamente, dall'articolo 7-undecies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43. I fondi stanziati erano pari a 350 miliardi di lire per il 2001 e 430 miliardi di lire per il 2002.
(37) Tale fondo è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dall'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
(38) Il comma 788 introduce anche, per i medesimi soggetti, una disciplina relativa all'indennità di malattia.
(39) Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53.
(40) Si ricorda che il decreto ministeriale in questione, in attuazione dell'articolo 80, comma 12, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, disciplina la corresponsione e alla misura dell'indennità di maternità, dell'indennità di paternità e dell'indennità di adozione o affidamento (oltre che degli assegni familiari) ai medesimi soggetti.
(41) Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
(42) Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo in oggetto non rileva ai fini previdenziali. I soggetti interessati, tuttavia, possono procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria .
(43) Si prevede inoltre che durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione e che il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. Tuttavia l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di 36.151,98 euro per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo.
(44) Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
(45) D.Lgs 19 febbraio 2004, n. 59, recante Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53,
(46) Legge 28 marzo 2003, n. 53 (cd «legge Moratti») recante Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. La legge ha dettato una disciplina generale in materia di istruzione e ne ha rimesso e ne ha rimesso l'attuazione a decreti legislativi.
(47) Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
(48) Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53». L'ampliamento progressivo del regime di gratuità era stato già previsto dal d.lgs. n. 76 del 2005 (recante definizione delle norme generali sul diritto dovere all'istruzione ed alla formazione) in relazione all'attuazione del diritto-dovere all'istruzione e formazione; quest'ultimo (articolo 6)di sponeva che a partire dall'anno scolastico 2005/2006 non fossero previste tasse scolastiche per i primi due anni del secondo ciclo.
(49) Il Ministero della pubblica istruzione con circolare n 13 del 30 gennaio 2007 ha fissato i limiti di reddito per l'esenzione dalle tasse nell'anno scolastico 2007/2008.
(50) L. 23 dicembre 1998, n. 448 Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.
(51) Il comma 3 del citato articolo 27 ha disposto che, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, fossero emanate, nel rispetto della concorrenza tra editori, le norme e le avvertenze tecniche per la compilazione del libro di testo da utilizzare nella scuola dell'obbligo ed individuati i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno, da assumere quale limite all'interno del quale i docenti decidono le adozioni dei testi scolastici.
(52) Più precisamente per l'esercizio 2001 dalla legge finanziaria per lo stesso anno (legge 388/2000), per gli esercizi 2002, 2003 e 2004 dalla legge finanziaria per il 2002 (legge 448/2001) e, da ultimo, per gli esercizi 2005 e 2006, dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004);la legge finanziaria 2007 (l.296/2006) reca in Tabella D un rifinanziamento, sempre per il medesimo importo, per il triennio 2007-2009.
(53) Tali princìpi sono poi confluiti nel Testo unico dell'istruzione (D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado); si segnalano in particolare gli articoli da 312 a 321.
(54) L. 27 dicembre 1997, n. 449 Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
(55) La durata della sospensione è di diciotto mesi nel caso di immobili concessi in locazione ad uso abitativo da parte di alcuni enti previdenziali pubblici e di altri soggetti specificamente indicati nel comma 3 dell'articolo 1.
(56) Si ricorda che con il termine di «edilizia residenziale pubblica» (e.r.p.) si intende quel complesso di attività dirette alla provvista di alloggi per i soggetti a basso reddito. Il termine e.r.p. è comprensivo degli interventi di edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata.
Le leggi che hanno autorizzato la vendita di un certo numero di alloggi di e.r.p. - definendo anche quali soggetti potessero accedere all'acquisto, i criteri da adottare per scegliere gli alloggi da porre in vendita, nonché le modalità per determinare il prezzo di vendita - sono principalmente le seguenti: la legge 8 agosto 1977, n. 513 (Provvedimenti urgenti per l'accelerazione dei programmi in corso, finanziamento di un programma straordinario e canone minimo dell'edilizia residenziale pubblica) e la legge 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica). La legge n. 513 del 1977 costituisce una delle prime leggi che hanno consentito agli assegnatari di acquistare l'alloggio. Essa ha avviato il finanziamento di un programma straordinario di intervento nel settore dell'e.r.p., fissando le condizioni generali sia per l'edilizia residenziale «agevolata» (dove per «agevolazioni» si devono intendere i contributi a parziale copertura del conto interesse dei mutui bancari), sia per l'edilizia «sovvenzionata» (dove per «sovvenzioni» si intende la copertura dei costi in conto capitale per la realizzazione dell'opera).
(57) Cfr. Istat, audizione del 20 settembre 2006.
(58) Cfr. Osservatorio nazionale sulla famiglia, «La condizione familiare in Italia e l'urgenza di nuove politiche familiari».
(59) Cfr. Osservatorio nazionale sulla famiglia, audizione del 4 ottobre 2006.
(60) Cfr. Osservatorio nazionale sulla famiglia, cit.
(61) Cfr. Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti, 2006.
(62) Cfr.Chiara Saraceno, prof. Ordinario di sociologia della famiglia presso l'Università di Torino, audizione del 1o febbraio 2007.
(63) Cfr. Istat, cit.. Recenti indagini Istat evidenziano, tra l'altro, che il 59,5 per cento dei giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni permane nella famiglia di origine.
(64) Cfr. Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti - anno 2004.
(65) Cfr. Indagine conoscitiva «Fenomeni di denatalità, gravidanza, parto e puerperio in Italia», realizzata dalla Commissione igiene e sanità del Senato nel 2005.
(66) Cfr. Chiara Saraceno, «Tendenze e trasformazioni recenti nei modi di fare famiglia».
(67) Dati Istat, gennaio 2007.
(68) Cfr. dati Assindatcolf, audizione del 24 gennaio 2007.
(69) Cfr. Dati Istat, audizione del 20 settembre 2006. Inoltre, secondo i dati Eurispes (Indagine sulle politiche familiari, 2003) il 32 per cento dei bambini iscritti negli asili nido rimane in lista di attesa.
(70) Cfr. dati Censis, audizione del 20 settembre 2006
(71) Cfr. Censis, cit.
(72) Cfr. Istat, audizione del 20 settembre 2006.
(73) Cfr. Nota mensile dell'ISAE (Istituto di studi ed analisi economica) - luglio 2006, secondo cui la percentuale delle famiglie che si dichiarano soggettivamente povere è del 73 per cento su base nazionale; nel periodo luglio 2005-giugno 2006 la soglia di povertà soggettiva si sarebbe assestata in media sui 1850 euro per le famiglie di due componenti.
(74) Cfr. Adiconsum, audizione 14 dicembre 2006 e Adiconsum «Il sovraindebitamento: analisi dei casi pervenuti al fondo di prevenzione usura Adiconsum»
(75) Cfr. Cia, Inac, audizione del 18 gennaio 2007
(76) Cfr. Associazioni disabili, Fish, audizione del 29 novembre 2007.
(77) Cfr. Documentazione depositata da Fish nel corso dell'audizione del 29 novembre.
(78) Cfr. Censis, audizione del 20 settembre 2006.
(79) Cfr. Cfr.Chiara Saraceno, prof. Ordinario di sociologia della famiglia presso l'Università di Torino, audizione del 1o febbraio 2007.
(80) Cfr. il volume «Matrimoni, separazioni e divorzi» (Anno 2003) del 19 gennaio 2007.
(81) Dati Istat - Audizione del 20 settembre 2006.
(82) Cfr., tra le altre, la segnalazione dell'Associazione nazionale famiglie numerose nell'audizione dell'8 novembre 2006.
(83) Dati ISTAT (audizione del 20 settembre 2006).
(84) Dati Istat - Audizione del 20 settembre 2006.
(85) Cifr. OTE, Osservatorio terza età, Ageing society, «Gli anziani e il disagio economico», in Rapporto nazionale 2006 sulla condizione ed il pensiero degli anziani.
(86) Dati della Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali - Audizione dell'8 febbraio 2007.
(87) Cfr. CGIL, CISL e UIL, audizione del 27 settembre 2006.
(88) Cfr. Associazioni disabili, Fish, audizione del 29 novembre 2007.
(89) Cfr. MOIGE (Movimento italiano genitori), Nota consegnata nel corso dell'audizione del 24 gennaio 2007.
(90) Cfr., tra gli altri, Adiconsum, audizione del 14 dicembre 2006.
(91) Cfr. Cittadinzattiva - Tribunale per i diritti del malato, Relazione PiT salute 2004-2005, depositata nel corso dell'audizione del 14 dicembre 2006.