VIII Commissione - Giovedì 7 giugno 2007


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ALLEGATO 1

SCHEMA DI RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA SULLE TEMATICHE RELATIVE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

«Vi è una marea nelle cose degli uomini
la quale, se colta al flusso,
mena al successo;
se invece è negletta,
tutto il viaggio della loro vita resta arenato
nei bassifondi e nelle disgrazie»
W. Shakespeare, Giulio Cesare, atto IV, scena III

Capitolo 1.
Affrontare i cambiamenti climatici.

1.1. Il clima sta cambiando seriamente.

Il riscaldamento globale è effettivo, sta peggiorando assai rapidamente, è causato in buona parte dalle attività umane, dobbiamo intervenire rapidamente per evitare conseguenze peggiori e - infine - non è troppo tardi.
Questa frase, che potrebbe sembrare un sintetico slogan, rappresenta in realtà la più efficace «fotografia» dell'attuale stato del dibattito sul clima, che - a quasi dieci anni dalla firma del Protocollo di Kyoto - è passato dalla questione del «se» a quella del «come». A livello mondiale non esistono più (se non in misura estremamente marginale) perplessità sull'esistenza o meno del fenomeno.
Tutti sono concordi: comunità scientifica, grandi operatori economici mondiali, Organismi internazionali, Governi di destra e di sinistra. La riflessione si è spostata verso una analisi della consistenza del fenomeno e sulle modalità con le quali la comunità internazionale e i singoli paesi possono affrontarlo. Analisi e ricerca devono continuare, ma non possono più essere considerati propedeutici alle azioni politiche, che sono sempre più urgenti.
I dati riassuntivi del fenomeno forniti dal Ministro per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare sono inequivocabili. Le concentrazioni atmosferiche attuali di anidride carbonica (380 parti per milione) e degli altri gas serra sono le più alte mai verificatesi negli ultimi 650.000 anni durante i quali il massimo valore di CO2 atmosferica si era sempre mantenuto inferiore a 290 parti per milione.
L'aumento della CO2 è causato dallo squilibrio complessivo tra emissioni globali provenienti dalle attività umane ed assorbimenti globali naturali da parte del suolo, degli oceani e degli ecosistemi terrestri e marini. Le capacità naturali globali sono attualmente in grado di assorbire meno della metà delle emissioni antropogeniche globali, il resto si accumula in atmosfera e vi permane per periodi medi che per la CO2 arrivano fino a 200 anni. Rispetto all'effetto serra naturale solo una piccola parte (tra il 10 e il 20%) può essere attribuita a cause naturali (attività solare e aerosol naturali).
La popolazione del nostro pianeta, stimata alla fine del secolo scorso in circa 6 miliardi, potrebbe crescere al 2050, secondo una stima media delle Nazioni


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Unite, fino a 9 miliardi. Tale massiccio incremento ed il bisogno di migliorare gli standard di vita della parte più povera (ancora oggi ci sono circa 1,6 miliardi di persone senza accesso all'elettricità, prevalentemente concentrati nell'Africa sub-sahariana e in Asia meridionale) comporteranno un forte incremento nella domanda di energia, anche nell'ipotesi di una crescita economica molto lenta dei Paesi già sviluppati. Alcuni scenari proiettano incrementi della domanda globale prossimi al 100% da qui al 2050 (intorno al 37% per i Paesi europei).
Questa evoluzione pone problemi molto seri. Le risorse energetiche attualmente utilizzate derivano per l'80% da combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale) e per il resto da energia idraulica, biomasse e nucleare, in proporzioni più o meno uguali. I combustibili fossili e lo stesso uranio, tuttavia, sono risorse esauribili. Per il petrolio ed il gas si sono già evidenziati problemi di scarsità, resi più acuti dalla particolare distribuzione geografica delle risorse restanti, distanti dai centri di consumo e concentrate in zone politicamente «a rischio». Per il petrolio, ben prima che la produzione abbia raggiunto il suo massimo, c'è da attendersi una crescita dei prezzi accompagnata da fluttuazioni anche brusche. Lo stesso problema dovrebbe manifestarsi qualche decennio dopo anche per il gas.
La competizione internazionale, già evidente per risorse che diventano sempre più scarse, tenderà dunque ad intensificarsi e per l'Europa i problemi di dipendenza energetica e di sicurezza di approvvigionamento non potranno che aggravarsi. Il carbone, la risorsa fossile globalmente più abbondante, si avvia inevitabilmente ad essere utilizzato in maniera crescente, soprattutto fuori dall'Europa, in aree dove le disponibilità sono cospicue e la domanda energetica è in forte crescita (Cina, India, Indonesia, Sud-Africa).
Il carbone costituisce, d'altro canto, una alternativa che - in assenza di opportuni accorgimenti tecnologici - rischia di compromettere ancora di più l'ambiente. Questa fonte, infatti, è fra le fonti energetiche quella che a parità di resa produce più CO2, il più importante dei gas ad effetto serra.

1.2. L'allarme dell'ONU è forte.

I dati dell'ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change in ambito ONU) sui cambiamenti climatici confermano che l'impatto che il riscaldamento globale sta avendo (e avrà sempre di più) su tutto il Pianeta è già serio e potrebbe diventare drammatico.
L'evoluzione futura del clima, che non è prevedibile in modo deterministico, viene descritta sotto forma di scenari. L'IPCC individua in 2 gradi centigradi l'incremento massimo oltre il quale si innescherebbe un processo irreversibile.
A.L'ipotesi più probabile, secondo l'IPCC, appare quella secondo cui l'aumento della temperatura media globale sarà compreso tra 0,6 e 0,7 gradi centigradi e raggiungerà circa 3 gradi o poco più nel 2100.
B.Al 2100 il livello del mare aumenterà mediamente tra i 28 e i 43 centimetri purchè non si inneschino fenomeni non lineari o di destabilizzazione del sistema climatico.
C.Gli estremi climatici quali le ondate di calore, le precipitazioni intense ed alluvionali delle medie ed alte latitudini, prolungati periodi di siccità alle medie e basse latitudini, diventeranno sempre più frequenti ed intensi.

Occorre assumere questi dati in modo netto, senza catastrofismi, ma con la piena consapevolezza che il tempo dei dubbi è finito. Con un aumento previsto della temperatura media globale superiore a 1,5-2,5 gradi:
-il 20-30% delle specie animali rischieranno l'estinzione;


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-le risorse idriche potrebbero aumentare nelle alte latitudini, ma diminuire del 10-30% nelle regioni di medie latitudini, fortemente antropizzate, nelle quali si trova anche la nostra «ricca» Europa e, nel suo cuore, l'Italia;
-le zone costiere saranno esposte ad un maggiore rischio di erosione e allagamento causata dall'innalzamento del livello globale marino;
-l'aumento dell'acidificazione degli oceani causato dall'aumento della CO2 in atmosfera causerà forti impatti negativi su organismi marini come i coralli e le specie a loro collegate;
-alle basse latitudini la produttività agricola tenderà a diminuire anche per un aumento della temperatura media globale di 1-2 gradi centigradi;
-vi sarà un impatto pesante sulla salute delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo tra cui: aumento della malnutrizione e dei rischi di malattie infettive e respiratorie, aumento di mortalità a causa di eventi più estremi come onde di calore, alluvioni, tempeste e siccità, aumento della frequenza di malattie cardio-respiratorie.

In questi ultimi anni si sono registrate le punte record di temperatura da quando esistono dati scientifici attendibili. Estati sempre più calde, inverni senza più neve, scioglimento dei ghiacci, hanno già prodotto conseguenze economiche anche in Italia. Si pensi per esempio all'ultima stagione sciistica ampiamente compromessa dalla mancanza di neve, al piano straordinario per la siccità nel bacino del Po, ai piani per far fronte alle estati torride con i relativi drammatici riflessi sulla popolazione anziana e così via.
Gli approfondimenti svolti dalla Commissione hanno consentito di comprendere che, oltre alle stesse risultanze che emergono dal recente documento prodotto in ambito ONU, vi sono studi, analisi e ricerche, provenienti da tutti i settori interessati (inclusi i diversi comparti del nostro Paese), che testimoniano di un problema con solide e concrete basi scientifiche.
Secondo Nicholas Stern, estensore di un recente rapporto commissionato dal governo britannico, i costi dei danni provocati dai cambiamenti climatici potrebbero essere stimati al 20% del PIL mondiale. In base alle indicazioni fornite dall'Agenzia Internazionale per l'Energia, per arrestare le modificazioni del clima e contenere la febbre del pianeta al di sotto dei 2 gradi centigradi occorre abbattere le emissioni di CO2 del 30% al 2020 e di almeno del 50% al 2050. L'obiettivo è raggiungibile, ma occorre agire ora e avviare la rivoluzione energetica nei prossimi 10 anni.
Partire da questi elementi conoscitivi ormai consolidati e da queste valutazioni consente dunque di costruire le basi per una efficace politica italiana e per idonee linee di indirizzo, sempre più urgenti e indifferibili che investano l'intera politica del Governo.

1.3. Il protocollo di Kyoto è solo un primo passo.

Occorre prendere atto che esiste un quadro giuridico, adottato a livello internazionale, che ha posto tutti i paesi (e, tra questi, l'Italia) di fronte all'assunzione di un effettivo impegno, di natura cogente, che non può essere evitato o eluso. Ciò impone a tutti gli attori di abbandonare un ruolo passivo per avviarsi verso una chiara programmazione delle misure necessarie per garantire il rispetto di questo vincolo e per raggiungere gli obiettivi fissati a livello internazionale.
L'attuazione degli impegni connessi agli accordi di Kyoto, la loro estensione nel tempo e nei paesi coinvolti, secondo le linee indicate dalla Unione europea, rappresentano sfide vitali, in cui le istituzioni politiche sono chiamate a dare prova di lungimiranza ed efficacia. Si tratta, al


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tempo stesso, di sfide che chiamano ad una collaborazione serrata tutte le istituzioni pubbliche ai vari livelli, ma anche le forze economiche, sociali e culturali.
Per l'Italia, in particolare, il quadro appare molto impegnativo, a causa del forte ritardo che si registra rispetto agli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto (ratificato con legge 1o giugno 2002, n. 120). A fronte, infatti, di un obiettivo nazionale da raggiungere entro il 2012, di riduzione del 6,5% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 (da 520 a 486 milioni di tonnellate/anno di CO2 emessa), l'Italia ha fatto segnare un costante aumento delle emissioni (in base alle stime ENEA, le emissioni nazionali di gas serra per l'anno 2005, pari a 583,3 milioni di tonnellate, segnano un aumento del 12,4% sul 1990; circa il 20% in più rispetto all'obiettivo di Kyoto); senza l'applicazione di misure rigorose, queste cifre sarebbero destinate a crescere ancora.

1.4. L'Unione europea accelera.

Per adeguarsi alla dimensione dell'impegno richiesto l'UE si è dotata anche di una apposita Commissione sui cambiamenti climatici che ha contribuito a mettere a fuoco le azioni richieste da questa sfida che è al tempo stesso politica, economica, tecnologica e culturale.
Il documento strategico della Commissione europea sui cambiamenti climatici «Una politica energetica per l'Europa» del 2007 auspica una «nuova rivoluzione industriale che acceleri la transizione verso una crescita a basse emissioni di carbonio producendo, nel corso degli anni, un aumento spettacolare della quantità di energia locale a basse emissioni prodotta ed utilizzata. La sfida consiste nel farlo in un modo che ottimizzi gli incrementi di competitività potenziali per l'Europa e limiti i potenziali costi».
I Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea hanno assunto - il 9 marzo 2007 - una decisione storica sulla futura politica climatica: integrazione tra politica energetica e tutela del clima insieme ad ambiziosi obiettivi e misure di ampio respiro.
In primo luogo, si è stabilito che, entro il 2020, le emissioni di gas ad effetto serra in ambito europeo debbano essere ridotte del 30% rispetto al livello del 1990, nella misura in cui i paesi più industrializzati contribuiscano anch'essi adeguatamente secondo le rispettive responsabilità e capacità. In una seconda fase i paesi industrializzati dovranno ridurre le loro emissioni, tutti insieme entro il 2050, dal 60% fino all'80%, sempre rispetto al livello del 1990. L'obiettivo finale è che le emissioni globali si stabilizzino entro il 2050 sul 50% del livello del 1990.
In ogni caso, prima dell'inizio dei negoziati internazionali, l'Unione Europea si impegna fin d'ora a ridurre le proprie emissioni almeno del 20% entro il 2020. Come misure principali per la realizzazione degli obiettivi, è previsto che l'efficienza energetica sia incrementata, entro il 2020, del 20% rispetto alla cosiddetta situazione business-as-usual, mentre la quota delle energie rinnovabili nel consumo energetico primario dovrà essere triplicata entro il 2020, per raggiungere il 20%. All'interno di quest'ultima misura è prevista l'introduzione, nel consumo dei carburanti, di una quota di carburanti biologici del 10%.
Per conseguire entro il 2020 l'obiettivo del 20% di rinnovabili sul consumo totale di energia, La Commissione ha previsto un costo aggiuntivo medio annuo tra il 2005 e il 2020 compreso, in funzione essenzialmente del prezzo del petrolio, tra 10 e 18 miliardi di euro. Tale costo verrebbe però compensato dalle rilevanti riduzioni di fonti fossili importate e di emissioni di gas serra realizzate grazie alla sostituzione accelerata dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili. Questi investimenti consentirebbero, d'altra parte di creare numerosi posti di lavoro stabili e di sviluppare nuove imprese tecnologiche europee.
Infine, occorre ricordare il recente accoglimento con condizioni modificative, da parte dell'Unione Europea, del Piano nazionale di assegnazione delle quote di


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emissione di anidride carbonica (PNA) ai settori industriali «coperti» dalla direttiva europea emission trading, per il periodo 2008-2012, che pure aveva previsto una riduzione di oltre 14 milioni di tonnellate rispetto al Piano messo a punto dal precedente Governo (209 rispetto a 223,11 milioni di tonnellate di CO2 all'anno).
La Commissione Europea ha chiesto all'Italia di ridurre di un ulteriore 6,5% quanto stabilito nel Piano inviato. Dati recenti hanno messo in luce che i costi per la mancata applicazione del Protocollo di Kyoto in Italia rischiano di aumentare fino a 2,56 miliardi di euro per il periodo 2008-2012 se non verranno adottate delle politiche rigorose e costanti di riduzione delle emissioni di gas serra (fonte: Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare).

1.5. Germania e Gran Bretagna fanno sul serio.

È evidente che l'applicazione di tali decisioni richiede un salto assai significativo verso un modello di sviluppo sostenibile e una trasformazione profonda del volto stesso delle società industriali. Salto dal quale l'Italia non è esonerata. Recentissime riforme sono in corso di introduzione da parte di alcuni paesi europei e, segnatamente, dal Regno Unito e dalla Germania, dove i rispettivi governi hanno proposto appositi provvedimenti per rendere legalmente vincolanti gli obiettivi, da raggiungere mediante azioni interne e internazionali, per ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Il Governo federale tedesco ha espressamente chiarito - nel suo programma operativo - che se la UE vuole ridurre i gas serra del 30%, la Germania deve dare un contributo maggiore. A prescindere dai vincoli internazionali, pertanto, la Germania, rispetto all'anno di riferimento 1990, ha unilateralmente assunto l'obiettivo di ridurre del 40%, in ogni caso, le proprie emissioni di gas serra entro il 2020. A questo fine, il Governo Federale tedesco ha messo in moto, fin da quest'anno, un «pacchetto» di provvedimenti che mirano alla tutela del clima, con il quale si dovrà dare esecuzione alle delibere dell'Unione Europea.
Il Governo britannico ha di recente presentato una proposta di legge sul cambiamento climatico basata su quattro «pilastri» principali: 1) un percorso mirato a realizzare la riduzione del 60% delle emissioni al 2050 e del 26-32% entro il 2020, rendendo legalmente vincolanti questi obiettivi; 2) necessità di individuare ulteriori strumenti per realizzare la riduzione delle emissioni; 3) una chiara definizione delle competenze, in particolare per quel che riguarda l'attività del Governo di riferire al Parlamento sulle azioni di mitigazione e adattamento; 4) un quadro istituzionale all'interno del quale gestire la transizione ad un'economia di riduzione del carbonio. Nel complesso, questi pilastri formano un «pacchetto» di misure dotato di una sua intima coerenza interna, incentrato su obiettivi possibili e dotati di un sistema efficace per realizzarli.

1.6. Una nuova frontiera per l'economia.

Queste esperienze aiutano a comprendere come anche l'Italia debba atteggiarsi dinanzi alle sfide climatiche: occorre affrontare un cambiamento radicale delle politiche nazionali, assumendo gli interventi in materia di cambiamenti climatici come un «pilastro» degli indirizzi politici generali.
Un elemento che pervade qualsiasi azione politica e in primo luogo la politica economica del Paese. In sostanza, occorre pensare a una politica economico-energetica stabile e di lungo periodo, oltre che robusta e strutturata, capace di dare risposte positive alla necessità ineludibile di combattere i cambiamenti climatici e, al tempo stesso, di gestire in modo eco-efficiente - e a prezzi adeguati - le risorse energetiche.
Una grande sfida di fronte all'umanità che si affronta con la ricerca, l'innovazione, la conoscenza, la visione del futuro,


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gli stili di vita e - naturalmente - le scelte politiche di ampio respiro che tutto ciò comporta.
Fronteggiare questi fenomeni, peraltro, non è solo un problema. Abbiamo di fronte una enorme opportunità, che può aprire prospettive nuove per l'intero «sistema Paese». Partendo dagli obiettivi e dai vincoli in materia di politiche energetiche e climatiche, una risposta coraggiosa e lungimirante alla sfida in atto comporta: ricerca e sviluppo fortemente incrementati, rapida penetrazione del mercato per prodotti nuovi ed efficienti, processi produttivi innovativi, importanti ricadute sul commercio estero e sull'esportazione di processi e prodotti eco-efficienti, nuove concezioni del traffico e del trasporto, innovazione spinta nell'edilizia.
Secondo i dati forniti dal Ministro per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare nel corso dell'audizione, l'ambiente è già oggi il quarto settore industriale del mondo. Nel 2005 il volume mondiale dell'industria ambientale ha raggiunto i 1.000 miliardi di euro collocandosi prima del tessile e della farmaceutica. Al primo posto si colloca l'industria elettronica con un volume mondiale di 2.100 miliardi, al secondo quella delle auto (1.300 mld), poi quella meccanica (1.200 mld). Quindi l'industria ambientale al quarto posto con 1.000 mld, seguita dal tessile (800 mld) e dalla farmaceutica (500 mld). Nell'ambito dell'industria ambientale il 2005 ha chiuso con un volume di 450 miliardi di euro nel campo dell'efficienza energetica, 190 miliardi nella gestione delle acque, 180 miliardi nel capitolo della mobilità sostenibile e 100 miliardi nel settore delle energie rinnovabili.

1.7. Proteggere il clima è un obiettivo di tutto il Governo.

L'VIII Commissione ha adottato, agli inizi dell'anno, un apposito atto di indirizzo (in sede congiunta con la X Commissione permanente), con cui si impegna il Governo a indire un'unica Conferenza nazionale su clima ed energia, nella quale adottare un approccio integrato che tenga prioritariamente conto delle questioni legate ai cambiamenti climatici, alle politiche della mobilità, al risparmio e all'efficienza energetica, al potenziamento delle fonti rinnovabili, alla sicurezza degli approvvigionamenti, all'innovazione e ricerca. La risoluzione approvata prevede, in particolare, che siano coinvolti con la massima tempestività, nella preparazione della Conferenza, il Parlamento, tutti i Ministeri interessati, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali e gli organismi scientifici.
Pur non sembrando, allo stato, che il Governo si stia muovendo nella direzione indicata (poiché risultano in corso di preparazione almeno due distinte sedi di confronto per clima ed energia), vi è la forte sensazione che un cambiamento di rotta sia ancora possibile. Sotto questo profilo, infatti, l'attività istruttoria svolta dalla Commissione ha consentito di prendere atto che vi sono importanti segnali che spingono per una nuova e coordinata impostazione della politica generale del Paese sulla materia.

1.8. Tutto il Paese unito in questa sfida.

Questa esigenza rende indispensabile operare lungo alcune precise direttrici di azione di natura generale, che investono i seguenti temi: il rapporto con il «sistema Paese»; i rapporti tra le amministrazioni centrali; i rapporti tra Stato e autonomie territoriali.
Il primo passaggio fondamentale per riorientare le politiche pubbliche nel senso indicato consiste nel trasmettere con chiarezza alle istituzioni, al sistema economico e produttivo del Paese, agli attori e agli operatori del settore e, più in generale, all'opinione pubblica un messaggio chiaro: l'obiettivo della lotta ai cambiamenti climatici costituisce una priorità per il sistema nazionale e anche un preciso vincolo giuridico assunto a livello internazionale.


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Di conseguenza, occorre definire un percorso per rispettare questo vincolo. Istituzioni impegnate, un controllo aperto, rapporti e indirizzi presentati in modo trasparente, chiarezza e certezza di poteri per agire in caso di necessità. L'obiettivo che sta di fronte alla classe politica, e che il Paese ha il dovere di centrare, è quello della elaborazione di un DPEF e di una manovra finanziaria che siano politicamente all'altezza della sfida posta dai cambiamenti climatici e coerenti con il principio fondamentale di sostenibilità ambientale.

1.9. Un primo banco di prova nel DPEF.

Non a caso, ormai da alcuni anni il Parlamento - nelle sue diverse sedi - continua a richiedere al Governo di dedicare una sezione del DPEF alle politiche ambientali e alle diverse misure programmate per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, in modo da costruire un vero e proprio «pilastro» portante della manovra economico-finanziaria. Si tratta di un obiettivo che era stato fissato anche normativamente, ma che - a causa di un complesso intreccio di atti legislativi successivi - non è ancora riuscito a trovare la sua compiuta e coerente attuazione.
Non ha alcun futuro, a giudizio della Commissione, un approccio al problema che continui a confinare le riflessioni nell'ambito di competenze settoriali e, di norma, ricondotte soltanto ai ministeri competenti in materia di ambiente ed, eventualmente, di energia. Al contrario, è necessario un serio investimento in termini di raccordo interistituzionale e di integrazione tra ministeri, in un'ottica di definizione delle politiche generali che valorizzi non soltanto l'azione amministrativa complessiva del Governo, ma anche il ruolo di indirizzo e controllo del Parlamento.

1.10. Pensare globalmente, agire localmente.

Infine, una riflessione va svolta sui rapporti con le autonomie territoriali, tema che è stato sollevato in numerose occasioni nel corso dell'attività istruttoria effettuata dalla Commissione. In questo ambito, infatti, si gioca una sfida delicata, che richiede senso di responsabilità e un quadro istituzionale certo e unitario.
Occorre integrare le regioni e gli enti locali in un quadro di politica nazionale. È indispensabile che le autonomie territoriali esercitino le loro competenze e le loro iniziative nel rispetto dei vincoli che derivano dagli impegni internazionali assunti dal nostro Paese. Ciò significa che in determinati settori di intervento l'esercizio delle legittime prerogative delle regioni (e, in misura diversa, degli enti locali) non può prescindere dal quadro di riferimento unitario che - sulla materia - viene definito al livello centrale, se non anche internazionale.
Il mancato trasferimento di strumenti di intervento alle Regioni lascerebbe importanti settori responsabili delle emissioni di gas serra, quali i trasporti e i consumi civili, deregolamentati o assai poco regolati a livello statale, senza efficacia a livello locale e con conseguenze negative sui settori industriali.
In questi anni abbiamo assistito al trasferimento di competenze in materia di energia alle regioni senza la necessaria dotazione da parte dell'amministrazione centrale di strumenti di regolazione e sintesi delle politiche nazionali (monitoraggi e report periodici, sistemi di premialità e penalizzazioni, scambi di quote tra regioni, ecc.).
Lo Stato non ha messo in atto strumenti di contabilità a livello regionale, elemento base per permettere la delega a livelli più bassi di sussidiarietà, e non si dispone quindi di monitoraggi affidabili delle politiche messe in atto a livello centrale nelle loro effettive ricadute territoriali.


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Solo di recente, con il disegno di legge 691/2006, è stata proposta l'introduzione di obiettivi regionali di promozione delle fonti rinnovabili e contenimento dei gas serra.
Si tratta di un tema importante, che prefigura l'adozione di strategie lungimiranti al livello locale e che richiama il dibattito attuale sul compimento della riforma in senso federalista dello Stato, compreso l'aspetto del c.d. federalismo fiscale. Ed è anche una scommessa sulla capacità delle istanze territoriali di porsi su un livello di leale collaborazione e di concertazione con le amministrazioni statali e con il sistema Paese nel suo complesso.
Anche i cittadini possono contribuire, in modo rilevante, alla tutela del clima con i loro comportamenti individuali. E anche questo messaggio deve essere veicolato con campagne di informazione e di educazione. Risparmiare energia è molto semplice e ne vale la pena.
Risultati positivi possono scaturire anche da semplici comportamenti quotidiani: togliere la spina del televisore dalla presa nelle ore notturne; scegliere un elettrodomestico ad alta efficienza energetica; sostituire le lampadine tradizionali con quelle a basso consumo energetico; risparmiare acqua nell'uso quotidiano; riciclare e selezionare i rifiuti.
Ognuno di noi deve sentirsi personalmente impegnato, anche con questi comportamenti, a contrastare i cambiamenti climatici e a difendere il pianeta, proteggendo il futuro per le nuove generazioni e, allo stesso tempo, per i paesi più deboli e svantaggiati.

Capitolo 2.
Le proposte di intervento.

Le attività dell'uomo (soprattutto in agricoltura) e gli insediamenti (soprattutto quelli costieri e le città) devono prepararsi a significative trasformazioni, per affrontare i cambiamenti climatici in atto e per rendere lo sviluppo maggiormente sostenibile dal pianeta. Per fare questo, occorrono - in primo luogo - investimenti mirati nei settori della produzione, dell'utilizzo e del risparmio di energia, della gestione delle acque (potabili e irrigue), della difesa delle coste, della salvaguardia della biodiversità.
È necessaria, inoltre, una robusta e innovativa politica fiscale, che utilizzi la leva delle agevolazioni tributarie o dei disincentivi (oltre che delle semplificazioni), per indirizzare gli investimenti, anche e soprattutto privati, verso obiettivi virtuosi nei diversi settori dell'industria, del civile, del trasporto, dell'agricoltura, della ricerca.
È convinzione della Commissione che la strada di gran lunga preferibile sia quella intrapresa dal Regno Unito e dalla Germania (ma anche, per taluni versi, dalla Norvegia e dalla Svezia), facendo tesoro delle esperienze più recenti di tali Paesi, che considerano pienamente vincolanti gli obiettivi per ridurre le emissioni di anidride carbonica e dei gas serra da raggiungere mediante azioni incisive interne e internazionali.
Occorre una strategia a due livelli, che coniughi politiche di mitigazione e politiche di adattamento.
Tra tali linee di azione si indicano i seguenti dieci ambiti di intervento:

2.1. Il risparmio: una nuova fonte energetica.

Il primo e migliore contributo alla riduzione di emissioni è offerto dalle misure di risparmio energetico. Il risparmio ed una maggiore efficienza energetica devono essere considerati una vera e propria nuova fonte di energia rinnovabile e a basso costo.
L'Agenzia internazionale dell'Energia (AIE), in un rapporto del 2006, indica come priorità da perseguire nella sfida climatica una accelerazione dei processi di trasferimento sul mercato delle tecnologie per la riduzione dei consumi e la «decarbonizzazione» dei processi di produzione e di uso finale dell'energia. I costi più elevati sostenuti dai consumatori per l'acquisto di


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prodotti a maggiore efficienza energetica (circa 2.400 miliardi di dollari in più rispetto allo scenario di riferimento) sarebbero più che compensati dai risparmi sul costo dei combustibili e dai minori investimenti dei produttori di energia (circa 3.000 miliardi di dollari in meno rispetto allo scenario di riferimento).
In Italia, dopo almeno due decenni (dal 1975 al 1995) in cui la crescita economica ha mostrato tassi di variazione molto superiori a quelli energetici, negli ultimi anni il trend sembra essersi invertito. Oggi abbiamo tassi di variazione del PIL minori (se non addirittura di segno negativo) rispetto a quelli dei consumi energetici. I consumi di energia, malgrado il forte rallentamento del PIL registrato nel 2005, sono complessivamente in ascesa e sembrano trainati soprattutto dalle variazioni registrate nei consumi energetici elettrici e di gas naturale del settore civile, sia terziario che residenziale. Se ne desume che in Italia i margini per il risparmio di energia sono ancora assai ampi in molti ambiti.
Le azioni da intraprendere sono:

  • Parte di tale azione sull'efficienza energetica, può essere costituita da un cospicuo fondo per l'efficienza energetica, con procedure di accesso chiare e semplici, rivolto soprattutto ad assistere le piccole e medie imprese nella messa in atto di provvedimenti di efficienza.
  • Le piccole e medie imprese, che costituiscono gran parte della struttura produttiva del Paese, avranno un ruolo cruciale nella lotta al cambiamento climatico. A tal fine, è opportuno un loro concreto coinvolgimento negli interventi di efficienza energetica, anche attraverso opportune modifiche alla legislazione in materia di appalti pubblici per beni e servizi chiedendo al mercato standard più stringenti di risparmio e maggiore efficienza energetica.
  • Una ulteriore parte di questa azione può, inoltre, basarsi sul sistema delle tariffe, che siano realmente incentivanti per famiglie e imprese. Occorre affermare il principio che chi più risparmia meno paga, differenziando le tariffe in base al consumo e in base agli orari per tutti gli utenti civili e industriali.
  • Un grande risparmio di CO2 è possibile con apparecchiature decisamente meno energivore, con motori più efficienti nell'industria, ed anche con una decisa riduzione del fabbisogno elettrico in stand-by. Per raggiungere l'obiettivo, si debbono mettere in atto, tra l'altro, i seguenti provvedimenti:
    -rapida introduzione di ambiziosi standard di consumo degli apparecchi nel quadro della Direttiva UE sull'Ecodesign e perfezionamento secondo il «principio del Top-Runner» (l'apparecchio con maggiore risparmio energetico di una categoria di prodotti prescrive lo standard, che tutti gli altri prodotti nello stesso segmento debbono raggiungere anch'essi entro una determinata scadenza);
    -assunzione rafforzata di criteri di efficienza energetica nell'approvvigionamento pubblico, che costituisce un committente significativo per acquisti di merci e servizi. L'apparato statale in tutte le sue articolazioni dovrà fare in modo di dare il buon esempio.
    -programmi e investimenti per migliorare l'efficienza nel campo dell'illuminazione pubblica.
  • Un maggiore efficienza potrà essere conseguita nel settore dei servizi (energetici e tecnologici) per le imprese attraverso lo sviluppo del ruolo delle Energy Service Company (ESCo).
  • Infine, il recupero e riciclo dei rifiuti può dare un significativo contributo alla riduzione di emissioni. In termini di gas climalteranti, un incremento del 10% della quota attuale di recupero


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    e riciclo comporterebbe una riduzione di 4 milioni di tonnellate all'anno di CO2.

    2.2.Edilizia: consumare meno energia.

    Il contributo dell'edilizia nei consumi totali di energia del Paese è pari a circa il 30%. Le prestazioni medie degli edifici italiani sono mediocri. I margini di miglioramento sono in questo ampio settore decisamente promettenti. Peraltro gli investimenti a carico dei privati si ripagano nel giro di pochi anni e diventano presto un significativo risparmio monetario per le famiglie, un impulso alle imprese edili e alla relativa occupazione, oltre che un risparmio energetico per il Paese.

  • Con costruzioni ottimizzate sotto il profilo energetico e con una tecnica avanzata di riscaldamento e raffrescamento, i costi per la produzione di calore e le conseguenti emissioni di CO2 possono essere mediamente più che dimezzate. Per questo motivo, possono rivelarsi determinanti al raggiungimento di significativi risultati in termini di riduzione delle emissioni:
    -il risanamento edilizio, puntando al raddoppio degli interventi di ristrutturazione edilizia energetico-ambientale;
    -gli impianti di riscaldamento e raffrescamento più efficienti (pompe di calore, ecc.);
    -i sistemi passivi contro la dispersione termica (coibentazioni, infissi di qualità, ecc.);
    -i sistemi di illuminazione a basso consumo;
    -tecnologie dell'edilizia bio-climatica;
    -i pannelli solari termici e fotovoltaici;
    -la microgenerazione eolica;
    -il rafforzamento dei requisiti di efficienza richiesti per le nuove costruzioni e l'estensione alle ristrutturazioni;
    -la certificazione energetica degli edifici da promuovere ed estendere.
  • L'esperienza della detrazione del 55% introdotta con l'ultima Finanziaria per il miglioramento energetico degli edifici deve essere attentamente monitorata per valutarne gli effetti reali, correggerne gli aspetti problematici, renderla permanente nel tempo, ampliarne la portata. Appare funzionale all'obiettivo di un'edilizia ecocompatibile la estensione di parametri costruttivi, che tengano conto delle esigenze di risparmio energetico ed idrico e l'integrazione di tali parametri nei bandi ai fini dell'erogazione di fondi pubblici (e in particolare dei fondi destinati agli enti locali attraverso i contratti di quartiere).
  • Una politica fiscale nel campo della casa legata anche alle prestazioni degli edifici può rivelarsi molto efficace.
  • Lo Stato deve dare il buon esempio partendo da programmi incisivi di ristrutturazione energetico-ambientale dell'ingente patrimonio pubblico (case, scuole, uffici, caserme, impianti sortivi, carceri, ecc.).

    2.3. Rinnovabili: verso una forte espansione.

    La quota di energie rinnovabili del nostro Paese è ancora del tutto insufficiente. Nel campo dell'eolico e del solare l'Italia deve fare molto per stare al pari con i migliori Paesi europei e con gli standard comunitari che fissano al 20% al 2020 la quota complessiva da fonti di energie rinnovabili. In particolare, questo comporta il passaggio dall'attuale previsione del 23-25% di energia elettrica da


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    fonti rinnovabili al 2010 ad un obiettivo del 30-35% al 2020.

  • È necessario un forte potenziamento dell'utilizzo dell'energia eolica (anche Offshore con programmi ambiziosi). Oggi l'eolico ha superato in Italia i 2000 MW (500-600 macchine di media taglia sugli 850 kW), ma potrebbe facilmente espandere di 3-4 volte la potenza installata. Questa tecnologia, pur essendo prevedibili ulteriori riduzioni dei costi, è comunque già prossima alla competitività e lo stesso meccanismo di Emission Trading sarà probabilmente sufficiente a renderla pienamente competitiva, anche senza limitare l'attenzione ai siti migliori. Una barriera da abbattere per lo sfruttamento di questa tecnologia è costituita dalla necessità di interventi sulle infrastrutture per il trasporto dell'elettricità che rendano il sistema in grado di assorbire sia i picchi che le brusche mancanze di produzione. L'industria nazionale è ormai uscita dalla produzione di macchine eoliche se si escludono alcuni componenti (torri, mozzi, riduttori, trasformatori, cavi). Un sostegno stabile a questa fonte può rimetterla in gioco.
  • Sul modello inglese (foce del Tamigi) è possibile pensare ad un programma nazionale di eolico off-shore seguito direttamente a livello governativo con procedure centralizzate.
  • Il fotovoltaico può giungere - se sostenuto - a 2000 MW nel 2015. Il solare termico nella nuova edilizia e nelle ristrutturazioni può arrivare ad un ritmo di installazione di mezzo milione di metri quadrati all'anno. Un quadro stabile di incentivi può favorire la produzione nazionale di pannelli che al momento vengono per la metà importati dall'estero.
  • Il meccanismo del «conto energia» oggi utilizzabile solo per il fotovoltaico può essere utilmente esteso anche alle altre energie rinnovabili. Si tratta di forti incentivi in conto energia erogati per i primi 20 anni di esercizio dell'impianto, i cui valori sono correlati alla taglia dello stesso e il cui onere ricade sui consumatori elettrici attraverso la componente tariffaria per l'incentivazione delle fonti rinnovabili.
  • Grandi potenziali risiedono nella promozione delle energie rinnovabili nel settore della produzione di calore. In questo campo ritroviamo contemporaneamente anche la maggiore possibilità di recupero, per quanto attiene alle energie rinnovabili. È un settore in cui è possibile ridurre a basso costo le emissioni di CO2 e il consumo di gasolio e gas.
  • Il termine «biomassa» comprende, oltre che le biomasse di origine forestale e i residui della lavorazione del legno, le colture energetiche, i residui agricoli, gli scarti di diverse lavorazioni, e gli effluenti di industrie agroalimentari, le deiezioni animali, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (RSU), i rifiuti domestici in raccolta differenziata, i reflui civili. I principali settori di utenza per la biomassa sono il riscaldamento domestico, la produzione di calore di processo, la produzione di energia elettrica in impianti centralizzati e la produzione di biocarburanti liquidi che rappresentano l'unica fonte rinnovabile in grado di sostituire direttamente benzina e gasolio.
  • Per spingere le energie rinnovabili sono necessari due presupposti:
    -rendere giuridicamente certi, stabili nel tempo e aumentare considerevolmente gli incentivi allo scopo di stabilizzare la produzione, la promozione, l'installazione, nonché rafforzare la sicurezza programmatica degli investimenti (sui meccanismi degli incentivi si tornerà più avanti);
    -rendere ancora più vincolanti gli obblighi di sfruttamento di energie


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    rinnovabili nelle nuove costruzioni e il risanamento profondo delle vecchie costruzioni.

  • Nel campo delle energie rinnovabili complessivamente intese tutti gli osservatori sono concordi nel valutare la possibilità di attivare un gran numero di nuovi posti di lavoro stabili.

    2.4.Centrali elettriche più moderne.

    Occorrono una serie di azioni coordinate indirizzate a diversificare le fonti, garantire gli approvvigionamenti, liberalizzare ulteriormente il mercato con l'ingresso di nuovi attori, introdurre nuove tecnologie, svecchiare il parco centrali, diminuire la taglia dei nuovi impianti, aumentare il controllo dei consumatori.
    Con riferimento al settore termoelettrico, è possibile valutare in circa 0,53 euro/MWh il costo medio unitario nel triennio 2005-2007 per l'acquisto di permessi di emissioni finalizzati a coprire la differenza (pari a 44 milioni di tonnellate di CO2 nel triennio) tra emissioni effettive e quote assegnate dal Piano di allocazione nazionale. Nel successivo quinquennio 2008-2012, corrispondente al periodo di applicazione del protocollo di Kyoto, il disavanzo medio annuo di quote a carico del settore termoelettrico potrebbe aumentare sensibilmente, con un prevedibile aggravio del costo dell'energia elettrica nel nostro Paese che potrebbe raggiungere e superare i 5 euro/MWh (Autorità per l'enrgia elettrica e il gas).
    Le azioni da mettere in campo sono:

  • Molte centrali elettriche sono ampiamente alla fine della loro esistenza e debbono essere sostituite da nuove centrali meno inquinanti.
  • Un aumento del ricorso al carbone può essere pensato solo dopo la soluzione del problema del confinamento del carbonio attraverso una forte spinta alla ricerca su questa tecnologia che diventa cruciale anche in relazione agli incrementi enormi nel ricorso a questo combustibile da parte della Cina e dei Paesi in via di sviluppo.
  • Nel frattempo, occorre ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nel settore delle centrali anche attraverso un mix di nuovi impianti, nuove tecnologie, risparmi energetici e inserimento di energie rinnovabili.
  • Si dovrebbe mirare, quanto meno, al raddoppio della quota di produzione combinata di energia e calore ed a un aumento della quota di energie rinnovabili fino al 30-35% della produzione di elettricità al 2020 come previsto dagli obiettivi UE.
  • Il sistema Paese è oggi fragile sotto il profilo della diversificazione delle fonti e della sicurezza di approvvigionamento (80% da idrocarburi di cui 90% dall'estero). In particolare, occorre effettuare scelte chiare e conclusive sulla localizzazione dei rigassificatori che rendono più sicuro l'approvvigionamento del gas e minore il costo dell'energia.
  • Occorre proseguire sulla strada delle liberalizzazioni nel campo della produzione di energia perché la competizione può aiutare a migliorare gli standard produttivi e ridurre il costo per gli utenti. Particolare attenzione andrà posta, tuttavia, nel mantenere un efficace controllo pubblico della rete di distribuzione e insieme nel migliorare la sicurezza di approvvigionamento delle fonti.

    2.5. Infrastrutture: la «cura del ferro».

    L'attuale situazione di smodato utilizzo della gomma e della strada produce un forte consumo di energia, molta emissione di CO2 in atmosfera, un elevato inquinamento puntuale, un pesante consumo di territorio ed elevati rischi per le persone. Oggi il trasporto merci del Paese avviene per l'85% su gomma. Il sistema dei trasporti è responsabile di circa un quarto


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    delle emissioni nazionali di gas serra e registra l'aumento maggiore (27,5%) tra i diversi settori nel periodo 1990-2004. Ci sono quindi margini di intervento molto vasti con i seguenti interventi:

  • La leva fiscale può essere studiata per favorire veicoli meno inquinanti o per incentivare il trasferimento di merci e passeggeri dalla strada alle ferrovie e al mare. Il trasporto su ferrovia, in particolare, presenta un bilancio climatico decisamente migliore rispetto alle autovetture, ai camion ed agli aerei. Per tale ragione, occorre una vera e propria «cura del ferro» per il Paese che punti fortemente sulla rotaia e che cerchi, tendenzialmente e ovunque sia possibile, di incentivare gli investimenti sulla ferrovia rispetto a quelli sulle strade.
  • Un punto di partenza importante è rappresentato dal documento allegato al DPEF, che il Governo è tenuto a presentare annualmente alle Camere per fare il quadro delle priorità infrastrutturali strategiche. La Commissione auspica che questo allegato sappia tradurre, da subito, in priorità concrete questi indirizzi, che - in numerose sedi - lo stesso Esecutivo ha dichiarato di voler perseguire, indicando chiaramente al Parlamento come le politiche di ammodernamento infrastrutturale del Paese siano in grado di incrociare le politiche di riduzione delle emissioni e di lotta ai cambiamenti climatici.
  • Il trasporto merci via mare deve essere incrementato soprattutto agendo sui nodi logistici e in primo luogo sui Porti (maggiore autonomia fiscale), sul trasporto combinato, ma anche su meccanismi di incentivo e disincentivo fiscale delle diverse modalità da studiarsi.
  • Le emissioni nel trasporto aereo nazionale ed internazionale presentano i tassi di aumento più alti di tutti i settori. È per questo motivo che sussiste in questo campo la necessità di intervento più urgente. Il Governo si deve impegnare per l'inserimento del trasporto aereo nel commercio europeo delle emissioni.

    2.6. Trasporti: più efficienza e meno emissioni.

    L'aumento continuo e incessante dei mezzi in circolazione sulle nostre strade impone anche di spingere verso veicoli meno inquinanti e meno energivori per abbattere le emissioni.

  • Si tratta di obiettivi da raggiungere, in particolare, attraverso la definizione di precisi «valori limite» per le emissioni di CO2 da parte dei veicoli. A tal fine, potrebbe anche prospettarsi - tra le misure concrete - la possibile indicazione delle emissioni di CO2 come base di calcolo delle tasse automobilistiche, per cui, in futuro, non dovrebbe più essere la potenza di una autovettura la base per il calcolo delle tasse automobilistiche, ma il suo concreto potenziale di inquinamento.
  • Occorre intervenire con decisione sullo shift modale e sulla diffusione di veicoli con motori ad alto rendimento (inclusi i veicoli ibridi e a idrogeno). In questo settore è particolarmente importante la ricerca delle aziende automobilistiche che deve essere incoraggiata e sostenuta.
  • Infine occorre un piano straordinario, quantitativo e qualitativo, per il trasporto pubblico nelle aree urbane con investimenti massicci per mettere le nostre città al passo con i tempi e in grado di respirare meglio (trasporto ferroviario regionale e urbano, metropolitane, tramvie, filobus, flotte di autobus a emissioni basse/nulle). L'ANCI ha chiesto uno stanziamento di almeno 500 milioni di euro per i sistemi di trasporto pubblico locale nelle aree urbane del Paese, indispensabile a recuperare il forte ritardo italiano.


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  • Le misure necessarie a ridurre le polveri sottili (PM10), sia primarie che secondarie, portano a ridurre anche il consumo di combustibili fossili e quindi le emissioni di CO2. In questo come in altri campi ci sono importanti effetti combinati tra la lotta agli effetti puntuali dell'inquinamento e la riduzione dell'emissione di CO2. Da un recente studio dell'OMS si evidenzia che tra il 2002 e il 2004, nelle sole 13 maggiori città italiane si stimano 8.220 morti all'anno legati alle polveri sottili (PM10).

    2.7. Combustibili naturali.

    Lo sviluppo dei combustibili naturali è un obiettivo della Unione Europea che deve entrare a far parte anche delle nostre politiche nazionali. Le energie rinnovabili dovranno coprire, secondo gli obiettivi della UE, entro il 2020 almeno il 10% del consumo europeo di combustibili.

  • Occorre, quindi, impegnarsi per aumentare la quota interna di produzione e di utilizzo di tali combustibili entro la data indicata fino al 10%. In tale contesto, i combustibili biologici di seconda generazione, come biogas e BtL (Biomass to Liquid), svolgeranno un ruolo importante.
  • Nel campo dell'agricoltura no-food andranno fatte le scelte giuste di valorizzazione delle coltivazioni energetiche nazionali considerando con attenzione il bilancio energetico, il bilancio complessivo del carbonio, l'intero ciclo di vita, l'uso dell'acqua, l'impatto sul paesaggio e sulle produzioni tipiche. Si tratta di valutare con estrema attenzione le zone, le colture, i sistemi di coltivazione in grado di non entrare in conflitto con le produzioni tipiche di qualità di cui l'Italia è ricchissima.

    2.8. Nuove tecnologie, più ricerca e più educazione per il nostro futuro.

    La rivoluzione energetica necessaria passa anche attraverso una profonda rivoluzione culturale che imprima nuova spinta all'avanzamento dell'intera umanità. Il passaggio dall'economia della materia ad una economia della conoscenza e dell'informazione implica una radicale svolta culturale ed una forte accelerazione tecnologica.
    Le innovazioni in tutti i settori nevralgici del Paese, come anche lo sviluppo e l'impiego di nuove tecnologie, sono la chiave per mobilizzare i potenziali di riduzione dei gas serra e contemporaneamente per sfruttarne le opportunità economiche. Combattere i cambiamenti climatici significa pensare ad una seconda rivoluzione industriale, all'uscita dall'era del fossile e al passaggio ad una economia dematerializzata dove prevalgono la conoscenza e l'informazione sul consumo di energia e di materia.

  • I campi promettenti su cui impegnare le Agenzie di ricerca del Paese e le Università sono tra gli altri:
    -le tecniche avanzate di risparmio energetico nei diversi settori civili e industriali;
    -le energie rinnovabili (idrogeno, celle a combustibile, fotovoltaico polimerico, biocombustibili, ecc.);
    -i sistemi e i materiali avanzati in edilizia;
    -i motori a bassi consumi/emissioni;
    -le tecniche di risparmio idrico;
    -la meteorologia e climatologia;
    -il carbone semi-pulito e il sequestro del carbonio;
    -il nucleare sicuro (chiusura del ciclo delle scorie e decommissioning);
    -il nucleare da fusione.


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  • Nella ricerca energetica occorre compiere considerevoli passi in avanti, con un forte incremento dei finanziamenti pubblici e stimolando un analogo, auspicabile, impegno da parte del mondo economico privato.
  • Il sistema scolastico svolge un ruolo rilevante nell'ambito del tema cambiamenti climatici sia sotto il profilo dell'educazione ambientale, sia sotto il profilo infrastrutturale, attraverso la promozione del risparmio energetico negli edifici scolastici e il coinvolgimento di questi ultimi in un progetto di produzione di energia alternativa.
  • Tra gli elementi di criticità del sistema universitario e di ricerca è emersa la questione del sottodimensionamento e dello scarso coordinamento del settore della ricerca sul clima e sulla meteorologia, sia in termini di personale che di risorse finanziarie.

    2.9. Agricoltura amica del clima.

    Il settore agricolo riveste un duplice ruolo nello scenario evolutivo dei cambiamenti climatici. Da un lato, l'agricoltura è soggetta a subire profonde trasformazioni per effetto dei mutamenti climatici in atto (erosione e degrado dei suoli, sovrasfruttamento delle risorse idriche, salinizzazione, deforestazione, incendi, perdita di biodiversità). L'Agenzia Ambientale Europea in collaborazione con l'Enea ha valutato che il territorio italiano è per il 3,7% molto vulnerabile al fenomeno della desertificazione, per il 32,15% vulnerabile e per il 64,11% poco vulnerabile. Dall'altro canto l'agricoltura può giocare un ruolo attivo nel contrastare i mutamenti climatici, grazie alle potenzialità offerte dalle fonti rinnovabili di origine agricola e dalla capacità di assorbimento di CO2 nei terreni agricoli e nel patrimonio forestale.
    Sotto il profilo delle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici si evidenzia la necessità di:

  • Monitorare l'impatto dei cambiamenti climatici sull'agricoltura e tener conto dell'impatto del clima su piani e programmi di settore.
  • Un programma nazionale sull'agricoltura sostenibile basata sulla qualità dei prodotti (made in Italy) e dei processi (basso consumo idrico, biocombustibili a «filiera corta», riforestazione, biomasse forestali, ecc.).
  • Potenziare un'efficiente gestione delle risorse idriche, anche attraverso adeguati strumenti di monitoraggio, di pianificazione e risparmio dell'uso di tale risorsa e un intervento sui meccanismi tariffari.
  • Ricerca nel campo del miglioramento genetico per individuare varietà maggiormente resistenti alle sollecitazioni ambientali (alte temperature, siccità, alta salinità).

    Sotto il profilo delle strategie di mitigazione, si è evidenziato il ruolo che può essere svolto dal settore agricolo nella riduzione delle emissioni attraverso:

  • Agroenergie e biocombustibili a «filiera corta» con un obiettivo intermedio del 5% entro il 2010;
  • Valorizzazione delle potenzialità di assorbimento del carbonio legate al recupero della fertilità dei terreni;
  • Intervento nel campo della forestazione e delle biomasse derivanti dalla gestione forestale a «filiera corta».

    2.10. Politica internazionale: un nuovo ruolo per l'Italia.

    Anche la politica estera italiana deve essere impegnata sul terreno dei mutamenti climatici per i diversi riflessi che ne deriveranno. Dalle prevedibili migrazioni climatiche agli accordi internazionali, dal commercio estero alla politica nei confronti


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    dei Paesi emergenti come Cina e India, senza il cui contributo la battaglia climatica è perduta.

  • Un obiettivo è quello di raggiungere entro il 2009 un accordo internazionale sul seguito del Protocollo di Kyoto oggi valido solo fino alla fine del 2012. Sarà decisivo in tal senso che gli USA e gli altri Paesi industrializzati, ma anche i grandi Paesi emergenti, come la Cina e l'India, assumano adeguate misure per la tutela del clima per il periodo fino al 2020.
  • Dal momento che in particolare i Paesi in via di sviluppo e più poveri sono i più esposti alle conseguenze del mutamento del clima, è necessario un aiuto per l'adeguamento alle mutate condizioni. In tale contesto vanno esaminati gli strumenti innovativi di finanziamento, sul modello di quelli che già esistono in Francia e in Inghilterra.
  • Il Governo deve accompagnare e promuovere un ruolo attivo delle nostre imprese nel trasferimento verso l'estero di tecnologie pulite e compatibili con l'ambiente nell'ambito dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto.

    Capitolo 3.
    Gli strumenti di intervento.

    3.1. Le criticità del meccanismo di emission trading.
    Se da un lato emergono numerosi elementi di criticità dell'attuale sistema di Emission Trading (ETS), dall'altro esso - come ribadito in sede europea - costituisce il meccanismo migliore per promuovere la riduzione delle emissioni.
    In tale contesto, le necessarie correzioni al sistema di ETS presuppongono l'armonizzazione dei diversi sistemi nazionali, l'estensione del medesimo a tutti i settori con emissioni significative e la massimizzazione della possibilità di utilizzo degli altri meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto. Occorre inoltre tenere presente l'esigenza di apportare le necessarie correzioni al sistema al fine di ridurre gli effetti anticoncorrenziali che il suo attuale funzionamento ha prodotto e che, come emerso in sede istruttoria, ha riguardato in modo particolare il nostro Paese.
    Alcune delle critiche al sistema di emission trading hanno riguardato la sua stessa impostazione, fondata su un approccio su base territoriale, dal quale deriva che vengono prese in considerazione le emissioni determinate dalle produzioni europee, e non, più in generale, quelle ascrivibili ai consumi europei. Ciò implica il rischio reale di incentivare la delocalizzazione delle produzioni in territori nei quali gli standard ambientali sono inferiori o l'importazione di merci da quegli stessi Paesi. Sul punto, è stata prospettata la sostituzione dell'attuale approccio dei limiti alle emissioni su base territoriale con un approccio di limiti alle emissioni indotte per prodotto.
    Con specifico riferimento alla situazione italiana, gli elementi di criticità sono stati identificati, da un lato, nel rischio di dipendenza dall'estero insito in tale meccanismo a causa del deficit di crediti di CO2 che contraddistingue il nostro Paese. Dall'altro, nel vincolo derivante alla costruzione di nuova capacità produttiva dalle attuali modalità di allocazione delle quote (e in particolare dal dimensionamento della riserva per i nuovi entranti).
    Con riguardo a tale ultimo profilo sono state evidenziate ulteriori criticità del meccanismo sotto il profilo della concorrenza, legate alla struttura fortemente concentrata del mercato nel quale sono avvenute le allocazioni gratuite dei diritti di emissione e all'estrema onerosità del sistema per i settori industriali energivori, inquanto esposti alla concorrenza internazionale, in presenza di regimi non armonizzati tra i vari Paesi.


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    3.2. Le criticità degli incentivi per le energie rinnovabili.

    Nella situazione italiana, caratterizzata in particolare da una forte dipendenza dall'estero e dal basso livello di diversificazione, appare necessaria la revisione degli attuali meccanismi di incentivazione alla produzione di energia rinnovabile, calibrando gli incentivi sulle singole fonti e modificando il sistema dei certificati verdi con un sistema misto.
    Con riferimento all'attuale meccanismo di incentivazione delle fonti rinnovabili, si pone in primo luogo un'esigenza di coerenza tra gli obiettivi nazionali e quelli regionali (assegnazione di quote certe e concordate con le regioni e conseguenti premi e sanzioni), oltre che di forte semplificazione delle procedure amministrative.
    A proposito dei certificati verdi, uno degli elementi di criticità del sistema è stato individuato nel fatto che esso è agganciato, sia pure indirettamente, alla valorizzazione dell'energia CIP6 ed è quindi esposto a dinamiche indipendenti dall'andamento della domanda e dell'offerta.
    A proposito del CIP6 è emersa con evidenza la necessità di trattare in modo diverso le cosiddette fonti assimilate - eliminando la loro incentivazione come fonti rinnovabili per i nuovi impianti come previsto dall'ultima Legge Finanziaria - per evitare le macroscopiche distorsioni e l'enorme dispendio di denaro pubblico che si sono manifestati in passato.

    Capitolo 4.
    Cogliere la marea.

    Il far fronte al mutamento climatico e la trasformazione della società industriale, ad esso necessariamente collegata, possono avere successo solamente se si stabiliscono obiettivi ambiziosi e di lungo periodo e li si persegue con costanza e continuità. Nessuna azione spot può avere successo. Gli Organismi internazionali ed i Paesi più avanzati lavorano su scenari di lungo e lunghissimo periodo (UE al 2020, Regno Unito al 2050). Anche l'Italia deve assumere un orizzonte temporale commisurato alla sfida che abbiamo di fronte che può essere riassunto in una sola frase: «uscire dall'era del fossile».
    Tutti devono impegnarsi per proteggere e progettare il futuro. Il segnale forte che la Commissione intende consegnare all'Assemblea con la presente relazione ha proprio questo significato. Il Governo, le Regioni, il sistema delle Autonomie locali, i protagonisti dell'economia e della società, il mondo della ricerca devono assumere la loro parte di responsabilità.
    Naturalmente per rendere credibili obiettivi così ambiziosi occorrono anche tappe intermedie ben definite e azioni coerenti e progressive che partano immediatamente. Vi deve essere la volontà di una vera svolta ambientale da avviare subito, attraverso una rinnovata impostazione delle linee guida della politica economica. E un primo passo andrà fatto con un DPEF coerente - oltre che con il Patto di stabilità a livello europeo - anche con il quadro degli impegni assunti in sede UE connessi agli accordi di Kyoto.
    Orientare le politiche generali del Paese alla sostenibilità ambientale e considerare centrali per l'azione di governo le iniziative per contrastare i cambiamenti climatici rappresenta, oggi, una questione strategica per la politica e una sfida da raccogliere anche come una grande opportunità di rilancio italiano.
    La questione decisiva è legata all'esigenza di passare subito dall'analisi all'azione cogliendo l'onda di marea che avanza. L'opportunità è data dalle enormi prospettive di modernizzazione del «sistema Paese», legate intimamente al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle
    emissioni e capaci di metterlo al passo e in competizione con le democrazie più avanzate e più lungimiranti.
    La sfida climatica diventa uno dei simboli di una nuova stagione di protagonismo dell'Italia nel mondo ed una metafora del rilancio del Paese. Un metodo per proteggere il nostro futuro e per parlare alle nuove generazioni, ma anche una nuova frontiera per l'orgoglio nazionale.


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    ANNESSO 1
    IL PERCORSO ISTRUTTORIO

    Nella riunione della Conferenza dei presidenti di Gruppo del 24 gennaio 2007 è stato prospettato lo svolgimento di un dibattito in Assemblea sul tema dei cambiamenti climatici, sulla cui opportunità è emerso un orientamento condiviso dai rappresentanti di tutti i gruppi politici. In tale sede, si è convenuto di attribuire alla VIII Commissione, la quale ha una competenza generale in materia, il compito di realizzare una attività preparatoria, di carattere istruttorio, ipotizzando i modi e le forme di tale attività, in modo da assicurare, per un verso, una adeguata interlocuzione con il Governo e, per altro verso, l'acquisizione di utili apporti conoscitivi dalle altre Commissioni permanenti.
    A seguito di tale determinazione, la VIII Commissione ha quindi concordato di predisporre una relazione all'Assemblea, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, per poter fornire una specifica base di riflessione al dibattito parlamentare. Per giungere alla definizione di tale relazione, la Commissione ha ritenuto opportuno impostare la propria attività istruttoria nei seguenti termini:
    a) procedere ad un ciclo di audizioni di ministri sui diversi profili che investono il tema dei cambiamenti climatici, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, coinvolgendo - di volta in volta - le Commissioni di riferimento;
    b) svolgere un ciclo di audizioni informali, per acquisire ulteriori dati ed informazioni necessari all'approfondimento della materia, con particolare riferimento a rappresentanti del mondo tecnico-scientifico, anche a livello universitario, del settore imprenditoriale, dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi, delle parti sociali e della società civile, nonché delle autonomie territoriali;
    c) elaborare - sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti - una proposta di relazione all'Assemblea, sulla quale acquisire, prima della definitiva approvazione, gli orientamenti e le valutazioni di tutte le Commissioni permanenti.
    Alla luce di questo percorso istruttorio, la cui consistenza è testimoniata anche dalla apposita ricognizione riportata in allegato alla presente relazione, la VIII Commissione è, quindi, pervenuta all'adozione di un documento che pone le basi per una seria e concreta riflessione in ambito parlamentare, con l'intenzione di sollecitare tutte le istituzioni sulla necessità di un approccio integrato delle politiche suscettibili di incidere, in varia misura, sul problema dello sviluppo sostenibile del pianeta.


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    ANNESSO 2
    LE AUDIZIONI

    ATTIVITÀ ISTRUTTORIA SVOLTA DALLA VIII COMMISSIONE SULLE TEMATICHE RELATIVE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

    CONFERENZE INTERNAZIONALI

    Missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (14-15 febbraio 2007).
    Relazione sui risultati della missione: seduta del 28 febbraio 2007.

    Missione a Berlino in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (3-4 giugno 2007).

    AUDIZIONI DI RAPPRESENTANTI DI ISTITUZIONI COMUNITARIE

    Commissioni riunite VIII, X e XIV Camera - 8a, 13a e 14a Senato
    Audizione del Commissario europeo per l'energia, Andris Piebalgs, su tematiche inerenti le politiche energetiche europee.
    Seduta del 13 febbraio 2007.

    AUDIZIONI DI RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO

    Commissioni riunite VIII e X
    Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sugli orientamenti del suo dicastero in merito alle politiche riguardanti i cambiamenti climatici, l'energia e lo sviluppo sostenibile.
    Seduta del 7 febbraio 2007.


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    Commissioni riunite VII e VIII
    Audizione del Ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, sulle problematiche relative alla trattazione del tema dei cambiamenti climatici nell'ambito di programmi e strutture scolastici.
    Seduta del 15 febbraio 2007.

    Commissioni riunite VIII e XIII
    Audizione del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Paolo De Castro, sugli orientamenti del suo dicastero in merito alle politiche agricole e forestali concernenti i cambiamenti climatici.
    Seduta del 15 marzo 2007.

    Commissioni riunite VIII e IX
    Audizione del Ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, sulla programmazione delle politiche di competenza del suo dicastero in relazione agli aspetti concernenti i cambiamenti climatici.
    Seduta dell'8 maggio 2007.

    Commissioni riunite VII e VIII
    Audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle linee di intervento del dicastero dell'università e della ricerca in ordine alle politiche relative ai cambiamenti climatici, con particolare riguardo al ruolo del sistema universitario e della ricerca scientifica.
    Seduta del 29 maggio 2007.

    Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, sulle iniziative del Governo in relazione alla più recente legislazione regionale in materia di inquinamento atmosferico.
    Seduta del 21 febbraio 2007.

    Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sulle politiche relative ai cambiamenti climatici.
    Seduta del 5 giugno 2007.

    Audizione del Viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, sulla programmazione delle politiche di competenza del suo dicastero concernenti i cambiamenti climatici.
    Seduta del 16 maggio 2007.

    Audizione del Capo del Dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso, sulla situazione delle risorse idriche sul territorio nazionale e sulla pianificazione delle relative misure di intervento.
    Seduta dell'8 maggio 2007.


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    AUDIZIONI INFORMALI
    (sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici)

    Audizione informale di rappresentanti del Kyoto Club.
    Seduta del 27 febbraio 2007.

    Audizione informale di rappresentanti dell'ANBI (Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni).
    Seduta del 28 febbraio 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di ENEL SpA.
    Seduta del 7 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di associazioni del settore agricolo.
    Seduta dell'8 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti dell'ENEA.
    Seduta del 14 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di associazioni di produttori di energia da fonti rinnovabili.
    Seduta del 14 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di associazioni delle piccole e medie imprese.
    Seduta del 14 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di ENI SpA.
    Seduta del 15 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di Federutility (Federazione delle imprese energetiche e idriche).
    Seduta del 21 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di Confindustria.
    Seduta del 29 marzo 2007.


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    Audizione informale di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'UPI e dell'ANCI.
    Seduta del 29 marzo 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di Edison SpA.
    Seduta del 4 aprile 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di Sorgenia SpA.
    Seduta del 4 aprile 2007.

    Audizione informale di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA).
    Seduta del 18 aprile 2007.

    Audizione informale di rappresentanti della Federazione delle società di servizi energetici (FederEsco).
    Seduta del 19 aprile 2007.

    Audizione informale di rappresentanti del settore dell'università e della ricerca scientifica.
    Seduta del 2 maggio 2007.

    Audizione informale di rappresentanti di associazioni ambientaliste.
    Seduta del 10 maggio 2007.

    Audizione di rappresentanti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
    Seduta del 15 maggio 2007.


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    ALLEGATO 2

    Schema di decreto legislativo concernente ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale (Atto n. 96).

    DOCUMENTAZIONE CONSEGNATA DAL RAPPRESENTANTE DEL GOVERNO

    1. La legge delega ed il sistema di modifica del Codice dell'ambiente.

    Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta procedendo ad una serie di interventi correttivi che operano sull'intero testo del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 «Norme in materia ambientale», comunemente noto come Codice dell'ambiente. La decisione di procedere ad una più puntuale disamina dell'intero corpus normativo vigente, che si muove dalla acquisizione a livello positivo di una globale considerazione del bene ambientale e della meritevolezza di una sua tutela organica, è dovuta alla necessità, anche esplicitamente formulata in sede comunitaria, di eliminare quella serie di aporie e di lacune che hanno contrassegnato alcune delle scelte concrete operate nell'adozione del Codice.
    L'imponenza dell'intervento a monte e, ancora di più, il numero delle modifiche necessarie per il superamento dei problemi riscontrati ha imposto l'adozione di un meccanismo articolato di revisione, nel quale potessero trovare contemperamento le priorità, determinate da urgenze normative o fattuali, e gli interventi organici, relativi alla ricostruzione complessiva e per settori dei singoli ambiti regolati.
    La vasta riscrittura dell'intero Codice ambientale è, attualmente e dal punto di vista normativo, uno dei momenti centrali dell'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
    La rilevanza e l'entità delle ricadute, sull'intero sistema nazionale, che tale disciplina comporterà, sia dal punto di vista ambientale, come pure da quello produttivo, sono testimoniate dall'elevato interesse e dalla amplissima partecipazione, della politica, delle istituzioni e delle categorie sociali, all'opera di riassetto.
    La possibilità giuridica di rinnovellare il testo di riferimento, il Codice dell'ambiente, è contestuale alla stessa delega per la redazione del codice stesso, ed è disciplinata dall'articolo 1 legge n. 308 del 2004, in specie dai commi da 1 a 19. La legge 308, definita in rubrica «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione», contiene in realtà altre due serie di disposizioni immediatamente operative, in tema di rifiuti ed in tema del cosiddetto «condono ambientale».
    Per ciò che concerne più in particolare la delega, la stessa riguarda l'adozione di «uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:
    a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
    b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;
    c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
    d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;


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    e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
    f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
    g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera».

    Il decreto 152 ha interessato tutti tali settori ad esclusione della lettera g.
    Contestualmente alla delega, la legge 308 prevede il meccanismo di adozione, nel termine di due anni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, dei necessari provvedimenti per la modifica e l'integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche, nonché l'individuazione degli ambiti nei quali la potestà regolamentare è delegata alle regioni e l'indicazione espressa delle disposizioni abrogate a seguito della loro entrata in vigore. Il complesso iter procedurale di modifica è previsto al comma 6:
    «6. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo può emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell'intervento normativo proposto».

    Contemperando le disposizioni esplicite, appena citate e derivanti dalla legge di delega, con le altre previsioni vigenti, il percorso di modifica si articola in questo modo:
    a) presentazione di una relazione da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai Presidenti delle Camere, evento realizzatosi in data 28 giugno 2006;
    b) approvazione, in prima lettura, da parte del Consiglio dei Ministri, come avvenuto in data 12 ottobre 2006;
    c) espressione del proprio parere da parte della Conferenza Stato-Regioni, parere fornito in data 29 marzo 2007;
    d) trasmissione dell'articolato, accompagnato dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, fase attualmente in corso;
    e) espressione del parere di competenza del Consiglio di Stato;
    f) seconda lettura da parte del Consiglio dei Ministri, per la trasmissione dei testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari;
    g) espressione del parere definitivo da parte delle Commissioni parlamentari;
    h) definitiva approvazione da parte del Governo.

    Il Governo ed il Ministero dell'ambiente hanno quindi esteso, nella massima forma sinora attuata, la partecipazione delle formazioni politiche, sociali e professionali all'opera di realizzazione della scrittura del testo normativo.
    Infatti, oltre al rispetto delle disposizioni espresse contenute nella legge delega, si è provveduto ad ampliare il coinvolgimento partecipativo, anche mediante organismi rappresentativi delle parti sociali. Con decreto ministeriale del 7 giugno 2005, si sono infatti introdotti formalmente forme di consultazione delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali e delle associazioni nazionali riconosciute per la tutela dell'ambiente e per la tutela dei consumatori.
    Si è inoltre rispettata la previsione di richiedere il parere del Consiglio di Stato,


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    ponendo rimedio alla mancata consultazione in sede di redazione del testo di riferimento.
    Con il rispetto della sequenza appena delineata, il Governo intende porre rimedio alle riserve, di ordine metodologico, contenute in termini di condizioni ed osservazioni nelle indicazioni formulate dalle commissioni parlamentari nel corso dell'esame del primo correttivo.

    2. Contenuto del secondo correttivo.

    Gli interventi modificativi della normativa vigente che si intendono operare con il provvedimento in esame si prospettano come necessari e urgenti, sia per recepire i rilievi effettuati nei pareri resi dalle competenti Commissioni parlamentari e dalla Conferenza Unificata sul primo decreto correttivo, sia al fine di adeguare diverse disposizioni del codice ambientale al diritto comunitario, anche per determinare la chiusura di numerose procedure di infrazione comunitaria allo stato pendenti nei confronti dell'Italia ed evitare così il rischio di pesanti condanne da parte della Corte di Giustizia.
    Va considerato che in data 3 luglio 2006 l'Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia a causa della restrittività della nozione di «rifiuto» introdotta a livello nazionale. Perciò occorre anche rielaborare e precisare meglio la nozione di «materia prima secondaria», che già nell'articolo 1, commi 25, 26, 27, 28 e 29 della legge delega n. 308/2004 è stata eccessivamente ampliata in modo contrario al diritto comunitario, consentendo di escludere, per tale via, dalla disciplina dei «rifiuto» sostanze ed oggetti, che ai sensi della normativa comunitaria avrebbero dovuto invece essere considerati rifiuti, come già constatato dalla Commissione Europea (in sede di lettera di messa in mora all'Italia del 5 luglio 2005 e di successivo parere motivato del 13 gennaio 2006).
    La nozione di «materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche» di cui alla lettera u) del comma 1, dell'articolo 183 va abrogata in quanto già oggetto di procedura di infrazione in corso.
    È altresì necessario abrogare l'articolo 182, comma 8, per eliminare la possibilità di smaltire una parte, ancorché biodegradabile, dei rifiuti urbani tramite gli impianti di depurazione delle acque reflue, poiché trattasi di previsione assolutamente contraria alla ratio della direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991 sulle acque reflue urbane.
    Uno degli articoli più controversi del decreto 152 del 2006, sul quale le Commissioni parlamentari e la Conferenza Unificata hanno chiesto di intervenire, è senza dubbio quello riguardante le terre e rocce da scavo (articolo 186). Nel codice ambientale, infatti, sono state escluse in modo troppo ampio dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti.
    Anche l'articolo 229, comma 2, del decreto 152 del 2006, che costituisce applicazione dell'articolo 29, lettera b) della legge delega, viola il diritto comunitario nella parte in cui consente di escludere dal regime giuridico dei rifiuti di cui alla Parte Quarta «il combustibile da rifiuti di qualità elevata (Cdr-Q)», che si distingue da quello di qualità normale per la minore presenza di umidità e di sostanze inquinanti e per il maggior potere calorifico.
    In particolare il Ministero tiene a segnalare i principali punti sui quali si interviene con il decreto legislativo in esame:
    1) sulla nozione di «scarico diretto»: va ripristinata una chiara e netta distinzione tra la nozione di acque di scarico e quella di rifiuti liquidi;
    2) nel caso di impianti di depurazione che trattano acque reflue che provengono da soggetti diversi, va puntualizzata la necessità che tali scarichi avvengano tramite condotta perché siano configurabili come scarichi idrici e non considerati rifiuti;
    3) va garantita l'unitarietà anziché l'unicità della gestione del servizio idrico integrato, in quanto non è necessario che


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    ci sia un unico gestore ma che la gestione sia fatta con criteri unitari;
    4) vengono abrogate le disposizioni che prevedono modalità di smaltimento della frazione biodegradabile dei rifiuti urbani non contemplate dalla normativa comunitaria in materia di rifiuti e di acque reflue, al fine di eliminare la possibilità di smaltire una parte, ancorché biodegradabile, dei rifiuti urbani tramite gli impianti di depurazione delle acque reflue;
    5) viene prevista la riscrittura della nozione di rifiuto, in riferimento alla procedura di infrazione n. 2002/2213, e eliminazione delle nozioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria sin dall'origine. Infatti, il decreto legislativo 152, del 2006, introducendo all'articolo 183 del decreto legislativo, il concetto di «sottoprodotto» e di «materia prima seconda» ed escludendoli dal regime giuridico del «rifiuto» ha aggravato la posizione dell'Italia in relazione alle violazioni già contestate;
    6) sono previste correzioni delle nozioni di smaltimento e di recupero che, così come riportate nell'articolo 183, contrastano con l'orientamento della Corte di Giustizia;
    7) viene modificata la disposizione in materia di terre e rocce da scavo al fine di adeguarsi alle contestazioni formulate dalla Commissione europea che hanno dato luogo alla procedura di infrazione n. 2002/2077;
    8) viene prevista una modifica volta a una migliore individuazione delle competenze provinciali in materia di funzioni amministrative concernenti la programmazione e l'organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, nonché a definire con maggiore precisione le procedure di aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani;
    10) viene prevista, infine, la sostituzione dell'articolo 206, in materia di accordi, contratti di programma, incentivi, onde meglio precisare la corretta portata operativa di tali strumenti negoziali.