I Commissione - Resoconto di mercoledì 26 settembre 2007


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 26 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'interno Marcella Lucidi e per la solidarietà sociale Cristina De Luca.

La seduta comincia alle 9.35.

Sull'ordine dei lavori.

Luciano VIOLANTE, presidente, propone una inversione dell'ordine dei lavori, nel senso di iniziare con l'esame del provvedimento in materia di cittadinanza.

La Commissione concorda.

Modifiche alla legge sulla cittadinanza.
Testo unificato C. 24 Realacci, C. 908 Ferrigno, C. 909 Ferrigno, C. 938 Mascia, C. 1297 Ricardo Antonio Merlo, C. 1462 Caparini, C. 1529 Boato, C. 1570 Bressa, C. 1607 Governo, C. 1653 Santelli, C. 1661 Piscitello, C. 1686 Diliberto, C. 1693 Angeli, C. 1727 Adenti, C. 1744 De Corato, C. 1821 Angeli, C. 1836 Fedi, C. 1839 D'Alia, C. 2143 La Loggia e C. 2253 Zanella.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 20 settembre 2007.

Gianclaudio BRESSA (Ulivo), relatore, fa presente che la V Commissione Bilancio, nel corso della seduta di ieri, 25 settembre 2007, dedicata all'esame in sede consultiva del testo unificato come modificato dagli emendamenti approvati dalla I Commissione il 20 settembre scorso, non ha potuto procedere all'espressione del parere sul testo unificato stesso in quanto il rappresentante del Governo, nel corso della medesima seduta, nel preannunciare la trasmissione di una relazione tecnica, ha precisato di non poter convenire sulla copertura finanziaria individuata, garantendo altresì l'impegno del Governo a reperire, nell'ambito della prossima manovra di bilancio, le risorse necessarie per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal provvedimento.
In proposito osserva che la I Commissione potrebbe riprendere l'esame del provvedimento in oggetto dopo che sarà stata varata la manovra di bilancio. In tale sede, potrà essere valutata l'opportunità di reintrodurre la disciplina relativa ai casi di riacquisto della cittadinanza.

Luciano VIOLANTE, presidente, alla luce di quanto rappresentato dal relatore Bressa, avverte che, qualora la Commissione concordi, scriverà al presidente della Camera dei deputati per sottoporre alla Sua attenzione e a quella della Conferenza dei Presidenti di gruppo l'ipotesi di differire l'esame del provvedimento in oggetto, la cui discussione generale è iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire dalla giornata di venerdì 28 settembre prossimo.

La Commissione concorda.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.


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Delega al Governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero.
C. 776 Zacchera, C. 1102 Campa, C. 1263 Mascia, C. 1779 Boato, C. 1804 Sgobio, C. 1850 Bordo, C. 1852 Bucchino, C. 2122 Capotosti, C. 2547 Migliore e C. 2976 Governo.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Gianclaudio BRESSA (Ulivo), relatore, fa preliminarmente presente la straordinaria importanza che assume la politica dell'immigrazione su cui intervengono i provvedimenti in oggetto.
Osserva in proposito che già nel 1992, il segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, presentando la Dichiarazione dell'Aia sul futuro delle politiche migratorie sottoscritto da oltre cinquecento personalità di ogni parte del mondo, aveva affermato che «il modo in cui affronteremo la questione delle politiche migratorie e dell'asilo avrà un profondo impatto sui rapporti tra i popoli del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo. Rivelerà anche molto della nostra moralità e della sincerità del nostro impegno a favore della dignità umana e dell'uguaglianza tra le persone». Si tratta di affermazioni rispetto alle quali è difficile dissentire: la gestione delle migrazioni internazionali è un banco di prova decisivo per l'umanità attuale e futura. Si tratta di una prova morale, in quanto l'atteggiamento nei confronti dei migranti è un indicatore essenziale del grado di sincerità e coerenza dell'Occidente, rispetto ai valori che esso stesso pone alla base della sua leadership globale. Ma la sfida è anche pratica. Ritiene infatti che non bisogna cadere nell'ingenuità di credere che la politica, da sola, sia in grado di determinare l'impatto delle migrazioni. Dinamiche psico-sociali profonde, trend economici e demografici di lunga durata, dotati di inerzia fortissima e difficilmente influenzabili, sono tutti elementi decisivi quando si parla del fenomeno delle migrazioni internazionali. Ma, entro questi limiti, la politica può fare molto ed ha enormi responsabilità. Ma deve evitare due errori di metodo. Da un lato, si tratta di non affrontare unilateralmente un fenomeno che è per definizione transnazionale e, dall'altro lato, di evitare l'appiattimento dei processi decisionali su una prospettiva di breve periodo, per un fenomeno di natura strutturale, che dispiega invece i suoi effetti sull'arco di più generazioni. Del resto, il ministro Amato, nel corso della Conferenza nazionale dell'immigrazione tenutasi a Firenze il 21 e 22 settembre scorso, ha affermato che chiudersi all'immigrazione equivarrebbe a certificare il declino dell'Italia.
Passa quindi all'illustrazione del quadro costituzionale in materia di immigrazione, evidenziando come la Carta costituzionale tutela in maniera inequivocabile i diritti degli stranieri. In caso di contrasto con la Costituzione di disposizioni introdotte con leggi dello Stato, la Corte costituzionale è intervenuta per sanare le contraddizioni e le illegittimità, come è avvenuto recentemente e in più occasioni per la cosiddetta legge «Bossi-Fini». Al riguardo, osserva che, per quanto concerne i diritti e i doveri sanciti dalla Costituzione, va considerata superata l'interpretazione restrittiva che conferisce tali situazioni giuridiche ai soli «cittadini». Fondamentale in proposito è la sentenza n. 120 del 1967, nella quale si stabilisce che il principio di uguaglianza, sancito nell'articolo 3, deve essere interpretato non in modo isolato ma secondo quanto previsto dall'articolo 2 e 10, secondo comma, della stessa Costituzione, «il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell'uomo, mentre l'altro dispone che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Ciò perché, se è vero che l'articolo 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare quei diritti fondamentali». Quindi, secondo quanto stabilito dalla Corte, l'articolo 2


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della Costituzione «non può non essere implicitamente richiamato come norma di garanzia dei diritti umani operanti anche nei confronti dello straniero». Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 1969 ha ribadito che il principio di uguaglianza «debba ritenersi esteso agli stranieri allorchè si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, garantiti allo straniero anche in conformità dell'ordinamento internazionale».
L'elencazione dei diritti costituzionali che devono essere garantiti anche agli stranieri è piuttosto ampia: dal diritto al lavoro (articolo 4) al diritto alla libertà personale (articolo 13), dalla libertà di domicilio (articolo 14) alla libertà di segretezza della corrispondenza (articolo 15), dalla libertà di circolazione e di espatrio (articolo 16) alla libertà di riunione (articolo 17), dalla libertà di associazione (articolo 18) alla libertà di religione (articolo 19), dalla libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21) al divieto di privazione per motivi politici della capacità giuridica (articolo 22), dal diritto di difesa (articolo 24) al principio del giudice naturale (articolo 25). Il riconoscimento di tutti questi diritti agli stranieri rappresenta il presupposto inevitabile per l'esame di un provvedimento di riforma organica in materia di immigrazione.
Passa quindi ad illustrare l'evoluzione della legislazione in materia di immigrazione. La prima legge che affrontò la materia in modo complessivo fu la cosiddetta legge Martelli, la n. 39 del 1990. Con essa il Governo dell'epoca prese per la prima volta coscienza del fatto che il movimento migratorio era volto ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio fenomeno destinato ad una esponenziale crescita futura. Da un punto di vista strettamente giuridico la legge Martelli riesce a definire i contorni di alcuni istituti in modo da introdurre alcuni punti di riferimento tuttora validi. Per la prima volta viene distinto il respingimento dall'espulsione; viene introdotto l'obbligo di visto; si delega alla giustizia amministrativa la competenza sulle questioni attinenti ai diritti degli immigrati, si riconosce una parità di trattamento ai lavoratori stranieri e italiani e, infine, vengono istituiti i centri di prima accoglienza. In conclusione, si può affermare con certezza che questa legge ha definito il passaggio da una logica formale di regolazione dei flussi migratori alla elaborazione di una linea politica in materia di immigrazione.
Nel 1998 fu approvata la cosiddetta legge Turco-Napolitano, la n. 40 del 1998, cui può ascriversi il merito di aver ridefinito in modo organico le complesse e numerose norme sull'immigrazione. Le linee guida che hanno ispirato quel legislatore sono tre: un'equilibrata programmazione degli ingressi «sostenibili», definendo una concertata gestione delle quote ed un continuo monitoraggio sui richiedenti lavoro; una politica dell'integrazione orientata prevalentemente ai lavoratori soggiornanti regolarmente che avrebbe dovuto mirare a garantire allo straniero quei diritti minimi assicurati ai cittadini italiani; la lotta all'immigrazione clandestina e alla criminalità collegata ai flussi migratori.
Con l'approvazione della successiva legge «Bossi-Fini», la legge 30 luglio 2002, n. 189, è apparsa immediatamente chiara all'opinione pubblica la portata del nuovo corso legislativo. L'abolizione dell'istituto dello sponsor, l'applicazione di sanzioni in caso di ritardata comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza di ospitalità nei confronti di uno straniero, l'obbligo di sottoporre gli stranieri a rilievi fotodattiloscopici, l'aumento della durata del divieto di reingresso da cinque a dieci anni in caso di espulsione, l'aumento della permanenza da trenta a sessanta giorni presso i centri di permanenza temporanea rappresentano l'inequivocabile segnale di una vera e propria inversione di tendenza. L'intenzione del legislatore è stata guidata da un'impronta politico-ideologica di inclinazione xenofoba e conservatrice. Nasce una legge di una tale inquietante genericità che, plagia, in pejus, i testi precedenti sommandovi qualche novella più penalizzante per gli stranieri, col pregevole risultato di incoraggiare la discrezionalità delle


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autorità di polizia e favorire la clandestinità, ultimo alimento della criminalità organizzata. La legge «Bossi-Fini» ha contribuito a rendere «l'universo immigrazione» un mondo dove il pressappochismo, l'illegalità e l'incostituzionalità prendono il sopravvento sulle regole giuridico-economiche e il buon senso. La vigente disciplina legislativa sull'immigrazione ha subito alcuni duri interventi da parte della Corte costituzionale, la quale, con le due sentenze del 2004, ne ha dichiarato l'illegittimità sotto molteplici aspetti.
Si sofferma quindi sui provvedimenti in oggetto, con particolare riferimento al disegno di legge presentato dal Governo (C. 2976), che a suo avviso potrebbe rappresentare il testo di riferimento per il seguito dell'esame. La proposta, composta da un solo articolo, reca una delega per l'adozione di un decreto legislativo di modifica della disciplina legislativa in materia di immigrazione e di condizione dello straniero, di cui decreto legislativo n. 286 del 1998. Il termine finale è fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, mentre l'esercizio della delega non potrà avere luogo prima del gennaio 2008.
Osserva in proposito che, con questa iniziativa, si registra un significativo cambiamento di rotta riguardo un diverso approccio della questione immigrazione e un nuovo modo di intendere l'accoglienza. Si muove dal principio di favorire l'ingresso di coloro i quali intendono lavorare in Italia attraverso l'iscrizione in liste di collocamento nei Paesi di origine; le rappresentanze diplomatiche riceveranno tali liste da enti e organismi nazionali o internazionali convenzionati con lo Stato italiano. L'aspirante lavoratore, che si iscrive negli elenchi predisposti in ogni singolo Stato, entra a far parte di una graduatoria unica presa in considerazione dal decreto flussi che sarà stabilito ogni tre anni anziché annualmente. Si prevede che il Governo possa ogni anno adeguare le quote in relazione «a necessità emergenti del mondo del lavoro». Tali «tetti» potranno essere superati «se c'è un numero di richieste di nulla osta eccedenti le quote stesse». La previsione riguarda tutti gli ingressi per lavoro. Si prevede la figura dello sponsor con la possibilità di offrire ulteriori garanzie a coloro che entrano in Italia per la ricerca di lavoro. È semplificata la richiesta di visto di ingresso con l'obbligo di motivazione in caso di rifiuto. L'abolizione del contratto di soggiorno è un chiaro segnale della precisa volontà tesa a voltare finalmente pagina riguarda l'ormai superato binomio soggiorno-lavoro. È semplificata la procedura di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno per la quale si prevede anche il coinvolgimento degli enti locali. Un altro aspetto rilevante della riforma è la modifica della durata dei documenti. Il primo permesso avrà una durata di un anno per chi ha un lavoro sino a sei mesi, due anni per tutti gli altri contratti a termine, tre anni per li autonomi e i lavoratori a tempo indeterminato. Il rinnovo avrà validità doppia rispetto al permesso iniziale. Chi entra in Italia per meno di novanta giorni non dovrà più chiedere alcun permesso, basterà la sola dichiarazione di presenza. Viene riportata ad un anno, rispetto all'originario termine di sei mesi, la durata del permesso per chi perde il lavoro con la possibilità di rinnovo qualora lo straniero possa dimostrare di avere i mezzi per mantenersi. Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, già definita Carta di soggiorno, apre le porte all'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative. Lo sforzo di allargare l'accoglienza non riguarda però solo i diritti civili ma si estende anche ai diritti sociali: chi soggiorna regolarmente da almeno un anno avrà accesso alle misure assistenziali e alla pensione di invalidità. Molto importante è l'aver riconosciuto le stesse prerogative che hanno gli italiani di pari età ai giovani stranieri maggiorenni ancora a carico dei genitori garantendo loro un permesso per motivi familiari senza esporli necessariamente alla ricerca di un lavoro finalizzato esclusivamente all'ottenimento di un titolo di soggiorno. Nascerà un Fondo nazionale rimpatri teso al rientro assistito nei luoghi di origine per coloro che hanno subito un decreto di espulsione ma anche per chi intenda ritornare


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nel proprio Paese e non è in possesso dei mezzi per farlo. Il Fondo si avvarrà della contribuzione degli stessi datori di lavoro, di enti o associazioni, di cittadini che garantiscono l'ingresso degli stranieri e degli stranieri medesimi. L'introduzione del Fondo nazionale rimpatri, unitamente ad una politica di incentivazione al rimpatrio spontaneo dimostra una ragionata volontà di un approccio concertativo tra Stato, associazioni datoriali e sindacali e stranieri interessati.
La competenza giurisdizionale sulle espulsioni viene rimessa al giudice ordinario in composizione monocratica e sottratta al giudice di pace, anche a sottolineare l'importanza che si vuole dare ai diritti soggettivi degli stranieri, che potrebbero subire un illegittimo ridimensionamento derivante da provvedimenti restrittivi delle liberà personali. L'ultimo aspetto è quindi rappresentato dal «superamento» della logica dei centri di permanenza temporanea.
Passa quindi ad illustrare i contenuti delle proposte di legge abbinate. La proposta di legge C. 2547 (Migliore ed altri), composta da 54 articoli, reca una disciplina organica della materia, alternativa a quella recata dal vigente testo unico in materia di immigrazione, che in buona misura sostituisce. La proposta di legge C. 1779 (Boato) propone l'integrale abrogazione della legge n. 189 del 2002 (»legge Bossi-Fini») e la reviviscenza della disciplina legislativa previgente.
Le altre proposte di legge intervengono su ambiti più limitati, con puntuali modifiche o integrazioni. In particolare la proposta di legge C. 776 (Zacchera) modifica il procedimento che presiede all'ingresso in Italia per motivi di lavoro entro i limiti fissati dalle quote annuali, al fine di superare le difficoltà e i disagi originati dal criterio di precedenza oggi seguito, basato sull'ordine di presentazione delle richieste presso gli uffici postali; esso regola inoltre in modo specifico, al di fuori delle quote, l'ingresso per lavoro delle c.d. «badanti». La proposta di legge C. 1102 (Campa) consente agli sportivi stranieri dilettanti che si trovino nel territorio nazionale da almeno sei mesi di cambiare settore di attività per svolgere un'attività lavorativa subordinata o autonoma. La proposta di legge C. 1263 (Mascia ed altri) riconosce allo straniero che regolarmente e stabilmente risiede in Italia da almeno cinque anni il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative. La proposta di legge C. 1804 (Sgobio ed altri) e la proposta di legge C. 1850 (Bordo), con formulazione diversa, estendono entrambe la disciplina concernente il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, di cui all'articolo 18 del testo unico, agli stranieri che siano vittime di violenze o grave sfruttamento sui luoghi di lavoro. La proposta di legge C. 1852 (Bucchino ed altri) modifica la disposizione che vieta l'espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, estendendo tale periodo a dodici mesi e disponendo che il divieto riguarda anche i mariti conviventi, come già sancito dalla sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale. Infine, la proposta di legge C. 2122 (Capotosti) reca misure volte ad agevolare il processo di integrazione degli immigrati, concernenti il riconoscimento dei titoli di formazione professionale, il ricongiungimento familiare, il diritto allo studio, nonché la promozione delle attività di studio e ricerca sull'immigrazione e delle funzioni svolte dalle associazioni di stranieri e da quelle che operano in loro favore.

Luciano VIOLANTE, presidente, dopo aver fatto presente che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo dell'esame, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 26 settembre 2007. - Presidenza del presidente Riccardo MARONE.

La seduta comincia alle 10.


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DL 147/2007: Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori universitari.
(Emendamenti C. 3025-A Governo).
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Alessandro NACCARATO (Ulivo), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo 2 non presentano profili di incostituzionalità con riferimento al riparto di competenza legislativa sancito dall'articolo 117 della Costituzione. Propone pertanto di esprimere il parere di nulla osta. Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

DL 117/2007: Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione.
(Emendamenti C. 3044 Governo, approvato dal Senato).
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Alessandro NACCARATO (Ulivo), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili di incostituzionalità con riferimento al riparto di competenza legislativa sancito dall'articolo 117 della Costituzione. Propone pertanto di esprimere il parere di nulla osta.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 10.05.

INDAGINE CONOSCITIVA

Mercoledì 26 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE.

La seduta comincia alle 14.05.

Indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia, sugli indirizzi della politica della sicurezza dei cittadini e sull'organizzazione e il funzionamento delle forze di polizia.
(Deliberazione di una proroga del termine).

Luciano VIOLANTE, presidente, ricorda che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo, ha convenuto sull'opportunità di prorogare il termine per la conclusione dell'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia, sugli indirizzi della politica della sicurezza dei cittadini e sull'organizzazione e il funzionamento delle forze di polizia. Essendo stata acquisita la previa intesa con il Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, propone quindi di deliberare la proroga al 31 gennaio 2008 del termine di conclusione dell'indagine.

La Commissione delibera di prorogare al 31 gennaio 2008 il termine di conclusione dell'indagine conoscitiva in titolo.

La seduta termina alle 14.10.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 26 settembre 2007. - Presidenza del presidente Luciano VIOLANTE. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'interno Alessandro Pajno e Marcella Lucidi e il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Paolo Naccarato.

La seduta comincia alle 14.10.

Delega al Governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero.
C. 776 Zacchera, C. 1102 Campa, C. 1263 Mascia, C. 1779 Boato, C. 1804 Sgobio, C. 1850 Bordo, C. 1852 Bucchino, C. 2122 Capotosti, C. 2547 Migliore e C. 2976 Governo.
(Seguito esame e rinvio).


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La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, iniziato nella seduta antimeridiana di oggi.

Gabriele BOSCETTO (FI) si riserva di intervenire nel corso delle prossime sedute.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modificazioni all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, in tema di distacco ed aggregazione di comuni e province.
C. 2523 cost. Governo.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 20 settembre 2007.

Marco BOATO (Verdi), relatore, fa presente di non avere ancora concluso l'elaborazione della proposta di testo unificato, che si era riservato di presentare nella seduta odierna, essendo ancora in corso una serie di incontri volti ad approfondire le principali problematiche connesse al provvedimento. Si riserva, pertanto, di presentare la proposta di testo unificato in una delle prossime sedute.

Luciano VIOLANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Interpretazione autentica dell'articolo 56, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo.
C. 2946 D'Alia.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, il 20 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, ricorda che, relativamente alla proposta di legge in esame, è stato richiesto ai rappresentanti dei gruppi in Commissione di rendere note le rispettive posizioni in ordine alla possibilità di proseguire l'esame in sede legislativa. Dopo aver ribadito tale richiesta, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
C. 199 Zeller, C. 768 Marras e C. 2170 Palomba.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 20 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, ricorda che, nella seduta dello scorso 19 settembre, era stata sollevata in Commissione la questione relativa al numero di seggi spettanti all'Italia nel Parlamento europeo. Il numero dei seggi destinati all'Italia è infatti destinato a diminuire, per effetto dell'allargamento dell'Unione europea, dagli attuali settantasei a settantadue. Tuttavia, mentre fino ad oggi, come del resto previsto negli accordi di Nizza, l'Italia ha sempre avuto lo stesso numero di seggi di Francia e Regno Unito, si sta ora discutendo in sede europea della possibilità di rivedere questo principio e di attribuire alla Francia settantatre seggi, al Regno Unito settantaquattro e solo settantadue all'Italia. Su tale questione diversi deputati hanno chiesto l'intervento del Governo. Dà, quindi, la parola al sottosegretario Naccarato.

Il sottosegretario Paolo NACCARATO fa preliminarmente presente che il Parlamento europeo conta attualmente settecentoottantasei membri, di cui settantotto italiani, lo stesso numero attribuito alla Francia ed al Regno Unito. In base all'Atto di adesione di Bulgaria e Romania, già in vigore, il numero di parlamentari europei


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dovrà peraltro diminuire a partire dalla prossima legislatura 2009-2014: sono attualmente previsti settecentotrentasei parlamentari, di cui settantadue all'Italia, alla Francia e al Regno Unito. La Convenzione europea, prima, e la CIG 2003/2004, successivamente, si sono poste il duplice problema di come individuare un criterio generale di ripartizione dei seggi fra gli Stati membri evitando al tempo stesso che eventuali futuri allargamenti si traducano in un aumento eccessivo del numero dei parlamentari. Il Trattato costituzionale aveva fissato a tal proposito tre criteri fondamentali. Aveva fissato una soglia massima di settecentocinquanta parlamentari; aveva stabilito che il numero di deputati per ciascuno Stato membro potesse variare fra un minimo di sei e un massimo di novantasei; aveva stabilito che, all'interno di questi parametri, la ripartizione fra Stati membri dovesse essere stabilita sulla base di un principio di «proporzionalità degressiva». Il progetto di Trattato di riforma, attualmente in discussione in seno alla Conferenza intergovernativa, mantiene gli stessi principi. Come già la Costituzione, esso prevede inoltre che il Parlamento europeo presenti un progetto di decisione sulla futura ripartizione dei seggi nazionali. Tale decisione dovrà poi essere adottata all'unanimità dal Consiglio europeo, con l'approvazione del Parlamento stesso. Il Consiglio europeo del 21-22 giugno scorso ha invitato il Parlamento europeo a presentare entro il prossimo ottobre un progetto di decisione sulla futura ripartizione dei seggi nazionali in seno al Parlamento europeo. Il 10 settembre scorso i relatori, il deputato francese Lamassoure, PPE, e il rumeno Severin, PSE, hanno presentato alla Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo un progetto di risoluzione che dovrebbe essere votato dalla Commissione stessa il 2 ottobre e successivamente dalla plenaria il 10 ottobre. La proposta si limita a definire la composizione del Parlamento europeo nella prossima legislatura (2009-2014), senza considerare la possibile adesione della Croazia, e rimanda ad un momento successivo la previsione di un meccanismo più stabile, che sia in grado di adeguare la composizione del Parlamento europeo alle esigenze che deriveranno dai futuri allargamenti o evoluzioni demografiche. Basandosi su un'applicazione piuttosto rigida e matematica del principio della degressività proporzionale, la proposta produce il risultato di lasciare invariati i seggi assegnati all'Italia (settantadue), aumentando invece, rispettivamente di due e di una unità, quelli per la Francia (da settantadue a settantaquattro) e per il Regno Unito (da settantadue a settantatrè). Per la prima volta dunque verrebbe meno la parità tra i tre grandi: Italia, Francia e Regno Unito, dopo l'inevitabile sganciamento della Germania a seguito della riunificazione. Da parte italiana non si ritiene accettabile tale soluzione. Il Governo sta operando in piena sintonia con i parlamentari italiani a Strasburgo al fine di portare avanti un'azione tesa a modificare il progetto di risoluzione, che in questa fase si svolge necessariamente a livello parlamentare, ma che successivamente si trasferirà a livello governativo in sede di Consiglio europeo. In questo senso vanno letti sia i numerosi emendamenti presentati dai parlamentari italiani (la scadenza era il 18 settembre) al progetto «Lamassoure-Severin», come pure le autorevoli prese di posizione di diversi esponenti del Governo che si sono registrate nei giorni passati, i contatti a livello bilaterale che il Ministero degli affari esteri sta avendo con alcuni partners - in particolare Francia e Regno Unito - nonché la missione che il Ministro Bonino effettuerà a Strasburgo il 26 settembre prossimo. L'obiettivo di tali azioni è duplice. Da un lato si mira a contestare, come base per la ripartizione dei seggi, il concetto di popolazione residente, che include sia i cittadini dell'Unione che quelli provenienti da paesi extracomunitari, ed esclude invece i cittadini dell'Unione residenti in paesi terzi, e ad introdurre invece quello dei cittadini dei paesi membri. Dall'altro lato si intende sostenere la necessità di una diversa applicazione, più flessibile, del principio di degressività proporzionale, evitando rigide formule matematiche


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e lasciando la possibilità di mantenere anche per il futuro gruppi di paesi con pari numero di seggi, sia pure articolati in modo da rispecchiare la grande differenza di dimensioni tra i ventisette membri. Poiché la proposta «Lamassoure-Severin» già prevede alcuni gruppi di Stati medi e piccoli, si tratterebbe di mantenere tale possibilità anche per i paesi aventi il maggior numero di cittadini. L'utilizzo del concetto di cittadinanza, promosso dall'Italia, anziché di popolazione residente, oltre ad essere conforme a quanto previsto all'articolo 9-A del Trattato di riforma, che non ragiona di residenti bensì di cittadini, porterebbe di fatto ad una equiparazione dei seggi dei tre grandi - Francia, Italia e Gran Bretagna, - che rimane l'obiettivo prioritario. In attesa che il Parlamento europeo esamini i centoventitrè emendamenti presentati al testo di risoluzione, fa presente che il Governo assicura che continuerà ad agire in stretto coordinamento con i parlamentari italiani a Bruxelles, che sono pienamente coscienti degli interessi in gioco e stanno facendo pieno utilizzo di tutti gli strumenti disponibili.

Luciano VIOLANTE, presidente, informa la Commissione che, su tale questione, la prossima settimana dovrebbe tenersi, davanti alle Commissioni riunite Affari costituzionali, Affari esteri e Politiche dell'Unione europea della Camera e alle omologhe Commissioni del Senato, una audizione di europarlamentari italiani e dei relatori al Parlamento europeo sulla proposta di decisione riguardante la modifica delle disposizioni del Trattato sulla composizione del Parlamento europeo. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di ineleggibilità e di incandidabilità.
Testo unificato. C. 1451 Formisano, C. 2242 Martusciello, C. 2314 Antonio Russo, C. 2516 Franco Russo, C. 2563 Mantini, C. 2564 Mazzoni, C. 2680 Costantini, C. 2681 Costantini, C. 2799 Franco Russo e C. 2916 D'Antona.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 25 settembre 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti (vedi allegato 1). Avverte inoltre che sono da ritenere inammissibili i seguenti emendamenti: per estraneità di materia, l' emendamento Cota 2.2., limitatamente alle parole «e costituiscono altresì cause ostative all'assunzione e alla prosecuzione di qualsiasi rapporto di pubblico impiego» ; per evidente contrasto con l'articolo 65 della Costituzione, gli emendamenti Oliva 1.23, 7.2. e 7.3, nonché l'articolo aggiuntivo Oliva 2.01, che attribuiscono alle regioni a statuto speciale e alle regioni, per alcuni profili, la disciplina normativa in materia di eleggibilità alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Esprime quindi, alcuni dubbi di costituzionalità con riferimento all'emendamento Mazzoni 1.31, che introduce la fattispecie della sospensione dalla carica di deputato. Tale emendamento, pur non ponendosi in manifesto ed evidente contrasto con singole disposizioni della Costituzione, desta alcune perplessità in relazione alla sua compatibilità con il quadro costituzionale. Fa presente, peraltro, che il meccanismo della sospensione del mandato, pur non essendo contemplato dall'articolo 122 della Carta costituzionale, è previsto e applicato con riferimento alle assemblee regionali.

Marco BOATO (Verdi), concorda con quanto affermato dal Presidente Violante, osservando che la fattispecie della sospensione dalla carica di deputato presenta profili di problematica compatibilità costituzionale.

Luciano VIOLANTE, presidente, con riferimento all'articolo 1 del testo base, osserva preliminarmente che esso è volto in sostanza ad introdurre la fattispecie dell'incandidabilità alla carica di deputato da parte di quei soggetti che abbiano


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commesso determinati reati. Al riguardo fa presente che sono stati presentati numerosi emendamenti volti ad ampliare il novero delle fattispecie delittuose a cui ricondurre la conseguenza dell'incandidabilità alla carica di deputato.

Riccardo MARONE (Ulivo), relatore, premesso che l'esame di questo provvedimento è iniziato lo scorso 20 giugno, quando la materia non era di grandissima attualità, sottolinea l'importanza di stabilire un punto di equilibrio tra il diritto all'elettorato passivo e l'esigenza di limitare l'accesso alle cariche parlamentari di persone che abbiano commesso particolari reati. La disciplina dell'incandidabilità alla carica di parlamentare nazionale, tuttavia, non può essere diversa da quelle vigenti per le altre assemblee regionali e locali e pertanto ritiene necessario individuare parametri uniformi per i diversi consessi.
In proposito invita la Commissione a riflettere se, nel disciplinare le ipotesi di incandidibilità ed ineleggibilità, sia preferibile prevedere un elenco di reati la cui commissione ne faccia scattare l'operatività, ovvero definire un criterio unico, che potrebbe essere quello della commissione di un delitto non colposo per cui è prevista la pena minima edittale non inferiore a due anni, ad esclusione dei cosiddetti reati di opinione. A tale riguardo ritiene opportuno acquisire l'orientamento della Commissione sugli emendamenti 1.50, 1.51 e 9.50 da lui presentati, ferma restando la necessità di meglio delimitare la fattispecie dei reati di opinione.

Gabriele BOSCETTO (FI) ritiene che si debba preliminarmente ragionare in ordine alla legittimità costituzionale della stessa fattispecie della incandidabilità, non ritenendo percorribile la strada della applicazione tout court ai candidati alle elezioni per la Camera e per il Senato della disciplina prevista per i rappresentanti degli enti locali. In particolare osserva che la Costituzione, all'articolo 65, prevede per i parlamentari le sole ipotesi della ineleggibilità e dell'incompatibilità e pertanto, qualora si volesse introdurre la nuova categoria in questione, bisognerebbe modificare lo stesso articolo 65.

Luciano VIOLANTE, presidente, osserva che l'articolo 51 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini possono accedere alle cariche elettive secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Il Costituente, cioè, ha rimesso al legislatore ordinario la definizione dei diversi requisiti necessari per l'accesso alle cariche pubbliche.

Gabriele BOSCETTO (FI) ritiene che la soluzione indicata dal presidente Violante sia troppo semplicistica, che non tiene conto dell'articolo 66, che stabilisce che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità. Ritiene pertanto opportuno dare corso ad un breve ciclo di audizioni di esperti costituzionalisti volto a valutare la compatibilità con la Costituzione della fattispecie della incandidabilità di deputati e senatori come prevista dal testo base in esame, rinviando al altra seduta l'esame degli emendamenti.

Riccardo MARONE (Ulivo), relatore, osserva che le questioni sollevate dal deputato Boscetto sono state da lui ampiamente approfondite. Al riguardo osserva che gli articoli 48 e 51 della Costituzione sono volti a disciplinare l'elettorato attivo e passivo senza distinzioni tra i diversi organi rappresentativi, nazionali o locali. Essendo l'articolo 1 del testo base in esame la trasposizione di quanto previsto per le elezioni negli enti locali, ritiene che proprio l'articolo 51 ne giustifichi l'applicazione alle elezioni al Parlamento. Per quanto concerne l'obiezione relativa al fatto che la Costituzione non contempla la categoria dell'incandidabilità, osserva che essa era sconosciuta al Costituente, essendo stata elaborata solo successivamente, quando si è voluto impedire agli esponenti della criminalità organizzata di prendere parte alle elezioni degli enti locali, in quanto la loro partecipazione alla competizione elettorale ne avrebbe inquinato il risultato. La Corte costituzionale ha poi giudicato legittima la normativa


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in materia di incandidabilità a livello locale. Sottolinea infine, con riferimento all'articolo 66 della Costituzione, che esso riguarda i titoli di ammissione e non attiene alla materia dell'elettorato. Nulla vieta pertanto al legislatore di prevedere l'ipotesi dell'incandidabilità alla carica di deputato o senatore in presenza dei requisiti stabiliti, fatta salva la competenza delle Camere di giudicare i titoli di ammissione dei propri componenti.

Giacomo STUCCHI (LNP) sottolinea la delicatezza della materia trattata dal provvedimento, volto ad impedire la partecipazione alla competizione elettorale per il Parlamento a soggetti che abbiano subito determinate condanne. Con riferimento alla esclusione dei cosiddetti reati di opinione dalle cause di incandidabilità, fa presente che il proprio emendamento 1.18 è volto ad escludere le condotte che consistono in manifestazioni di opinione, collegate all'azione politica, lasciando impregiudicato su tali condotte il giudizio da parte delle Camere. Si associa infine alla richiesta del deputato Boscetto di rinviare ad altra seduta il voto sugli emendamenti all'articolo 1, al fine di maturare un'opportuna riflessione.

Jole SANTELLI (FI) condivide le perplessità manifestate dal deputato Boscetto sulla compatibilità costituzionale della fattispecie della incandidabilità alle cariche di deputato e senatore. In particolare ritiene che tale ipotesi finirebbe con l'aggirare il carattere rigido della Costituzione, che, all'articolo 66, prevede le sole ipotesi dell'ineleggibilità e dell'incompatibilità e che sarebbe di fatto aggirato da questo provvedimento. Osserva che le proprie perplessità si fondano sulla difficoltà di equiparare la disciplina di accesso alle diverse cariche elettive, come previsto dal testo base in esame. Quando furono approvate le disposizioni volte ad impedire le candidature di soggetti legati alle organizzazioni di stampo mafioso, la finalità era di salvaguardare le basi democratiche del sistema. Con riferimento alle fattispecie delittuose previste dal testo base che danno luogo all'incandidabilità, ritiene che debba maturare una ponderata riflessione: nel momento in cui si dovesse stabilire un criterio ancorato alla pena minima edittale prevista, si farebbe una scelta che non tiene più conto della tipologia del reato in concreto commesso.
Ritiene quindi opportuno sottolineare come la legislazione vigente preveda, tra le misure accessorie, anche quella della interdizione dai pubblici uffici, che da sola rappresenterebbe un'efficace soluzione. Invita la Commissione a discutere serenamente del provvedimento senza cedere immotivatamente alle pressioni che provengono dalla opinione pubblica. Conclude facendo presente che il riferimento ai cosiddetti reati di opinione deve essere opportunamente circostanziato, essendo tale tipologia di reati estremamente vasta e non rigorosamente definita.

Luciano VIOLANTE, presidente, ricorda che l'esame del provvedimento in oggetto è iniziato lo scorso 20 giugno.

Riccardo MARONE (Ulivo), relatore, fa preliminarmente presente di nutrire alcune perplessità sull'articolo 58 del testo unico in materia di enti locali, che disciplina le diverse ipotesi di incandidabilità. Ritiene infatti che la previsione di un elenco di fattispecie delittuose volte a dare luogo alla incandidabilità rischia di escludere reati in ordine ai quali non è stata maturata una riflessione: potrebbe invece rappresentare un criterio efficace quello di stabilire l'incandidabilità riferita a soggetti condannati per la commissione di delitti non colposi in ordine ai quali è prevista una pena minima edittale non inferiore a due anni.
Ritiene poi opportuno riflettere sull'emendamento Stucchi 1.18, che si pone il fine di escludere le condotte consistenti in manifestazioni di opinione, collegate all'azione politica, su cui sarebbe salvo il giudizio della Camera di appartenenza.

Carlo COSTANTINI (IdV) dichiara di condividere l'impostazione del relatore, sottolineando come sul tema dell'incandidabilità


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la Commissione abbia iniziato ad occuparsi già prima dell'inizio dell'esame del provvedimento in oggetto, e precisamente nel corso dell'esame della proposta di legge in materia di conflitto di interessi. In quella sede, infatti, furono presentati diversi emendamenti volti a disciplinare diverse ipotesi di ineleggibilità e di incompatibilità. Successivamente tali emendamenti furono ritirati e si è dato corso all'esame delle proposte di legge presentate in materia. Ritiene che la categoria dell'incandidabilità non presenti profili di incostituzionalità anche in considerazione del fatto che la Corte costituzionale ha giudicato positivamente l'articolo 58 del testo unico sugli enti locali. Ritiene inoltre che l'incandidabilità nasca come specificazione dell'ineleggibilità, al cui interno deve essere ricompresa. La differenza sta nel fatto che, mentre la seconda può essere comunque rimossa, non altrettanto può farsi per l'incandidabilità, il cui accertamento produce l'effetto irreversibile di escludere il candidato dalla competizione elettorale. Dichiara, infine, di non condividere l'orientamento del relatore volto ad escludere dalle cause di incandidabilità l'ipotesi dell'abuso di ufficio, che pure rientra tra quelle previste dall'articolo 58 del citato testo unico. Ciò anche in considerazione del fatto che quest'articolo, che ha offerto garanzie di costituzionalità e di efficace funzionamento, deve rappresentare la linea ispiratrice nella disciplina della fattispecie.

Gianpiero D'ALIA (UDC) ritiene innanzitutto che prevedere l'equiparazione sostanziale del Parlamento ai Consigli regionali, provinciali e locali rappresenti un'offesa nei confronti dell'istituzione parlamentare, nonché un errore in linea di principio.
Con riferimento al testo base in esame, ritiene che la previsione della incandidabilità rappresenti un aggiramento dell'articolo 66 della Costituzione, essendo volta a sostituire la Commissione elettorale, che è un organo amministrativo, al Parlamento nel giudizio sui titoli di ammissione. Pur volendo ammettere che il Parlamento non è più in grado di svolgere questa funzione nei termini costituzionali, non condivide comunque la scelta di attribuire ad un soggetto diverso dal Parlamento, per di più di natura amministrativa, le funzioni di cui all'articolo 66 della Costituzione.
Per quanto concerne la soluzione prospettata dal relatore di ancorare l'operatività della incandidabilità alla commissione di delitti non colposi in ordine ai quali è prevista una pena minima edittale non inferiore a due anni, giudica inopportuna tale soglia, come pure ritiene necessario in ogni caso ponderare adeguatamente quali reati sarebbero contemplati. Ritiene invece preferibile modificare la disciplina degli articoli 66 e 68 della Costituzione, ricordando in proposito che il proprio gruppo ha presentato una proposta di legge in materia.
Conclude ribadendo la propria contrarietà sulla categoria della incandidabilità.

Riccardo MARONE (Ulivo), relatore, fa presente che il testo base da lui predisposto e adottato dalla Commissione rappresenta una sintesi delle diverse proposte di legge presentate in materia, tra le quali la n. 2564, sottoscritta anche dal deputato D'Alia, la quale prevede l'ipotesi dell'incandidabilità alla carica di deputato e senatore in presenza di specifici requisiti.

Franco RUSSO (RC-SE) ricorda che, se anche la Camera deve prestare ascolto alle istanze provenienti dall'opinione pubblica, deve evitare di lasciarsi condizionare, nella consapevolezza di avere iniziato ad affrontare la problematica in questione ben prima dell'avvio della polemica pubblica, proprio con la proposta di legge C. 2516, da lui presentata. Si dichiara disponibile a discutere sul testo base, ferma restando la propria perplessità su alcuni punti. Giudica condivisibile l'interpretazione fornita sull'articolo 66 della Costituzione, pur ritenendo opportuno modificare la disciplina in ordine all'accesso alle cariche elettive alla luce delle difficoltà incontrate dalle Camere nel giudicare sulle cause di ineleggibilità.
Si sofferma quindi sugli emendamenti presentati dal suo gruppo, evidenziando


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come essi siano volti, tra l'altro, a elevare, ad eccezione dei reati contro la pubblica amministrazione, da due a tre anni la pena edittale nel minimo ai fini della individuazione delle fattispecie di reato sussistendo le quali opera la incandidabilità.
Osserva infine di non ritenere equiparabili il Parlamento e le assemblee rappresentative degli enti locali in quanto le decisioni assunte da un Consiglio comunale producono una immediata incidenza, cosa che non accade nel caso delle decisioni assunte dal Parlamento.
Conclude invitando il presidente Violante ad avviare l'esame delle proposte di legge di riforma dell'articolo 66 della Costituzione.

Gabriele BOSCETTO (FI) si richiama all'intervento svolto oggi dal deputato Franco Russo, nonché a quello svolto in una precedente seduta dal presidente Violante, in ordine alla differenza che intercorre tra la rappresentanza parlamentare e le altre forme di rappresentanza locale, in considerazione del fatto che solo il parlamentare rappresenta l'intera nazione: su queste basi, infatti, deve svilupparsi la discussione, evitando di prevedere la stessa disciplina per le due diverse forme di rappresentanza, che si fondano su presupposti diversi. L'incandidabilità, prevista per gli organi elettivi locali, non deve essere automaticamente prevista anche relativamente alle cariche di deputato e senatore.
Dichiara infatti di non condividere l'opinione del relatore Marone che giustifica la categoria dell'incandidabilità «parlamentare» sulla scorta della riflessione per cui essa era sconosciuta al Costituente e che per questa stessa ragione non poteva essere inserita nel testo costituzionale. Infatti l'articolo 65 prevede le sole ipotesi di ineleggibilità ed incompatibilità a cui vanno ricondotti i titoli di ammissione di cui all'articolo 66. Proprio quest'articolo prevede che la verifica dell'ineleggibilità sia svolta da parte delle Camere, mentre il testo base è volto a trasferirla alla competenza di un organo amministrativo. In proposito ritiene che l'introduzione della categoria dell'incandidabilità relativa alle cariche di deputato e senatore potrebbe essere disposta solo mediante una riforma dell'articolo 66 della Costituzione. L'incandidabilità, a differenza dell'ineleggibilità, opererebbe a monte del procedimento elettorale, escludendo in radice l'intervento delle Camere su di essa. La diversa natura delle assemblee rappresentative locali è ancor più evidente allorchè si rifletta in ordine al fatto che a tali organi non sono state attribuite forme di verifica successive dell'elezione dei suoi componenti, cosa che di per sé può giustificare la fattispecie dell'incandidabilità.
Ritiene in sostanza che la disciplina recata dal testo base abbia carattere demagogico in quanto non tiene nel dovuto conto la presenza nell'ordinamento giuridico, già dalla fine degli anni trenta, di una serie di strumenti volti ad impedire l'accesso alle cariche pubbliche di soggetti condannati per determinati reati, come pure dell'affidamento in prova ai servizi sociali, una misura volta a rendere più agevole il reinserimento del condannato nella vita pubblica.
Ritiene in particolare che la disposizione di cui all'articolo 1 del testo base potrebbe essere più opportunamente collocata all'interno dei regolamenti parlamentari, evitando così di affidare una così delicata funzione ad organi amministrativi. Del resto, se l'incandidabilità fosse ricompresa nell'ineleggibilità ne dovrebbe trovarsi traccia in una disposizione normativa, essendo altrimenti preferibile svolgere un'audizione di esperti costituzionalisti che ne chiariscano i dubbi. Dopo aver dichiarato di non nutrire intenti ostruzionistici, conclude ribadendo la propria contrarietà sul provvedimento in esame e, in particolare, sulla disciplina prevista per le concessioni, che rappresenta l'aspetto saliente dell'intero provvedimento.

Il sottosegretario Alessandro PAJNO ritiene interessante l'ipotesi prospettata dal relatore di far riferimento, per le incandidabilità, non ad un elenco di reati bensì a tutti i reati per i quali sia prevista


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dall'ordinamento una pena superiore ad un certo numero di anni. Tale soluzione, a suo avviso, non contrasta con l'articolo 66 della Costituzione, in quanto rimette ad un organo esterno al Parlamento di svolgere non una valutazione discrezionale, come avviene per le ipotesi di ineleggibilità o di incompatibilità, bensì un accertamento oggettivo: quello circa l'esistenza o meno di condanne in capo ai candidati alle elezioni. Quanto poi all'eccezione secondo cui l'istituto dell'incandidabilità per i parlamentari sarebbe incostituzionale perché non previsto dall'articolo 65, osserva che l'istituto va inquadrato piuttosto nel contesto dell'articolo 51 della Costituzione, che prevede espressamente che sia la legge ordinaria a stabilire i requisiti per l'accesso alle cariche elettive, dovendosi intendere tutte le cariche elettive, senza distinzione tra quelle parlamentari e quelle locali, come si ricava in via sistematica dal fatto che l'articolo 51 è collocato nella parte I della Costituzione, e non nel titolo I (Parlamento) o nel titolo V (regioni, provice e comuni) della parte seconda. Quanto poi alla dottrina, ammesso che in essa si sostenga che l'incandidabilità è istituto non desumibile dalla Costituzione, ritiene che tale interpretazione possa essere discussa e fa comunque presente che la dottrina non può irrigidire il testo costituzionale impedendo che, col tempo, le norme appaiano in una luce diversa da quella in cui furono inizialmente lette. Osserva anzi che la stessa dottrina si dimostra non univoca anche su ineleggibilità e incompatibilità e persino la giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato mostra una qualche incertezza, nel senso che la stessa situazione di fatto può risultare ricondotta ora alla ineleggibilità ora all'incompatibilità.

Riccardo MARONE (Ulivo), relatore, rispondendo al deputato Boscetto, osserva che l'ordinamento vigente non ha comunque impedito a pregiudicati di essere eletti in Parlamento. Rileva inoltre che l'interdizione dai pubblici uffici non consegue automaticamente dalla condanna per un determinato reato, ma implica una valutazione in qualche modo discrezionale del magistrato nella decisione della pena da irrogare, per cui implica una valutazione discrezionale: la fattispecie della incandidabilità legata alla condanna risulta quindi più garantista. Quanto alla proposta di stabilire in tre anni, anziché in due, come da lui prospettato, la pena al di sopra della quale si è incandidabili, invita a riflettere sull'effetto che tale norma, di maggior favore per i rei, avrebbe sull'opinione pubblica. Con riferimento poi alle proposte emendative del deputato Costantini volte ad inserire l'abuso di ufficio tra i reati che determinano incandidabilità, fa notare che l'abuso di ufficio è una fattispecie insufficientemente determinata e che trattasi di reato rispetto al quale spesso non viene valutata in concreto dal giudice la volontarietà della condotta.

Luciano VIOLANTE, presidente, fa presente che in effetti l'interdizione dai pubblici uffici non consegue automaticamente dalla commissione di un determinato reato, in quanto l'autorità giudiziaria ha comunque un margine di discrezionalità nella decisione della pena da irrogare: concorda pertanto con il relatore Marone sul fatto che far riferimento a tutti i reati per i quali si preveda un certo numero di anni di pena minima assicura una maggiore oggettività e neutralità che non l'interdizione dai pubblici uffici. Osserva poi che la Costituzione ha sancito ormai, all'articolo 114, il principio della equiordinazione di Stato, regioni ed enti locali, per cui non appare giustificato ipotizzare per le cariche elettive statali un livello di garanzia costituzionale diverso rispetto a quello relativo alle cariche regionali o locali. Aggiunge che, fin quando resterà in vigore l'attuale legge elettorale, che non consente ai cittadini di scegliere i singoli candidati, e quindi di poter distinguere all'interno delle liste tra i pregiudicati e i non pregiudicati, l'incandidabilità appare una soluzione soddisfacente per andare incontro ad una richiesta pressante dell'opinione pubblica. Al riguardo osserva che quando migliaia di cittadini chiedono che si provveda a qualcosa, in questo caso


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ad impedire l'elezione di pregiudicati per reati anche gravi, i partiti possono dissentire, ma hanno il dovere di valutare il problema e di dare una risposta. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova nel luglio 2001 in occasione del vertice G8 e delle manifestazioni del Genoa Social Forum.
Doc. XXII, n. 5 Longhi, Doc. XXII, n. 13 Boato, Doc. XXII, n. 15 Mascia e Doc. XXII, n. 18 Sgobio.
(Seguito dell'esame e rinvio - Abbinamento della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 18).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 30 luglio 2007.

Luciano VIOLANTE, presidente, avverte che è stata assegnata alla Commissione la proposta d'inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 18, d'iniziativa dei deputati Sgobio ed altri, recante «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova nel luglio 2001 in occasione della riunione dei Paesi del G8 e delle manifestazioni organizzate dal Genoa Social Forum». Comunica quindi che, vertendo la suddetta proposta d'inchiesta sulla medesima materia di quelle già all'ordine del giorno della Commissione, ne ha disposto l'abbinamento ad esse, ai sensi dell'articolo 77, comma 1, del regolamento.
Comunica quindi che sono stati presentati emendamenti (vedi allegato 2) al testo base delle proposte d'inchiesta in titolo, adottato dalla Commissione nella seduta del 30 luglio scorso, ed avverte che, ai sensi dell'articolo 89 del Regolamento della Camera e del punto 5 della circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 sull'istruttoria legislativa nelle Commissioni, sono da ripetersi inammissibili gli emendamenti Santelli 1.4, 2.4, 5.8 e 6.3, in quanto palesemente incongrui rispetto al contesto normativo e lesivi della sfera di competenza riservata a fonti del diritto diverse da quella nel cui ambito rientrano gli atti in esame: ricorda infatti che per l'istituzione di una Commissione d'inchiesta parlamentare bicamerale occorre lo strumento della legge ordinaria.

Gianclaudio BRESSA (Ulivo), relatore, rileva che tutti gli emendamenti all'articolo 1 tendono ad ampliare la materia oggetto dell'inchiesta parlamentare, facendo riferimento a specifici avvenimenti o a precise responsabilità. Osserva che ciò è in contrasto con l'impostazione del testo base, che non attribuisce all'istituenda Commissione d'inchiesta il compito di accertare singoli fatti o responsabilità personali, il che spetta alla magistratura, bensì solo di ricostruire l'accaduto nelle sue linee complessive, anche al fine di mettere il legislatore nelle condizioni di individuare gli eventuali interventi normativi che permettano di evitare il ripetersi in futuro di avvenimenti come quelli di Genova del 2001. Esprime pertanto parere contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 1, con l'eccezione dell'emendamento Adenti 1.10, che invita il presentatore a ritirare, avendo testè presentato l'emendamento 1.50 (vedi allegato 2), teso ad aggiungere tra i compiti della Commissione quello di accertare anche la dinamica degli scontri accaduti a Genova.

Francesco ADENTI (Pop-Udeur) ritira il proprio emendamento 1.10.

Jole SANTELLI (FI), ribadita la radicale contrarietà della sua parte politica all'istituzione di una Commissione di inchiesta sui fatti del G8 di Genova, precisa che tale contrarietà non è certamente dovuta al timore della verità, bensì al timore che dell'inchiesta la maggioranza intenda fare uno strumento di propaganda politica contro la minoranza. Rileva che tale timore è giustificato dal testo base, che, nell'individuazione dei compiti della Commissione, tradisce il pregiudizio su cui viene impostato il lavoro dell'organo: quello per cui i fatti di Genova sono riconducibili alla responsabilità del Governo


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di allora. Ciò è particolarmente evidente, a suo avviso, dove si ipotizza che a Genova si potrebbe essere verificata una sospensione dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché dove si fa riferimento solo alla gestione dell'ordine pubblico e alla catena di comando, e non anche alla presenza di gruppi di agitatori: al riguardo, fa presente che scontri violentissimi tra gruppi organizzati di manifestanti e forze dell'ordine avvennero nel giro di pochi mesi anche in altre città del mondo, in occasione di riunioni dei Paesi del G8. Conclude dicendosi convinta che la maggioranza non intenda accertare la verità, ma solo emettere una sentenza politica preconfezionata e che la scelta di ricorrere alla Commissione di inchiesta monocamerale sia dovuta solo al timore che una legge istitutiva di una Commissione di inchiesta bicamerale non sarebbe potuta essere approvata al Senato.

Gianpiero D'ALIA (UDC) ritiene che la Commissione di inchiesta che la maggioranza intende istituire non potrà non interferire con il lavoro della magistratura, come sostiene il relatore, dal momento che opererà, come previsto dall'articolo 3 del testo base, oltre che dalla stessa Costituzione, con i poteri dell'autorità giudiziaria e potrà pertanto interloquire con la magistratura e pretendere da quest'ultima la trasmissione di documenti e atti. Osserva inoltre che, se davvero l'intento fosse quello di acquisire elementi di conoscenza utili ad evitare il ripetersi in futuro di avvenimenti come quelli di Genova, allora il centrosinistra, che è oggi al Governo, potrebbe procedere ad un'inchiesta interna all'Esecutivo, senza attivare uno strumento di vasta risonanza come la Commissione di inchiesta, e dovrebbe comunque tentare di far luce sulla natura dei gruppi presenti a Genova che hanno suscitato disordini nei quali sono stati coinvolti anche quanti manifestavano pacificamente; se non lo fa è perché il vero intento è quello di imporre al Paese una verità politica.

Giacomo STUCCHI (LNP), premesso che il suo gruppo ritiene che le Commissioni di inchiesta andrebbero evitate, in quanto l'esperienza ha ormai dimostrato che non servono all'accertamento di verità, ma solo a fini politici, esprime il timore che, nel caso specifico, la proposta di avviare di una inchiesta sui fatti di Genova sia dovuta unicamente alla necessità di una parte minoritaria della maggioranza di assecondare le richieste dei gruppi sociali che la sostengono. Nel merito degli accadimenti, si dice convinto che la causa scatenante dei disordini vada cercata non nell'operato delle forze dell'ordine, ma nell'azione di alcuni gruppi di facinorosi.

Domenico BENEDETTI VALENTINI (AN) si dice convinto che la Commissione di inchiesta che la maggioranza intende istituire servirà soltanto a produrre atti privi di interesse per il Paese, basati su un'inaccettabile impostazione che criminalizza le forze dell'ordine e misconosce la presenza a Genova di gruppi di agitatori deliberati. Ritiene che non sia però questa la priorità del Paese, che alla classe politica e dirigente non chiede la difesa degli agitatori, bensì la tutela dell'ordine e della sicurezza. Fa presente che quella della sicurezza è una emergenza nazionale ed osserva come il centrosinistra, per frenare la propria disgregazione interna, si appelli ad inutili proclami, anziché affrontare le questioni vere del Paese. Esprime quindi il timore che l'iniziativa porti ulteriore discredito alle istituzioni, che i cittadini sentono sempre più lontane dai bisogni comuni. Quanto alla sospensione dei diritti fondamentali, fa presente che essa viene consumata ogni giorno nelle città italiane ai danni dei cittadini onesti, aggrediti di continuo nella persona e nei beni, a causa dell'inerzia del Governo, che in tema di sicurezza non fa nulla di concreto. Invita quindi la maggioranza a rinunciare alla Commissione di inchiesta, dalla quale non potrà venire, a suo avviso, alcun beneficio per il Paese, ma solo discredito per le istituzioni.

Gabriele BOSCETTO (FI) si associa all'invito formulato dal deputato Benedetti Valentini, raccomandando l'approvazione


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degli emendamenti soppressivi presentati dal suo gruppo. Ricorda che le dinamiche generali dei fatti di Genova sono già state ricostruite, immediatamente dopo gli avvenimenti, da un apposito comitato bicamerale, le cui conclusioni sono contenute nella relazione finale dei lavori. Fa presente che allora furono presentate anche relazioni di minoranza, ma che queste si discostavano da quella di maggioranza solo su aspetti marginali: ritiene pertanto inutile istituire una Commissione di inchiesta, la quale non potrebbe a questo punto portare alcun contributo nuovo. Ritiene che il testo base in esame sia viziato da un pregiudizio di impostazione, particolarmente evidente all'articolo 1, comma 2,lettera c), dove si dà alla Commissione il compito di ricostruire la gestione dell'ordine pubblico, senza accennare alle responsabilità dei gruppi di agitatori che hanno deliberatamente agito a Genova per provocare disordini. Nel ricordare che scontri violenti avevano avuto luogo anche l'anno precedente, quando al Governo era il centrosinistra, rileva che la maggioranza non si cura di accertare chi siano i soggetti che sistematicamente agiscano per produrre disordini in occasioni di vertici internazionali, non solo in Italia. Fa presente poi che il suo gruppo, oltre ad emendamenti soppressivi, che rispecchiano il convincimento che il provvedimento in esame sia sbagliato, ha presentato anche emendamenti migliorativi del testo, intesi cioè almeno a limitarne i danni: menziona, in particolare, il suo emendamento 3.4, che mira ad introdurre nel testo una disposizione limitativa del potere della Commissione contenuta anche nei provvedimenti istitutivi della Commissione «antimafia» e di quella sul ciclo dei rifiuti.

Francesco ADENTI (Pop-Udeur) chiarisce che il ritiro, da parte sua, dell'emendamento 1.10, su invito del relatore, non significa che la posizione del suo gruppo in merito al provvedimento sia mutata: fermo restando che a Genova si sono verificati fatti gravi, il suo gruppo resta convinto che una Commissione di inchiesta non sia utile e che anzi, impostata nei termini prospettati dal testo base, risulterebbe squilibrata e unilaterale. Chiarisce quindi che il suo emendamento 1.10 intendeva riequilibrare l'impostazione della Commissione, anche al fine di coinvolgere nei suoi lavori la minoranza. Invita pertanto il relatore a proporre modifiche al testo che tengano conto di questa esigenza di riequilibrio dell'impostazione. Se ciò non accadrà, il proprio gruppo difficilmente potrà mutare l'orientamento contrario sul provvedimento.

Carlo COSTANTINI (IdV) chiarisce che il suo gruppo desidera che sui gravissimi accadimenti di Genova sia fatta piena luce, ma ritiene anche che questo spetti alla magistratura e che non sia a ciò utile una Commissione di inchiesta. Nel ricordare che la magistratura non è rimasta inoperosa, ed ha anzi già accertato alcune responsabilità, in sede penale e civile, si dice convinto che una Commissione di inchiesta non possa che interferire negativamente con il lavoro della magistratura: a suo avviso, ciò è evidente in particolare dall'elencazione dei compiti della Commissione di inchiesta, i quali non possono essere svolti senza entrare nel merito dei singoli avvenimenti e delle responsabilità individuali.

Luciano VIOLANTE, presidente, essendo ormai imminente la ripresa dei lavori dell'Assemblea, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.40.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo concernente attuazione della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di


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paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.
A. n. 131.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
A. n. 154.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
Atto n. 132.

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la ricognizione delle strutture e delle risorse finanziarie ed umane trasferite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Ministero della solidarietà sociale per lo svolgimento delle funzioni in materia di servizio civile nazionale e di politiche antidroga.
Atto n. 148.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa ad una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica.
Atto n. 153.

COMITATO DEI NOVE

Modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche (C. 2161-1505-1588-1688-A).