IV Commissione - Mercoledì 14 novembre 2007


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ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-01706 Papini: Sulla riduzione delle ore di insegnamento negli Istituti di formazione della Marina Militare di Taranto e della Maddalena.

TESTO DELLA RISPOSTA

La questione affrontata con l'interrogazione in esame è oggetto di particolare e costante attenzione da parte della Difesa, in considerazione dell'importanza che l'attività dei docenti civili delle scuole militari riveste per il buon funzionamento dello strumento militare.
Sulla materia la Difesa ha già avuto modo di riferire in sede di risposta ad un'interpellanza urgente dell'Onorevole Satta n. 2-00265, discussa nella seduta del 18 gennaio 2007 presso l'Aula della Camera dei Deputati, e ad un'interrogazione a risposta immediata dell'onorevole Duranti, discussa nella seduta del 15 febbraio 2007 presso la IV Commissione Difesa della Camera.
Nel confermare pienamente quanto già affermato in tali occasioni si reputa necessario riassumere, brevemente, la problematica in argomento.
I docenti civili delle scuole militari vengono scelti tra gli insegnanti di ruolo e non di ruolo abilitati di istituti e di scuole statali, e incaricati, previo nulla osta del Ministro della Pubblica Istruzione, mediante la stipula di convenzioni annuali.
Nel corso degli anni, il rapporto negoziale instauratosi tra l'Amministrazione militare e il personale docente è stato periodicamente rinnovato.
Ciò posto, a causa delle consistenti riduzioni di stanziamento apportate al bilancio della Difesa nella precedente legislatura, questo Dicastero è stato fortemente impegnato nella ricerca dei più opportuni accorgimenti tesi all'ottimizzazione del rapporto tra risorse e sviluppo dello strumento militare.
In tale quadro, i Comandi delle scuole militari hanno avviato un'oculata revisione dei piani didattici, prevedendo il ricorso alla docenza civile nei limiti consentiti dalle attuali esigenze di bilancio.
Con specifico riferimento agli Istituti di formazione citati dall'onorevole interrogante, si evidenzia che le Scuole Sottufficiali di Taranto e di La Maddalena si avvalgono della collaborazione di docenti civili, per un totale di 45 unità.
Orbene, sin dall'anno 2006, la riduzione degli afflussi alle Scuole di personale frequentatore, da un lato, e i drastici tagli fissati dalla legge finanziaria 2006 ai bilancio dell'A.D., dall'altro, hanno imposto una revisione degli impegni per fronteggiare le esigenze e, conseguentemente, di tutta l'attività contrattuale correlata, compresa quella relativa a tutto il personale docente, con il quale - sempre a partire dal 2006 - sono state stipulate convenzioni con carico settimanale ridotto del 30 per cento (in media 12 ore settimanali anziché 18).
La situazione si è protratta nel corso dell'anno 2007, fatta eccezione per Mariscuola La Maddalena laddove, dal 1o ottobre 2007 e fino al 31 dicembre 2007, per far fronte ad una contingente esigenza formativa del Corpo delle Capitanerie di Porto, si è reso necessario riportare temporaneamente il tetto alle 18 ore settimanali di insegnamento, in luogo delle predette 12 ore.


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La Difesa, consapevole della rilevanza che le attività dei docenti civili rivestono per l'Amministrazione militare, sta compiendo ogni possibile sforzo teso ad ottenere la stabilità e la continuità del rapporto di lavoro nonché l'istituzione di uno specifico ruolo del personale in argomento attraverso l'introduzione di apposita modifica normativa.
La Difesa pone quindi la massima attenzione nel ricercare le possibili azioni da intraprendere per mitigare, compatibilmente con le risorse disponibili, i riflessi che le riduzioni di stanziamento degli anni passati hanno prodotto sull'attività di docenza civile nelle scuole militari e per soddisfare, nel contempo, sia le esigenze proprie, sia le aspettative di quanti perseguono la via del riconoscimento di un «rapporto stabile e duraturo di impiego».
In tal senso, si assicura che si stanno ponendo in essere le opportune iniziative normative, specifiche per l'Amministrazione della Difesa, intese a mantenere il ricorso alla docenza civile ed a ricomprendere detto personale nel processo di stabilizzazione.


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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-01750 Galante: Sull'eventuale recente impiego di soldati e mezzi italiani nella zona di Gulistan in Afghanistan.

TESTO DELLA RISPOSTA

In relazione al quesito formulato si precisa che - dai dati in possesso di questo Dicastero - nella prima decade di novembre unità nazionali, in attività di ricognizione e supporto alle Forze di sicurezza afgane nel settore meridionale dell'Area di Responsabilità a guida nazionale del Regional Command West, hanno subito isolati attacchi da parte di elementi ostili e, conseguentemente, hanno messo in atto mirate reazioni di risposta al fuoco.
Premesso che l'uso della forza è consentito nell'ambito dell'esercizio del diritto di legittima difesa, è evidente come la conseguente reazione a fuoco sia stata unicamente finalizzate a proteggere le unità italiane nell'assolvimento dei loro compiti di supporto alle unità militari afghane, con le quali stavano cooperando nell'attività di controllo del territorio.
Ciò non contrasta, di certo, con le dichiarazioni rese dal Sottosegretario alla Difesa Emidio Casula, in occasione della risposta fornita ad atto di analogo contenuto nella seduta del 7 giugno scorso, presso la IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati.
Al riguardo, si evidenzia che lo spirito ed il metodo con cui l'Italia sta operando in Afghanistan sono tutt'altro che associabili al concetto di guerra.
Infatti, giova ricordare che tale Paese proviene da due decenni di guerra e di scontri fratricidi ed in questo contesto oggettivamente pericoloso l'Italia fornisce, nell'ambito di un più largo contesto internazionale, un suo contributo militare per assistere le autorità afghane a ripristinare accettabili condizioni di sicurezza.
È bene chiarire, quindi, che l'azione in Afghanistan è un'azione militare che corrisponde a precise regole d'ingaggio applicate nel perseguimento dell'obiettivo iscritto nell'acronimo ISAF (International Security Assistance Force), ovvero Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza.
L'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze ed in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale e delle norme ed usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e regolamenti nazionali ed in coerenza con quelle delle forze cooperanti.


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ALLEGATO 3

Interrogazione 5-01751 De Zulueta: Sui dispositivi di sicurezza italiani adottati nei confronti di aerei civili classificati come pericolosi ovvero «Renegade.»

TESTO DELLA RISPOSTA

I tragici fatti dell'11 settembre, che hanno stravolto la tradizionale fisionomia della minaccia aerea e reso labile la linea di demarcazione tra tempo di pace, crisi e tempo di guerra, hanno costretto tutti gli assetti militari internazionali a considerare tale minaccia e le relative misure di contrasto da nuove prospettive.
Al riguardo, la NATO ha condotto un'analisi delle misure di difesa aerea con l'intento di estendere quelle già esistenti. Alcune decisioni hanno avuto l'effetto di adeguare l'attuale catena di comando e controllo alla gestione di una crisi che si riveli di natura terroristica, favorendo l'emanazione della direttiva NATO MCM - 062 - 02.
Tale direttiva definisce la gestione dei nuovi eventi terroristici mediante l'utilizzazione di aeromobili civili che si sottraggono alla disciplina del volo controllato diventando tracce cosiddette renegade; tale gestione non è delegabile ad organizzazioni con compiti di difesa interalleata, quali la NATO ed in prospettiva uno strumento di difesa collettiva dell'Unione Europea, essendo la condotta operativa e l'eventuale azione di forza una prerogativa di carattere esclusivamente nazionale di competenza dell'esecutivo dello Stato che ha giurisdizione sullo spazio aereo in cui si trova il velivolo in quel momento.
Infatti, il predetto documento enuncia il cosiddetto Renegade Concept che consiste, in sintesi, nell'indicazione delle caratteristiche proprie di un velivolo civile utilizzato come arma per condurre attacchi terroristici, nella descrizione delle implicazioni politico-militari che tale designazione comporta ed infine nella definizione delle linee guida per la gestione della conseguente situazione di crisi.
Proprio per questo, giustificabili motivi di sicurezza nazionale e di incolumità pubblica hanno imposto una riflessione al riguardo, da cui sono scaturite le necessarie decisioni politiche.
Infatti, la minaccia terroristica anche tramite l'uso di velivoli civili ha imposto l'esigenza di dotare l'ordinamento italiano di un'adeguata cornice giuridica di riferimento su base legislativa, che legittimi l'emanazione di Regole d'Ingaggio idonee a fronteggiare le situazioni critiche in argomento.
In tale contesto, l'impiego di un sistema d'arma per l'abbattimento di un renegade è, dunque, una decisione che richiede l'intervento finale dell'Autorità Nazionale Governativa, che il Presidente del Consiglio, dei Ministri ha individuato con proprio decreto (classificato) in data 2 aprile 2004.
La determinazione delle ROE - che nel caso di specie sono classificate - è atto di competenza dell'Esecutivo e consente, disciplinando in modo rigoroso le varie fasi gestionali di una situazione di crisi derivanti dalla minaccia, l'emanazione da parte delle Autorità preposte di un ordine legittimo finalizzato alla neutralizzazione della minaccia stessa.


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ALLEGATO 4

Interrogazione 5-01752 Duranti: Sulla dismissione dell'Arsenale militare di Pavia.

TESTO DELLA RISPOSTA

Occorre, in premessa, evidenziare la grande sensibilità e la costante attenzione che la Difesa pone alla problematica dell'efficientamento degli Arsenali e degli Stabilimenti a carattere tecnico-industriale della propria sfera di responsabilità.
Come è intuibile, si tratta di una riforma molto complessa, finalizzata a definire il futuro di tutti gli stabilimenti di lavoro, i cui effetti sono destinati a superare la durata della presente legislatura.
È necessario, tuttavia, trovare in questa materia il più ampio consenso ed il coinvolgimento delle parti sociali e di tutti i soggetti interessati per gestire al meglio questo tipo di attività di interesse pubblico.
Fatta questa doverosa premessa e con specifico riferimento alla ventilata ipotesi di riconvertire le attività svolte dallo Stabilimento in parola al settore Protezione Civile, si fa presente che, con Decreto Interministeriale 9 maggio 2001, era stato disposto il suo trasferimento alle dipendenze della costituenda Agenzia per la Protezione Civile del Ministero dell'Interno.
Tale prospettiva, determinò il trasferimento istituzionale delle attività manutentive sui mezzi del Genio, di competenza dello Stabilimento di Pavia, ai due poli di Nola e Piacenza.
Nel mese di gennaio 2002, tuttavia, fu definitivamente abbandonato il progetto di costituzione dell'Agenzia per la Protezione Civile, restando pertanto inattuato il progetto iniziale e, conseguentemente, compromessa ogni ipotesi di rivalutazione e/o riconversione.
Riguardo, invece, al quesito sulla futura destinazione dell'ente in parola, si rende noto che nell'ambito degli studi per la soluzione delle problematiche relative agli Arsenali ed agli Stabilimenti a carattere tecnico-industriale della Difesa, la questione sullo Stabilimento militare di Pavia è stata, da ultimo, esaminata anche nel corso di uno specifico incontro presieduto dal Sottosegretario di Stato, onorevole Verzaschi, con i competenti organi tecnici dell'amministrazione, svoltosi il 10 ottobre 2007.
Si è convenuto in tale sede di dare corso ad opportuni approfondimenti che, nell'ottica di una più generale rimeditazione di tutta l'area industriale della Difesa, consentiranno di indirizzare al meglio l'azione dell'amministrazione.
A tal riguardo, con specifico riferimento alle misure da adottare, è il caso di assicurare gli Onorevoli interroganti, che le future azioni, compatibilmente con i vincoli di bilancio, saranno orientate innanzitutto a non disperdere le risorse umane e materiali, di cui si apprezza l'importanza, nonché a salvaguardare i livelli occupazionali del personale tutto e a limitarne il più possibile gli eventuali disagi.


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ALLEGATO 5

Interrogazione 5-01753 Giuditta: Sulla cartolarizzazione degli alloggi di servizio.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con la Risoluzione n. 8-00015, approvata nel corso della seduta del 4 ottobre 2006 presso questa Commissione, si è inteso impegnare il Governo, in primo luogo, a sospendere le azioni di recupero forzoso degli alloggi militari occupati senza titolo, assumendo, al contempo, iniziative, anche di natura legislativa, idonee ad affrontare la questione degli alloggi dell'Amministrazione Militare, in un quadro generale di semplificazione e snellimento delle procedure di dismissioni e, in secondo luogo, a non applicare la citata sospensione nei confronti degli utenti titolari di rapporto di lavoro subordinato di collaborazione o di consulenza, comunque retribuita con soggetti diversi dall'Amministrazione della Difesa.
Al riguardo, la Difesa ha emanato le opportune direttive per l'applicazione dei contenuti della citata risoluzione la quale, per espressa menzione, non si applica a quegli alloggi occupati da utenti che svolgono attività retribuita da soggetti diversi dall'Amministrazione della Difesa.
Proprio in merito alle procedure di recupero forzoso, si sottolinea come l'esigenza di risolvere, o quanto meno ridimensionare, la questione degli alloggi, acquisti un'importanza primaria nel quadro di un sempre più funzionale ed ottimale impiego delle risorse umane.
Ciò nonostante, si assicura che la Difesa ha rispettato l'impegno contemplato nella risoluzione e, nel contempo, non ha mai disposto alcun recupero forzoso di unità abitative occupate da utenti la cui situazione patrimoniale e/o familiare rientri nelle previsioni di cui all'articolo 2 del richiamato decreto ministeriale, concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo delle Forze Armate, emanato ai sensi dell'articolo 9, comma 7, della legge 537/93.
Con specifico riferimento alla cartolarizzazione, invece, si deve precisare che con tale legge il Parlamento, stante l'esigenza di destinare al bilancio dello Stato risorse provenienti dalle alienazioni dei beni pubblici, per abbattere il disavanzo dello Stato e il debito pubblico, nel rispetto dei vincoli e degli accordi europei, ha disposto la cartolarizzazione di alcune migliaia di alloggi, sottraendoli alla disponibilità della Difesa.
La norma di riferimento (articolo 26, comma 11-quater, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) dispone l'alienazione, con alcune eccezioni e con il sistema della cartolarizzazione, degli alloggi di cui alla legge n. 497/1978, non ubicati nelle infrastrutture militari o, se ubicati, non operativamente posti al loro diretto e funzionale servizio, né classificati quali alloggi di servizio connessi all'incarico occupati dai titolari.
L'attuazione della norma in parola ha, tuttavia, incontrato notevoli difficoltà applicative, tuttora non superate, in ragione della complessità interpretativa dei criteri di individuazione degli alloggi da assoggettare alla cartolarizzazione, nonché delle successive modalità gestionali degli


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alloggi rimasti in uso alla Difesa, ma ubicati nei medesimi comprensori di alloggi alienati.
Alla luce di tali obiettivi impedimenti, il disegno di legge «Finanziaria 2008», attualmente all'esame del nell'ottica di semplificare e snellire i procedimenti di dismissione del patrimonio abitativo della Difesa, prevede (articolo 79-bis) l'abrogazione dell'attuale procedura di cartolarizzazione della Difesa di cui al predetto articolo 26, comma 11-quater, e, nel contempo, la definizione di una nuova procedura in materia.


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ALLEGATO 6

Indagine conoscitiva sulle servitù militari.

SCHEMA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

Premessa.

Le Forze Armate stanno attraversando un'intensa fase di trasformazione, determinata dal mutato contesto internazionale e dalle recenti novità legislative che hanno condotto alla completa professionalizzazione della leva. Tutto ciò sta facendo sorgere l'esigenza di una progressiva ridislocazione delle Forze Armate sul territorio nazionale, con inevitabili effetti che riguarderanno in prospettiva, non solo il personale militare, ma anche il patrimonio immobiliare destinato alla Difesa: le caserme, gli alloggi di servizio e le aree addestrative.
In questo quadro, la Commissione Difesa della Camera ha deliberato, in data 1o agosto 2006, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulle servitù militari, il cui scopo, da un lato, è quello di mettere in luce il collegamento funzionale esistente tra servitù militari e assolvimento dei compiti assegnati alle Forze armate e, dall'altro lato, è quello di evidenziare i vincoli a cui sono assoggettate le aree su cui insistono le citate servitù e i relativi effetti socio-economici.
A tal fine, la Commissione ha svolto le audizioni dei seguenti soggetti: il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali delle tre Regioni maggiormente interessate da servitù militari e da aree del demanio militare (Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Lazio), i vertici militari, con particolare riferimento a quelli aventi competenza diretta in materia di servitù militari, esperti in discipline giuridiche, i rappresentanti di associazioni ambientaliste e di associazioni di cittadini costituite nei territori gravati da servitù militari. Infine, una delegazione della Commissione ha visitato le principali installazioni militari presenti nella regione Sardegna.
Nel presente documento, quindi, dopo una puntuale descrizione della normativa vigente in materia di servitù militari, vengono esaminate, alla luce delle audizioni svolte, le principali installazioni militari che comportano vincoli per il territorio nazionale, sia sotto il profilo delle esigenze della Difesa, sia dal punto di vista delle implicazioni socio-economiche, traendone alcune indicazioni di fondo per la soluzione dei problemi aperti.

Parte I
Il quadro normativo

1. Brevi cenni storici.

L'espressione «servitù militare» fu introdotta in Italia nel periodo napoleonico, fu accolta nelle norme dello Statuto albertino ed è stata conservata fino ai nostri giorni nella legislazione attuale.
Nella storia dell'ordinamento postunitario la disciplina delle servitù militari ha conosciuto tre momenti fondamentali scanditi dall'entrata in vigore di altrettanti atti normativi:
a) il testo unico 16 maggio 1900, n. 401 che, assieme al regolamento di cui


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regio decreto 11 gennaio 1901, n. 32, riordinò la normativa previgente costituita soprattutto da fonti preunitarie;
b) la legge 20 dicembre 1932, n. 1849 che, insieme al regolamento adottato con regio decreto 4 maggio 1936, n. 1388, dettò la nuova disciplina organica, peraltro non interamente sostitutiva del vecchio testo unico;
c) la legge 24 dicembre 1976, n. 898, recante «Nuova regolamentazione delle servitù militari» che, unitamente al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1979, n. 780, rappresenta ancora oggi il riferimento normativo principale.

La nuova disciplina, introdotta dalla legge n. 898 del 1976, segna sicuramente un significativo distacco rispetto alla ispirazione di fondo della normativa previgente, in quanto in essa l'interesse alla difesa nazionale non viene considerato il solo interesse rilevante, ma viene raccordato e ponderato, come meglio si dirà in seguito, con una serie di interessi diversi, quali l'interesse alla corretta gestione del territorio e l'interesse di altri soggetti pubblici e privati. Tale disciplina, pur essendo stato oggetto di successive modificazioni ad opera della legge 2 maggio 1990, n. 104, non è stata alterata nella sua ispirazione di fondo, ma anzi, sotto tale profilo, è stata addirittura rafforzata.

2. La nozione di servitù militare.

Come si evince dalla legge n. 898 del 1976, per servitù militare si intende l'insieme delle limitazioni ossia dei divieti che possono essere imposti tanto su beni privati quanto su beni pubblici situati in vicinanza delle installazioni militari e delle opere a queste equiparate.
In particolare, secondo l'articolo 1, primo comma, della predetta legge, oggetto delle limitazioni è «il diritto di proprietà» relativo alle aree che si trovino in vicinanzadi altre aree, sostanzialmente riconducibili a tre categorie: aree adiacenti ai depositi munizioni e carburanti; aree soggette ad emissione elettromagnetica, per la presenza di radar o trasmittenti per le comunicazioni ovvero per gli impianti di assistenza al volo, e aree adiacenti a poligoni di tiro.
Nonostante la legge riferisca tali limitazioni al «diritto di proprietà», in realtà, esse possono avere ad oggetto non solo il diritto di proprietà, ma anche la libertà di iniziativa economica di cui all'articolo 41 della Costituzione. Infatti, mentre le limitazioni previste dall'articolo 2, primo comma, lettera b) della legge n. 898 del 1976, ossia il divieto di fabbricare o sopraelevare di muri, di costruire strade, eccetera, si riferiscono principalmente al diritto di proprietà, quelle di cui alla lettera a) del medesimo comma, ossia il divieto di realizzare condotte o depositi di gas, canali o fossi di oltre 50 centimetri di profondità, il divieto di aprire cave, eccetera, riguardano prevalentemente il diritto d'impresa.
Le limitazioni, che sono stabilite nella durata massima di cinque anni salvo alcune eccezioni, sono dettagliatamente definite dalle norme tecniche di carattere riservato, approvate con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'interno. Esse debbono essere imposte nel rispetto del principio di proporzionalità, ossia nella misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di installazioni di difesa (cfr. l'articolo 1, secondo comma, della legge n. 898 del 1976 e l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1979, n. 780).
La legge n. 898 del 1976, tranne che nel titolo, non richiama in alcuna disposizione il termine «servitù», che viene invece costantemente sostituito dal termine «limitazioni», probabilmente anche per segnare la distanza che separa la nuova disciplina da quella del 1932, nella quale con l'espressione servitù s'intendeva sottolineare l'asservimento della proprietà agli interessi militari.
La maggioranza della dottrina pubblicistica ritiene quindi che le servitù militari non siano vere servitù pubbliche, in


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quanto esse a differenza delle seconde, nel porre limiti alla proprietà privata, non prevedono un'appropriazione, da parte del soggetto pubblico confinante, delle facoltà contenute nel diritto di proprietà, ma si limitano ad imporre al proprietario il dovere di astenersi dal fare alcune cose sul proprio fondo. In altri termini, le servitù militari non consistono in un pati, cioè nell'obbligo per il proprietario di subire nel proprio fondo ciò che fa il titolare del fondo dominante, ma consistono in un non facere. La maggioranza della dottrina pubblicistica pertanto colloca le servitù militari nell'ambito della categoria delle limitazioni amministrative alla proprietà pubblica e privata.
Va tuttavia sottolineato come, nonostante l'istituto delle servitù militari abbia un preciso significato tecnico-giuridico, nel linguaggio comune esso venga frequentemente associato alla complessiva presenza militare sul territorio ed ai vari gravami da questa derivati che solo in alcuni casi sono riconducibili alle servitù militari vere e proprie.
Come sottolineato dal Ministro della difesa, la presenza militare sul territorio può infatti manifestarsi essenzialmente in quattro forme. La prima consiste in stabili e superfici appartenenti all'amministrazione della difesa. La seconda si concretizza nelle zone di sgombero sul mare imposte per motivi di sicurezza dei cittadini, con conseguente limitazione nell'uso di un bene, il mare, solitamente di libera fruizione. La terza è rappresentata dai cosiddetti spazi aerei militari che possono essere aperti, con specifiche procedure, al traffico commerciale, quando non utilizzati dalla Difesa. La quarta è infine costituita dalle servitù militari vere e proprie, ossia da quella serie di limitazioni imposte ad aree non appartenenti al demanio militare ma, in genere, ad esso adiacenti.
Tali limitazioni, in realtà, vengono applicate solo in alcuni casi, e sempre per motivi di salvaguardia e sicurezza per i cittadini, in quanto, come meglio si vedrà in seguito, ai fini della imposizione delle limitazioni su una determinata area, non è sufficiente la mera vicinanza di quest'ultima ad un'installazione militare, ma è necessario un provvedimento amministrativo (il decreto del Comandante territoriale militare), che dovrà imporre concretamente le limitazioni nella misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di installazioni di difesa.

3. I punti qualificanti della normativa: i Comitati misti paritetici.

Una delle più significative innovazioni introdotte dalla legge n. 898 del 1976, riguarda l'istituzione, presso ogni regione, di organismi permanenti di consultazione fra civili e militari, denominati comitati misti paritetici (Comipa). Per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 104 del 1990, fanno parte del comitato sette membri effettivi ed altrettanti supplenti in rappresentanza delle amministrazioni centrali (5 per il Ministero della difesa e due per il Ministero dell'economia e delle finanze), e sette membri effettivi ed altrettanti supplenti in rappresentanza di quelle regionali, designati dai rispettivi consigli regionali con la procedura del voto limitato, al fine di tutelare le minoranze politiche elette nelle assemblee regionali.
I comitati hanno il compito di esaminare, anche con proposte alternative della regione e dell'autorità militare, i problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico-sociale della Regione e i programmi relativi alle installazioni militari nonché, come previsto da una modifica introdotta dall'articolo 1 della legge n. 104 del 1990, i problemi relativi all'armonizzazione tra questi ultimi e i medesimi piani relativi alle aree sub-regionali (cfr. l'articolo 3, primo comma, della legge n. 898 del 1976).
Il comitato è altresì consultato semestralmente su tutti i programmi delle esercitazioni a fuoco di reparto o di unità, per la definizione delle località, degli spazi aerei e marittimi regionali, del tempo e


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delle modalità di svolgimento, nonché sull'impiego dei poligoni della Regione (cfr. articolo 3, quarto comma, della legge n. 898 del 1976).
Il comitato, sentiti gli enti locali e gli altri organismi interessati, definisce le zone idonee alla concentrazione delle esercitazioni di tiro a fuoco nella regione per la costituzione di poligoni, utilizzando prioritariamente, ove possibile, aree demaniali (cfr. articolo 3, quinto comma, della legge n. 898 del 1976, come modificato dalla legge n. 104 del 1990).
Una volta costituite tali aree militari, le esercitazioni di tiro a fuoco dovranno di massima svolgersi entro le aree stesse, sulla base di quanto previsto da appositi disciplinari d'uso, stipulati tra l'autorità militare e la regione interessata, il cui contenuto è definito dall'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1979, n. 780 (cfr. articolo 3, sesto comma, della legge n. 898 del 1976, come modificato dalla legge n. 104 del 1990).
In definitiva, quindi, ai sensi della legge n. 898 del 1976, il comitato espleta prevalentemente una funzione consultiva, tranne che nel caso di cui all'articolo 3, quinto comma, della medesima legge, che, affidando al comitato la «definizione» delle aree idonee allo svolgimento di esercitazioni a fuoco e alla costituzione di poligoni, sembra attribuire ad esso una vera e propria funzione decisionale.
Le definitive decisioni sui programmi di installazioni militari e relative limitazioni, come meglio si vedrà in seguito con riferimento al procedimento istitutivo di una servitù militare, sono comunque riservate al Ministro della difesa.
I programmi di installazioni militari e i progetti concernenti l'istituzione di una servitù sono strettamente collegati tra loro e vengono sottoposti entrambi al parere dei Comipa. Pertanto, di fatto, qualora la redazione dei programmi risulti pressoché contestuale all'elaborazione del progetto di servitù, i citati programmi e i relativi progetti di servitù sono sottoposti contemporaneamente al parere del Comipa, nell'ambito del medesimo procedimento.

4. Il procedimento istitutivo di una servitù militare.

Come accennato in precedenza, ai fini della imposizione di una servitù militare non è sufficiente la mera vicinanza di un'area ad un'installazione militare, ma è necessario un provvedimento amministrativo, che imponga su di essa le limitazioni nella misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di installazioni di difesa.
Fino agli anni Settanta, l'imposizione di una servitù veniva affidata agli Stati maggiori di Forza armata, quindi dall'autorità centrale. Con l'entrata in vigore della legge n. 898 del 1976 la competenza in materia di imposizione, revisione, conferma, modifica o revoca delle servitù militari, è stata decentrata ai comandi militari territoriali.
Infatti, il comandante territoriale, in attuazione e nell'ambito dei programmi delle installazioni militari, predispone il progetto di imposizione delle limitazioni, corredandolo di un preventivo di spesa relativo agli indennizzi (cfr. articolo 4, primo comma, della legge n. 898 del 1976).
Il progetto, costituito da una relazione tecnico-amministrativa nonché da una planimetria catastale, su cui sono riportati la posizione e il compendio delle zone interessate dalle servitù, è redatto dall'organo territoriale del Genio militare competente ed è sottoposto per via gerarchica agli enti centrali delle Forze armate per l'approvazione.
Il progetto, con l'allegato preventivo di spesa è trasmesso alla ragioneria centrale del Ministero della difesa, ai fini della prenotazione dell'impegno provvisorio di spesa.
Se il comitato misto paritetico competente per territorio si esprime favorevolmente sul progetto all'unanimità, il Genio militare competente elabora il progetto


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definitivo, corredato dai costi necessari al pagamento degli indennizzi e dei contributi spettanti rispettivamente ai proprietari dei terreni e ai comuni del territorio interessato.
Laddove invece il comitato non si pronunci favorevolmente all'unanimità, il progetto viene inoltrato alla direzione generale dei lavori e del demanio, «Geniodife», che redige una relazione al riguardo. Tale relazione, unitamente alle eventuali proposte alternative formulate dal comitato e al verbale delle sedute di quest'ultimo, sono trasmesse al Ministro della difesa a cui sono riservate le decisioni definitive sui programmi di installazioni militari e sulle relative limitazioni (cfr. articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979).
La regione interessata può richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri, entro quindici giorni dalla pubblicazione o comunicazione della decisione ministeriale, che la questione sia sottoposta a riesame da parte del Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro novanta giorni. Alla riunione del Consiglio è invitato il presidente della giunta regionale interessata (cfr. l'articolo 3, commi undicesimo, dodicesimo e tredicesimo, della legge n. 898 del 1976).
Ad avvenuta prenotazione dell'impegno provvisorio, il provvedimento impositivo è adottato dal comandante territoriale con decreto nel quale sono indicati gli estremi di registrazione dell'impegno stesso (cfr. articolo 4, quarto comma, legge n. 898 del 1976).
Il decreto, corredato dalle mappe è quindi pubblicato mediante deposito per sessanta giorni consecutivi, nel comune nel quale sono situati i fondi assoggettati alle limitazioni. Dell'avvenuto deposito è data notizia sulla Gazzetta Ufficiale e mediante manifesti del comando militare territoriale affissi in numero congruo, a cura del sindaco, nel territorio del comune. Di tale deposito è effettuata contestuale notifica, tramite il comune interessato, ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni (cfr. articolo 5, primo e secondo comma, legge n. 898 del 1976).
Trascorsi novanta giorni dalla data di inizio del deposito, il decreto diventa esecutivo, salvo il caso di sospensione cautelativa disposta dallo stesso Ministro della difesa a seguito della presentazione di un ricorso gerarchico. Copia del decreto viene trasmessa, per informazione, agli enti centrali di Forza armata, al «Geniodife», ai comandi e all'ente consegnatario dell'installazione militare, il quale è responsabile di controllare che la servitù venga rispettata.

4.1 Modifiche e revoche delle servitù prima della scadenza.

Prima della scadenza di una servitù militare, in alcune ipotesi previste dalla legge, le limitazioni imposte possono essere modificate o revocate.
In primo luogo, il comandante territoriale può, su richiesta degli interessati, autorizzare che sui fondi siano eseguite opere in deroga alle limitazioni imposte (cfr. articolo 8, primo comma, della legge n. 898 del 1976). L'atto di deroga viene rilasciato, previa verifica tecnico-operativa di compatibilità dell'opera, richiesta in deroga da parte degli enti militari competenti. L'autorizzazione può essere subordinata a speciali condizioni, che debbono mirare unicamente e direttamente a tutelare il rispetto delle esigenze militari con il minor possibile aggravio della proprietà privata e ad evitare oneri dello Stato(cfr. articolo 8, secondo comma, della legge n. 898 del 1976 e articolo 12, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979).
In secondo luogo, le limitazioni possono essere ridotte o revocate, ad esempio per cessate esigenze, con decreto del comandante territoriale che viene pubblicato con le stesse modalità previste per l'imposizione delle limitazioni (cfr. articolo 10, terzo e quarto comma, della legge n. 898 del 1976).

4.2 Rinnovo ed estinzione delle servitù in scadenza.

Ogni cinque anni dall'imposizione delle limitazioni si procede ad una revisione


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generale. Ove si verifichi che tali limitazioni rispondano alle esigenze della difesa nazionale, il comandante territoriale competente emana il decreto di proroga il successivo quinquennio, sentito il Comipa.
Alla scadenza del quinquennio, il decreto di servitù, se non viene rinnovato, decade automaticamente senza necessità di atti amministrativi. La procedura di rinnovo, che viene avviata circa un anno prima della scadenza naturale del decreto per non creare soluzioni di continuità, è sostanzialmente corrispondente a quella relativa all'imposizione di nuove servitù (cfr. articolo 10, primo e secondo comma, della legge n. 898 del 1976 e l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979).
In ogni caso, rispetto alle infrastrutture esistenti, già in uso da lungo tempo, non risultano pendenti programmi di imposizione di nuove servitù, e anzi da molti anni si sta sempre più portando avanti una politica di restrizione delle medesime, anche in ragione del loro costo.
Ai fini di una compiuta valutazione della concreta rispondenza delle infrastrutture esistenti agli attuali scopi istituzionali, come si vedrà in seguito, è in corso di svolgimento un indagine da parte delle autorità militari, volta a definire una possibile revisione totale di tali installazioni sul territorio.

5. L'indennizzabilità delle servitù militari.

La legge n. 898 del 1976, come novellata dalla legge n. 104 del 1990, afferma il principio della indennizzabilità dei limiti imposti per il soddisfacimento delle esigenze militari (cfr. articolo 7, primo comma). La legge prevede, per altro, diverse specie di indennizzi a seconda del tipo di pregiudizio arrecato agli interessi privati:
a) gli indennizzi per le limitazioni imposte al diritto di proprietà nelle aree che si trovino in vicinanza di installazioni militari ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 898 del 1976;
b) gli indennizzi per modificazione dello stato delle cose di cui all'articolo 6 della legge n. 898 del 1976;
c) gli indennizzi per gli sgomberi e le occupazioni in caso di esercitazioni militari all'articolo 15 della legge n. 898 del 1976.

Per le limitazioni previste dall'articolo 2 della legge n. 898 del 1976, ai proprietari degli immobili è riconosciuto un indennizzo annuo rapportato al doppio del reddito dominicale ed agrario dei terreni e dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposizione sul reddito, ridotto della metà nel caso di limitazioni appartenenti ad una sola delle due categorie indicate nel citato articolo 2 (cfr. articolo 7, primo e secondo comma, della legge n. 898 del 1976, come modificato dall'articolo 3 della legge n. 104 del 1990). L'indennizzo così determinato viene corrisposto annualmente e rimane invariato per tutta la durata delle limitazioni salvo che non intervenga una modifica dei coefficienti di aggiornamento dei redditi catastali, ovvero non sia stata autorizzata dal comandante territoriale una deroga alle limitazioni imposte, che abbia comportato il venir meno dell'ipotesi di cumulo fra le due categorie di limitazioni in precedenza menzionate o il venir meno di tutte le limitazioni previste (cfr. articoli 7, undicesimo comma, e 8, terzo e quarto comma, della legge n. 898 del 1976). Ove il fondo sia stato concesso prima dell'imposizione delle limitazioni in conduzione a terzi, il proprietario deve corrispondere ad essi parte dell'indennizzo, in rapporto al danno subito. Qualora manchi l'accordo tra le parti è previsto il ricorso a procedure arbitrali (cfr. articolo 7, terzo comma, della legge n. 898 del 1976).
Il decreto di imposizione delle limitazioni deve specificare che gli indennizzi saranno corrisposti a domanda degli aventi diritto (cfr. articolo 7, ottavo comma, della legge n. 898 del 1976). La domanda è presentata al comandante territoriale ed è redatta secondo apposito modello predisposto dal Ministero della


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difesa. Al pagamento di tali indennizzi si provvede mediante aperture di credito disposte a favore dei sindaci dei comuni nel cui territorio insistono le aree ammesse all'indennizzo, secondo le norme della contabilità generale dello Stato. Per il pagamento di indennizzi di importo annuo superiore a 258 euro il richiedente è tenuto ad esibire idonea documentazione comprovante la proprietà dell'immobile (cfr. articolo 7, quattordicesimo comma, della legge n. 898 del 1976 e articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979).
Il sistema di quantificazione degli indennizzi delineato dalla legge appare eccessivamente rigido tanto che la Corte Costituzionale con la sentenza 13-28 luglio 2000, n. 390 ne ha dichiarato la parziale illegittimità nella parte in cui non si prevede un indennizzo annuo differenziato per i terreni con preesistente destinazione edificatoria e non suscettibili di altra utilizzazione e rendita agraria.
Per quanto concerne la modificazione dello stato delle cose, si rileva che l'amministrazione militare può, all'atto della imposizione delle limitazioni, modificare lo stato delle cose nelle proprietà assoggettate che contrasti con le esigenze militari. Tali modificazioni danno diritto ad un indennizzo che è determinato ai sensi della disciplina in materia di espropriazioni per causa di utilità pubblica di cui alla legge n. 2359 del 1865 e agli articoli 16 e 17 della legge n. 865 del 1971 (cfr. articolo 6 della legge n. 898 del 1976).
Infine, gli sgomberi e le occupazioni in caso di esercitazioni militari, si riferiscono a provvedimenti di tipo occasionale connessi allo svolgimento episodico di esercitazioni militari, senza che si instauri un rapporto stabile tra fondi militari e fondi circonvicini, come accade per le servitù militari propriamente dette (cfr. articolo 15 della legge n. 898 del 1976). In tali casi, per il tempo strettamente necessario allo svolgimento delle esercitazioni, il comandante territoriale può disporre, per motivi di pubblica incolumità, lo sgombero e l'occupazione di immobili e il divieto di accedervi, lo sgombero di specchi d'acqua e può imporre limitazioni alla circolazione stradale (cfr. articolo 15, primo comma, della legge n. 898 del 1976). In proposito, il quinto comma articolo 15 della legge n. 898 del 1976 prevede la corresponsione di indennizzi per gli sgomberi e per le occupazioni di immobili nonché per eventuali danni, senza tuttavia fare riferimento alle altre ipotesi previste dal medesimo articolo, in particolare agli sgomberi degli specchi d'acqua. Su tale punto è quindi intervenuto l'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 26 maggio, n. 154, che ha stabilito che le disposizioni dell'articolo 15 della legge n. 898 del 1976 si applicano anche allo sgombero di specchi d'acqua interni e marini. La misura dell'indennizzo per i lavoratori dipendenti è pari al salario corrente, mentre per i lavoratori autonomi è rapportata alla retribuzione spettante ai lavoratori dipendenti con qualifica corrispondente o affine (cfr. articolo 15, sesto comma, della legge n. 898 del 1976). Gli sgomberi, le occupazioni e le altre limitazioni, sono disposti con ordinanza del Comandante territoriale che, tra l'altro, deve precisare le modalità e i termini per la richiesta degli indennizzi per gli sgomberi e le occupazioni di immobili e degli eventuali risarcimenti dei danni. (cfr. articoli 16, quarto comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979) Il provvedimento deve essere comunicato almeno trenta giorni prima al prefetto della provincia, al sindaco dei comuni interessati e al comitato misto paritetico, tranne nel caso di urgente necessità in cui il provvedimento viene adottato con effetto immediato dal comandante del corpo, che dovrà comunque effettuare sollecitamente le predette comunicazioni (cfr. articolo 15, secondo e terzo comma, della legge n. 898 del 1976). Gli indennizzi per danni patrimoniali e pregiudizi economici dipendenti dalle esercitazioni sono richiesti dagli aventi diritto con istanza diretta al comandante militare, presentata presso il comune nel cui territorio sono situati i beni danneggiati o i fondi sgomberati. Il comune provvede quindi, entro il trentesimo giorno dalla presentazione delle domande, al loro inoltro


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presso l'ufficio tecnico militare competente (cfr. articolo 17, secondo, terzo, quarto e quinto comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 780 del 1979).

6. I contributi a favore delle regioni e dei comuni.

La legge n. 898 del 1976 e la legge n. 104 del 1990 hanno istituito contributi in favore dei comuni e delle regioni sul cui territorio insistono vincoli o si svolgono particolari attività militari.
Per quanto riguarda i comuni, sono previsti i contributi di seguito indicati.
Per i comuni il cui territorio è soggetto alle limitazioni imposte ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 898 del 1976 è previsto un contributo annuo pari al 50 per cento dell'ammontare complessivo degli indennizzi spettanti ai proprietari degli immobili siti nei comuni stessi. Il contributo, che viene erogato annualmente anche se i proprietari non hanno presentato domanda di indennizzo, è determinato in base alle limitazioni che gravano sul territorio comunale al 1o gennaio di ogni anno (cfr. articolo 9 della legge n. 898 del 1976).
Per i comuni sui quali insistono aree appartenenti allo Stato, in uso all'amministrazione militare e destinate a poligoni addestrativi di tiro, è corrisposto un contributo annuo rapportato al reddito dominicale ed agrario medio delle aree confinanti con quelle sui cui insistono i poligoni di tiro, rivalutati secondo i coefficienti stabiliti ai fini dell'imposizione sul reddito (cfr. articolo 4, comma 1, della legge n. 104 del 1990).
Infine, ai comuni con popolazione fino a 100.000 abitanti in cui esistano insediamenti militari (caserme, depositi, o altre infrastrutture militari), lo Stato corrisponde entrate ordinarie facendo riferimento, oltre che al numero di abitanti, anche a quello del personale militare presente, che viene quindi considerato, a tal fine, come popolazione residente. Uguale trattamento viene riservato ai comuni che ospitano basi della Nato o di Paesi alleati (cfr. articolo 4, comma 4, della legge n. 104 del 1990).
Per quanto concerne le regioni, si prevede che alle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attività militari, comprese la dimostrazione e la sperimentazione di sistemi d'arma, individuate ogni quinquennio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro della difesa, lo Stato corrisponda un contributo annuo da destinarsi alla realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali nei comuni nei quali le esigenze militari incidono maggiormente sull'uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale (cfr. articolo 4, comma 2, della legge n. 104 del 1990).
Per altro, poiché l'articolo 3, comma 1, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, ha trasferito alle regioni a statuto ordinario le funzioni statali di cui al citato articolo 4, comma 2, della legge n. 104 del 1990 ed ha soppresso il relativo contributo statale diretto attribuendo alle regioni stesse i finanziamenti sotto altra forma, ne è derivato che, a partire dal quinquennio 2000-2004, beneficiarie del contributo statale erogato attraverso DPCM sono risultate le sole regioni statuto speciale (cfr. DPCM 18 ottobre 2004).
Inoltre, sempre con riferimento alle regioni, si prevede che il Ministro della difesa riservi una quota delle forniture e delle lavorazioni richieste dalle esigenze dei reparti insediati nel territorio regionale, alle imprese commerciali industriali ed artigiane ivi ubicate, compresi eventuali loro consorzi provvisori. Il Ministro della difesa emana le conseguenti disposizioni attuative ed esercita il controllo necessario per assicurarne l'osservanza (cfr. articolo 5 della legge n. 104 del 1990).

7. Gli stanziamenti di bilancio destinati al pagamento di indennizzi e di contributi.

Le risorse destinate al pagamento degli indennizzi e dei contributi dianzi illustrati sono allocate nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa.
L'organismo che cura l'elaborazione di tale stato di previsione, sulla base delle direttive del Ministro della difesa, sia nella


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fase che precede l'approvazione parlamentare della legge di bilancio, sia nella fase successiva relativa alla ripartizione degli stanziamenti in capitoli, è rappresentato dall'ufficio centrale del bilancio e degli affari finanziari del Ministero della difesa (BILANDIFE). Tale ufficio, che opera alle dirette dipendenze del Ministro della difesa, si pone come necessario elemento di raccordo tra il dicastero della difesa e quello dell'economia e delle finanze, intrattenendo con quest'ultimo costanti rapporti istituzionali e di servizio.
Nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa gli stanziamenti connessi alle servitù militari sono iscritti nella medesima unità previsionale di base denominata appunto «servitù militari» che, ai fini dell'esame parlamentare del disegno di legge di bilancio, rappresenta un'unità di voto. Tale unità previsionale, che fa capo al Centro di responsabilità amministrativa denominato «Segretariato generale», viene gestita dalla Direzione generale dei lavori e del demanio e comprende due capitoli di spesa. Il primo è il capitolo 1349 denominato: «Indennizzi per imposizione di servitù militari ed altre spese accessorie». Con le disponibilità del capitolo sono finanziati: l'indennizzo annuo corrisposto a domanda ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni di cui all'articolo 2 della legge n. 898 del 1976; il contributo annuo spettante ai comuni il cui territorio è soggetto alle limitazioni imposte di cui al predetto articolo 2; l'indennizzo corrisposto per gli sgomberi e le occupazioni in caso di esercitazioni militari. Il secondo è il capitolo 1350 denominato «Contributi da corrispondere alle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attività militari, da destinarsi alla realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali nei comuni nei quali le esigenze militari incidono maggiormente sull'uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale. Contributi da corrispondere ai comuni nel cui territorio sono presenti aree appartenenti allo Stato in uso all'amministrazione militare e destinate a poligoni addestrativi di tiro». Con tale capitolo, come risulta dalla sua denominazione, sono finanziati: il contributo annuo corrisposto alle regioni a statuto speciale e i contributi da corrispondere direttamente ai comuni sui quali insistono aree appartenenti allo Stato e destinate a poligoni addestrativi di tiro.
Nell'anno 2007, la gestione di entrambi i capitoli, al pari dell'intero bilancio dello Stato è stata oggetto di particolari vincoli. Il primo è quello imposto dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, che impedisce di impegnare, nel primo semestre dell'anno, più del 50 per cento degli stanziamenti. Il secondo è il vincolo introdotto dall'articolo 1, comma 7, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), consistente nella possibilità di impegnare mese per mese fino a un dodicesimo delle risorse stanziate, da cui consegue l'impossibilità per l'amministrazione di procedere all'immediato impiego integrale delle risorse finanziarie.
Un ulteriore vincolo è quello derivante dall'articolo 1, comma 507, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che, per gli esercizi 2007, 2008 e 2009, ha accantonato e reso indisponibili, in maniera lineare una quota, pari rispettivamente a 4.572 milioni di euro, a 5.031 milioni di euro e a 4.922 milioni di euro, delle dotazioni delle unità previsionali di base iscritte nel bilancio dello Stato e classificate all'interno di alcune categorie economiche espressamente elencate dalla norma. Per quanto concerne le servitù militari, tale disposizione ha trovato applicazione soltanto rispetto al capitolo 1349, in quanto classificato nell'ambito di una delle categorie economiche interessate dall'accantonamento, ossia le «Altre uscite correnti», mentre il capitolo 1350, poiché classificato nell'ambito dei «Trasferimenti correnti alle pubbliche amministrazioni», non è stato oggetto di accantonamenti.
Per effetto dell'applicazione della citata disposizione, l'importo dello stanziamento iniziale iscritto sul capitolo 1349, pari a 16.010.000 euro, è stato reso indisponibile per 2.012.557 euro, con una disponibilità residua pari a 13.997.443 euro. Il capitolo


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1350, invece, ha mantenuto integro il suo stanziamento iniziale, pari a 5.320.000 euro.
Sostanzialmente, per l'esercizio finanziario 2007, le risorse complessive allocate all'unità previsionale di base «Servitù militari» sono risultate analoghe a quelle degli esercizi finanziari passati, fatta eccezione per il menzionato accantonamento sul capitolo 1349.
È evidente che i predetti vincoli finanziari unitamente al complesso iter amministrativo che conduce all'erogazione degli indennizzi e dei contributi e che presuppone, nel caso degli indennizzi ai proprietari, la previa presentazione di un istanza - nonostante i benefici siano quantificati sulla base di parametri che non lasciano margini di discrezionalità all'amministrazione - rappresentano fattori di rallentamento dell'azione amministrativa. Frequenti risultano pertanto i casi di ritardi nei pagamenti soprattutto nell'ipotesi di contributi quinquennali spettanti alle regioni a statuto speciale. Tali contributi scontano infatti sia il ritardo nell'adozione del D.P.C.M., che spesse volte avviene quasi allo scadere del quinquennio di riferimento, sia quello dell'assegnazione delle risorse da parte delle regioni ai comuni per la realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali.

8. La disciplina delle servitù militari connesse alle basi straniere.

In ordine alle infrastrutture e alle basi concesse in uso alle Forze armate di paesi stranieri, il Ministro della difesa ha richiamato il caso più ricorrente, ovvero quello degli Stati Uniti, la cui presenza trova fondamento nell'articolo 3 del Trattato del Nord Atlantico, che prevede la reciproca assistenza fra gli Stati membri allo scopo di conseguire con maggiore efficacia gli obiettivi dell'alleanza. Sulla base di questo fondamento, gli Stati Uniti d'America richiedono la possibilità di utilizzare basi sul territorio europeo per rendere più efficace la loro partecipazione all'alleanza, in considerazione della distanza del loro territorio nazionale dalle aree nelle quali si presume possano insorgere crisi o episodi di tensione.
Secondo il Ministro della difesa, gli accordi bilaterali stabiliscono in modo inequivocabile l'impegno del paese ospitato - nel caso di specie, gli Stati Uniti - ad utilizzare le basi esclusivamente per l'adempimento ed il conseguimento degli scopi dell'alleanza, e stabiliscono altresì la non extraterritorialità dei siti che rimangono sotto comando italiano. Un comandante italiano è infatti sempre presente nei siti dati in concessione.
Gli stessi principi valgono evidentemente per le infrastrutture utilizzate dagli altri paesi alleati dell'Italia che hanno forze sul nostro territorio in base ad accordi nell'ambito della NATO o dell'Unione europea. Similmente, anche l'Italia disloca permanentemente alcuni suoi reparti sul territorio dei paesi alleati, come ad esempio in Canada e negli Stati Uniti, zone nelle quali si conducono intense attività di volo addestrativo.
Un inquadramento giuridico della materia è stato fornito dal professor Sergio Marchisio, ordinario di diritto internazionale presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», che ha ricordato come nel diritto internazionale si sia affermato nel corso del tempo il principio secondo il quale il transito o il soggiorno di forze militari di uno Stato nel territorio di un altro Stato è subordinata al consenso dello Stato territoriale. In mancanza di tale consenso, infatti la presenza militare si porrebbe in contrasto con il principio di sovranità dello Stato territoriale e più in generale con il principio di autodeterminazione dei popoli riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite.
Nel momento in cui invece tale presenza risulti disciplinata da accordi accettati, stipulati e conclusi dallo Stato territoriale, si può escludere che ci siano delle limitazioni di sovranità, ma si può parlare piuttosto di limitazioni dell'azione sul piano politico a cui esso è sottoposto ossia di obblighi assunti che devono essere rispettati.


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Sulla base di tali accordi, solitamente, sono posti a disposizione dello Stato beneficiario installazioni, terreni, locali, rispetto ai quali, nel caso italiano, può assumere rilievo la disciplina interna relativa alle servitù militari, che rappresenta uno degli strumenti di cui si avvale l'amministrazione militare per eseguire tali accordi. Ciò significa che l'applicazione del diritto interno è in generale un problema che si genera «a cascata» per la necessità di eseguire accordi multilaterali o bilaterali sulle basi militari.
Per quanto riguarda il regime delle basi militari della NATO e di Paesi esteri in Italia, bisogna ricordare che, secondo la dottrina prevalente il fondamento delle installazioni NATO sul territorio nazionale deve farsi risalire non tanto all'articolo 3 del Trattato del Nord Atlantico, che prevede la reciproca assistenza fra gli Stati membri, quanto piuttosto nell'articolo 9, che attribuisce al Consiglio atlantico il potere di creare organi sussidiari che possono decidere, attraverso l'adozione di atti che non sempre assumono la forma di trattati, la dislocazione delle forze e delle infrastrutture sui territori degli Stati membri.
Nella prassi italiana gli accordi relativi all'uso di installazioni militari straniere, sono conclusi in forma semplificata, ossia sono stati redatti e conclusi al di fuori del procedimento previsto dalla Costituzione agli articoli 80 e 87, i quali impongono l'autorizzazione alla ratifica e la legge di esecuzione per i trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazione di leggi. Evidentemente, questi trattati non impongono modifiche di legge perché altrimenti, se le imponessero, in mancanza di una legge di esecuzione, sarebbero ineseguibili. Non a caso, l'unica materia che, con riferimento alle installazioni militari NATO, comporta modifiche di legge - cioè la materia delle immunità e del trattamento degli organi o delle Forze armate straniere - è scorporata in genere dagli accordi relativi a tali installazioni ed è contenuta nella Convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo statuto delle Forze che prevede il trattamento dei militari appartenenti ai Paesi della NATO nonché i regimi di esenzione dalla giurisdizione penale e civile dello Stato in cui essi si trovano, a favore dello Stato della bandiera, salvo rinuncia di quest'ultimo, che è stata ratificata ed eseguita dalla legge n. 1335 del 1955.
Nell'ambito del quadro giuridico definito dal Trattato NATO e degli atti ad essi connessi - come la citata Convenzione di Londra e il Protocollo di Parigi sui quartieri militari del 1961, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 2083 del 18 settembre 1962 - l'Italia ha stipulato, fin dagli anni Cinquanta, altri accordi con gli Stati Uniti, relativi all'uso di installazioni militari in Italia.
Il primo accordo è il cosiddetto BIA (Bilateral Infrastructure Agreement) del 1954, che è un accordo non passato al vaglio parlamentare, del cui contenuto si è quindi avuta notizia solo in alcune occasioni. Una di queste occasioni si presentò ad esempio nel 1986 quando il Ministro della difesa Spadolini, nel fornire informazioni al Senato, senza per altro rendere pubblico il testo dell'accordo, comunicava comunque quale fosse il regime giuridico delle basi USA in Italia. In tale quadro, si lasciava intendere che, nell'ambito dell'accordo BIA del 1954, sono poi stati stipulati a cascata alcuni protocolli specifici relativi alle singole installazioni che vengono definiti accordi tecnici.
Il citato accordo del 1954 è stato in qualche modo rivisto, o comunque integrato, dal memorandum di intesa tra il Ministero della difesa italiano e il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, relativo alle installazioni e infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia - noto anche come Shell agreement o accordo conchiglia - stipulato nel 1995 e reso noto alla magistratura in occasione dei tragici eventi del Cermis.
Si tratta di un accordo, per altro non particolarmente dettagliato e assimilabile ad un modello di accordo, che, nel porre alcuni princìpi generali di particolare importanza, quale ad esempio quello del comando italiano nelle basi, rinvia poi ad


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alcuni annessi tecnici circa le procedure di applicazione alle singole installazioni che non sono note.
Tutti questi accordi, dal punto di vista formale, evidentemente stabiliscono per quali scopi le installazioni possano essere utilizzate: solo per scopi NATO o per scopi concordati tra lo Stato beneficiario e lo Stato territoriale. Una controversia tra l'Italia e gli Stati Uniti sull'uso della base di Sigonella si ebbe nel 1985, all'epoca del Governo Craxi, in occasione del dirottamento di un aereo dello Stato egiziano che portava uno degli uomini accusati del sequestro dell'Achille Lauro.
L'Italia non è l'unico paese che ha basi militari NATO sul suo territorio; ve ne sono altri, soprattutto nel Mediterraneo, come la Grecia, la Spagna, la Turchia.
La differenza tra l'Italia e tali Paesi sta nel fatto che questi ultimi, negli anni ottanta, per altro in concomitanza con un cambiamento di regime interno, hanno provveduto a un'ampia revisione pattizia del regime delle basi militari straniere presenti sul territorio nazionale, mediante la stipula di accordi quadro - approvati dal Parlamento e in quanto tali resi pubblici - che, regolando gli aspetti più significativi dell'uso delle basi, hanno assicurato una certa trasparenza a tutta la materia. Ciò che è mancata finora in Italia è invece proprio la stipula di un analogo accordo che, senza entrare nei dettagli tecnici circa l'uso delle installazioni e seguendo le vie formali della legge di autorizzazione e della legge di esecuzione, abbia assicurato un chiaro piano legislativo di riferimento.

Parte II
Le installazioni militari: le esigenze della difesa e le implicazioni socio-economiche

1. Il censimento delle strutture esistenti.

Il mutato quadro strategico degli ultimi anni e l'evoluzione dell'organizzazione delle Forze armate costituiscono le due coordinate principali in cui collocare il consistente ridimensionamento dello strumento militare, sceso dai 330 mila effettivi del 2000, ai circa 190 mila di oggi. Questo ridimensionamento ha determinato un'oggettiva sottoutilizzazione di diverse strutture, suggerendo l'opportunità di un ripensamento della dislocazione installazioni militari sul territorio nazionale e dei vincoli ad esse connessi.
Nell'ambito della generale revisione dello strumento militare, il Ministero della difesa ha così avviato un censimento delle strutture e del loro attuale utilizzo, ai fini di un'adeguata redistribuzione delle forze nell'attuale scenario strategico e situazione territoriale, in particolare per cercare di apportare correttivi in quei casi in cui il peso delle attività militari risulti eccessivamente concentrato su alcuni territori.
Stando ai primi dati del censimento in atto è emerso che, dal punto di vista della superficie complessiva, il demanio militare occupa lo 0,261 per cento del territorio nazionale, pari a 783 chilometri quadrati, su un totale di 300.492. Per quanto riguarda le singole regioni, il Friuli-Venezia Giulia, con l'1,3 per cento del rispettivo territorio, e la Sardegna, con lo 0,958 per cento di spazio del territorio di proprietà demaniale, sono le regioni maggiormente interessate dalla presenza militare. Seguono, ad una certa distanza, Lazio e Puglia, mentre tutte le altre regioni appaiono interessate attorno o molto al di sotto della media nazionale.
Per quanto riguarda le servitù militari - ossia i territori estranei al demanio militare, ma gravati da limitazioni alla libera fruizione - esse occupano in media lo 0,15 per cento del territorio nazionale. In questo caso, la Sardegna è gravata molto più della media, con uno 0,65 per cento di territorio interessato, seguita a distanza dal Friuli-Venezia Giulia con lo 0,365 per cento. Evidentemente, tali percentuali cambiano laddove si assuma come parametro di riferimento la densità abitativa di ciascuna realtà geografica.
Sono evidenti le cause storiche e geografiche di questa incidenza: per il Friuli-Venezia Giulia, il massiccio schieramento


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a nord-est del periodo della guerra fredda e della prima guerra mondiale; per la Sardegna, la vastità delle aree addestrative in zone poco abitate.
Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, il Ministro della difesa ha affermato che il processo di riequilibrio è già iniziato, per il mutato quadro strategico ed il progressivo abbandono di molte strutture, già inserite negli elenchi di dismissione. Per quanto concerne la Sardegna, invece, è in corso un confronto tra il Governo e la regione per limitare le situazioni di disagio. In tale quadro, si collocano il già definito rilascio della base della Maddalena da parte della Marina statunitense, nonché un primo elenco di beni da trasferire alla regione, in ordine al quale si è recentemente conclusa l'istruttoria di approfondimento congiunto e si è giunti alla stipula di due protocolli di intesa, come meglio si vedrà in seguito.
Sulla base di tali elementi, l'indagine conoscitiva si è maggiormente sviluppata su alcune regioni, ed in particolare sulla Sardegna, ove una delegazione della Commissione ha anche svolto una specifica missione.

1.1 Poligoni ed aree addestrative.

Tra «poligoni» e «aree addestrative» sussiste una differenza sostanziale, in quanto, pur essendo entrambe le aree di estensione variabile e normalmente sgombre da insediamenti umani, nei poligoni le caratteristiche dell'area consentono lo svolgimento di esercitazioni a fuoco, in bianco o con munizionamento inerte, mentre nelle aree addestrative, invece, è possibile lo svolgimento delle sole attività non a fuoco.
In funzione della disponibilità temporale, i poligoni e le aree addestrative si distinguono in permanenti, semipermanenti e occasionali. I poligoni e le aree addestrative, normalmente di proprietà demaniale, sono sempre disponibili ed utilizzati con continuità. Quelli semipermanenti possono essere sia demaniali sia privati e l'attività che in essi si svolge è soggetta a vincoli stagionali e periodici per consentire lo svolgimento anche di attività extramilitari. I poligoni e le aree addestrative occasionali, infine, non appartengono al demanio militare e sono utilizzabili in accordo con le amministrazioni locali e con i legittimi proprietari per esigenze contingenti delle unità militari che stanziano nella zona.
I poligoni, a seconda delle modalità esecutive con cui si possono svolgere le esercitazioni a fuoco, si distinguono in poligoni aperti e chiusi. Quelli aperti sono costituti da aree in cui l'attività viene condotta all'aperto e non vi sono particolari limitazioni sia per le traiettorie sia per i rimbalzi del munizionamento impiegato. I poligoni chiusi, invece, sono costituiti da aree su cui esiste una struttura opportunamente organizzata per la condotta di esercitazioni a fuoco in assoluta sicurezza. A loro volta, questi ultimi possono essere suddivisi in poligoni a cielo chiuso e a cielo aperto. Nei poligoni a cielo chiuso (detti poligoni in galleria) la sicurezza è garantita dalla totale chiusura dell'impianto di tiro; nei poligoni a cielo aperto, invece, la sicurezza è garantita da una chiusura perimetrale e da opportune strutture volte ad intercettare i possibili rimbalzi delle traiettorie durante le esercitazioni.
Al momento, l'amministrazione della difesa dispone solo di 11 poligoni in galleria attivi, in quanto la realizzazione di tali infrastrutture, con caratteristiche di assoluta sicurezza, richiede l'impiego di risorse finanziarie significative (nell'ordine di 6-8 milioni di euro ciascuna) e non facilmente reperibili nell'ambito del bilancio ordinario disponibile.
Le attività normalmente effettuate in poligoni ed aree addestrative riguardano l'intera gamma di qualificazione e specializzazione del singolo militare, che avviene, sia mediante l'addestramento al tiro con armamento individuale di reparto, compreso il lancio di bombe a mano e l'impiego di esplosivi, sia attraverso lezioni di tiro con sistemi d'arma più complessi ad alto contenuto tecnologico, che presuppongono un addestramento di base particolarmente


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accurato. È il caso dei mortai, delle artiglierie, dei sistemi controcarro e contraerei, dei tiri contro-costa, nonché di quelli che prevedono l'impiego di missili aria-aria e aria-superficie.
In tali poligoni e aree addestrative si esercitano le unità operative, dal livello minimo di squadra ed equipaggio fino a quello decisamente più complesso di gruppo tattico (800/900 militari) - che rappresenta l'unità di impiego minimo per le operazioni fuori area - anche attraverso esercitazioni interforze e multinazionali e in contesti quanto più possibile realistici e aderenti agli scenari operativi.
Altre attività che vengono condotte nei poligoni e nelle aree addestrative della Difesa concernono: l'addestramento e le esercitazioni condotte da unità appartenenti a corpi armati dello Stato; le attività addestrative svolte da reparti appartenenti a paesi alleati nel quadro di accordi bilaterali e multinazionali stipulati dall'Italia; la sperimentazione ed il collaudo di prototipi e sistemi d'arma di possibile nuova introduzione in servizio, in cooperazione con le industrie e gli enti appartenenti al settore dell'elettronica e a quello aerospaziale.
L'attuale disponibilità di poligoni ed aree addestrative va valutata non solo dal solo punto di vista quantitativo, ma anche attraverso un attento esame qualitativo, atteso che in molti casi si tratta di porzioni territoriali limitate a pochi ettari, che pertanto non consentono l'esecuzione dell'intera gamma delle esigenze addestrative: solo poco più del 50 per cento è infatti classificabile come poligoni, cioè come aree idonee allo svolgimento di attività addestrative a fuoco; anche gli stessi poligoni di tiro, per altro, presentano caratteristiche diverse, notevoli limitazioni e vincoli che, di fatto, riducono ulteriormente le possibilità di condurre esercitazioni complete ed efficaci.

1.2. Le principali installazioni militari.

Il poligono per eccellenza, che consente più di altri di svolgere attività addestrative interforze e multinazionali sufficientemente realistiche e di livello ordinativo significativo, anche ai fini del successivo impiego delle Forze armate nei vari teatri operativi dell'estero, è quello di Capo Teulada, in Sardegna; altri poligoni, parimenti importanti ai fini delle esigenze addestrative complessive, in quanto integrativi dell'attività che si svolge a Teulada, sono quelli di Capo Frasca e di Salto di Quirra, anch'essi in Sardegna, di Tor di Nebbia in Puglia, di Monteromano nel Lazio e del Cellina-Meduna in Friuli-Venezia Giulia. Quest'ultimo poligono, peraltro, ha perso col tempo l'iniziale valenza addestrativa per i successivi ridimensionamenti operati, soprattutto a causa della progressiva e massiccia urbanizzazione sviluppatasi nelle zone adiacenti.
Il poligono di Capo Frasca, situato in provincia di Oristano in Sardegna è di tipo permanente e occupa un'area di 14 chilometri quadrati, dove avvengono tiri aria/superficie con munizionamento inerte, tiri aria/aria e da combattimento aereo non con munizionamento reale. Il livello delle unità esercitate si divide in unità aeree NATO e nazionali. La base logistica per il poligono di Capo Frasca e per le unità che in esso si addestrano è dislocata a Decimomannu.
Il poligono interforze di Salto di Quirra, che si trova in località Perdasdefogu, sempre in Sardegna, è di tipo permanente e si sviluppa su una superficie di circa 11,6 chilometri quadrati a terra, a cui vanno aggiunte 9.946 miglia quadrate a mare. Nel poligono si svolgono le seguenti attività: addestramento di unità nazionali ed estere, collaudi di prototipi di missili e bersagli, prove di qualità in cooperazione con industrie ed enti nel settore dell'elettronica aerospaziale, attività legate alla ricerca scientifica, collaudo e sperimentazione del munizionamento navale e terrestre a media e lunga gittata e sperimentazione di sistemi missilistici.
Il poligono di Tor di Nebbia, situato in Puglia, in provincia di Bari, è invece un poligono occasionale, quindi non è un'area demaniale, e per utilizzarlo la Difesa corrisponde indennizzi. Ha un'estensione di


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90 chilometri quadrati, su cui si svolgono: lezioni di tiro con armi individuali e di reparto; tiri di armamento principale per i mezzi corazzati e blindati e la scuola tiro anche di artiglieria terrestre fino a 155 millimetri di calibro. L'unità esercitatile è quella a livello compagnia, quindi al di sotto degli standard richiesti.
Il poligono di Monte Romano, situato nel Lazio, in provincia di Viterbo, copre un'area di 46 chilometri quadrati. È un poligono permanente in cui si svolgono: lezioni di tiro con armi individuali e di reparto; tiri con armamento principale per i mezzi corazzati e blindati; scuola di tiro per mortai e artiglieria terrestre; maneggio e impiego di esplosivi. In questo poligono è inoltre possibile esercitare livelli di unità a livello complesso minore, a fuoco, e gruppo tattico, e a livello battaglione; ma si tratta di attività in bianco.
Il poligono del Cellina-Meduna è un poligono permanente, situato nel Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Pordenone, che sta per essere declassato ad area addestrativi, in quanto non sarà più utilizzabile per effettuare attività a fuoco. La superficie coperta da questo poligono è di circa 18,67 chilometri quadrati. Allo stato sono possibili lezioni di tiro con armi individuali e di reparto, tiri con armamento principale di mezzi corazzati e blindati, ma soltanto da postazioni prestabilite e con munizionamento a rimbalzo limitato. È possibile addestrare in tale poligono unità a livello di plotone a fuoco e di gruppo tattico in bianco.
Il poligono di Capo Teulada, situato sul promontorio più a Sud della Sardegna, è un poligono permanente di 72 chilometri quadrati, a cui si aggiungono 58 chilometri quadrati di area a mare permanentemente interdetta, nonché altri 90 chilometri quadrati utilizzabili nel corso delle operazioni a fuoco che si svolgono nel poligono. In funzione del tipo di esercitazione, l'ampiezza massima dell'area a mare interdetta può giungere fino a 1.300 chilometri quadrati. Quest'ultimo caso si presenta nell'ipotesi di esercitazioni di unità navali, peraltro poco frequenti nel corso dell'anno, che hanno una durata di regola non superiore alla settimana. Si tratta dell'unico poligono che consente di svolgere esercitazioni che coinvolgono l'unità minima di impiego per il fuori area.
Pur non rientrando nella categoria dei poligoni, appare opportuno in questa sede fare menzione del sito della Maddalena, in cui permangono, attualmente, l'arsenale e le scuole dei sottufficiali della Marina militare.
Quanto all'arsenale, poiché la Marina non ne riscontra più alcuna utilità, esso è stato trasferito nel corpo degli stabilimenti gestiti dall'Agenzia industria e difesa, impegnata a cercare soluzioni che salvaguardino i livelli occupazionali del personale ivi impiegato. Le scuole dei sottufficiali della Marina rappresentano invece un centro di formazione importante, che impiega personale civile locale, anche docente.
Sull'isola di Santo Stefano, inoltre, si trova un'area demaniale della Marina piuttosto estesa, su cui insistono da molti anni un deposito di combustibili, dichiarato dismissibile dalla Marina, la cui bonifica comporta oneri per circa 500.000 euro, e la base USA. In base agli accordi esistenti, le spese di funzionamento e la responsabilità della base data in concessione agli Stati Uniti rimangono a carico dello user, ossia degli Stati Uniti.
La base americana, che dovrebbe essere rilasciata entro il 2008, è costituita da una struttura a terra, sulla quale si appoggia una grande nave officina per la manutenzione dei sommergibili, che la Marina militare, stando alle dichiarazione del Capo di Stato maggiore della Marina, non è interessata ad acquisire.
Sempre sull'isola di Santo Stefano, si trova il deposito munizioni di Guardia del Moro, tuttora indispensabile alla forza navale, che comporta l'imposizione di un'annessa servitù militare, come meglio si vedrà in seguito.

2. Le esigenze dell'Esercito.

Nel corso dell'audizione del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, è emersa con chiarezza la relazione tra il fabbisogno di


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addestramento delle Forze armate, in particolare dell'Esercito, e l'utilizzo dei poligoni. Premesso che la prontezza operativa, la protezione delle forze e l'efficacia di intervento sono i tre parametri fondamentali che determinano la capacità operativa complessiva dello strumento militare, il conseguimento del necessario livello di efficacia richiede una programmazione capillare, oculata e continua delle risorse e delle attività, soprattutto nella fase di «approntamento» delle forze.
L'addestramento del singolo e delle unità si sviluppa in fasi diverse, che partono dalla formazione individuale (iniziale, o di base), continua con la formazione specializzata, per completarsi con le esercitazioni di reparto.
Ciò presuppone l'imprescindibile esigenza di disporre di aree addestrative e di poligoni adeguati, in cui sviluppare le correlate attività di approntamento. Si tratta di siti molto variabili e differenziati in termini di configurazione, estensione e caratteristiche: si passa da aree di poche decine di metri quadrati, ad estensioni più vaste, quali quelle dei poligoni di più grande rilevanza. Le aree sono inoltre variabili anche in funzione della tipologia delle attività da condurre, nonché del livello quantitativo del personale interessato: l'addestramento individuale al tiro con armi portatili postula la disponibilità di aree piuttosto limitate, mentre le esercitazioni «in bianco» ed a fuoco delle minori unità, fino a quelle che comportano un impiego di sistemi d'arma più sofisticati e di complessi di forza di livello ipotizzabile negli attuali interventi oltre confine, richiedono la disponibilità di aree estese ed adeguatamente attrezzate.
In tale contesto, l'esercito utilizza attualmente, su tutto il territorio nazionale, 32 aree addestrative, nelle quali si sviluppa attività «in bianco», più 107 poligoni, di cui 15 in galleria, realizzati all'interno di infrastrutture militari e che non comportano, quindi, gravami di servitù militari.
Il numero elevato di queste infrastrutture è riconducibile all'esigenza di disporre di aree limitrofe ai reparti utilizzatori, fattore determinante che incide notevolmente sui costi dell'addestramento.
Tuttavia, non tutti i poligoni e le aree addestrative consentono indistintamente la condotta delle molteplici attività addestrative della forza armata. Tra quelli che assumono particolare rilevanza emerge il poligono di Capo Teulada, l'unico, sul territorio nazionale, che consente all'Esercito l'approntamento unitario e l'amalgama di complessi di forze di entità assimilabile a quelli che vengono normalmente schierati negli attuali scenari di operazioni oltre confine, ovvero il gruppo tattico.
Capo Teulada, inoltre, è il solo poligono che consente lo svolgimento di esercitazioni interforze, condotte cioè in cooperazione tra truppe di terra, forze aero-tattiche e unità navali, ed è l'unico in grado di ospitare attività addestrative cosiddette «combined», cioè condotte in collaborazione con forze di altri paesi alleati.

3. Le esigenze della Marina militare.

Su tutto il territorio nazionale le servitù relative alla Marina si attestano su una superficie complessiva di circa 8 mila ettari: tale estensione, nell'ultimo quinquennio, ha subito una riduzione del 13 per cento circa, pari al 18 per cento del totale delle servitù militari. La Sardegna registra la maggiore incidenza (47 per cento), seguita dalla Sicilia e dal Lazio (rispettivamente con il 21 e il 12 per cento).
Per la Marina Militare, l'imposizione delle servitù afferisce ad un'ampia tipologia di opere e di installazioni militari, che include sia strutture che forniscono servizi di pubblica utilità, sia strutture facenti parte del dispositivo integrato di sorveglianza nazionale, o a diretto supporto dello strumento operativo. Nel primo caso rientrano i fari ed i segnalamenti marittimi, mentre ricadono nella seconda tipologia, rispettivamente, le stazioni radar della rete costiera ed il complesso di opere destinate a garantire alla forza armata - e in particolare alle forze aeronavali - le


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capacità di rifornimento, comando e controllo. Si tratta, nell'ordine, dei depositi combustibili e di munizionamento, e delle stazioni di telecomunicazioni medio e radiogoniometriche.
Per quanto riguarda i segnalamenti marittimi, l'implementazione, dagli anni Novanta, del sistema di telecontrollo dei principali segnalamenti - allo stato attuale, installato sui segnalamenti delle giurisdizioni di Taranto, La Spezia, Sardegna e Sicilia - ha consentito di ridurre a 64 i segnalamenti presidiati. Per dette strutture, finalizzate a garantire la sicurezza della navigazione, le servitù imposte attengono generalmente al divieto di realizzare costruzioni od ostacoli nel settore di visibilità del segnalamento, nonché di installare sorgenti luminose che possano arrecare pregiudizi per il riconoscimento del segnalamento dal mare: trattasi quindi, come immaginabile, di servitù che hanno un impatto ambientale assolutamente minimo.
Per quanto concerne il dispositivo integrato di sorveglianza, si può affermare che fra le primarie funzioni della Marina, c'è la sorveglianza degli spazi marittimi di interesse nazionale, che viene realizzata attraverso l'integrazione delle capacità operative dello strumento aeronavale e delle capacità di rilevamento della rete radar costiera, che si basa su 11 stazioni costiere operative. La quasi totalità di queste ultime è ospitata in siti demaniali le cui caratteristiche di dimensione e dislocazione sul litorale costiero ne consentono l'impiego senza necessità di ricorrere ad imposizione di servitù. Fa eccezione la stazione di Cozzo Spadaro in Sicilia, nei comuni di Portopalo di Capo Passero e Pachino, per la quale il ricorso alla servitù ha il duplice obiettivo di salvaguardare la salute dei cittadini, residenti nelle aree limitrofe, dalle emissioni elettromagnetiche e, nel contempo, garantire la corretta funzionalità dei sensori, evitando fonti di disturbo, ostacoli o interferenze con le strutture di sostegno dell'antenna radar.
Con riferimento alle strutture destinate al supporto diretto dello strumento aeronavale, una attenzione particolare meritano i depositi combustibili e di munizionamento, la cui peculiarità impone non solo specifici accorgimenti tecnici infrastrutturali, ma anche funzionali e gestionali. L'ubicazione di tali strutture è determinata in funzione della loro vicinanza alle principali basi navali e di supporto dove il complesso delle forze operative è dislocato. Secondo il Capo di Stato Maggiore della Marina, la ricerca di un'eventuale loro diversa ubicazione, per affrancarle da servitù, potrebbe avere pesanti riflessi in termini di prontezza sull'operatività delle forze. In aggiunta a ciò, gli oneri finanziari da sostenere per la loro ricollocazione non sarebbero affatto irrilevanti.
Attualmente, sono 12 i depositi munizioni della Forza armata che richiedono l'imposizione di servitù. Tra questi, una menzione particolare spetta al deposito munizioni di Guardia del Moro. Il comprensorio, ubicato nella zona sud-orientale dell'isola di Santo Stefano nell'arcipelago della Maddalena, occupa un'area di circa 17,6 ettari e si articola in tre settori, ove si trovano le sistemazioni logistiche per il personale - uffici e alloggi -, le opere a mare per l'ormeggio dei mezzi navali e il traffico dei materiali, le officine, i magazzini, un eliporto e le opere sotterranee per la conservazione del munizionamento. Il valore strategico del deposito per la Forza armata risiede nel fatto che esso è l'unico, tra tutti quelli in uso, in grado di rispondere pienamente a tutti i requisiti operativi logistici. Esso è infatti ubicato in un comprensorio militare con banchina di accesso al mare, che consente l'ormeggio di unità navali per il rifornimento diretto, evitando, quindi, ogni attività di trasferimento del materiale sulla viabilità ordinaria, che comporterebbe la necessità di approntare scorte armate a causa dei rischi connessi all'attraversamento di centri urbani e industriali e ad un'eventuale azione esterna. È dotato di piazzola per operazioni di elicotteri ed è in sede protetta, rappresentando, quindi, un deposito alternativo a quelli di La Spezia e di Taranto, che l'ubicazione all'aperto rende obiettivi altamente vulnerabili. È inoltre


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dotato di una moderna struttura idonea alla manutenzione e alla verifica delle mine ivi depositate. Nella struttura sono inoltre depositati missili di prossima emissione in linea, mentre i depositi di La Spezia sono utilizzati solamente per lo stoccaggio temporaneo di missili da revisionare o mantenere. La servitù militare coinvolge terreni di proprietà privata, appartenenti ad un unico proprietario, al quale viene corrisposto un indennizzo, stimato - per il quinquennio 2007-2012 - in circa 893 mila euro, mentre il contributo attribuito al comune della Maddalena è stimato in circa 446 mila euro.
Per quanto riguarda le esigenze addestrative della Forza armata, fermo restando che qualsiasi specchio d'acqua può essere destinato a scopi formativi primari, l'addestramento specialistico alle varie forme di interazione - aerea, di superficie e subacquea - viene invece condotto nell'ambito di esercitazioni complesse, nazionali o alleate, svolte, sia in mare aperto, sia in aree dedicate e delimitate, in cui è possibile effettuare anche attività «a caldo», impiegando munizionamento da esercizio. Si tratta di aree normalmente non attive, ovvero libere al transito del traffico mercantile e allo svolgimento di attività commerciali quali la pesca. Nel caso di esercitazioni navali, tali aree vengono interdette alla navigazione per il periodo strettamente necessario, con ordinanze delle capitanerie di porto competenti per territorio, dandone, altresì, diffusione al più ampio bacino di utenti marittimi attraverso gli «avvisi ai naviganti», emessi con congruo anticipo dall'Istituto idrografico della Marina.
Del tutto particolare è, invece, l'addestramento a caldo, al tiro contro costa e al lancio missilistico, che impone la disponibilità di aree caratterizzate da vincoli imprescindibili, per garantire la sicurezza dell'ambiente in cui esso viene condotto e dello spazio ad esso circostante. Tale l'attività può essere svolta solo in aree idonee di appropriata estensione, come il poligono di Salto di Quirra, che, grazie alla sua estensione e alla sua collocazione strategica, alla presenza di un'idonea campana di sgombero a mare e nello spazio aereo sovrastante, consente alla Marina una vasta tipologia di attività «a caldo», che non possono essere svolte in alcuna altra area nazionale, come i lanci missilistici effettuati dalle unità navali contro bersagli aerei e di superficie, e la sperimentazione del munizionamento navale. Il poligono, inoltre, è occasionalmente impiegato anche per l'attività della forza da sbarco e, in particolare, dagli elicotteri del reparto eli-assalto.
L'utilizzo della struttura varia tra i 10 o 15 giorni all'anno, per lanci missilistici - sia addestrativi sia sperimentali - e ammonta a circa 20 giorni per l'attività degli elicotteri della forza anfibia.
Per quanto riguarda l'addestramento della componente anfibia, la Marina dispone di due sole aree, di limitata estensione: le isole Cheradi, nel golfo di Taranto - circa 500 ettari - e Torre Cavallo, Isola Pedagne - circa 13 ettari - nei pressi di Brindisi, per condurre un basilare addestramento in bianco alle operazioni di sbarco, limitato a poche unità. Tali strutture, essendo ubicate in demanio militare, non comportano alcuna imposizione di servitù. Dimensione diversa assume, invece, l'addestramento della componente anfibia nel suo complesso, in quanto implica l'impiego di sistemi d'arma in dotazione e coinvolge livelli di forza più consistenti, numericamente paragonabili a quelli impiegati nell'attuale contesto degli interventi fuori area. Tale attività, operativamente più significativa, viene condotta nei poligoni di pertinenza di altre Forze armate, in particolare in quello di Capo Teulada. Solo tale poligono consente di effettuare il completo addestramento di una forza da sbarco numericamente consistente (500 unità) nelle sue varie componenti.
Per tali esigenze addestrative, secondo la Marina tale poligono non ha accettabili alternative né in campo nazionale né nell'area del Mediterraneo né nel nord europea. Inoltre, è il solo poligono che consente un addestramento interforze e combined, ovvero con partners di altri paesi alleati, requisito di primaria importanza


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alla luce della partecipazione italiana ad operazioni reali che hanno sempre più spesso caratterizzazione multinazionale. Tale impiego si concretizza in circa 7-10 giorni all'anno, per l'attività «a caldo» di tiri contro costa delle unità navali, e di circa 10-14 giorni all'anno per l'attività della componente anfibia, attività spesso concomitante con la precedente. In sintesi, si tratta di un utilizzo temporale del poligono assolutamente minimale da parte della Forza armata, che ha già registrato - dal 2004 ad oggi - una riduzione del 45 per cento dei giorni di utilizzo richiesti: 21 giorni nel 2006, ma solo cinque assegnati, a fronte dei 31 giorni del 2004 e 17 assegnati.

4. Le esigenze dell'Aeronautica militare.

La presenza dell'Aeronautica militare sul territorio nazionale è destinata ad un progressivo ridimensionamento, a partire dal cambio di status, da militare a civile, di 15 aeroporti, previsto dal protocollo d'intesa sottoscritto il 14 ottobre 2004 fra i Ministri della difesa, dei trasporti e dell'economia.
Le servitù connesse alle attività dell'Aeronautica riguardano, oltre ad alcuni scali aeroportuali (che comportano anche vincoli alla proprietà privata imposti ai fini della tutela della sicurezza del volo e a salvaguardia dell'incolumità pubblica), depositi carburanti e munizioni, nonché impianti per le telecomunicazioni, l'assistenza al volo e la difesa aerea.
Anche per l'Aeronautica è inderogabile la necessità di disporre di adeguati spazi per l'addestramento in tutte le funzioni che lo strumento aereo assolve nell'ambito di una forza di difesa armonica e bilanciata. Attualmente, l'Aeronautica militare addestra i propri piloti per l'attività di tiro aria/superficie presso i poligoni della Sardegna (Capo Frasca, Salto di Quirra e Capo Teulada) ed in minima parte presso il poligono di Punta della Contessa (località Cefalo Nuovo-Brindisi), mentre per l'addestramento al tiro aria/aria, sempre in Sardegna, si utilizzano il poligono a mare di Capo S. Lorenzo e le aree addestrative poste sul mare ad ovest di Decimomannu.
Il poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra (PISQ) soddisfa le esigenze di sperimentazione, a terra ed in volo, di sistemi d'arma complessi, di addestramento all'impiego di ogni tipologia di armamento per l'uso aereo, navale e terrestre a carattere interforze, nonché di sviluppo di tecnologie e materiali in campo militare ed industriale.
In tale poligono è impiegato sia personale militare proveniente dall'Aeronautica, dalla Marina e dall'Esercito, sia personale civile, in parte dipendenti della Difesa, in parte di società, in virtù dei contratti di manutenzione e conduzione operativa stipulati da queste ultime con l'amministrazione. In totale, risultano impiegate circa 900 unità, di cui una larga parte residente nei comuni circostanti con famiglie al seguito.
Il Poligono di Salto di Quirra rappresenta, a giudizio dell'Aeronautica, l'unico poligono sperimentale italiano interforze per attività di prova e addestramento con sistemi d'arma di media e lunga gittata, nonché unica area nazionale per addestramento in attività di «guida laser», da velivolo e da terra, e di guerra elettronica, con simulazione di scenari tattici.
Le elevate potenzialità delle strutture militari della Sardegna per l'addestramento operativo delle Forze aeree sono infine da tempo oggetto d'interesse di vari paesi alleati, in particolare la Francia (disposta ad offrire ed integrare le strutture della Corsica) e la Germania (alla costante ricerca di attività finalizzate ad ottimizzare gli oltre 13 milioni di euro che annualmente versa all'Italia per l'impiego della base di Decimomannu). Al riguardo, il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica ha ricordato il progressivo abbandono di Decimomannu da parte degli USA e del Regno Unito, unitamente alla riduzione dei reparti di volo di Germania e Italia, che hanno comportato un decremento d'impiego delle strutture operative e logistiche della base: dal 90 per cento stimabile


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negli anni Ottanta fino all'attuale 20 per cento circa. A suo avviso, l'eventuale abbandono di Decimomannu da parte della Germania determinerebbe un livello di sottoimpiego tale da rendere inevitabile la riduzione e soppressione di enti, con la conseguente movimentazione sul continente del personale ivi impiegato.
Secondo il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, il poligono di Perdasdefogu è una realtà non solo condivisa dalle comunità locali, ma anche importante rispetto alla programmazione e all'innovazione tecnologica, che può fornire occasioni di crescita all'economia locale.

5. Le possibili alternative: i poligoni esteri e la simulazione.

Nel corso delle audizioni dei vertici militari, è emerso che le esigenze addestrative complessive delle unità della Difesa vengono soddisfatte anche attraverso l'utilizzazione di poligoni esteri e mediante il ricorso sempre più significativo alla simulazione.
Per quanto riguarda i poligoni esteri, negli ultimi anni sono stati utilizzati dalla Difesa siti ubicati principalmente in Polonia, Giordania, Tunisia, Ungheria, Egitto, Romania, Bulgaria.
Il costo di impiego di tali strutture è decisamente superiore a parità di unità esercitate rispetto a quelle italiane. A titolo esemplificativo, a fronte di un onere di 2,5 milioni di euro necessario per sostenere l'addestramento in Italia di una brigata pesante costituita da 800 uomini per 25 giornate, a parità di entità di forze e di durata dell'attività, l'impegno di risorse finanziarie sarebbe pari a 5,5 milioni di euro per il poligono Drawsko in Polonia, a 4,5 milioni di euro per quello di El Ammam in Egitto, a 4 milioni di euro per il poligono Smardan in Romania.
L'utilizzo massiccio di poligoni esteri, anche qualora fosse economicamente sostenibile, potrebbe comportare una dipendenza totale, in termini di approntamento delle Forze armate italiane, dalla disponibilità dei paesi esteri a fornire le proprie sedi addestrative, in funzione della loro condivisione o meno delle scelte di politica estera italiane. Inoltre, gli eventi addestrativi maturati sino ad ora con altri paesi (Giordania, Egitto, Tunisia, Polonia e Romania) sono stati occasionali e per lo più inquadrati nell'ambito di esercitazioni bilaterali o multilaterali; le attività attualmente programmate presso altri poligoni all'estero con carattere di periodicità regolare riguardano esclusivamente l'addestramento alla cosiddetta guerra elettronica (effettuazione di manovre allo scopo di eludere la sorveglianza di altri sistemi di difesa che non includono alcuna attività di tiro).
In ordine alla simulazione, il ricorso a tale forma di addestramento è in fase di sviluppo, e la Difesa dispone ormai di numerosi apparati per l'addestramento individuale. Ulteriori iniziative sono in corso per potenziare il settore mediante l'eventuale attivazione, ancora allo studio, di un centro di addestramento e valutazione al combattimento da installare presso il poligono di Capo Teulada, che potrebbe consentire una significativa riduzione delle attività ivi eseguite.
La simulazione tuttavia, pur rappresentando un fattore incrementale nell'ambito dell'esigenza addestrativa generale, è da ritenere integrativa e non sostitutiva dell'attività - specie a fuoco - ora condotta, che rimane comunque altamente necessaria e insostituibile per addestrare efficacemente il personale.

6. Le implicazioni di carattere sanitario.

Le principali preoccupazioni di ordine sanitario sono legate all'eventuale utilizzo all'interno dei poligoni di munizionamento non convenzionale e, in particolare, di uranio impoverito.
A questo riguardo, il vice capo del IV reparto dello Stato Maggiore della Difesa ha affermato, in primo luogo, che la Difesa italiana non ha fino ad oggi utilizzato né utilizzerà in futuro questo tipo di munizionamento di cui non vi è traccia in


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alcuno dei depositi delle Forze armate, che per altro sono aperti a qualsiasi tipo di ispezione.
Per quanto riguarda l'uso dei poligoni italiani da parte dei paesi alleati, il vice capo del IV reparto ha sottolineato come presso i poligoni italiani esistano regolamenti ai quali i paesi esteri si devono attenere a seguito degli accordi bilaterali stipulati, che prevedono la sottoscrizione di dichiarazioni puntuali con le quali si assicura l'utilizzo del solo munizionamento convenzionale. In seguito a controlli effettuati è tuttavia risultato che in alcuni casi qualche avente diritto abbia tralasciato di presentare tali dichiarazioni. Le Forze armate sono quindi impegnate nella messa a punto di opportuni correttivi che garantiscano un controllo totale, che assicuri con certezza l'utilizzo esclusivo di munizionamento convenzionale anche da parte dei paesi alleati concessionari dell'uso dei poligoni.
Dai rilevamenti ambientali condotti dal Ministero della difesa, in collaborazione anche con le ASL regionali, i campioni di acqua, di terreno e di componenti dell'aria prelevati e analizzati sui poligoni di maggior rilevanza hanno sempre dato esito negativo. Presso il poligono interforze di Salto di Quirra, ad esempio, è emersa una alterazione ambientale all'esterno dello stesso poligono, non riconducibile alle attività di addestramento e sperimentazione condotte nei poligoni, bensì alla presenza di sostanze inquinanti rinvenute in una vecchia miniera adiacente.
Inoltre, sempre in relazione alla ventilata presenza di uranio impoverito nelle aree dedicate ad esercitazioni militari, il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica ha richiamato la convenzione, stipulata nel 2002, tra Ministero della difesa e dipartimento scienze ambientali dell'Università di Siena per lo studio geochimico-ambientale dell'area della Sardegna sud-orientale su cui insistono i poligoni militari di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo. Anche in questo caso, il rapporto finale, pubblicato nel giugno 2004, ha attestato che la presenza di elementi tossici pesanti su dette aree è minore rispetto alla media nazionale e, comunque, non è da imputare all'attività militare.
Tali dati, tuttavia, sono risultati non in linea con quelli forniti dai rappresentanti dei comitati di cittadini della Sardegna «Gettiamo le basi», «Teulada libera» e «Villaputzu». In base alle loro dichiarazioni, i primi riscontri di «danno alla salute» risalgono al 2001, quando il medico di base e l'allora sindaco di Villaputzu avevano cominciato a sollecitare accertamenti circa il numero anomalo di leucemie che colpiva la comunità di Quirra (una frazione di 150 abitanti), una zona sita tra il lato mare ed il lato interno del poligono Salto di Quirra.
All'esito dell'ultima indagine epidemiologica condotta, ovvero quella commissionata dalla regione autonoma della Sardegna, emergono i seguenti dati: nella Maddalena si è riscontrato un + 177 per cento di leucemia ed un + 335 per cento di melanoma, rispetto all'intera Sardegna.
Quanto a Quirra, l'indagine ha evidenziato un tasso di leucemie del + 12 per cento (cui vanno aggiunti 15 militari che hanno prestato servizio nel poligono) ed un + 330 per cento di incidenza del diabete, patologia quest'ultima che alcuni studi collegano all'uso di uranio e di altri elementi di produzione bellica. Anche ad Escalaplano, paese limitrofo al poligono ma ubicato più nell'entroterra, in due anni si sono verificati 14 casi di malformazioni alla nascita, su una natività media di 21 abitanti.
Pertanto, con riferimento ai profili sanitari, il sindaco di Villaputzu, comune che si trova nelle vicinanze del poligono, ha richiesto il monitoraggio del territorio, al fine di disporre di dati certi.
Si ricorda per altro che il Poligono di Salto di Quirra è stato oggetto di attività conoscitive da parte della Commissione di inchiesta istituita dal Senato per far luce, tra l'altro, sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale. Come emerge dalla relazione conclusiva approvata il 1o marzo 2006 dalla citata Commissione, la dottoressa Antonietta Gatti, responsabile del


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Laboratorio dei biomateriali presso il Dipartimento di neuroscienze dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ha rilevato su numerosi campioni istologici di persone ammalate di tumori vari, che vivono nelle adiacenze del Poligono di Salto di Quirra, la presenza di corpi estranei, anche di dimensioni nanometriche, di composizione chimica non rilevabile in natura e con caratteristiche morfologiche - in particolare la forma tondeggiante - che fanno ritenere che si tratti del prodotto di combustioni, di origine antropica, ad altissime temperature. È stato poi rilevato che i soggetti dai quali provenivano i reperti analizzati vivono in un'area situata a grande distanza da impianti industriali. In particolare, la dottoressa Antonietta Gatti ha effettuato un sopralluogo all'interno del Poligono di Salto di Quirra, riscontrando in tale occasione la presenza, nelle vasche destinate al raffreddamento dei vapori di scarico dei motori del missile Ariane oggetto di prove tecniche, di composti di piombo, bismuto e antimonio analoghi a quelli rinvenuti nei campioni istologici di alcuni dei pazienti ammalati di tumore.

7. I profili ambientali.

Il rapporto tra servitù militari e questioni ambientali è stata evidenziata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha sottolineato come le servitù insistano in parte significativa su ambiti territoriali sottoposti a varie tipologie di vincoli paesaggistici e ambientali.
In proposito, il Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ha sottolineato come le due servitù militari più importanti della regione costituiscano anche un importante patrimonio ambientale. Il primo insediamento è ubicato a Monte Romano, in un'area che in termini naturalistici è di grandissimo interesse per quanto riguarda il mantenimento dell'equilibrio ambientale; il secondo è l'insediamento di Torre Astura, a cavallo tra la provincia di Roma e quella di Latina, di notevole importanza naturalistica soprattutto per la difesa della costa. In una logica di stretta collaborazione istituzionale e nel rispetto delle necessità della difesa nazionale e delle Forze armate, quindi, il Presidente Piero Marrazzo ha segnalato la necessità che la regione sia coinvolta nelle decisioni che riguardano il futuro delle citate aree.
Tuttavia, sebbene la presenza del demanio militare abbia contribuito a salvaguardare dalla speculazione edilizia importanti aree del paese, molte delle attività che in queste aree si svolgono hanno creato gravi problemi ambientali, in particolare nel territorio sardo (Capo Teulada, Capo Frasca, Decimomannu, Monte Urpinu, vicino Cagliari, nonché alla Maddalena), ove si assiste al rilascio di polveri connesse alle esercitazioni a fuoco, nonché al deposito sui fondali marini di ordigni inesplosi, di cui non sempre è possibile o agevole la bonifica.
Allo stato, il Ministero dell'ambiente non è in grado di avere una soddisfacente visione d'insieme degli aspetti problematici correlati alle servitù militari, né ha la possibilità di avanzare una proposta complessiva sulla funzione naturalistica che potrebbero avere i relativi territori, dal momento che non dispone di un elenco completo di tali aree.
Peraltro, il Ministero stesso, già nel 2006, aveva invitato tutti gli enti parco a predisporre una relazione sugli immobili di competenza militare presenti nei loro territori: tali informazioni non sono ancora state fornite dalla totalità degli enti interrogati. Su alcuni immobili già individuati sono stati avanzati progetti per la valorizzazione, finalizzata anche all'educazione ambientale, d'intesa con gli enti locali.
Con riferimento al parco della Maddalena, sin dal 2005, il citato il dicastero ha avviato contatti con la direzione centrale dell'Agenzia del demanio, nonché con la regione Sardegna, per ottenere in uso governativo i beni demaniali che verranno dimessi, allo scopo sia di dare impulso al Parco nazionale, evitando la crescita di appetiti speculativi, sia per individuare


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forme di occupazione compatibili con le esigenze di tutela e promozione dell'area protetta. Al riguardo, è in corso un confronto con la regione Sardegna che, richiamando il proprio statuto di regione autonoma, sostiene che i beni dismessi dallo Stato debbano passare direttamente alla regione e che l'eventuale successiva intesa debba avvenire con la regione medesima.
Analoghe preoccupazioni sono state espresse dai rappresentanti di associazioni ambientaliste, che hanno confermato come la presenza di installazioni militari sul territorio abbia, in molti casi, contribuito a preservarne l'integrità ambientale da possibili operazioni speculative. Da ciò discende quindi la necessità di acquisire garanzie da parte degli enti locali in ordine alla destinazione d'uso di quei beni, già destinati al soddisfacimento delle esigenze della Difesa - e ancora aventi l'aspetto naturalistico originario - che dovessero essere dismessi o ceduti loro in permuta a seguito di accordi di programma.
Anche in relazione a questa esigenza, occorre quindi giungere rapidamente alla realizzazione di una banca dati concernente la dislocazione dei citati beni sul territorio nazionale, comprensiva di elementi informativi riguardanti il territorio limitrofo, gli ingombri, le relazioni con i comuni vicini, gli aspetti indennitari, le implicazioni ambientali, eccetera. Inoltre, la costituzione di una banca dati dedicata, accessibile a tutte le pubbliche amministrazioni, eventualmente anche attraverso un sito Internet, risponderebbe ad una fondamentale necessità di trasparenza in una materia così delicata.

8. Il problema del riequilibrio territoriale.

Per effetto del mutato quadro strategico e dell'evoluzione dell'organizzazione delle Forze armate in senso professionale, lo strumento militare degli ultimi anni ha conosciuto un consistente ridimensionamento, passando dai 330 mila effettivi del 2000 ai circa 190 mila di oggi.
Questo ridimensionamento ha determinato un'oggettiva sottoutilizzazione di diverse strutture, suggerendo l'opportunità di un ripensamento delle servitù e delle connesse penalizzazioni.
Nell'ambito della generale revisione dello strumento militare, il Ministero della difesa ha così avviato un censimento delle strutture e del loro attuale utilizzo, ai fini di un'adeguata redistribuzione delle forze nell'attuale scenario strategico e situazione territoriale, sia per cercare di apportare correttivi in quei casi in cui il peso delle attività militari risulti eccessivamente concentrato su alcuni territori, sia per razionalizzare l'impiego del patrimonio infrastrutturale.
In effetti, per quanto riguarda le singole regioni, come detto, il Friuli-Venezia Giulia e la Sardegna sono le regioni maggiormente interessate dalla presenza, sia di aree demaniali sia di aree gravate da servitù militari. Nel caso della Sardegna vanno inoltre aggiunte le cosiddette «zone di sgombero a mare», più grandi dell'intera superficie dell'isola, e gli spazi aerei militari in corrispondenza dei principali poligoni, che, come ha sottolineato il Presidente della Regione autonoma, Renato Soru, pregiudicano per molti aspetti la normale attività civile.
Già alla stregua di queste risultanze si pone quindi l'esigenza di un serio riequilibrio territoriale, ossia di un bilanciamento perequativo dei gravami tra più aree geografiche del territorio nazionale. Tale esigenza si fa ancora più stringente in relazione alle attività che si conducono nei principali poligoni nazionali: dall'addestramento di unità nazionali ed estere ai collaudi di prototipi di missili e bersagli, dalle prove di qualità in cooperazione con industrie ed enti nel settore dell'elettronica aerospaziale ed attività legate alla ricerca scientifica, al collaudo e sperimentazione del munizionamento navale e terrestre a media e lunga gittata, compresa la sperimentazione di sistemi missilistici, esercitazioni a caldo, anche interforze e per le operazioni fuori area.
Si tratta di attività invasive per il territorio e le comunità locali che in alcuni


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casi hanno visto pregiudicate possibili forme di sviluppo economico legate allo sfruttamento dei terreni per usi agricoli e di molti specchi di mare idonei alla pesca; a ciò va aggiunto il mancato decollo dell'industria turistica, sia per l'indisponibilità di siti che potevano essere di forte richiamo, sia per l'interferenza che le attività militari hanno avuto con un normale processo di insediamento turistico nei territori limitrofi a quelli soggetti a servitù (si pensi soprattutto all'inquinamento acustico derivante dal continuo passaggio, anche a bassa quota, di velivoli militari, nonché dalla procurata esplosione del munizionamento nei poligoni adiacenti).
Positivi in questo senso sono quindi i Protocolli d'intesa che regolamentano la dismissione di numerosi immobili, strutture e comprensori militari presenti nella provincia di Cagliari e nell'arcipelago della Maddalena sottoscritti dal Ministero della difesa e dalla Regione Autonoma della Sardegna, rispettivamente, il 10 novembre 2006 e il 28 marzo 2007. In tale ambito, si è preso atto che la Marina statunitense lascerà la base navale di Santo Stefano entro il prossimo anno: il comprensorio, quindi, transiterà nelle pertinenze della Regione Sardegna, ad esclusione del deposito di Guardia del Moro, che rimarrà ancora in uso alla Marina Militare italiana. Per le strutture presenti sull'isola di Caprera, tuttora in uso alla Marina Militare, si è raggiunto un accordo che prevede il transito alla Regione, al fine di non interferire con lo sviluppo turistico dell'area. La Difesa, inoltre, cederà l'Arsenale e l'Ospedale della Marina sito alla Maddalena, ricollocando in altra sede le relative funzioni.
Più problematica appare invece la connessione tra l'esigenza del riequilibrio territoriale ed il cosiddetto danno ambientale sofferto dalla Sardegna. Infatti, da una parte, l'indagine conoscitiva ha evidenziato che il demanio militare e le connesse servitù svolgono una sostanziale funzione di indiretta tutela paesaggistica che, in molti casi, ha impedito o fortemente limitato appetiti speculativi su territori di grande pregio naturalistico; d'altra parte, l'intensità e la concentrazione delle esercitazioni a fuoco, nonché la sperimentazione di armamenti con uso di combustibili e propellenti, hanno comunque avuto un sensibile impatto ambientale su molti territori della Regione, la cui possibile riqualificazione, in prospettiva, richiederà costose e difficili opere di bonifica e ripristino che, in alcuni casi, non potranno probabilmente essere totalmente soddisfacenti (si pensi al recupero degli ordigni inesplosi giacenti sui fondali marini).
Occorrono inoltre ulteriori, accurati approfondimenti scientifici, anche con la collaborazione delle competenti strutture militari, circa la presunta correlazione tra attività militari e l'insorgenza anomala di danni alla salute in alcune località della Sardegna: alla luce delle numerose e spesso divergenti informazioni raccolte nel corso dell'indagine, non sussistono allo stato univoche evidenze epidemiologiche che imputino la maggiore incidenza di determinate patologie nella popolazione a possibili agenti inquinanti prodotti nei poligoni e nelle aree addestrative della Regione. La materia richiede quindi la massima attenzione da parte di tutte le autorità preposte, ed è auspicabile l'implementazione di un'organica attività di monitoraggio delle condizioni sanitarie del personale militare e civile che lavora o risiede nei pressi dei principali poligoni. In questa prospettiva, il Ministro della difesa, nel corso della sua audizione, tenutasi il 9 ottobre 2007 presso la Commissione di inchiesta istituita dal Senato anche nella XV legislatura per far luce sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, ha preannunciato un monitoraggio sistematico del poligono di Salto di Quirra, che dovrebbe investire tutta l'area, con il coinvolgimento di personalità del mondo scientifico e di rappresentanti delle autorità locali più interessate a problemi di inquinamento ambientale, in modo da chiarire, una volta per tutte, i dubbi, le perplessità e le valutazioni contrastanti che si sono avuti sul poligono. Il Ministro, inoltre, nel sottolineare come la nuova


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attività di monitoraggio ambientale utilizzerà criteri aggiornati anche per l'analisi delle nanoparticelle precedentemente non prese in considerazione, ha affermato che l'esperienza maturata con questa operazione consentirà di procedere con la stessa sistematicità in altre aree che si ritenesse utile analizzare.
Per quanto riguarda gli aspetti economici collegati alla presenza militare in Sardegna, occorre ricordare che se da un lato tale presenza ha frenato in alcune località lo sviluppo turistico, dall'altro lato, ad essa è comunque collegato un indotto, anche industriale, che si avvale per lo più di manodopera locale, come pure locale è spesso il personale civile che presta servizio nei poligoni. Questo elemento, ben presente agli amministratori locali ascoltati nel corso dell'indagine, deve pertanto essere tenuto nella massima considerazione laddove si attivi, per alcune delle infrastrutture, un processo di dismissione. Anche sotto il profilo della tutela ambientale valgono considerazioni analoghe a quelle appena svolte, nel senso che l'eventuale superamento della destinazione militare di determinate aree richiederebbe precise garanzie di tutela naturalistica, specie con riferimento a siti che potrebbero entrare nel circuito delle permute e degli accordi di programma con gli enti locali.

9. La dismissione del patrimonio immobiliare della Difesa.

Da quanto detto, si evince che la tematica del riequilibrio delle servitù militari intese in senso lato si ricollega strettamente a quella relativa alle dismissioni immobiliari del Ministero della difesa, le cui procedure si sono rivelate molto spesso macchinose e lente, anche a causa dei frequenti interventi normativi che ne hanno più volte modificato la disciplina.
I profili di maggiore criticità di tale disciplina sono rappresentati principalmente dagli aspetti finanziari, in quanto, da una parte, ai sensi della normativa introdotta con la legge finanziaria 2007, il Ministero della difesa, non introitando alcunché all'esito della procedura di alienazione, non dispone delle necessarie risorse per trasferire altrove le eventuali attività residue, dall'altra, l'ente locale spesso non ha un interesse diretto a valorizzare gli immobili dimessi in quanto percepisce soltanto una minima percentuale delle valorizzazioni immobiliari (dal 5 al 15 per cento), in molti casi inferiore a quella che acquisirebbe ove fosse effettuata nei confronti di soggetti privati e comunque non sufficiente alla copertura del costo delle opere che l'ente stesso è tenuto a realizzare. Inoltre, poiché l'amministrazione militare può stipulare permute soltanto a condizione che esse non comportino oneri a carico del bilancio dello Stato, ne deriva che le permute appaiono realizzabili soltanto nell'ipotesi in cui gli enti locali che vi partecipano si facciano carico delle spese relative alla ristrutturazione degli immobili. Non è un caso che a legislazione vigente siano stati celermente dismessi soltanto i beni rientranti in un primo elenco (201 beni trasferiti all'Agenzia del demanio nei termini previsti) che non richiedevano la riallocazione delle relative funzioni, mentre si sono incontrati ostacoli nell'elaborazione di un secondo elenco di beni (circa 200) e presumibilmente se ne incontreranno per la cessione dei pacchetti successivi, che invece riguardano beni da alienare soltanto a seguito di un complesso e oneroso processo di riconversione d'uso, di ristrutturazioni, di accorpamenti e riallocazione delle diverse funzioni.
Nel comune di Roma, ad esempio come segnalato dall'Assessore alle politiche del patrimonio, politiche abitative e promozione progetti speciali, Claudio Minelli, vi sono molte strutture militari impropriamente collocate in zone centrali che, previa ridislocazione in altre aree della città, potrebbero essere utilizzate per realizzare servizi utili alla comunità. Per favorire questo processo, il comune ha avviato con le autorità militari un protocollo d'intesa sulle politiche abitative che, nel quadro delle procedure di dismissione - al fine di soddisfare il fabbisogno abitativo delle


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Forze armate determinato dall'introduzione del servizio di leva professionale - prevede la possibilità per le Forze armate di accedere, attraverso le proprie cooperative, a nuovi alloggi, realizzati anche attraverso modifiche di destinazione d'uso. Su tale processo pesa tuttavia la richiamata disciplina legislativa che, come detto, non prevedendo adeguati incentivi per i diversi soggetti coinvolti, non favorisce il determinarsi delle necessarie condizioni di economicità affinché tali operazioni possano agevolmente concludersi.
L'attuale disciplina legislativa, quindi, dovrebbe essere rivista, nell'ottica dell'introduzione di una procedura più flessibile che preveda forme di concertazione tra Difesa, Demanio ed Enti locali attribuendo ad essi maggiori poteri negoziali e destinando le necessarie risorse finanziarie al Ministero della difesa.
Anche i rappresentanti della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno evidenziato come, a seguito della radicale trasformazione dello strumento militare, è presente sul territorio della regione un enorme patrimonio nelle disponibilità dei Ministeri della difesa, dell'economia e delle finanze che, oltre ad essere in costante e continuo degrado strutturale ed ambientale, presenta preoccupanti risvolti per l'incolumità pubblica e per l'ordine pubblico. Su tali beni i sindaci dei comuni interessati hanno manifestato l'intenzione di procedere ad una loro trasformazione e valorizzazione, sia di carattere turistico-economico che ambientale. Propedeutica all'attivazione di tali programmi di valorizzazione, sia relativi a fabbricati - quali caserme, depositi e magazzini - sia concernenti aree addestratative o poligoni, è necessario disporre di un complesso di informazioni che vanno dalla consistenza patrimoniale degli immobili ai relativi vincoli ambientali, paesistici e urbanistici.
Per sistematizzare ed elaborare tutte queste informazioni, che sono nella disponibilità di diversi soggetti istituzionali, centrali e locali, anche al fine di consentire un'attendibile valutazione dei tempi necessari alla realizzazione dei progetti di valorizzazione, risulterebbe quindi necessaria la realizzazione di una banca dati informatizzata a «sistema aperto» modificabile ed aggiornabile dagli enti cointeressati attraverso un determinato protocollo di accesso.

10. Il ristoro delle limitazioni.

Anche la disciplina dei contributi ai comuni e degli indennizzi ai proprietari di immobili gravati da servitù militari, nonché dei ristori riconosciuti agli operatori economici, presenta alcune criticità. Per quanto riguarda gli indennizzi, la prima criticità è rappresentata dal notevole ritardo con cui, in taluni casi, avviene la materiale percezione delle somme di denaro, a causa della complessità, anche burocratica, della procedura contabile che presiede alla loro erogazione, vincolata in ogni caso alla previa presentazione di una domanda da parte degli interessati, nonostante i criteri automatici previsti dalla legge per la quantificazione degli indennizzi. La seconda è costituita dal ruolo degli enti locali, che in materia di servitù militari sono titolari di funzioni amministrative non particolarmente significative, che vedono nei sindaci il mero tramite tra i proprietari e la Difesa per quanto riguarda le istanze di ristoro e il pagamento degli indennizzi. In questo senso, a fronte del sostanziale automatismo delle misure indennitarie, si potrebbe prevedere che le risorse necessarie all'erogazione degli indennizzi ai proprietari e agli operatori economici, quantificate sulla base dei predetti criteri automatici, siano messe immediatamente a disposizione dei sindaci, a prescindere dalla presentazione delle domande, per essere quindi erogate ai legittimi titolari. Inoltre, si potrebbe stabilire che gli indennizzi possano essere fruiti dagli operatori economici, anziché sottoforma di erogazioni finanziarie come credito d'imposta, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. La terza criticità è costituita dalla misura degli indennizzi che potrebbero non essere più rispondenti ad un equo ristoro soprattutto per alcune realtà economico-produttive.


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In proposito, va ricordato che secondo la sentenza n. 138 del 1993, della Corte Costituzionale, nella determinazione dell'equo indennizzo l'interesse del soggetto che subisce la limitazione e l'interesse pubblico devono essere bilanciati al fine di individuare un indennizzo ragionevole.
Per quanto concerne i contributi, oltre al problema dei ritardi con cui vengono effettuati i pagamenti, segnalato dai rappresentanti di numerosi comuni, i rappresentanti della regione Friuli-Venezia Giulia hanno segnalato l'esigenza di addivenire, sia ad una revisione dei contributi ai comuni sulla base di criteri più attuali, sia ad una riforma della contribuzione per la realizzazione di opere pubbliche nei comuni gravati dalla presenza di vincoli militari. In particolare, è stata segnalata l'esigenza di inserire tra i criteri che sovrintendono all'attribuzione dei contributi anche quello del rumore. Infatti, il rumore, fonte di notevole disagio per la popolazione, è un problema che riguarda molti comuni che si trovano nelle vicinanze dei poligoni, a causa dell'impiego del munizionamento e del transito dei mezzi militari, e soprattutto delle aree aeroportuali. Ai fini dell'individuazione di adeguati parametri di riferimento per l'assegnazione dei contributi per il disagio provocato dal rumore aeroportuale, come segnalato dai rappresentati della Regione Friuli-Venezia Giulia, potrebbero essere utilizzate le risultanze del progetto di zonizzazione acustica parametrica realizzato nei comuni gravati dalle fonti rumorose connesse all'uso delle basi aeree di Aviano e Rivolto, grazie ad un accordo tra la predetta Regione e l'amministrazione militare (cosiddetto progetto Milnoise) di cui si dirà in seguito.

11. I poligoni: possibili forme di mitigazione dell'impatto.

La tematica dei poligoni militari è stata esaminata, sia dal punto di vista delle esigenze funzionali delle Forze armate, sia nell'ottica del rapporto con le realtà territoriali.
Sotto il primo profilo è emerso in primo luogo che i poligoni consentono lo svolgimento di attività di addestramento necessarie alla difesa nazionale. In secondo luogo, è risultato che gran parte dei poligoni interforze insediati in Sardegna sin dalla seconda guerra mondiale, a causa delle caratteristiche geografiche, orografiche e di bassa urbanizzazione della regione, consentono lo svolgimento di fondamentali attività addestrative. Ad esempio, il poligono di Capo Teulada è l'unico di una certa ampiezza dove possano essere eseguite manovre sul terreno fino al livello di gruppo tattico, dove sia possibile fare operazioni di tipo anfibio e, quindi, operazioni congiunte mare-terra, che permettono l'addestramento dei contingenti inviati all'estero (come avvenuto per la preparazione dello sbarco del contingente inviato in Libano nell'agosto 2006). Ma anche negli altri poligoni dell'isola si svolgono attività egualmente indispensabili, di addestramento, di movimento di compagnia a livello tattico minore, oppure attività di fuoco e di addestramento aereo.
In terzo luogo, è emerso che il trasferimento all'estero o in altre aree del territorio nazionale delle attività che si svolgono in tali poligoni (Capo Teulada, Salto di Quirra e Capo Frasca) appare quanto mai problematico, sia perché entro i confini nazionali, a causa dell'alto tasso di urbanizzazione del territorio non vi sono aree di estensione e caratteristiche compatibili con lo svolgimento delle citate attività, sia perché i poligoni ubicati all'estero non offrono sufficienti garanzie né sul piano economico - in quanto i costi di locazione e quelli di approntamento e trasporto delle unità militari al luogo di destinazione, sono di gran lunga superiori a quelli sostenuti in patria - né sul piano della sicurezza nazionale, posto che l'uso delle installazioni straniere è soggetto comunque alla disponibilità del Paese ospitante, e pone delicati problemi di sicurezza allo svolgimento delle attività militari.


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Ciò significa, in definitiva, che l'utilizzo di strutture extraterritoriali può essere considerato integrativo rispetto a quello delle installazioni nazionali, che assorbono la maggior parte delle attività addestrative delle Forze armate italiane.
Infine, è emerso che neppure l'impiego della simulazione può offrire un contributo risolutivo alla problematica dei poligoni militari. Infatti si è rilevato che anche l'addestramento virtuale ha un carattere integrativo e non sostitutivo dell'addestramento reale sul campo.
In proposito, le Forze armate stanno sviluppando numerosi progetti per sostituire alcune attività a fuoco con strumenti di simulazione applicati ai sistemi d'arma, che consentono di non sparare materialmente i colpi, ma soltanto di simularne l'azione di fuoco. Anche in tal caso, comunque, è necessaria la presenza militare su vaste aree di territorio, in quanto gli strumenti di simulazione non escludono l'impiego dei mezzi a cui bisogna assicurare mobilità sul terreno. A questi sistemi di simulazione se ne associano altri più sofisticati, che viceversa non richiedono neppure la presenza fisica dei mezzi sul terreno. Le Forze armate intendono incrementare le dotazioni di questi dispostivi, che per altro necessitano di idonee risorse finanziarie.
Per quanto riguarda il rapporto con le realtà territoriali, i comandi territoriali, compatibilmente con le esigenze dello strumento militare, sono già impegnati a concertare con le comunità locali forme di possibile riduzione dell'incidenza della presenza militare sul territorio, agendo sul numero di giorni preposti all'attività militare, rendendo accessibili al pubblico alcune spiagge nei mesi estivi, secondo precise modalità, come ad esempio nel caso di Torre Astura nel Lazio, ed anche implementando situazioni di couso di alcune aree a determinate condizioni. Ad esempio, nel caso di Teulada sono state rilasciate circa 120 autorizzazioni per la pastorizia e l'agricoltura, grazie alle quali circa 6.500 capi di bestiame pascolano su 2.806 ettari di poligono. Inoltre, come sottolineato dal Sindaco del Comune di Monte Romano, nell'omonimo poligono esiste da molti anni una concessione demaniale a favore degli allevatori locali, gestita dal comune, che permette di pascolare bovini ed equini all'interno dell'area. Questa concessione produce indubbi vantaggi non solo per gli allevatori, ma anche per il demanio, proprietario dell'area, e per i militari operanti nell'area stessa, in quanto, la presenza degli animali e degli allevatori costituisce un presidio importante per la prevenzione degli incendi. Tuttavia, negli ultimi anni, a causa del notevole incremento dei canoni demaniali, si è verificato un grave contenzioso tra il comune di Monte Romano e l'amministrazione finanziaria che ha ostacolato il rinnovo della concessione. In questo caso, e in casi analoghi, tenuto conto dei reciproci vantaggi per i tutti i soggetti interessati che la concessione comporta, sarebbe invece del tutto ragionevole prevedere una sensibile riduzione dei canoni a beneficio delle comunità locali.
Sempre nell'ottica della mitigazione dell'impatto delle installazioni militari sulle realtà locali, i vertici militari stanno valutando, congiuntamente all'amministrazione regionale sarda, le possibilità di superamento delle cosiddette aree di rispetto del poligono di Capo Teulada che si estendono a mare per circa cinque chilometri ad est del poligono stesso ovvero dell'insieme di limitazioni, imposte per ragioni di sicurezza, al transito marittimo in uno specchio di acqua adiacente al poligono. Occorre tuttavia tenere presente che la riduzione quantitativa, o un diverso orientamento delle cosiddette campane di sgombero, ferma restando la necessaria compatibilità con le esigenze addestrative delle Forze armate, dovrebbe essere associata alla bonifica dei fondali. In proposito, si ricorda che, al fine di rendere accessibile il citato tratto di mare, la NATO Undersea Research Centre (NURC) sta attualmente svolgendo una ricerca con strumenti acustici, magnetici e ottici per scoprire e classificare gli ordigni presenti sul fondale marino: i risultati delle misurazioni saranno trasferiti in una banca dati geografica (GIS) della Marina Militare.


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Va per altro sottolineato che alcune attività, come la pesca a strascico, anche dopo la bonifica non saranno comunque possibili, in quanto la fruizione dei fondali non potrà essere garantita nelle condizioni di piena sicurezza.
Un'altra iniziativa di particolare interesse è quella segnalata dai rappresentanti della Regione Friuli-Venezia Giulia con riferimento all'inquinamento acustico provocato dagli aeroporti militari presenti sul territorio regionale. Al riguardo, le autorità militari hanno stipulato con l'amministrazione regionale un accordo finalizzato alla realizzazione di un progetto di «zonizzazione acustica parametrica» dei comuni gravati dalle fonti rumorose connesse all'uso delle basi aeree di Aviano e Rivolto (cd. progetto Milnoise): già nel 2001 il Ministero della difesa ha prodotto uno specifico studio sulle emissioni acustiche generate dai due aeroscali ed ha fornito i risultati delle relative rilevazioni, sulla base dei quali la Regione ha potuto avviare con i comuni interessati singoli protocolli di intesa per eventuali azioni volte alla mitigazione del disagio acustico, nonché alla bonifica nei casi di riscontrato superamento delle soglie previste dalla legislazione vigente.
È da ritenere che ove tale attività di monitoraggio fosse compiuta sistematicamente in tutte le installazioni militari che presentano analoghe problematiche, ciò concorrerebbe alla definizione della fattispecie del «rumore aeroportuale», che attualmente non figura tra i criteri che presiedono al riconoscimento dei contributi agli enti locali penalizzati dalla presenza militare.
Un'auspicabile campagna di rilevazioni consentirebbe inoltre di creare le condizioni per la piena attuazione di quanto previsto dall'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (legge quadro sull'inquinamento acustico), che stabilisce che la prevenzione ed il contenimento acustico nelle aree esclusivamente interessate da installazioni militari e nelle attività delle Forze armate sono definiti, mediante specifici accordi, dai Comitati misti paritetici di cui alla legge n. 898 del 1976. I risultati di tali rilevazioni, infine, come in precedenza osservato, potrebbero essere utilizzati ai fini dell'integrazione dei criteri utilizzati per l'attribuzione dei contributi ai comuni, che attualmente non contemplano il rumore aeroportuale.

12. Il dibattito sulla riconversione economica delle installazioni militari.

Dalle audizioni di sindaci e rappresentanti dei comuni è emerso che le installazioni militari non sono sempre percepite come fattori di sottrazione di spazi vitali alle popolazioni o come fonte di danni socio-economici ed ambientali. La pluridecennale convivenza delle popolazioni sarde con i poligoni di Capo Teulada, Capo Frasca e Salto di Quirra, infatti, ha anche determinato importanti opportunità di ritorno occupazionale e di sviluppo economico e produttivo nei territori interessati. L'impatto dei poligoni sul territorio investe dunque una pluralità di profili, anche molto diversi e persino contrastanti fra loro, che non a caso alimentano il dibattito sulle possibilità di riconversione economica di queste installazioni.
Per quanto riguarda il poligono di Capo Frasca, ad esempio, da una parte gli amministratori lamentano l'inquinamento acustico dovuto al passaggio di velivoli su Decimomannu, nonché le ricadute negative derivanti dal divieto di transito marittimo nello specchio d'acqua adiacente al poligono; dall'altra, tuttavia, le proposte di riconversione civile della base militare, che puntano soprattutto sul potenziamento delle attività di ricerca spaziale o sull'istituzione di una scuola aeronautica, destano perplessità in quanti temono conseguenze negative, almeno nel breve periodo, sull'indotto occupazionale. Infatti, poiché il poligono di Capo Frasca rappresenta un'articolazione del Reparto Sperimentale e di standardizzazione al Tiro aereo, che ha sede nell'aeroporto di Decimomannu, il suo destino influenza direttamente quello dell'intero Reparto.
L'Aeroporto di Decimomannu fu realizzato dopo il secondo conflitto mondiale,


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quando l'esigenza di ricostruire l'Aeronautica Militare richiese l'incremento delle attività addestrative, in particolare, nel settore del tiro aria-aria e aria-suolo. Negli anni 50 e 60, le aeronautiche degli Usa, del Canada e della Germania iniziarono il loro addestramento a Decimomannu. Successivamente, durante gli anni settanta le Forze aeree canadesi furono rimpiazzate da quelle inglesi.
Attualmente, dopo l'uscita di scena del Regno Unito e degli Stati uniti, è in vigore un accordo tecnico internazionale, firmato nel 2004, che regolamenta i rapporti per la conduzione della base tra i due soli Paesi rimasti: Italia e Germania. A seguito di tale accordo i costi della base sono ripartiti al 50 per cento tra Italia e Germania. Non manca, per altro, la partecipazione di Forze aeree di altre nazioni che temporaneamente si addestrano in base ad accordi internazionali di cooperazione.
Poiché negli ultimi anni, anche a seguito dell'uscita di scena dei citati paesi, si è verificata una contrazione dell'impiego delle strutture operative e logistiche della base che si può quantificare dal 90 per cento degli anni Ottanta all'attuale 20 per cento circa, l'eventuale chiusura del Poligono - richiesta dal Presidente Renato Soru unitamente a quella del Poligono di Capo Teulada - o una sua limitazione di utilizzo porterebbe ad una revisione dell'Accordo Tecnico internazionale con la Germania e ad una conseguente limitazione delle capacità addestrative, costi di gestione della base totalmente a carico dell'Italia, contrazione dell'indotto e difficoltà per la componente sperimentale industriale. Come ha infatti sottolineato il sindaco del Comune di Villasor, sul cui territorio insiste la base di Decimomannu, l'eventuale chiusura del poligono di Capo Frasca avrebbe serie ripercussioni sul territorio comunale sia in termini occupazionali sia, più in generale, in termini economici, e dovrebbe essere quindi necessariamente accompagnata da soluzioni che evitino tali conseguenze negative.
Allo stesso modo, analoghe preoccupazioni sono state espresse in ordine alle ipotesi di riconversione avanzate circa il poligono interforze di Salto di Quirra, dove si intenderebbe sviluppare attività di sperimentazione di tipo civile, in campo aerospaziale e nel settore dei metanodotti, grazie alle vaste estensioni prive di insediamenti abitativi. Anche in questo caso, i fautori della riconversione, che adducono benefici legati a minori costi di gestione mediante meccanismi di sostanziale autofinanziamento, incontrano l'opposizione di coloro che chiedono garanzie dal punto di vista occupazionale, visti gli attuali 300 posti di lavoro assorbiti dal poligono, che con l'indotto arrivano a circa 500 (le ricadute economiche sul territorio, al netto degli indennizzi, sono state stimate in circa 35 milioni di euro). Il Ministero della difesa sta inoltre lavorando alla realizzazione della cosiddetta striscia tattica polifunzionale, ossia una pista di volo realizzabile nel rispetto della normativa tecnica e ambientale, da utilizzare nell'ambito dei programmi di ricerca aeronautica ed aerospaziale, nazionali e internazionali, attuati attraverso una cooperazione civile-militare. Anche il governo regionale, come ha sottolineato il presidente Renato Soru, è disponibile alla permanenza in Sardegna di tale poligono e a favorire le ulteriori necessità di investimento e di spazio con la creazione della citata «striscia tattica», o di un eventuale piccolo aeroporto, purché sia fissata una data certa per la dismissione dei poligoni di Capo Frasca e soprattutto di Capo Teulada.
In generale, appare necessario promuovere, laddove possibile, l'apertura delle installazioni militari a forme di cooperazione civile-militare per favorire lo sviluppo economico delle realtà locali assicurando, da un lato, che gli introiti che ne derivano siano in parte destinati al mantenimento delle strutture militari, eliminando gli eventuali impedimenti di ordine contabile alla riassegnazione di tali entrate al Ministero della difesa, e prevedendo, dall'altro lato, forme di compartecipazione ai benefici economici da parte degli enti locali.
Anche sul destino di Capo Teulada il dibattito tra gli amministratori locali è tutt'ora aperto: a differenza del comune di


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Teulada, che ha registrato una recessione demografica del 50 per cento circa, la popolazione del comune di Sant'Anna Arresi, adiacente al poligono, è invece quasi raddoppiata, passando dai circa 1.600 abitanti degli anni sessanta, ai 2.600 di oggi. Per queste ragioni, a fronte di quanti chiedono con la dismissione totale del poligono, i rappresentanti dei comuni maggiormente interessati dalle attività economiche che ruotano intorno ad esso - il cui l'impatto economico viene valutato in 19 milioni e 400 mila euro annui - intendono tutelare il futuro del poligono. Va in questa direzione il progetto ministeriale di installazione, presso il poligono, di una struttura ad elevato contenuto tecnologico per l'implementazione delle attività di simulazione, che potrebbe avere un positivo ritorno occupazionale e favorire forme di couso delle porzioni territoriali non più soggette ad esercitazioni a fuoco.
La salvaguardia dei livelli occupazionali costituisce motivo di preoccupazione anche per quanto riguarda La Maddalena, che attualmente conta 1.700 disoccupati su una popolazione di 11.800 abitanti, ai quali si potrebbero aggiungere, per effetto dell'annunciata dismissione della base americana, le 180 persone che ivi lavorano nonché le 200 persone occupate nelle piccole imprese dell'indotto. Tuttavia, la citata dismissione è stata accolta con favore dagli stessi amministratori locali, che puntano su alcune ipotesi di riconversione dell'economia locale, il cui problema centrale, coma ha sottolineato il Sindaco del comune della Maddalena, è rappresentato proprio dalla presenza militare sul demanio marittimo. In primo luogo, quindi, potrebbe essere realizzato un polo di sviluppo cantieristico ad est dell'abitato, comprendendo quindi l'arsenale militare, che non risponde più alle esigenze della Marina militare. Inoltre, come suggerito dal Ministro dell'Ambiente, il rilancio occupazionale, a ristoro dell'indotto economico penalizzato dallo smantellamento della base, potrebbe essere attuato utilizzando immobili a precedente destinazione militare per attività di promozione turistica di qualità. Inoltre, la Marina militare potrebbe continuare ad avvalersi della storica scuola della Maddalena, trasformandola in un luogo di eccellenza per la Guardia costiera, a supporto dei compiti da essa svolti di pronto intervento in mare, con particolare riguardo alle problematiche dell'inquinamento e del controllo del trasporto di merci pericolose. Va per altro ricordato che il Governo italiano ha recentemente stabilito che il vertice dei paesi del G8 in programma in Italia nel 2009 si svolgerà proprio alla Maddalena.

Parte III
Conclusioni

1. Problemi aperti e possibili soluzioni.

La difesa nazionale è attività di primario interesse della Repubblica, e come tale richiede talvolta l'obbligo di sopportare individualmente, o collettivamente, gli oneri necessari al mantenimento in efficienza dello strumento militare. Tali oneri possono derivare sia dalla presenza sul territorio di installazioni che ospitano reparti delle Forze armate, sistemi di sorveglianza e di comunicazione militare, sia dall'esistenza di aree in cui si addestra il personale militare. L'esigenza addestrativa, in particolare, oltre ad essere una necessità vitale per la Difesa, configura una forma di investimento ai fini della sicurezza del personale e del positivo perseguimento degli obiettivi propri delle Forze armate.
Per altro, l'interesse alla difesa nazionale non rappresenta il solo interesse rilevante, ma esso coesiste con molteplici interessi pubblici e privati ai quali deve essere necessariamente raccordato. Un significativo passo nella direzione del contemperamento dei diversi interessi in gioco è stato compiuto dalla legge n. 898 del 1976, come modificata e integrata dalla legge n. 104 del 1990 che, ispirandosi alla logica della concertazione, ha istituito i Comitati misti paritetici, sedi di consultazione permanenti fra civili e militari a


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livello regionale. Tuttavia, l'indagine conoscitiva ha evidenziato l'esigenza di porre mano alla disciplina vigente sia per correggerne alcuni punti deboli, come quelli attinenti all'erogazione degli indennizzi e dei contributi, sia per tenere conto delle nuove esigenze determinate della recente riorganizzazione delle Forze armate, quali la riqualificazione del patrimonio immobiliare della Difesa, la riconversione economica delle installazioni, la tutela ambientale e paesaggistica eccetera. Volendo mettere a fuoco i numerosi spunti di riflessione che sono emersi nel corso dell'indagine conoscitiva si può affermare che le iniziative per affrontare in modo organico le questioni connesse ai vincoli derivanti dalla presenza militare sul territorio dovrebbero riguardare:
a) l'adozione di iniziative per la riduzione dell'impatto delle installazioni militari sul territorio, soprattutto nelle regioni maggiormente oberate come la Sardegna. Si pensi ad esempio, alla riduzione delle campane di sgombero a mare e alla bonifica dei poligoni, all'apertura delle spiagge alla popolazione civile in alcuni periodi dell'anno, all'ulteriore sviluppo della simulazione e dei programmi di monitoraggio sanitario del territorio in collaborazione con il mondo scientifico e accademico, nonché alla riduzione dei canoni demaniali nelle installazioni militari concesse in couso agli allevatori locali. In questo quadro, appare auspicabile lo sviluppo del metodo della concertazione anche a livello comunale, istituzionalizzando sedi di consultazione permanente tra amministratori locali, comandanti delle infrastrutture militari e categorie produttive, in modo da creare maggiori occasioni di confronto e di scambio di informazioni, attualmente lasciate spesso all'iniziativa dei singoli;
b) la revisione dell'attuale disciplina legislativa in materia di dismissioni immobiliari della Difesa, prevedendo una procedura più flessibile che attribuisca maggiori poteri negoziali al Ministero della difesa, al Demanio e agli Enti locali, consentendo loro di definire entro margini più ampi le percentuali delle valorizzazioni immobiliari da destinare agli enti locali, nonché di stabilire le risorse finanziarie da assegnare al Ministero della difesa, ai fini del trasferimento delle funzioni esercitate nelle strutture da sopprimere ovvero della realizzazione di programmi di edilizia residenziale per il personale militare. In questo ambito, risulterebbe di fondamentale importanza la realizzazione di una banca dati informatizzata a «sistema aperto» modificabile ed aggiornabile dai diversi soggetti istituzionali, centrali e locali, per sistematizzare ed elaborare le informazioni concernenti caserme, depositi e magazzini, aree addestratative o poligoni, relative alla consistenza patrimoniale, ai vincoli ambientali, paesaggistici e urbanistici, ai fini dell'attivazione, in caso di dismissione, di tempestivi programmi di valorizzazione, compatibili con la tutela ambientale e paesaggistica;
c) la modifica nella normativa vigente in materia di indennizzi e contributi, prevedendo: l'introduzione di criteri per la quantificazione degli indennizzi ai proprietari più rispondenti ad un equo ristoro, in coerenza con le diverse realtà economico-produttive; una procedura semplificata per la erogazione dei benefici incentrata sull'attribuzione di maggiori poteri ai sindaci a cui dovrebbero essere assegnate le necessarie risorse a prescindere dalla presentazione delle domande da parte degli interessati; la possibilità di fruizione degli indennizzi da parte degli operatori economici anche sottoforma di credito d'imposta, l'introduzione del rumore tra i criteri per l'attribuzione dei contributi ai comuni, utilizzando a tal fine i dati derivanti da appositi studi, come ad esempio quelli del progetto Milnoise; l'esclusione delle citate risorse dall'applicazione di eventuali disposizioni contabili di limitazione degli impegni e dei pagamenti;
d) la promozione dell'apertura delle installazioni militari a forme di cooperazione civile-militare per favorire lo sviluppo economico delle realtà locali assicurando, da un lato, che gli introiti che ne


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derivano siano in parte destinati al mantenimento delle strutture militari, eliminando gli eventuali impedimenti di ordine contabile alla riassegnazione di tali entrate al Ministero della difesa, e prevedendo, dall'altro lato, forme di compartecipazione ai benefici economici ed occupazionali da parte degli enti locali e del territorio;
e) l'introduzione di un'ampia revisione pattizia del regime delle basi militari dei Paesi alleati presenti sul territorio nazionale, mediante la stipula di accordi quadro che, senza entrare nei dettagli tecnici, ma regolando gli aspetti più significativi dell'uso di tali basi, analogamente a quanto avvenuto in altri paesi del Mediterraneo, assicuri un chiaro piano legislativo di riferimento.

In conclusione, con il presente lavoro la Commissione intende offrire un contributo al dibattito su una materia che interessa numerose realtà locali, anche in vista nella nuova Conferenza nazionale sulle servitù militari in programma nel 2008. La Conferenza fa seguito a quella svoltasi nel maggio del 1981 che, aderendo ad una precisa volontà del Parlamento, aprì un dibattito istituzionale su una materia tanto delicata con l'obiettivo di trarre orientamenti generali.
La prossima Conferenza rappresenta quindi un importante appuntamento istituzionale per fare il punto sulle politiche di settore, a partire dall'approfondimento del nodo fondamentale del rapporto tra cittadino e Stato. La Conferenza, che eredita dalla precedente la questione irrisolta e tuttora problematica del riequilibrio territoriale, dovrà soprattutto fornire indicazioni di metodo per la ricerca di soluzioni condivise e flessibili, rispetto alla quale è tuttavia propedeutica la maturazione della riflessione, ancora in corso, sulla eventuale revisione del modello di difesa. Tale riflessione, infatti, come ha sottolineato il Ministro della difesa, riguarda l'equilibrio fra le tre principali variabili che contribuiscono alla difesa nazionale: i mezzi, le risorse e una terza variabile, fortemente politica, che influenza le altre due, concernente il livello di responsabilità che il Paese assume per la propria difesa e per la partecipazione alla difesa e alla sicurezza internazionale. A questa riflessione sono chiamate a dare il proprio contributo tutte le istituzioni politiche della Repubblica.