Commissioni Riunite I e II - Resoconto di marted́ 11 dicembre 2007


Pag. 11

SEDE REFERENTE

Martedì 11 dicembre 2007. - Presidenza del vicepresidente della I Commissione, Karl ZELLER. - Intervengono il sottosegretario di Stato per l'interno Marcella Lucidi e il sottosegretario di Stato per la giustizia Luigi Scotti.

La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

Karl ZELLER, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

Decreto legge 181/2007: Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza.
C. 3292 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

Pino PISICCHIO (IdV), presidente della II Commissione e relatore per la medesima, rileva che la competenza della Commissione Giustizia attiene principalmente alle disposizioni di natura giurisdizionale inerenti al procedimento di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza nonché a quelle di natura sostanziale penale. Queste ultime non sono necessariamente legate a tale procedimento. Mi riferisco, in particolare, all'articolo 1-bis inerente alle discriminazioni per determinati motivi, tra cui le tendenze sessuali.
Considerato l'acceso dibattito che questa disposizione ha suscitato nel Paese ed il confronto politico che ne è scaturito anche all'interno della stessa maggioranza, ritiene opportuno affrontare in primo luogo proprio tale norma.
L'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, è diretto a modificare il comma 1 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, con la quale è stata ratificata la convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
L'intervento del Senato è finalizzato ad ampliare due fattispecie penali che attualmente sono volte a sanzionare condotte discriminatorie (reclusione fino a tre anni)


Pag. 12

o violente (reclusione da sei mesi a quattro anni) poste in essere per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Senza toccare l'entità delle pene, si è inteso ampliare la norma prevedendo ulteriori motivazioni individuandole attraverso il rinvio all'articolo 13, n. 1, del trattato di Amsterdam. Queste nuove motivazioni consisterebbero nelle convinzioni personali, nell'handicap, nell'età e nelle tendenze sessuali. Anziché descrivere direttamente i nuovi motivi illeciti che possono sorreggere la condotta, il testo approvato dal Senato rinvia quindi alle ragioni di cui all'articolo 13 comma 1 del trattato di Amsterdam.
Qui si pone il primo problema. Il riferimento normativo non pare essere corretto, in quanto quello giusto non sarebbe l'articolo 13 ma l'articolo 2, punto 7. L'articolo 13 richiamato, infatti, prevede che il Trattato è concluso per un periodo illimitato. A parte la questione di non poco conto dell'esattezza del riferimento normativo (in caso di errore sarebbe necessario correggerlo e rinviare il testo al Senato), l'intenzione del Senato è stata quella di richiamare la disposizione che prevede specificatamente che il Consiglio può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. La novità più rilevante è data da quest'ultima motivazione: le tendenze sessuali.
A questo punto, quale relatore per la II Commissione e, ancora di più, quale Presidente della medesima Commissione, ritiene di dover fare alcune brevi considerazioni non tanto sul merito della disposizione quanto sulla scelta di inserire questa nel decreto-legge in esame nonostante la materia dell'omofobia fosse da circa un anno all'esame attento ed approfondito della II Commissione.
Sulla estraneità della materia rispetto al contenuto del decreto non rimane che fermarsi innanzi all'autonomia del Senato. Tuttavia, ciò non esime dal sottolineare che è oramai arrivato il momento di risolvere definitivamente la grave questione della diversità dei parametri di valutazione della estraneità di materia degli emendamenti tra i due rami del Parlamento. Non è rilevante la circostanza, richiamata al Senato, che la disposizione è stata inserita in un maxiemendamento sul quale è stata posta la fiducia e, quindi, come tale non soggetto a valutazioni di ammissibilità per l'omogeneità di materia. Tale disposizione, infatti, era stata già oggetto di un emendamento di iniziativa parlamentare dichiarato ammissibile.
È sin troppo evidente che la diversità dei parametri di valutazione sull'ammissibilità costituisce un grave vulnus al principio del bicameralismo perfetto, in quanto oramai si è creata una situazione in cui una Camera ha maggiori poteri rispetto l'altra. Tutto ciò è oggi ancora più imbarazzante in quanto il Senato si è sostanzialmente appropriato di una materia che era all'esame della Commissione giustizia della Camera dal febbraio scorso. Proprio oggi, dopo un approfondito e meditato iter legislativo, si sarebbero dovuti esaminare gli emendamenti presentati. Si è ripetuto nel giro di pochi giorni quanto già avvenuto per la class action in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria. Anche in questo caso una materia a lungo esaminata dalla Commissione è improvvisamente inserita dal Senato in un disegno di legge al suo esame.
Manifesta quindi il suo forte disagio di fronte al ripetersi di un fatto grave che vede mortificare il lavoro svolto da deputati di maggioranza ed opposizione della Commissione da lui presieduta. Da parte di tutti i gruppi si è cercato di trovare soluzioni equilibrate che tenessero conto delle giuste esigenze di tutela delle vittime di episodi gravi ma anche dei principi costituzionali su cui si fonda il nostro sistema penale. Mi riferisco in primo luogo al principio di legalità, tra i cui corollari vi è quello della determinatezza della fattispecie penale, la quale deve essere formulata in maniera tale da non lasciare dubbi interpretativi sull'esatto significato del precetto, cioè della condotta vietata. Altro principio da assicurarne il rispetto è


Pag. 13

quello della offensività. La condotta da punire deve essere lesiva di un bene giuridico la cui tutela penale viene considerata necessaria dal legislatore anche alla luce di bilanciamenti di interessi di valenza costituzionale.
Le Commissioni devono fare due valutazioni: la prima è sulla correttezza della scelta di rinviare ad un articolo (ovviamente a quello esatto) di un trattato internazionale, la seconda attiene alla questione dei cosiddetti reati di opinione, intendendo questi come quelli che puniscono non fatti lesivi di un bene giuridico bensì una manifestazione del pensiero. Per quanto riguarda il primo aspetto, si deve valutare se sia sufficiente il rinvio ad un trattato o se sia più opportuno - se non addirittura necessario - descrivere specificamente le motivazioni inerenti alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o alle tendenze sessuali.
Il problema più delicato da risolvere riguarda l'altra questione. Nel corso dell'esame in Commissione giustizia, ad esempio, si è posto il problema se possa essere considerato reato il manifestare il proprio pensiero circa l'inapplicabilità di determinati istituti giuridici in ragione dell'orientamento sessuale. Se ciò è sicuramente inaccettabile per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, si domanda se lo sia anche nel caso di tendenze sessuali. Nel dibattito in Commissione si è sostenuto che in questo caso è ragionevole - anche se può non essere condiviso - giustificare la discriminazione motivata dall'orientamento sessuale. Negli altri casi l'irragionevolezza della discriminazione è ben evidente. Da parte di altri si è invece sostenuto che la discriminazione in quanto tale è sempre e comunque da sanzionare penalmente. Invita, pertanto, le Commissioni a soffermarsi sulla compatibilità della norma approvata dal Senato con i principi di determinatezza e di offensività.
Per quanto attiene alle norme in materia di allontanamento rientranti nella sfera di competenza della Commissione Giustizia, la prima che si incontra (articolo 1, comma 1, lettera e) è il comma 7-quater, introdotto dal Senato all'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. Secondo tale norma, ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza l'autorità amministrativa tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, anche tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti a quelli per i quali si prevede l'applicabilità del mandato di arresto europeo anche in caso di mancanza di doppia incriminazione (articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69), di eventuali ipotesi di applicazione della pena a seguito di patteggiamento per i medesimi delitti, ovvero dell'appartenenza a taluna delle categorie considerate pericolose (articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575) nonché di misure di prevenzione disposte da autorità straniere o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere. Si tratta di una norma che in realtà non limita la discrezionalità dell'autorità amministrativa, quanto piuttosto la orienta. Infatti, si precisa che nell'adottare il provvedimento di allontanamento si tiene conto «anche» di eventuali condanne per determinati delitti ovvero della sottoposizione a particolari misure. Ciò significa che il provvedimento si può basare anche su altre valutazioni.
All'articolo 1, comma 1, lettera f) si trasforma da contravvenzione in delitto, punito con la reclusione fino a tre anni, il rientro nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso. Inoltre si prevede che si applicano le disposizioni sulla convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera da parte del giudice di pace, di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico sull'immigrazione. Il rinvio vale a garantire il rispetto dei princìpi costituzionali in materia di esecuzione dei rimpatri conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 15 luglio 2004.
Con l'articolo 20-bis, introdotto dal comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge, si regolamentano i casi in cui il destinatario


Pag. 14

del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza è sottoposto a procedimento penale. La disposizione rinvia alla disciplina dettata dal citato testo unico per i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, che si basa sulla richiesta del nulla osta all'espulsione all'autorità giudiziaria, che deve essere rilasciato entro quindici giorni dalla richiesta. In questi casi il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea. L'allontanamento non dà luogo alla sospensione del procedimento penale laddove si proceda per i reati di cui all'articolo 380 del codice di procedura penale e può essere effettuato solo in mancanza di misure cautelari detentive.
Il comma 2-ter, introdotto dal Senato, modifica il comma 3 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, diretto ad attuare la direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. In caso di tutela giurisdizionale dei diritti si prevede una inversione dell'onere della prova. La normativa vigente stabilisce che il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile. Il testo approvato dal Senato, invece, stabilisce che il qualora il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, deduca in giudizio elementi di fatto in termini gravi, precisi e concordanti, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento.
Il comma 3 modifica l'articolo 21 del decreto legislativo n. 30 del 2007 per garantire l'ottemperanza all'allontanamento del cittadino dell'Unione europea quando vengono a mancare le condizioni che determinano il soggiorno. La normativa europea consente l'allontanamento in tale ipotesi ma esclude che possa essere applicato il divieto di reingresso. È da sottolineare inoltre che in tali casi l'esecuzione da parte del questore del provvedimento sarebbe un inutile dispendio di risorse umane e finanziarie, considerato che il soggetto allontanato potrebbe rientrare immediatamente sul territorio nazionale. Per garantire efficacia al provvedimento, attraverso la sua esecuzione volontaria, si è prevista l'attestazione di ottemperanza all'allontanamento che il destinatario del provvedimento deve consegnare presso un consolato italiano. L'inosservanza della consegna dell'attestazione di ottemperanza comporta la sanzione, a carico del cittadino dell'Unione europea individuato sul territorio nazionale, dell'arresto da uno a sei mesi e di una ammenda da 200 a 2.000 euro.
Il comma 4 modifica l'articolo 22 del predetto decreto relativo alla disciplina sui ricorsi al TAR per adeguarla alle novità introdotte in materia di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza. In primo luogo si prevede un ulteriore caso in cui non rimane sospesa l'esecuzione del provvedimento fino all'esito dell'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento. Oltre al caso in cui il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale si prevede il caso in cui sussistano motivi imperativi di pubblica sicurezza. Si ampliano anche i casi in cui può non essere consentita la partecipazione al procedimento giurisdizionale ove sia stata già respinta la richiesta di sospensiva. L'esigenza relativa alla pubblica sicurezza non deve ricorrere necessariamente insieme a quella inerente all'ordine pubblico per negare l'ingresso in Italia, ma può essere da sola sufficiente per tale fine.
L'articolo 1-ter attribuisce competenze del giudice di pace al tribunale ordinario in composizione monocratica. Si tratta di quelle relative alla convalida del provvedimento del questore con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera dello straniero espulso dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o dal prefetto per


Pag. 15

altre ragioni nonché delle competenze relative al ricorso contro il decreto di espulsione (articolo 13 del testo unico sull'immigrazione). Si è così ritornati alla scelta effettuata nel 2002 e modificata nel 2004 attribuendo la competenza della convalida al giudice di pace. Si ricorda che la scelta del 2004 fu accolta con alcune perplessità in quanto per la prima volta si attribuivano competenze al giudice di pace in materia di libertà personale. Le sanzioni penali applicabile da tale giudice, infatti, non hanno mai natura detentiva. La ratio della norma deve essere vista nell'esigenza di sottolineare ancora di più la natura giurisdizionale del procedimento di convalida attraverso l'attribuzione della competenza al giudice togato anziché a quello onorario.

Roberto ZACCARIA (PD-U), relatore per la I Commissione, ricorda che il decreto-legge in esame risponde all'esigenza di introdurre nell'ordinamento giuridico strumenti per rendere più efficace l'allontanamento dei cittadini dell'Unione europea la cui presenza nel territorio nazionale contrasti con motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sicurezza dello Stato o per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. L'esigenza deriva anche dal fatto che le misure previste nel decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 - recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri - sono state dal Governo ritenute insufficienti ad assicurare un'effettiva esecuzione delle misure di allontanamento dei cittadini comunitari nelle suddette circostanze.
Osserva che il decreto-legge in esame prevede l'adozione di provvedimenti riconducibili alla controversa categoria delle misure di prevenzione ante delictum. Al riguardo, fa presente che, sebbene la Corte costituzionale abbia dichiarato la legittimità costituzionale di tali misure, riconoscendo vigente nell'ordinamento un principio implicito di prevenzione e sicurezza sociale, occorre che il legislatore presti la massima cautela a che gli istituti non si pongano in conflitto con i principi costituzionale, in particolare con l'articolo 13 della Costituzione.
Quanto alle principali innovazioni introdotte con il decreto-legge in esame al citato decreto legislativo n. 30, ricorda che, accanto al potere riconosciuto in capo al Ministro dell'interno di adottare un provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, previsto dall'articolo 20, comma 7, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, il decreto-legge in esame ha introdotto un'analoga competenza in capo al prefetto per motivi di pubblica sicurezza. Inoltre, nel decreto legislativo n. 30 è previsto che il provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico adottato dal Ministro dell'interno ed il provvedimento di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza adottato dal prefetto indichino il termine stabilito perché l'interessato lasci il territorio nazionale, termine che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica. Alla luce delle modifiche apportate con il decreto-legge in esame, qualora il cittadino dell'Unione si trattenga oltre il termine fissato dai suddetti provvedimenti ovvero quando il provvedimento è fondato su motivi di sicurezza dello Stato o su motivi imperativi di pubblica sicurezza, il questore dispone l'esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento. I motivi di pubblica sicurezza, poi, sono imperativi quando il cittadino dell'Unione o un suo familiare, qualunque ne sia la cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza. Nel caso in cui il provvedimento di allontanamento sia immediatamente eseguito per motivi imperativi di pubblica sicurezza ad opera del questore, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico sull'immigrazione, di cui al decreto


Pag. 16

legislativo 25 luglio 1998, n. 286: è cioè richiesta la comunicazione del provvedimento del questore al giudice di pace entro quarantotto ore ai fini dell'eventuale convalida. Viene introdotto uno strumento per rendere più efficace l'allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. Unitamente al provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto nel caso in cui vengano a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell'interessato, si prevede che sia consegnata all'interessato una attestazione di obbligo di adempimento dell'allontanamento da presentare presso il consolato italiano del Paese di cittadinanza dell'allontanato. Qualora il cittadino allontanato sia individuato oltre il termine di allontanamento, senza aver provveduto alla presentazione dell'attestazione presso il consolato è punito con l'arresto da un mese a sei mesi e con l'ammenda da 200 a 2.000 euro. Avverso il provvedimenti di allontanamento adottato dal Ministro dell'interno è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; avverso i provvedimenti di allontanamento adottati dal prefetto è ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che lo ha disposto. Contestualmente al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento: fino all'esito dell'istanza di sospensione, l'efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero su motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Si sofferma quindi sulle modifiche relative alla disciplina delle espulsioni introdotte al decreto-legge al Senato in sede di conversione, che giudica rilevanti e funzionali a conferire al provvedimento una maggiore rispondenza al dettato costituzionale. Innanzitutto, viene espressamente affermato che i provvedimenti di allontanamento adottati nei confronti di cittadini dell'Unione o di loro familiari non possano essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona di cui si dispone l'allontanamento, ribadendo in tal modo la centralità del principio di personalità della responsabilità penale, intesa in senso estensivo nel caso di specie, relativo all'applicazione di provvedimenti di allontanamento riconducibili alla categoria delle misure di prevenzione. Il Senato non ha invece modificato le tipologie di provvedimenti di allontanamento. Viene però aumentato da tre a dieci anni il termine massimo per il divieto di reingresso nel territorio nazionale nel caso del provvedimento di allontanamento adottato dal Ministro dell'interno e da tre a cinque anni il termine massimo per il divieto di reingresso nel territorio nazionale nel caso del provvedimento adottato dal prefetto. Viene inoltre specificato che il termine per l'allontanamento previsto dal provvedimento può, sì, essere inferiore ad un mese nei casi di comprovata urgenza, ma in tal caso non può essere comunque inferiore a dieci giorni. Viene introdotta la possibilità di presentare domanda di revoca del divieto di reingresso conseguente all'adozione di un provvedimento di allontanamento. Il cittadino dell'Unione può presentare domanda di revoca dopo che dall'esecuzione del provvedimento sia trascorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso siano decorsi tre anni. Sulla domanda decide l'autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento. È previsto che i provvedimenti di allontanamento siano adottati anche tenendo conto delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell'Unione. La necessaria convalida, da parte del giudice, del provvedimento di allontanamento, già prevista conformemente alla giurisprudenza della Corte costituzionale - ed in particolare alla sentenza n. 222 del 2004 - dal decreto-legge con riferimento all'esecuzione immediata da parte del questore del provvedimento di espulsione in caso di motivi imperativi di pubblica sicurezza, viene estesa anche ai casi di esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento nelle ipotesi in cui l'interessato si trattenga oltre il termine fissato nei provvedimenti di allontanamento, attraverso un rinvio all'articolo


Pag. 17

13, comma 5-bis del testo unico sull'immigrazione. Attraverso una modifica dello stesso testo unico - modifica che, quindi, viene ad incidere anche sulla vigente disciplina relativa all'espulsione amministrativa dei cittadini extracomunitari - la legge di conversione toglie al giudice di pace la competenza alla convalida, attribuendola al tribunale ordinario in composizione monocratica.
Vengono poi introdotte due rilevanti modifiche alla disciplina dell'esecuzione immediata dell'allontanamento disposta dal questore. In primo luogo, è introdotta una più stringente determinazione dei presupposti in presenza dei quali i motivi di pubblica sicurezza possono qualificarsi come imperativi, così da delimitare i margini di valutazione discrezionale da parte del questore chiamato ad eseguire immediatamente il provvedimento di allontanamento. I motivi imperativi di pubblica sicurezza si intendono sussistenti non - come genericamente prevede il decretolegge nel testo del Governo - vi siano comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza, bensì quando la persona da allontanare abbia tenuto «comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, rendendo urgente l'allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza». In secondo luogo, è previsto che ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza si tenga anche conto di eventuali condanne per una serie di delitti elencati dalla stessa legge di conversione.
Si sofferma, da ultimo, sulla norma, introdotta dal Senato in sede di conversione del decreto-legge, contenente un errato rinvio al Trattato di Amsterdam. Ricorda che il testo del disegno di legge di conversione approvato dal Senato contiene una modifica all'articolo 3, comma 1, della legge 10 ottobre 1975, n. 654, la cosiddetta «legge Napolitano», attraverso la quale si intendeva introdurre la previsione della reclusione fino a tre anni per chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione «di cui all'articolo 13, paragrafo 1, del trattato di Amsterdam» e della reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque inciti a commettere violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi.
Rileva, tuttavia, che la norma penale, così come risultante dal rinvio al trattato di Amsterdam, è inapplicabile, essendo il rinvio erroneo in quanto fatto ad un articolo del tutto estraneo: il riferimento corretto essendo infatti quello all'articolo 13, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, così come modificato dal Trattato di Amsterdam. La norma erronea, pur se positiva negli intenti, non appare d'altra parte essenziale all'interno di un decreto-legge che presenta comunque una sua omogeneità di contenuto, conformemente a quanto richiesto dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 171 del 2007. Sarebbe pertanto irragionevole, a suo avviso, correre rischio che il decreto-legge in esame, che risponde all'esigenza necessaria ed urgente di introdurre misure di prevenzione in grado di dare effettive risposte a fenomeni di grave allarme sociale, non sia convertito in tempo a causa dell'ulteriore lettura da parte del Senato che si renderebbe necessaria a seguito di una modifica del testo fatta dalla Camera.
Per queste ragioni ritiene opportuno procedere comunque all'approvazione della legge di conversione così come approvata dal Senato, dato che le finalità costituzionali risultano tutelate ad una scrupolosa lettura del provvedimento, il perseguimento delle esigenze di sicurezza e prevenzione appare compatibile con il dettato costituzionale.

Pino PISICCHIO, presidente della II Commissione e relatore per la II Commissione, nel rilevare che la relazione dell'onorevole Zaccaria risulterà molto utile nel prosieguo dell'esame, sottolinea come, per quanto tutti sostanzialmente concordino


Pag. 18

sulla inapplicabilità dell'articolo 1-bis, tale intervento normativo apporti una modifica alla cosiddetta «legge Mancino», il che apre un ampio fronte di problemi, soprattutto relativi ai processi pendenti, che occorrerebbe risolvere.

Roberto ZACCARIA (PD-U) riterrebbe utile che il Governo fornisse chiarimenti riguardo all'impatto che il mantenimento della norma in questione determinerebbe sull'ordinamento e sullo svolgimento dei processi in corso, e si pronunciasse sull'opportunità di intervenire, per la correzione dell'errato riferimento normativo, mediante un distinto provvedimento.

Il sottosegretario Marcella LUCIDI si riserva di intervenire al termine dell'esame preliminare.

Jole SANTELLI (FI), intervenendo preliminarmente sull'ordine dei lavori, evidenzia la grave anomalia, peraltro verificatasi già in altre occasioni, derivante dalla circostanza che la Commissione si accinge ad esaminare un provvedimento che appare di fatto blindato sulla base delle recenti dichiarazioni congiunte dei rappresentanti di alcuni gruppi della maggioranza al Senato. Richiama inoltre le contrastanti dichiarazioni rese precedentemente dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, che aveva assicurato che nel corso dell'esame alla Camera il testo del decreto-legge sarebbe stato modificato in relazione all'erroneo riferimento normativo riguardante l'articolo 1-bis, capoverso 1, lettera a), sul rinvio all'articolo 13 del Trattato di Amsterdam. Esorta pertanto il Governo a fornire chiarimenti univoci sulla posizione che al riguardo intende assumere. Trova incongruo che la Camera debba costituire un organo di mera ratifica delle intese tortuosamente concordate dai gruppi della maggioranza al Senato. Fa notare che molteplici sono le criticità di merito e gli errori tecnici che caratterizzano il provvedimento in esame. Deplora l'affermazione del relatore per la I Commissione secondo cui, poiché la predetta norma di cui all'articolo 1-bis non produce effetti in quanto inapplicabile, allora non sussisterebbero motivi tanto urgenti da dover inevitabilmente apportare modifiche al decreto-legge, non rendendosi necessaria la soppressione della suddetta norma. Sostiene peraltro che l'approvazione del testo, nella versione trasmessa dal Senato, rappresenti un vulnus nell'impianto del decreto in quanto è venuto meno il riferimento normativo alla disciplina penale di contrasto alle discriminazioni di genere. Ritiene paradossale che sia lo stesso relatore per laI Commissione a sostenere che non sia necessario correggere un errore tecnico tanto palese. Fa notare che i tempi tecnici per risolvere le criticità segnalate non manchino; il vero problema attiene al rapporto fiduciario tra maggioranza e Governo al Senato. Ma se il Governo non crede di disporre della maggioranza parlamentare al Senato che sia in grado di sostenerlo dovrebbe immediatamente dimettersi. Per quanto riguarda il merito del provvedimento, osserva che il relativo contenuto sanzionatorio risulta depotenziato ed annacquato. Preliminare ad ogni approfondimento dei temi in discussione è tuttavia comprendere quali margini di intervento ci siano sul contenuto dell'articolato; al riguardo si impone un chiarimento esplicito ad opera del Governo, che esorta a pronunciarsi in merito alla possibilità di modificare le parti più contraddittorie del testo medesimo.

Graziella MASCIA (RC-SE), nel condividere la relazione svolta dal deputato Zaccaria, fa notare che risulta evidente la volontà del Senato di sanzionare le condotte discriminatorie, nonostante l'errore tecnico verificatosi in fase di approvazione del provvedimento di conversione nell'altro ramo del Parlamento. Ritiene necessario ricostruire l'iter del decreto-legge per valutarne la portata e gli effetti, come peraltro si evince dall'articolata relazione svolta dal relatore. Ravvisa l'opportunità di individuare una soluzione tecnica tale da conformare il testo all'orientamento voluto dalla maggioranza al Senato ed al fine di evitare che inopportuni passi indietro


Pag. 19

contribuiscano ad inficiare la credibilità delle istituzioni. Osserva che il principio di prevenzione, cui si ispira sostanzialmente il decreto-legge in esame, da tempo risulta oggetto di discussione in quanto residuo di un contesto storico-politico risalente nel tempo e connesso all'insorgere di timori legittimi dell'opinione pubblica sul piano della sicurezza, che sovente determinano però reazioni istintive ed emotive collegate a tragici eventi. Sottolinea che in tali circostanze l'onda emotiva di sconcerto e rabbia che si manifesta dinanzi a singoli tragici episodi criminosi rischia di far divampare reazioni anche xenofobe in relazione alle quali l'intervento delle istituzioni deve risultare fermo e rigoroso. Apprezza quindi le modifiche al testo apportate dal Senato mediante l'introduzione di norme contro le discriminazioni. Nel merito del contenuto del provvedimento d'urgenza condivide le ulteriori modifiche introdotte dal Senato, tese a garantire una maggiore conformità delle disposizioni del testo ai principi costituzionali, anche mediante una maggiore tipizzazione delle fattispecie ivi contemplate. Segnala l'opportunità di disancorare i profili di reddito dai presupposti per l'espulsione dallo Stato dei soggetti che delinquono, in adesione alla direttiva comunitaria che regola la materia. In relazione alla previsione di cui all'articolo 1-bis del testo, su cui si è incorsi nell'errore della formulazione, evidenzia che i trattati dell'Unione europea e di Amsterdam risultano ovviamente già recepiti dall'Italia. Si delinea pertanto un'esigenza politica di chiarezza e rispetto degli impegni assunti in relazione al contenuto della predetta norma. In particolare preannuncia la presentazione di un emendamento correttivo della disposizione in oggetto, ma si dichiara tuttavia disponibile e percorrere anche altre soluzioni purché il dato politico sia definito con chiarezza e si delinei un'assunzione di responsabilità da parte di tutti i gruppi della maggioranza e dello stesso Governo su tale specifica questione.

Carlo GIOVANARDI (UDC) stigmatizza l'atipico ed ingiustificato silenzio dei rappresentanti del Governo presenti in Commissione sui temi oggetto del dibattito. Ricorda che il Ministro per i rapporti con il Parlamento si è esplicitamente impegnato a nome del Governo, con dichiarazione formale ancorché rilasciata ad organi di stampa, a presentare una proposta emendativa del testo volta a correggere l'articolo 1-bis, capoverso 1, lettera a), relativa al rinvio all'articolo 13 del Trattato di Amsterdam, che appare del tutto incongrua in quanto erroneamente formulata rispetto agli obiettivi dichiarati dai proponenti della medesima. Quanto al merito della predetta disposizione, ritiene che essa preveda una fattispecie penale insufficientemente definita e tipizzata quanto a presupposti e ambito di applicazione. Ricorda che negli anni '90 la dottrina giuridica aveva sollevato pesanti rilievi e mosso una serrata critica al sistema penale sovietico basato sulla indeterminatezza di talune fattispecie delittuose, quale in particolare la previsione quale reato di atti contro il socialismo, con cui si riservava al giudice una eccessivamente ampia discrezionalità, che debordava nell'arbitrio, in ordine alla valutazione delle condotte imputabili. Reputa non serio sostenere, come asserito dal relatore per la I Commissione, il deputato Zaccaria, che la previsione di cui all'articolo 1-bis del testo, non essendo applicabile in quanto contempla un erroneo riferimento normativo e non dispiegando pertanto effetti giuridici, non rechi conseguentemente alcun nocumento all'ordinamento giuridico nel suo complesso. Nel biasimare tale opinabile valutazione, fa notare che la previsione in esame incide sulla normativa penale, prevedendo pene limitative della libertà personale quali il carcere fino a tre anni. Dichiara quindi che occorre evitare atteggiamenti superficiali nell'approfondimento dei temi in discussione e che si debbono valutare con estremo rigore le disposizioni recate dal testo che attengono a profili particolarmente delicati e regolano fattispecie penali che richiedono una assoluta tipizzazione e definizione in ordine


Pag. 20

ai presupposti che le connotano. Sottolinea che la norma del decreto su cui si accentuano i rilievi critici mossi dagli stessi rappresentanti della maggioranza intende reprimere penalmente forme di discriminazione sull'orientamento sessuale che risultano peraltro tuttora praticate e tollerate in paesi con i quali il Governo intrattiene relazioni e forme di collaborazione particolarmente condivise da taluni gruppi della maggioranza. Valuta inoltre negativamente la suddetta disposizione, in quanto essa rischia di configurare come reato anche l'espressione di semplici giudizi di dissenso e biasimo rispetto a modelli di vita ... ai valori di quanti professano la dottrina della Chiesa o comunque ritengano sbagliate tali tendenze, in tal modo di fatto introducendo nell'ordinamento una fattispecie di reato di opinione. Su tali aspetti ritiene necessario un intervento del Governo affinché fornisca chiarimenti in ordine alla posizione che intende assumere nel prosieguo del dibattito. Ritiene che i tempi tecnici per risolvere i profili critici e le incongruenze testé evidenziate siano ampiamente disponibili prima della scadenza del termine ultimo per la conversione in legge del decreto in esame. Altro discorso è la sussistenza di problemi politici in seno alla maggioranza che ostacolano una lineare valutazione delle problematiche evidenziate. Lamenta in conclusione il degrado politico-istituzionale derivante dalla circostanza che, per evitare un dissolvimento della maggioranza parlamentare al Senato in caso di un'eventuale modifica del decreto-legge, si ritenga preferibile approvare un testo recante una disposizione visibilmente liberticida, indefinita sotto i profili della tipicità dei suoi presupposti e tecnicamente errata sotto il profilo della formulazione formale.

Pino PISICCHIO, presidente della II Commissione e relatore per la medesima, ricorda agli onorevoli Giovanardi e Santelli che la programmazione dei lavori delle Commissioni riunite è prerogativa delle medesime Commissioni, potendo quindi apparire superfluo chiedere al Governo quali siano i suoi intendimenti in ordine al decreto in esame.

Jole SANTELLI (FI) ribadisce che la dichiarazione ufficiale rilasciata dal ministro per i rapporti con il Parlamento, con cui lo stesso ha impegnato il Governo ad apportare le necessarie modifiche al decreto-legge, pone una questione di carattere politico che assume carattere dirimente rispetto al prosieguo del dibattito; non è pertanto ininfluente in tale sede apprendere dai rappresentanti del Governo presenti in Commissione se la posizione del Governo medesimo sia o meno mutata a seguito della divergente dichiarazione congiunta di alcuni dei capigruppo della maggioranza al Senato. Dichiara che il silenzio del Governo in Commissione pone quindi un problema politico che non può essere disconosciuto.

Franco GRILLINI (Misto-Socp.C) sottolinea come, nell'ambito di una discussione che assume profili sia tecnici che politici, non si può sottovalutare il dato fondamentale che il Senato ha approvato, con voto di fiducia, una norma che introduce non un reato di opinione, ma un inasprimento delle pene qualora si verifichino atti di violenza motivati dall'orientamento sessuale. Tali atti non possono e non debbono essere considerati meno gravi di quelli determinati da motivi razziali o religiosi, e la violenza contro gli omosessuali può essere in alcun modo tollerata.
Ricorda come il reato del quale si discute sia stato già introdotto sostanzialmente da tutti i Paesi europei, senza peraltro creare alcuno dei problemi paventati dai gruppi di opposizione. In particolare, non è stato mai intentato nessun processo nei confronti di un ministro del culto per le opinioni espresse da un pulpito. Sottolinea, anzi, come in genere siano stati proprio i governi di centro-destra ad introdurre le norme in questione. Ribadisce, quindi, come l'articolo 1-bis si incentri sugli atti di violenza e sull'istigazione alla violenza e non introduca affatto un reato di opinione.
Per quanto concerne l'errore materiale nella formulazione del predetto articolo,


Pag. 21

sottolinea come, in condizioni normali, dovrebbe essere sufficiente una mera correzione formale del testo, anche se gli attuali problemi della maggioranza sembrano rendere difficilmente praticabile questa soluzione. Ritiene, comunque, che la via percorribile per la correzione del testo sia quella indicata dall'onorevole Mascia.
Ritiene inaccettabile che solo in Italia non sia possibile introdurre delle fattispecie penali contro l'omofobia ricordando, a tale proposito, che l'Unione europea ha iniziato contro il nostro Paese una procedura di infrazione proprio per la sostanziale disapplicazione della direttiva del 2004 contro la discriminazione sui luoghi di lavoro. In tale contesto ricorda come tale direttiva sia stata paradossalmente applicata nel senso di consentire, anziché vietare, forme di discriminazione contro gli omosessuali e come lo stesso onorevole Giovanardi abbia ammesso tale circostanza. L'Italia quindi rimane l'unico Paese europeo dove è possibile licenziare o espellere dall'esercito una persona a causa del suo orientamento sessuale.
Sottolinea quindi come non sia assolutamente possibile pensare che una tutela giuridica, come quella che si intende introdurre con l'articolo 1-bis comporti, quasi in virtù di un automatismo, al estensione agli omosessuali di altri istituti giuridici, come appunto il matrimonio.
Ritiene che al provvedimento in esame debbano essere apportate le necessarie correzioni rispettando tuttavia la volontà politica espressa dal Senato, nel senso dell'introduzione nel nostro ordinamento di una norma contro l'omofobia. Precisa, infine, che in tale contesto non è corretto parlare di «tendenze sessuali», poiché «orientamento sessuale» è la dizione più corretta.

Giuseppe CONSOLO (AN) esprime, a nome di Alleanza nazionale, lo sconcerto per le modalità con le quali si sta procedendo all'esame del provvedimento, dal momento che lo stesso relatore Zaccaria ha affermato essere stato commesso un errore e che, tuttavia, tale errore non avrebbe alcuna rilevanza sostanziale. Al contrario il Presidente Pisicchio ha correttamente distinto le posizioni giuridiche da quelle politiche ed ha osservato come l'articolo 1-bis, per quanto sostanzialmente inapplicabile, venga a creare un grave vulnus nell'ordinamento, abrogando una parte della «Legge Mancino». Se non si vuole relegare questa assemblea ad una mera Camera di ratifica è necessario il provvedimento sia modificato e rinviato al Senato. Avverte quindi che, come segno di protesta, i deputati del suo gruppo abbandoneranno i lavori delle Commissioni.

Pierluigi MANTINI (PD-U) evidenzia come il provvedimento in esame ponga problemi di grande complessità. Condivide le preoccupazioni espresse dal Presidente Pisicchio, poiché, a prescindere dalle dichiarazioni del Governo, non possono essere trascurati gli effetti distorsivi dell'articolo 1-bis.
Dichiara di condividere la ratio complessiva del decreto, sia nella parte relativa all'immigrazione sia per quanto concerne l'esigenza di far fronte a situazioni di particolare allarme sociale. Condivide altresì la modifica, apportata dal Senato, relativa all'attribuzione al tribunale di competenze prima spettanti al giudice di pace.
Dichiara di non condividere tuttavia le modalità con le quali sono stati descritti i «motivi imperativi» che si pongono alla base del decreto di espulsione. In particolare, trattandosi di incidere sulla libertà personale, ritiene necessario stabilire dei parametri più oggettivi e determinati, facendo ad esempio riferimento a concetti quali l'attitudine a delinquere o le condizioni sociali e familiari. Ritiene che tali modifiche siano necessarie per rendere le fattispecie in questione compatibili con la Costituzione sotto il profilo della determinatezza.
Sottolinea quindi come, per introdurre una forma di tutela contro le discriminazioni, si vada ad abrogare una parte della


Pag. 22

«Legge Mancino», ovvero di quella legge che costituisce l'unico serio presidio contro la discriminazione, sostituendola con una sorta di promessa di intervento da parte del Governo che, seppure attuata, comunque ridurrebbe il livello di tutela.
In tale contesto ritiene che la soluzione più corretta sia quella di espungere l'articolo 1-bis dal decreto e di proseguire l'esame del tema dell'omofobia nella sede indebitamente espropriata dal Senato, ovvero la Commissione Giustizia della Camera. Respinge quindi con decisione le critiche che sono state mosse alla predetta Commissione, secondo le quali soprattutto la componente maschile dei deputati avrebbe perso tempo e ritardato l'approvazione del provvedimento concernente le molestie insistenti e l'omofobia. Ricorda infatti come in Commissione Giustizia si sia discusso fin troppo, con tutti i conseguenti ritardi, di problematiche di carattere sociologico, anziché dare una pronta risposta sul piano penalistico. Ritiene comunque che ora sussistano i presupposti per una rapida approvazione di una norma, adeguatamente formulata, da parte della Commissione Giustizia.
Sottolinea infine come la discriminazione consista nella negazione a taluno di diritti riconosciuti ed esistenti, a causa del suo orientamento sessuale e che con il testo in esame non si avvia certamente un processo di riconoscimento di diritti non esistenti.

Carlo LEONI (SDpSE) ritiene che sia un fatto positivo e rispettoso delle prerogative del Parlamento che il Governo, del quale peraltro la posizione non è ignota, intervenga al termine della discussione per fornire i chiarimenti richiesti. Dichiara quindi di condividere le considerazioni degli onorevoli Mascia, Grillini e del Presidente Pisicchio.
Invita i colleghi dell'opposizione ad essere coerenti e a non creare una polemica di carattere politico sulla disomogeneità del testo, ricordando, ad esempio, come la cosiddetta «legge Fini-Giovanardi» sia stata inserita nel contesto di un decreto-legge relativo alle olimpiadi invernali di Torino dagli stessi gruppi oggi all'opposizione.
Condividendo quanto affermato dall'onorevole Grillini, ribadisce che l'Italia non può più essere l'unico Paese europeo privo di una norma contro l'omofobia e sottolinea come tale vuoto normativo non possa essere certamente imputato alla Commissione Giustizia della Camera, bensì a ragioni politiche che riguardano la maggioranza. Il testo licenziato dal Senato, peraltro, contiene una norma viziata da un errore che la rende sostanzialmente vana. Sarà quindi necessario un intervento correttivo.
Per quanto concerne gli altri aspetti del decreto e alla reazione emotiva, conseguente al grave episodio di violenza che ha determinato l'emanazione di tale decreto, invita ad evitare ogni facile generalizzazione. Il problema che si intende risolvere non è rappresentato dai romeni o più in generale dagli stranieri in Italia, quanto dagli uomini che uccidono le donne.
Replicando all'onorevole Santelli, sottolinea come le modifiche apportate dal Senato abbiano reso il decreto più rigoroso. L'importante è che vi sia intesa sullo scopo che si intende perseguire. Se infatti si vogliono espellere quanti più romeni possibile, allora in effetti servirebbero delle fattispecie più generiche e meno determinate. Se invece lo scopo è quello di identificare ed allontanare i soggetti pericolosi, allora occorre apprezzare l'intervento del Senato nella definizione di fattispecie più chiare. Ricorda quindi che il decreto in esame non riguarda i romeni, ma tutti i cittadini dell'Unione europea.
Per quanto concerne il trasferimento di competenze dal giudice di pace al tribunale, ricorda come in passato l'attuale opposizione si mostrò molto critica nei confronti della decisione di attribuire ai giudici di pace competenze che potessero incidere sulla libertà personale. Oggi, al contrario, i medesimi gruppi di opposizione esprimono una opinione diametralmente opposta. La realtà è che, nel caso di specie, pur manifestando apprezzamento per il pregevole lavoro svolto dai magistrati


Pag. 23

onorari, appare più rigoroso affidare al giudice togato le competenze in questione.

Marco BOATO (Verdi) condivide l'intervento del vicepresidente Leoni in relazione alle problematiche evidenziate sull'articolo 1-bis del testo; si associa inoltre alle considerazioni espresse dai deputati Mascia e Grillini. Ravvisa l'opportunità di modificare il testo al fine di ripristinare la correttezza dei riferimenti normativi relativi alla disposizione contro le discriminazioni. Ritiene tuttavia necessario che i gruppi della maggioranza ed il Governo valutino con attenzione in quali termini condurre la prosecuzione del dibattito, atteso che dinanzi ad un corretto inizio dei lavori in Commissione si è registrato il pretestuoso ed immotivato abbandono dei lavori da parte dei gruppi dell'opposizione. Conclude richiamando quindi il caso del decreto-legge sulle olimpiadi di Torino.

Karl ZELLER, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.55.