Commissioni Riunite III e IV - Resoconto di mercoledì 6 febbraio 2008


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 6 febbraio 2008. - Presidenza del presidente della III Commissione, Umberto RANIERI, indi del presidente della IV Commissione, Roberta PINOTTI. - Intervengono il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, e il sottosegretario di Stato per la difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri.

La seduta comincia alle 14.40.

DL 8/2008: Disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.
C. 3395, Governo.
(Esame e rinvio).

Le Commissioni riunite iniziano l'esame del provvedimento in titolo.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione e relatore per la III Commissione, avverte che, ove non vi siano obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Passando ad esaminare i contenuti del decreto-legge in esame di competenza della III Commissione, rileva che il provvedimento si colloca in una fase transitoria per lo scenario internazionale, segnata dalla campagna elettorale negli Stati Uniti, in cui sono oggetto di confronto i futuri indirizzi di politica estera, e dalla sigla del Trattato di riforma dell'Unione europea, che ha accresciuto il ruolo dell'Unione europea nella politica estera e di difesa. Sottolinea che negli ultimi due anni l'Italia ha assolto con efficacia ai compiti derivanti dalla partecipazione dei militari italiani alle missioni internazionali a sostegno dei processi di pacificazione e stabilizzazione. Dopo il ritiro dall'Iraq, l'Italia non si è sottratta ad un impegno sul versante civile in tale Paese mantenendo fermo il proprio impegno nei diversi contesti di crisi considerati dal decreto-legge. La presenza italiana nelle missioni internazionali è peraltro sempre orientata all'obiettivo del rafforzamento del multilateralismo, all'estensione del negoziato civile come alternativa al conflitto armato e ad una forte iniziativa collaterale nei settori dell'assistenza civile, della promozione


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dello sviluppo e dell'aiuto umanitario. La partecipazione italiana, come più volte ricordato in precedenti dibattiti, è legittimata dal rispetto integrale dell'articolo 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli, consentendo al nostro Paese l'assunzione di responsabilità delle missioni internazionali. Nei diversi teatri, dai Balcani all'Afghanistan, i nostri militari operano in base al principio codificato dalla Carta delle Nazioni Unite che considera l'uso della forza ammissibile solo se per legittima difesa o per ripristinare la pace e la sicurezza internazionale. In generale, il nostro Paese ha più saldi riferimenti al sistema delle Nazioni Unite - nel quale siamo riusciti a far passare un'iniziativa di rilevanza mondiale - ma anche all'Europa e alla NATO. Queste considerazioni sottolineano che, anche in vista delle prossime elezioni politiche, il nostro Governo si è ispirato ai principi costituzionali ed ha sempre operato affinché l'Italia assolvesse con dignità e dedizione ai suoi compiti.
Quanto ai singoli contesti di impegno, rileva che in ognuno di essi sono presenti elementi di rischio e di tensione e che i militari svolgono un ruolo essenziale per evitare che lo stato della sicurezza peggiori o precipiti. In queste situazioni l'Italia è ben presente e svolge un ruolo da protagonista anche sul terreno diplomatico, della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario.
Per quanto concerne l'Afghanistan, vi è piena consapevolezza dei motivi di preoccupazione che riguardano la situazione nel sud del Paese e lungo i confini con il Pakistan dove i talebani mantengono la propria influenza, ma anche nella capitale ed in alcune aree del Nord. Non è possibile nascondere che, malgrado gli anni trascorsi, in Afghanistan non si è riusciti ancora a raggiungere risultati significativi sul versante del contrasto al narcotraffico e resta irrisolto il problema della corruzione dell'apparato pubblico. In questo contesto, la presenza di ISAF rappresenta un intervento che riguarda l'intera comunità internazionale e che va in varie direzioni, come testimoniano i dati relativi agli aiuti internazionali affluiti in Afghanistan nel solo biennio 2004-2005, superiori ai 3,3 miliardi di dollari. Queste risorse potrebbero essere orientate verso la crescita economica del Paese, considerato che l'instabilità e l'insicurezza non incoraggiano certo gli investimenti in un Paese che ha potenzialità di sviluppo ancora inespresse. Sono stati compiuti passi avanti da parte del Governo Karzai per dotare il Paese di un apparato amministrativo adeguato e di una rule of law convincente, con conseguenze positive per lo stato dei diritti umani, ma anche per il settore degli investimenti stranieri. Il Governo Karzai ha promosso un'apertura verso ambienti talebani che potrebbero abbandonare le attività terroristiche e ha attuato una azione decisa contro la corruzione. In questo quadro è essenziale che la comunità internazionale riequilibri la propria presenza. Peraltro, la presenza dei militari fa sì che si concentrino risorse utili al miglioramento della vita dei cittadini, dei lavoratori, dei contadini afgani e all'azione di contrasto contro il crimine organizzato. Sottolinea, altresì, che la presenza dei militari è indispensabile ed inevitabile come presupposto per un maggior impegno sul piano civile ed economico.
Per quanto riguarda la situazione in Libano, appaiono raggiunti dei risultati che hanno portato a scongiurare la ripresa del conflitto tra Israele e Hezbollah e a ripristinare il controllo da parte dello Stato nel sud del Paese. Tuttavia, l'instabilità politico-istituzionale è tale da accrescere la preoccupazione sulle prospettive del Libano: il rinvio per ben tredici volte dell'elezione del Presidente della Repubblica ed i recenti scontri nel centro di Beirut fanno temere il riaccendersi della guerra civile. Peraltro, la mediazione proposta dalla Lega Araba stenta ad essere accolta dai protagonisti; si tratta di una mediazione che l'Italia sostiene in modo convinto in quanto da essa potrebbe dipendere la stabilizzazione politica del Paese. Esprime preoccupazione per gli attacchi contro le truppe UNIFIL a sud di Beirut lo scorso 8 gennaio ed i missili


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lanciati dal sud del Paese contro il territorio israeliano: per gli osservatori non si tratta dei segnali di un incipiente conflitto ma resta confermata la necessità di una presenza vigile. La precarietà della situazione libanese sul piano politico rafforza l'esigenza di una presenza internazionale autorevole, capace di interloquire con tutti e di affiancare alla presenza militare una forte iniziativa politica.
Passando ad un'analisi della situazione in Kosovo, richiama il dibattito svoltosi nella giornata di oggi presso le Commissioni Esteri di Camera e Senato e sottolinea che l'esito delle elezioni presidenziali in Serbia ha sancito la sconfitta del progetto nazionalista che aveva messo in discussione le scelte operate da Tadic. Adesso sarà possibile finalizzare l'Accordo di associazione e stabilizzazione tra l'Unione europea e la Serbia. L'Europa ha un grande ruolo da giocare in Kosovo e adesso è possibile delineare con chiarezza un percorso di integrazione della Serbia in Europa. La missione civile europea decisa lo scorso dicembre potrebbe essere definita entro breve termine con la firma dei ministri degli esteri europei. Per quanto concerne il Kosovo, l'Italia si è adoperata per la definizione di una soluzione condivisa, che non è stato possibile individuare. Nei prossimi mesi l'Italia dovrà mantenere una capacità di iniziativa e di dialogo in linea con la consapevolezza che Belgrado è cruciale per la stabilizzazione dei Balcani.
Infine, sottolinea la necessità di un impegno della comunità internazionale nell'Africa subsahariana, come in Kenya, Ciad e Darfur. Le tensioni in tale area hanno fatto riemergere le paure sulla trasformazione di tutta la fascia in una gigantesca area di instabilità endemica o di Stati falliti incapaci di garantire condizioni di sicurezza minime sul territorio.
In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, auspica un'ampia assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche presenti in Parlamento per il sostegno della presenza militare italiana all'estero.

Roberta PINOTTI, presidente della IV Commissione e relatore per la IV Commissione, nel concordare pienamente con le considerazioni svolte dal relatore della III Commissione, ricorda che il provvedimento è composto da 8 articoli, raggruppati in 3 capi.
Il capo I (articoli 1 e 2) prevede disposizioni relative agli interventi di cooperazione allo sviluppo e umanitari, nel contesto dei processi di pace e stabilizzazione da perseguire in diverse aree del mondo.
Il capo II provvede alla proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia (articolo 3), e reca le relative norme sul personale (articolo 4), nonché quelle in materia penale (articolo 5) e contabile (articolo 6).
Il capo III contiene le disposizioni finali, relative alla copertura finanziaria (articolo 7) ed all'entrata in vigore del decreto-legge (articolo 8).
Sottolinea come buona parte delle disposizioni del decreto-legge si rendano necessarie a causa della mancanza di una legislazione di carattere generale che disciplini i molteplici aspetti normativi connessi allo svolgimento delle missioni internazionali. Per colmare questa lacuna nonché per disciplinare in maniera esaustiva i rapporti tra Governo e Parlamento in ordine all'invio di contingenti militari all'estero, nel corso della legislatura le Commissioni Esteri e Difesa avevano esaminato alcune iniziative legislative, una delle quali a sua firma, volte all'introduzione di una disciplina quadro sulla partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali. Esprime quindi rammarico per il fatto che l'iter legislativo delle citate proposte di legge non sia giunto a conclusione, considerata l'importanza che avrebbe avuto una normativa quadro per tutti coloro che operano in missioni internazionali.
Considerazioni analoghe valgono anche con riferimento alla proposta di legge C. 2098, a sua firma, concernente la riforma del codice penale militare di pace che prevedeva l'applicazione di specifiche disposizioni per il personale militare impegnato


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nelle missioni internazionali, il cui esame era stato avviato dalle Commissioni Giustizia e Difesa, riscuotendo l'apprezzamento del Governo e dei soggetti intervenuti nel corso dell'attività conoscitiva, vale a dire il Capo di Stato Maggiore della Difesa e il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri. Auspica quindi che nella prossima legislatura siano presentate analoghe iniziative legislative, in quanto esse consentirebbero di porre rimedio alle attuali lacune normative.
Per quanto concerne le singole missioni che il presente decreto rifinanzia, nel rinviare alle valutazioni del relatore per la III Commissione, fornisce alcuni dati relativi alle tre principali missioni che, pur svolgendosi in contesti tra loro molto diversi, sono assimilabili dal punto di vista dello sforzo in esse profuso dall'Italia, vale a dire, le missioni in Libano, Afghanistan e nei Balcani.
In particolare, l'Italia è presente in Libano con 2458 militari, 900 mezzi terrestri e 6 aeromobili; in Afghanistan, con 2350 militari, 647 mezzi terrestri e 16 aeromobili e nei Balcani è impegnata con 2380 militari, 977 mezzi terrestri, 3 mezzi navali e 4 aeromobili.
Nel sottolineare le particolari caratteristiche della missione afgana, che sta mostrando tutta la sua pericolosità a causa della recrudescenza delle attività terroristiche che si è avuta nell'ultimo anno, evidenzia come in generale tutte le missioni si caratterizzino per il forte impegno dei militari italiani in attività di particolare delicatezza quali quelle di sminamento di scorta e di pattugliamento.
Rivolge quindi un sentito ringraziamento a tutti i militari italiani che, sulla base del mandato parlamentare e nel rigoroso rispetto della Costituzione operano nelle missioni internazionali.
Tornando al teatro afgano, nel rimarcare la criticità della situazione geopolitica, sottolinea come l'Italia abbia seguito una linea di azione, che in un'ottica multinazionale, esclude un ritiro unilaterale delle truppe e tende invece a promuovere nuove iniziative politiche per la pacificazione dell'area.
In questa prospettiva, il mantenimento del contingente in Afghanistan appare al momento una condizione, a suo avviso, necessaria anche se non sufficiente alla stabilizzazione del Paese.
In conclusione auspica che nel corso della discussione si possano mettere a fuoco tutte le questioni che aiutino a comprendere i diversi contesti in cui operano i nostri militari italiani i quali, per la preziosa attività svolta, meritano il pieno sostegno del Parlamento.

Il viceministro Ugo INTINI svolge considerazioni generali sullo spirito del provvedimento all'esame delle Commissioni riunite per poi procedere ad una panoramica degli scenari internazionali in cui sono inserite le principali missioni internazionali cui l'Italia partecipa.
Segnala che il primo punto di carattere generale riguarda la dimensione multilaterale che caratterizza il provvedimento. L'impegno della comunità internazionale nella gestione collettiva delle crisi regionali, prevalentemente sotto l'egida delle maggiori organizzazioni internazionali, è infatti in costante crescita. Cresce la consapevolezza che sia interesse diretto prevenire la diffusione dei fattori di instabilità che - nel mondo globalizzato - si propagano inevitabilmente e rapidamente sui nostri stessi paesi anche da aree lontane. Cresce inoltre la coscienza della responsabilità morale dei paesi più avanzati di doversi fare carico delle crisi umanitarie che conflitti e tensioni regionali portano con sé.
Rileva inoltre che l'Italia come Paese profondamente incardinato nel sistema di relazioni internazionali condivide e sente di dover compartecipare questa responsabilità. In questo ambito la stabilizzazione delle condizioni di sicurezza è una componente spesso essenziale del «multilateralismo efficace» in quanto il ripristino di condizioni di sicurezza fondamentali costituisce in molti casi un presupposto irrinunciabile per la messa in opera di attività di ricostruzione e sviluppo civile. Essenziale è non sottrarre ma piuttosto restituire alle parti in causa la gestione


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delle crisi una volta ripristinate le condizioni essenziali, promuovendo e rafforzando i meccanismi di ownership locale. In questa logica deve essere letto ad esempio il forte recente impulso dato all'Unione Africana dalle Nazioni Unite in alcune zone di crisi del continente. Per quanto concerne, invece, le Nazioni Unite - alle cui attività, come noto, l'Italia contribuisce in maniera significativa anche quale membro non permanente del Consiglio di Sicurezza - evidenzia che hanno rafforzato concretamente il proprio ruolo di primario attore internazionale nel mantenimento della pace soprattutto nel martoriato continente africano, sia in termini di numero delle missioni dispiegate, pari a 18, che di consistenza numerica di alcune di esse, per un totale di oltre 80.000 unità impiegate. Il mandato dei caschi blu è stato inoltre esteso in numerosi casi, con l'assegnazione di funzioni di assistenza alle autorità locali per il rafforzamento delle strutture di governo e per il consolidamento del processo democratico e dello stato di diritto. Sottolinea che ci troviamo infatti in presenza di un processo - promosso dal Consiglio di Sicurezza, organo responsabile dell'istituzione delle missioni e della definizione del loro mandato - che vede nelle Nazioni Unite l'attore centrale per la legittimazione degli interventi della Comunità Internazionale nelle varie situazioni conflittuali.
In riferimento al rafforzamento dell'Europa come attore globale, rileva che il 2007 ha inoltre segnato l'avvio di nuove missioni guidate dall'Unione europea, di natura sia civile sia militare, con particolare riguardo a quelle in Afghanistan e in Kosovo con compiti che vanno dal mantenimento della pace, al monitoraggio dell'attuazione di processi di pace, alla consulenza e all'assistenza nei settori militare, di polizia, di monitoraggio delle frontiere e dello stato diritto. Questo rapido aumento del livello di attività dell'Unione europea nel settore della gestione delle crisi - che l'Italia ha attivamente sostenuto e cui ha partecipato con risorse umane e finanziarie - ha contribuito ad incrementare la visibilità e l'efficacia dell'azione dell'Unione europea sulla scena internazionale. Dall'esame delle principali operazioni attualmente in corso, che toccano ormai tre continenti: l'Europa, l'Asia e l'Africa, e delle iniziative in via di preparazione emerge con chiarezza il ruolo-chiave ormai assunto dall'Unione europea nella gestione di situazioni di ricostruzione post-conflittuale.
Segnala inoltre che, nell'anno appena trascorso, si è anche consolidata l'affermazione del ruolo globale della NATO a tutela della sicurezza internazionale; il rafforzamento del suo intervento nella gestione delle crisi; l'affinamento delle sue capacità in materia di formazione delle forze di sicurezza dei paesi post-conflitto anche attraverso il meccanismo dei fondi fiduciari, cui l'Italia fornisce il proprio contributo; il potenziamento del suo ruolo politico e dei meccanismi di consultazione, non solo transatlantici, ma anche con i paesi partner, al fine di facilitare il consenso per l'azione nelle crisi ma anche di prevenire la loro insorgenza; un più intenso ed organico raccordo con gli altri principali attori internazionali, Unione europea e Nazioni Unite in primis.
Fa presente che, come si è detto, la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali è principalmente finalizzata all'affermazione di processi di costruzione o rafforzamento delle istituzioni centrali e locali. È in questo contesto che si colloca, come nel 2007, la decisione di stanziare nell'ambito della nostra partecipazione alle missioni internazionali in Afghanistan, Libano, Sudan e Somalia, nuovi fondi per la cooperazione allo sviluppo. A dimostrazione della priorità assegnata alle tematiche dello sviluppo, merita essere sottolineato che il decreto-legge prevede di destinare fondi aggiuntivi rispetto a quelli già assegnati alla cooperazione allo sviluppo dalla legge finanziaria per un ammontare complessivo di 94 milioni di euro per il 2008.
Al fine di assicurare maggiore flessibilità nella ripartizione dei finanziamenti in aderenza alle specifiche esigenze che potranno al riguardo manifestarsi, si è ritenuto preferibile indicare nella norma


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l'ammontare complessivo destinato alla realizzazione di interventi di cooperazione per assicurare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e il sostegno alla ricostruzione civile in Afghanistan, Iraq, Libano, Sudan e Somalia, anziché precisare gli importi relativi agli interventi in ciascun Paese.
Rileva, altresì, che l'Italia sta offrendo il principale contingente di truppe alla forza di pace UNIFIL, mantenendosi così ai primissimi posti - al primo fra i Paesi occidentali - nella graduatoria dei Paesi contributori di truppe alle missioni delle Nazioni Unite. Il preminente contributo dell'Italia ha svolto un effetto di catalizzatore per il rafforzamento di UNIFIL - divenuta la terza maggiore missione ONU - e per la partecipazione ad essa di altri Paesi europei. Ben 16 Paesi dell'Unione europea hanno infatti inviato truppe, in particolare, oltre all'Italia, la Francia (circa 1600 unità), la Spagna (circa 1100) e la Germania (circa 900 unità). Dal prossimo marzo l'Italia assumerà anche il comando della componente navale di UNIFIL (EUROMARFOR). Il contributo italiano ha avuto anche una sua dimensione organizzativa con interessanti potenziali di sviluppo per quanto riguarda il comando e controllo delle operazioni di caschi blu. Su nostro impulso è stata infatti creata una Cellula Strategica Militare presso il Dipartimento per le Operazioni di Pace dell'ONU (DPKO) che risponde a tre esigenze, fortemente sentite in passato: coinvolgere i vari Paesi contributori nell'adozione delle decisioni a carattere strategico; assicurare il raccordo effettivo tra le forze sul campo ed il vertice politico dell'ONU; integrare il DPKO con un'expertise puramente militare.
Fornisce quindi degli aggiornamenti sugli ultimi sviluppi dell'attuale situazione politica in Libano. L'attentato nel quale ha perso la vita il responsabile del Dipartimento tecnico della componente intelligence delle forze di sicurezza interne libanesi, Wissam Eid, e gli scontri (tra i più gravi dalla fine della guerra civile) scoppiati lo scorso 27 gennaio nella periferia sciita di Beirut-sud provocando la morte di otto militanti dei movimenti Amal e Hezbollah e il ferimento di più di 40 civili, stanno facendo assumere alla crisi politico-istituzionale libanese contorni sempre più critici. Ciò anche perché erano stati preceduti dall'attacco contro il contingente UNIFIL dello scorso 8 gennaio che ha provocato il ferimento di due militari irlandesi e il successivo attentato del 15 gennaio contro un veicolo dell'ambasciata degli Stati Uniti.
Le dure dichiarazioni di esponenti delle forze dell'opposizione al Governo Siniora, a cominciare dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in cui sono state preannunciate azioni decisive e iniziative popolari, lasciano peraltro presagire ulteriori criticità. Ciò, mentre il Libano appare sempre più manifestamente soggetto a influenze non solo endogene, che alimentano dinamiche ulteriormente destabilizzatici le cui principali vittime continuano ad essere le istituzioni del Paese.
Intanto, è stata rinviata per la tredicesima volta, all'11 febbraio, la seduta per l'elezione del Presidente della Repubblica che vede nella figura del Generale Suleiman il candidato più accreditato. Occorre tuttavia attendere gli esiti dell'inchiesta avviata nei giorni scorsi dalle stesse forze armate, i cui esiti saranno fondamentali per poter valutare le prospettive di una eventuale inversione del grado di conflittualità in Libano.
L'Italia sostiene con convinzione la meritoria opera di mediazione svolta dalla Lega Araba, con il vivo auspicio che possa permettere di rilanciare i negoziati tra gli opposti schieramenti che rimangono arenati sulla nota questione della composizione del governo di unità nazionale: le forze politiche dell'opposizione chiedono il riconoscimento della cosiddetta minoranza di blocco (o «di garanzia») o una ripartizione ministeriale - caldeggiata dal Presidente del Parlamento - basata su una formula che tuteli la capacità dell'opposizione sulle scelte strategiche in occasione delle principali votazioni del Governo.
L'Italia rimane fortemente impegnata in un'azione volta a favorire la ripresa di un dialogo costruttivo tra tutti i partiti


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politici libanesi dai quali si attendono segnali concreti della volontà unanime di uscire dalla crisi politica attraverso l'elezione del Presidente della Repubblica e l'avvio di un confronto, senza ambiguità, per la formazione di un Governo di Unità Nazionale.
Fa presente, inoltre che per quanto concerne l'Afghanistan, il nostro impegno nel quadro dell'Alleanza atlantica è costante nel tempo e di assoluto rilievo. L'Italia partecipa alla missione ISAF fin dalla sua costituzione; ne ha detenuto il comando complessivo dall'agosto 2005 al maggio 2006, periodo segnato, in apertura, dalle prime elezioni parlamentari del rinato Afghanistan. Attualmente, le forze armate italiane esercitano il comando della regione ovest del Paese, una delle cinque in cui è stato suddiviso il territorio e comprendente le province di Herat, Baghdis, Farah e Gowr. Attraverso il PRT di Herat si svolgono attività di addestramento, ricostruzione e assistenza umanitaria in una cornice di sicurezza mediante progetti di sviluppo del settore idrico, edilizio ed educativo. L'altra componente del contingente, di stanza nella capitale, è da poco subentrata nel comando della regione di Kabul, finora detenuto a rotazione con Francia e Turchia.
Carabinieri e guardia di finanza svolgono altresì ad Herat e a Kabul attività di formazione della polizia locale, sia in chiave bilaterale sia in ambito europeo con la Missione EUPOL. Tale missione PESD rappresenta una nuova importante area d'impegno in Afghanistan dell'Unione europea, presente anche con molteplici nuove iniziative finanziate dalla Commissione. EUPOL Afghanistan costituisce uno sforzo organico e diffuso sul territorio, ricollegato al settore della giustizia, di sostegno alla formazione e consulenza all'organizzazione del primario strumento di controllo della sicurezza a vantaggio della popolazione civile.
Va altresì assumendo un rilievo sempre più marcato il nostro contributo alla stabilizzazione di lungo periodo del Paese, attraverso la ricostruzione civile e la riforma delle istituzioni. Nel complesso la cooperazione italiana in Afghanistan ha impiegato circa 300 milioni di euro a partire dal 2001 (54,34 milioni di euro nel solo 2007). Essa prosegue tuttora una serie di attività tra cui, per il 2008, il completamento dei lavori della strada Kabul-Bamyan, gli interventi multisettoriali nella provincia di Herat e quelli nelle aree di Kabul e Baghlan a sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione (donne, minori e rifugiati) con attenzione alle finalità di sostegno alle istituzioni tanto al centro quanto a livello locale.
L'Afghanistan resta quindi una priorità e un impegno di lungo periodo laddove la stabilizzazione del Paese appare un elemento essenziale. Tale risultato dovrebbe essere conseguito attraverso un graduale processo di «afghanizzazione» delle forze armate e della polizia, utilizzando la presenza militare al fine di assicurare un contesto adeguato di sicurezza, con sempre maggiore attenzione dedicata alla ricostruzione civile.
Infine, segnala l'opportunità di rilanciare il progetto di una conferenza sull'Afghanistan che, sulla falsariga di quella sull'Iraq, coinvolga i Paesi confinanti che sono determinanti per il positivo esito della crisi nell'area. Al riguardo, segnala che i principali interlocutori internazionali si sono in varie sedi espressi in modo positivo sul valore politico di un'iniziativa cui il Governo italiano assicura un rilievo prioritario.
Passando ad un'analisi della situazione in Iraq, l'Italia assegna molta importanza al processo di stabilizzazione dell'Iraq e ha sviluppato dal 2003 ad oggi iniziative per oltre 250 milioni di euro a sostegno della ricostruzione civile ed economica del Paese. Tali interventi sono stati previamente concordati con le competenti autorità irachene - sia a livello centrale che a livello provinciale - e si sono sviluppati a favore del settore medico, della formazione, sostegno alle infrastrutture, formazione, capacity e institution building.
La complessità della situazione politica irachena e le difficoltà connesse al superamento della «de-bahath'ificazione» sono in parte mitigate da un lieve miglioramento


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del quadro della sicurezza, sia a Baghdad che nella provincia di Al Anbar, in particolare a Ramadi e Falluja. Buone notizie provengono altresì dall'economia: le autorità irachene hanno notevolmente migliorato la capacità di esecuzione del bilancio nazionale. Gli sforzi della comunità internazionale e dell'Italia potranno utilmente concentrarsi nell'attività a sostegno delle Autorità centrali e provinciali a sostegno della budget execution.
Il fulcro dell'attività italiana è l'unità di sostegno alla ricostruzione (USR), sita a Nassiriya, nella provincia del Dhi Qar, con il compito di assistere lo sviluppo di un'adeguata autonoma capacità gestionale irachena e assolvere al coordinamento delle attività della comunità dei donatori nel sud del Paese.
L'Italia intende garantire il mantenimento della struttura per il 2008, che si avvale della presenza di circa 10 connazionali, e che svolge una preziosa attività a sostegno dell'esecuzione del bilancio delle Autorità provinciali del Dhi Qar. La stipula del Trattato tra Italia e Iraq di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, avvenuta nel gennaio del 2007 a Roma, definisce il quadro giuridico di un quadro di relazioni bilaterali molto positivo. Nelle more della ratifica del Trattato, è stata già concordata con le competenti autorità irachene l'allocazione di una prima tranche del credito d'aiuto, per un ammontare pari a 100 milioni di euro, a favore del settore agro-industriale. Altrettanto importante è proseguire nell'attività di coordinamento dell'attività dei donatori internazionali a favore del processo di riabilitazione del tessuto istituzionale e produttivo iracheno tramite il mantenimento della presidenza del Comitato dei Donatori dell'IRFFI, International Fund Facility for Iraq.
L'Italia attua una politica organica e di ampio respiro nei confronti dei Balcani. Tale impostazione muove dall'assunto che i problemi della regione possono trovare una loro composizione esclusivamente all'interno di un disegno di coinvolgimento generale di tutti i suoi Paesi nell'Unione europea e nella NATO. Nel condurre tale azione, l'Italia si è impegnata in prima linea sia nel sostenere i processi di stabilizzazione democratica interni ai singoli Paesi, sia, non senza difficoltà, nel vincere le resistenze presenti nella comunità internazionale rispetto a tali scenari di allargamento dell'Unione europea e della NATO. Il disegno organico, cui si accennava, comprende la dimensione civile ed economica dell'Unione europea e quella parallela, relativa alla sicurezza collettiva regionale, incentrata sulla NATO.
I più recenti traguardi concreti in cui l'Italia può vantare di avere svolto un ruolo di primo piano sono: la firma dell'Accordo di Stabilizzazione ed Associazione (ASA) con il Montenegro, la parafatura dell'Accordo con la Bosnia e la Serbia, la concessione dello strumento di partenariato della NATO (i cosiddetti accordi di Partnership for Peace) a Serbia, Montenegro e Bosnia. Proprio in queste settimane si sta preparando il terreno per la concessione dello status di membro a pieno titolo della NATO alla Croazia, all'Albania ed alla Macedonia.
In questa sede desidera rammentare l'apporto di primo piano assicurato in tutti i vari snodi della complessa vicenda negoziale kosovara, che si sostanzia in una partecipazione di assoluto rilievo dell'Italia alle missioni internazionali (in particolare, della NATO e dell'Unione europea) che in Kosovo sono o stanno per essere dispiegate. L'Italia è, con la Germania, il primo contributore di KFOR e offrirà un contributo altrettanto rilevante alla missione PESD. Il pieno successo di queste missioni, inserito nella prospettiva più ampia della stabilizzazione della regione balcanica ed in vista della progressiva integrazione della regione nel contesto europeo ed atlantico, risponde ad un interesse strategico primario del nostro Paese. La gestione del futuro del Kosovo, in particolare, costituisce un banco di prova decisivo per la credibilità dell'Europa come attore internazionale. In Bosnia Erzegovina, l'Italia sostiene l'operato dell'Alto Rappresentante, l'ambasciatore Miroslav Lajcak. Lo scorso novembre si è sviluppata una crisi politica che ha ancora una volta confermato la precarietà degli equilibri interni. Lajcak si è dimostrato


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abile e fermo nel porvi rimedio; egli stesso sollecita la conferma di un apparato di sicurezza internazionale idoneo a far fronte alle esigenze di supporto alle presenze internazionali in loco ed a garanzia della stabilità del Paese. Le missioni europee EUFOR/Althea e EUPM contribuiscono, in tale scenario, a consolidare i fragili equilibri interni bosniaci.
Per quanto riguarda l'Africa Subsahariana, ricorda che in Sudan l'impegno italiano sarà principalmente concentrato al sostegno delle iniziative per il processo di pacificazione del Darfur, per favorire le attività della Commissione internazionale di monitoraggio degli Accordi di pace Assessment and Evaluation Commission e per l'organizzazione di una conferenza internazionale in Italia per il rilancio del processo di riconciliazione nazionale, non appena gli sviluppi politici sulla scena sudanese lo consentiranno.
In Somalia sarà riconfermato il sostegno a favore delle iniziative più urgenti necessarie a superare la fase più acuta della crisi somala e a favorire la riorganizzazione dello Stato somalo. In particolare, si contribuirà alla realizzazione di alcune iniziative di prioritaria importanza del cosiddetto «Pacchetto Minimo di Misure» Minimum Package Program sottoposto dal Governo Transitorio somalo alla Comunità Internazionale a Baidoa lo scorso 27 gennaio.
Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) sarà perseguito un obiettivo particolarmente qualificante per l'azione dell'Italia e dell'Unione europea, quale il sostegno dell'organizzazione di una Conferenza nazionale nel settore della sicurezza, poiché l'Italia è convinta che la ritrovata stabilità della RDC costituisca una componente di primaria importanza per la stabilità dell'intera Africa a sud del Sahara, data la posizione di epicentro degli equilibri politici ed economici continentali che il Paese riveste.
Nel rilevare che gli elementi testé forniti danno la misura dell'ampiezza degli sforzi in atto e dell'importanza del provvedimento in esame, auspica una valutazione complessivamente favorevole da parte dei componenti delle Commissioni riunite.

Il sottosegretario Giovanni Lorenzo FORCIERI, osserva che nel corso del 2008, è intendimento del Governo proseguire nello sforzo attuato nell'arco del 2007. Le nostre forze militari al momento impegnate nei diversi teatri operativi fuori dal territorio nazionale, la cui attività sarà garantita dalle risorse stanziate nel decreto oggi in discussione, ammontano mediamente a circa 8.500 unità.
Rispetto alla situazione del 2007, l'attuale decreto prevede alcuni elementi di novità, che tuttavia non alterano significativamente l'impegno nazionale nelle missioni militari all'estero.
In particolare, segnala preliminarmente l'avvio di alcune nuove attività, quali la partecipazione italiana alla già esistente componente navale di UNIFIL, la partecipazione alla missione ONU/Unione Africana denominata UNAMID in Darfur e la partecipazione alla missione UE denominata EUFOR Chad/Repubblica Centraficana, di cui darà più dettagliatamente conto successivamente.
In termini di consistenza dell'impegno, i teatri di intervento al momento più rilevanti continuano ad essere ovviamente quello balcanico, il Libano e l'Afghanistan che saranno di seguito trattati senza trascurare di fare riferimento finale anche alle altre missioni di minore entità.
Iniziando, con il più prossimo in termini di distanze, sottolinea che in tutti i Balcani, nel corso degli anni, il contributo nazionale è stato di alto spessore sia qualitativo che quantitativo, riconosciuto con l'attribuzione di posizioni di comando di alta responsabilità. I risultati conseguiti in tale regione possono senza alcun dubbio essere valutati complessivamente in senso positivo.
Malgrado i progressi realizzati nella Regione, è tuttavia convinzione della Comunità internazionale che la presenza di adeguate forze militari internazionali rimanga


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requisito essenziale per preservare i fragili e delicati equilibri ed evitare una rischiosa destabilizzazione regionale.
Si tratta di una regione nella quale l'impegno internazionale di stabilizzazione di lungo periodo trova peraltro una leva politica potente nella prospettiva di integrazione nelle strutture euro-atlantiche di tutti i Paesi dell'area, integrazione intesa anche come l'unica prospettiva che possa efficacemente stimolare il completamento delle necessarie riforme interne e concludere il processo di «normalizzazione» rispetto alle passate fasi di instabilità.
Nel rilevare come l'Italia sostenga attivamente tale processo di integrazione, sottolinea come la presenza militare alleata nell'area è anche finalizzata a fornire consulenza e assistenza alle autorità locale per portare avanti i programmi di aggiustamento strutturale necessari per raggiungere gli standard richiesti dalla NATO e agevolare il percorso di avvicinamento a quest'ultima.
Le operazioni condotte nei Balcani, anche grazie al concreto contributo italiano, hanno prodotto risultati tangibili che hanno reso possibile l'avvio di un processo di razionalizzazione della presenza militare alleata nella regione anche grazie ad un impiego più efficace e flessibile delle truppe. Tale ridimensionamento non ha significato alcun disimpegno della comunità internazionale dai Balcani, ma rappresenta il passaggio ad una nuova fase nel processo di stabilizzazione della regione in cui assume un rilievo crescente il rafforzamento delle forze di sicurezza locali e più in generale delle strutture istituzionali.
In particolare, per quanto riguarda il teatro bosniaco rimane centrale l'operazione «Althea» a guida UE, per il controllo dell'applicazione degli accordi di Dayton, operazione per la quale a partire dal mese di febbraio 2007 è stato avviato un percorso di oculata contrazione del contingente multinazionale (EUFOR). Il livello di forze ora raggiunto è previsto che si stabilizzi per tutto il 2008 ai livelli del 2007, poiché si è registrata negli ultimi tempi una accresciuta instabilità politica in Bosnia, anche in correlazione con la volatilità della vicenda kosovara.
L'attuale forza di EUFOR, il cui comando è attualmente attribuito ad un Generale di Divisione spagnolo, affiancato da un Vice Comandante italiano (Generale di Brigata Carmelo De Cicco), si attesta su circa 2.550 unità, con un contributo da parte italiana di circa 300 unità.
Sempre in Bosnia continua l'impegno per l'addestramento della Polizia locale da parte dell'Arma dei Carabinieri, nell'ambito della European Union Police Mission (EUPM), attualmente sotto la guida del Generale di Brigata dei Carabinieri Coppola.
La progressiva riduzione degli effettivi in Bosnia non è stata seguita anche in Kosovo, dove si è ritenuto opportuno continuare a mantenere una presenza militare alleata più robusta.
La pianificazione NATO posta a base dell'Operazione Joint Enterprise prevede che KFOR abbia una forza stabile schierata permanente in Kosovo, dell'ordine delle 15600 unità, rinforzata alla bisogna, di 3 battaglioni di Riserva Operativa forniti da Italia, Germania e Regno Unito, e da 2 battaglioni di Riserva Strategica forniti da Francia e Italia.
I battaglioni di Riserva Operativa vengono schierati a rotazione, su richiesta del Comando NATO, per svolgere attività addestrativa preventiva, a premessa di un eventuale impiego effettivo come rinforzi.
Ricorda che, nell'ambito di questa missione il contingente italiano in seno a KFOR si compone normalmente di circa 2.300 uomini (siamo fra i primi contributori assieme alla Germania e alla Francia). L'attuale Senior National Representative, che ricopre anche l'incarico di Deputy Chief of Staff Operation, è il Generale di Brigata Giovanni Savarese.
In particolare, circa 1.950 unità operano nell'area ovest (Pec, Dakovica e Decani), circa 100 unità operano presso il Quartier Generale di KFOR (Pristina) e circa 250 Carabinieri operano nella Multinational Specialized Unit (MSU) di base a Pristina, ma con raggio d'azione in tutto il


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Kosovo. Tale consistenza è stata rafforzata in questi giorni con l'invio, su richiesta del Comando NATO, di un battaglione di Riserva Operativa di circa 550 unità tratto dal 7o Reggimento Alpini di Belluno. Complessivamente quindi la media giornaliera su base annuale è dell'ordine di 2.380 unità.
Si prevede che il battaglione di Riserva Operativa italiano (7o Reggimento Alpini) resti schierato in Kosovo fino al 18 marzo, quando sarà rimpiazzato dal battaglione di riserva tedesco. Il battaglione di riserva italiano, alle dipendenze operative del Comandante di KFOR (Generale di Corpo d'Armata francese Xavier de Marnhac) è attualmente impiegato nella zona di Pristina e a seguire, a partire presumibilmente da metà febbraio, nella zona di Mitrovica, a nord del fiume IBAR, cioè nella zona a maggioranza serbo-kosovara.
La constatazione della fragilità della situazione e del rischio di recrudescenza dei conflitti interetnici ha indotto l'Alleanza a confermare la decisione di mantenere ad un livello pressoché inalterato l'ammontare delle forze di KFOR, nella consapevolezza che la presenza militare internazionale debba rimanere robusta anche a fronte dei più recenti sviluppi politici in Kosovo, quali le elezioni parlamentari e municipali del 17 novembre 2007, il fallimento del tavolo negoziale della cosiddetta troika (USA, Russia e EU) (10 dicembre 2007), le elezioni presidenziali in Serbia del 3 Febbraio scorso, nonché della dei possibili disordini interetnici derivanti dalla prospettiva di una dichiarazione di indipendenza da parte della comunità albano-kosovara.
Tali eventi si configurano come situazioni in grado di mutare a breve le condizioni generali di sicurezza della regione, dove l'evoluzione della situazione è notoriamente subordinata alla definizione dello status della provincia da parte della comunità internazionale.
Nel teatro balcanico continua, infine, la presenza di nostro personale all'interno dei Comandi NATO (NATO Headquarters - NHQ) attivati presso le Capitali di Albania (NHQ Tirana), FYROM (NHQ Skopje), in Bosnia-Erzegovina (NHQ Sarajevo) ed in Serbia, al fine di contribuire allo sviluppo delle Forze Armate locali, in un'ottica di rafforzamento della cooperazione e di progressivo avvicinamento alle strutture euro-atlantiche.
Il consistente e perdurante sforzo militare nel teatro balcanico risponde non solo agli obiettivi di stabilizzazione di questa vicina regione, ma concorre a rafforzare, in applicazione dell'approccio interdisciplinare, il dispositivo di sicurezza nazionale, contribuendo a prevenire le infiltrazioni delle organizzazioni criminali e terroristiche che si sviluppano a partire da questa Regione, utilizzata quale ponte verso il nostro Paese.
Per quanto riguarda il teatro libanese, rammenta il consistente impegno di forze assicurato alle missioni a guida ONU, incentrato sul contributo ad UNIFIL (circa 2450 militari) schierato nel sud del Libano per la sorveglianza della fascia compresa tra il fiume Litani e la «linea blu» di separazione con Israele.
Sottolinea che per tale missione si prevede il finanziamento fino al 30 settembre 2008, in coerenza con la proroga del mandato - fino alla fine del mese di agosto - disposta dalla risoluzione 1773, adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 24 agosto 2007. UNIFIL, la cui consistenza ha raggiunto il livello di circa 13000 militari appartenenti a 30 Nazioni, continua a svolgere attività di monitoraggio e di prevenzione della ripresa delle ostilità.
Dal 2 febbraio 2007, l'Italia fornisce il Force Commander (Generale di Divisione Claudio Graziano) e contribuisce inoltre allo staff multinazionale del Quartier Generale di UNIFIL a Naqoura con 56 unità, di cui 18 unità dedicati allo special staff del Force Commander; e alla Strategic Military Cell del Dipartimento delle Operazioni di Pace dell'ONU a New York con il Vice Direttore (Contrammiraglio Raffaele Caruso), 5 Ufficiali e 2 Sottufficiali.
Quanto al contributo terrestre, la Brigata «Ariete» (che dall'11 ottobre 2007 ha sostituito la Brigata «Folgore») ha la responsabilità del settore ovest, all'interno


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del quale guida anche i contingenti forniti da Francia, Slovenia, Rep. di Corea, Ghana e Qatar (quest'ultimo alle dipendenze dell'unità francese).
Il principale elemento di novità riguardante la missione in Libano nel 2008 - come accennato in premessa - è rappresentata dall'impiego di EUROMARFOR, attualmente a leadership italiana, come Comando Multinazionale della Maritime Task Force in Libano. EUROMARFOR subentrerà alla Germania a partire dal mese di Marzo 2008. Nel primo semestre del turno attuale l'Italia garantirà la presenza di due unità navali e lo Staff di Comando.
La situazione nell'area operativa di UNIFIL è caratterizzata da una sostanziale stabilità, anche se il livello di attenzione rimane elevato.
Al momento, infatti, l'instabilità della situazione politica libanese ha avuto solo riflessi indiretti e non significativi sulla sicurezza dei contingenti di UNIFIL. Le difficoltà del processo di ricomposizione del complesso quadro politico libanese e le continue accuse da parte di Israele di traffico illegale di armi attraverso la frontiera con la Siria a favore di Hezbollah continuano a rappresentare gli elementi di rischio sia per la stabilità interna, sia per i rapporti bilaterali tra Libano ed Israele.
Sottolinea come un eventuale serio deterioramento della situazione politica in Libano non possa che ripercuotersi negativamente sulla sicurezza delle forze ONU.
Passando al teatro afgano, rileva che la situazione continua ad essere caratterizzata da un quadro di accentuata complessità. In questo contesto, la NATO pone particolare enfasi sull'esigenza di rafforzare l'autorità, l'efficienza e l'autosufficienzadel Governo afgano e sul supporto alle Forze militari e di polizia afgane per estendere la sicurezza ed il controllo su tutto il territorio e sul sostegno alle attività per la ricostruzione e la stabilizzazione del Paese.
Da parte sua l'Italia ha assicurato ininterrottamente il proprio sostegno agli sforzi della Comunità internazionale per la stabilizzazione del Paese con un significativo contributo di forze nell'ambito dell'International Security Assistance Force (ISAF).
Ricorda che complessivamente l'impegno italiano attuale in Afghanistan è dell'ordine di circa 2.350 militari quale forza media giornaliera su base annuale, ripartiti fra l'area di Kabul, nell'ambito del Regional Command Capital (di cui l'Italia ha assunto temporaneamente, per un periodo di nove mesi, il comando a partire dal 6 dicembre scorso con il Generale di Brigata Federico Bonato) e la Regione Ovest (a comando italiano con il Generale di Divisione Fausto Macor), dove continua ad operare anche il Provincial Reconstruction Team (PRT) di Herat a guida italiana e la correlata Forward Support Base (FSB) unitamente ad alcuni Paesi alleati.
Per le attività di supporto alla ricostruzione dell'Esercito afgano operano, inoltre, nella Regione Ovest quattro Operational and Mentoring Team (OMLT), a cui si aggiunge l'impegno della Guardia di Finanza (16 unità da dicembre 2006) per l'addestramento della Polizia di Frontiera Border Police.
Coerentemente con l'obiettivo di sviluppare un approccio interdisciplinare ad ampio spettro volto alla ricostruzione dell'Afghanistan, è stata avviata una missione dell'UE (EUPOL) per la ricostruzione della polizia civile locale, attraverso attività di monitoring, mentoring, advising e training, cui concorre un contingente di 12 Carabinieri (integrati da 3 Guardie di finanza) a Kabul ed Herat.
La nostra componente militare è dimensionata in funzione delle esigenze di sicurezza e di sostegno, delle attività militari di controllo e di contributo alla ricostruzione e all'addestramento dell'Afghan National Army, l'Esercito regolare la cui crescita procede di pari passo con il disarmo dei miliziani che vengono man mano reinseriti nella vita civile.
La presenza dei militari italiani in Afghanistan nel quadro della missione ISAF è considerata tuttora indispensabile dalla comunità internazionale e, ciò che più conta, dal Governo afgano.


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L'Afghanistan è ancora dipendente dal sostegno internazionale sia per difendersi dalle innumerevoli bande di criminali, dai Talebani e dai gruppi terroristici ad essi legati, sia per precedere nel processo di consolidamento democratico e di sviluppo.
L'Afghanistan, secondo quanto riportato dai rappresentanti del governo del Paese, è deciso ad assumersi la piena responsabilità della propria sicurezza, in un'ottica di graduale ma crescente autosufficienza, ma ha comunque ancora bisogno della presenza delle forze internazionali.
I Paesi alleati e partner hanno tutti confermato il loro attivo impegno, nel quadro della NATO.
Inoltre sottolinea la necessità di continuare l'impegno comune anche per il futuro, al fine di realizzare una cornice di stabilità per consentire alle autorità di Kabul ed alla comunità internazionale di promuovere la democrazia, la ricostruzione e lo sviluppo.
Per ciò che riguarda specificatamente l'attività militare italiana in Afghanistan, sottolinea che essa mantiene il profilo della missione e gli obiettivi perseguiti negli scorsi anni.
Lo spirito ed il metodo con cui l'Italia sta operando in Afghanistan - come più volte ribadito - sono tutt'altro che associabili al concetto di guerra. L'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene infatti unicamente in funzione delle circostanze ed in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale e delle norme ed usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e regolamenti nazionali ed in coerenza con quelle delle forze cooperanti.
Nel descrivere brevemente le altre onerose missioni che le Forze armate svolgeranno all'estero nei prossimi mesi, in primo luogo fa riferimento alla partecipazione di personale militare alla missione dell'Unione Europea nel Darfur, in Sudan, missione già denominata AMIIS II, nonché alla missione «ibrida» delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana nel Darfur denominata United Nations/African Union Mission in Darfur (UNAMID), autorizzata dalla risoluzione ONU n. 1769 del 2007, per intraprendere le azioni necessarie per garantire l'applicazione effettiva degli accordi di pace, la protezione della popolazione civile e la prosecuzione delle attività di assistenza umanitaria.
Il contributo italiano concerne il trasporto aereo di personale ed equipaggiamenti per il rischieramento dei contingenti militari stranieri che partecipano alla missione, da attuare in corso d'anno, nel periodo che sarà indicato dalle Nazioni Unite.
In secondo luogo, ricorda la partecipazione di personale militare alla missione dell'Unione Europea, denominata EUFOR Chad/RCA, nella Repubblica del Chad e nella Repubblica centrafricana. La missione si svolge in conformità con il mandato fissato dalla risoluzione n. 1778 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 25 settembre 2007, che dispone l'avvio di una missione dell'ONU nel Chad orientale e nel nordest della Repubblica Centrafricana, autorizzando, altresì, l'Unione Europea a schierare forze in tali Paesi, al fine di far fronte all'impatto destabilizzante che la crisi del Darfur esercita sulla situazione dei Paesi limitrofi sotto il profilo umanitario e della sicurezza della popolazione civile in tali regioni. Il contingente internazionale comprenderà fino a 4.000 uomini inizialmente dispiegati per un anno, con Quartier Generale a Parigi. Nell'ambito del contributo italiano alla nuova missione, è previsto l'approntamento di una struttura ospedaliera da campo di tipo Role 2.
Come noto, l'attuale situazione di grave destabilizzazione del Chad ha determinato la sospesione delle attività preparatorie in corso, e solo una sostanziale situazione di stabilità nel Paese potrà permettere un nuovo avvio delle operazioni.
Nell'ambito dell'estensione al 2008 di precedenti missioni va inoltre evidenziata la NATO Training Mission Iraq (NTM-I), missione avviata dall'agosto del 2004 nell'area di Baghdad, finalizzata alla formazione dei quadri dirigenti delle costituende Forze di Sicurezza. La NTM-I vede la partecipazione di 19 Nazioni; il Quartier


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Generale della missione è situato nella International Zone (IZ) a Baghdad presso il Cultural Centre Compound, mentre un «Quartier Generale distaccato» è stato stabilito ad Ar Rustamiyah (20 Km circa a Sud Est di Baghdad) per il supporto alla costituzione del Joint Staff College e dell'Accademia Militare.
Dal momento della sua costituzione, e senza soluzione di continuità, la NATO Training Mission continua a svolgere la sua missione, ovvero a provvedere, con il governo iracheno, alla formazione dei Quadri, all'addestramento e al supporto tecnico delle Forze di sicurezza irachene, allo scopo di agevolare l'Iraq nel raggiungimento di una sicurezza efficace, democratica e durevole
Il contributo italiano è attualmente incentrato sul Vice Comandante, Generale di Divisione Alessandro Pompegnani, che di fatto svolge la funzione di leadership, e su 84 militari, in gran parte istruttori, incaricati di tre dei quattro corsi di formazione degli Ufficiali delle Forze armate irachene.
In tale contesto, da ottobre 2007, con una durata di 2 anni, è stato anche disposto l'impiego in Iraq di circa 40 unità dell'Arma dei Carabinieri per l'addestramento della Polizia nazionale irachena, già ricompresi nelle 84 unità appena citate.
In Mar Mediterraneo prosegue inoltre l'impegno nazionale nell'ambito dell'Operazione NATO Active Endeavour, con compiti di controllo e sorveglianza marittima nel Mar Mediterraneo, al fine di contribuire alla campagna contro il terrorismo internazionale attivata dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. L'operazione si svolge sotto il controllo operativo del Commander Maritime Component Command di Napoli, ovvero dell'Ammiraglio di Squadra Roberto Cesaretti. Attualmente contribuiamo all'operazione con missioni di aerei da pattugliamento marittimo e con 1 o 2 fregate o pattugliatori di squadra, nonché con un cacciamine.
In ambito ONU e UE prosegue la partecipazione, ancorché con contingenti quantitativamente più ridotti, ma con personale altamente qualificato, alle missioni, comprese nel provvedimento in esame, che hanno, comunque, un'elevata valenza e significato sul piano politico e diplomatico e diretti riflessi sul ruolo dell'Italia all'interno del Consiglio di Sicurezza e quale membro dell'Unione Europea. In particolare, ricorda le seguenti: UNFICYP United Nations Forces in Cyprus, istituita nel Marzo del 1964 per ristabilire la pace sull'isola di Cipro, dopo i violenti scontri fra le due comunità residenti dei Turchi e dei Greci, ad oggi la missione è composta da 918 unità appartenenti a 13 Nazioni. L'Italia contribuisce con 4 unità; UNMIK United Nations Mission in Kosovo, a seguito del conflitto per il Kosovo, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la risoluzione n. 1244 con la quale si autorizzava UNMIK ad iniziare il lungo processo di costruzione della pace, della democrazia, della stabilità e dall'autogoverno nella travagliata provincia del Kosovo. Per conseguire tale obiettivo, UNMIK opera quale amministrazione di transizione per la regione del Kosovo. La sede della Missione è a Pristina e l'Italia contribuisce con 2 unità; EUBAM EU Border Assistance Mission, che dal 2005 ha il compito di monitorare e assistere le attività confinarie al valico israelo-palestinese di Rafah con il Comandante e con personale addetto (5 unità). Dopo i recenti avvenimenti nella striscia di Gaza il valico resta chiuso. Non si sono tuttavia verificati né incidenti, né danneggiamenti alle infrastrutture e alle predisposizioni del posto di controllo. Il nostro personale, acquartierato nel territorio di Israele, non ha corso e non corre al momento rischi; EUPOL e EUSEC RD Congo, le missioni in Congo sotto l'egida dell'Unione Europea, che impiegherà quest'anno una media di 8 militari.
Oltre alle missioni sotto l'egida delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della NATO, l'Italia è impegnata anche in una serie di missioni a carattere multilaterale/bilaterale ed in programmi di assistenza bilaterale, delle quali nel provvedimento in esame è previsto il rifinanziamento di: missione TIPH-2 Temporary International Presence in the city of Hebron, con un


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contingente di 12 osservatori dell'Arma dei Carabinieri, con il compito assistere le Autorità palestinesi, coordinando le proprie attività con quelle israeliane (il mandato della missione deriva dalla richiesta del Governo d'Israele e dell'Autorità Palestinese ed è a tempo indeterminato). Anche a Hebron la situazione al momento non presenta elementi di particolare criticità; missione Delegazione Italiana Esperti (DIE) in Albania per le attività di assistenza alle Forze Armate albanesi; missione Albania 2, attività svolta dal 28o Gruppo Navale con compiti di sorveglianza delle acque territoriali albanesi.
Ricorda inoltre che l'Italia conduce ulteriori missioni all'estero non coperte dai finanziamenti previsti dal provvedimento in esame, ed in particolare: UNTSO United Nations Truce Supervision Organization - Israele: si tratta di una missione attiva fin dal 1948. L'UNTSO opera in quattro dei cinque Paesi storicamente interessati al conflitto mediorientale (Israele, Egitto, Siria e Libano), ma i suoi contatti coinvolgono anche il quinto Paese la Giordania. Grazie agli accordi di pace tra Israele ed Egitto prima (1979) e la Giordania poi (1994), nonché all'attuale situazione «di stallo» militare in Libano e Siria, UNTSO è una missione numericamente contenuta; al momento è composta da circa 150 Ufficiali osservatori appartenenti a 23 Paesi. L'Italia contribuisce con 8 unità; UNMOGIP (United Nations Military Observer Group in India and Pakistan). Il gruppo degli osservatori militari appartenente alla missione UNMOGIP è stato costituito nel gennaio 1949 in seguito all'approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 39 del gennaio 1948, che creava la United Nations Commission for India and Pakistan (UNCIP), per supervisionare il cessate il fuoco tra Pakistan ed India nello Stato di Jammu e Kashmir. L'Italia contribuisce con 7 unità; MINURSO United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara, MINURSO è stata istituita con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 in data 29 aprile 1991, a seguito delle «proposte di accordo» accettate in data 30 agosto 1988 dal Marocco e dal Fronte POLISARIO (Frente Popular para la Liberacion de Saguia el-Hamra y de Rio de Oro). Per attuare il piano di pace approvato dal Consiglio di Sicurezza, il Segretario Generale si avvale di un proprio Rappresentante Speciale, pienamente responsabile di tutti gli aspetti riguardanti il referendum che consentirebbe alla popolazione del Sahara Occidentale di scegliere tra l'indipendenza e l'integrazione con il Marocco. L'Italia contribuisce con 5 unità; MFO Multinational Force & Observers, con un contingente di 81 militari della Marina Militare e tre pattugliatori navali dislocati a Sharm el Sheikh (Sinai), per garantire la libertà di navigazione nello Stretto di Tiran, che unisce il Golfo di Aqaba al Mar Rosso; MIATM, Missione Italiana di Assistenza Tecnico-Militare alle forze armate maltesi.
Infine, richiama sinteticamente ciò che il Ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha già espresso in sede di intervento del 12 settembre scorso davanti a queste Commissioni riunite ovvero che le missioni all'estero attualmente in corso costituiscono una chiara rappresentazione dell'impegno dell'Italia e delle sue Forze armate per la promozione e la difesa della pace e della legalità internazionale.
Si tratta di un impegno gravoso, sia in termini umani che finanziari, al quale il nostro Paese non può sottrarsi in relazione al ruolo che l'Italia da tempo ha saputo assumere a livello internazionale, nell'ambito delle varie organizzazioni internazionali (ONU, UE, NATO), per disinnescare situazioni di crisi e contribuire alla sicurezza ed alla stabilizzazione internazionale.
L'Italia opera a pieno titolo nelle principali organizzazioni politiche e di sicurezza dell'area euro atlantica. Siede già da un anno nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e continuerà a farlo per tutto il 2008. Rimane un attore politico, economico e culturale di primissimo livello sulla scena internazionale.
Tutto ciò lo si deve anche all'impegno per la sicurezza del nostro Paese e all'azione dei militari italiani che, in ogni


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contesto in cui operano, sono unanimemente apprezzati e rispettati. Molto è quello che si chiede alle donne ed agli uomini con le stellette; altrettanto è il sostegno morale e materiale che - a nome del Governo - chiede alle Commissioni esprimendosi favorevolmente riguardo al provvedimento in discussione.

Dario RIVOLTA (FI) esprime il consenso del gruppo di Forza Italia relativamente al provvedimento in esame per quanto concerne in particolare la filosofia complessiva che evidenzia una linea di continuità con le scelte di politica estera assunte dal Governo precedente, con un riserva relativamente all'improvvida decisione sul ritiro dei militari italiani dall'Iraq, presa in un frangente in cui l'Italia, che ha sacrificato la vita di alcuni militari in quel Paese, avrebbe potuto ottenere dei benefici anche di tipo economico. Ritiene opportuno sottoporre all'attenzione dei rappresentanti del Governo un quesito in ordine alla natura e alla durata dell'impegno dell'Italia in Bosnia-Erzegovina, Paese in cui la comunità internazionale ha sostanzialmente fallito nell'obiettivo di dotare il Paese di un apparato statale e istituzionale ed ha ugualmente mancato di realizzare risultati di tipo politico ed economico. Analogo interrogativo vale per l'impegno dei militari italiani nella Repubblica Serpska alla luce dell'evoluzione della situazione in Kosovo. A tal proposito, ritiene opportuno che il Governo fornisca chiarimenti in ordine alla previsione di risorse finanziarie a favore della missione UNMIK che, secondo quanto prospettato oggi dal Ministro degli affari esteri di fronte alle Commissioni esteri di Camera e Senato, dovrebbe essere sostituita entro l'anno da una missione dell'Unione europea.
Segnala, inoltre, una questione inerente al contesto dell'Iraq e al Kurdistan. Malgrado il sacrifico sofferto, l'Italia ha deciso di ritirare il proprio contingente ed ha affidato a cosiddette «forze terze» la gestione della sicurezza degli operatori economici italiani nella regione. Rilevando che nel provvedimento sono previste risorse per il finanziamento di nove unità di personale a cui sono affidati compiti di consulenza in diversi settori, osserva che nella regione di Nassiriya, in cui tali unità dovrebbero operare, non è possibile accedere ad alcun tipo di opportunità di tipo economico, al di là dei fondi italiani stanziati per la ricostruzione, nè sussistono le condizioni ambientali adeguati alla gestione di contatti volti alla realizzazione di affari. Al contrario, nel Kurdistan iracheno, che è area sicura e attiva sul piano economico, fino alla fine del 2007 hanno operato due unità che saranno in futuro sostituite da un funzionario diplomatico. A suo avviso, questa presenza italiana è inadeguata alla rilevanza della regione, che meriterebbe l'apertura di una apposita sede consolare anche per trattare in loco le richieste di visto. Sarebbe altresì indispensabile inviare in tal regione esperti dell'ICE, del Ministero degli affari esteri o delle Camere di Commercio in grado di segnalare agli operatori italiani opportunità per investimenti.
Infine, preannuncia la presentazione di proposte emendative volte a risolvere le questioni testé illustrate.

Marco ZACCHERA (AN) concorda con il collega Rivolta ed esprime il consenso del suo gruppo sul decreto-legge in titolo, che si colloca in continuità con analoghi provvedimenti approvati nel corso della XIV legislatura e riguarda prevalentemente doverosi interventi militari piuttosto che interventi di cooperazione allo sviluppo. Esprime la propria condivisione sulle tre nuove missioni UNIFIL navale, in Ciad e Darfur. Al riguardo, auspica che si tratti di missioni non destinate a «cronicizzarsi». In generale, esprime l'auspicio che il decreto-legge possa essere approvato dalla Camera entro la metà del mese in corso.

Alessandro FORLANI (UDC) concorda con i colleghi finora intervenuti nel dibattito sul merito complessivo del provvedimento. Sottolinea che l'Italia deve mantenere il proprio impegno per concorrere alla stabilizzazione e alla pacificazione di


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tutte le aree di crisi. Sotto questo profilo, osserva che tale impegno è necessario considerato che la nostra sicurezza è complementare e si integra con contesti internazionali che siano stabili e sicuri. Condivide l'opportunità che l'Italia sia presente con propri militari in aree ad alta instabilità, come il Ciad o il Sudan. Condivide altresì la tendenza ad essere presenti e ad intervenire nei diversi contesti attraverso organizzazioni intermedie, che contribuiscano a rendere più incisiva la nostra azione. Sottolinea che il suo gruppo, che si è sempre espresso positivamente su provvedimenti analoghi a quello in esame e che ha svolto un'azione di costante monitoraggio sulle diverse situazioni, nutre perplessità e angoscia per quelle missioni che non esprimono una prospettiva e sono senza via d'uscita, come quelle in Kosovo, Libano e Afghanistan. Pur concordando con il mantenimento della nostra presenza in tali Paesi, osserva che l'intervento internazionale non si è dimostrato sufficiente ed adeguato agli obiettivi. Occorre, a suo avviso, che in tali casi l'intervento militare sia integrato da un forte impegno di natura politica. Per quanto riguarda il Kosovo, anche alla luce del positivo esito delle elezioni presidenziali in Serbia, non sono chiare le tappe che porteranno alla stabilizzazione dell'area nè se l'obiettivo dell'integrazione europea possa davvero indurre la Serbia ad un riconoscimento dell'ormai inevitabile indipendenza del Kosovo.
Per quanto concerne il Libano, il nostro Paese ha determinato nel 2006 l'interruzione del conflitto tra Israele e Hezbollah ed è vero che l'area è adesso parzialmente pacificata. Tuttavia, la stabilizzazione del Paese appare ancora lontana, come dimostra la situazione di impasse istituzionale e i numerosi attentati che si sono succeduti nelle ultime settimane. Come nel Kosovo, l'intervento della forza UNIFIL deve essere integrato da un vigoroso impegno politico che il nostro Paese ha il dovere di riassumere quanto prima.
In Afghanistan, la situazione non appare pacificata e le autorità del Paese non appaiono consolidate, considerate le sovrapposizioni di poteri tra signori della guerra e talebani e le gravi violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali, come dimostra la recente condanna a morte di un giornalista a cui sono stati imputati reati d'opinione. Rileva la necessità che la presenza internazionale in questi casi, senza rappresentare in alcun modo una forza di occupazione, eserciti un condizionamento di tipo politico su questioni che riguardano valori essenziali come la tutela dei diritti umani. Condivide quanto sottolineato dal viceministro Intini sulla opportunità di indire una Conferenza sull'Afghanistan che dovrebbe consentire un chiarimento di tipo politico, incentrato sul tema del nation building. Per quanto riguarda gli aspetti militari, chiede ai rappresentanti del Governo di indicare lo stato dell'arte in Afghanistan, in particolare per quanto riguarda le condizioni di sicurezza in cui opera il nostro contingente, oltre che per quanto concerne i rapporti del nostro Paese con il Governo Karzai.

Iacopo VENIER (Com.It) rileva l'opportunità che le diverse forze politiche esprimano, malgrado lo scioglimento delle Camere e alla luce delle recenti dichiarazioni rese da esponenti del Partito Democratico in ordine all'imminente campagna elettorale, le proprie posizioni sulla materia oggetto del decreto-legge ai fini di una maggiore chiarezza politica. Richiama l'opportunità di svolgere un bilancio sulla XV legislatura in merito alla questione delle missioni internazionali a partire dalla pesante eredità, ricevuta dal Governo Berlusconi, del coinvolgimento dell'Italia nello drammatico conflitto in Iraq. Sottolinea che sarebbe rischioso non comprendere la portata negativa di tale eredità. L'attuale Governo ha manifestato fin dall'inizio una forte discontinuità con il passato e coraggio nella scelta sul ritiro dall'Iraq. Successivamente si è proceduto a fornire risposte all'emergenza libanese, determinata da un conflitto che i vertici israeliani oggi sconfessano e che è apparso volto a ridefinire gli equilibri in Medio Oriente sulla base di un disegno statunitense.


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La scelta coraggiosa del Governo italiano esprime ancora oggi la sua validità, rafforzata dal fatto che la missione in Libano è una missione delle Nazioni Unite dotata di una forza ed efficacia propria. Non ritiene condivisibile la linea, sostenuta dai gruppi della coalizione di centrodestra, sulla continuità delle scelte dell'attuale Governo rispetto al passato in materia di politica estera.
Al momento sussistono due problemi non risolti. Il primo è rappresentato dall'Afghanistan, su cui il suo gruppo ha sempre auspicato una valutazione separata e che costituisce un intervento concepito nell'ambito della strategia preventiva degli Stati Uniti, non a caso mai ricondotta nell'ambito dell'ONU. Rileva che non sono state realizzate le importanti novità prospettate da atti di indirizzo approvati in Assemblea, mentre gli sforzi dell'Italia sul versante sul rafforzamento dello Stato di diritto sono stati vani come testimoniano i numerosi arresti senza processo, l'espulsione di deputati dal Parlamento o la condanna a morte di giornalisti. In Afghanistan, i signori della guerra sono subentrati ai Talebani, ma la situazione è rimasta inalterata e la produzione di oppio ha raggiunto livelli tali da non poter più essere assorbita dai mercati occidentali. Sotto questo punto di vista segnala il parallelismo tra l'Afghanistan e il Kosovo per quanto riguarda lo sviluppo di attività illecite dopo l'intervento della NATO. Segnala che questo parallelismo è rappresentato nella realtà dalla pratica di matrimoni tra le figlie di boss kosovari e i produttori di oppio afgani. Sottolinea pertanto la necessità di tracciare un bilancio sull'andamento dell'impegno per lo sviluppo democratico, per i diritti civili e il contrasto al crimine organizzato. Nel richiamare le rilevanti responsabilità che il gruppo dei Comunisti italiani si è assunto negli ultimi due anni, segnala la necessità di discutere sull'effettivo rispetto dei diversi caveat e sul reale ruolo che l'Italia ha potuto esercitare nella NATO per scongiurare le morti di civili a seguito degli interventi dell'aviazione in Afghanistan. In generale, rileva una perdita progressiva di coraggio e di discontinuità rispetto al passato dell'attuale Governo che anche in Libano, in cui si sarebbe dovuto inaugurare un metodo nuovo e contribuire alla soluzione della crisi in Palestina. Per quanto concerne il Kosovo ricorda che un parametro fondamentale per il nostro Paese è stato il rispetto del diritto internazionale e della legalità nel quadro delle Nazioni Unite. Rileva che al momento il Governo si appresta a riconoscere l'indipendenza del Kosovo che non detiene gli elementi minimi di una vera statualità, con conseguenze negative in tutta l'area dei Balcani, del Caucaso e in Africa. Segnala inoltre il fatto grave che ha riguardato la stesura del piano sloveno per l'indipendenza del Kosovo, compilato da un Paese che presiede l'Unione europea sotto la dettatura del Dipartimento di Stato americano.
Sottolinea la necessità che sui temi sinora accennati si svolga una discussione approfondita e ribadisce la necessità di introdurre dei criteri di valutazione riferiti alle singole missioni al fine di evitare un giudizio indistinto su questioni di diversa natura. Al riguardo, richiama la tradizionale contrarietà del suo gruppo a missioni come quelle in Afghanistan, trattandosi di uno scenario di guerra sul cui esito nessuno è in grado di fornire garanzie. Nel ribadire le perplessità del suo gruppo sulla scelta del Partito democratico relativa all'imminente campagna elettorale, preannuncia la presentazione di emendamenti volti a fare emergere le questioni fin qui poste.

Elettra DEIANA (RC-SE), nel rammentare come il dissenso del suo gruppo su alcune missioni, prime fra tutte quella afgana, sia ormai nota, sottolinea come tale dissenso nel corso della precedente proroga delle missioni abbia trovato un punto di composizione attraverso l'impegno da parte del Governo ad organizzare una Conferenza internazionale per la pacificazione dell'Afghanistan. Esprime quindi rammarico per il fatto che una simile iniziativa non solo non sia stata


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portata a compimento, ma non sia stata neppure seriamente avviata.
Ciò premesso, lamenta come nelle relazioni svolte dai rappresentanti del Governo non sia stata fornita alcuna valutazione politica circa l'opportunità di proseguire quelle missioni caratterizzate da maggiori elementi di criticità che, comportano peraltro l'impiego di ingenti risorse finanziarie, la maggior parte delle quali, nonostante il titolo del presente decreto-legge, a suo avviso ipocrita, sono destinate non già ad interventi umanitari e di cooperazione, ma al mantenimento della forza militare. Rileva peraltro che il Governo nel corso della legislatura ha compiuto alcune scelte positive come il disimpegno militare dall'Iraq a cui tuttavia ritiene non si debba dare eccessiva enfasi, posto che un orientamento in tal senso era già maturato nella legislatura precedente. Riconosce tuttavia come un titolo di merito dell'attuale Governo sia l'aver operato per chiudere nettamente con l'esperienza irachena e l'aver svolto una funzione centrale in occasione dell'organizzazione della missione dell'UNIFIL 2, rispetto alla quale lamenta peraltro una carenza di informazioni da parte del Governo in ordine alla recente complessa evoluzione della situazione sul campo. Per quanto riguarda l'Afghanistan, ritiene che l'apertura ai talebani da parte del Presidente Karzai sia non solo tardiva, ma anche preoccupante, in quanto segno della sua acquiescenza ad un preoccupante processo di «talebanizzazione» della società, come dimostrato dalla recente condanna a morte di un giornalista la cui unica colpa è stata quella di scaricare da internet un documento che, citando alcune pagine del Corano, riteneva non rispondente al dettato religioso la posizione subordinata delle donne nella società afgana. Nel ritenere preoccupante il fatto che il Governo Karzai si sia mostrato insensibile alle richieste formulate rispetto a questa vicenda da molti governi, chiede quali iniziative siano state assunte in proposito dall'Italia. In presenza di un'egemonia di consensi da parte dei talebani, ritiene che i paesi che partecipano alla missione ISAF non possano offrire alcun utile contributo al consolidamento delle istituzioni democratiche afgane. La stessa partecipazione italiana alla missione ISAF, a suo avviso, con l'assunzione del comando a Kabul, si caratterizza principalmente per le sue finalità militari, nell'ambito delle quali si tratta di capire se il personale militare sia impiegato esclusivamente in operazioni di difesa, conformemente alle regole di ingaggio, ovvero se sia stato impiegato anche al di là di tali limiti. Significativo, a suo avviso, è il fatto che il segretario generale della NATO abbia inviato al governo tedesco, in forma ultimativa, una richiesta di cambiamento delle regole di ingaggio ai fini di una partecipazione diretta dei militari tedeschi ad operazioni di combattimento. Nel ricordare come la risposta del cancelliere tedesco Angela Merkel a questa richiesta sia stata nel senso di un netto rifiuto, chiede ai rappresentanti del Governo se l'Italia abbia ricevuto analoghe richieste e quale risposta sia stata eventualmente data ad esse. Per quanto riguarda il Kosovo, sottolinea come ci si trovi di fronte ad una situazione che sfugge ormai alla legittimità internazionale. Dopo la guerra in Serbia, infatti, l'ONU fu chiamato soltanto ex post - come purtroppo avviene frequentemente - a pronunciarsi sulla situazione con la risoluzione n. 1244, che riconobbe alla Serbia la sovranità sul Kosovo, ferma restando la necessità di concedere a quest'ultimo un'ampia autonomia. Qualsiasi decisione quindi che prefiguri l'indipendenza del Kosovo, si porrebbe al di fuori della legittimità internazionale e avrebbe il solo significato di soggiacere al volere degli Stati Uniti, con il rischio di gravissime ripercussioni su tutta l'area balcanica.
Ritiene pertanto che su alcune rilevanti missioni internazionali pesino obiettivi di politica internazionale diversi da quelli che ispirano l'articolo 11 della Costituzione, che viene il più delle volte impropriamente richiamato per «coprire» missioni che non rispecchiano l'ispirazione di fondo del dettato costituzionale. Infine ritiene insopportabile la prassi seguita anche dall'attuale Governo di presentare un pacchetto fusionale di tutte le missioni che


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facilita la presentazione dei vari interventi in unico quadro indifferenziato, che impedisce nella sostanza al Parlamento, non solo di dedicare il necessario approfondimento alle singole missioni, ma anche di votare distintamente su ciascuna di esse. Ritiene pertanto necessario scorporare dal testo del decreto-legge le diverse missioni da quella che si svolge in Afghanistan dove la situazione si è notevolmente deteriorata sotto il profilo della sicurezza, come dimostra il fatto che nell'ultimo anno gli investimenti sono crollati del 53 per cento.

Pietro MARCENARO (PD-U), nel segnalare il pieno sostengo del Partito democratico al decreto-legge in titolo, esprime il rammarico per la coincidenza tra la discussione su temi così delicati e la crisi di Governo in corso. Sul piano delle riflessioni di carattere generale, sottolinea che in questa fase ci troviamo di fronte alla definizione di nuovi criteri di legittimità del diritto internazionale e che occorre affrontare le sfide del presente con particolare cautela. In questo senso, ritiene inadeguato almeno nella sede parlamentare che si parli di un «disimpegno» dell'Italia dall'Iraq. A suo avviso ogni lotta per la pace e la sicurezza internazionali deve essere condotta dentro le sedi istituzionali e all'interno di un campo di responsabilità, tenendo conto che la contraddizione ad oggi non è soltanto tra pace e guerra ma tra diversi concetti di guerra. La questione che riguarda gli effetti indiretti dei conflitti assume in questo senso un rilievo fondamentale e attiene in modo diretto alle scelte che l'Italia opera nel quadro delle nostre alleanze e responsabilità. Rileva che la politica estera italiana segue delle linee guida chiare, tra cui primeggia quella del multilateralismo, che costituisce un principio ma anche un obiettivo da raggiungere. Ribadisce che è in questo quadro che deve essere valutata l'azione del Governo e non alla luce di un presunto stato di necessità. Passando alle singole missioni oggetto di disciplina da parte del decreto-legge, richiama le riflessioni svolte nel corso del dibattito odierno presso le Commissioni Esteri di Camera e Senato, in presenza del Ministro degli affari esteri sul ruolo giocato dagli Stati Uniti e dalla Russia per quanto riguarda il Kosovo. Su tale versante, l'Italia assume l'orientamento europeo favorevole al piano Ahtisaari come proprio punto di riferimento.
Per quanto concerne l'Afghanistan, sono innegabili le difficoltà e i passi indietro riconosciuti dalle forze internazionali coinvolte; si tratta di un quadro che era già stato individuato con la Conferenza di Londra nel 2006. Rileva che le ragioni dell'indebolimento della comunità internazionale non sono necessariamente da rinvenire nella forza militare ma attengono al versante politico, in cui il campo delle iniziative è aperto. Sottolinea l'importanza dell'iniziativa italiana volta a promuovere il ruolo dell'Unione europea per l'Afghanistan secondo un indirizzo che è lontano dall'idea di un disimpegno anche militare dell'Italia. Peraltro, in questa fase, le richieste da parte di diversi interlocutori della società civile non vanno nella direzione del ritiro ma della qualità delle politiche di cooperazione e dell'azione internazionale. Ricorda, inoltre, che le difficoltà relative all'organizzazione di una conferenza regionale sull'Afghanistan sono da ricondurre alla situazione in Pakistan ed al ruolo dell'Iran, paese che non può al contempo essere considerato un attore essenziale per la crisi in Iraq e rappresentante dell'»asse del male». Al riguardo, ritiene significativo ricordare che l'Iran ha sacrificato molte vite di propri soldati per il contrasto del narcotraffico con l'Afghanistan.
In conclusione, sottolinea la necessità che il Parlamento solleciti il Governo ad assumere una visione attiva circa il proprio ruolo nel contesto internazionale, salvaguardando quanto è stato conseguito fino ad ora in una linea di coerenza con la propria azione di questi anni.

Il viceministro Ugo INTINI, per quanto riguarda le osservazioni di carattere finanziario svolte dal deputato Rivolta, ritiene di poter condividere la valutazione secondo la quale gli interventi in Kurdistan


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potrebbero risultare maggiormente efficaci rispetto a quelli realizzati nel teatro iracheno, considerata la situazione di maggiore sicurezza che caratterizza l'area.
Con riferimento alle osservazioni del deputato Venier, sottolinea come molte missioni internazionali siano caratterizzate da una prima fase in cui l'intervento militare risulta particolarmente efficace e da una fase successiva di stasi in cui non si riesce a trovare uno sbocco alle situazioni di conflitto. In sostanza, a suo avviso, l'intervento militare evita il peggio, ma non assicura il meglio, in quanto tale intervento dovrebbe essere accompagnato da un'incisiva azione politica che invece spesse volte non si riesce ad ottenere. Una volta realizzato l'intervento militare e superata l'emergenza, abbandonare il campo però, significherebbe far precipitare nuovamente la situazione.
Per quanto riguarda in particolare la situazione afgana, ritiene che essa sia quanto mai complicata a causa delle eterogeneità della popolazione, suddivisa in varie etnie, le cui posizioni, essendo difficilmente componibili, andrebbero trattate con una certa elasticità. In ogni caso, lo strumento militare dovrebbe essere utilizzato con molta prudenza, anche per non alienare il consenso della popolazione locale.
Ritiene che un fattore di discontinuità che ha caratterizzato l'azione dell'attuale Governo rispetto al precedente, sia costituito dal fatto che l'Italia ha assicurato la sua presenza militare soltanto nell'ambito di contesti multilaterali, facendo valere eventuali elementi di disaccordo con altri partners nell'ambito delle organizzazioni internazionali a cui partecipa.
Per quanto riguarda la mancata realizzazione di un monitoraggio parlamentare sulle missioni internazionali lamentata dal deputato Venier, ritiene che essa non possa essere imputata al Governo, in quanto tale monitoraggio rientra esclusivamente nelle prerogative del Parlamento.
Inoltre, in merito alla mancata organizzazione di una Conferenza internazionale per la pacificazione dell'Afghanistan, sottolinea come ciò sia stato determinato soprattutto dal precipitare della situazione in Pakistan che ha comportato effetti di destabilizzazione anche nel teatro afgano.
Riguardo infine alla destinazione dell'oppio all'industria farmaceutica, nel rilevare come si sia verificata un'esplosione della sua produzione negli ultimi anni, rileva come in assenza di una forte iniziativa internazionale e di un rigido controllo di legalità sul territorio afgano, tale destinazione risulti difficilmente realizzabile.
Venendo alla situazione in Libano ritiene che la missione UNIFIL rappresenti un punto di partenza, in quanto l'obiettivo da perseguire è quello della pacificazione dell'intera regione, portando a soluzione il conflitto arabo-israeliano.
Per quanto riguarda il Kosovo considera ben chiari sia i rischi che l'attuale situazione comporta - primo fra tutti quello di una crisi nei rapporti Russia-Stati Uniti - sia gli errori che sono stati compiuti in passato.
Con riferimento alle critiche al titolo del decreto-legge in esame, che è stato definito «ipocrita» dalla deputata Deiana, sottolinea come esso evidenzi un preciso ordine in termini di importanza politica dei diversi interventi, privilegiando quelli volti alla pace e alla stabilizzazione.
Quanto alla lamentata mancanza di riflessioni politiche da parte dei rappresentanti del Governo ritiene che esse non debbano essere necessariamente presenti nelle relazioni illustrative, ma possano essere fornite anche nel corso del dibattito come sta ora accadendo.
Tornando agli elementi di discontinuità che hanno caratterizzato la politica dell'attuale Governo rispetto al precedente ritiene di poterne individuare almeno tre: la convinta partecipazione dell'Italia all'unità politica dell'Europa; l'alleanza con gli Stati Uniti, in chiave dialettica e talvolta anche critica nonché l'intensificazione dei rapporti con i Paesi arabi. Nel sottolineare che tali fattori di discontinuità non mettano in discussione la partecipazione dell'Italia alla NATO - nell'ambito della quale possono essere fatte valere anche eventuali ragioni critiche - rileva


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come le prospettive future di tale organizzazione dovranno essere viste alla luce della nuova amministrazione americana e di una Europa che parli con una sola voce, come più volte auspicato dall'Italia.
Riprendendo la descrizione della situazione in Afghanistan, ritiene che gli interlocutori talebani siano molto cambiati, dal punto di vista generazionale, rispetto a quelli del 2001 quando fu avviato l'intervento militare. In merito alla specifica questione della condanna a morte del giornalista afgano, fa presente che il sottosegretario Vernetti sta attentamente seguendo la situazione.
In merito alla questione del cambiamento delle regole di ingaggio, rende noto che non risultano pervenute richieste analoghe a quelle rivolte alla Germania e che comunque, a suo avviso, qualora fossero inoltrate non potrebbero avere un esito diverso da queste ultime.
Inoltre, sottolinea come soltanto attraverso un forte impegno nelle organizzazioni internazionali da parte dell'Italia si potrà acquisire all'interno di esse la necessaria autorevolezza per far valere eventualmente anche eventuali posizioni critiche.
Infine, nel sottolineare l'unitarietà del decreto-legge in esame, dichiara la contrarietà del Governo a qualsiasi intervento che tenda a separare una o più missioni da tutte le altre.

Umberto RANIERI, presidente della III Commissione, ricorda che il termine per la presentazione degli emendamenti al provvedimento in esame è stato fissato dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite III e IV per lunedì 11 febbraio, alle ore 11. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 18.