VIII Commissione - Mercoledì 6 febbraio 2008


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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, recante attuazione delle direttive 2003/87/CE e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto (Atto n. 201).

NUOVA VERSIONE DELLA PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, recante attuazione delle direttive 2003/87/CE e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto (atto n. 201);
preso atto che il provvedimento intende dare risposte ai seguenti problemi: inadeguatezza della struttura e mancanza di chiarezza in merito alle competenze del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE, con specifico riferimento alle attività inerenti all'assegnazione ed al rilascio delle quote di emissione; esigenza di fornire una spinta verso un più ampio utilizzo dei meccanismi flessibili per lo sviluppo pulito e dell'attuazione congiunta degli obblighi individuali; necessità di assicurare un maggiore coordinamento delle azioni intraprese a livello nazionale in vista dell'adempimento degli obblighi di riduzione delle emissioni derivanti dal Protocollo di Kyoto;
considerato, peraltro, che occorre apportare una serie di opportune modifiche e integrazioni al testo, che consentano di correggere talune imprecisioni formali e alcuni problemi di coordinamento normativo;
ricordato che la VIII Commissione ha approvato una relazione all'Assemblea sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici (doc. XVI, n. 1), le cui indicazioni sono state poste dal Parlamento come base per lo sviluppo delle politiche pubbliche in materia, tanto che la stessa Assemblea, al termine del dibattito su tale relazione, ha approvato una risoluzione che impegna il Governo ad assumere gli orientamenti e le proposte in essa contenuti ai fini della definizione delle politiche a livello nazionale e internazionale in tema di cambiamenti climatici e delle future iniziative, anche normative;
segnalato, pertanto, che ogni atto del Governo - a partire da quello in esame - deve essere coerente con gli indirizzi del Parlamento e con le stesse indicazioni contenute nella citata relazione all'Assemblea;
rilevato, inoltre, che i principali destinatari dell'intervento sono i gestori degli impianti che richiedono il rilascio delle quote di emissione e che su di essi, in particolare, si riflettono gli oneri relativi alla riorganizzazione del Comitato di cui all'articolo 8 e gli oneri connessi al rilascio delle quote di emissione, nonché quelli relativi alla gestione del registro nazionale delle emissioni; da ciò deriva, infatti, l'introduzione di tariffe per tali attività a norma dell'articolo 1, comma 19 (che novella l'articolo 26 del testo originario), e


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la destinazione del meccanismo tariffario a coprire, secondo quanto specificato nella relazione illustrativa, anche i costi sostenuti per il trattamento economico dei membri del Comitato;
considerato che il testo proposto al Parlamento non riproduce più la clausola della non onerosità dell'istituzione del Comitato (originariamente prevista), rende molto più flessibili i criteri di nomina dei componenti, incrementa il loro trattamento economico e modifica sostanzialmente la composizione del Comitato stesso, prevedendone l'articolazione nei seguenti tre organi: un Consiglio direttivo (costituito da sette componenti, integrabile da ulteriori quattro membri, oltre i due direttori generali), una Segreteria tecnica (composta da quattordici membri) e una Segreteria amministrativa (costituita da otto membri in servizio presso la direzione competente del Ministero dell'ambiente), con ciò portando da 8 a 35 il numero delle unità addette alla struttura;
preso atto delle dichiarazioni del rappresentante del Governo, che ha preannunziato la volontà di recepire taluni dei rilievi formulati nella relazione introduttiva, e in particolare di ripristinare la composizione del Comitato prevista dal testo vigente del decreto legislativo n. 216 del 2006,

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) occorre, anzitutto, che il Governo proceda ad una più prudente e contenuta organizzazione del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE (che, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 216, costituisce l'Autorità nazionale competente), tenendo quanto più possibile ferma l'attuale dimensione, al fine di scongiurare ogni possibile appesantimento e burocratizzazione delle relative strutture amministrative, che - a scapito della semplificazione del sistema - si tradurrebbe anche in un ulteriore onere di natura sostanziale per le imprese;
b) proceda il Governo ad inserire nel Comitato di cui al punto a) un rappresentante delle regioni, come richiesto dal parere reso in sede di Conferenza Stato-regioni, anche al fine di coordinare e responsabilizzare il sistema delle regioni, in vista dell'auspicabile assegnazione alle stesse di quote di emissione, come previsto dalla relazione all'Assemblea sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici (doc. XVI, n. 1);
c) occorre sopprimere l'articolo 1, comma 12, la cui ratio appare poco chiara, posto che consente la sostituzione, su richiesta dell'operatore, di crediti «temporanei» derivanti da progetti CDM forestali - non utilizzabili dal Governo ai fini del rispetto degli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto - con crediti «permanenti» detenuti sul conto della Repubblica italiana;

e con le seguenti osservazioni:
1) all'articolo 1, comma 1, che novella l'articolo 3 del decreto legislativo n. 216, si segnala che, alla lettera e-bis), le definizioni recate dai numeri 4), 5) e 6) sono identiche; a tal fine, valuti il Governo l'opportunità di meglio specificare le definizioni di cui ai numeri 5) e 6);
2) con riferimento all'articolo 1, comma 2, che novella l'articolo 4 del decreto legislativo n. 216, anche in relazione a quanto indicato nella relazione illustrativa (che fa riferimento al rinnovo dell'autorizzazione «ad ogni quinquennio di applicazione della direttiva»), occorre chiarire l'effettiva durata dell'autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra, considerato che l'articolo 3, comma 2, lettera g), richiamato dalla disposizione, riguarda esclusivamente il primo periodo di riferimento, ovvero il triennio che ha inizio il 1o gennaio 2005;
3) al comma 4 dell'articolo 1, che novella l'articolo 7 del decreto legislativo


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n. 216, occorre modificare la formulazione del secondo periodo della novella medesima, al fine di chiarire che - nel caso di modifiche relative all'identità del gestore - devono essere presentate all'Autorità nazionale competente non le «modifiche», bensì «le domande di aggiornamento dell'autorizzazione»;
4) con riferimento al comma 10 dell'articolo 1, che introduce l'articolo aggiuntivo 14-bis, occorre specificare - al comma 4 di tale articolo aggiuntivo - che il Ministero cui si fa riferimento è quello dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, provvedendo altresì alla soppressione del comma 5, il cui contenuto è superfluo, poiché l'aggiornamento annuale è già contemplato dal citato comma 4;
5) si segnala che il comma 20 dell'articolo 1, il quale - al fine di correggere un errore materiale nell'Allegato C del decreto legislativo n. 216 - sostituisce il riferimento «alle linee guida adottate a norma dell'articolo 14» con quello «alle linee guida adottate a norma dell'articolo 13», appare poco chiaro, posto che tale disposizione non disciplina direttamente le linee guida, ma contiene semplicemente un rinvio alle decisioni comunitarie attuative della direttiva 2003/87/CE, con le quali sono state adottate le stesse linee guida;
6) più in generale, occorre infine effettuare una complessiva revisione del testo sotto il profilo formale, rivedendo taluni riferimenti interni che risultano palesemente errati e riconducendo diverse disposizioni presenti nel provvedimento ad una maggiore coerenza con i principi generali di redazione tecnica dei testi normativi.


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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, recante attuazione delle direttive 2003/87/CE e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto (Atto n. 201).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, recante attuazione delle direttive 2003/87/CE e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto (atto n. 201);
preso atto che il provvedimento intende dare risposte ai seguenti problemi: inadeguatezza della struttura e mancanza di chiarezza in merito alle competenze del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE, con specifico riferimento alle attività inerenti all'assegnazione ed al rilascio delle quote di emissione; esigenza di fornire una spinta verso un più ampio utilizzo dei meccanismi flessibili per lo sviluppo pulito e dell'attuazione congiunta degli obblighi individuali; necessità di assicurare un maggiore coordinamento delle azioni intraprese a livello nazionale in vista dell'adempimento degli obblighi di riduzione delle emissioni derivanti dal Protocollo di Kyoto;
considerato, peraltro, che occorre apportare una serie di opportune modifiche e integrazioni al testo, che consentano di correggere talune imprecisioni formali e alcuni problemi di coordinamento normativo;
ricordato che la VIII Commissione ha approvato una relazione all'Assemblea sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici (doc. XVI, n. 1), le cui indicazioni sono state poste dal Parlamento come base per lo sviluppo delle politiche pubbliche in materia, tanto che la stessa Assemblea, al termine del dibattito su tale relazione, ha approvato una risoluzione che impegna il Governo ad assumere gli orientamenti e le proposte in essa contenuti ai fini della definizione delle politiche a livello nazionale e internazionale in tema di cambiamenti climatici e delle future iniziative, anche normative;
segnalato, pertanto, che ogni atto del Governo - a partire da quello in esame - deve essere coerente con gli indirizzi del Parlamento e con le stesse indicazioni contenute nella citata relazione all'Assemblea;
rilevato, inoltre, che i principali destinatari dell'intervento sono i gestori degli impianti che richiedono il rilascio delle quote di emissione e che su di essi, in particolare, si riflettono gli oneri relativi alla riorganizzazione del Comitato di cui all'articolo 8 e gli oneri connessi al rilascio delle quote di emissione, nonché quelli relativi alla gestione del registro nazionale delle emissioni; da ciò deriva, infatti, l'introduzione di tariffe per tali attività a norma dell'articolo 1, comma 19 (che novella l'articolo 26 del testo originario), e la destinazione del meccanismo tariffario


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a coprire, secondo quanto specificato nella relazione illustrativa, anche i costi sostenuti per il trattamento economico dei membri del Comitato;
considerato che il testo proposto al Parlamento non riproduce più la clausola della non onerosità dell'istituzione del Comitato (originariamente prevista), rende molto più flessibili i criteri di nomina dei componenti, incrementa il loro trattamento economico e modifica sostanzialmente la composizione del Comitato stesso, prevedendone l'articolazione nei seguenti tre organi: un Consiglio direttivo (costituito da sette componenti, integrabile da ulteriori quattro membri, oltre i due direttori generali), una Segreteria tecnica (composta da quattordici membri) e una Segreteria amministrativa (costituita da otto membri in servizio presso la direzione competente del Ministero dell'ambiente), con ciò portando da 8 a 35 il numero delle unità addette alla struttura;
preso atto delle dichiarazioni del rappresentante del Governo, che ha preannunziato la volontà di recepire taluni dei rilievi formulati nella relazione introduttiva, e in particolare di ripristinare la composizione del Comitato prevista dal testo vigente del decreto legislativo n. 216 del 2006,

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) occorre, anzitutto, che il Governo proceda ad una più prudente e contenuta organizzazione del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE (che, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 216, costituisce l'Autorità nazionale competente), tenendo quanto più possibile ferma l'attuale dimensione, al fine di scongiurare ogni possibile appesantimento e burocratizzazione delle relative strutture amministrative, che - a scapito della semplificazione del sistema - si tradurrebbe anche in un ulteriore onere di natura sostanziale per le imprese;
b) proceda il Governo ad inserire nel Comitato di cui al punto a) un rappresentante delle regioni, come richiesto dal parere reso in sede di Conferenza Stato-regioni, anche al fine di coordinare e responsabilizzare il sistema delle regioni, in vista dell'auspicabile assegnazione alle stesse di quote di emissione, come previsto dalla relazione all'Assemblea sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici (doc. XVI, n. 1);
c) occorre sopprimere l'articolo 1, comma 12, la cui ratio appare poco chiara, posto che consente la sostituzione, su richiesta dell'operatore, di crediti «temporanei» derivanti da progetti CDM forestali - non utilizzabili dal Governo ai fini del rispetto degli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto - con crediti «permanenti» detenuti sul conto della Repubblica italiana;

e con le seguenti osservazioni:
1) all'articolo 1, comma 1, che novella l'articolo 3 del decreto legislativo n. 216, si segnala che, alla lettera e-bis), le definizioni recate dai numeri 4), 5) e 6) sono identiche; a tal fine, valuti il Governo l'opportunità di meglio specificare le definizioni di cui ai numeri 5) e 6);
2) con riferimento all'articolo 1, comma 2, che novella l'articolo 4 del decreto legislativo n. 216, anche in relazione a quanto indicato nella relazione illustrativa (che fa riferimento al rinnovo dell'autorizzazione «ad ogni quinquennio di applicazione della direttiva»), occorre chiarire l'effettiva durata dell'autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra, considerato che l'articolo 3, comma 2, lettera g), richiamato dalla disposizione, riguarda esclusivamente il primo periodo di riferimento, ovvero il triennio che ha inizio il 1o gennaio 2005;


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3) al comma 4 dell'articolo 1, che novella l'articolo 7 del decreto legislativo n. 216, occorre modificare la formulazione del secondo periodo della novella medesima, al fine di chiarire che - nel caso di modifiche relative all'identità del gestore - devono essere presentate all'Autorità nazionale competente non le «modifiche», bensì «le domande di aggiornamento dell'autorizzazione»;
4) al comma 5 dell'articolo 1, che novella l'articolo 8 del decreto legislativo n. 216, sia introdotto l'obbligo per il Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE di presentare una relazione periodica al Parlamento sull'attività svolta;
5) con riferimento al comma 10 dell'articolo 1, che introduce l'articolo aggiuntivo 14-bis, occorre specificare - al comma 4 di tale articolo aggiuntivo - che il Ministero cui si fa riferimento è quello dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, provvedendo altresì alla soppressione del comma 5, il cui contenuto è superfluo, poiché l'aggiornamento annuale è già contemplato dal citato comma 4;
6) si segnala che il comma 20 dell'articolo 1, il quale - al fine di correggere un errore materiale nell'Allegato C del decreto legislativo n. 216 - sostituisce il riferimento «alle linee guida adottate a norma dell'articolo 14» con quello «alle linee guida adottate a norma dell'articolo 13», appare poco chiaro, posto che tale disposizione non disciplina direttamente le linee guida, ma contiene semplicemente un rinvio alle decisioni comunitarie attuative della direttiva 2003/87/CE, con le quali sono state adottate le stesse linee guida;
7) più in generale, occorre infine effettuare una complessiva revisione del testo sotto il profilo formale, rivedendo taluni riferimenti interni che risultano palesemente errati e riconducendo diverse disposizioni presenti nel provvedimento ad una maggiore coerenza con i principi generali di redazione tecnica dei testi normativi.


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ALLEGATO 3

Schema di decreto ministeriale recante interventi e servizi di messa in sicurezza della viabilità statale della Calabria e della Sicilia, direttamente interessata dall'emergenza derivante dai lavori sul tratto Bagnara - Reggio Calabria dell'autostrada A3 (Atto n. 214).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto ministeriale recante interventi e servizi di messa in sicurezza della viabilità statale della Calabria e della Sicilia, direttamente interessata dall'emergenza derivante dai lavori sul tratto Bagnara - Reggio Calabria dell'autostrada A3 (atto n. 214);
richiamato il fatto che il provvedimento in esame intende dare attuazione ad una norma contenuta nel decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e che già durante l'esame del relativo disegno di legge di conversione la VIII Commissione aveva avuto modo di sottolineare criticamente la natura e gli effetti di disposizioni settoriali come quella in questione, che, pur risolvendo specifici problemi o particolari situazioni meritevoli di attenzione, non hanno tuttavia il respiro di una politica complessivamente e coerentemente orientata;
segnalato, inoltre, che proprio in ragione della natura settoriale di tale disposizione e della necessità di assicurare al Parlamento efficaci strumenti di controllo della fase applicativa della medesima disposizione, in sede di conversione del citato decreto-legge il Parlamento aveva introdotto una specifica norma modificativa, che subordinava l'emanazione del provvedimento attuativo all'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti;
preso atto, peraltro, che - anche per scongiurare il rischio di non poter disporre dei finanziamenti imputati nella spesa di parte corrente in conto esercizio 2007 - il Governo ha emanato il prescritto decreto ministeriale in data 7 novembre 2007, vale a dire quando ancora non si era concluso l'esame parlamentare del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 159 del 2007;
preso atto positivamente, in tal senso, del rilievo n. 3/T del 9 gennaio 2008 formulato dalla Corte dei Conti, relativamente alla necessità di acquisire da parte del Governo i prescritti pareri delle Commissioni parlamentari competenti sui provvedimenti di riparto delle risorse assegnate e richiamata, pertanto, la pressante necessità che ogni atto del Governo - a partire da quello in esame - sia coerente con gli indirizzi e le prescrizioni normative formulati in sede parlamentare;
osservato, peraltro, che il provvedimento in esame dà effettivamente una importante risposta alle gravi criticità alla viabilità, dovute alla non predisposizione di strade al servizio dei cantieri nei lavori di ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, nel tratto compreso fra gli svincoli di Bagnara Calabra e Scilla, tanto che il DPCM 9 novembre 2007 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 del 12 novembre 2007) ha dichiarato, fino al 1o gennaio 2009, lo stato d'emergenza (ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992,


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n. 225) nel settore del traffico e della mobilità a seguito dei lavori di ammodernamento del citato tratto autostradale;
rilevato che, in attuazione del citato DPCM, è stata emanata l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 16 novembre 2007, n. 3628, che ha disposto, tra l'altro, la nomina del Prefetto di Reggio Calabria a Commissario delegato per l'attuazione degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza;
considerato che tale situazione emergenziale è causata dai lavori di sistemazione del tratto di 12 chilometri compreso tra i richiamati svincoli di Bagnara Calabra e Scilla nell'ambito dei lavori di ammodernamento del V macro lotto dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria;
considerato, in particolare, che durante il lungo periodo necessario alla realizzazione di tali lavori, nel predetto tratto autostradale - sul quale confluisce quotidianamente un considerevole volume di traffico - sarà previsto il doppio senso di circolazione su un'unica carreggiata e che la viabilità alternativa, spesso montana e tortuosa, attraversa per lunghi tratti centri urbani;
richiamata, a tale proposito, la gravità della questione della sicurezza stradale drammaticamente attestata, sul piano nazionale, dai recentissimi dati sulla crescita degli incidenti stradali che coinvolgono pedoni, che hanno raggiunto nel 2006 il 13,4 per cento del totale degli incidenti stradali;
raccomandato, peraltro, al Governo di verificare la coincidenza tra le risorse attribuite al Prefetto di Reggio Calabria (ai sensi dell'articolo 3, punto 3, dello schema di decreto in esame) per l'esercizio dei presidi multioperativi e le risorse trasferite sulla contabilità speciale per il Commissario delegato ai sensi dell'articolo 6, comma 4, dell'ordinanza n. 3628 del 2007;
posto, inoltre, che nelle premesse del provvedimento in esame si stima un importo di 2.040.302 euro annui «per i costi di esercizio, tra cui quelli per presidi operativi», per cui occorre comprendere la ragione della previsione, all'interno dello schema di decreto, di un importo maggiore (di circa 500.000 euro) esclusivamente per la finalità dell'esercizio di presidi multioperativi;
considerato, da ultimo, che occorre modificare il testo del provvedimento sotto il profilo formale, in particolare correggendo, all'articolo 3, l'erroneo riferimento al comma 6, anziché al comma 2, dell'articolo 8 del decreto-legge n. 159 del 2007, nonché, nelle premesse del provvedimento, l'erroneo riferimento alla IX Commissione anziché alla VIII Commissione della Camera dei deputati,

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PARERE FAVOREVOLE


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ALLEGATO 4

Indagine conoscitiva sulla valutazione delle conseguenze ambientali provocate dall'inquinamento urbano, dallo smaltimento dei rifiuti e dalle aree ad alto rischio.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

INDICE

1. Presentazione e obiettivi dell'indagine conoscitiva
2. La dimensione dei fenomeni
2.1. Inquinamento urbano
2.2. Aree ad alto rischio
2.3. Smaltimento dei rifiuti
2.4. L'importanza dei dati scientifici ai fini dell'interconnessione dei fenomeni
3. Prospettive e proposte

3.1. Le linee di indirizzo generale
3.2. Le proposte operative

1. Presentazione e obiettivi dell'indagine conoscitiva.

L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della VIII Commissione, nella riunione del 21 settembre 2006 ha concordato sull'opportunità di svolgere un'indagine conoscitiva sulla valutazione delle conseguenze ambientali provocate dall'inquinamento urbano, dallo smaltimento dei rifiuti e dalle aree ad alto rischio.
Acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'intesa con il Presidente della Camera, l'indagine conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta del 27 settembre 2006 ed è stato fissato al 31 marzo 2007 il termine per la sua conclusione. Tale termine è stato successivamente prorogato una prima volta al 31 ottobre 2007 e, quindi, ulteriormente prorogato al 15 febbraio 2008.
La decisione di procedere allo svolgimento dell'indagine conoscitiva ha preso le mosse anzitutto dalla convinzione, ampiamente condivisa dai rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in Commissione, che la tutela e la preservazione dell'ambiente rappresentano oggi più che mai una priorità politica e che la politica ha oggi più che mai il dovere di dare una risposta positiva alla crescente domanda di «sicurezza ambientale» e al diffuso allarme sociale sulle conseguenze dei fenomeni di inquinamento, che rischiano di compromettere in maniera irreversibile beni e diritti fondamentali dei singoli e della collettività.
In particolare, la Commissione ha ritenuto opportuno focalizzare l'attenzione delle forze parlamentari e della pubblica opinione sulle tre forme di inquinamento rappresentate dall'inquinamento urbano, dallo smaltimento dei rifiuti e dalle aree ad alto rischio, le quali presentano profili di vera e propria criticità nel nostro Paese: basti pensare al sistematico superamento dei limiti giornalieri di concentrazione degli inquinanti nell'aria nei centri urbani; alla difficoltà di stabilire una mappa nazionale delle aree ad alto rischio di crisi ambientale e di procedere nelle attività di caratterizzazione e di bonifica dei siti contaminati; infine, alla situazione nazionale


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di luci e ombre nella gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali e pericolosi, situazione che diventa critica nel Centro e nel Sud del Paese e drammatica, anche sul piano sociale, a Napoli e nella regione campana, con risvolti gravi perfino sul piano dell'ordine pubblico e dello stesso sentimento di unità nazionale.
Peraltro, sia perché l'attività conoscitiva si è conclusa prima dell'esplodere della crisi di fine 2007, sia perché sull'emergenza rifiuti a Napoli e in Campania il Parlamento, nello specifico la Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha già avuto modo di esprimersi con parole chiare e nette sul fallimento dell'esperienza commissariale e sulle responsabilità politiche e amministrative della mancata realizzazione di un ciclo integrato dei rifiuti, in questa sede si è ritenuto di non dover tornare su tali problematiche se non per sottolineare, fin dall'apertura di questa relazione, l'assoluta necessità che il Parlamento, nel rispetto delle procedure e delle competenze dei diversi organi costituzionali, proceda a fare il punto, regione per regione, della situazione relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti, per verificare in profondità il reale stato delle cose su tutto il territorio nazionale e per eventualmente assumere, in modo tempestivo, tutte le iniziative politiche e legislative che si rendessero necessarie.
Tornando, dunque, alle ragioni che hanno condotto alla deliberazione di avviare l'indagine conoscitiva, va detto che con questo atto la Commissione aveva inteso confermare la scelta di fondo di un metodo di lavoro parlamentare basato sull'apertura ai soggetti esterni e sulla conoscenza il più possibile esatta dei dati, per una migliore comprensione dei fenomeni oggetto della sua attività e per una coerente definizione delle strategie di intervento legislativo.
Quest'ultimo profilo ha progressivamente assunto una particolare importanza, anche in ragione della quantità e della qualità degli elementi di conoscenza e di giudizio offerti dai rappresentanti del mondo scientifico auditi. Tali contributi costituiscono, infatti, a giudizio della Commissione, uno strumento importante per cercare di superare, o quantomeno per arginare, la tradizionale, e spesso strumentale, situazione di discordanza delle opinioni sulle conseguenze ambientali prodotte dai fenomeni oggetto dell'indagine.
È questo, infatti, un passaggio indispensabile affinché la politica possa tornare a operare con efficacia e lungimiranza nella individuazione delle priorità, nella verifica degli strumenti legislativi e amministrativi esistenti, nell'approntamento delle soluzioni più idonee a far fronte alle diverse problematiche sul tappeto, e, non ultimo, nell'affermare pienamente un modello di condivisione con i cittadini delle basi conoscitive delle diverse opzioni in campo.
Tenuto conto di tali finalità, l'indagine si è concretamente avviata il 24 ottobre 2006 con l'audizione dei rappresentanti dell'ANCI ed è quindi proseguita con le audizioni dei rappresentanti: del Dipartimento della protezione civile, nella seduta del 7 novembre 2006; del CNR, nella seduta del 6 dicembre 2006; degli organismi tecnici specializzati della Regione Siciliana, nella seduta del 12 dicembre 2006; dell'Istituto superiore di sanità, nella seduta del 24 gennaio 2007; della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella seduta del 12 settembre 2007; dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dell'Istituto italiano di medicina sociale (IIMS), nella seduta del 27 settembre 2007; della Società chimica italiana, nella seduta del 16 ottobre 2007; dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), nella seduta del 23 ottobre 2007; del Centro europeo per l'ambiente e la salute (ECEH) dell'Ufficio regionale europeo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella seduta del 7 novembre 2007; di FISE-Assoambiente, nella seduta del 4 dicembre 2007. Il ciclo di audizioni si è infine concluso con l'audizione di rappresentanti dell'Associazione Medici per l'ambiente-ISDE, nella seduta del 12 dicembre 2007.


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2. La dimensione dei fenomeni.

2.1. Inquinamento urbano.

I maggiori problemi di inquinamento urbano derivano dall'emissione nell'aria di sostanze inquinanti prodotte dal traffico veicolare, ma anche dagli impianti industriali e da quelli di riscaldamento; senza dimenticare, inoltre, casi particolari di emissioni, come quelle prodotte dalle navi nelle città portuali, oggetto di particolari normative.
Sulle aree più intensamente urbanizzate, peraltro, si concentrano fonti di inquinamento diffuse e puntuali, di diversa natura e origine: si tratta di un mix disomogeneo di fattori biochimici che incide su funzioni vitali diverse, potendo provocare effetti, anche a lungo termine, dovuti ad esposizioni protratte nel tempo, che possono concorrere a minacciare la stessa salute delle persone. In Italia circolano, del resto, oltre 46 milioni di autoveicoli, di cui oltre 35 milioni sono autovetture (dati APAT), abbiamo il più alto numero di vetture per abitante (solo gli USA hanno un tasso di motorizzazione più elevato) e il consumo di benzina, a parte la Germania, è nel nostro Paese il più alto d'Europa (dati della Società chimica italiana). Ozono (O3), polveri sottili (PM10) e ossido di azoto (NO2) e composti organici volatili (COVNM) sono gli inquinanti più critici in tutte le città italiane e, in uno studio dell'Agenzia europea per l'ambiente, l'area padana compare fra le peggiori, insieme al Benelux, alla Repubblica Ceca e all'Ungheria.
La normativa di riferimento, attuativa delle direttive europee sull'inquinamento urbano, ha cercato di porre un freno al problema, fissando limiti giornalieri e annuali di concentrazione delle sostanze inquinanti nell'aria. Peraltro, se è vero che nel corso dell'ultimo ventennio sono stati drasticamente ridotti gli inquinanti prodotti dalla combustione dei vecchi carburanti (piombo, benzene, ecc.) e anche gli altri inquinanti sono diminuiti in modo significativo (ossido di azoto, composti organici volatili, ecc.), così non è stato, purtroppo, per le «polveri sottili» (PM10). La presenza di PM10 presente nell'aria delle nostre città è particolarmente elevata, soprattutto in inverno, e in tutte le grandi aree urbane del Paese si oltrepassa sistematicamente il limite massimo di 35 giorni l'anno di superamento dei 50 nanogrammi per metro cubo consentiti dalla legge (l'attuale limite di 50 nanogrammi per metro cubo, per non più di 35 giorni l'anno, sarà ridotto, dal 2010, a 20 nanogrammi per metro cubo, per non più di 7 giorni l'anno).
In particolare, a Torino, nel 2006, si sono registrati quasi 200 superamenti del limite giornaliero, 155 a Milano, 110 a Bologna e a Roma, 80 a Palermo, 54 a Bari. Inoltre, tale limite risulta superato già nella prima metà del mese di febbraio in tutte le città del Nord: a Torino il 7 febbraio, a Milano il 6 febbraio, a Bologna il 16 febbraio; ed anche se al Centro e al Sud la situazione appare meno critica, detto limite viene comunque superato nelle maggiori aree urbane: a Roma il 19 marzo, a Palermo il 7 giugno, a Bari il 29 ottobre. E ciò, senza trascurare che l'Unione europea è in procinto di emanare nuove direttive che obbligheranno gli stati membri a prendere in considerazione anche le polveri ultrasottili (PM2,5).
Per quanto riguarda l'inquinamento da ozono, le cui concentrazioni più elevate si registrano nel periodo estivo, i dati dell'estate appena trascorsa (2007) dicono che nel 93 per cento delle stazioni di rilevamento sono stati registrati valori superiori all'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana indicato dall'OMS (120 nanogrammi per metro cubo). Infine, per quanto riguarda il biossido di azoto, il limite annuale di 40 nanogrammi per metro cubo, che entrerà in vigore nel 2010, è stato superato nel 2006 in oltre metà delle stazioni di rilevamento, ma occorre specificare che per il biossido di azoto (come per l'ozono) la rete di monitoraggio è piuttosto carente nel Mezzogiorno.
Quanto alle cause della cattiva qualità dell'aria che respiriamo, tutti i dati indicano


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nel traffico il fattore decisivo dell'inquinamento atmosferico. Uno studio dell'APAT, relativo al 2005, attribuisce al trasporto il 43 per cento delle emissioni di polveri sottili, il 65 per cento di ossido di azoto e il 43 per cento di composti organici volatili. Questa criticità, ovviamente, si accentua nelle città, dove si concentra sia la popolazione che il traffico e dove il solo trasporto stradale produce (sempre secondo i dati dell'APAT) più del 70 per cento delle emissioni complessive di polveri sottili, di ossido di azoto e di composti organici volatili.
Resta solo da dire - ma è il dato che meglio individua la dimensione concreta delle problematiche oggetto dell'indagine - che la popolazione italiana potenzialmente esposta ad inquinamento atmosferico nelle aree urbane ammonta ad almeno 9 milioni di persone, se si vuole tenere conto del dato relativo agli abitanti di 13 tra le 15 maggiori città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Catania, Venezia-Mestre, Verona, Padova e Trieste), preso in considerazione dall'OMS ai fini dello studio delle conseguenze sanitarie dell'inquinamento urbano. Tale dato crescerebbe a dismisura, invece, se si volessero - come sembrerebbe, peraltro, ragionevole - aggiungere ai 9 milioni di cittadini i moltissimi altri che vivono in centri di minori dimensioni, ma ugualmente interessati da inquinamento da traffico, a cominciare da quelli situati nella pianura padana.

2.2. Aree ad alto rischio.

La presenza di siti contaminati è fenomeno che riguarda tutti i paesi industrializzati. In Europa, si stima che siano presenti circa 80.000 siti contaminati. Questo fatto non deve tuttavia indurre ad abbassare il livello di attenzione sulla situazione italiana.
Attualmente sono presenti sul territorio nazionale 54 siti contaminati di interesse nazionale (SIN) (per alcuni dei quali la stessa APAT ritiene, come riportato dall'annuario 2007, difficilmente attuabili, almeno nel prossimo quarto di secolo, i necessari interventi di recupero), definiti tali con riferimento alla gravità del livello di contaminazione dei suoli e alla quantità e pericolosità ecologica e sanitaria dei rifiuti tossici presenti.
Siti contaminati di interesse nazionale sono presenti in tutte le regioni: la Lombardia ne ha sette, seguita dal Piemonte con sei, dalla Campania e dalla Toscana con cinque, dalla Sicilia e dalla Puglia con 4, dalla Liguria con 3; Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Basilicata e Sardegna ne hanno due, mentre Valle D'Aosta, Umbria, Abruzzo, Molise e Calabria ne hanno uno solo (dati APAT).
L'estensione delle grandi aree industriali contaminate da bonificare è stimata (Società chimica italiana) essere pari al 3 per cento dell'intero territorio nazionale: si tratta di una superficie enorme, 10 mila chilometri quadrati, estesa quasi quanto il Trentino-Alto Adige, più dell'Abruzzo o della Basilicata.
Inoltre, il CNR sottolinea che nei 311 comuni e città compresi nei 54 SIN vivono 6 milioni e 400 mila persone, escludendo dal calcolo i cittadini di Torino e di Milano, città che pure hanno porzioni del proprio territorio comprese nei SIN (includendoli, si arriverebbe a 8 milioni e 600 mila persone).
Infine, occorre ricordare che, opportunamente, sempre per il CNR, oltre ai 54 siti contaminati di interesse nazionale (SIN), vanno considerati e conteggiati i 58 siti riconosciuti con elevata contaminazione da amianto, i 1.120 stabilimenti a rischio di incidente rilevante, e i circa 6 mila siti contaminati di interesse regionale. Dal canto suo, l'APAT, nell'ultimo annuario dei dati ambientali, ha stimato complessivamente in circa 15 mila i siti contaminati presenti nel nostro Paese.

2.3. Smaltimento dei rifiuti.

Lo smaltimento, e in particolare lo smaltimento in discarica dei rifiuti tal quali, è la forma più inadeguata e inquinante di gestione dei rifiuti. Il quadro normativo nazionale ed europeo, nell'individuare


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le priorità da perseguire nella gestione dei rifiuti, pone infatti al primo posto la prevenzione e la riduzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti, seguite dal riciclo o recupero dei rifiuti sotto forma di materia, dal loro recupero sotto altre forme, ad esempio come fonte di energia, e all'ultimo posto il loro smaltimento.
In netto contrasto con l'obiettivo strategico dell'uso razionale e sostenibile delle risorse, con le scelte politiche dichiarate e con le prescrizioni della normativa nazionale ed europea, in meno di un decennio, dal 1997 al 2004, la produzione totale di rifiuti in Italia è passata da oltre 87,5 a quasi 140 milioni di tonnellate, con un aumento del 60 per cento.
Sia pure con alcune differenze, l'aumento riguarda tutti i tipi di rifiuti: quelli provenienti dalle attività di costruzione e demolizione (C&D), passati da 21 a 46 milioni di tonnellate, quelli speciali (esclusi i C&D), passati da 40 a 62 milioni di tonnellate, e quelli urbani, passati da 26,6 a 31,7 milioni di tonnellate.
In particolare per i rifiuti urbani, occorre registrare due ulteriori dati negativi: il primo dato riguarda l'accelerazione della loro produzione (a fronte di un aumento del 2,1 per cento nel triennio 2001-2003, l'aumento nel triennio 2003-2005 è stato del 5,5 per cento); il secondo dato, altrettanto preoccupante, si riferisce invece al disallineamento fra i fenomeni di produzione dei rifiuti urbani e di crescita economica e dei consumi delle famiglie (a fronte del + 5,5 per cento fatto segnare dai rifiuti urbani nel triennio 2003-2005, il PIL è cresciuto solo dell'1 per cento e la spesa delle famiglie solamente dello 0,6 per cento). Resta da dire, anche se ciò è poco confortante in questo quadro, che il dato relativo alla produzione pro capite di rifiuti urbani permane, almeno fino a oggi, più basso in Italia (533 chili per abitante) che nel resto dell'Europa (537 chili per abitante nell'UE).
Detto della produzione di rifiuti, bisogna altresì registrare un quadro per molti aspetti preoccupante anche per quanto riguarda la gestione dei rifiuti prodotti. La raccolta differenziata, che ne è lo strumento fondamentale, si è fermata nel 2005 a 7,7 milioni di tonnellate, pari al 24,3 per cento della produzione totale di rifiuti urbani, percentuale ben lontana dal 35 per cento previsto dalla normativa per il 2003.
Peraltro, come la Commissione ha avuto modo di verificare nel corso dell'indagine conoscitiva dedicata all'industria del riciclo, la situazione non è omogenea sul territorio nazionale: alla modernità di un Nord che nel 2005 si è attestato sopra il 38 per cento (con risultati ancor più significativi in Veneto, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Piemonte), si contrappone l'arretratezza di vaste aree del Centro (19,4 per cento) e, soprattutto, del Sud (8,7 per cento), che restano ancora ben lontani dall'obiettivo nazionale. L'analisi della stessa tendenza generale all'aumento della raccolta differenziata rimarca questa differenza e mostra una ulteriore, preoccupante divaricazione nei comportamenti e nei risultati delle tre macroaree del Paese. Al Nord, infatti, dal 2001 al 2005, la raccolta differenziata - pur partendo da una base già buona - è cresciuta di ben 9,5 punti percentuali, mentre sia al Centro (+ 6 per cento) che al Sud (+ 4 per cento) i risultati sono stati molto più modesti.
In questo contesto, appare poco confortante lo stesso dato in diminuzione dello smaltimento in discarica dei rifiuti urbani (il 2005 ha fatto segnare un - 2,7 per cento rispetto all'anno precedente), anche perché lo smaltimento in discarica, con il suo 48,8 per cento, resta, comunque, la forma di «gestione» più praticata di tali rifiuti. Per completezza, si segnala che accanto alla insufficiente diminuzione del dato relativo allo smaltimento in discarica, tutte le altre forme di gestione dei rifiuti urbani hanno fatto segnare nel 2005 un incremento: + 13,6 per cento per il trattamento biologico, + 12,9 per cento per il compostaggio, + 7,4 per cento per l'incenerimento e + 5 per cento per le altre forme di recupero.
Analoghe tendenze, infine, mostrano i dati 2004 relativi alla gestione dei rifiuti speciali. Se è vero, infatti, che il recupero di materia costituisce la forma di gestione più utilizzata per questi rifiuti (anche


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grazie all'elevata quantità di rifiuti provenienti da attività di costruzione e demolizione che possono essere agevolmente recuperati), riguardando poco meno di 50 delle 95 milioni di tonnellate gestite, quasi 35 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono state destinate allo smaltimento e, di queste, ben più della metà (19,7 milioni di tonnellate) sono state smaltite in discarica.

2.4. L'importanza dei dati scientifici ai fini dell'interconnessione dei fenomeni.

Non meno grave delle conseguenze ambientali delle varie forme di inquinamento è apparsa, nel corso dell'indagine conoscitiva, la dimensione del rischio sanitario ad esse connesso.
Sotto questo profilo, un contributo fondamentale è venuto dalla acquisizione dei risultati delle ricerche condotte negli ultimi anni dai più autorevoli istituti scientifici presenti in Italia, dal CNR, all'Istituto superiore di sanità, all'OMS all'ENEA: si tratta di studi sulla valutazione del potenziale impatto sulla salute di chi vive nelle aree urbane ed è esposto agli effetti del traffico; sulla salute dei cittadini nei siti inquinati delle province di Napoli e Caserta, in relazione ai cumuli di rifiuti abbandonati e allo smaltimento incontrollato dei rifiuti in discariche legali e illegali; sulle conseguenze sanitarie nelle maggiori aree industriali del Paese, in relazione alla contaminazione dei suoli e delle falde acquifere.
Le acquisizioni effettuate hanno consentito, inoltre, di verificare l'elevato grado di interconnessione dei fenomeni di inquinamento presi in esame: più spesso di quanto risulti dall'attività, sovente scoordinata, delle pubbliche amministrazioni, tali fenomeni riguardano aree del Paese in tutto o in parte sovrapponibili, sono originati da cause in tutto o in parte comuni, sommano i loro negativi effetti sia sul piano ambientale che su quello della salute dei cittadini.
Ai rappresentanti della comunità scientifica, va per questo riconosciuto, anzitutto, il merito di aver saputo mantenere alta l'attenzione su questi temi; di avere prodotto negli ultimi anni studi e ricerche di rilievo internazionale; di aver portato un contributo importante, anche sul piano propositivo, che la Commissione intende fare proprio, alla riflessione e al dibattito sul rinnovamento dei processi decisionali della politica e delle pubbliche amministrazioni in questo settore.
Nel ricordare che i risultati delle ricerche condotte in Italia sono del tutto in linea con gli studi di epidemiologia ambientale svolti a livello internazionale, e che in tutti e due gli ambiti emerge una correlazione negativa diretta fra inquinamento e salute (come dimostrano ampiamente, ad esempio, i dati relativi alla netta differenza tra città e campagna nel numero delle malattie broncopolmonari o alla elevata attività mutagena - con conseguente potenziale rischio cancerogeno - nell'aria di tutte le città del mondo), si ritiene opportuno richiamare in questa sede, quantomeno, le principali fra tali ricerche scientifiche, a cominciare dallo studio condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità (2002-2004) sulla popolazione delle 13 principali città italiane, dal quale risulta che oltre 8.000 decessi l'anno sono attribuibili a concentrazioni medie di polveri sottili superiori a 20 nanogrammi per metro cubo. Ancora secondo l'OMS, i soggetti più esposti a tali condizioni di inquinamento sono gli anziani e i bambini, per i quali si registrano nel nostro Paese circa 300 mila casi di bronchite, oltre 160 mila attacchi d'asma e più di 10 mila ricoveri ospedalieri per malattie cardiache. Questo dato, inoltre, è confermato anche da un'indagine SIDRIA (studi italiani sui disturbi respiratori nell'infanzia e l'ambiente) condotta sui bambini asmatici e orientata alle fonti di inquinamento da traffico.
Dal canto loro, CNR e Istituto superiore di sanità hanno condotto particolari approfondimenti sull'impatto sanitario dei fenomeni di inquinamento delle aree ad alto rischio, ad esempio sul tema di grande attualità «rifiuti e salute» in Campania o sulla mortalità e morbilità a lungo termine nelle aree contaminate, ma non ancora bonificate. In quest'ultimo settore, è stato


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riscontrato, tra l'altro, quanto pericolosi siano i ritardi nella caratterizzazione dei siti inquinati e nella realizzazione delle attività di bonifica: uno studio condotto nell'area di Massa Carrara ha dimostrato, ad esempio che, in assenza di incisivi interventi di bonifica delle aree inquinate, gli effetti negativi sull'ambiente e sulla salute permangono a lungo termine (nonostante la chiusura da ormai 15 anni degli stabilimenti Farmoplant Montedison e Anic-Agricoltura).
Inoltre, una serie di studi portati a termine nel 2006 sui siti di bonifiche di interesse nazionale delle province di Napoli e Caserta, in relazione al ciclo dei rifiuti, sull'area ad alto rischio di Taranto, in relazione al polo siderurgico e all'area portuale, e sull'area di Gela, in relazione al polo petrolchimico, hanno dimostrato senza ombra di dubbio in queste aree l'aumento di incidenza dei tumori e di altre gravi patologie rispetto ai dati sia regionali che nazionali. Per quanto riguarda, peraltro, gli studi sulla esposizione ad inquinanti di origine da combustione industriale, un significativo numero di essi afferma che le patologie più gravi riguardano forme neoplastiche, prevalentemente dei tessuti molli.

3. Prospettive e proposte.

Il quadro complessivo, emerso nel corso dell'indagine conoscitiva e fin qui tratteggiato in termini di dimensione e di conseguenze negative dei fenomeni di inquinamento appare invero non confortante.
Peraltro, rifuggendo ogni catastrofismo, che è sempre stato contrastato dalla Commissione, si ritiene che l'indagine conoscitiva abbia conseguito più di un risultato positivo. L'acquisizione di una documentazione autorevole e aggiornata sulla situazione italiana mette, anzitutto, a disposizione delle forze parlamentari e della pubblica opinione uno strumento importante per radicare nel Paese una rinnovata consapevolezza, da un lato dell'entità dei potenziali danni prodotti dall'inquinamento all'ambiente e alla salute umana, e, dall'altro, della necessità di una risposta positiva alla domanda di sicurezza ambientale che proviene dai cittadini.
Al tempo stesso, la Commissione ritiene che il patrimonio di dati di conoscenze, di competenze scientifiche, di sinergie fra istituti scientifici e pubbliche amministrazioni presenti sul territorio, accumulato nel corso delle richiamate ricerche, costituisca un contributo prezioso, che la politica deve saper valorizzare e consolidare nel tempo, per superare definitivamente la logica emergenziale (e il connesso deficit di capacità decisionale), per dotare di basi scientifiche credibili e aggiornate i processi decisionali su questi temi e individuare le priorità del risanamento ambientale, per rispondere sempre meglio alla domanda di conoscenza dei cittadini sulle correlazioni fra ambiente e salute.
A giudizio della Commissione, infatti, l'alternativa vera e duratura ad una politica sempre più debole e inefficiente - e che spesso rischia di indulgere ad egoismi localistici - non può che fondarsi, oltre che su una rinnovata capacità di intercettare e di interpretare i bisogni profondi e gli interessi generali della collettività, su una corretta e oggettiva valutazione di tutti i dati di conoscenza disponibili (libera da preconcetti ideologici e da condizionamenti economici e culturali). Solo se i dati di realtà sono conoscibili e conosciuti, pienamente credibili e affidabili, solo allora diverranno comprensibili e compresi i pericoli reali e quelli fittizi, solo allora sarà facile investire nel futuro dei cittadini. Negli ultimi anni (e qui torna la fallimentare esperienza dei rifiuti a Napoli e in Campania) vi è stato anche, per certi versi, un abuso della paura, mentre è necessario nelle politiche ambientali potere avere fiducia nell'istituzione e in dati certi. La paura dei cittadini, soprattutto quando investe la questione della salute e dell'ambiente, non è mai una buona consigliera in politica: se la politica non assume le sue responsabilità per l'oggi e non dà speranza per il futuro, non assolve alle sue funzioni, rinuncia ai suoi compiti e al suo ruolo.


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Per queste ragioni, l'approfondimento condotto dalle istituzioni scientifiche nel nostro Paese - insieme ad una maggiore presa in carico da parte della politica delle domande che vengono dalla legittima preoccupazione dei cittadini nei confronti dell'ambiente in cui vivono e dell'impatto sulla propria salute - costituisce la base migliore da usare per definire una graduatoria delle priorità ambientali e per operare scelte politiche e programmatiche fondate sull'interesse generale, su prove e su argomenti ragionevoli, anziché su dati e aspetti parziali o sulla sopravvalutazione di quelli emotivi.

3.1. Le linee di indirizzo generale.

Nel corso dell'indagine la Commissione ha avuto modo di raccogliere numerosi spunti di riflessione e proposte, che hanno fornito un significativo quadro d'insieme delle problematiche esistenti. Si tratta, in molti casi della segnalazione di questioni che meritano di essere approfondite per essere eventualmente tradotte in iniziative politiche e tecniche; in molti altri casi, invece, si tratta di proposte già disegnate nelle linee generali, che la Commissione condivide. Nel rinviare, per il dettaglio, ai resoconti delle audizioni effettuate, si riportano di seguito schematicamente i gruppi delle principali questioni e proposte analizzate, con l'indicazione di talune proposte conclusive che, a giudizio della Commissione, possono interpretare efficacemente la sintesi politica del lavoro conoscitivo e di approfondimento condotto.
Un primo gruppo di questioni emerse riguarda l'insufficiente dotazione finanziaria delle politiche di contrasto dei fenomeni di inquinamento. Si tratta di una questione rappresentata puntualmente da tutti gli auditi, che in questa sede non viene meglio specificata, se non per riportare la specifica proposta secondo la quale, ai fini della determinazione dei vincoli finanziari dovuti al rispetto del Patto di stabilità interno, gli enti locali possono «scomputare» le risorse destinate a finanziare gli interventi strutturali volti ad abbattere le soglie di inquinamento atmosferico delle città e quelli diretti alla bonifica e al risanamento dei siti contaminati.
Un secondo gruppo di questioni, sottolineate in particolar modo nella discussione sulle politiche di contrasto dell'inquinamento urbano, ma emerse anche con riferimento alle tematiche connesse allo smaltimento dei rifiuti, riguarda la necessità di superare una lettura dei fenomeni concentrata esclusivamente sul livello delle emissioni inquinanti e sulle fonti di produzione di tali emissioni, senza tenere conto adeguatamente delle specifiche tecnologie che vengono impiegate: non si può fare, per quanto improbabile sia, una «teoria generale dell'inquinamento da termovalorizzatori», senza considerare minimamente il tipo di impiantistica, le innovazioni tecnologiche via via resesi disponibili, il tipo di combustibile da rifiuti utilizzato; senza che siano resi noti e quindi conoscibili e conosciuti i costi, in termini di effetti ambientali e sanitari, del blocco o del malfunzionamento del ciclo dei rifiuti, a partire dai cumuli di spazzatura nelle strade, dagli incendi dei cassonetti, dall'inquinamento causato dalle discariche incontrollate e illegali. Si può - anzi è giusto - avere l'ambizione al «rifiuto zero», ma è necessario, oggi più di ieri, fare i conti con la realtà. Per questo, raccogliendo la sollecitazione di molti degli auditi, la Commissione ritiene importante sottolineare sempre, sia ai fini della adozione delle scelte politiche che nella costruzione del dialogo con l'opinione pubblica, l'accoppiata materia/fonte e tecnologia di impiego della stessa e giudica inaccettabili considerazioni e dinieghi di tipo ideologico, tanto più in presenza di soluzioni e tecnologie efficaci e sicure per i cittadini e per l'ambiente.
Allo stesso modo e per le stesse finalità, la Commissione ritiene che sia importante fare leva su indicatori e su messaggi, il più possibile chiari e concreti. Ad esempio, come segnalato in materia di trasporto pubblico locale, le incertezze relative ai tempi di effettiva utilizzabilità dell'idrogeno come carburante per i mezzi di trasporto non devono distogliere l'attenzione


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dai positivi risultati che si potrebbero conseguire già oggi con l'approntamento di piani per la sostituzione del parco dei mezzi pubblici con veicoli di nuova generazione a trazione elettrica o alimentati a metano, ovvero con la facilitazione della produzione nazionale di motori (soprattutto diesel) capaci di tenere conto dei nuovi limiti di emissioni inquinanti fissati a livello europeo.
Un terzo gruppo di questioni, certamente a valenza generale, ma particolarmente sottolineate nella discussione sulle aree ad alto rischio, in sede di approfondimento dei risultati degli studi condotti sulle salute dei cittadini esposti alle varie forme di inquinamento, riguarda la doppia necessità di garantire una chiara priorità alla protezione della salute dei cittadini all'interno dei piani di bonifica e di risanamento dei siti contaminati, nonché di riconoscere un ruolo essenziale, anche sul piano normativo e su quello operativo, agli studi epidemiologici e di monitoraggio delle condizioni di salute delle persone, sia nella fase della caratterizzazione dei siti che in quella della concreta valutazione e verifica delle attività di bonifica realizzate.
Un quarto gruppo di questioni, infine, riguarda l'insufficiente attuazione o la non attuazione di norme di legge, ovvero la scadente attività operativa, sul territorio, da parte degli organi ai quali spettano i compiti di reperimento dei dati ambientali e di monitoraggio dei fenomeni di inquinamento. Così, ad esempio, diversi auditi hanno segnalato l'incompletezza e la carente operatività dei piani regionali di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria, prescritti dalle direttive europee 99/30/CE e 00/68/CE sulle micropolveri (PM 10 micron), di fatto - per questa parte - ancora inattuate. Ed ancora, altri hanno segnalato i ritardi nella creazione, sulla base della normativa vigente, delle «Anagrafi regionali dei siti contaminati da bonificare», nonché l'incompletezza dei contenuti di strumenti normativamente previsti, come è il caso dei richiamati piani e programmi di risanamento regionali e provinciali contro l'inquinamento atmosferico, soprattutto per quanto attiene alla valutazione della reale efficacia delle misure adottate e alla quantificazione dei tempi necessari per raggiungere i risultati indicati. Va detto altresì che, soprattutto nelle regioni meridionali, è emersa (in modo particolare, nel corso dell'audizione dei rappresentanti della Regione Siciliana) la criticità della situazione relativa alla disorganizzazione delle attività di reperimento dei dati di monitoraggio ambientale e sanitario nelle aree contaminate. Si tratta, anche al di là della comune percezione di una carenza grave, che spesso investe la stessa dotazione strumentale necessaria per la acquisizione dei dati, e che è una delle concause di inaccettabili ritardi nell'approntamento di efficaci strutture di monitoraggio dei dati ambientali e sanitari, di ritardi gravi nell'approntamento delle attività di bonifiche dei siti contaminati indirettamente, dello sviamento e della incoerenza delle finalità di utilizzazione delle risorse, peraltro insufficienti, stanziate per la realizzazione dei piani di risanamento ambientale.
Tali lacune relative all'approntamento di efficaci strutture di acquisizione dei dati si amplificano, secondo quanto riferito dai rappresentanti di alcuni istituti scientifici auditi, determinando serie difficoltà dal punto di vista della acquisizione e della elaborazione dei dati, per la scarsa abitudine delle varie amministrazioni pubbliche coinvolte sul territorio - a partire dalle agenzie ambientali e dai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali - a cooperare fra loro e per la scarsa capacità del personale che vi opera a superare una cultura prevalentemente formalistica improntata alla verifica della conformità dei limiti di legge piuttosto che alla ricerca delle interazioni ambiente-salute e all'accessibilità, allo scambio e alla comune valutazione dei dati raccolti da ciascuna amministrazione.
Nel fare proprie le ragioni di tali segnalazioni, la Commissione ritiene che sia senz'altro possibile, in sede di esame delle proposte di legge per la riforma del sistema delle agenzie ambientali (che certamente costituiranno, anche nella prossima


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legislatura, un tema centrale dell'attività legislativa in campo ambientale), che esse si traducano in modifiche e riforme sul piano legislativo e degli indirizzi amministrativi, capaci di realizzare sistemi innovativi di acquisizione e di elaborazione dei dati, nonché di monitoraggio e di controllo, che consentano una lettura comune e condivisa degli eventi ambientali e sanitari (1).

(1) In tal senso, l'integrazione ambiente/salute dovrebbe partire da un positivo ruolo delle ASL, che dovrebbero sviluppare sistemi di sorveglianza della salute, tali da poter delineare dei «profili di salute» delle popolazioni e fornire supporti alle politiche ambientali, mentre le agenzie regionali per l'ambiente (la cui strumentazione, peraltro, risulta non sempre adeguata e non omogeneamente distribuita sul territorio nazionale) dovrebbero sviluppare le analisi sulle fonti di emissione elaborando gli inventari delle sorgenti, puntuali (industrie, centrali termoelettriche, inceneritori, e simili) e diffuse (in particolare, traffico autoveicolare e riscaldamento).

3.2. Le proposte operative.

All'avvio dell'indagine conoscitiva, la Commissione aveva assegnato a se stessa anche il compito di verificare la possibilità di portare un contributo alla individuazione delle priorità del risanamento ambientale. Il proficuo lavoro di approfondimento condotto e la presa in carico delle giuste domande provenienti dai cittadini per l'impatto sulla propria salute dei fenomeni di inquinamento costituiscono per la Commissione una base adeguata per indicare almeno due obiettivi strategici, il miglioramento della qualità dell'aria nelle città e la difesa della salute dei cittadini che vivono nelle aree contaminate, da porre in cima alla graduatoria delle priorità ambientali.
La prima proposta deve tradursi, a giudizio della Commissione, nella organizzazione di una Conferenza nazionale su ambiente, infrastrutture e trasporti nelle aree urbane (sulla qualità dell'aria nelle aree urbane). Ci sono tutte le possibilità e ci sono tutte ragioni per costruire una sede e uno strumento capace di indicare al Paese un obiettivo per il quale vale la pena di lavorare tutti uniti.
L'inquinamento urbano è, insieme ai cambiamenti climatici, ai quali è strettamente collegato, uno fra i temi che più impegnano e preoccupano le istituzioni di governo a tutti i livelli ed è un problema che riguarda quotidianamente la vita dei cittadini.
Come è stato detto in precedenza, la popolazione italiana potenzialmente esposta ad inquinamento atmosferico nelle aree urbane ammonta ad almeno 9 milioni di persone, se si vuole rimanere al dato relativo agli abitanti delle 13 città italiane, e aumenta di molti altri milioni di cittadini se si tiene conto dei moltissimi altri che vivono in centri di minori dimensioni, ma ugualmente interessati da inquinamento da traffico, a cominciare da quelli situati nella pianura padana.
Sul piano conoscitivo e scientifico, l'Italia ha tutte le competenze, come ampiamente dimostrato dalle ricerche acquisite nel corso dell'indagine, per chiarire al meglio la stretta correlazione fra ambiente e salute, per fornire basi scientifiche ai processi decisionali, per proporre soluzioni capaci di produrre un concreto miglioramento della attuale situazione.
Indicare dunque al Paese il traguardo di città meno congestionate e meno inquinate, questa è - a giudizio della Commissione - «la prima priorità» delle politiche di risanamento ambientale; questo è oggi il compito e la responsabilità di una politica che voglia ritrovare il gusto e la fiducia nella capacità di costruire il futuro, di rivolgersi ai cittadini mostrando di avere a cuore le cose che fanno la qualità e la serenità della loro vita quotidiana.
Fissare questo obiettivo strategico delle politiche ambientali, significa, inoltre, restituire qualcosa alle cento città italiane e a tutti i cittadini che vivono nell'area della pianura padana, cioè a quella parte importante del Paese nella quale la congestione delle aree urbane ed i limiti sempre più stringenti alla mobilità rischiano di diventare incompatibili con la modernità degli apparati produttivi e delle reti dei territori nei quali le persone operano.
Qualche anno fa era stato stimato che in un giorno feriale nella capitale del


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Paese avvenivano 4,4 milioni di spostamenti con mezzi motorizzati: di questi, 1,3 milioni con mezzi pubblici e 3,1 milioni con mezzi privati. Un dato recentissimo dell'Associazione Medici per l'ambiente-ISDE parla di 2 milioni di veicoli circolanti, più di mezzo milione di motocicli, più di 200 mila veicoli commerciali, di un milione e 200 mila veicoli che si muovono ogni ora. Di fatto, inoltre, la maggior parte dei mezzi privati si muove nelle nostre città con una sola persona a bordo. Posto che a questa situazione è difficile porre rimedio senza l'impegno personale di ognuno, senza essere più responsabili e più esigenti con noi stessi - negli stili di vita e nei comportamenti quotidiani -, occorre dire che nessuna soluzione è pensabile se non si compie un vero e proprio salto di qualità nella dotazione infrastrutturale del Paese: la Spagna non ci ha superato in termini di PIL pro capite, ma è un fatto che l'intera rete italiana di metropolitane (144 km) è meno estesa di quella di Madrid (179 km).
La costruzione, con il concorso di tutte le forze politiche, di un indirizzo politico capace di dare forza e coerenza ad una strategica politica di riduzione delle emissioni inquinanti nelle aree urbane, il rinnovamento e il potenziamento, ai livelli delle città più avanzate del mondo, del sistema del trasporto pubblico urbano, sono i capisaldi attorno ai quali costruire la Conferenza nazionale ed una nuova missione per l'intero Paese.
«L'aria di città rende liberi» «Stadtluft Macht Frei» recita una classica espressione riferita alle città tedesche del XIII secolo, che immediatamente richiama alla mente la secolare vicenda dei comuni e l'immagine del buon governo. La città è elemento fondante della nostra civiltà e del modo di vivere italiano, fatto di operosità e di creatività, di libertà e di socialità. Realizzare infrastrutture per il trasporto rapido di massa (metropolitane) e potenziare la dotazione di mezzi di trasporto di superficie (tram e autobus), incentivare il rinnovamento degli impianti di riscaldamento e l'ottimizzazione dell'uso dei mezzi privati di trasporto, migliorare i servizi a supporto della gestione e della distribuzione delle merci nelle aree urbane, in breve, migliorare l'aria delle nostre città non è né una fuga in avanti né un obiettivo irraggiungibile, ma è al contrario un ritorno, un restituire agli italiani quel che appartiene loro da secoli, vale a dire un ambiente di vita all'altezza del loro modo di vivere liberi.
L'altra priorità che la Commissione ritiene di potere indicare alle politiche ambientali è il varo di un programma concreto e coerente, non contingente né emergenziale, di difesa della salute dei cittadini che vivono nelle aree contaminate. Se un tempo, infatti, le «malattie sociali» erano sostanzialmente dovute al disagio igienico, al lavoro pesante o minorile, alle denutrizione e alla miseria (tanto è vero che già Ippocrate prescriveva «loco marino, sole e canto»), ora si può dire che, nel nostro Paese, gran parte delle patologie più diffuse siano dovute allo stress, alla cattiva alimentazione e all'inquinamento atmosferico.
Qui l'apporto e il ruolo del mondo scientifico assume una primaria importanza e il primo impegno che la Commissione assume è quello di sostenere le proposte e le iniziative che da quel mondo provengono, a partire dal varo del Progetto Interdipartimentale Ambiente e Salute del CNR e dalla costruzione proposta dall'Istituto superiore di sanità di un Sistema nazionale di sorveglianza di indicatori ambiente-salute, dotato di uno specifico Protocollo di indagine e di identificazione delle situazioni di allarme, capace di dare informazioni affidabili ai decisori, di operare a supporto di una corretta ed efficace gestione dei rischi, di rispondere alle giuste domande delle comunità locali.
Inoltre, poiché oggi una delle questioni più acutamente avvertite, anche sull'onda delle preoccupanti notizie provenienti dalle aree campane contaminate, è quella dello studio dei possibili effetti sanitari dei processi industriali all'origine della contaminazione dei siti, nonché dei fenomeni di smaltimento incontrollato dei rifiuti,


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spesso in discariche illegali, e di incenerimento dei rifiuti stessi, la Commissione ritiene di dover fare proprie e di rilanciare due proposte operative avanzate dal CNR e dall'Istituto superiore di sanità:
la prima diretta ad includere, come già accennato, obbligatoriamente, nella fase di caratterizzazione dei siti contaminati e delle aree ad alto rischio di crisi ambientale, l'esecuzione di valutazioni di impatto sulla salute (da finanziare in modo ordinario nell'ambito delle attività finalizzate al risanamento e alla bonifica), da effettuare mediante l'adozione di protocolli (2) scientificamente validati ed accreditati, basati su linee a diversa gradazione di complessità a seconda delle finalità.

(2) Secondo i due istituti di ricerca, a grandi linee si tratta di protocolli, messi a punto ed utilizzati in altri Paesi e sperimentati anche in Italia, in alcune situazioni nelle quali ciò è risultato fattibile. Tali protocolli includono tre principali linee di attività:
a) individuazione degli indicatori ambientali e sanitari necessari, definibili facendo ricorso a quanto contenuto nei flussi informativi correnti sia ambientali (SIT e SIA) che sanitari (SIS), in possesso e di pertinenza delle strutture locali e regionali del Servizio Sanitario; a cura delle strutture territoriali e regionali, con rapporti di consulenza scientifica da parte di Enti di ricerca e Università;
b) indagini specifiche per la valutazione di esposizione e di impatto sulla salute, che necessitano di gruppi multidisciplinari e di forte bagaglio metodologico e operativo. Sono da includere in questo filone le indagini di monitoraggio ambientale attraverso bioindicatori, di monitoraggio umano attraverso biomarcatori di esposizione e di effetti pre-clinici, gli studi epidemiologici-ambientali analitici, anche basati su biomonitoraggio; a cura delle strutture territoriali e regionali ambientali e sanitarie con la supervisione ed in collaborazione con gli Enti Pubblici nazionali di riferimento;
c) messa a punto ed utilizzo di sistemi di sorveglianza basati su indicatori ambiente-salute, a cura delle strutture territoriali e regionali ambientali e sanitarie con la supervisione ed in collaborazione con gli Enti Pubblici nazionali di riferimento.

la seconda volta alla realizzazione di una sistematica attività di sorveglianza epidemiologica dei tumori e di altre specifiche patologie, in rapporto alla residenza dei cittadini in prossimità delle fonti inquinanti presenti sul territorio - in particolare delle sorgenti di diossina -, a partire discariche e dagli inceneritori.
Ancora nell'ottica di una corretta presa in carico delle giuste preoccupazioni che provengono dai cittadini, la Commissione ritiene importante raccogliere e rilanciare l'indicazione metodologica, prospettata dall'Istituto superiore di sanità in relazione al tema dell'inquinamento elettromagnetico, che pure esula dai fenomeni oggetto dell'indagine. Si ritiene, infatti, che, date le oggettive incertezze e controversie che allo stato caratterizzano le conoscenze relative agli effetti sulla salute di questa forma di inquinamento, bene abbiano fatto i ricercatori dell'Istituto a concentrare le risorse e le competenze scientifiche sui cosiddetti gruppi ad alto rischio - selezionando nel territorio, situazioni, fortunatamente non frequenti, nelle quali gruppi di popolazione, anche di consistenza numerica rilevante, sono esposti a livelli di campo magnetico o a livelli di radiofrequenza elevati (anziché inseguire un numero infinito di sollecitazioni, spesso correlate ad una percezione del rischio, ad esempio connessa al fatto che è sorto un nuovo traliccio dove prima non c'era, o si sono diffuse alcune antenne che prima non erano visibili) - e, in quelle aree e su quelle popolazioni, applicare le migliori tecnologie di osservazione epidemiologica.
L'auspicio della Commissione è che lo studio che sta per essere ultimato sulla popolazione di Ostia antica (Roma), possa essere al più presto esteso - come è nelle previsioni dell'Istituto - a Pisa, nel quartiere della Barbaricina, a Pergine, in Trentino-Alto Adige, ed in altri quartieri di Roma, per avere finalmente dati credibili e affidabili su questo fenomeno.
Infine, merita uno spazio di riflessione, in questa lista delle priorità del risanamento ambientale, la questione della riconversione dei poli industriali, soprattutto di quelli petrolchimici e chimici, in gran parte coincidenti con siti che presentano profondi fenomeni di contaminazione ambientale associati alle attività industriali. Per la Commissione, infatti, dalla riconversione degli impianti e dalla corretta gestione dei rischi connessi al funzionamento


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di impianti pericolosi, dipende in misura importante la bonifica e il risanamento dei siti contaminati.
Sulla gestione dei rischi, peraltro, la Commissione intende riaffermare la necessità inderogabile che gli organi della pubblica amministrazione competenti eseguano con rigore e con continuità i controlli di legge e che tutte le aziende, oltre ad osservare al meglio le prescrizioni normative in materia di sicurezza, avvertano appieno la necessità di dotarsi delle più avanzate certificazioni volontarie esistenti, a partire dalla certificazione ISO 14001 e dalla certificazione EMAS, quest'ultima riferita ad ogni singola azienda e all'intera area industriale, unitariamente considerata.
Quanto ai processi di riconversione industriale e di ammodernamento degli impianti, la Commissione intende richiamare con forza l'importanza fondamentale degli investimenti in nuove tecnologie e in innovazione e ricerca, e dunque nella attivazione di processi produttivi intrinsecamente più sicuri e più «puliti». Questo è l'unico modo per dare una prospettiva di vita futura agli impianti, rifiutando totalmente la piaga degli impianti industriali vecchi, ai quali soggetti irresponsabili sempre più frequentemente cercano di «tirare il collo» fino alla fine (in inglese, per indicare il prolungamento, fin dove possibile, della vita degli impianti, si utilizza il termine «strech-out»), provocando - quando va bene - disastri ambientali e - quando va male - mettendo a repentaglio la sicurezza e la stessa vita dei lavoratori.
In conclusione, rispetto alle sollecitazioni ricevute nel corso dell'indagine, al pari delle altre indicazioni richiamate nel presente documento, vi è la chiara percezione che il sistema istituzionale sia tenuto a fornire le risposte più opportune, assumendo - in questo quadro - la consapevolezza che il Parlamento costituisce il luogo in cui un grande tema nazionale come l'interconnessione ambiente-salute può trovare una sede di valutazione organica e moderna, che sia in grado di assecondare con forza un modello di sviluppo ambientale di cui l'Italia avverte l'urgenza in modo evidente.