Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Misure volte a contrastare l¿immigrazione clandestina e a favorire l¿identificazione degli stranieri - AA.CC. 1936 e 1937
Riferimenti:
AC n. 1936/XV   AC n. 1937/XV
Serie: Progetti di legge    Numero: 187
Data: 11/06/2007
Descrittori:
IMMIGRAZIONE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Misure volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a favorire l’identificazione degli stranieri

A.C. 1936 e 1937

 

 

 

 

 

n. 187

 

 

11 giugno 2007

 


DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: ac0204.doc

 

 


INDICE

 

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  5

§      Contenuto  5

§      Relazioni allegate  6

Elementi per l’istruttoria legislativa  7

§      Necessità dell’intervento con legge  7

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  7

§      Compatibilità comunitaria  7

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  11

§      Formulazione del testo  11

Schede di lettura

Il quadro normativo  15

§      Il testo unico sull’immigrazione  15

§      Il permesso di soggiorno  15

§      Il contrasto all’immigrazione clandestina  18

§      L’articolo 12 del TU immigrazione  19

Il contenuto delle proposte di legge  23

§      Modifica alla disciplina relativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno (artt. 1, 2 e 3)23

§      Agevolazione e favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero (articolo 4)25

§      Obbligo di esibizione di documenti (art. 5)27

§      Le modifiche al codice penale (artt. 6-8)28

§      Le modifiche al codice di procedura penale (artt. 9-12)33

Testo a fronte  39

Progetti di legge

§      A.C. 1936, (onn. Violante, Marcenaro), Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale  65

§      A.C. 1937 (on. Buemi ed altri), Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale  77

§      Codice di procedura penale (artt. 66, 349, 380, 381, 449)95

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (artt. 5, 6, 9, 12)102

§      D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394. Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (artt. 9-14)116

§      Legge 30 luglio 2002, n. 189. Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo  126

§      D.L. 9 settembre 2002, n. 195. Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari. (art. 2)144

 

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 1936

Titolo

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

Iniziativa

Onn. Violante, Marcenaro

Settore d’intervento

Immigrazione; diritto penale; diritto processuale penale

Iter al Senato

No

Numero di articoli

11

Date

 

§       presentazione

11 novembre 2006

§       annuncio

29 gennaio 2007

§       assegnazione

29 gennaio 2007

Commissioni competenti

Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

-

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1937

Titolo

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

Iniziativa

On. Buemi ed altri

Settore d’intervento

Immigrazione; diritto penale; diritto processuale penale

Iter al Senato

No

Numero di articoli

12

Date

 

§       presentazione

13 novembre 2006

§       annuncio

6 dicembre 2006

§       assegnazione

6 dicembre 2006

Commissioni competenti

Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

--

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

Le proposte di legge A.C. 1936 e A.C. 1937, dal contenuto pressoché identico, oltre ad intervenire sul Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, novellano, altresì, talune disposizioni del codice penale e di procedura penale al fine di prevenire e contrastare taluni frequenti fenomeni di criminalità connessi, in gran parte, al più generale fenomeno della immigrazione clandestina o irregolare.

Nello specifico, gli articoli 1 e 2 di entrambi i provvedimenti intervengono sull’articolo 5 del citato testo unico con particolare riferimento all’obbligo di rilevamento dei dati fotodattiloscopici nei confronti dello straniero che avanzi richiesta di permesso di soggiorno o ne chieda il relativo rinnovo.

L’articolo 3, identico nelle due proposte in esame, introduce, poi, due nuovi commi all’articolo 5 del testo unico (comma 9-bis e 9-ter) volti a prevedere, rispettivamente, una causa ostativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno e una causa di revoca del permesso medesimo.

Il successivo articolo 4, anch’esso identico in entrambi i provvedimenti, novella in più parti il comma 5 dell’articolo 12 del citato testo unico, concernete il reato di favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, al fine diinasprire le pene attualmente previste dal tale comma ed estendere l’ambito della fattispecie penalmente rilevante.

L’articolo 5 delle due proposte di legge in esame modifica, inoltre, i commi 3 e 4 dell’articolo 6 del testo unico sull’immigrazione, relativi alla esibizione dei documenti da parte dello straniero nei confronti dell’autorità di polizia prevedendo, in particolare, l’obbligo per gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza, di sottoporre a rilievi foto-dattiloscopici e segnaletici chiunque[1] non esibisca al citato personale, senza giustificato motivo e su espressa richiesta, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno.

Il successivo articolo 6 interviene, poi, sull’articolo 495 del codice penale, concernente il delitto di Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, modificandone il relativo regime sanzionatorio ed aggiungendo alle condotte illecite già sanzionate da tale articolo anche il comportamento di colui che, a seguito di espressa richiesta, dichiari o attesti falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona.

L’articolo 7 della proposta di legge A.C. 1936 e l’articolo 8 della proposta A.C. 1937, prevedono, poi, l’inserimento, all’interno del capo IV, del titolo VII, del libro II del codice penale del nuovo articolo 495-bis,recante il delitto di Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri .

L’articolo 8 della proposta di legge A.C. 1936 e l’articolo 7 della proposta A.C. 1937 novellano, invece, l’articolo 496 del codice penale, concernente il delitto di False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, modificando, in particolare, le sanzioni attualmente previste da tale disposizione.

Il solo articolo 9 della p.d.l. A.C. 1937, modificando il comma 4 dell’art. 349 c.p.p., prevede, poi, che l’indagato o la persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti possano essere trattenuti negli uffici della polizia giudiziaria ai fini dell’identificazione per un tempo massimo di 48 ore (in luogo delle attuali 24), mentre entrambe le proposte di legge, intervenendo sul comma 2 dell’art. 381 c.p.p., ampliano le ipotesi in presenza delle quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 9 della p.d.l. A.C. 1936 e art. 10 della p.d.l. A. C. 1937).

L’articolo 10 della p.d.l. A.C. 1936 e l’articolo 11 della p.d.l. A.C. 1937 aggiungono, poi, un comma all’articolo 449 del codice di procedura penale, in tema di giudizio direttissimo, mentre i successivi articoli 11 della p.d.l. A.C. 1936 e l’articolo 12 della p.d.l. A.C. 1937, intervengono sull’articolo 66 del codice di procedura penale in materia di verifica dell’identità personale dell’imputato.

Relazioni allegate

Si tratta di proposte di legge di iniziativa parlamentare corredate, pertanto, della sola relazione illustrativa.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Entrambe le proposte di legge in esame intervengono su disposizioni legislative di rango primario e su materie coperte da riserva di legge. Si giustifica, pertanto, l’utilizzo dello strumento legislativo.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Come precedentemente rilevato, le proposte di legge A.C. 1936 e A.C. 1937 apportano talune modifiche all’attuale normativa prevista in materia di permesso di soggiorno e recano, altresì, diverse disposizioni penali volte a contrastare alcuni frequenti comportamenti criminali connessi, in gran parte,  al più generale fenomeno dell’immigrazione clandestina o irregolare.

La base giuridica del provvedimento appare pertanto riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere b) (Immigrazione) ed i) (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione.

Compatibilità comunitaria

Procedure di contenzioso in sede comunitaria
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 4 aprile 2006, la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[2] (procedura d’infrazione n. 2006/2075) per mancato rispetto del regolamento (CE) 1030/2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi. Non rilasciando ancora permessi di soggiorno conformi al modello uniforme, lo Stato italiano violerebbe l’articolo 9 del regolamento citato, in base al quale gli Stati membri rilasciano permessi di soggiorno di modello uniforme al più tardi entro un anno a decorrere dall’adozione degli elementi e dei requisiti di sicurezza complementari. Tali elementi e requisiti sono stati effettivamente definiti con la decisione della Commissione C/2002/3069 del 14 agosto 2002, il cui articolo 2 impone agli Stati membri di fornire alla Commissione un fac-simile del permesso di soggiorno, non appena disponibile.

Si segnala, peraltro, che – come ricordato nella lettera di messa in mora – il Governo italiano avrebbe giustificato la normativa nazionale sul presupposto che il rilascio di permessi di soggiorno conformi al modello uniforme definito nel regolamento (CE) 1030/2002 è previsto unicamente al momento dell’introduzione di dati biometrici.

Documenti all’esame delle istituzioni europee
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 28 dicembre 2004, la Commissione ha presentato la proposta di regolamento COM(2004)835, concernente il sistema di informazione visti (VIS)[3] e lo scambio di dati tra Stati membri su visti per soggiorni di breve durata. In base al testo della proposta di regolamento, le fotografie e le impronte digitali fanno parte dei dati che possono essere registrati e ricercati all’interno del sistema.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata approvata con emendamenti dal Parlamento europeo nella seduta del 7 giugno 2007. Su di essa il Consiglio aveva raggiunto un accordo politico nella riunione del 19 aprile 2007.

 

Il 10 marzo 2006, la Commissione ha presentato la proposta modificata di regolamento[4], che modifica il regolamento (CE) n.1030/2002 istitutivo del modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (COM2006)110).

La proposta modificata di regolamento risponde all’esigenza, rilevata dalla Commissione, che il modello uniforme per i permessi di soggiorno contenga tutte le informazioni necessarie e risponda a elevati requisiti tecnici, in particolare per quanto attiene alle garanzie contro la contraffazione e la falsificazione, allo scopo di contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e il soggiorno irregolare.

Essa prevede a tal fine l’inserimento di dati biometrici che consentano di creare un legame più sicuro tra il permesso di soggiorno e il suo titolare, fornendo un notevole contributo alla protezione del permesso di soggiorno contro una sua utilizzazione fraudolenta.

 

La proposta di regolamento dispone che il modello uniforme di permesso di soggiorno, rilasciato unicamente come documento in formato ID1 o ID2, comprenda un supporto memorizzatore contenente l’immagine del volto del titolare e che gli Stati membri aggiungano anche le impronte digitali in formato interoperativo. I dati devono essere protetti e il supporto di memorizzazione deve essere dotato di capacità sufficiente per garantire l’integrità, l’autenticità e la riservatezza dei dati. E’ data inoltre facoltà agli Stati membri di inserire nel permesso di soggiorno un ulteriore microprocessore contact, per servizi telematici come l’e-governement e l’e-business.

In base alla proposta di regolamento, gli elementi biometrici contenuti nei permessi di soggiorno possono essere usati solo al fine di verificare l’autenticità del documento e l’identità del titolare attraverso elementi comparativi disponibili, quando la legge prevede che sia necessario il permesso di soggiorno.

 

La proposta di regolamento, che segue la procedura di consultazione,  dovrebbe essere esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo nella sessione del 20 giugno 2007.

 

Il 31 maggio 2006, la Commissione ha presentato una proposta di regolamentorecante, modifica dell’Istruzione consolare comune diretta alle rappresentanze diplomatiche e consolari di prima categoria, in relazione all’introduzione di elementi biometrici e comprendente norme sull’organizzazione del ricevimento e del trattamento delle domande di visto (COM(2006)269).

La proposta, intesa a completare l’attuazione del sistema di informazione visti (VIS), definisce le norme per il rilevamento degli identificatori biometrici dei richiedenti il visto, fornisce una serie di opzioni per l’organizzazione pratica delle missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri, ai fini dell’iscrizione dei richiedenti il visto, e dispone un quadro giuridico per la cooperazione degli Stati membri con i fornitori di servizi esterni.

La proposta di regolamento impone agli Stati membri di rilevare gli identificatori biometrici (immagine del volto e impronte delle dieci dita) nel quadro della procedura di rilascio del visto, nel rispetto delle norme di garanzia previste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

 

In particolare, le impronte digitali sono rilevate in occasione della prima presentazione della domanda; in caso di nuove domande nei quattro anni successivi, l’obbligo cade e non è necessario un nuovo rilevamento: le impronte digitali e la fotografia del richiedente possono essere copiate e riutilizzate. A tal fine occorre garantire che i dati biometrici della prima domanda siano ancora nel sistema di informazione visti.

Sono esentati dall’obbligo di rilevamento delle impronte digitali i bambini di età inferiore a 6 anni e le persone per cui è fisicamente impossibile.

Per una migliore attuazione del VIS, la proposta introduce la possibilità per gli Stati membri di collaborare fra loro e di istituire centri comuni per l’introduzione delle domande di visto.

 

La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Consiglio il 12 giugno 2006, in vista dell’esame in prima lettura da parte del Parlamento europeo il 10 ottobre 2007.

 

Il 19 luglio 2007, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2006)403)[5], che istituisce un Codice comunitario dei visti, volto a facilitare i viaggi effettuati legalmente ed a lottare contro l’immigrazione clandestina, mediante una maggiore armonizzazione delle leggi nazionali e delle prassi degli uffici consolari locali.

Ai fini della semplificazione, e in accordo con la politica della Commissione di “legiferare meglio”, la proposta incorpora in un unico Codice dei visti tutti gli strumenti giuridici che disciplinano le decisioni relative alle condizioni e alle procedure di rilascio dei visti.

Per quanto riguarda la rilevazione dei dati biometrici, la proposta integra i contenuti della proposta di regolamento precedentemente citata (COM(2006)269), impegnandosi ad introdurre le modifiche che potrebbero intervenire nel corso dell’esame e approvazione di quel testo.

Il Parlamento europeo dovrebbe esaminare la proposta, in prima lettura secondo la procedura di codecisione, nella riunione del  24 ottobre 2007.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

Le proposte di legge A.C. 1936 e A.C. 1937 incidono sulla vigente legislazione con la tecnica della novellazione.

Collegamento con lavori legislativi in corso

In relazione alla materia oggetto delle proposte di legge in esame, si segnala che è in corso, presso la Commissione giustizia della Camera, l’esame in sede referente del disegno di legge A.C. 1857, recante Disposizioni in materia di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e modifiche al codice di procedura penale.

Più in generale, in relazione al tema dello sfruttamento di lavoratori irregolarmente presenti sul territorio nazionale, si ricorda, altresì, che è all’esame dell’Assemblea del Senato il disegno di legge governativo A.S. 1201.

Formulazione del testo

In relazione agli artt. 1 e 2 di entrambe le proposte di legge, volti a rendere obbligatorio il rilevamento dei dati fotodattiloscopici degli stranieri in occasione del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, si osserva che la formulazione utilizzata dal testo vigente (“lo straniero […] è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici”) è quella alla quale si ricorre di norma nell’ordinamento per esprimere disposizioni che introducono un obbligo.

In relazione all’art. 3, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe chiarito se la disposizione intenda riferirsi alla data di inizio della esecuzione della pena ovvero alla sua fine.

Sembra opportuno un coordinamento tra il disposto dell’art. 495 e quello dell’art. 496 c.p., nel testo novellato dalle proposte di legge in esame (artt. 6 e 8, A.C. 1936; artt 6 e 7, A.C. 1937), considerata la stretta affinità tra le condotte sanzionate nei due articoli.

La disposizione recata dall’art. 11 dell’A.C. 1936 riproduce integralmente l’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 66 c.p.p. e, pertanto, non innova tale testo normativo.

Da ultimo, con riferimento all’art. 12dell’A.C. 1937, al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi, sembra opportuno chiarire la portata normativa dell’inciso che si intende aggiungere al comma 2 dell’art. 66 c.p.c..

Per ulteriori dettagli sulle osservazioni formulate, e per altre specifiche osservazioni sul testo delle due proposte di legge, si rinvia alle schede di lettura.


Schede di lettura

 


Il quadro normativo

Il testo unico sull’immigrazione

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione extracomunitaria in Italia, fissate dalla L. 40/1998[6] (cosiddetta “legge Turco-Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

Il testo unico è stato ampiamente modificato dalla successiva L. 189/2002[7] (c.d. “legge Bossi-Fini”) e da ulteriori interventi legislativi.

Il testo unico disciplina entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini.

Il permesso di soggiorno

I documenti che legittimano la permanenza dello straniero nel territorio italiano sono il permesso di soggiorno, rilasciato per un periodo variabile a seconda dei motivi del soggiorno (art. 5, T.U.), e la carta di soggiorno a tempo indeterminato per gli stranieri stabilizzati (art. 9, T.U.).

Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero, entro otto giorni, deve fare richiesta al questore della provincia in cui si trova del permesso di soggiorno che è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (art. 5, comma 2, T.U.).

Da rilevare che la richiesta del permesso di soggiorno è obbligatoria per tutti gli stranieri per i quali è necessario il visto di ingresso.

La recente legge 68/2007[8] ha eliminato l’obbligo, senza modificare peraltro il testo unico, del permesso di soggiorno per i soggiorni di breve durata: gli stranieri che intendono rimanere nel nostro Paese per non più di tre mesi per motivo di visita, affari, turismo o studio non devono far richieste del permesso di soggiorno che viene sostituito dalla presentazione di una semplice dichiarazione di presenza.

Gli stranieri che fanno richiesta del permesso di soggiorno (o ne richiedono il rinnovo) sono sottoposti alla rilevazione dei dati fotodattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis T.U. introdotti dalla legge 189/2002).

 

L’ambito di applicazione di tale obbligo è stato successivamente ridimensionato dal D.L. 195/2002[9]. In particolare, l’art. 2, comma 5, esclude dall’obbligo dei rilievi, sia al momento del rilascio del permesso di soggiorno sia al momento del suo rinnovo (ai sensi, rispettivamente dei commi 2-bis e 4-bis dell’articolo 5 del testo unico) gli stranieri che abbiano richiesto il permesso di soggiorno:

§       di durata non superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo (art. 5, co. 3, lett. a), del testo unico);

§       di durata non superiore a tre mesi, negli altri casi in cui sia previsto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi diversi da quelli di lavoro o di studio (art. 5, co. 3, lett. e), del testo unico);

per cure mediche.

Di fatto, gran parte di queste disposizioni sono ora superate dall’eliminazione dell’obbligo del permesso di soggiorno per soggiorni di breve durata (vedi sopra).

Inoltre, l’art. 2, comma 3, del decreto legge 195 ha previsto che i lavoratori regolarizzati ai sensi dell’articolo 1 del medesimo decreto siano sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici non al momento della richiesta del permesso di soggiorno, ma entro un anno dalla data di rilascio del permesso di soggiorno rilasciato a seguito di emersione, e comunque in sede di rinnovo dello stesso.

 

Da segnalare, infine, l’art. 2, comma 7, del citato decreto legge 195/2002 che estende anche ai cittadini italiani la sottoposizione ai rilievi dattiloscopici, da effettuare all’atto della consegna della carta d’identità elettronica. Nel caso dei cittadini italiani la norma prevede la sottoposizione ai soli rilievi dattiloscopici (impronte digitali), con esclusione quindi del rilievo fotografico.

Come ricorda la relazione governativa al disegno di legge di conversione, la disposizione riflette l’impegno assunto dal Governo in accoglimento di alcuni ordini del giorno[10] presentati nel corso dell’esame del disegno di legge di riforma del testo unico sull’immigrazione (A.C. 2454, la futura legge 189/2002), volti a far sì che l’introduzione di nuovi strumenti di identificazione dell’identità personale non fosse riservata ai soli cittadini extracomunitari.

 

La durata del permesso di soggiorno è variabile a seconda del motivo del soggiorno (art. 5, comma 3-bis e seguenti T.U.): la durata massima del permesso per lavoro a tempo determinato è fissata in un anno, quello per lavoro a tempo indeterminato, autonomo e ricongiungimento, in due anni.

Il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto 60 giorni prima della scadenza, per lavoro a tempo determinato, 90 giorni prima per lavoro a tempo indeterminato e 30 per le altre fattispecie.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è di competenza del questore, che deve verificare la sussistenza delle condizioni previste per il rilascio.

Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro (art. 5, comma 3-bis, T.U.). Il contratto, istituito e disciplinato dall’art. 5-bis del T.U. introdotto dalla legge 189, è stipulato tra il datore di lavoro, anche straniero purché regolarmente soggiornante in Italia, e il lavoratore. Esso deve contenere, pena la nullità:

§      la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore;

§      l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

Il testo unico (art. 5, co. 8-bis, introdotto dalla legge 189/2002) punisce con la reclusione da uno a sei anni il reato di contraffazione o alterazione di documenti che costituiscono titolo per l’ingresso o il soggiorno degli stranieri (visto d’ingresso, permesso di soggiorno, contratto di soggiorno, carta di soggiorno) o dei documenti idonei al rilascio di essi. La pena è da tre a dieci anni se la falsità concerne un atto che faccia fede fino a querela di falso.

Ai sensi dell’art. 5, co. 8, del testo unico, il permesso di soggiorno è rilasciato mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con le caratteristiche di sicurezza stabilite a livello europeo (Regolamento (CE) n. 1030/2002[11].

Il decreto legge 7/2005[12] prevede, a decorrere dal 1° gennaio 2006, il rilascio del permesso di soggiorno elettronico di cui al citato regolamento (CE) n. 1030/2002 (art. 7-vicies ter).

Il decreto legge 144/2005[13] ha introdotto (art. 2) un particolare tipo di permesso di soggiorno a fini investigativi, in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico.

 

Il testo unico (art. 6) disciplina le facoltà e gli obblighi dei titolari del permesso di soggiorno.

In particolare, qui rileva il comma 3 che pone allo straniero l’obbligo di esibire, dietro richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, il passaporto o altro documento di identificazione, oppure il permesso o la carta di soggiorno. La mancata esibizione, senza un giustificato motivo, comporta la pena dell’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire 800 mila.

 

Nell’applicazione di questa disposizione si sono registrate posizioni diverse: un filone interpretativo ha ritenuto applicabile il reato di mancata esibizione dei documenti a tutti gli stranieri, e quindi anche ai clandestini. Di contro, una diversa impostazione ha invece escluso l’applicabilità al clandestino in considerazione del fatto che l’ingresso illegale si configurerebbe quale “giustificato motivo” per la mancata esibizione.

La questione è stata risolta dalle Cassazione (sezioni unite sent. 45801/2003) secondo la quale lo straniero clandestino può essere punito del reato di cui all’art. 6, comma 3, unicamente nel caso di mancata esibizione, senza giustificato motivo, del passaporto o di altro documento di identità, mentre non integra né questa, né altra ipotesi di reato, l’omessa esibizione da parte del clandestino del permesso o della carta di soggiorno, in quanto il possesso di questi documenti è inconciliabile con la condizione stessa di straniero clandestino e, conseguentemente, non ne è esigibile l’esibizione.

 

Inoltre, nel caso l’autorità di polizia dubiti dell’identità personale dello straniero, questi è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici (art. 6, comma 4, come modificato dalla legge 189/2002 che ha introdotto l’obbligo, in luogo della facoltà, del rilevamento fotodattiloscopico, in presenza di validi motivi).

Il contrasto all’immigrazione clandestina

Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale, di cui erano però in possesso all’ingresso in Italia (es.: permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato). Secondo la normativa vigente tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi.

Essi non possono essere espulsi immediatamente qualora:

-       occorra prestare loro soccorso;

-       occorra compiere accertamenti sulla loro identità o nazionalità;

-       occorra preparare i documenti per il viaggio;

-       non sia disponibile un mezzo di trasporto idoneo.

In tali casi gli stranieri devono essere trattenuti, previo provvedimento del questore convalidato dal magistrato, presso appositi centri di permanenza temporanea ed assistenza per il tempo strettamente necessario per la loro identificazione e espulsione.

Il contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina è affidato ad una serie di strumenti, il principale dei quali è l’espulsione amministrativa. Tali strumenti sono:

§         la repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina (art. 12);

§         il respingimento alla frontiera (art. 10);

§         l’espulsione amministrativa (art. 13): disposta dal prefetto, è attuata di norma con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine; oppure, in alcuni casi, può essere disposta con una intimazione a lasciare entro 15 giorni il territorio dello Stato. Il provvedimento di espulsione è valido per 10 anni. In caso di rientro in Italia entro questo termine scatta una sanzione penale;

§         l’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati (art. 15);

§         l’espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione (art. 16).

L’articolo 12 del TU immigrazione

In particolare, l’articolo 12 del d.lgs 25 luglio 1998, n. 286, recante Disposizioni contro le immigrazioni clandestine[14]:

 

-       prevede il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da uno a cinque anni e la multa fino a 15.000 euro per ogni persona (comma 1)[15];

La formulazione della fattispecie è generica, delineando una tipica ipotesi di reato a forma libera: realizza la condotta costitutiva del delitto chiunque ponga in essere un’attività lato sensu riconducibile al concetto di aiuto. La Corte di cassazione ha quindi affermato che per «attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione della legge» non devono intendersi soltanto quelle condotte specificamente mirate a consentire l’arrivo e lo sbarco degli stranieri, ma anche quelle, immediatamente successive a tale ingresso, intese a garantire la buona riuscita dell’operazione, la sottrazione ai controlli della Polizia e l’avvio dei clandestini verso località lontane dallo sbarco e, in genere, tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione con le attività direttamente e in senso stretto collegabili all’ingresso dei clandestini (Sez. I, sent. n. 7045 del 14-06-2000, Carrozzo; Sez. I, sent. n. 14406 del 27-03-2003, Sinani; Sez. III, sent. n. 20257 del 07-05-2003, Jovanovic). La Corte ha poi sostenuto che il reato non richiede, per il suo perfezionamento (trattandosi di reato a condotta libera ed a consumazione anticipata), che l’ingresso illegale sia effettivamente avvenuto. (Sez. I, sent. n. 4586 del 25-10-2000, Habibi). Inoltre, trattandosi di un reato di pericolo, è sufficiente ad integrarlo la condotta diretta a procurare l’ingresso illecito dello straniero dall’Italia nel territorio di uno Stato confinante, del quale egli non sia cittadino o non abbia titolo di residenza permanente, a nulla rilevando né la durata di tale ingresso, né la destinazione finale del trasferimento (Sez. I, sent. n. 492 del 09-01-2004).

 

-       esclude che, al di là dello stato di necessità disciplinato dall’art. 54 c.p., costituiscano reato l’attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di stranieri in condizioni di bisogno presenti sul territorio dello Stato (comma 2);

 

-       prevede il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che - come i cosiddetti “scafisti” - al fine di trarre profitto, anche indiretto, compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da quattro a quindici anni e la multa di 15.000 euro per ogni persona (comma 3);

 

-       prevede che entrambi i reati di favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina siano aggravati nelle seguenti ipotesi (comma 3-bis):

·       reati commessi in riferimento a cinque o più clandestini (lett. a);

·       reati commessi esposta a pericolo di vita o minacciando l’incolumità del clandestino (lett. b);

·       reati commessi sottoponendo a trattamento inumano o degradante il clandestino (lett. c);

·       reati commessi da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o comunque illegalmente ottenuti (lett. c-bis).

 

-       prevede che il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina (comma 3) sia aggravato, con conseguente aumento della pena detentiva da un terzo alla metà e fissazione della multa in 25.000 euro per ogni persona, quando la condotta sia finalizzata al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero all’impiego di minori in attività illecite per favorirne lo sfruttamento (comma 3-ter);

 

-       prevede che le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter possano essere bilanciate solo dalle attenuanti della minore età (art. 98 c.p.), della c.d. minima partecipazione e della minorazione psichica (art. 114 c.p.). Ogni diversa attenuante consentirà diminuzioni di pena da calcolarsi sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti (comma 3-quater);

 

-       introduce un’attenuante speciale (riduzione fino alla metà della pena) per il coimputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando le indagini (comma 3-quinquies);

 

-       inserisce il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina (comma 3), con tutte le sue aggravanti, e il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, se aggravato (commi 3-bis, 3-ter), nella disciplina dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario[16]. Conseguentemente, ai condannati per tali delitti non possono essere concessi i benefici penitenziari e si estende il regime carcerario previsto per i reati considerati di massima gravità (comma 3-sexies);

 

-       dispone che per entrambi i reati (di favoreggiamento e di sfruttamento dell’immigrazione clandestina) sia obbligatorio l’arresto in flagranza e la confisca del mezzo di trasporto e si debba procedere con giudizio direttissimo, a meno che non si rendano necessarie speciali indagini (comma 4);

 

-       prevede che, al di là dei casi appena richiamati, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, ne favorisce la permanenza clandestina nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.493 euro (comma 5);

 

-       prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 3.500 a 5.500 euro, per ciascuno degli stranieri trasportati, a carico del vettore (aereo, marittimo o terrestre) che non controlla che lo straniero trasportato sia in possesso dei documenti di ingresso nel territorio nazionale di destinazione, ovvero che non denuncia all’organo di polizia di frontiera la presenza a bordo di stranieri in posizione irregolare. Nei casi più gravi prevede la sospensione o la revoca della licenza (comma 6);

 

-       consente agli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza di procedere a particolari controlli nell’ambito di operazioni finalizzate al contrasto delle immigrazioni clandestine (comma 7);

 

-       nell’ambito delle stesse operazioni stabilisce che i beni sequestrati sono affidati in custodia dall’autorità giudiziaria, oltre che agli organi di polizia, ad altri organi dello Stato o di enti pubblici per finalità di giustizia, protezione civile o tutela ambientale. Se nessuno di questi soggetti presenta istanza di affidamento, i beni sequestrati devono essere distrutti; la distruzione può essere disposta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un’autorità da lui delegata, richiedendosi comunque il nullaosta dell’autorità giudiziaria procedente. Per quanto riguarda, invece, i beni acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, i medesimi sono - a richiesta - assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne abbia avuto l’uso (commi 8–8-quinquies);

 

-       prevede che le somme confiscate o ricavate dalla vendita dei beni confiscati siano destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dell’immigrazione clandestina (comma 9);

 

-       disciplina il trattamento riservato alla nave (o all’aereo) che si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel traffico illecito di migranti. Se la nave sospetta viene intercettata nelle acque territoriali nazionali o nella zona contigua, la nave italiana in servizio di polizia (che può appartenere anche alla Marina militare) può fermarla, ispezionarla e, se sono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento in un traffico di migranti, sequestrarla conducendola in un porto nazionale. Se la nave sospetta viene intercettata fuori dalle acque territoriali, gli stessi poteri possono essere esercitati a prescindere dalla bandiera battuta dalla nave fermata, purché nei limiti consentiti dalla legge o dal diritto internazionale generale o pattizio (commi 9-bis – 9-sexies).


Il contenuto delle proposte di legge

Modifica alla disciplina relativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno (artt. 1, 2 e 3)

Gli articoli 1 e 2 delle proposte di legge A.C. 1936 e 1937, dal contenuto analogo, modificano come segue due disposizioni del testo unico, che riguardano il rilevamento dei dati fotodattiloscopici[17] degli stranieri.

 

D.Lgs. 286/1998
(Testo vigente)

D.Lgs. 286/1998
(A.C. 1936 art. 1 e 2)

D.Lgs. 286/1998
(A.C. 1937, art. 1 e 2)

Art. 5

Art. 5

Art. 5

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

(...)

(...)

(...)

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici qualora i rilievi non siano stati effettuati all’atto del rilascio del permesso.

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

 

Le relazioni illustrative delle due proposte di legge motivano le modifiche apportate con la necessità di rendere obbligatorio il rilevamento dei dati fotodattiloscopici agli stranieri, in quanto secondo la normativa vigente sarebbe “non un obbligo ma una facoltà”.

Si osserva in proposito che la formulazione utilizzata dalla norma vigente è normalmente usata nel nostro ordinamento per esprimere disposizioni che introducono un obbligo[18]. L’obbligatorietà della rilevazione delle impronte digitali, inoltre, risulta anche dalla lettura dei lavori preparatori della legge Bossi-Fini, nonché dalla prassi.

 

I commi 2-bis e 4-bis citati sono stati introdotti con l’approvazione dell’emendamento 5.110 presentato dalla Commissione all’ Assemblea della Camera nel corso dell’esame del disegno di legge A.C. 2454. Durante l’esame dell’emendamento non emerse alcun dubbio in ordine all’obbligatorietà del rilevamento delle impronte digitali nei confronti degli stranieri regolari.

La discussione si incentrò piuttosto sull’inopportunità di limitare ai soli stranieri tale obbligo, apparendo questa a vari intervenuti una discriminazione tra cittadini italiani e stranieri[19]. Tale discussione portò successivamente alla formulazione di alcuni ordini del giorno, sia dell’opposizione, che della maggioranza, accolti dal Governo, volti appunto ad estendere l’obbligo del rilevamento anche ai cittadini italiani, in occasione del rilascio della carta d’identità elettronica. Disposizione introdotta poco dopo l’approvazione della legge 189, con il D.L. 195/2002 (si veda in proposito la scheda su Il quadro normativo vigente).

La natura obbligatoria del rilevamento delle impronte è confermata dalla prassi applicativa, sia per quanto riguarda i cittadini italiani (si veda la circolare n. 11/2004 che invita i comuni partecipanti alla fase sperimentale della diffusione della carta d’identità elettronica a dotarsi di lettori d’impronta in considerazione dell’obbligo dei rilevamenti dattiloscopici[20]), sia per i cittadini stranieri[21].

 

L’articolo 3, identico nelle due proposte in esame, introduce due nuovi commi all’articolo 5 del testo unico (commi 9-bis e 9-ter) che prevedono, rispettivamente, una causa ostativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno e una causa di revoca del permesso medesimo.

 

Il nuovo comma 9-bis, in particolare, prevede che il permesso di soggiorno non può essere rilasciato, né rinnovato in presenza di una sentenza di condanna, non accompagnata dalla sospensione condizionale della pena, intervenuta nei cinque anni precedenti la citata richiesta di rilascio o di rinnovo, e relativa a taluno dei reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza (articoli 380 e 381 del codice di procedura penale per i quali si veda oltre il commento all’articolo 9 dell’A.C. 1936 e all’articolo 10 dell’A.C. 1937).

 

In relazione alla formulazione del nuovo comma 9-bis, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, sembra preferibile chiarire se la disposizione intenda riferirsi ad una sentenza di condanna definitiva.

 

Una condanna riportata per gli stessi reati comporta, inoltre, la revoca del permesso di soggiorno per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena.

 

Al riguardo, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe chiarito se la disposizione intenda riferirsi alla data di inizio della esecuzione della pena ovvero alla sua fine.

 

Da rilevare, inoltre, che le condizioni sopra citate vanno ad incidere unicamente sul permesso di soggiorno e non anche sulla carta di soggiorno a tempo indeterminato di cui all’art. 9 del testo unico.

Attualmente, la disciplina del permesso di soggiorno (per la quale si veda la scheda relativa al quadro normativo) non contempla altri casi di cause ostativa al suo rilascio. Il testo unico (art. 5, co. 5) si limita a disporre il rifiuto del rilascio o la revoca nel caso vengano a mancare i requisiti per l’ingresso o il soggiorno (per esempio il contratto di soggiorno). Il permesso di soggiorno, inoltre, non è rinnovato qualora lo straniero abbia interrotto per lunghi periodi il soggiorno in Italia, a meno che l’interruzione sia dovuta a gravi motivi (art. 13, co. 4 DPR 394/1999).

 

Da segnalare che il D.L. 272/2006[22], nell’ambito di una ampia riforma del testo unico sulla droga, allart. 4-ter sostituisce l’art. 75 del DPR 309 del 1990, inserendo al comma 8 la previsione per cui lo straniero che incorre in condotte integranti illeciti amministrativi (ossia acquista o detiene sostanze stupefacenti al di sotto dei limiti quantitativi per i quali scatta la sanzione penale) è segnalato dalla polizia al questore per le valutazioni di competenza in sede di rinnovo di permesso.

Agevolazione e favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero (articolo 4)

L’articolo 4 delle proposte di legge in esame novella in più parti il comma 5 dell’articolo 12 del citato d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

 

Come già anticipato (cfr.quadro normativo), l’attuale formulazione del comma in esame prevede che, fuori dei casi di favoreggiamento e sfruttamento della immigrazione clandestina[23] e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma dell’articolo articolo 12[24] del medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del richiamato testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni.

 

Analiticamente, le modifiche proposte riguardano sia l’ambito oggettivo della fattispecie penale contemplata dal comma che si intende novellare, sia le sanzioni attualmente contemplate da tale disposizione.

 

Per quanto riguarda il primo di questi due diversi profili, si osserva, infatti, che la disposizione in esame, nella nuova formulazione prevista dall’articolo 4 delle proposte di legge in esame, non si limita a contemplare e sanzionare il comportamento di chi favorisce la permanenza dello straniero illegale nel territorio dello Stato, (previsione questa già contenuta nell’attuale comma 5 dell’articolo 12), ma estende l’ambito della fattispecie penalmente rilevante anche al comportamento di chiunque agevoli o consenta la permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato.

Resta, invece, immutato il fine illecito che deve determinare il compimento delle sopra descritte condotte  e consistente nel trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero la cui permanenza nel territorio è stata favorita, agevolata o consentita dal reo.

 

In relazione, poi, al quadro sanzionatorio, l’articolo 4 delle proposte di legge in esame inasprisce le pene attualmente previste dal comma 5 del citato articolo 12, sanzionando il reato ivi contemplato, con la pena della reclusione da due a sei anni (anziché fino a quattro anni coma attualmente disposto).

 

Per quanto riguarda, invece la pena pecuniaria, prevista congiuntamente alla citata pena detentiva, i provvedimenti in esame prevedono l’applicazione di una multa di 5.160 euro per ogni clandestino cui si sia favorita la permanenza illegale, eliminando, quindi, ogni valutazione discrezionale da parte del giudice.

Al riguardo, si osserva, infatti, che attualmente il comma 5 dell’art. 12 prevede una multa fino a 30 milioni di lire a persona, lasciando, quindi, al giudice il compito di fissare l’entità della sanzione nel limite sopra indicato.

 

Da ultimo, il comma 5 dell’articolo 12, nella sua nuova formulazione proposta dall’articolo 4 delle proposte di legge in esame dispone che la pena è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto:

 

a)      è commesso in concorso di da due o più persone;

b)      riguardi la permanenza di cinque o più persone.

Obbligo di esibizione di documenti (art. 5)

L’articolo 5 delle due proposte di legge in esame modifica come segue i commi 3 e 4 dell’art. 6 del testo unico sull’immigrazione, relativi alla esibizione dei documenti da parte dello straniero nei confronti dell’autorità di polizia.

 

D.Lgs. 286/1998
(Testo vigente)

D.Lgs. 286/1998
(A.C. 1936 art. 5)

D.Lgs. 286/1998
(A.C. 1937, art. 5)

Art. 6

Art. 6

Art. 6

3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passa-porto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno è punito con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire otto-centomila.

3. Chiunque, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazio-ne, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e se-gnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicu-rezza possono accompa-gnare la persona nei propri uffici e trattener-vela per il tempo neces-sario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore.

3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passa-porto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici e segnale-tici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza poss-no accompagnare lo straniero nei propri uffici e ivi trattenerlo per il tempo necessario per l’identificazione e comun-que non oltre le qua-rantotto ore.

4. Qualora vi sia motivo di dubitare della identità personale dello straniero, questi è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici.

Abrogato

Abrogato

 

Da rilevare, innanzitutto, l’abolizione del reato di mancata esibizione dei documenti,previsto dalla norma vigente.

L’abolizione del reato, e della relativa sanzione penale è correlato alla ridefinizione, operata dalle proposte in esame (art. 6) del reato di falsa attestazione di generalità (art. 495 cp) e all’introduzione del nuovo reato di alterazione delle impronte digitali (articolo 7 della proposta di legge A.C. 1936 e l’articolo 8 della proposta A.C. 1937).

Secondo i presentatori delle due proposte, il nuovo quadro normativo risultante da queste modifiche rende superata la sanzione di cui all’art. 6, comma 3, del testo unico, che, oltre ad essere “blanda”, è stata oggetto di interpretazioni contrastanti da parte della giurisprudenza (si veda in proposito la scheda relativa al quadro normativo).

In luogo della sanzione, la mancata esibizione, senza giustificato motivo, del documento di identificazione comporta sempre la rilevazione dei dati fotodattiloscopici, che il comma 4 dell’art. 6 vigente (abrogato dall’articolo in esame) prevede solamente in presenza di dubbi sulla identità personale.

Inoltre, la polizia può trattenere il soggetto fermato, per non oltre quarantotto ore, ai fini dell’identificazione.

A tale proposito si rileva che la sola proposta A.C. 1936, sostituendo all’inizio del comma le parole “lo straniero”, con “chiunque”, estende l’ambito di applicazione della disposizione a tutti, quindi anche ai cittadini italiani e a quelli comunitari. Se costoro, pertanto, qualora siano fermati dalla polizia e dietro richiesta, non esibiscono i documenti, senza un valido motivo, sono sottoposti al prelievo delle impronte digitali e possono essere trattenuti.

 

Si ricorda in proposito che il principale documento di identificazione, ossia la carta d’identità, ha carattere facoltativo e il suo ottenimento costituisce un diritto del cittadino, non un obbligo. Tuttavia l’autorità di polizia può obbligare le persone pericolose o sospette di dotarsi della carta d’identità (art. 4, Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).

La carta d’identità deve essere esibita alla richiesta dell’autorità di polizia, ma nessuna disposizione pone l’obbligo di portarla con sé (ad eccezione delle categorie di persone viste sopra) e pertanto non è assoggettabile a nessuna sanzione chi, alla richiesta della polizia, non è in grado di esibire la carta d’identità (Cass. pen. 16 ottobre 1951). E’, invece, punito penalmente chi, dietro richiesta della polizia, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.).

 

In relazione alla portata generale – e non più limitata agli stranieri – della disposizione introdotta, sembra necessaria una valutazione sull’opportunità di mantenerne la collocazione all’interno del testo unico concernente la disciplina dell’immigrazione e recante norme sulla condizione dello straniero.

Le modifiche al codice penale (artt. 6-8)

Gli articoli 6, 7 e 8 di entrambe le proposte di legge in esame novellano l’attuale formulazione degli articoli 495 e 496 del codice penale ed introducono, altresì, una nuova fattispecie criminosa consistente nella Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri.

 

Nello specifico, l’articolo 6 di entrambe le proposte di legge interviene sull’articolo 495 del codice penale, attualmente collocato all’interno del capo IV (Della falsità personale) del titolo VII (Dei delitti contro la fede pubblica), del libro II (Dei delitti in particolare) del codice penale, dedicato ad alcune figure criminose consistenti in azioni che possono indurre in errore le Autorità o il pubblico sulla identità, sullo stato o sulla qualità di una persona, sia che si tratti dello stesso agente, sia di altri.

 

In particolare, l’attuale formulazione dell’articolo 495 c.p., recante il delitto di Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque:

a)      dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona (comma 1), come pure

b)      chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico (comma 2).

 

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 495 c.p. la reclusione non è inferiore ad un anno:

a)      se si tratta di dichiarazione in atti dello stato civile;

b)      se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o da una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla polizia giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

 

Ai sensi del successivo comma 4 dell’articolo 495 c.p. la pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

 

In relazione alla fattispecie penale sopra descritta le modifiche proposte da entrambe le proposte di legge in esame sono dirette a rendere la citata disposizione penale più aderente alla mutata realtà sociale dove il ricorso a nomi di fantasia è forse il reato più diffuso tra gli stranieri che hanno scelto la strada del crimine[25].

 

Pertanto, ad avviso dei proponenti un inasprimento delle sanzioni attualmente previste per tale reato che consenta l’arresto facoltativo in flagranza e l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di chi fornisce false generalità potrebbe costituire un concreto strumento dissuasivo nei confronti di chiunque (straniero o cittadino italiano) per delinquere faccia costantemente uso di nominativi di fantasia[26].

 

Analiticamente, la prima modifica proposta riguarda l’ambito oggettivo della fattispecie penale in quanto alle condotte illecite già sanzionate dai primi due commi dell’articolo 495 del codice penale e sopra richiamate si aggiunge anche il comportamento di colui che a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona.

 

In relazione a tale modifica si segnala che la nuova condotta che si intende inserire nell’articolo 495 c.p. presenta delle affinità con quella attualmente descritta dal successivo articolo 496 c. p[27]. ed in base al quale  soggiace alla pena della reclusione fino a un anno, alternativa a quella della multa fino a euro 516, chiunque, fuori dei casi indicati dagli articoli 494  c.p. e 495 c.p. interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio.

 

La seconda modifica, come anticipato, interviene, poi, sulle sanzioni previste per il delitto in esame in quanto l’attuale pena della reclusione fino a tre anni è sostituita con la pena della reclusione da uno a sei anni, consentendo, in tal modo sia la possibilità del ricorso all’arresto facoltativo in flagranza (art. 380. c.p.p.), sia l’applicazione di una misura cautelare coercitiva (art. 280 c.p.p).

 

Al riguardo, si osserva, infatti, che ai sensi del comma 1 dell’articolo 381 del c.p.p., gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Il successivo comma 2, reca, poi, una serie tassativa di delitti in presenza dei quali gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza[28].

 

In relazione, poi, alla materia delle misure cautelari coercitive si ricorda che ai sensi del primo comma dell’articolo 280 c.p.p., tali misure possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni. In relazione poi, alla specifica misura della custodia cautelare in carcere, il secondo comma del citato articolo 280 c.p.p., prevede, poi, che tale misura può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

 

La medesima pena della reclusione da uno a sei anni è prevista anche se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o ad autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome, ipotesi queste per le quali allo stato è prevista una pena non inferiore nel minimo ad un anno e nel massimo a tre anni.

 

La nuova formulazione dell’articolo 495, non contempla, invece, le false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria dalla persona sottoposta ad indagini, che l’attuale formulazione del comma 2 dell’articolo 495 c.p.p., sottopone al medesimo regime sanzionatorio previsto per le sopra richiamate false dichiarazioni rese da un imputato.

 

Non è, altresì, più contemplata la diminuente di pena prevista dall’attuale comma 4 dell’articolo 495 c.p. ed applicabile nei casi in cui chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

 

Per quanto riguarda poi le modifiche riguardanti il successivo articolo 496 del codice penale, attualmente rubricato False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, entrambe le proposte di legge intervengono sul relativo regime sanzionatorio (art. 8 della p.d.l. A.C. 1936 e art. 7 della p.d.l. A.C. 1937) in quanto l’attuale pena della reclusione fino ad un anno alternativa a quella della multa fino a euro 516 è sostituita con la sola pena della reclusione fino a due anni.

 

Al riguardo, si ricorda che per l’articolo 496, soggiace alla pena della reclusione fino a un anno o a quella della multa fino a euro 516 chiunque, fuori dei casi indicati dagli articoli 494[29]. e 495[30] c.p. interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio.

 

Allo stato questa figura criminosa differisce da quella in precedenza descritta (art. 495 c.p.) in quanto:

a)              la falsa dichiarazione non è fatta in un atto pubblico, né è destinata ad essere riprodotta in un atto del genere;

b)              presupponendo una domanda, consiste sempre in una risposta

c)              comprende anche la dichiarazione resa a persona incaricata di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio medesimo.

 

La sola proposta di legge A.C. 1937 elimina dall’attuale formulazione dell’articolo 496 c.p. il riferimento al pubblico ufficiale circoscrivendo, quindi, l’ambito della fattispecie alle sole false dichiarazioni rese ad una persona incaricata di un pubblico servizio.

 

Al riguardo, appare opportuno verificare se il mancato riferimento alla figura del pubblico ufficiale, presente, invece nella p.d.l. A.C. 1936, non costituisca un mero refuso in quanto la medesima disposizione precisa che le mendaci dichiarazioni devono essere rese a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio. Il riferimento alle funzioni appare, infatti, proprio della figura del pubblico ufficiale a differenza del servizio più propriamente riferibile alla persona incaricata di un pubblico servizio.

 

A questo proposito si osserva che per quanto riguarda la distinzione tra le due categorie di soggetti la legge considera esclusivamente la natura della mansione che la persona disimpegna: è pubblico ufficiale colui che esercita una funzione pubblica e incaricato di un pubblico servizio colui che esercita un servizio pubblico[31].

 

Da ultimo, entrambe le proposte di legge in esame prevedono l’inserimento, all’interno del capo IV, del titolo VII, del libro II del codice penale del nuovo articolo 495-bis,recante il delitto di Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri (articolo 8 della p.d.l. A.C. 1936 e art. 7 della p.d.l. A.C. 1937).

 

Come si legge nella relazione illustrativa della proposta di legge A.C. 1936, la ratio di questa nuova disposizione penale deve essere individuata nella sempre più diffusa prassi di ricorrere alla abrasione delle creste papillari al fine di evitare la sottoposizione della persona a rilievi dattiloscopici. Da qui la necessità di individuare una nuova figura  penale che preveda pene edittali congrue e le custodia cautelare in carcere.

 

Nello specifico la nuova figura criminosa punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o della altrui persona.

 

In relazione alla formulazione di questa disposizione si osserva che l’unica differenza esistente tra i due provvedimenti in esame è ravvisabile nel fatto che ai sensi dell’articolo 8 della p.d.l. A.C. 1937, la citata alterazione, mutilazione o obliterazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani deve essere effettuata in maniera fraudolenta, circostanza questa non contemplata dalla p.d.l. A.C. 1936.

 

Le modifiche al codice di procedura penale (artt. 9-12)

Il Capo III di entrambe le proposte di legge in esame reca “Modifiche al codice di procedura penale”. Anche in questo caso il testo delle proposte è analogo e si procederà dunque ad un’unica descrizione, evidenziando le differenze.

 

In particolare, il solo A.C. 1937 interviene sull’articolo 349 del codice di rito, relativo all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone.

 

L’art. 349 dispone che spetta alla polizia giudiziaria procedere alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (comma 1). In particolare, l’identificazione dell’indagato può avvenire anche attraverso rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici ovvero con altri accertamenti (comma 2). Laddove tali accertamenti comportino il prelievo di capelli o saliva e non vi sia consenso da parte dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero (comma 2-bis). Il comma 3 aggiunge che all’atto dell’identificazione la polizia giudiziaria invita l’indagato a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni. L’articolo 349 prevede inoltre che se l’indagato o le persone in grado di riferire su circostante rilevanti ai fini della ricostruzione dei fatti, rifiutano di farsi identificare ovvero forniscono generalità o documenti di identificazione falsi, la polizia giudiziaria può trattenerli nei propri uffici per il tempo strettamente necessario all’identificazione, e comunque non oltre 12 ore che possono diventare 24 previo avviso al PM laddove l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete. In tal caso è data all’interessato la facoltà di chiedere di avvisare un familiare o un convivente (comma 4). Il PM, avvisato immediatamente dell’accompagnamento presso gli uffici della polizia giudiziaria, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona accompagnata (comma 5). Lo stesso PM dovrà essere tempestivamente avvisato anche del rilascio della persona accompagnata (comma 6).

 

L’articolo 9 della p.d.l. A.C. 1937, modificando il comma 4 dell’art. 349 c.p.p., prevede che l’indagato o la persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti possano essere trattenuti negli uffici della polizia giudiziaria ai fini dell’identificazione per un tempo massimo di 48 ore (in luogo delle attuali 24).

 

 

Sia l’articolo 9 della p.d.l. A.C. 1936 che l’articolo 10 della p.d.l. A.C. 1937 intervengono sull’articolo 381 del codice di procedura penale, relativo alle ipotesi di arresto facoltativo in flagranza di reato.

 

È in stato di flagranza chi viene sorpreso nell’atto di commettere il reato, oppure chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.

A seconda dell’entità del reato l’arresto in flagranza può essere obbligatorio o facoltativo.

Ai sensi dell’art. 380 c.p.p. gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria debbono arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel massimo a 20 anni. Vi sono, poi, altri delitti (purché non colposi) che, sebbene puniti con reclusione di durata inferiore a quella indicata, presentano estremi di spiccata gravità. La legge prescrive anche per tali delitti l’arresto obbligatorio, e ne formula un elenco dettagliato e tassativo, cioè non estensibile. Tra questi delitti vi sono, ad es., quelli che attengono alla fabbricazione, al commercio o al porto illegittimi delle armi da guerra o degli esplosivi, i delitti inerenti alle sostanze stupefacenti cosiddette pesanti, alcune ipotesi di furto aggravato, i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale, delitti di associazione di stampo mafioso e associazione a delinquere.

L’articolo 381 c.p.p. individua le ipotesi in cui l’arresto in flagranza è facoltativo. Ciò vale per chi è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 3 anni ovvero di un delitto colposo per il quale è prevista la pena non inferiore nel massimo a 5 anni di reclusione (es. omicidio colposo) (comma 1). Vi sono, inoltre, altri delitti - elencati dettagliatamente dal comma 2 dell’art. 381 c.p.p.[32] - che, quantunque punibili con la reclusione inferiore, presentano uno specifico rischio della loro prosecuzione o ripetizione nel tempo e ciò può giustificare l’arresto in flagranza.

Quando l’arresto è facoltativo, la decisione se eseguirlo o meno deve essere assunta dalla polizia giudiziaria tenendo conto della gravità del fatto, ovvero della pericolosità della persona, desunta dalle circostanze del fatto stesso, o dalla sua personalità (comma 4). L’arresto in flagranza può essere eseguito anche quando il delitto è perseguibile su querela, se essa viene immediatamente proposta, anche in forma orale, con dichiarazione resa sul posto alla polizia giudiziaria (comma 3). Non è ammesso l’arresto facoltativo della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero, per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle (comma 4-bis).

 

Entrambe le proposte di legge (art. 9 della p.d.l. A.C. 1936 e art. 10 della p.d.l. A. C. 1937), intervenendo sul comma 2 dell’art. 381 c.p.p., inseriscono due ulteriori ipotesi in presenza delle quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza di reato. Si tratta dei delitti di cui agli articoli 495 e 495-bis del codice penale, così come definiti dalle stesse proposte di legge (v. sopra).

 

 

L’articolo 10 della p.d.l. A.C. 1936 e l’articolo 11 della p.d.l. A.C. 1937 aggiungono un comma all’articolo 449 del codice di procedura penale, in tema di giudizio direttissimo.

 

Il giudizio direttissimo è uno dei procedimenti speciali, o riti semplificati, che accelerano il corso del processo, abbreviandone la durata, per effetto della riduzione della fase delle indagini preliminari. Presupposto essenziale del giudizio direttissimo è il carattere dell’evidenza della prova a carico dell’imputato, che ne dimostra, sin dal momento in cui è stato commesso il reato, o da un momento successivo e prossimo, la colpevolezza.

Ai sensi dell’art. 449, la prova evidente della colpevolezza, contemporanea al verificarsi del reato, si ha anzitutto quando la persona è stata arrestata in flagranza. Inoltre è sottoposta a giudizio direttissimo la persona che, sin dai primi giorni della custodia cautelare, ovvero da un momento successivo e assai prossimo alla avvenuta comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero, ha ammesso di essere responsabile del reato per il quale si procede, rendendo confessione (comma 5).

Il giudizio direttissimo può essere iniziato dal pubblico ministero che ritiene di dover procedere in tal modo nei confronti dell’arrestato in flagranza. Egli ha due possibilità:

a) presentazione diretta dell’imputato al giudice del dibattimento per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo, entro 48 ore dall’arresto (comma 1); in tal caso, se l’arresto è convalidato, si procede al giudizio direttissimo (comma 3); se non viene convalidato, si può procedere a giudizio direttissimo, con l’imputato libero, solo se questi e il pubblico ministero vi consentono (comma 2); altrimenti il giudice ordina la liberazione dell’arrestato e restituisce gli atti al pubblico ministero;

b) presentazione dell’imputato detenuto al giudice del dibattimento per il giudizio direttissimo entro 15 giorni dall’arresto, quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato dal giudice dell’udienza preliminare (comma 4).

La scelta dell’una o dell’altra via può anche dipendere dal fatto che, nonostante l’evidenza della prova a carico dell’arrestato, il pubblico ministero ritenga opportuno svolgere limitate e circoscritte indagini per una ricostruzione precisa della vicenda. Inoltre si può avere giudizio direttissimo nei confronti della persona che nell’interrogatorio ha confessato, e che può essere detenuta per il fatto per il quale si procede, oppure libera. Nelle due ipotesi il pubblico ministero ha 15 giorni dalla data di iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro per presentare l’imputato al giudice del dibattimento, o per farlo citare, se libero, a un’udienza non successiva alla scadenza del suddetto termine (comma 5).

Infine, ai sensi del comma 6, quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con altri reati per i quali mancano i presupposti del giudizio direttissimo, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario.

 

In particolare, entrambe le proposte di legge inseriscono all’articolo 449 c.p.p. il comma 6-bis, ai sensi del quale, laddove il reato per il quale è richiesto il giudizio direttissimo risulti connesso con uno dei reati di cui agli articoli 495 o 495-bis c.p. (nella formulazione prevista dalle stesse p.d.l., v. sopra), anche se per questi reati dovessero mancare i presupposti del rito direttissimo, non si dovrà applicare il comma 6, che impone la separazione dei procedimenti. In ogni caso, se la riunione dei procedimenti è indispensabile, dovrà prevalere il rito direttissimo.

 

In relazione alla formulazione del testo si osserva che andrebbe chiarito il rapporto tra il primo e il secondo periodo del comma aggiuntivo.

In particolare, dal primo periodo sembra desumersi l’intento dei proponenti di non separare mai procedimenti per i reati connessi quando il reato connesso sia previsto dagli articoli 495 e 495-bis c.p.. Se questa è l’interpretazione corretta della norma , non risulterebbe chiara la formulazione del secondo periodo (“Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo”), che fa della riunione dei procedimenti una eventualità e non la regola, come sembrava dedursi dalla prima parte della disposizione in esame .

 

Entrambe le proposte di legge, infine, intervengono, poi, sull’articolo 66 del codice di procedura penale, in tema di verifica dell’identità personale dell’imputato.

 

Ai sensi dell’art. 66, comma 1, nel primo atto cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant’altro possa valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false (cfr. art. 495 c.p.). L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona (comma 2). Le erronee generalità attribuite all’imputato sono rettificate nelle forme previste per la correzione degli errori materiali (comma 3).

In relazione al comma 2, la giurisprudenza conferma che è irrilevante ai fini della prosecuzione delle indagini e del processo l’esatta identificazione anagrafica dell’indagato/imputato, ossia la perfetta individuazione del nome, cognome, data e luogo di nascita di quest’ultimo: vale esclusivamente, infatti, che sia certa l’identità fisica della persona nei cui confronti è iniziato il procedimento o s’è esercitata l’azione penale (Cass. pen., sez. V, sent. 5 febbraio 1999, n. 643; Cass. pen., sez. II, sent. 6 novembre 1998, n. 2700; Cass. pen., sez. I, sent. 20 aprile 1995, n. 6873). Evidente la ragion pratica della regola: il dispendio di energie ad opera dell’amministrazione della giustizia è inutile solo quando - ad esser giudicato - sia persona diversa da quella tratta in giudizio. Ciò è non è e per l’effetto risulta utilmente spiegata la procedura, qualora la divergenza tra processato e rinviato a dibattimento dipenda solo da una difforme identificazione anagrafica: ogniqualvolta v’è identità tra colui nei cui confronti è processo e colui che è giudicato, questo è il "vero imputato" rientrando l’errore di generalità nel novero degli errori materiali rettificabili nelle forme di cui all’art. 130. Quanto detto trova conforto nella disposizione dell’art. 668 cp.p. secondo cui nella fase esecutiva l’eventuale condanna di una persona determinata da un errore di nome dà luogo esclusivamente alla correzione della sentenza ad opera del giudice dell’esecuzione se "la persona contro cui si doveva procedere è stata citata come imputato anche sotto altro nome per il giudizio"; altrimenti, qualora ad essere condannato per errore di nome sia stato un estraneo ai fatti di causa, non v’è altra via che la revisione.

 

L’articolo 11 della proposta di legge A.C. 1936 sostituisce il comma 2 dell’art. 66 c.p.p.

 

In relazione all’articolo in esame si osserva che tale disposizione riproduce integralmente l’attuale formulazione del comma 2 dell’articolo 66 c.p.p. e, pertanto, non innova l’attuale testo normativo.

 

L’articolo 12 della proposta di legge A.C. 1937 mantiene invece ferma l’attuale formulazione del comma 2 aggiungendovi però un inciso finale, ai sensi del quale è irrilevante l’esatta identificazione anagrafica dell’imputato quando ne sia certa l’identità fisica, ovvero quando la stessa persona abbia inteso impedire – in modo fraudolento – la propria identificazione.

 

In relazione alla formulazione di questo articolo, al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi, si osserva che andrebbe chiarito il significato dell’inciso che si intende aggiungere al comma 2 dell’articolo 66.

Infatti se l’espressione ", ovvero quando la stessa persona abbia inteso impedire – in modo fraudolento – la propria identificazione" deve essere intesa nel senso che anche laddove non sia certa l’identificazione anagrafica né l’identità fisica dell’imputato, ciò non pregiudichi il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, laddove la situazione sia frutto della volontà della persona di impedire, in modo fraudolento, la propria identificazione, tale soluzione potrebbe risultare problematica in considerazione della assoluta mancanza di elementi certi relativi alla identità, non solo anagrafica ma anche fisica, della persona .

Viceversa, qualora il nuovo inciso si riferisca ai casi in cui l’imputato ha volontariamente reso impossibile la propria identificazione (ad esempio attraverso l’abrasione dei polpastrelli) ma è certa la sua identità fisica, si tratterebbe allora di una mera specificazione del principio già previsto dal  comma 2 dell’articolo 66 in base al quale è irrilevante l’esatta identificazione anagrafica dell’imputato quando ne sia certa l’identità fisica.

 

 


Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 1936

A.C. 1937

 

 

 

 

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

 

 

 

 

Capo I

Modifiche al Testo Unico di cui al Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

Capo I

Modifiche al Testo Unico di cui al Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286

Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero

 

 

Art. 5

Permesso di soggiorno

Art. 5

Permesso di soggiorno

Art. 5

Permesso di soggiorno

1. Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell’articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del presente testo unico o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all’Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi.

1. Identico.

1. Identico.

2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d’ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può provvedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l’esercizio delle funzioni di ministro di culto nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze.

2. Identico.

2. Identico.

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

3. La durata del permesso di soggiorno non rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal visto d’ingresso, nei limiti stabiliti dal presente testo unico o in attuazione degli accordi e delle convenzioni internazionali in vigore. La durata non può comunque essere:

a) superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo;

b)

c) superiore ad un anno, in relazione alla frequenza di un corso per studio o per formazione debitamente certificata; il permesso è tuttavia rinnovabile annualmente nel caso di corsi pluriennali;

d) 

e) superiore alle necessità specificatamente documentate, negli altri casi consentiti dal presente testo unico o dal regolamento di attuazione.

3. Identico.

3. Identico.

3-bis. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’articolo 5-bis. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:

a) 

b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;

c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni.

3-bis. Identico.

3-bis. Identico.

3-ter. Allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso pluriennale, a tale titolo, fino a tre annualità, per la durata temporale annuale di cui ha usufruito nell’ultimo dei due anni precedenti con un solo provvedimento. Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno. Il permesso è revocato immediatamente nel caso in cui lo straniero violi le disposizioni del presente testo unico.

3-ter. Identico.

3-ter. Identico.

3-quater. Possono inoltre soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato sulla base della certificazione della competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 26 del presente testo unico. Il permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni.

3-quater. Identico.

3-quater. Identico.

3-quinquies. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana che rilascia il visto di ingresso per motivi di lavoro, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 4, ovvero il visto di ingresso per lavoro autonomo, ai sensi del comma 5 dell’articolo 26, ne dà comunicazione anche in via telematica al Ministero dell’interno e all’INPS nonché all’INAIL per l’inserimento nell’archivio previsto dal comma 9 dell’articolo 22 entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione. Uguale comunicazione è data al Ministero dell’interno per i visti di ingresso per ricongiungimento familiare di cui all’articolo 29 entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione.

3-quinquies. Identico.

3-quinquies. Identico.

3-sexies. Nei casi di ricongiungimento familiare, ai sensi dell’articolo 29, la durata del permesso di soggiorno non può essere superiore a due anni.

3-sexies. Identico.

3-sexies. Identico.

4. Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno novanta giorni prima della scadenza nei casi di cui al comma 3-bis, lettera c), sessanta giorni prima nei casi di cui alla lettera b) del medesimo comma 3-bis, e trenta giorni nei restanti casi, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente testo unico. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.

4. Identico.

4. Identico.

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici qualora i rilievi non siano stati effettuati all’atto del rilascio del permesso.

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

5. Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonchè, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.

5. Identico.

5. Identico.

5-bis. Nel valutare la pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, si tiene conto anche di eventuali condanne per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all’articolo 12, commi 1 e 3.

5-bis. Identico.

5-bis. Identico.

6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

6. Identico.

6. Identico.

7. Gli stranieri muniti del permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dall’autorità di uno Stato appartenente all’Unione europea, valido per il soggiorno in Italia sono tenuti a dichiarare la loro presenza al questore con le modalità e nei termini di cui al comma 2. Agli stessi è rilasciata idonea ricevuta della dichiarazione di soggiorno. Ai contravventori si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 200 mila a lire 600 mila. Qualora la dichiarazione non venga resa entro 60 giorni dall’ingresso nel territorio dello Stato può essere disposta l’espulsione amministrativa.

7. Identico.

7. Identico.

8. Il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all’articolo 9 sono rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione conformi ai modelli da approvare con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, in attuazione del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, riguardante l’adozione di un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi. Il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno rilasciati in conformità ai predetti modelli recano inoltre i dati personali previsti, per la carta di identità e gli altri documenti elettronici, dall’articolo 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

8. Identico.

8. Identico.

8-bis. Chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale.

8-bis. Identico.

8-bis. Identico.

9. Il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico.

9. Identico.

9. Identico.

 

9-bis. Il permesso di soggiorno non può essere concesso o rinnovato allo straniero che nei cinque anni precedenti la richiesta sia stato condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

9-bis. Il permesso di soggiorno non può essere concesso o rinnovato allo straniero che nei cinque anni precedenti la richiesta sia stato condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

 

9-ter. Allo straniero, titolare di permesso di soggiorno, che sia condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, il permesso di soggiorno è revocato per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena.

9-ter. Allo straniero, titolare di permesso di soggiorno, che sia condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, il permesso di soggiorno è revocato per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena.

 

 

 

 

 

 

Art. 6

Facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno

Art. 6

Facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno

Art. 6

Facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno

1. Il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo e familiari per essere utilizzato anche per le altre attività consentite. Quello rilasciato per motivi di studio e formazione può essere convertito, comunque prima della sua scadenza, e previa stipula del contratto di soggiorno per lavoro ovvero previo rilascio della certificazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 26, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro nell’ambito delle quote stabilite a norma dell’articolo 3, comma 4, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione.

1. Identico.

1. Identico.

2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati.

2. Identico.

2. Identico.

3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno è punito con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire ottocentomila.

3. Chiunque, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza possono accompagnare la persona nei propri uffici e trattenervela per il tempo necessario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore.

3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza possono accompagnare lo straniero nei propri uffici e ivi trattenerlo per il tempo necessario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore.

4. Qualora vi sia motivo di dubitare della identità personale dello straniero, questi è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici.

4. Abrogato.

4. Abrogato.

5. Per le verifiche previste dal presente testo unico o dal regolamento di attuazione, l’autorità di pubblica sicurezza, quando vi siano fondate ragioni, richiede agli stranieri informazioni e atti comprovanti la disponibilità di un reddito, da lavoro o da altra fonte legittima, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi nel territorio dello Stato.

5. Identico.

5. Identico.

6. Salvo quanto è stabilito nelle leggi militari, il Prefetto può vietare agli stranieri il soggiorno in comuni o in località che comunque interessano la difesa militare dello Stato. Tale divieto è comunicato agli stranieri per mezzo della autorità locale di pubblica sicurezza o col mezzo di pubblici avvisi. Gli stranieri, che trasgrediscono al divieto, possono essere allontanati per mezzo della forza pubblica.

6. Identico.

6. Identico.

7. Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abitualmente anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente.

7. Identico.

7. Identico.

8. Fuori dei casi di cui al comma 7, gli stranieri che soggiornano nel territorio dello Stato devono comunicare al questore competente per territorio, entro i quindici giorni successivi, le eventuali variazioni del proprio domicilio abituale.

8. Identico.

8. Identico.

9. Il documento di identificazione per stranieri è rilasciato su modello conforme al tipo approvato con decreto del Ministro dell’interno. Esso non è valido per l’espatrio, salvo che sia diversamente disposto dalle convenzioni o dagli accordi internazionali.

9. Identico.

9. Identico.

10. Contro i provvedimenti di cui all’articolo 5 e al presente articolo è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale competente.

10. Identico.

10. Identico.

 

 

 

 

 

 

Art. 12

Disposizioni contro le immigrazioni clandestine

Art. 12

Disposizioni contro le immigrazioni clandestine

Art. 12

Disposizioni contro le immigrazioni clandestine

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona.

1. Identico.

1. Identico.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.

2. Identico.

2. Identico.

3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a procurare l’ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico, ovvero a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.

3. Identico.

3. Identico.

3-bis. Le pene di cui ai commi 1 e 3 sono aumentate se:

a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

b) per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;

c) per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;

c-bis) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.

3-bis. Identico.

3-bis. Identico.

3-ter. Se i fatti di cui al comma 3 sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona.

3-ter. Identico.

3-ter. Identico.

3-quater. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

3-quater. Identico.

3-quater. Identico.

3-quinquies. Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.

3-quinquies. Identico.

3-quinquies. Identico.

3-sexies. All’articolo 4-bis, comma 1, terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo le parole: «609-octies del codice penale» sono inserite le seguenti: «nonché dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

3-sexies. Identico.

3-sexies. Identico.

4. Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è obbligatorio l’arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti. Nei medesimi casi si procede comunque con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini.

4. Identico.

4. Identico.

5. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni.

5. Chiunque, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, agevola, favorisce o consente la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 5.160 euro per ogni straniero di cui ha agevolato, consentito o favorito la permanenza nel territorio dello Stato. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

5. Chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, agevola, favorisce o consente la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 5.160 euro per ogni straniero di cui ha agevolato, consentito o favorito la permanenza nel territorio dello Stato. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

6. Il vettore aereo, marittimo o terrestre, è tenuto ad accertarsi che lo straniero trasportato sia in possesso dei documenti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, nonché a riferire all’organo di polizia di frontiera dell’eventuale presenza a bordo dei rispettivi mezzi di trasporto di stranieri in posizione irregolare. In caso di inosservanza anche di uno solo degli obblighi di cui al presente comma, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 3.500 a euro 5.500 per ciascuno degli stranieri trasportati. Nei casi più gravi è disposta la sospensione da uno a dodici mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerenti all’attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

6. Identico.

6. Identico.

7. Nel corso di operazioni di polizia finalizzate al contrasto delle immigrazioni clandestine, disposte nell’ambito delle direttive di cui all’articolo 11, comma 3, gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza operanti nelle province di confine e nelle acque territoriali possono procedere al controllo e alle ispezioni dei mezzi di trasporto e delle cose trasportate, ancorché soggetti a speciale regime doganale, quando, anche in relazione a specifiche circostanze di luogo e di tempo, sussistono fondati motivi che possano essere utilizzati per uno dei reati previsti dal presente articolo. Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale in appositi moduli, che è trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida nelle successive quarantotto ore. Nelle medesime circostanze gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizioni, con l’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 352, commi 3 e 4 del codice di procedura penale.

7. Identico.

7. Identico.

8. I beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati previsti dal presente articolo, sono affidati dall’autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale. I mezzi di trasporto non possono essere in alcun caso alienati. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 100, commi 2 e 3, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

8. Identico.

8. Identico.

8-bis. Nel caso che non siano state presentate istanze di affidamento per mezzi di trasporto sequestrati, si applicano le disposizioni dell’articolo 301-bis, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni.

8-bis. Identico.

8-bis. Identico.

8-ter. La distruzione può essere direttamente disposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dalla autorità da lui delegata, previo nullaosta dell’autorità giudiziaria procedente.

8-ter. Identico.

8-ter. Identico.

8-quater. Con il provvedimento che dispone la distruzione ai sensi del comma 8-ter sono altresì fissate le modalità di esecuzione.

8-quater. Identico.

8-quater. Identico.

8-quinquies. I beni acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca sono, a richiesta, assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne abbiano avuto l’uso ai sensi del comma 8 ovvero sono alienati o distrutti. I mezzi di trasporto non assegnati, o trasferiti per le finalità di cui al comma 8, sono comunque distrutti. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Ai fini della determinazione dell’eventuale indennità, si applica il comma 5 dell’articolo 301-bis del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni.

8-quinquies. Identico.

8-quinquies. Identico.

9. Le somme di denaro confiscate a seguito di condanna per uno dei reati previsti dal presente articolo, nonché le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati, sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei medesimi reati, anche a livello internazionale mediante interventi finalizzati alla collaborazione e alla assistenza tecnico-operativa con le forze di polizia dei Paesi interessati. A tal fine, le somme affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnate, sulla base di specifiche richieste, ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’interno, rubrica «Sicurezza pubblica».

9. Identico.

9. Identico.

9-bis. La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o nella zona contigua, una nave, di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla, sottoporla ad ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato.

9-bis. Identico.

9-bis. Identico.

9-ter. Le navi della Marina militare, ferme restando le competenze istituzionali in materia di difesa nazionale, possono essere utilizzate per concorrere alle attività di cui al comma 9-bis.

9-ter. Identico.

9-ter. Identico.

9-quater. I poteri di cui al comma 9-bis possono essere esercitati al di fuori delle acque territoriali, oltre che da parte delle navi della Marina militare, anche da parte delle navi in servizio di polizia, nei limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o da accordi bilaterali o multilaterali, se la nave batte la bandiera nazionale o anche quella di altro Stato, ovvero si tratti di una nave senza bandiera o con bandiera di convenienza.

9-quater. Identico.

9-quater. Identico.

9-quinquies. Le modalità di intervento delle navi della Marina militare nonché quelle di raccordo con le attività svolte dalle altre unità navali in servizio di polizia sono definite con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.

9-quinquies. Identico.

9-quinquies. Identico.

9-sexies. Le disposizioni di cui ai commi 9-bis e 9-quater si applicano, in quanto compatibili, anche per i controlli concernenti il traffico aereo.

9-sexies. Identico.

9-sexies. Identico.

 

 

 

 

Capo II

MODIFICHE AL CODICE PENALE

 

Codice penale

 

 

 

 

 

Art. 495

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

Art. 495

Falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale o all’autorità giudiziaria sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Art. 495

Falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale o all’autorità giudiziaria sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.

Chiunque, a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, ovvero in un atto pubblico, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Chiunque, a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, ovvero in un atto pubblico, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, ovvero se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o ad autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, ovvero se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o ad autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

La reclusione non è inferiore ad un anno:

1. se si tratta di dichiarazione in atti dello stato civile;

2. se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o da una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla polizia giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

 

 

 

Soppresso, in parte assorbito dal precedente comma 2.

 

 

 

Soppresso, in parte assorbito dal precedente comma 2.

La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

Soppresso.

Soppresso.

 

 

 

 

 

 

 

Art. 495-bis

Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri

Art. 495-bis

Fraudolenta alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri

 

Chiunque altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Chiunque, in modo fraudolento, altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o dell’altrui persona, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

 

 

 

 

 

 

Art. 496

False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Art. 496

False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Art. 496

False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 516.

Chiunque, fuori dai casi indicati dagli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o della altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a due anni.

Chiunque, fuori dai casi indicati dagli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o della altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a due anni

 

 

 

 

 

 

 

Capo III

MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE

Capo III

MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE

Codice di procedura penale

 

 

 

 

 

Art. 66

Verifica dell’identità personale dell’imputato

Art. 66

Verifica dell’identità personale dell’imputato

Art. 66

Verifica dell’identità personale dell’imputato

1. Nel primo atto cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant’altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.

1. Identico.

1. Identico.

2. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona.

2. Identico.

2. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona, ovvero quando la stessa, in modo fraudolento, ha impedito la propria identificazione.

3. Le erronee generalità attribuite all’imputato sono rettificate nelle forme previste dall’articolo 130.

3. Identico.

3. Identico.

 

 

 

 

 

 

Art. 349

Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone

Art. 349

Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone

Art. 349

Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone

1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

1. Identico.

1. Identico.

2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.

2. Identico.

2. Identico.

2-bis. Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero.

2-bis. Identico.

2-bis. Identico.

3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell’articolo 161. Osserva inoltre le disposizioni dell’articolo 66.

3. Identico.

3. Identico.

4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente.

4. Identico.

4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le quarantotto ore, nel caso che l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente.

5. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al pubblico ministero il quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona accompagnata.

5. Identico.

5. Identico.

6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui esso è avvenuto.

6. Identico.

6. Identico.

 

 

 

 

 

 

Art. 381

Arresto facoltativo in flagranza

Art. 381

Arresto facoltativo in flagranza

Art. 381

Arresto facoltativo in flagranza

1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

1. Identico.

1. Identico.

2. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno altresì facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti:

2. Identico:

2. Identico:

a) peculato mediante profitto dell’errore altrui previsto dall’articolo 316 del codice penale;

b) corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio prevista dagli articoli 319 comma 4 e 321 del codice penale;

c) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336 comma 2 del codice penale;

d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive previsti dagli articoli 443 e 444 del codice penale;

e) corruzione di minorenni prevista dall’articolo 530 del codice penale;

f) lesione personale prevista dall’articolo 582 del codice penale;

g) furto previsto dall’articolo 624 del codice penale;

h) danneggiamento aggravato a norma dell’articolo 635 comma 2 del codice penale;

i) truffa prevista dall’articolo 640 del codice penale;

l) appropriazione indebita prevista dall’articolo 646 del codice penale;

l-bis) offerta, cessione o detenzione di materiale pornografico previste dagli articoli 600-ter, quarto comma, e 600-quater del codice penale, anche se relative al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1 del medesimo codice;

m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli articoli 3 e 24 comma 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110;

m-bis) fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall’articolo 497-bis del codice penale.

a) identica;

b) identica;


c) identica;


d) identica;



e) identica;

f) identica;

g) identica;

h) identica;

i) identica;

l) identica;

l-bis) identica;





m) identica;



m-bis) identica;


a) identica;

b) identica;


c) identica;


d) identica;



e) identica;

f) identica;

g) identica;

h) identica;

i) identica;

l) identica;

l-bis) identica;





m) identica;



m-bis) identica;


 

m-ter) falsa attestazione sull’identità o su qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495 del codice penale;

m-quater) alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495-bis del codice penale.

m-ter) falsa attestazione sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, prevista dall’articolo 495 del codice penale;

m-quater) fraudolenta alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri, prevista dall’articolo 495-bis del codice penale

3. Se si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza può essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l’avente diritto dichiara di rimettere la querela, l’arrestato è posto immediatamente in libertà.

3. Identico.

3. Identico.

4. Nelle ipotesi previste dal presente articolo si procede all’arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto.

4. Identico.

4. Identico.

4-bis. Non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle.

5. Identico.

5. Identico.

 

 

 

 

 

 

Art. 449

Casi e modi del giudizio direttissimo

Art. 449

Casi e modi del giudizio direttissimo

Art. 449

Casi e modi del giudizio direttissimo

1. Quando una persona è stata arrestata in flagranza di un reato, il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l’imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento, per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall’arresto. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell’articolo 391, in quanto compatibili.

1. Identico.

1. Identico.

2. Se l’arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l’imputato e il pubblico ministero vi consentono.

2. Identico.

2. Identico.

3. Se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio.

3. Identico.

3. Identico.

4. Il pubblico ministero può, altresì, procedere al giudizio direttissimo quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato. In tal caso l’imputato è presentato all’udienza non oltre il quindicesimo giorno dall’arresto.

4. Identico.

4. Identico.

5. Il pubblico ministero può, inoltre, procedere al giudizio direttissimo nei confronti della persona che nel corso dell’interrogatorio ha reso confessione. L’imputato libero è citato a comparire a una udienza non successiva al quindicesimo giorno dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato. L’imputato in stato di custodia cautelare per il fatto per cui si procede è presentato all’udienza entro il medesimo termine.

5. Identico.

5. Identico.

6. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario.

6. Identico.

6. Identico.

 

6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano qualora il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulti connesso con il reato di cui all’articolo 495 o con quello di cui all’articolo 495-bis del codice penale. Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo.

6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano qualora il reato per il quale è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con il reato di cui all’articolo 495 o con quello di cui all’articolo 495-bis del codice penale. Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo.

 

 


Progetti di legge

 


N. 1936

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

VIOLANTE, MARCENARO

¾

 

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Presentata il 12 novembre 2006

¾¾¾¾¾¾¾¾

 

 


Onorevoli Colleghi! - 1) Tutte le grandi immigrazioni, compresa quella italiana negli Stati Uniti, in Canada o in Australia, sono state accompagnate dallo spostamento di soggetti dediti professionalmente ad attività criminali, dall’utilizzazione da parte di questi soggetti di altri immigrati privi di mezzi di sussistenza nel nuovo Paese o disadattati perché non integrati con i nuovi stili di vita. Tutto ciò si è sempre tradotto in un gravissimo danno per la parte, di gran lunga maggioritaria, degli immigrati che nulla hanno da spartire con la criminalità.

Ostilità, diffidenza o rifiuto dello straniero trovano le loro radici anche nella attribuzione indiscriminata, nell’immaginario collettivo, a tutti gli immigrati delle responsabilità derivanti dalle condotte illecite di alcuni di essi. Si tratta di sentimenti e atteggiamenti che si diffondono sempre più tra i cittadini italiani e che hanno, indubbiamente, molteplici spiegazioni, ma che si rafforzano anche con la diffusa convinzione della sostanziale impunità di cui godono molti criminali di importazione.

Per affermare e difendere una cultura dell’accoglienza occorre difendere una cultura della responsabilità. Tollerare tutto e ad ogni costo, senza differenziare le posizioni e senza valorizzare la capacità di decidere sulle proprie condotte, cancella il principio di responsabilità, che deve accompagnare ogni forma di civile e democratica convivenza.

In un contesto normativo realmente inadeguato a rendere impossibile la permanenza in Italia di chi vi giunge solo per delinquere, la cosiddetta «legge Bossi-Fini» (legge n. 189 del 2002) per alcuni aspetti è inutilmente oppressiva, mentre trascura alcuni nodi fondamentali per rendere incisiva la lotta alla criminalità.

2) Innanzitutto non è predisposto alcuno strumento per neutralizzare la diffusa prassi dell’utilizzo delle false generalità da parte dello straniero che delinque.

Sul fronte delle indagini, è, infatti, spesso impossibile ricostruire la reale identità di un soggetto e, quindi, individuarlo.

Conseguentemente è possibile l’uso di plurime e false generalità, tecnica che ha, di fatto, consentito a delinquenti incalliti di ottenere molteplici sospensioni condizionali della pena, patteggiamenti e scarcerazioni fondati sulla formale incensuratezza dell’indagato che, con altri nomi, ha, in realtà, già commesso numerosi reati e, in molti casi, è anche titolare di un regolare permesso di soggiorno. Questo perché la concessione del permesso avviene senza alcuna concreta possibilità di una preventiva verifica dell’eventuale passato criminale dello straniero che, se pregiudicato, può continuare a delinquere utilizzando false generalità e, contemporaneamente, apparire come un onesto cittadino, esibendo, quando necessario, il permesso di soggiorno contenente le uniche generalità con le quali non ha mai fatto ingresso in un procedimento penale.

Ne deriva un diffuso senso di impunità, un pessimo esempio per chi è in dubbio se scegliere la via criminale o tenere la propria vita nella legalità, la crescita di sentimenti razzisti.

3) Nell’attuale impianto normativo, la possibilità di ottenere, o di rinnovare, il permesso di soggiorno è subordinata alla presenza di tre presupposti generali: l’esistenza di una motivazione per l’ingresso in Italia (lavorativa, religiosa, collegata allo studio, per consentire il ricongiungimento familiare); la disponibilità in capo al richiedente di adeguati mezzi di sostentamento; l’assenza di accertata pericolosità.

In realtà, il sistema è di fatto vanificato da molteplici fattori, tra i quali la materiale impossibilità di una costante verifica della permanenza, nel tempo, dei presupposti legittimanti la concessione del permesso, le carenze di personale ed i notevoli problemi organizzativi degli uffici immigrazione delle questure, accompagnati dal mancato raccordo tra tali uffici e l’autorità giudiziaria.

Pertanto le sentenze a carico di stranieri muniti del permesso di soggiorno sono spesso relative a soggetti condannati con nominativi diversi da quello utilizzato per ottenere il permesso. A volte si tratta di nomi di persone del tutto innocenti e assolutamente estranea al mondo criminale.

L’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che attualmente disciplina il rilascio del permesso di soggiorno, deve, quindi, essere armonizzato a queste elementari esigenze.

Si impone l’esigenza di rendere effettiva una scelta di fondo propria di tutti i Paesi di immigrazione: il permesso di soggiorno non può essere riconosciuto a chi commette crimini di una certa gravità e a chi si occulta sotto false generalità.

La normativa sugli stranieri non rende obbligatoria, ai fini dell’ottenimento del permesso di soggiorno, la sottoposizione del richiedente ai rilievi fotodattiloscopici (fotografie e impronte digitali), attraverso i quali è possibile ricostruire se, con diverse generalità, un individuo ha commesso in precedenza reati o è stato oggetto di un provvedimento di espulsione.

Può quindi accadere, e in realtà è spesso accaduto, che venga concesso il permesso a chi, in realtà, a causa dei suoi precedenti, mai accertati, non sarebbe meritevole del beneficio. Per converso, può accadere che il permesso venga negato a chi non ha commesso alcun delitto quando il suo nome è stato utilizzato dal vero criminale. Naturalmente nulla esclude che le norme qui proposte, relative alle impronte digitali possano essere estese ai cittadini italiani. Se questa esigenza emergerà nel corso del dibattito parlamentare, la normativa potrà certamente estendersi anche a loro.

Per tali ragioni, si propone che il comma 2-bis dell’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, sia sostituito dal seguente:

«2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici».

Il comma 4-bis dell’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è invece sostituito dal seguente:

«4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici qualora i rilievi non siano stati effettuati all’atto del rilascio del permesso».

E all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazione, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«9-bis. Il permesso di soggiorno non può essere concesso o rinnovato allo straniero che nei cinque anni precedenti la richiesta sia stato condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

9-ter. Allo straniero, titolare di permesso di soggiorno, che sia condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, il permesso di soggiorno è revocato per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena».

Inoltre, deve essere introdotto un trattamento sanzionatorio adeguato nei confronti dei soggetti che, in varia misura, concorrono alla realizzazione di documenti ideologicamente falsi impiegati per l’ottenimento di permessi di soggiorno.

L’esperienza quotidiana ha dimostrato che, grazie alle segnalate lacune, questo tipo di criminalità ha un estremo bisogno del permesso di soggiorno - con il quale può rimpatriare senza particolari controlli e può circolare liberamente nel nostro territorio.

Perciò il comma 5 dell’articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«5. Chiunque, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, agevola, favorisce o consente la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 5.160 euro per ogni straniero di cui ha agevolato, consentito o favorito la permanenza nel territorio dello Stato. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

4) Il ricorso a nomi di fantasia, è, forse, il reato più diffuso tra gli stranieri che hanno scelto la strada del crimine.

Molti provengono da Paesi che non hanno un’anagrafe e che non forniscono alcuna reale collaborazione per l’identificazione dei propri cittadini.

Al fine di disincentivare realmente la pratica del ricorso ai nominativi di fantasia, è, dunque, necessario ridefinire, anche sotto il profilo sanzionatorio, il reato di cui all’articolo 495 del codice penale, ovvero la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su generalità personali proprie o altrui.

La norma, introdotta in un contesto nel quale non vi era alcuna questione connessa a questo tipo di criminalità, prevede una sanzione mite, proprio perché era assai rara l’utilizzazione di nomi falsi da parte di persone dedite al crimine

Un incremento dei limiti edittali della pena prevista per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale, che consenta l’arresto facoltativo in flagranza e l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di chi fornisce false generalità, potrebbe costituire un concreto strumento dissuasivo e un intervento adeguato alla gravità del fenomeno nei confronti di chiunque, italiano o straniero, per delinquere e per sfuggire all’individuazione, faccia costantemente uso di nominativi di fantasia.

In alcuni Paesi, negli Stati Uniti ad esempio, fornire false generalità non solo comporta una pena elevata, ma comporta anche la custodia in carcere senza limiti temporali sino a quando non è accertata la reale identità della persona. L’introduzione di un meccanismo di controllo preventivo e successivo delle generalità all’atto della concessione o del rinnovo del permesso di soggiorno - garantito dal fotosegnalamento - e la concreta repressione dell’utilizzo di nominativi di fantasia consentirebbero di ridurre drasticamente il ricorso a nomi falsi da parte di questo tipo di criminalità organizzata.

In questo contesto, l’attuale sanzione penale prevista dall’articolo 6, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, e successive modificazioni, norma oggetto di contrastanti interpretazioni da parte della stessa Corte di cassazione, potrebbe essere tranquillamente abrogata.

Attualmente la legge prevede una blanda sanzione per lo straniero che, controllato, non esibisca documenti, ma, soprattutto, non prevede in questi casi l’obbligo di sottoporlo a rilievi fotodattiloscopici, fissando in ventiquattro ore la durata massima del fermo per identificazione.

Di fatto, lo straniero che, nel corso di un controllo, viene trovato sprovvisto di documenti subisce una denuncia a piede libero per un reato che in concreto non è punito e che, per come è formulato, non ha senso ed è di dubbia configurabilità (non è, infatti, reato la clandestinità ma solo il fatto di non esibire i documenti), ma, soprattutto, in queste occasioni non viene neppure fotosegnalato e, quindi, realmente identificato.

Si deve, invece, porre le Forze di polizia nelle condizioni di svolgere un immediato ed effettivo controllo in tutte le occasioni in cui lo straniero o il cittadino sia sprovvisto di documenti, al fine di consentire un concreto accertamento della sua identità.

Introducendo in questi casi l’obbligo del fotosegnalamento, si scoraggerebbe l’uso delle false generalità in occasione dei controlli, consentendo una reale individuazione di chi ha la consuetudine di non esibire i documenti in queste circostanze.

5) È, dunque, necessario creare un sistema circolare nel quale è sempre possibile il controllo dell’identità dello straniero o del cittadino mediante uno strumento (i rilievi fotodattiloscopici) che, senza essere invasivo o lesivo della dignità della persona, riproduce esclusivamente una caratteristica fisica della persona e che, rispetto ad una semplice fotografia, è certo e non suscettibile di contraffazioni.

Conseguentemente si propone di sostituire il comma 3 dell’articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con il seguente:

«3. Chiunque, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza possono accompagnare la persona nei propri uffici e trattenervela per il tempo necessario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore».

Il comma 4 del citato articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni, verrebbe quindi abrogato e l’articolo 495 del codice penale verrebbe sostituito dal seguente:

«Art. 495. - (Falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale o all’autorità giudiziaria sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, ovvero in un atto pubblico, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, ovvero se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o all’autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome».

L’articolo 496 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 496. - (False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dai casi indicati dagli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o della altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a due anni».

Per consentire l’arresto in flagranza, all’articolo 381, comma 2, del codice di procedura penale, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«m-ter) falsa attestazione sull’identità o su qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495 del codice penale».

Deve anche essere previsto il rito direttissimo per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale quando risulta commesso unitamente ad altri reati per i quali l’imputato è in stato di arresto o di custodia cautelare.

All’articolo 449 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano qualora il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulti connesso con il reato di cui all’articolo 495 o con quello di cui all’articolo 495-bis del codice penale. Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo».

6) Corollario delle procedure di identificazione è evitare che la persona adotti tecniche che gli consentano di sfuggire. Da un anno a questa parte sta diffondendosi in modo veramente sorprendente una prassi volta ad impedire, a volte in modo irreversibile, la possibilità concreta di una identificazione mediante la sottoposizione dell’interessato ai rilievi dattiloscopici.

Immergendo i polpastrelli delle dita nell’acido si ottiene, infatti, l’abrasione delle creste papillari che consentono la comparazione dell’impronta. E se l’operazione è svolta in modo particolarmente approfondito le creste papillari, che in caso di un più blando intervento ricrescono nel giro di un mese, non si riformeranno mai più, consentendo all’interessato di sfuggire per sempre a questi controlli.

In altri termini, i soggetti che ricorrono a questo artificio non possono più utilmente essere sottoposti ai rilievi dattiloscopici, perché l’operatore non è in condizione di effettuare le comparazioni o comunque di rilevare l’impronta in modo utile.

Ed ecco che tutti gli sforzi volti a rendere utile il sistema di identificazione sono vanificati e chi cancella le impronte dei propri polpastrelli può sfuggire all’attribuzione di identità certa.

La conseguenza, ad esempio, è che la persona in discorso potrà godere di un numero indefinito di sospensioni condizionali della pena, purché si presenti ogni volta con una identità diversa.

Sarà poi impossibile la sua espulsione dal territorio nazionale perché, non avendo un’identità certa, nessuno Stato estero si dichiarerà disponibile a riceverlo.

Di fronte a questa nuova frontiera occorre introdurre una nuova figura di reato che preveda pene edittali congrue e la custodia in carcere.

Proponiamo pertanto che dopo l’articolo 495 del codice penale sia inserito il seguente:

«Art. 495-bis. - (Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri). - Chiunque altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».

All’articolo 381, comma 2, del codice di procedura penale, dopo la lettera m-ter), proponiamo sia aggiunta la seguente:

«m-quater) alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495-bis del codice penale».

Deve anche essere previsto il rito direttissimo per il reato di cui all’articolo 495-bis del codice penale, quando risulta commesso unitamente ad altri reati per i quali l’imputato è in stato di arresto o di custodia cautelare. A questo provvede la modifica, già riportata nella presente relazione, all’articolo 449 del codice di procedura penale, che reca l’introduzione del comma 6-bis.

Va anche evitato che nei confronti di chi ha impedito volontariamente la propria identificazione non possa celebrarsi il processo.

Il comma 2 dell’articolo 66 del codice di procedura penale, è pertanto sostituito dal seguente:

«2. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia assolutamente certa l’identità fisica della persona».

7) Attraverso l’introduzione dei correttivi descritti si potrebbe garantire un reale equilibrio tra gli interessi, meritevoli di tutela, dello straniero che, nel rispetto delle regole, si inserisce stabilmente nel nostro Paese e quelli, altrettanto fondamentali per uno Stato democratico, di garantire per tutti il rispetto delle regole, sanzionando le loro violazioni da parte di cittadini stranieri che, delinquendo, sottraggono spazi e risorse ad altri immigrati che, del tutto lecitamente, intendono migliorare le loro condizioni di vita, inserendosi stabilmente in Italia.

Si tratta, quindi, di fare delle scelte, che si traducano in atti concreti, per consentire di riportare la situazione dall’attuale emergenza a un reale equilibrio.

Questa proposta di legge nasce dall’esperienza concreta della procura della Repubblica presso il tribunale di Torino e da una serie di incontri indetti dal sindaco della città di Torino, Sergio Chiamparino, sul tema della tutela della sicurezza dei cittadini.


 

 

 


 


proposta di legge

¾¾¾

 

 

Capo I

MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 25 LUGLIO 1998,
N. 286

 

Art. 1.

1. Il comma 2-bis dell’articolo 5 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici».

 

Art. 2.

1. Il comma 4-bis dell’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici qualora i rilievi non siano stati effettuati all’atto del rilascio del permesso».

 

Art. 3.

1. All’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«9-bis. Il permesso di soggiorno non può essere concesso o rinnovato allo straniero che nei cinque anni precedenti la richiesta sia stato condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale  della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

9-ter. Allo straniero, titolare di permesso di soggiorno, che sia condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, il permesso di soggiorno è revocato per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena».

 

Art. 4.

1. Il comma 5 dell’articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«5. Chiunque, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, agevola, favorisce o consente la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 5.160 euro per ogni straniero di cui ha agevolato, consentito o favorito la permanenza nel territorio dello Stato. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

 

Art. 5.

1. Il comma 3 dell’articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:

«3. Chiunque, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza possono accompagnare la persona nei propri uffici e trattenervela per il tempo necessario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore».

2. Il comma 4 dell’articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è abrogato.

 

Capo II

MODIFICHE AL CODICE PENALE

 

Art. 6.

1. L’articolo 495 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 495. - (Falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale o all’autorità giudiziaria sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, ovvero in un atto pubblico, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, ovvero se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o ad autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome».

 

Art. 7.

1. Dopo l’articolo 495 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 495-bis. - (Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri). - Chiunque altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».

 

Art. 8.

1. L’articolo 496 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 496. - (False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dai casi indicati dagli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o della altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a due anni».

 

Capo III

MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE

 

Art. 9.

1. All’articolo 381, comma 2, del codice di procedura penale sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

«m-ter) falsa attestazione sull’identità o su qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495 del codice penale;

m-quater) alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri prevista dall’articolo 495-bis del codice penale».

 

Art. 10.

1. All’articolo 449 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano qualora il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulti connesso con il reato di cui all’articolo 495 o con quello di cui all’articolo 495-bis del codice penale. Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo».

 

Art. 11.

1. Il comma 2 dell’articolo 66 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

«2. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona».

 

 

 

 

 


N. 1937

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

BUEMI, CALGARO, LUCÀ, MARINO, OSVALDO NAPOLI

¾

 

Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Presentata il 13 novembre 2006

¾¾¾¾¾¾¾¾

 

 


Onorevoli Colleghi! - Nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del nuovo millennio, il 12 gennaio 2000, l’allora Procuratore generale della Suprema Corte, Antonio La Torre, nel corso della sua relazione, precisava: «(...) Nuove realtà criminali sono germinate dagli ampli flussi migratori» che hanno generato «ambienti criminali che si sono molto bene inseriti alleandosi con la malavita locale oppure, ancora più spesso, l’hanno soppiantata con veri e propri scontri». Il Procuratore generale ricordava anche come ogni distretto giudiziario segnalasse la difficoltà di identificare queste persone e l’inadeguatezza degli strumenti investigativi e processuali.

Sono trascorsi sei anni e la situazione allora denunciata si è indubbiamente aggravata, come ciascuno di noi, nelle proprie realtà di riferimento, può quotidianamente constatare.

Senonché le risposte concrete a quella che, nell’attuale contesto, si presenta come una inarrestabile deriva verso una globalizzazione senza regole, continuano a farsi attendere.

Forse per una malcelata fiducia nella capacità del mercato di armonizzare la situazione; forse per il consueto approccio italiano di intervenire solo quando le emergenze si sono tradotte in dolorose realtà; forse per carenza di progettualità, certamente, però, al di là delle schermaglie politiche alle quali quotidianamente si assiste anche su questo tema, si ha la sgradevole sensazione di una netta e, a questo punto, colpevole sottovalutazione delle questioni inerenti l’immigrazione.

Sensazione che si traduce in una assoluta certezza, se si osserva il fenomeno dal particolare angolo visuale della lotta alla sempre più diffusa criminalità di importazione.

Nei piccoli centri di provincia, o nelle più grandi aree metropolitane, la crescente presenza di cittadini extracomunitari si è spesso tradotta nel loro stabile e definitivo insediamento in quartieri o aree determinati, accompagnato, nelle città, dall’abbandono di tali zone da parte degli originari residenti italiani.

A Torino e a Genova, ma anche a Milano e a Roma, come in molte altre città del centro-nord, vi sono ormai quartieri popolati in via quasi esclusiva da stranieri, con il conseguente controllo di quelle aree da parte di gruppi organizzati o, comunque, di soggetti dediti ad attività illecite, tanto che, nel corso di attività di indagine, gli operatori hanno spesso dovuto constatare la oggettiva difficoltà di svolgere servizi di osservazione o pedinamenti, sino al verificarsi di vere e proprie aggressioni in occasione di arresti e di interventi.

Certamente si può osservare che questi sembrano più problemi di insufficiente gestione dell’ordine pubblico, più che questioni inerenti le tecniche di indagine, ma va anche detto che il controllo del territorio da sempre rappresenta una delle caratteristiche di qualsiasi struttura di criminalità organizzata e, purtroppo, questo obiettivo, in molteplici realtà italiane, è stato ormai raggiunto dalla delinquenza di importazione.

Peraltro, al di là degli inevitabili conflitti connessi alle profonde differenze culturali, religiose, sociali ed economiche tra cittadini italiani e immigrati, il punto critico che si è sviluppato in tema di immigrazione è indubbiamente legato al costante e inarrestabile aumento di reati commessi dagli stranieri, con il diffondersi, soprattutto nelle città, di un profondo senso di insicurezza e di timore in capo agli abitanti, che si sono sentiti, progressivamente, sempre meno tutelati di fronte alle quotidiane aggressioni di un piccolo drappello che, giorno per giorno, vedeva irrobustire le sue fila.

Furti in esercizi commerciali, scippi, borseggi, furti in appartamento, attività connesse allo sfruttamento della prostituzione, spaccio di droga al minuto, resistenza a pubblico ufficiale, vendita di merce di contrabbando, rapine e piccole estorsioni, rappresentano le attività delinquenziali che più frequentemente vengono commesse dagli immigrati.

Sarebbe, però, riduttivo ritenere che i crimini commessi dagli stranieri siano circoscritti ai cosiddetti «reati di strada».

Attualmente, infatti, si è ormai consolidato un doppio livello di criminalità di importazione: da un lato soggetti dediti prevalentemente a reati di minore spessore; dall’altro individui che operano in contesti più ampi e organizzati.

L’occupazione, anche violenta, di spazi abbandonati dalla criminalità nostrana, da parte dei delinquenti stranieri, ha proiettato questi ultimi verso i livelli apicali delle attività illecite nel settore degli stupefacenti, dello sfruttamento della prostituzione, del commercio di esseri umani.

Si sono, così, sviluppate vere e proprie organizzazioni criminali, a volte «arricchite» da delinquenti italiani, che sfuggono ai tradizionali schemi associativi, trattandosi anche di piccoli gruppi, spesso composti da individui provenienti dalla medesima città o villaggio stranieri, che interagiscono con altre cellule di una più ampia struttura.

Ma la riconducibilità di queste organizzazioni alle tradizionali fattispecie normative inerenti i reati associativi non sempre è immediata, risultando più agevole per le vicende connesse al traffico di stupefacenti, più difficoltosa per altri sodalizi.

In proposito, mentre la delinquenza proveniente dai Paesi arabi ha da sempre avuto un rapporto più blando e rudimentale con il territorio, limitandosi a convivere con le realtà già presenti - trattandosi di gruppi criminali che non hanno una marcata base familiare - la crescita del livello criminale degli albanesi è avvenuta ad opera di gruppi familiari ben radicati nelle rispettive aree di pertinenza.

Inizialmente gli albanesi, come purtroppo oggi sta accadendo per i rumeni, commettevano furti e altri reati contro il patrimonio.

Poi, con la caduta del regime di Tirana e la successiva guerra civile, sono passati in modo massiccio allo sfruttamento della prostituzione, reato che non solo garantisce ottimi profitti con pochissimi rischi ma che, soprattutto, permette - tramite le stesse prostitute - il controllo del territorio.

Creato questo radicamento locale, gli albanesi si sono rapidamente proiettati ad altissimi livelli nel traffico di stupefacenti, armi ed esseri umani, aprendosi, quando necessario anche con la violenza, gli spazi vitali e, oggi, rappresentano la più pericolosa realtà criminale straniera presente nel nostro Paese dove, come è emerso in alcune indagini, hanno stretto legami diretti con la vecchia e forse un po’ logora delinquenza nostrana.

Anche la realtà delle carceri è profondamente mutata.

Nelle strutture penitenziarie delle grandi città del centro-nord, dove è di gran lunga più ampia la diffusione della criminalità di importazione, gli extracomunitari rappresentano, ormai, la maggioranza dei detenuti, con gli inevitabili contrasti legati alla nascita di nuovi assetti interni e ai conflitti che da essi derivano.

Facendo ancora riferimento alla realtà torinese, dai dati forniti dalla casa circondariale «Le Vallette», risulta che attualmente più del 50 per cento del totale degli ingressi è relativo a stranieri.

Se questi dati vengono rapportati al numero di italiani (circa 2 milioni e mezzo) e di stranieri (50 mila con il permesso di soggiorno, forse altrettanti clandestini) che vivono a Torino e provincia, è agevole comprendere quanto sia elevata la percentuale degli immigrati, che fanno ingresso in carcere, sul totale di quelli presenti sul territorio.

Anche a livello nazionale la situazione è allarmante.

Infatti, sempre in tema di ingressi dalla libertà - formula utilizzata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) nei rapporti sulla popolazione penitenziaria - mentre nel 1987 su un totale di 82.718 persone entrate in carcere soltanto il 12,3 per cento (10.141) era composto da stranieri, nel 2001 su un totale di 78.569 ingressi, 28.098 era costituito da stranieri, con una percentuale che in soli quattordici anni è salita sino al 35,8 per cento, per passare al 39 per cento nel 2004 e al 45 per cento nel 2005.

Nel primo semestre 2006 su un totale di 47.117 ingressi gli stranieri sono stati 21.682, pari al 46 per cento del totale.

Nelle strutture penitenziarie del Piemonte i nuovi ingressi nel primo semestre 2006 sono stati 5.134 di cui 3.411 stranieri pari, quindi, al 66 per cento.

Per quanto attiene, infine, al numero complessivo dei detenuti, nel primo semestre del 2006, a livello nazionale la percentuale di stranieri sul totale degli stessi era pari al 33 per cento.

Infine, la serie storica 1991-2005 dei detenuti presenti evidenzia come nell’arco di quindici anni gli stranieri sono più che raddoppiati.

In una prima fase, i reati commessi dagli immigrati sono stati considerati, sotto il particolare profilo del trattamento sanzionatorio loro riservato, una naturale proiezione delle difficoltà di inserimento degli stessi nel tessuto sociale ed economico di una realtà lontana da quella di provenienza, una sorta di costo dell’adattamento a schemi di vita e a valori estranei alla loro cultura, un sintomo delle difficoltà di reperimento di lecite fonti di sostentamento.

Del resto, le attività delinquenziali poste in essere inizialmente dagli immigrati, per il loro modesto impatto sociale, non destavano un particolare allarme e sembravano, quindi, espressive del disagio di chi non trovava concrete possibilità alternative di un lecito inserimento nel nostro Paese.

Si è, così, sviluppata una risposta morbida, guidata da un atteggiamento di parziale tolleranza che ha determinato, anche da parte della stessa magistratura, un insufficiente livello di attenzione al fenomeno.

Dimenticando che l’affermarsi di qualsiasi forma di criminalità organizzata deve necessariamente fare leva su una robusta manovalanza ed è sempre proiezione di un aumento del numero dei soggetti che delinquono, si sono affrontati, forse con superficialità, i singoli episodi delittuosi commessi dagli immigrati, creando un diffuso sentimento di sostanziale impunità negli individui che entravano in contatto con il nostro sistema giudiziario.

Sappiamo che nei Paesi di provenienza di molti immigrati, sia quelli islamici che quelli dell’ex blocco dell’Est, il trattamento sanzionatorio, le garanzie per l’imputato e il sistema penitenziario erano - e sono tuttora - lontanissimi dai nostri princìpi di civiltà giuridica. Purtroppo, però, il delinquente di importazione, in un sistema dove le garanzie sono state dilatate oltre ogni ragionevole principio, trova molto appetibile commettere reati per i quali spesso non sconta neppure la pena, con conseguente convincimento dell’esistenza di una sostanziale impunità.

In questo contesto, scarcerazioni immediate dopo arresti in flagranza anche per reati gravi; pene irrogate contenute nel minimo dei minimi edittali; la totale obliterazione della recidiva; l’applicazione di misure cautelari del tutto inadeguate, quali, ad esempio, la sottoposizione all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria applicata nei confronti di chi non ha neppure una dimora, erano e sono - a volte ancora oggi - sintomi di un approccio alla questione sul quale si impone una seria riflessione.

Sospensioni condizionali della pena e attenuanti generiche concesse in modo indiscriminato; fenomeni di vero e proprio «turismo penitenziario», relativi a soggetti che nell’arco di uno stesso anno vengono arrestati anche quattro o cinque volte e immediatamente scarcerati, non solo creano nella collettività la convinzione dell’inadeguatezza dell’impianto preventivo e repressivo, ma determinano, altresì, negli appartenenti alle Forze dell’ordine, un diffuso senso di frustrazione e un sentimento di globale inutilità del proprio operato.

Si è pertanto sviluppata anche in chi delinque la consapevolezza dell’insufficienza dell’impianto repressivo, rendendo, così, di gran lunga più allettante la soluzione criminale anche per molti soggetti che giungono nel nostro Paese per costruirsi un futuro migliore.

Tutto ciò si è tradotto, altresì, in un consistente danno per la quota, certamente maggioritaria, degli immigrati che nulla hanno da spartire con la criminalità.

Ostilità, diffidenza o rifiuto dello straniero trovano le loro radici anche nell’attribuzione indiscriminata, nell’immaginario collettivo, a tutti gli immigrati delle responsabilità derivanti dalle condotte illecite di alcuni di essi. Si tratta di sentimenti e di atteggiamenti che si diffondono sempre più tra i cittadini italiani e che hanno, indubbiamente, molteplici spiegazioni, ma che si rafforzano anche con la diffusa convinzione della sostanziale impunità di cui godono molti criminali di importazione.

Per affermare e difendere una cultura della tolleranza occorre chiudere con la cultura del perdono comunque e ad ogni costo che, senza differenziare le posizioni e senza valorizzare la capacità di decidere sulle proprie condotte, oblitera il principio di responsabilità - che deve accompagnare ogni forma civile di convivenza - e «imprigiona gli autori di fatti illeciti nel cerchio di ferro degli atti socialmente dannosi che essi compiono, fornendo loro una sorta di simbolica giustificazione permanente, costituendo un incoraggiamento a ripetere quelle condotte» (Didier Peyrat, Justice, novembre 1998).

In un contesto normativo realmente inadeguato a rendere impossibile la permanenza in Italia di chi vi giunge solo per delinquere, la normativa sull’immigrazione (testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) con le modifiche alla stessa, apportate, in particolare, dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, non affronta alcuni nodi fondamentali per rendere realmente incisiva la lotta alla criminalità straniera.

Nonostante il susseguirsi di numerosi interventi in tema di immigrazione, il legislatore non ha predisposto alcuno strumento per neutralizzare la diffusa prassi dell’utilizzo delle false generalità da parte dello straniero che delinque.

Sul fronte delle indagini è, infatti, spesso impossibile ricostruire la reale identità di un soggetto e, quindi, individuarlo.

Solo per fare un esempio, si ricorda che nel 1999, nel corso di un’indagine su un vasto traffico di stupefacenti e su un sequestro di persona a scopo di estorsione, un cittadino marocchino e la moglie italiana - tuttora destinatari del programma di protezione - intrapresero un percorso collaborativo, chiamando in correità decine di persone, per lo più di nazionalità marocchina. Il collaboratore marocchino era molto preciso e anche in grado di indicare i nominativi dei complici e i luoghi dagli stessi frequentati, quindi si prospettava un ottimo risultato. Ma, redatto il primo verbale, si intuì immediatamente che l’ostacolo maggiore era costituito dalla identificazione dei correi.

Al di là di questo singolo episodio, più in generale sappiamo che l’uso di plurime e false generalità ha, di fatto, consentito a delinquenti incalliti di ottenere svariate sospensioni condizionali della pena, patteggiamenti e scarcerazioni fondati sulla formale incensuratezza dell’indagato che, con altri nomi, ha, in realtà, già commesso numerosi reati e, in molti casi, è anche titolare di un regolare permesso di soggiorno. Questo perchè la concessione del permesso avviene senza alcuna concreta possibilità di una preventiva verifica dell’eventuale passato criminale dello straniero che, se pregiudicato, può continuare a delinquere, utilizzando false generalità e, contemporaneamente, apparire come un onesto cittadino, esibendo, quando necessario, il permesso di soggiorno contenente le uniche generalità con le quali non ha mai fatto ingresso in un procedimento penale.

L’articolo 5 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, al comma 2-bis testualmente prevede: «Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici».

Quindi non un obbligo ma una facoltà, così come il medesimo testo unico dispone per il rinnovo del permesso che, quindi, può tranquillamente avvenire senza alcun fotosegnalamento quando magari, nel frattempo, il titolare ha commesso reati utilizzando nominativi di fantasia.

Per comprendere gli effetti deleteri, sulle risposte alle forme di devianza, derivanti dall’attuale sistema di regolamentazione della disciplina dell’immigrazione è necessario chiarire, alla luce del contenuto del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e del relativo regolamento di attuazione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, che le attuali modalità di concessione del permesso di soggiorno sono solo apparentemente rigide e selettive.

Nell’attuale impianto normativo, la possibilità di ottenere, o di rinnovare, il permesso di soggiorno è subordinata alla presenza di tre presupposti generali: l’esistenza di una motivazione per l’ingresso in Italia (lavorativa, religiosa, collegata allo studio, per consentire il ricongiungimento familiare); la disponibilità in capo al richiedente di adeguati mezzi di sostentamento; l’assenza di accertata pericolosità.

Inoltre, un ulteriore punto critico dell’attuale sistema è costituito dalla materiale impossibilità di una costante verifica della permanenza, nel tempo, dei presupposti legittimanti la concessione del permesso.

Le carenze di personale ed i notevoli problemi organizzativi degli uffici immigrazione delle questure, accompagnati dal mancato raccordo tra l’autorità giudiziaria e tali uffici, rendono spesso impossibili tali verifiche.

Le sentenze a carico di stranieri muniti del permesso di soggiorno sono spesso relative a soggetti condannati con nominativi diversi da quello utilizzato per ottenere il permesso. E, in questi casi, è impossibile formulare, a carico del titolare del permesso di soggiorno che venga condannato per reati gravi, la «prognosi» di pericolosità che consentirebbe la revoca del permesso e la conseguente espulsione.

L’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che attualmente disciplina il rilascio del permesso di soggiorno deve, quindi, essere armonizzato a queste elementari esigenze.

Si impone una scelta di fondo: il permesso di soggiorno non può essere riconosciuto a chi commette crimini di una certa gravità e a chi si occulta sotto false generalità.

Anche nella prospettiva, che non può ragionevolmente essere esclusa, di future sanatorie generalizzate, si tratta di poter esercitare un efficace controllo preventivo sulla identità e sui reati eventualmente commessi in passato dai richiedenti, nonché di avere la possibilità di verificare che il titolare non si renda, in seguito, responsabile di delitti come quelli di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

Vi è, però, un altro dato che deve essere oggetto di attenta riflessione.

La normativa sugli stranieri, come visto, non rende obbligatoria, ai fini dell’ottenimento del permesso di soggiorno, la sottoposizione del richiedente ai rilievi fotodattiloscopici (fotografie e impronte digitali), attraverso i quali è possibile ricostruire se, con diverse generalità, un individuo ha commesso in precedenza reati o è stato oggetto di un provvedimento di espulsione.

In questo modo, lo Stato spesso concede il permesso a chi, in realtà, a causa dei suoi precedenti mai accertati, è persona pericolosa e, quindi, non sarebbe meritevole del beneficio. Ancora una volta il sistema non garantisce affatto una costante verifica del rispetto delle regole, in danno dei soggetti meno scaltri e avveduti ed a vantaggio di chi, magari fruendo delle sanatorie, si è radicato nel nostro Paese esclusivamente per delinquere.

Inoltre, deve essere anche introdotto un trattamento sanzionatorio adeguato nei confronti dei soggetti che, in varia misura, concorrono alla realizzazione di documenti ideologicamente falsi impiegati per l’ottenimento di permessi di soggiorno.

L’esperienza quotidiana ci insegna che il delinquente di importazione ha un estremo bisogno del permesso di soggiorno - con il quale può rimpatriare senza particolari controlli e può circolare liberamente nel nostro territorio quando non delinque - e spesso lo ottiene con dichiarazioni di compiacenti e inesistenti datori di lavoro, che non vengono sottoposte a un adeguato controllo da parte delle questure, oppure, in alcuni casi, anche per mezzo di compiacenti funzionari.

Il ricorso a nominativi di fantasia è, forse, il reato più diffuso tra gli stranieri che delinquono.

Indubbiamente molti di loro provengono da Paesi che non hanno neppure un’anagrafe e che non forniscono alcuna reale collaborazione per l’identificazione dei propri cittadini ma, al tempo stesso, sono perfettamente consapevoli dei vantaggi che derivano dall’impiego di false generalità.

Al fine di disincentivare realmente la pratica del ricorso ai nominativi di fantasia è, dunque, necessario ridefinire, anche sotto il profilo sanzionatorio, il reato di cui all’articolo 495 del codice penale.

La norma, introdotta in un contesto nel quale non vi era alcuna questione connessa alla criminalità di importazione, prevede una sanzione mite, proprio perchè era ed è, anche oggi, molto improbabile, da parte di un cittadino italiano, l’utilizzo di false generalità, essendo agevolmente ricostruibile la sua reale identità.

Un incremento dei limiti edittali della pena prevista per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale, che consenta l’arresto facoltativo in flagranza e l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di chi fornisce false generalità, costituirebbe un concreto strumento dissuasivo e un intervento adeguato alla gravità del fenomeno nei confronti di soggetti che, per delinquere e per sfuggire all’individuazione, fanno costantemente uso di nominativi di fantasia, disponendo, così, di uno strumento in più rispetto ai criminali nostrani.

Negli Stati Uniti, il fornire false generalità non solo comporta una pena elevata, ma è anche prevista la custodia in carcere senza limiti temporali sino a quando non è accertata la reale identità della persona.

Quindi, l’introduzione di un meccanismo di controllo preventivo e successivo delle generalità all’atto della concessione o del rinnovo del permesso di soggiorno - garantito dal fotosegnalamento - e la concreta repressione dell’utilizzo di nominativi di fantasia, consentirebbero di ridurre drasticamente il numero degli immigrati di cui non si conosce la reale identità e priverebbero coloro che delinquono di questo sperimentato strumento.

In questo contesto, l’attuale sanzione penale prevista dall’articolo 6, comma 3, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, norma oggetto di contrastanti interpretazioni da parte della stessa Corte di cassazione, potrebbe essere tranquillamente abrogata.

Attualmente la legge prevede una blanda sanzione per lo straniero che, controllato, non esibisca documenti, ma, soprattutto, non prevede in questi casi l’obbligo di sottoporlo a rilievi fotodattiloscopici, fissando in sole ventiquattro ore la durata massima del fermo per l’identificazione.

Di fatto, lo straniero che, nel corso di un controllo, viene trovato sprovvisto di documenti subisce una denuncia a piede libero per un reato che in concreto non è punito e che, per come è formulato, non ha senso ed è di dubbia configurabilità (non è, infatti, reato la clandestinità ma solo il fatto di non esibire i documenti) ma, soprattutto, in queste occasioni non viene neppure fotosegnalato e, quindi, realmente identificato.

Si deve, invece, porre le Forze di polizia nelle condizioni di svolgere un immediato ed effettivo controllo in tutte le occasioni in cui lo straniero sia sprovvisto di documenti, al fine di consentire un concreto accertamento della sua identità.

Introducendo in questi casi l’obbligo del fotosegnalamento e dilatando i termini dell’attuale fermo per l’identificazione da ventiquattro a quarantotto ore, si scoraggerebbe l’uso delle false generalità in occasione dei controlli, consentendo una reale individuazione di chi ha la consuetudine di non esibire i documenti in tali circostanze.

Con questi interventi nell’arco di un biennio la popolazione straniera risulterebbe realmente censita e la linea di demarcazione tra chi delinque e chi legittimamente aspira a un futuro migliore sarebbe tracciata.

È, dunque, necessario creare un sistema circolare nel quale è sempre possibile il controllo dell’identità dello straniero mediante uno strumento (i rilievi fotodattiloscopici) che, senza essere invasivo o lesivo della dignità della persona, riproduce esclusivamente una caratteristica fisica della persona e che, rispetto a una semplice fotografia, è certo e non suscettibile di contraffazioni.

Che il delinquente di importazione abbia più facilità a sfuggire ad un’identificazione con le conseguenze che essa comporta è evidente.

Ma da un anno a questa parte sta diffondendosi in modo veramente sorprendente una prassi volta ad impedire, a volte in modo irreversibile, la possibilità concreta di una identificazione mediante la sottoposizione dell’interessato ai rilievi fotodattiloscopici.

Immergendo i polpastrelli delle dita nell’acido si ottiene, infatti, l’abrasione delle creste papillari che consentono la comparazione dell’impronta. E se l’operazione è svolta in modo particolarmente approfondito le creste papillari, che in caso di un più blando intervento ricrescono nel giro di un mese, non si riformeranno mai più consentendo all’interessato di sfuggire per sempre a questi controlli.

In altri termini, i soggetti che ricorrono a questo artificio non possono più essere sottoposti utilmente ai rilievi dattiloscopici, perchè l’operatore non è in condizione di effettuare le comparazioni o comunque di rilevare l’impronta in modo utile.

Ed ecco che tutti gli sforzi volti a rendere efficiente il sistema di identificazione sono vanificati e chi si cancella le impronte dei polpastrelli può delinquere tranquillamente senza che di lui si possa ricostruire un’identità e, anche se arrestato, non si saprà mai nulla del suo passato criminale e quando verrà condannato per il reato commesso potrà nuovamente commetterne altri senza che di quel precedente resti una traccia, purché, naturalmente, il «nostro giovanotto» usi l’accortezza di fornire ogni volta una generalità diversa.

E se il nostro soggetto, che potremmo chiamare «nessuno», ha commesso un reato, gli potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena, perchè con il nominativo di fantasia che utilizza all’atto del controllo non risulterà mai pregiudicato.

Sarà poi impossibile l’espulsione di «nessuno» dal territorio nazionale, perchè non avendo un’identità non vi sarà alcun Stato estero che si dichiarerà disponibile a riceverlo.

Non sapremo mai se «nessuno» è stato in passato già espulso, perchè senza le impronte è impossibile saperlo.

E se anche «nessuno» verrà accompagnato presso un centro di accoglienza, dovrà poi essere rilasciato e sarà così libero di restare nel nostro Paese a delinquere senza un nome.

Di fronte a questa nuova frontiera, aperta, ovviamente, dal delinquente straniero, perchè soltanto a chi intende delinquere preme adottare tali accorgimenti, occorre introdurre una nuova figura di reato che preveda pene edittali congrue e la custodia in carcere.

Attraverso l’introduzione dei correttivi descritti si potrebbe garantire un reale equilibrio tra gli interessi, meritevoli di tutela, dello straniero che, nel rispetto delle regole, si inserisce stabilmente nel nostro Paese e quelli, altrettanto fondamentali per uno Stato democratico, di garantire per tutti il rispetto delle regole, sanzionando le loro violazioni da parte di cittadini stranieri che, delinquendo, sottraggono spazi e risorse ad altri immigrati che, del tutto lecitamente, intendono migliorare le loro condizioni di vita, inserendosi stabilmente in Italia.

Si tratta, quindi, di fare delle scelte, che si traducano in atti concreti, per consentire di riportare la situazione dall’attuale emergenza a un reale equilibrio.

 


 

 


 


proposta di legge

¾¾¾

 

 

Capo I

MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 25 LUGLIO 1998, N. 286

 

Art. 1.

1. Il comma 2-bis dell’articolo 5 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici».

 

Art. 2.

1. Il comma 4-bis dell’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici».

 

Art. 3.

1. All’articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«9-bis. Il permesso di soggiorno non può essere concesso o rinnovato allo straniero che nei cinque anni precedenti la richiesta sia stato condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli  articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.

9-ter. Allo straniero, titolare di permesso di soggiorno, che sia condannato, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, il permesso di soggiorno è revocato per la durata di cinque anni dall’esecuzione della pena».

 

Art. 4.

1. Il comma 5 dell’articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«5. Chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, agevola, favorisce o consente la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 5.160 euro per ogni straniero di cui ha agevolato, consentito o favorito la permanenza nel territorio dello Stato. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

 

Art. 5.

1. Il comma 3 dell’articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:

«3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza possono accompagnare lo straniero nei propri uffici e ivi trattenerlo per il tempo necessario per l’identificazione e comunque non oltre le quarantotto ore».

2. Il comma 4 dell’articolo 6 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è abrogato.

 

Capo II

MODIFICHE AL CODICE PENALE

 

Art. 6.

1. L’articolo 495 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 495. - (Falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale o all’autorità giudiziaria sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, a seguito di espressa richiesta, dichiara o attesta falsamente ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o del servizio, ovvero in un atto pubblico, la propria identità o stato o altre qualità della propria o della altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, ovvero se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’autorità giudiziaria o ad autorità da essa delegata, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome».

 

Art. 7.

1. L’articolo 496 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 496. - (False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dai casi indicati dagli articoli precedenti, interrogato sull’identità, sullo stato o su altre qualità della propria o della altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a due anni».

 

Art. 8.

1. Dopo l’articolo 495 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 495-bis. - (Fraudolenta alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, in modo fraudolento, altera, oblitera o, comunque, mutila, anche solo in parte, le creste papillari dei polpastrelli delle dita delle proprie o delle altrui mani o altre parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento della propria o dell’altrui identità o dello stato o di altre qualità della propria o dell’altrui persona, è punito con la reclusione da uno a sei anni».

 

Capo III

MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE

 

Art. 9.

1. Al comma 4 dell’articolo 349 del codice di procedura penale, la parola: «ventiquattro» è sostituita dalla seguente: «quarantotto».

 

Art. 10.

1. Al comma 2 dell’articolo 381 del codice di procedura penale sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

«m-ter) falsa attestazione sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, prevista dall’articolo 495 del codice penale;

 m-quater) fraudolenta alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali proprie o di altri, prevista dall’articolo 495-bis del codice penale».

 

Art. 11.

1. All’articolo 449 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano qualora il reato per il quale è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con il reato di cui all’articolo 495 o con quello di cui all’articolo 495-bis del codice penale. Se la riunione è indispensabile prevale in ogni caso il rito direttissimo».

 

Art. 12.

1. Il comma 2 dell’articolo 66 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

«2. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona, ovvero quando la stessa, in modo fraudolento, ha impedito la propria identificazione».

 

 

 




[1]    Nella proposta di legge A.C. 1937, la fattispecie in esame si riferisce esclusivamente agli stranieri.

[2]  La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.

[3]  Con decisione del Consiglio n. 2004/512/CE è stato istituito il sistema di informazione visti (VIS), che costituisce la base giuridica necessaria all’iscrizione nel bilancio della Comunità europea degli stanziamenti necessari per lo sviluppo del VIS stesso, ne definisce l’architettura e conferisce mandato alla Commissione di sviluppare il sistema informazione visti a livello tecnico. Il sistema è volto a permette alle autorità nazionali autorizzate di inserire e aggiornare dati relativi ai visti, nonché di consultare tali dati per via elettronica, allo scopo di rendere più agevole l’attuazione della politica comune in materia di visti, sostenere la cooperazione consolare e la consultazione tra autorità consolari centrali nella prevenzione delle minacce alla sicurezza interna degli Stati membri, facilitare i controlli ai valichi delle frontiere esterne e contribuire al rimpatrio di immigrati in situazione irregolare. Al fine di dare piena attuazione al VIS è inoltre in corso di esame da parte delle istituzioni europee la proposta di decisione COM(2005)600, relativa all’accesso per la consultazione al sistema di informazione visti (VIS) da parte delle autorità degli Stati membri competenti in materia di sicurezza interna e di Europol, ai fini della prevenzione, dell’individuazione e dell’investigazione di atti terroristici e di altre gravi forme di criminalità.

[4]  Il testo in questione recepisce le modifiche proposte dal Consiglio il 24 febbraio 2005, alla proposta di regolamento originaria COM(2003)558/1, presentata dalla Commissione il 24 settembre 2003.

[5]  La proposta fa parte di un “pacchetto” di iniziative che mira ad accrescere la solidarietà fra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la gestione delle frontiere, a combattere con maggior vigore l’immigrazione clandestina e a stabilire un’efficiente e coerente politica comunitaria dei visti. Oltre alla proposta in questione, il pacchetto comprende una comunicazione (COM(2006)402), riguardante le priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi, e una proposta di regolamento (COM(2006)401) relativa ai poteri e al finanziamento di squadre di rapido intervento alle frontiere.

[6]     L. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[7]     L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

[8]     L. 28 maggio 2007, n. 68, Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studioi.

[9]     D.L. 9 settembre 2002, n. 195, Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari (convertito, L. 9 ottobre 2002, n. 222). Si tratta del provvedimento che allargava la possibilità di regolarizzazione – prevista dalla legge 189 esclusivamente per i lavoratori domestici – anche agli altri tipi di impiego.

[10]    Si tratta degli ordini del giorno 9/2454/16 (on. D’Alia ed altri), 9/2454/34 (on. La Russa) e 9/2454/36 (on. Rutelli ed altri), accolti dal Governo nella seduta dell’Assemblea della Camera del 3 giugno 2002.

[11]    Le regole tecniche per il permesso di soggiorno elettronico sono state emanate con il decreto del Ministero dell’interno 3 agosto 2004, Regole tecniche e di sicurezza relative al permesso ed alla carta di soggiorno.

[12]    D.L. legge 31 gennaio 2005, n. 7 (conv. L. 31 marzo 2005, n. 43), Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione. Sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280.

[13]    D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito dalla Legge 31 luglio 2005, n. 155.

[14]   L’attuale formulazione dell’articolo 12 è frutto dell’approvazione della legge n. 189 del 2002 e del successivo decreto-legge n. 241 del 2004, che ha inasprito le sanzioni precedentemente previste.

[15]   La legge n. 189 del 2002 ha integrato la fattispecie incriminatrice considerando come illecito non solo il favoreggiamento all’ingresso, ma anche le attività dirette a favorire l’uscita dall’Italia e l’ingresso illegale in altro Stato (immigrazione clandestina di transito e emigrazione clandestina), colmando una lacuna nell’ordinamento previgente. Tale lacuna aveva portato la Corte di cassazione ad affermare che non costituisce reato la condotta di chi, senza essere concorso nell’attività illecita diretta a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato, ovvero senza favorirne la permanenza, si fosse adoperato per favorire l’uscita dal territorio nazionale di stranieri clandestini, atteso che l’art. 10 della legge n. 40 del 1998 (confluita nel D.lgs. 286/1998) non prevedeva come reato l’attività di intermediazione di movimenti illeciti, o comunque clandestini, di lavoratori migranti, che non si risolvono nel favorire materialmente il loro ingresso o la loro permanenza nello Stato” (Cass. pen. Sez. VI, sentenza 22 novembre 2000. n. 4060).

[16]   Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

[17]    Il rilevamento dei dati fotodattiloscopici rappresenta uno strumento di verifica della identità personale e consiste nel fotografare il soggetto e rilevare le impronte digitali.

[18]    Cfr. al riguardo la circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001 sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, che (par. 4, lett. c)) suggerisce di evitare l’uso del verbo servile (“deve”; “ha l’obbligo di”; “è tenuto a”) diretto a sottolineare l’imperatività della norma.

[19]    Si veda la seduta del 29 maggio 2002.

[20]    Ministero dell’interno, Circolare 3 marzo n. 11/2004, Sperimentazione CIE: lettori di impronta.

[21]    Tra i vari esempi si ricorda la circolare del Ministero dell’interno 4 marzo 2005 a commento del regolamento di attuazione della legge Bossi Fini (DPR 334/2004 che modifica il DPR 394/1999).

[22]    D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 (conv. legge 21 febbraio 2006, n. 49), Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi.

[23]   Contemplati dai  precedenti commi dell’articolo 12 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

[24]   Recante Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.

[25]   Al riguardo, cfr. la relazione illustrativa di entrambe le proposte di legge A.C. 1936 e A.C. 1937.

[26]   Relazione illustrativa A.C. 19336; nella stessa direzione anche la relazione illustrativa alla p.d.l A.C. 1937.

[27] Tale disposizione è a sua volta novellata dall'articolo 8 della p.d.l. A.C. 1936 e dall'articolo 7 della p. d. l. 1937.

[28]   Il comma 2 dell’articolo 381 c.p.p. è a sua volta novellato dagli articoli 9 della p.d.l. A.C. 1937 e 10 della p.d.l. A.C. 1936, al fine di inserire nella sopra indicata elencazione dei delitti in presenza dei quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza anche il delitto di cui all’articolo 495 c.p e il nuovo delitto previsto dagli articoli 8 della p.d.l.1936 e 7 della p.d.l. 1937 e consistente nella Alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli .

[29]   Si tratta del reato di Sostituzione di persona.

[30]   Si tratta del citato reato di  Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri.

[31] In relazione, poi, alla differenza delle mansione svolte dalle due categorie di persone, si osserva però che da un sommario esame della dottrina e della giurisprudenza non è possibile evincere  un orientamento univoco sul punto.

[32]   Si tratta delle seguenti ipotesi: a) peculato mediante profitto dell’errore altrui previsto dall’articolo 316 del codice penale; b) corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio prevista dagli articoli 319 comma 4  e 321 del codice penale; c) violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336 comma 2 del codice penale 3; d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive previsti dagli articoli 443 e 444 del codice penale; e) corruzione di minorenni prevista dall’articolo 530 del codice penale; f) lesione personale prevista dall’articolo 582 del codice penale; g) furto previsto dall’articolo 624 del codice penale; h) danneggiamento aggravato a norma dell’articolo 635 comma 2 del codice penale; i) truffa prevista dall’articolo 640 del codice penale; l) approvazione indebita prevista dall’articolo 646 del codice penale; m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli articoli 3 e 24 comma 1 della legge 18 aprile 1975 n. 110; m-bis) fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall’articolo 497 bis del codice penale 4.