Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Misure a sostegno dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette - A.C. 15
Riferimenti:
AC n. 15/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 20
Data: 12/07/2006
Descrittori:
COMUNI   CONTRIBUTI PUBBLICI
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

Misure a sostegno dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette

A.C. 15

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 20

 

 

12 luglio 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coordinamento: Dipartimento Bilancio e politica economica

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: BI0026.doc

 


INDICE

 

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto. 4

§      Contenuto. 4

Elementi per l’istruttoria legislativa. 9

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite. 9

§      Formulazione del testo. 10

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Finalità della legge)13

§      Articolo 2 (Definizione di piccoli comuni)15

§      Articolo 3, commi 1-3 e 5-6 (Unioni di comuni. Piani pluriennali di sviluppo)17

§      Articolo 3, comma 4 (Concorso delle unioni di comuni alla formazione del piano territoriale di coordinamento)20

§      Articolo 3, commi 7-8 (Attribuzione delle competenze del responsabile del procedimento in materia di appalti di lavori pubblici. Disapplicazione di norme)21

§      Articolo 3, comma 9 (Pagamenti mediante la rete telematica di raccolta dei giuochi)28

§      Articolo 3, comma 10 (Tutele dei beni culturali di interesse religioso)30

§      Articolo 3, commi 11-13 (Misure a tutela del territorio e della diffusione di servizi a banda larga)32

§      Articolo 3, comma 14 (Dichiarazione di nascita)37

§      Articolo 3, comma 15 (Pianificazione paesaggistica)39

§      Articolo 4 (Incentivi alle pluriattività)42

§      Articolo 5 (Attività e servizi)48

§      Articolo 6 (Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali)51

§      Articolo 7 (Programmi di e-Government)53

§      Articolo 8 (Servizi postali e programmazione televisiva pubblica)55

§      Articolo 9 (Istituti scolastici)59

§      Articolo 10 (Interventi per lo sviluppo e l'incentivazione di attività commerciali)61

§      Articolo 11 (Sistema distributivo dei carburanti)63

§      Articolo 12 (Incentivi per l'insediamento nei piccoli comuni)65

§      Articolo 13 (Agevolazioni in materia di servizio idrico)67

§      Articolo 14 (Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni)69

§      Articolo 15 (Modifica all'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)75

§      Capo III - Disposizioni concernenti le aree protette (artt. 16-22)78

§      Articolo 16 (Ambito di applicazione)92

§      Articolo 17 (Individuazione degli ambiti di recupero del patrimonio abitativo esistente nelle aree protette)95

§      Articolo 18 (Programmi di riqualificazione ambientale)95

§      Articolo 19 (Programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale)95

§      Articolo 20 (Rinvio alle leggi regionali)98

§      Articolo 21 (Destinazione di fondi ai programmi integrati)98

§      Articolo 22 (Programmi di iniziativa privata)100

Testo della proposta di legge (A.C. 15)

Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette. 103

Normativa di riferimento

§      Costituzione (artt. 117, 118)129

§      L. 4 agosto 1978, n. 440 Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate. 132

§      L. 5 agosto 1978, n. 468 Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (art. 11)136

§      L. 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette (art. 7)138

§      L. 17 febbraio 1992, n. 179 Norme per l'edilizia residenziale pubblica (artt. 5, 11-16)139

§      L. 31 gennaio 1994, n. 97 Nuove disposizioni per le zone montane (art. 17)144

§      L. 11 febbraio 1994, n. 109 Legge quadro in materia di lavori pubblici (art. 14)146

§      L. 23 dicembre 1996, n. 662 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica (art. 3, co. 83)149

§      L. 15 maggio 1997, n. 127 Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (art. 17, co. 20 e 21)150

§      D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali (art. 8)151

§      D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32 Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59 (art. 6)153

§      L. 21 dicembre 1999, n. 526 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1999 (art. 10)154

§      D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni (artt. 11, 13, 14)156

§      D.M. Lavori pubblici 21 giugno 2000 Modalità e schemi-tipo per la redazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori, ai sensi dell'art. 14, comma 11, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni158

§      D.M. Politiche agricole 18 luglio 2000 Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali165

§      D.M. Lavori pubblici 4 agosto 2000 Interpretazione autentica del D.M. 21 giugno 2000 [n. 5374/21/65], pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 giugno 2000.167

§      D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (artt. 20, 51, 197, 229, 230)169

§      D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127 (art. 30)173

§      D.M. Attività produttive 31 ottobre 2001 Approvazione del Piano nazionale contenente le linee guida per l'ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti174

§      D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 5 (artt. 14, 15)179

§      L. 28 dicembre 2001, n. 448 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002) (art. 24, co. 6)180

§      L. 27 dicembre 2002, n. 289 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003) (art. 26, co. 2)181

§      Provvedimento Conferenza Stato-Regioni 24 luglio 2003 Approvazione del V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.182

§      D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137 (art. 135)183

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa

 


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

AC 15

Titolo

Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette

Iniziativa

On. Realacci ed altri

Settore d’intervento

Enti locali

Iter al Senato

No

Numero di articoli

22

Date

 

§       presentazione alla Camera

28 aprile 2006

§       annuncio

28 aprile 2006

§       assegnazione

29 giugno 2006

Commissione competente

Riunite V (Bilancio, tesoro e programmazione) e VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

Sede

Referente

Pareri previsti

I, II, VI, VII, IX, X, XI, XIII, XIV, Questioni regionali

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge n. 15 consta di 22 articoli ed è divisa in tre capi.

 

I capi I e II (artt. 1-15), che recano disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, riproducono pressoché integralmente il testo della proposta di legge della XIV legislatura n. 1174, come approvato dalla Camera nella seduta del 21 gennaio 2003.

 

L’articolo 1 definisce le finalità generali del provvedimento individuate, con riguardo ai piccoli comuni, nella promozione e nel sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali; nella tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, rurale e storico-culturale; nell’adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività economiche, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali; nella valorizzazione e riqualificazione delle aree protette attraverso misure volte a favorire interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali in esse compresi.

 

L’articolo 2 reca i criteri per la definizione, ai fini del provvedimento in esame, della nozione di piccoli comuni, intendendosi per tali i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti che si trovano in territori dissestati o versano in situazione di marginalità culturale, economica o sociale o risultano situati in zone caratterizzate da difficoltà di comunicazione; ai fini dell’attribuzione di agevolazioni finanziarie sono comunque esclusi i comuni caratterizzati da un’elevata densità di attività economiche. L’individuazione in concreto è rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Il comma 1 dell’articolo 3, concernente tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, attribuisce alle regioni il compito di promuovere iniziative per l’unione di comuni, per la costituzione di consorzi e per l’esercizio in forma associata di funzioni e servizi.

I commi 2, 3 e 5 prevedono e disciplinano l’adozione da parte delle unioni di comuni di piani pluriennali di sviluppo socio-economico.

Il comma 4, prevede il concorso da parte delle unioni di comuni alla formazione del piano territoriale di coordinamento previsto dall'articolo 20 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attraverso indicazioni urbanistiche contenute nel piano pluriennale di sviluppo.

Il comma 6 reca disposizioni sulla valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi nei comuni in oggetto.

Il comma 7 prevede che, nei comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici siano attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente.

Il comma 8 esclude per i medesimi comuni l’osservanza di alcune disposizioni  contemplate dalla normativa vigente in materia di:

§      svolgimento del controllo di gestione e tenuta del conto economico, del conto del patrimonio e conti patrimoniali speciali;

§      procedure per l'acquisto di beni e servizi di rilevanza nazionale da parte degli enti locali;

§      programmazione triennale dei lavori pubblici.

Il comma 9 consente di impiegare la rete telematica di raccolta dei giuochi, gestita dai concessionari dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, per l’incasso e il trasferimento di somme connesse al pagamento di tributi e dei corrispettivi per l’erogazione di servizi pubblici nei piccoli comuni.

Il comma 10 prevede che tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, ai fini della salvaguardia e del recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari delle parrocchie, possano stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche ovvero con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che abbiano stipulato intese con lo Stato italiano.

Il comma 11 reca norme tese a favorire l’utilizzazione delle stazioni ferroviarie disabilitate e delle case cantoniere dell’ANAS come presidi di protezione civile e di salvaguardia del territorio, ovvero come sedi permanenti di promozione dei prodotti tipici locali.

Il comma 12 riconosce alle regioni la facoltà di promuovere nei piccoli comuni interventi volti alla cablatura degli edifici e alla diffusione dei servizi a banda larga.

Il comma 13 prevede la possibilità, per le regioni, di incentivare l’adozione, da parte dei piccoli comuni, di misure rivolte alla tutela dell’arredo urbano, dell’ambiente e del paesaggio.

Il comma 14 attribuisce ai genitori residenti in un comune di popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti la facoltà di dichiarare all’ufficiale dello stato civile il proprio figlio come nato non già nel comune effettivo di nascita ma in quello di residenza dei genitori stessi, purché i due comuni si trovino nel territorio della stessa provincia.

Il comma 15 prevede che i piani paesaggistici, previsti dall’articolo 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nell'individuare gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione ai principi dello sviluppo sostenibile, prestino particolare attenzione al territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

 

L’articolo 4 estende ai piccoli comuni gli incentivi alle pluriattività previsti dalla legge n. 97 del 1994 a favore dei coltivatori diretti delle zone montane, anche al fine di favorire il recupero delle terre incolte.

 

L’articolo 5 promuove interventi volti a garantire, nei piccoli comuni, l’efficienza e la qualità di attività e servizi essenziali, con l’obiettivo di fronteggiare la rarefazione di servizi al cittadino che si riscontra in tali realtà territoriali e la conseguente condizione di “disagio insediativo”.

 

L’articolo 6 detta norme per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali dei piccoli comuni.

 

L’articolo 7 prevede che i progetti informatici relativi ai piccoli comuni abbiano la precedenza nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici destinati ai programmi di innovazione tecnologica della pubblica amministrazione (e-government). La scelta delle iniziative da intraprendere prioritariamente è affidata al Ministro per l’innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione.

 

L’articolo 8 reca, ai commi 1 e 2, disposizioni volte ad assicurare l’erogazione dei servizi postali nei piccoli comuni. Ai sensi del comma 3, il Ministro provvede ad assicurare che nel contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l’obbligo di prestare attenzione, nella programmazione televisiva nazionale e locale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed ecogastronomiche dei piccoli comuni.

 

L’articolo 9 reca norme per favorire il mantenimento di istituti scolastici nei piccoli comuni, anche tramite l’utilizzo di strumenti per l’insegnamento a distanza.

 

L'articolo 10, comma 1, attribuisce agli artigiani residenti nei piccoli comuni la possibilità di esporre e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese. Ai sensi del comma 2 i piccoli comuni possono deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.

 

L'articolo11 attribuisce alle Regioni la facoltà di determinare le condizioni per assicurare, nei piccoli comuni, la presenza del servizio di erogazione dei carburanti quale servizio fondamentale.

 

L’articolo 12 prevede per ciascun ente territoriale la facoltà di disporre incentivi e premi in favore di coloro che trasferiscono da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune la propria dimora abituale o la sede di svolgimento della propria attività economica, impegnandosi a mantenerla per un decennio (comma 1) e in favore dei residenti dei piccoli comuni che intendano recuperare il patrimonio abitativo dei comuni medesimi o avviare negli stessi un’attività economica (comma 2). La norma prevede infine la facoltà per le regioni di riconoscere alle organizzazioni di categoria il compito di contribuire allo sviluppo di progetti di insediamento e promozione delle attività economiche.

 

L’articolo 13 prevede la facoltà, per le regioni, di prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni, siti in zone prevalentemente montane, in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili ecceda i fabbisogni per i diversi usi.

 

L’articolo 14 istituisce un Fondo per la concessione di incentivi fiscali a favore dei piccoli comuni, destinato alla copertura delle diminuzioni di entrata derivanti dalla concessione di ulteriori agevolazioni, relativamente all’imposta comunale sugli immobili e all’imposta di registro, in favore degli immobili destinati ad abitazione principale.

 

L’articolo 15 aggiunge un periodo al comma 2 dell’art. 51 del testo unico sugli enti locali, con l’intento di rimuovere la limitazione al numero dei mandati consecutivi alla carica di sindaco per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

 

Il Capo III della proposta di legge contempla specifici interventi volti al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree protette.

 

L’articolo 16 definisce le finalità di tali interventi e ne delimita l’ambito di applicazione ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte entro i confini di un parco nazionale o naturale regionale compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2003.

 

L’articolo 17 demanda ai comuni l’individuazione degli ambiti urbani e rurali di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. A tal fine, essa prevede l’utilizzo dello strumento dei programmi integrati di intervento di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, nel cui ambito contempla interventi di riqualificazione ambientale e interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale.

 

I successivi articoli 18 e 19 definiscono le finalità e l’ambito di applicazione rispettivamente dei programmi di riqualificazione ambientale e dei programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale.

 

L’articolo 20 contiene un rinvio alle leggi regionali per la definizione delle procedure per l'adozione dei programmi integrati e per il relativo coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.

 

In base all’articolo 21 alle Regioni è attribuita, inoltre, la facoltà di destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati, eventualmente assegnando tali somme direttamente ai comuni che ne fanno richiesta.

 

L’articolo 22 riconosce ai proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione la facoltà di presentare programmi integrati di intervento, prevedendo anche la possibilità di assegnare i fondi attribuiti dalle regioni direttamente ai privati. La stessa disposizione fa salve le norme in materia di recupero del patrimonio edilizio esistente, dettate dal capo IV della legge n. 179/1992 e individua le ulteriori risorse che possono essere utilizzati da parte dei comuni per promuovere o partecipare ai programmi.

 


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Si ricorda che, nella XIV legislatura la Commissione Affari costituzionali, nell’esprimere il proprio parere sull’AC 1174, che recava disposizioni analoghe a quelle dei capi I e II, ha rilevato che le disposizioni appaiono prevalentemente riconducibili alle disposizioni dettate dall'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che prevede che lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali, nonché alle materie «sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie».

Le disposizioni degli articoli 8 (Servizi postali e programmazione televisiva pubblica) e 9 (Istituti scolastici) sembrano inoltre afferire alle materie, rispettivamente, dell’ «ordinamento della comunicazione» e dell’«istruzione». demandate alla competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. In tali materie lo Stato si limita a dettare i principi fondamentali, lasciando alle regioni la definizione della normativa di dettaglio.

Le disposizioni del capo III appaiono riconducibili alle materie della «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva dello Stato, e «governo del territorio», di competenza concorrente.

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

Si rileva che numerose disposizioni relative ad interventi, anche finanziari, delle regioni, delle province e dei comuni (articolo 5, commi 2 e 4; articolo 8, comma 2, articolo 9; articolo 12), non hanno contenuto direttamente precettivo, ma prospettano facoltà la cui attivazione è rimessa ai singoli enti, nella propria autonomia normativa ed amministrativa.

 

 

Formulazione del testo

 

All’articolo 5, comma 2, si segnala l’opportunità di definire ulteriormente il contenuto dell’espressione “servizi energetici” che, per la sua genericità e atecnicità, non consente di individuare una specifica prestazione erogabile ai cittadini.

 

Si fa presente che la norma recata dal comma 4 dell’articolo 6 risulta superflua, in quanto l’articolo 10, comma 8, della legge n. 526/1999 (Legge comunitaria 1999), come modificato, da ultimo, dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 99 del 2004, già prevede, peraltro in via generale (non, quindi, limitatamente ai piccoli comuni), che gli esercizi di somministrazione e di ristorazione che offrono prodotti tradizionali locali sono considerati consumatori finali ai fini dell’applicazione della deroga al divieto di commercializzazione di prodotti non conformi alla normativa comunitaria sull’igiene degli alimenti.

 

Con riferimento all’articolo 7, si ricorda che la carica di ministro per l’innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione, introdotta per la prima volta nel 2001, è stata sostituita, nel Governo in carica, da quella di ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, che assorbe anche i compiti del ministro per la funzione pubblica.

Si osserva, inoltre, che per errore nel comma 1 dell’articolo 7 viene citato l’art. 4, co. 2, anziché l’art. 5, co. 2.

 

Per ulteriori osservazioni si rinvia alle singole schede di lettura.


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Finalità della legge)

 

 


1. La presente legge, nel rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha lo scopo:

a) di promuovere e sostenere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali esercitate nei piccoli comuni e di tutelare e valorizzare il patrimonio naturale, rurale e storico-culturale custodito in tali comuni, favorendo altresì l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività economiche, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali;

b) di valorizzare e riqualificare le aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni, attraverso misure volte a favorire interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali in esse compresi.


 

 

L’articolo 1, composto da un solo comma, definisce le finalità generali del provvedimento.

Ai sensi della lettera a), tali finalità hanno ad oggetto i piccoli comuni – come definiti dal successivo articolo 2 – e consistono:

§      nella promozione e nel sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali;

§      nella tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, rurale e storico-culturale;

§      nel favorire l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività economiche, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali.

La lettera b) individua quali ulteriori finalità la valorizzazione e riqualificazione delle aree protette, disciplinate dalla relativa legge quadro (L. 394/1991[1]), attraverso misure volte a favorire interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali in esse compresi.

Si ricorda, infatti, che l’art. 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette) prevede che “ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25:

a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;

b) recupero dei nuclei abitati rurali;

[omissis]”.

L’alinea del comma 1 richiama il “rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione[2]”. La disposizione appare riferibile al riparto delle competenze normative ed amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali operato, principalmente, dagli articoli 117 e 118 Cost..

 

Com’è noto, questa parte della Costituzione è stata ampiamente modificata ad opera della L.Cost. 3/2001. Tra gli aspetti innovativi della riforma, per quanto qui rileva, si possono ricordare:

§      l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.);

§      l'inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la doppia elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente dallo Stato (che detta i soli “princìpi fondamentali”) e dalle Regioni, e con l’attribuzione a queste di una competenza legislativa piena (“residuale”) su tutte le altre materie (art. 117, co. 2°-4°, Cost.);

§      l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, superandosi con ciò il principio del parallelismo tra competenze legislative e amministrative (art. 118 Cost.);

§      l’attribuzione a Regioni ed enti locali dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost).

Nella fattispecie, tra le materie di competenza legislativa concorrente più direttamente interessate dalla proposta di legge in esame sembrano potersi annoverare il governo del territorio, il sostegno all’innovazione per i settori produttivi, l’istruzione, l’alimentazione, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, la promozione e l’organizzazione di attività culturali.

Spetta invece allo Stato la competenza legislativa esclusiva con riguardo ad altre materie che potrebbero rilevare in questa sede (tra le altre: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”; “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale”; “perequazione delle risorse finanziarie”).


Articolo 2
(Definizione di piccoli comuni)

 

 


1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 3, ai fini della presente legge, per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, compresi in una delle seguenti tipologie:

a) comuni collocati in aree territorialmente dissestate;

b) comuni in cui si registrano evidenti situazioni di marginalità culturale, economica o sociale, con particolare riguardo a quelli nei quali negli ultimi dieci anni si sia verificato un significativo decremento della popolazione residente;

c) comuni siti in zone, in prevalenza montane, caratterizzate da difficoltà di comunicazione ed estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni ovvero il cui territorio sia connotato da particolare ampiezza e dalla frammentazione dei centri abitati in più frazioni.

2. Solo ai fini delle agevolazioni finanziarie previste dalla presente legge, non sono comunque considerati piccoli comuni i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nei quali si registra un'elevata densità di attività economiche e produttive, anche per la vicinanza con grandi centri metropolitani.

3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è definito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei piccoli comuni ai sensi dei commi 1 e 2.

4. L'elenco di cui al comma 3 è aggiornato ogni tre anni con le medesime procedure di cui al citato comma 3.

5. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3 e 4 sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimere entro un mese dalla data di trasmissione.

6. Le regioni, nell'ambito delle funzioni ad esse riconosciute dalle norme di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione, definiscono ulteriori interventi per il raggiungimento delle finalità di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a).

7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, per il proprio territorio, all'individuazione dei comuni ai sensi del comma 3 nonché, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, alle finalità della presente legge.


 

L’articolo 2, comma 1 reca la definizione, ai fini del provvedimento in esame, di “ piccoli comuni”.

 

Si intendono tali i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti compresi in una delle seguenti tipologie:

a)      comuni collocati in aree territorialmente dissestate;

b)      comuni collocati in aree dove si registrino evidenti situazioni di marginalità culturale, economica o sociale, con particolare riguardo a quelli nei quali negli ultimi dieci anni si sia verificato un significativo decremento della popolazione residente;

c)      comuni siti in zone, in prevalenza montane, caratterizzate da difficoltà di comunicazione ed estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni ovvero il cui territorio sia connotato da particolare ampiezza e dalla frammentazione dei centri abitati in più frazioni.

 

Il comma 2 dispone in negativo relativamente ai comuni ove si registra un’elevata densità di attività economiche e produttive, anche per la vicinanza con grandi centri metropolitani. Ai soli fini delle agevolazioni finanziarie previste dal provvedimento in commento, essi non sono considerati “piccoli comuni”.

 

I commi 3, 4 5 e 7 disciplinano la procedura per l’adozione, entro sei mesi, di un elenco (comma 4) dei piccoli comuni di cui al comma 1, e dei comuni “benestanti” di cui al comma 2, con aggiornamento (comma 4) su base triennale.

 

La procedura delineata dal comma 3 prevede l’adozione dell’elenco con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, da adottarsi su:

§      proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, al Presidente del Consiglio dei ministri;

§      intesa con la Conferenza unificata (che, come noto, comprende rappresentanti delle Regioni);

§      parere (comma 5) delle competenti Commissioni parlamentari (entro un mese dalla data di trasmissione degli schemi).

 

Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano redigono, per il proprio territorio, un proprio elenco (comma 7, prima parte), nonché provvedono, nell’ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi degli statuti speciali e delle relative norme attuative, alle finalità del provvedimento in esame.

 

Il comma 6 dispone poi che le regioni a statuto ordinario, nell’ambito delle funzioni ad esse riconosciute dalle norme di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione, definiscono ulteriori interventi per il raggiungimento delle predette finalità.

 

E’ inoltre fatto salvo (comma 1) quanto previsto dall’articolo 3, che reca disposizioni applicabili a tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

Si osserva che ulteriori disposizioni, quali l’articolo 4 (incentivi alla pluriattività), fanno riferimento a “tutti i piccoli comuni”: tali disposizioni dovrebbero comunque essere applicabili solo ai piccoli comuni come definiti dall’articolo 3.

 


Articolo 3, commi 1-3 e 5-6
(Unioni di comuni. Piani pluriennali di sviluppo)

 

 


1. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, le regioni, in attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, promuovono iniziative per l’unione di comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, nelle forme previste dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per la costituzione di consorzi e per l’esercizio in forma associata, anche avvalendosi di soggetti privati, dei servizi comunali e di specifiche funzioni.

2. Le unioni di comuni di cui al comma 1 adottano piani pluriennali di opere e interventi e individuano gli strumenti idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio-economico, ivi compresi quelli previsti dall’Unione europea, dallo Stato e dalla regione, che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali operativi di esecuzione del piano.

3. I piani pluriennali di sviluppo socio-economico hanno come finalità principale il consolidamento e lo sviluppo delle attività economiche ed il miglioramento dei servizi, nonché l’individuazione delle priorità di realizzazione degli interventi di salvaguar­dia e valorizzazione dell’ambiente anche mediante la conservazione del patrimonio monumentale, dell’edilizia rurale, dei centri storici e del paesaggio rurale, da porre al servizio dell’uomo a fini di sviluppo civile e sociale.

(omissis)

5. Il piano pluriennale di sviluppo socio-economico ed i suoi aggiornamenti sono adottati dalle unioni di comuni ed approvati dalla provincia secondo le procedure previste dalla legge regionale.

6. In tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti le funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi sono disciplinate a livello regolamentare da ciascun ente e possono essere affidate anche ad un organo monocratico interno o esterno all’ente.


 

 

Come esplicitato dalla rubrica dell’articolo, le disposizioni di cui all’articolo 3 trovano applicazione con riguardo non ai soli piccoli comuni come definiti dal precedente art. 2, ma a tutti i comuni aventi popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

 

Il comma 1 dell’articolo attribuisce alle regioni il compito di promuovere iniziative:

§         per l’unione di comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti;

§         per la costituzione di consorzi e per l’esercizio in forma associata, anche avvalendosi di soggetti privati, dei servizi comunali e di specifiche funzioni.

Il comma fa esplicito riferimento alle “forme previste dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”. Si ricorda al riguardo che il capo V (artt. 30-35) del testo unico citato (D.Lgs. 267/2000) disciplina in via generale le forme associative tra enti locali prevedendo, tra queste, sia le unioni di comuni sia i consorzi tra enti locali, e attribuendo alle regioni talune competenze volte a favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica.

 

L’art. 32 del testo unico definisce le unioni di comuni “enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza”. Lo stesso articolo definisce le modalità di approvazione dell’atto costitutivo e dello statuto, individua il contenuto essenziale di quest’ultimo e reca alcune disposizioni generali sul funzionamento delle unioni di comuni.

Ai sensi dell’art. 30, co. 1, gli enti locali possono stipulare tra loro convenzioni al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati. Tali convenzioni possono avere ad oggetto anche la costituzione di un consorzio per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni (così dispone il successivo art. 31). Al consorzio si applicano le norme previste per le aziende speciali di cui all’art. 114, in quanto compatibili; ad esso possono partecipare anche altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti.

L’art. 33 (principalmente riferito alle funzioni amministrative conferite dalle regioni agli enti locali) dispone tra l’altro che le regioni, “al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica” e operando in concertazione con gli enti locali, individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse (co. 2). Le regioni predispongono inoltre e concordano un programma, aggiornato triennalmente, di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni di comuni, “che può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione” (co. 3). Nell’ambito del programma e al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le regioni disciplinano, con proprie leggi, forme di incentivazione dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, eventualmente prevedendo nel proprio bilancio un apposito fondo (co. 4). Tra le finalità delle incentivazioni rientra la promozione delle unioni di comuni (co. 4, lett. b)).

 

Il comma 2 dell’articolo in esame prevede l’adozione, da parte delle menzionate unioni di comuni, di “piani pluriennali di opere e interventi” e presuppone la formulazione di programmi annuali operativi di esecuzione dei piani, per la cui realizzazione le medesime unioni di comuni individuano gli “strumenti idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio-economico”, inclusi quelli definiti a livello comunitario, statale e regionale.

Il comma 3 individua come segue le finalità dei piani di cui al comma 2, qui ridenominati “piani pluriennali di sviluppo socio-economico”:

§      consolidamento e sviluppo delle attività economiche;

§      miglioramento dei servizi;

§      individuazione delle priorità quanto agli interventi di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, “anche mediante la conservazione del patrimonio monumentale, dell’edilizia rurale, dei centri storici e del paesaggio rurale, da porre al servizio dell’uomo a fini di sviluppo civile e sociale”.

Il comma 5 rimette alla legge regionale la disciplina procedurale per l’adozione del piano pluriennale di sviluppo socio-economico e dei suoi aggiornamenti, precisando peraltro che tali piani, adottati dalle unioni di comuni, sono sottoposti all’approvazione da parte della provincia.

 

Si osserva che i commi 2 e 5 illustrati riprendono il contenuto dei commi 3 e 5 dell’art. 28 del testo unico sugli enti locali, ove le relative disposizioni sono tuttavia riferite alle comunità montane.

Il comma 3 riproduce a sua volta, con alcune modifiche, l’art. 7, co. 1, della L. 97/1994[3], recante Nuove disposizioni per le zone montane.

 

Il comma 6 dell’articolo in commento concerne l’attività amministrativa di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi nei comuni aventi popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti. Ai sensi del comma, tali funzioni sono disciplinate con atto regolamentare da ciascun comune. Quest’ultimo ne può affidare lo svolgimento a un organo monocratico sia interno, sia esterno all’ente (del quale – in tale ultima ipotesi – non è precisata la natura).

 

Secondo l’art. 147 del testo unico sugli enti locali, che disciplina la tipologia dei controlli interni, spetta agli enti locali medesimi, nell’àmbito della loro autonomia normativa ed organizzativa, individuare strumenti e metodologie adeguati – tra l’altro – a valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale[4]. Ai sensi dell’art. 107, co. 7, del testo unico, la valutazione dei dirigenti degli enti locali ha luogo secondo i princìpi dettati per la generalità dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni dall’art. 5, co. 1 e 2, del D.Lgs. 286/1999[5], secondo le modalità previste dal citato art. 147.


Articolo 3, comma 4
(Concorso delle unioni di comuni alla formazione del piano territoriale di coordinamento)

 

 

4. Le unioni di comuni, attraverso le indicazioni urbanistiche del piano pluriennale di sviluppo, concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento previsto dall'articolo 20 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

 

 

La disposizione prevede che il piano pluriennale di sviluppo adottato dalle unioni di comuni ai sensi dei precedenti commi 2 e 3 contenga anche indicazioni urbanistiche, attraverso le quali le unioni di comuni concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento previsto dall'articolo 20 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

 

L’articolo 20, comma 2, del testo unico, nel definire i compiti di programmazione della provincia, prevede che quest’ultima predisponga e adotti, oltre che i programmi pluriennali di cui al comma 1, lettera c), anche il piano territoriale di coordinamento, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali.

Le procedure di approvazione del piano sono disciplinate dalla legge regionale (comma 3), che ha la funzione anche di assicurare anche il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.

La funzione di tale ultimo strumento è individuata nella determinazione degli indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, nella definizione:

a)       delle diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b)       della localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c)       delle linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d)       delle aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

 

Si segnala che la disposizione in commento riproduce una norma dettata dal comma 4 dell’articolo 28 del testo unico per le comunità montane.

 


Articolo 3, commi 7-8
(Attribuzione delle competenze del responsabile del procedimento in materia di appalti di lavori pubblici. Disapplicazione di norme)

 

 


7. Nei comuni di cui al comma 6 le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente. Ove ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.

8. I comuni di cui al comma 6 non sono tenuti all'osservanza delle seguenti disposizioni:

a) articoli 197, 229 e 230 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

b) articolo 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448;

c) articolo 14, commi 3, 5, 6, 7, 9, secondo periodo, e 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109;

d) articoli 11, 13 e 14 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554;

e) decreti del Ministro dei lavori pubblici 21 giugno 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 27 giugno 2000, e 4 agosto 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 29 settembre 2000.


 

 

In tutti i comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite dal comma 7 al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente.

Nel caso in cui ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale, tale competenze spettano al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.

 

La figura del responsabile delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, è oggi disciplinata  dall’art. 10 del decreto legislativo n. 163 del 2006[6] (cd. “Codice appalti”), nel quale sono state trasfuse le disposizioni recate dall’art. 7 della legge n. 109 del 1994 e dall’art. 7 del Regolamento di attuazione di cui al DPR n. 554 del 1999.

Tale disposizione:

§      stabilisce che siano le amministrazioni aggiudicatrici a nominare, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento – unico per le fasi della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione – per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico (comma 1);

§      prescrive specifici requisiti soggettivi per la nomina a responsabile del procedimento (commi 5,6 e 7);

§      indica le competenze del responsabile del procedimento, che consistono nello svolgimento di tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento - ivi compresi gli affidamenti in economia - e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti (comma 2), e, in particolare, nell’espletamento dei compiti specificamente indicati nel comma 3[7];

§      demanda ad un successivo regolamento di attuazione (da emanare ai sensi dell’art. 5) l’individuazione delle ulteriori competenze del responsabile del procedimento e le eventuali sanzioni a suo carico.

 

Il decreto legislativo n. 163 del 2006, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, emanato al termine della XIV legislatura ha recepito le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE[8]  e ha proceduto ad una revisione strutturale della normativa italiana e a un suo vero e proprio rimodellamento secondo il nuovo schema delle citate norme comunitarie. Il cd. “Codice appalti” ha quindi riunificato sia le norme sugli appalti di lavori – fino ad oggi raccolte nella legge n. 109 del 1994, cd. “legge Merloni”, – sia quelle sugli appalti di servizi, di forniture e nei cd “settori esclusi o speciali” (acqua, energia, gas, telecomunicazioni). Con specifico riguardo alla figura del responsabile del procedimento, oltre a l citato articolo 10, si richiama l’art. 4, comma 2, del decreto legislativo, che – in merito al riparto di competenze legislative tra Stato, Regioni e Province autonome – dispone che nelle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro.

 

Il comma 8, alle lettere a) e b) esonera i comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti dall’osservanza delle seguenti disposizioni:

 

a)      artt. 197, 229 e 230 del T.U.E.L (disciplina del controllo di gestione, conto economico e conto del patrimonio) [9];

b)      art. 24, comma 6, della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) (adesione alle modalità di acquisto centralizzato – “Convenzioni CONSIP”);

 

L’art. 197 del T.U.E.L disciplina le modalità del controllo di gestione – di cui all'articolo 147, comma 1 lettera b) del TUEL [10] – che ha per oggetto l'intera attività amministrativa e gestionale delle province, dei comuni, delle comunità montane, delle unioni dei comuni e delle città metropolitane ed è svolto con una cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell'ente. Esso si articola almeno in tre fasi (piano degli obiettivi, rilevazione dei dati e dei risultati raggiunti, valutazione dei dati in rapporto al piano degli obiettivi). E’ svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, rapportando – tra l’altro - le risorse acquisite ed i costi dei servizi al rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi

 

L’articolo 229 del TUEL disciplina il conto economico degli enti locali [11]. Questo evidenzia i componenti positivi (tributi, trasferimenti correnti, proventi dei servizi pubblici, della gestione del patrimonio, proventi finanziari, ecc.) e negativi (acquisto materie prime e beni di consumo, prestazione di servizi, spese di personale, trasferimenti a terzi, interessi passivi ecc.) dell'attività dell'ente secondo criteri di competenza economica. Esso comprende gli accertamenti e gli impegni del conto del bilancio, rettificati al fine di costituire la dimensione finanziaria dei valori economici riferiti alla gestione di competenza, le insussistenze e sopravvenienze derivanti dalla gestione dei residui e gli elementi economici non rilevati nel conto del bilancio. Nel conto economico sono altresì compresi gli ammortamenti.

 

L’articolo 230 regola il conto del patrimonio ed i conti patrimoniali speciali. Il conto del patrimonio rileva i risultati della gestione patrimoniale e riassume la consistenza del patrimonio al termine dell'esercizio, evidenziando le variazioni intervenute nel corso dello stesso, rispetto alla consistenza iniziale. Nel conto del patrimonio sono inclusi i beni del demanio valutati alla stregua di criteri specificamente dettati. Il regolamento di contabilità può prevedere la compilazione di un conto consolidato patrimoniale e conti patrimoniali di inizio e fine mandato degli amministratori. Gli enti locali provvedono annualmente all'aggiornamento degli inventari.

Si ricorda che l’art. 1, comma 164 della Legge Finanziaria 2006 (L. 266/2005) ha da ultimo introdotto delle semplificazioni contabili per i piccoli comuni, prevedendo che la disciplina del conto economico prevista dal sopra citato comma 229 non si applica ai comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti[12].

La previsione recata dal provvedimento in esame andrebbe dunque coordinata con la disciplina vigente.

 

Si ricorda che l’art. 24 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) reca la disciplina del patto di stabilità interno per province e comuni. Il comma 6 del suddetto art. 24, come modificato dall’art. 3, comma 169, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004), prevede che, per l’acquisto di beni e servizi di rilevanza nazionale, le province, i comuni, le comunità montane e i consorzi di enti locali, possono aderire alle convenzioni CONSIP [13].

 

Le lettere c) e d) del comma 8prevedono inoltre l’esonero per i comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti dall’osservanza di alcune disposizioni relative alla programmazione triennale dei lavori pubblici previste dall’art. 14 della legge n. 109 del 1994 – ora confluito nell’art. 128 del decreto legislativo n. 163 del 2006 – e dagli artt. 11, 13 e 14 del relativo regolamento attuativo (D.P.R n. 554 del 1999).

 

In relazione all’entrata in vigore del cd. “codice appalti”, si segnala preliminarmente la necessità di sostituire il riferimento all’articolo 11 della legge n. 109 del 1994, con quello all’art. 128 del decreto legislativo n. 163 del 2006, nel quale sono state trasfuse le norme recate dall’articolo 11 della legge n. 109 del 1994.

 

In base all’art. 14 della legge n. 109 (confluito, si ripete, nell’articolo 128 del “codice appalti”) la realizzazione dei lavori pubblici si svolge sulla base di un programma triennale obbligatorio e vincolante, aggiornato annualmente, approvato secondo le modalità previste dalla legge unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno stesso. La disciplina relativa alla programmazione è entrata “a regime” a seguito dell’approvazione del decreto ministeriale 21 giugno 2000, successivamente sostituito dal decreto 22 giugno 2004, a sua volta modificato e sostituito dal decreto 9 giugno 2005, che ha definito la procedura e gli schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici.

Si ricorda ancora che l’art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 163 del 2006, sul riparto di competenze legislative tra Stato, Regioni e Province autonome, dispone che nelle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici ( di cui all’art. 128).

 

In particolare, in base alla lettera c), i comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti vengono esonerati:

§      dall’obbligo di inserimento, nel programma triennale, e di rispetto – in sede di attuazione del medesimo – dell’ordine di priorità degli interventi previsto ai commi 3 e 5 dell’art. 128.

Nell’ambito di tale ordine, in base all’art. 128, comma 3, devono comunque ritenersi prioritari specifiche tipologie  di lavori (lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario). Il successivo comma 5 dispone, quindi, il rispetto delle priorità indicate da parte delle amministrazioni aggiudicatrici;

 

§      dall’osservanza delle modalità previste dai commi 6 e 7 dell’art. 128 per l’inclusione dei lavori nell’elenco annuale. In base a tali disposizioni, l'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale è subordinata alla previa approvazione di uno studio di fattibilità (per i lavori di importo inferiore a 1.000.000 di euro) o della progettazione preliminare (per quelli di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro), salvo che per i lavori di manutenzione, per i quali è sufficiente l'indicazione degli interventi accompagnata dalla stima sommaria dei costi. Un lavoro può essere inserito nell’elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all'intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell'intero lavoro;

§      dalla previsione, contenuta nel comma 9 dell’art. 128, secondo la quale un lavoro non inserito nell'elenco annuale può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco;

§      dall’obbligo, contemplato dall’articolo 128, comma 11, di adottare il programma triennale e gli elenchi annuali dei lavori sulla base degli schemi tipo previsti per la programmazione triennale dal citato decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

 

L’articolo 14, comma 11, della legge n. 109 prevedeva anche l’obbligo di trasmissione di tali documenti all’Osservatorio dei lavori pubblici (non riprodotto dall’articolo 128 del codice appalti), nonché l’obbligo di trasmissione dei programmi e dei relativi aggiornamenti al CIPE, per la verifica della loro compatibilità con i documenti programmatori vigenti. Tale ultimo adempimento (contemplato oggi dall’articolo 128, comma 12) non trova applicazione rispetto ai programmi predisposti dagli enti e dalle amministrazioni locali.

 

In base alla lettera d), i comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti vengono esonerati dall’obbligo dell’osservanza degli articoli 11, 13 e 14 del D.P.R. n. 554 del 1999 concernenti la programmazione dei lavori Tali articoli non sono stati abrogati dal decreto legislativo n. 163 del 2006 nel quale sono, invece, confluite molte delle sue disposizioni[14].

L’esonero in particolare riguarda:

§      la predisposizione di uno studio per l’individuazione del quadro dei bisogni e delle esigenze e di successivi studi di fattibilità necessari per l'elaborazione del programma triennale (articolo 11);

§      l’applicazione delle norme relative alle modalità e ai tempi di redazione, nonché al contenuto del programma triennale da definire in conformità allo schema-tipo definito con decreto ministeriale (articolo 13) e di quelle, concernenti la pubblicità del programma, relative all’invio dei programmi, dei loro aggiornamenti e degli elenchi delle opere all'Osservatorio dei lavori pubblici (articolo 14).

 

In conseguenza di quanto disposto dalla lettere precedenti, la lettera e)esclude l’applicazione per i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti delle norme contenute nei decreti ministeriali – relativi alla programmazione triennale dei lavori pubblici – 21 giugno 2000 (successivamente sostituito dal decreto 22 giugno 2004, a sua volta modificato e sostituito dal decreto 9 giugno 2005) e 4 agosto 2000 (recante l’interpretazione autentica del precedente decreto).

 


Articolo 3, comma 9
(Pagamenti mediante la rete telematica di raccolta dei giuochi)

 

 

9. Al fine di favorire, nei comuni di cui al comma 6, il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell'erogazione di acqua, energia, gas e ogni altro servizio, può essere utilizzata, per l'attività di incasso e di trasferimento di somme, previa convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze, la rete telematica gestita dai concessionari dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato per la raccolta dei giochi.

 

 

Il comma 9 consente di impiegare la rete telematica di raccolta dei giuochi, gestita dai concessionari dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, per l’incasso e il trasferimento di somme connesse al pagamento di tributi e dei corrispettivi per l’erogazione di servizi pubblici nei comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti, previa stipulazione di una convenzione con il Ministero dell’economia e delle finanze.

 

L'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) è stata istituita come "speciale amministrazione", vale a dire come azienda speciale, con il R.D.L. 8 dicembre 1927, n. 2258, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 3474; le sue competenze si riferivano originariamente alla produzione, importazione e vendita in regime di monopolio dei sali e dei tabacchi, nonché del chinino.

Con riferimento agli ultimi interventi normativi in materia, merita richiamare che il decreto del Presidente della Repubblica 24 gennaio 2002, n. 33, emanato in attuazione dell’articolo 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, ha affidato all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato le funzioni statali in materia di giuochi di abilità, concorsi pronostici e scommesse, comprese quelle concernenti la gestione delle relative entrate. Successivamente, l’articolo 4 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha trasferito all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giuochi, scommesse e concorsi pronostici, riconducendo, in sostanza, alla sua competenza le funzioni già svolte dal CONI. Tuttavia a quest’ultimo e all’UNIRE è stata conservata la titolarità delle funzioni concernenti giuochi, scommesse e concorsi pronostici connessi a manifestazioni sportive (Totocalcio, Totosei, Totogol, Totobingol e scommesse sportive), mentre le funzioni di organizzazione ed esercizio sono state attribuite in concessione alla medesima Amministrazione autonoma. Con il decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2003, n. 385, è stato emanato il regolamento di organizzazione dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato.

Le funzioni della rete telematica dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato sono definite dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 12 marzo 2004, n. 86, emanato in attuazione dell’articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640. In particolare, l’articolo 2 del decreto individua quali funzioni della rete la raccolta periodica dei dati, registrati negli apparecchi e videoterminali di gioco, e il trasferimento almeno quotidiano degli stessi al sistema centrale dell’AAMS, nonché la contabilizzazione delle somme giocate, delle vincite e del prelievo erariale unico e la trasmissione periodica di tali informazioni al sistema centrale. Il successivo articolo 3 prevede che l’AAMS, con procedure ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, affidi in concessione l’attivazione e la gestione operativa delle reti telematiche. Il concessionario deve, fra l’altro, contabilizzare il prelievo erariale unico per gli apparecchi collegati alla rete telematica affidatagli, ed eseguirne il versamento, con modalità definite mediante decreto dell’AAMS.

 


Articolo 3, comma 10
(Tutele dei beni culturali di interesse religioso)

 

 


10. I comuni di cui al comma 6, anche in associazione o partecipazione tra di loro, possono stipulare con le diocesi cattoliche convenzioni per la salvaguardia e il recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari delle parrocchie. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che abbiano stipulato intese con lo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, per la salvaguardia e il recupero dei beni di cui al primo periodo nella disponibilità delle rappresentanze medesime. Le convenzioni sono finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali con le risorse di cui all'articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni. A tale fine, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere della Conferenza Stato-città e autonomie locali, sono stabiliti i criteri di accesso ai finanziamenti nonché la quota delle predette risorse destinata agli stessi.


 

 

Il comma 10 dell’articolo 3 prevede che tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, ai fini della salvaguardia e del recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari delle parrocchie possano - anche in associazione o partecipazione tra di loro - stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche.

 

Tali convenzioni possono essere stipulate anche con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che abbiano stipulato intese con lo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, per la salvaguardia e il recupero dei rispettivi beni.

 

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42)[15] fissa (articolo 9) i principi in materia di rapporti con gli enti ecclesiastici o con autorità di altre confessioni religiose nel caso, non infrequente, di compresenza in uno stesso bene, mobile o immobile, di valenze non soltanto culturali ma anche cultuali. Per i beni indicati come "beni culturali di interesse religioso", si prevede un regime speciale caratterizzato dalla soggezione alle leggi dello Stato italiano, ma sulla base di disposizioni concordate fra le parti.

 

In particolare, si precisa che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose e riconosce alle confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa. I rapporti di tali confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

A partire dal 1984, lo Stato italiano ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose. Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico e prevedono disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF ed, infine, per le festività.

 

Si segnala in tale ambito la legge 17 agosto 2005, n. 175, recante Disposizioni per la salvaguardia del patrimonio culturale. La legge autorizza interventi di restauro sul patrimonio culturale, architettonico, artistico e archivistico ebraico in Italia, da definire annualmente con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, previo parere dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane.

 

Occorrerebbe pertanto valutare l’opportunità di inserire una norma di rinvio al Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché alle predette intese.

 

Le convenzioni sono finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali con le risorse di cui all'articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni. A tale fine, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere della Conferenza Stato-città e autonomie locali, sono stabiliti i criteri di accesso ai finanziamenti nonché la quota delle predette risorse destinata agli stessi.

 

Si ricorda che l'art. 3, co. 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, collegata alla manovra finanziaria 1997, ha previsto l'introduzione di nuove estrazioni settimanali del gioco del lotto, destinando una quota delle risorse così reperite (fino a 300 mld. annui[16]) alla tutela ed alla conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari nonché per interventi di restauro paesaggistico[17] e per attività culturali[18].

 


Articolo 3, commi 11-13
(Misure a tutela del territorio
e della diffusione di servizi a banda larga)

 

 


11. I comuni di cui al comma 6 possono stipulare intese finalizzate al recupero delle stazioni ferroviarie disabilitate e delle case cantoniere dell'ANAS Spa al fine di destinarle, ricorrendo all'istituto del comodato a favore delle organizzazioni di volontariato, a presìdi di protezione civile e di salvaguardia del territorio ovvero, anche di intesa con la società Sviluppo Italia Spa, a sedi permanenti di promozione dei prodotti tipici locali.

12. Le regioni possono promuovere interventi per la realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici situati nei comuni di cui al comma 6 e alla diffusione di servizi via banda larga nei medesimi comuni.

13. Le regioni possono altresì incentivare l'adozione da parte dei comuni di cui al comma 6 di misure atte a tutelare l'arredo urbano, l'ambiente e il paesaggio, favorendo l'utilizzo di materiali di costruzione locali, l'installazione di antenne collettive per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive via satellite, la limitazione dell'impatto ambientale dei tracciati degli elettrodotti e degli impianti per telefonia mobile e radiodiffusione.


 

 

Il comma 11 reca norme tese a favorire l’utilizzazione delle stazioni ferroviarie disabilitate e delle case cantoniere dell’ANAS come presidi di protezione civile e di salvaguardia del territorio, ovvero come sedi permanenti di promozione dei prodotti tipici locali.

Nel primo caso si prevede il ricorso da parte dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti all’istituto del comodato in favore di organizzazioni di volontariato. Nel secondo caso si prevede che i comuni stipulino intese con la società Sviluppo Italia Spa.

Con riguardo alla dizione stazioni ferroviarie “disabilitate”, si ricorda che si tratta di un termine tecnico, con il quale si indicano le stazioni non aperte all’esercizio ferroviario[19].

Risultano esservi poi stazioni “impresenziate”, aperte all’esercizio ferroviario, nelle quali il controllo del traffico ferroviario avviene esclusivamente con strumenti tecnologici[20]; con riferimento ad alcune di queste risultano già intercorsi accordi tra FS Spa e gli enti locali competenti (anche il solo comune) per lo svolgimento di attività no profit.

 

L'istituto del comodato è disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile.

Si tratta di un contratto a titolo gratuito, in forza del quale una parte (comodante) consegna a un'altra (comodatario) un bene mobile o immobile, perché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire il bene ricevuto alla scadenza convenuta.

Oggetto di comodato possono essere solo beni inconsumabili e infungibili, cioè suscettibili di essere utilizzati ripetutamente (es. un'automobile, una lampada da tavolo, un libro), in quanto il comodatario deve restituirli nella loro individualità.

Il comodatario custodisce il bene e può servirsene secondo le intese con il comodante: in nessun caso, però, può venderlo, in quanto la proprietà del bene rimane a quest'ultimo, né può concederlo in godimento a terzi senza il consenso del comodante. Il comodatario non è responsabile se la cosa perisce per un caso fortuito, salvo talune ipotesi prescritte dalla legge e precisamente:

a)       se egli poteva sostituire la cosa comodata con una propria ovvero se, potendo salvare una delle due cose, ha preferito la propria (art. 1805);

b)       se la cosa comodata è stata stimata al tempo del contratto presumendo la legge (art. 1806) che il c.d. comodato stimato comporti il patto di accollo del fortuito;

c)       se egli impiega la cosa per uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito e non prova che la cosa sarebbe perita se non l'avesse impiegata per l'uso diverso o l'avesse restituita a tempo debito (art. 1805).

Tratto caratteristico del comodato (o prestito) è quindi la gratuità: se fosse pattuito un compenso per il comodante, il rapporto contrattuale sarebbe infatti definibile come locazione. Naturalmente non vanno considerate in questo contesto le spese di ordinaria amministrazione che il comodatario può affrontare per l'uso e per la conservazione della cosa, spettando quelle di straordinaria amministrazione al comodante. Ne deriva che rimane nell'ambito del comodato quel rapporto contrattuale nel quale chi riceve la cosa si obbliga a pagare le spese e gli oneri relativi all'uso di essa (ad esempio, in caso di comodato di un'automobile, il comodatario può essere tenuto a pagare la tassa di circolazione e il premio assicurativo annuale, senza aver diritto a rimborsi in quanto si tratta di spese che non configurano un corrispettivo per il comodante).

 

Si ricorda che le stazioni ferroviarie appartengono al patrimonio del gestore dell’infrastruttura ferroviaria (e, quindi, a seguito della evoluzione societaria delle Ferrovie dello Stato, a Rete ferroviaria italiana - vedi infra), e dunque, salvo che per le ferrovie in concessione a soggetti diversi da FS Spa, al patrimonio delle Ferrovie dello Stato Spa.

Per quanto concerne l'assetto delle Ferrovie dello Stato, si ricorda che l’ente nel 1992 ha assunto la veste giuridica di società per azioni, posseduta interamente dallo Stato. Quanto alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto[21], dopo la realizzazione della separazione contabile e a seguito del processo di divisionalizzazione, si ricorda che tra il 2000 e il 2001 ha avuto luogo la costituzione di società separate per lo svolgimento dell’attività di trasporto (Trenitalia Spa)[22] e per la gestione e lo sviluppo dell’infrastruttura (Rete Ferroviaria Italiana Spa)[23], ambedue controllate da Ferrovie dello Stato Spa, che si configura pertanto come società holding.

 

Si segnala che la formulazione del comma 11 non chiarisce quali siano i soggetti con i quali i comuni possono stipulare intese finalizzate al recupero delle stazioni ferroviarie disabilitate o delle case cantoniere dell’ANAS.

 

La società per azioni “Sviluppo Italia” è stata istituita il 26 gennaio 1999, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. n. 1 del 1999, e della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 gennaio 1999, con il compito di svolgere funzioni di coordinamento, riordino, indirizzo e controllo delle attività di promozione dello sviluppo industriale e dell'occupazione nelle aree depresse, nonché di attrazione degli investimenti. Alla costituzione della predetta società ha provveduto il Ministero del tesoro, al quale sono peraltro attribuite le azioni.

In essa sono confluite le diverse società che precedentemente svolgevano attività di promozione nel Mezzogiorno o in specifici settori (SPI, ITAINVEST, Imprenditorialità Giovanile, INSUD, RIBS e FINAGRA).

Le funzioni che la società Sviluppo Italia esercita attraverso l’erogazione di servizi e l’acquisizione di partecipazioni sono di:

-          promozione di attività produttive e di attrazione degli investimenti;

-          promozione di iniziative occupazionali e di nuova imprenditorialità;

-          sviluppo della domanda di innovazione;

-          sviluppo dei sistemi locali d’impresa, anche nei settori agricolo, turistico e del commercio;

-          supporto alle amministrazioni pubbliche centrali e locali per la programmazione finanziaria e la progettualità dello sviluppo;

-          consulenza in materia di gestione degli incentivi nazionali e comunitari.

 

Quanto alle organizzazioni di volontariato, si ricorda che la normativa vigente – a partire dall’art. 18 della legge istitutiva del Servizio Nazionale di protezione civile (legge 24 febbraio 1992, n. 225) – prevede una serie di misure volte a favorire la partecipazione delle organizzazioni di volontariato nelle attività di protezione civile. In particolare, il DPR 8 febbraio 2001, n. 194 Regolamento recante nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di protezione civile disciplina – fra l’altro – le condizioni per l’accesso ai contributi da parte di associazioni iscritte nei registri regionali previsti dall'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (legge quadro sul volontariato).

 

Il comma 12 prevede la facoltà delle regioni di promuovere interventi – nei territori siti nei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti - volti alla cablatura degli edifici e alla diffusione dei servizi a banda larga.

Si ricorda che per “larga banda”, si intende l’infrastruttura di connessione che favorisce forme di comunicazione multimediali e interattive e che essa costituisce un obiettivo strategico comune a tutti i Paesi europei ed è individuata come prima priorità nel piano e-Europe 2005[24].

In merito alle misure atte ad incentivare lo sviluppo della larga banda, si rammenta l’articolo 6 della legge n. 273/2002 (cd. “collegato per la concorrenza”) recante misure volte a promuovere lo sviluppo della larga banda (esenzione dal contributo sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali, anche per quanti abbiano investito nella realizzazione di infrastrutture di rete a larga banda in caso di perdite di esercizio). Si ricorda, inoltre, che l’articolo 40 della legge n. 166/2002 (“collegato infrastrutture”) ha introdotto disposizioni specifiche che hanno la finalità di rendere più efficiente la installazione di reti di telecomunicazioni e di altre reti digitali, utilizzando al meglio la trama delle reti pubbliche[25].

Infine, nell’ambito delle leggi finanziarie per il 2003 (L. 289/2002: art. 89) e per il 2004 (L. 350/2003: art. 4) sono stati previsti, tra l’altro, contributi per l’acquisto o il noleggio di ricevitori per l’accesso a larga banda ad Internet, a favore di persone fisiche, pubblici esercizi e alberghi.

 

Si fa presente che nella audizione del Ministro delle comunicazioni sulle linee programmatiche del dicastero – svoltasi presso la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera in data 29 giugno 2006 – è stato sottolineato l’impegno del Governo per l’accesso e la diffusione della larga banda anche nei piccoli comuni “permettendo a questi ultimi di connettersi in rete e consentendo agli utenti dei rispettivi territori di accedere comodamente all’e-government.

 

Il comma 13 prevede infine la possibilità, per le regioni, di incentivare l’adozione, da parte dei piccoli comuni, di misure rivolte alla tutela dell’arredo urbano, dell’ambiente e del paesaggio, soprattutto attraverso:

§      l’utilizzo di materiali di costruzione tipici locali;

§      l’installazione di antenne collettive per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive via satellite;

§      la limitazione dell’impatto ambientale dei tracciati degli elettrodotti e degli impianti per telefonia mobile e radiodiffusione.

In merito a quest’ultimo aspetto vale la pena sottolineare che con i due DPCM dell’8 luglio 2003 il Governo ha dato attuazione all’articolo 4, comma 2, lettera a), della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), attraverso la determinazione dei valori limite (cioè dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità) per la protezione della popolazione dai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia relativamente ai campi (cd. ad alte frequenze) generati da sorgenti fisse con frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (impianti radioelettrici), sia riguardo ai campi (cd. a basse frequenze) generati da elettrodotti (frequenza di rete di 50 Hz).

Si ricorda che l’emanazione di tali DPCM è avvenuta in un contesto caratterizzato dall’emanazione di numerose leggi regionali che avevano determinato propri valori-limite, al di fuori quindi di un quadro nazionale unitario, poi dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale (sentenza n. 307 del 2003) che ha chiarito che “il sistema complessivo delineato dalla legge-quadro in materia prevede che sia lo Stato competente a fissare i valori-soglia in materia di emissioni elettromagnetiche, mentre le Regioni assumono un ruolo centrale nella determinazione della disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti”.

 


Articolo 3, comma 14
(Dichiarazione di nascita)

 

 


14. Al fine di favorire il riequilibrio anagrafico e di promuovere e valorizzare le nascite nei comuni di cui al comma 6, il Governo è autorizzato ad apportare all'articolo 30 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, le modifiche e le integrazioni necessarie a prevedere che i genitori residenti in uno dei comuni di cui al medesimo comma 6 possano richiedere, all'atto della dichiarazione resa nei termini e con le modalità di cui al citato articolo 30, che la nascita dei figli sia acquisita agli atti dello stato civile come avvenuta nel comune di residenza dei genitori medesimi, anche qualora il parto si sia verificato presso il territorio di un altro comune, purché ricompreso all'interno del territorio della medesima provincia.


 

 

Il comma 14 – con la finalità di valorizzare il ruolo dei piccoli comuni e di favorire il riequilibrio anagrafico[26] - autorizza il Governo a novellare l’art. 30 del cd. T.U. sullo stato civile (D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile),disposizione relativa alla dichiarazione di nascita.

Il comma 14 in esame, quindi, attribuisce ai genitori residenti in un comune di popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, la facoltà di dichiarare all’ufficiale dello stato civile il proprio figlio come nato non già nel comune effettivo di nascita ma in quello di residenza dei genitori stessi, ancorché diverso dal primo.

Oltre quello numerico relativo alla popolazione del comune, l’ulteriore limite per tale possibilità è quello per cui i due comuni in questione (quello effettivo di nascita e quello di residenza dei genitori) debbono necessariamente ricadere nel territorio della stessa provincia.

 

Si osserva che il DPR 396/2000 è un regolamento di delegificazione. La materia della revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, infatti, è stata delegificata ai sensi del comma 12 dell’articolo 2 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo) il quale, a sua volta, rinvia alla procedura di cui all’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 per l’emanazione  dei c.d. regolamenti delegificanti.

 

Va, infine, ricordato che nella scorsa legislatura era stata approvato dal Senato (il 13 aprile 2005) un progetto di legge (A.C. 5795 Norme sull’istituzione del luogo elettivo di nascita) che mirava ad attribuire ad entrambi o ad uno dei genitori la facoltà di indicare nella dichiarazione di nascita del bambino, un luogo elettivo invece di quello effettivo ove la nascita è avvenuta.

L’individuazione del luogo elettivo di nascita doveva avvenire esclusivamente nel comune italiano di residenza di entrambi i genitori; in caso di  residenza dei genitori in comuni diversi, tale luogo sarebbe stato deciso di comune accordo; in mancanza di accordo, il comune di nascita da dichiarare poteva essere soltanto quello dove è effettivamente avvenuta la nascita. La proposta demandava ad un regolamento governativo il compito di disporre le modifiche alle disposizioni del DPR 396/2000 rese necessarie dall'introduzione delle nuove norme.

Il provvedimento, trasmesso alla Camera, ed esaminato con altre proposte di legge abbinate (C. 3223 Osvaldo Napoli; C. 4801, Nuvoli; C. 5625 Milanese; C. 5898 Perrotta) nella seduta del 2 febbraio 2006 era poi approvato in sede referente dalla Commissione giustizia nel testo pervenuto dal Senato; l’iter non ha, però, avuto seguito per il sopraggiungere della fine della legislatura.

 


Articolo 3, comma 15
(Pianificazione paesaggistica)

 

 

15. All'articolo 135 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, alla lettera d) sono aggiunte infine le parole: «, con particolare riferimento al territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti».

 

 

Il comma 15 dell’articolo 3 prevede che i piani paesaggistici previsti dall’articolo 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42), nell'individuare gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione ai principi dello sviluppo sostenibile, prestino particolare attenzione al territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti. Tale previsione viene realizzata mediante un integrazione al citato articolo 135 del Codice.

 

L’articolo 135 del Codice stabilisce che le regioni, anche in collaborazione con lo Stato, approvino piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l'intero territorio regionale.Al fine di tutelare e migliorare la qualità del paesaggio, i piani paesaggistici definiscono per ciascun ambito specifiche prescrizioni e previsioni ordinate:

a) al mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, nonché delle tecniche e dei materiali costruttivi;

b) all'individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili con i diversi livelli di valore riconosciuti e con il principio del minor consumo del territorio, e comunque tali da non diminuire il pregio paesaggistico di ciascun ambito, con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e delle aree agricole;

c) al recupero e alla riqualificazione degli immobili e delle aree compromessi o degradati, al fine di reintegrare i valori preesistenti, nonché alla realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati;

d) all'individuazione di altri interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione ai principi dello sviluppo sostenibile 

 

In linea generale, si ricorda che il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42), emanatoin attuazione della delega prevista dall’articolo 10 dellalegge 6 luglio 2003, n. 137, ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) che, nella precedente legislatura, avevaraccolto e riordinato la legislazione esistente in materia.

Le disposizioni contenute nella parte terza del decreto n. 42/2004, - intitolata ai beni paesaggistici – come modificata dal D.Lgs. n. 157/2006[27], hanno riprodotto, innovandole, le norme del titolo II del T.U. di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999.

Le principali linee innovative, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagnava il provvedimento, sarebbero riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V, alla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio[28] – recentemente ratificata da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dall’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[29], concluso il 19 aprile 2001.

In particolare, l’art. 131 ha introdotto la definizione di paesaggio (mutuandola dall’art. 1 della Convenzione europea del paesaggio), inteso, alla luce delle modifiche recate dal decreto n. 157, come “parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.

Importanti modifiche definitorie sono state apportate, da parte del D.Lgs. n. 157, anche all’art. 5 relativo alle forme di cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale. In particolare, attraverso una novella al comma 6, è stato precisato che le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici sono esercitate dallo Stato e dalle regioni, secondo le disposizioni di cui alla parte terza del codice, e non semplicemente “conferite” alle regioni, come prevedeva il testo originario.

Un’ulteriore modifica, relativa all’art. 6 ha chiarito i contenuti della definizione di valorizzazione del patrimonio culturale - intesa come promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio – estendendola ai beni paesaggistici.

Con l’art. 134 sono stati specificati quali sono i beni paesaggistici, riprendendo la disposizione contenuta nell’art. 138 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’indicazione degli immobili e delle aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dal piano paesaggistico.

Una innovazione rispetto alle previsioni del T.U. del 1999 è poi costituita dalla reviviscenza[30] – operata dal comma 2 - di una disposizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 1497 del 1939, secondo cui le limitazioni alle facoltà di disposizione e di godimento conseguenti al riconoscimento di beni paesaggistici non danno titolo a indennizzo.

 


Articolo 4
(Incentivi alle pluriattività)

 

 

1. L'articolo 17 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, e successive modificazioni, si applica a tutti i piccoli comuni anche ai fini del recupero delle terre incolte ai sensi della legge 4 agosto 1978, n. 440.

 

 

L’articolo 4 dispone che l’applicazione degli incentivi, originariamente diretti alle sole zone montane ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 97 del 1994, volti ad agevolare la diffusione di pluriattività fra i coltivatori diretti, si estenda a tutti i piccoli comuni, anche allo scopo di operare un recupero delle terre incolte, come definite dalla legge n. 440/1978.

 

La legge n. 440/1978[31] ha definito i principi e criteri in materia di individuazione e assegnazione delle terre incolte ai fini del loro recupero produttivo, ma ha nel contempo demandato le attività amministrative (identificazione delle terre, degli aventi diritto, degli assegnatari, delle affrancazioni) alle regioni. Talune di queste hanno emanato proprie leggi che ripetevano e dettagliavano le disposizioni della 440. Molte di queste sono state poi abrogate, altre pur restando formalmente in vigore sono, di fatto, prive di efficacia[32].

Più precisamente, la legge n. 440 fa riferimento indistintamente alle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, che sono fra loro equiparate.

Sono definite incolte o abbandonate le terre, suscettibili di coltivazione, che non siano state destinate ad utilizzazione agraria da almeno due annate agrarie; mentre sono insufficientemente coltivate le terre le cui produzioni ordinarie, unitarie medie, dell'ultimo triennio non abbiano raggiunto il 40 per cento di quelle ottenute, per le stesse colture, nel medesimo periodo, in terreni della zona censuaria con le stesse caratteristiche catastali, tenendo conto delle vocazioni colturali della zona (art. 2). Per terreni serviti da impianti d'irrigazione, la comparazione va fatta con le produzioni unitarie dei terreni irrigui.

La legge 440 ha poi demandato alle singole regioni di individuare le zone rispondenti ai menzionati parametri, e quindi suscettibili del recupero produttivo mediante assegnazione per la coltivazione, che deve rispondere ai criteri di utilizzazione agraria o forestale dalle stesse regioni definiti; ed ha altresì assegnato alle regioni di determinare norme e procedure per il censimento e la classificazione (con aggiornamento annuale) delle terre incolte, nonché le norme e le procedure per la notifica ai proprietari e agli aventi diritto della avvenuta classificazione.

 

La legge n. 97/94[33] definisce con l’articolo 17 un sistema di incentivi diretti a sviluppare attività correlate con quelle normalmente svolte e dirette alla produzione agricola.

Il comma 1 enumera le tipologie dei lavori che i coltivatori diretti singoli od associati, conduttori di aziende agricole ubicate nei comuni montani, possono assumere inappalto sia da enti pubblici che da privati, in deroga alla disciplina generale in vigore.

Tale previsione è subordinata alle seguenti due condizioni:

§      che venga impiegato esclusivamente il lavoro proprio del conduttore e dei familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile, ovvero che si tratti di aziende a conduzione familiare;

§      che siano utilizzate esclusivamente macchine ed attrezzature di proprietà del conduttore.

Nella elencazione dell'articolo 17 sono previsti i seguenti:

§      lavori di sistemazione e manutenzione del territorio montano: forestazione, costruzione di piste forestali, arginature, sistemazione idraulica, difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi, nonché .

§      lavori agricoli e forestali: aratura, semina, potatura, falciatura, mietitrebbiatura, i trattamenti antiparassitari, la raccolta di prodotti agricoli, il taglio del bosco.

§      Per tali lavori, la medesima norma dispone il limite di cinquanta milioni di lire annuali (pari a circa 26.000 euro) all’importo previsto, da rivalutarsi mediante decreto ministeriale sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (il c.d. FOI), rilevato dall'ISTAT[34].

 

I commi da 1-bis a 1-quater attribuiscono ai soggetti di cui al primo comma anche benefici fiscali ed agevolazioni contributive.

Il comma 1-bis introduce una agevolazione fiscale per i lavori di cui al comma 1 stabilendo che gli stessi non si considerano prestazioni di servizio ai fini fiscali, e che pertanto non siano soggetti ad imposta, in particolare all’imposta sul valore aggiunto, IVA, nella ipotesi in cui:

§      vengano resi tra soci di una stessa associazione;

§      che detta associazione non abbia fini di lucro;

§      che l’associazione abbia lo scopo di migliorare la situazione economica delle aziende agricole associate e lo scambio interaziendale di servizi.

 

Il comma 1-ter consente, ai medesimi coltivatori diretti di cui al primo comma, il trasporto del latte fresco fino alla propria cooperativa, per sé e per altri soci della stessa cooperativa, impiegando mezzi di loro proprietà, anche agricoli, purché iscritti nell'ufficio meccanizzazione agricola.

Anche questa attività non è considerata prestazione di servizio ai fini fiscali e non è soggetta all’IVA.

In tema di trasporto del latte, il D.P.R. n. 54 del 14/01/1997, che ha disciplinato la produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, in attuazione di disposizioni comunitarie, stabilisce, all'art. 14, che è consentito il trasporto del latte, dei suoi derivati e dei prodotti a base di latte, mediante cisterne ed utensili utilizzati anche per altre sostanze alimentari destinate al consumo umano. Sulle cisterne adibite al trasporto deve essere riportata in caratteri chiari e facilmente leggibili un'indicazione da cui risulti che esse possono essere utilizzate esclusivamente per il trasporto di sostanze alimentari.

La materia è stata oggetto di chiarimenti mediante Circolare n. 16 del 01/12/1997 emanata dal Ministro della Sanità (G. U. n. 292/1997), che precisa che in materia di autorizzazione delle cisterne e dei mezzi adibiti al trasporto delle sostanze alimentari sfuse deve essere acquisito il parere del settore veterinario.

 

Il comma 1-quater precisa che i coltivatori diretti singoli od associati, relativamente alle attività di sistemazione e manutenzione del territorio montano di cui al primo comma (forestazione, costruzione di piste forestali, arginature, sistemazione idraulica, difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi), nonché al trasporto del latte fresco di cui al comma 1-ter, trovano una copertura assicurativa infortunistica nei contributi versati dagli stessi coltivatori diretti all’apposita gestione agricola dell’INPS.

In sostanza la norma esonera detti soggetti dal versamento di somme aggiuntive per garantirsi la copertura assicurativa obbligatoria prevista dalle disposizioni antinfortunistiche.

 

Il comma 1-quinquies dispone che i coltivatori diretti, singoli o associati, che conducono aziende agricole ubicate nei territori montani, possano svolgere attività di trasporto locale di persone, assumendone l’appalto da enti pubblici. Condizione richiesta è che siano utilizzati esclusivamente automezzi di proprietà.

Il trasporto pubblico locale (TPL) è attualmente regolato dal D.Lgs. 422/1997[35], che ha disciplinato il conferimento alle regioni ed agli enti locali delle funzioni e dei compiti in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati, ed ha fissato i criteri di organizzazione dei servizi.

Sono definiti servizi pubblici di trasporto regionale e locale - esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrale e periferica, anche tramite enti o altri soggetti pubblici - quei servizi di trasporto di persone e merci (esclusi quelli di interesse nazionale, lasciati alla competenza dello Stato) che comprendono l'insieme dei sistemi di mobilità terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell'ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale.

In ossequio al principio di sussidiarietà, le regioni devono conferire a province, comuni ed enti locali – pena l’intervento sostitutivo del Governo - le funzioni in materia di trasporto pubblico locale che non richiedano un unitario esercizio a livello regionale.

Il testo originario dell’articolo 18, comma 3-bis, del D.Lgs. 422/1997 prevedeva che le regioni fissassero un periodo transitorio, da concludersi comunque entro il 31 dicembre 2003, nel corso del quale vi fosse la possibilità di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari e alle società derivanti dalla trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi, pur con l’obbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali. Trascorso il periodo transitorio, tutti i servizi avrebbero dovuto essere affidati esclusivamente tramite le procedure concorsuali, come previste dal comma 2 del medesimo articolo 18[36].

Tale termine è stato più volte differito[37]. Da ultimo l’articolo 1, commi 393-394, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005), come modificato dal DL 273/2005, è intervenuto sul termine ultimo del periodo transitorio, prorogando al 31 dicembre 2006 il termine finale del periodo nel corso del quale vi è la possibilità di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari e alle società derivanti dalla trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi, pur con l’obbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali. Le regioni inoltre, ferme restando le procedure di gara ad evidenza pubblica già avviate o concluse, possono disporre un’eventuale proroga dell’affidamento, fino a un massimo di due anni[38], in favore dei soggetti che soddisfino – entro il termine del periodo transitorio del 31 dicembre 2006 – determinate condizioni.

È stato inoltre previsto che i soggetti titolari dell’affidamento dei servizi “in house”, ai sensi dell'articolo 113, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali[39] provvedono ad affidare, con procedure ad evidenza pubblica, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione, una quota di almeno il 20 per cento dei servizi eserciti, a soggetti privati o a società, purché non partecipate dalle medesime regioni o dagli stessi enti locali affidatari dei servizi.

 

Il comma 2 consente alle cooperative di produzione e lavoro agricolo-forestale di ricevere in affidamento, in deroga alle norme in vigore, lavori di forestazione, riassetto idrogeologico o sistemazione idraulica.

Relativamente ai soggetti beneficiari, essi debbono rispondere ai seguenti requisiti:

§      avere sede nei comuni montani;

§      esercitare per disposizione statutaria attività di sistemazione e manutenzione agraria e forestale;

§      svolgere prevalentemente in tali comuni la propria attività.

Infine, l’importo dei lavori o dei servizi non deve superare i trecento milioni di lire per anno.

 

Il comma 3 del citato articolo 17 prevede che le costruzioni o porzioni di costruzione rurale e le relative pertinenze che sono destinate all’esercizio dell’attività agrituristica nei territori montani sono assimilate alle costruzioni ruraliai fini dell’applicazione delle imposte dirette e pertanto, ai sensi dell’articolo 42 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 – TUIR, non si considerano produttive di reddito di fabbricati.

Si segnala che la disposizione di cui al comma 3 è attualmente superata in seguito alla recente approvazione della nuova legge sull’agriturismo, la legge 20 febbraio 2006, n. 96[40], la quale prevede all’articolo 3, comma 3, che i locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali e pertanto l’agevolazione fiscale di cui al citato articolo 42 del TUIR si applica alle attività di agriturismo esercitate su tutto il territorio nazionale (non solo nei comuni montani).

 


Articolo 5
(Attività e servizi)

 

 


1. Per garantire finalità di sviluppo sostenibile e un equilibrato governo del territorio, lo Stato, le regioni, le province, le unioni di comuni, le comunità montane e gli enti parco, per quanto di rispettiva competenza, assicurano, nei piccoli comuni, l'efficienza e la qualità dei servizi essenziali, con particolare riferimento all'ambiente, alla protezione civile, all'istruzione, alla sanità, ai servizi socio-assistenziali, ai trasporti e ai servizi postali.

2. Ai fini di cui al comma 1, presso i piccoli comuni possono essere istituiti centri multifunzionali nei quali concentrare una pluralità di servizi quali i servizi ambientali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato e di associazionismo culturale, commerciali e di sicurezza. Le regioni e le province possono concorrere alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi.

3. Per lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e alla manutenzione del territorio, i centri multifunzionali di cui al comma 2 possono stipulare convenzioni e contratti di appalto con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.

4. Nell'ambito delle finalità di cui al presente articolo, le regioni e le province possono privilegiare, nella definizione degli stanziamenti finanziari di propria competenza, le iniziative finalizzate all'insediamento nei piccoli comuni di centri di eccellenza per la prestazione dei servizi di cui al comma 2, quali istituti di ricerca, laboratori, centri culturali e sportivi.


 

 

L’articolo 5 promuove interventi volti a garantire, nei piccoli comuni, l’efficienza e la qualità di attività e servizi essenziali, con l’obiettivo di fronteggiare la rarefazione di servizi al cittadino che si riscontra in tali realtà territoriali e che determina la condizione di “disagio insediativo” cui la proposta di legge intende porre rimedio.

A tal fine, il comma 1, con una disposizione di principio di carattere generale, demanda a una pluralità di enti (Stato, regioni, province, unioni di comuni, comunità montane ed enti parco) il compito di garantire, ciascuno secondo le rispettive competenze, che nei piccoli comuni siano assicurate la qualità e l’efficienza dei servizi essenziali, con particolare riguardo ai seguenti ambiti: ambiente, protezione civile, sanità, servizi socio-assistenziali, trasporti e servizi postali.

In riferimento ai “servizi essenziali” da garantire alle popolazioni locali, si osserva che la disposizione non ne fornisce una definizione precisa, limitandosi a richiamare alcune tipologie di servizi al cittadino che devono essere comunque assicurate da parte dei soggetti competenti.

Tale espressione potrebbe comunque essere messa in relazione con la formulazione dell’art. 117, co. 2°, lett. m), della Costituzione, che affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale”, con ciò intendendo affidare allo Stato il compito di definire una soglia di uniformità, data da un insieme articolato di prestazioni che devono essere erogate dalle pubbliche amministrazioni in ogni territorio, onde evitare che le differenziazioni regionali possano determinare situazioni di disparità nel godimento dei diritti.

Nel comma 1 in esame vengono, inoltre, individuati – insieme come premesse e come finalità della suddetta disposizione di carattere generale – lo sviluppo sostenibile e l’equilibrato governo del territorio.

In attuazione delle predette finalità, il comma 2 prevede che presso i piccoli comuni possono essere istituiti centri multifunzionali nei quali concentrare una pluralità di servizi per i cittadini (quali servizi ambientali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato e di associazionismo culturale, commerciali e di sicurezza).

Tale soluzione, secondo quanto sostenuto nella relazione illustrativa della proposta di legge, consentirebbe, in una forma coerente con le peculiarità dei territori dei piccoli comuni, di mantenervi un’adeguata rete di servizi territoriali e commerciali, in tal modo aumentandone la vivibilità e le prospettive di rivitalizzazione economica.

La disposizione facoltizza le regioni e le province a concorrere alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi.

Si segnala l’opportunità di definire ulteriormente il contenuto dell’espressione “servizi energetici” che, per la sua genericità e atecnicità, non consente di individuare una specifica prestazione erogabile ai cittadini.

Il comma 3 prevede che i centri multifunzionali di cui al comma precedente possano stipulare con gli imprenditori agricoli le convenzioni e i contratti d’appalto previsti dalla vigente normativa sulla modernizzazione del settore agricolo, per lo svolgimento di attività volte alla cura e alla manutenzione del territorio, con ciò intendendo promuovere l’utilizzo e lo sviluppo delle attività agricole secondo finalità di riequilibrio territoriale.

In particolare, viene richiamato l’art. 15 del D.Lgs. 228/2001[41] che autorizza, appunto, le pubbliche amministrazioni a stipulare convenzioni con gli imprenditori agricoli per favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e per promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio.

 

Le prestazioni delle pubbliche amministrazioni, che devono essere definite nelle stesse convenzioni, possono consistere, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche.

Per le stesse finalità le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d'appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50 milioni di lire nel caso di imprenditori singoli, e 300 milioni di lire nel caso di imprenditori in forma associata.

 

Ai sensi del comma 4, infine, le regioni e le province, nel definire gli stanziamenti finanziari di propria competenza, possono privilegiare, con finalità promozionale, le iniziative volte a insediare nei territori dei piccoli comuni centri di eccellenza nel campo dei servizi di cui al comma 2 (quali, ad esempio, laboratori di ricerca, centri culturali e sportivi).

 


Articolo 6
(Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali)

 

 


1. Il Ministero delle politiche agricole e forestali favorisce, d'intesa con le asso­ciazioni rappresentative degli enti locali, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie produttive interessate, la promozione e la commercia­lizzazione, anche mediante un apposito portale telematico, dei prodotti agro­alimentari tradizionali dei piccoli comuni, anche associati, di cui al decreto del direttore generale delle politiche agricole ed agroindustriali nazionali del Ministero delle politiche agricole e forestali 18 luglio 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 21 agosto 2000.

2. I piccoli comuni possono indicare nella cartellonistica ufficiale i rispettivi pro­dotti agroalimentari tradizionali, preceduti dalla dicitura «Luogo di produzione del ....» posta sotto il nome del comune e scritta in caratteri minori rispetto a quelli di quest'ultimo.

3. Per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali nonché per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari e cultu­rali locali e per la salvaguardia, l'incre­mento e la valorizzazione della locale fauna selvatica, i piccoli comuni, singoli o associati, possono stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.

4. Ai fini di cui all'articolo 10, comma 8, della legge 21 dicembre 1999, n. 526, e successive modificazioni, nel territorio dei piccoli comuni gli esercizi di sommi­nistrazione e di ristorazione possono essere considerati consumatori finali.


 

 

L’articolo 6 detta norme per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali dei piccoli comuni.

La disposizione, in particolare, prevede iniziative di promozione e valorizzazione da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali (da realizzare anche attraverso un apposito portale telematico) (comma 1), la possibilità per i piccoli comuni di indicare nella cartellonistica ufficiale che il proprio territorio è luogo di produzione di un determinato prodotto tradizionale (comma 2), la possibilità di stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli (comma 3) e la possibilità per gli esercizi di somministrazione e di ristorazione di commercializzare prodotti tipici ottenuti con metodi di lavorazione e tecniche di conservazione in deroga alla normativa comunitaria sull’igiene degli alimenti (comma 4).

 

L’articolo 10, comma 8, della legge n. 526/1999 (Legge comunitaria 1999) ha dettato una disciplina speciale per i prodotti che richiedono “metodi di lavorazione e locali, particolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazioni essenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto”, non conformi alla disciplina comunitaria e nazionale sull’igiene degli alimenti[42]. La norma, in particolare, ha disposto due deroghe al divieto di commercializzazione, da un lato escludendo i prodotti tradizionali individuati ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998 e dall’altro prevedendo che non costituisce commercializzazione la vendita diretta (anche per via telematica[43]) dal produttore e da consorzio fra produttori (ovvero da organismi  e associazioni di promozione degli alimenti tipici), nell’ambito del territorio provinciale di produzione, al consumatore finale (considerando tali anche gli esercizi di somministrazione e di ristorazione[44]).

In attuazione dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998 sono intervenuti il decreto dei Ministri delle politiche agricole e forestali, d’intesa con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con cui è stato adottato il regolamento n. 350 del 1999 e, in esecuzione di questo, il decreto 18 luglio 2000 del direttore generale delle politiche agricole ed agroindustriali del Ministero delle politiche agricole e forestali, con il quale è stato adottato l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari definiti tradizionali dalle regioni e dalle province autonome.

L’articolo 14 del decreto legislativo n. 228 del 2001 prevede che le pubbliche amministrazioni possono concludere contratti di collaborazione, con gli imprenditori agricoli anche su richiesta delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali. I contratti di collaborazione sono destinati ad assicurare il sostegno e lo sviluppo dell'imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarità dei prodotti tipici, biologici e di qualità, anche tenendo conto dei distretti agroalimentari, rurali e ittici. Al fine di assicurare un'adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni, le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, possono inoltre concludere contratti di promozione con gli imprenditori agricoli che si impegnino nell'esercizio dell'attività di impresa ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale.

 


Articolo 7
(Programmi di e-Government)

 

 


1. I progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata, conformi ai requisiti prescritti dalla legislazione vigente nazionale e comunitaria, hanno la precedenza nell'accesso ai finanziamenti pubblici per la realizzazione dei programmi di e-Government. In tale ambito sono prioritari i collegamenti informatici dei centri multifunzionali di cui all'articolo 4, comma 2.

2. Il Ministro per l'innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione nell'individuare le specifiche iniziative di innovazione tecnologica per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti ai sensi del comma 2, lettera g), dell'articolo 26 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, indica prioritariamente quelle riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata.


 

 

L’articolo 7 intende agevolare la realizzazione dei progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, sia singolarmente, sia in forma associata. Infatti, si prevede che tali progetti abbiano la precedenza nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici destinati ai programmi di e-government (comma 1).

Inoltre, si prevede una ulteriore priorità in quanto si dovranno privilegiare, tra i progetti dei piccoli comuni, quelli relativi ai collegamenti informatici dei centri multifunzionali. Si tratta delle strutture destinate all’esercizio di una pluralità di servizi essenziali delineate dall’art. 5, co. 2 (vedi sopra) del provvedimento in esame.

In proposito, si osserva che per errore nel comma in esame viene indicato l’art. 4 (per altro costituito da un solo comma) anziché l’art. 5.

Il comma 2 dell’articolo in esame affida al Ministro per l’innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione il compito di individuare, tra i progetti destinati ai comuni inferiori ai 5.000 abitanti, quelli che hanno la precedenza sugli altri in quanto riguardanti i piccoli comuni[45].

Si ricorda che la carica di ministro per l’innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione, introdotta per la prima volta nel 2001, è stata sostituita, nel Governo attualmente in carica, da quella di ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, che assorbe anche i compiti del Ministro per la funzione pubblica[46].

 

La legge finanziaria per il 2003[47] ha istituito il Fondo per il finanziamento di progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel Paese, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro e con l’obiettivo di favorire uno sviluppo coordinato e strategico delle nuove tecnologie. Nella realizzazione di tale obiettivo, un ruolo centrale è affidato al ministro per l’innovazione e le tecnologie, cui viene affidata la gestione del fondo. Tra le funzioni attribuite al ministro, oltre alla definizione delle modalità di funzionamento del fondo e la scelta dei progetti da finanziare, vi è anche quella di individuare specifiche iniziative per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le isole minori (art. 26, co. 2, lett. g).

Da rilevare, inoltre, in relazione all’articolo in esame, la previsione dell’espressione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali per l’adozione dei provvedimenti concernenti i progetti di innovazione tecnologica che riguardano l’organizzazione e la dotazione tecnologica delle regioni e degli enti territoriali.

 

Nell’ambito delle politiche di innovazione tecnologica delle amministrazioni pubbliche (o politiche di e-government) un ruolo importante è svolto dalle iniziative relative alle autonomie territoriali.

La prima fase di attuazione dell’e-government locale si è conclusa nell’aprile 2003 con il finanziamento di 134 progetti, per 500 milioni di euro complessivi, finalizzati principalmente all’erogazione di servizi pubblici in rete ai cittadini e le imprese.

La seconda fase ha preso avvio nel novembre 2003 con il documento del Ministro per l’innovazione e le tecnologie L’e-government nelle Regioni e negli Enti Locali: II fase di attuazione[48], approvato dalla Conferenza unificata il 27 novembre 2003.

La nuova fase prevede una serie di campi di intervento:

e)       sviluppo dei servizi infrastrutturali locali e del sistema pubblico di connettività;

f)         diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese (riuso);

g)       inclusione dei piccoli comuni nell’attuazione dell’e-government;

h)       avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy);

i)         campagne di comunicazione per la promozione dei servizi delle amministrazioni locali.

In particolare, il punto 3 ha l’obiettivo di adottare azioni di sostegno verso i piccoli comuni (quelli con meno di 5.000 abitanti) per garantirne la piena partecipazione al processo di innovazione dell’e-government. I piccoli comuni possono accedere ai finanziamenti non singolarmente, ma tramite la loro associazione in Centri di servizio territoriali (CST). Si tratta di strutture di servizio sovra-comunali aventi il compito di avviare e sostenere i processi di e-government, e di gestire i servizi in favore delle amministrazioni partecipanti[49].


Articolo 8
(Servizi postali e programmazione televisiva pubblica)

 

 


1. Il Ministero delle comunicazioni provvede ad assicurare, mediante un'apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario del servizio postale universale, che gli sportelli postali siano attivi in tutti i piccoli comuni.

2. L'amministrazione comunale può altresì stipulare apposite convenzioni, di intesa con le organizzazioni di categoria e con Poste italiane Spa, affinché il pagamento dei conti correnti, in particolare di quelli relativi alle imposte comunali e dei vaglia postali nonché le altre prestazioni possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali presenti nel territorio comunale.

3. Il Ministero delle comunicazioni provvede, altresì, ad assicurare che nel contratto di servizio con il concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l'obbligo di prestare particolare attenzione, nella programmazione televisiva pubblica nazionale e regionale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche dei piccoli comuni.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo in esame recano disposizioni volte ad assicurare l’erogazione dei servizi postali nei piccoli comuni.

In particolare, il comma 1 prevede che il Ministero delle comunicazioni provveda ad assicurare, mediante un’apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario del servizio universale (attualmente, Poste italiane Spa,) che gli sportelli postali siano attivi in tutti i piccoli comuni.

Il comma 2 riconosceall’amministrazione comunale la facoltà di stipulare altresì apposite convenzioni, d’intesa con le associazioni di categoria e con Poste italiane Spa, affinché il pagamento dei conti correnti – con particolare riguardo a quelli relativi ad imposte comunali e ai vaglia postali - e le altre prestazioni possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali presenti nel territorio comunale.

Si ricorda che la società Poste italiane Spa è stata costituita come società per azioni il 28 febbraio 1998, a seguito della delibera CIPE del 18 dicembre 1997, e le azioni sono state attribuite al Ministero del tesoro, bilancio e programmazione (oggi Ministero dell’economia e finanze) che esercita i diritti dell'azionista, d'intesa con il Ministero delle comunicazioni.

Giova segnalare che l’art. 53, comma 4, della legge n. 449 del 1997[50], stabiliva che, con il contratto di programma previsto dall'articolo 2, comma 23, della legge n. 662 del 1996[51], si potesse consentire all'Ente Poste italiane di stipulare nei comuni montani e in loro frazioni, contratti per l'affidamento dei propri servizi di sportello, anche a tempo parziale, a soggetti pubblici e privati, anche esercenti attività commerciale, operanti o che intendano operare in detti comuni o frazioni.

Inoltre, lo stesso articolo 53, al comma 1, autorizzava l'Ente poste italiane (a decorrere dal 1° gennaio 1998), alla distribuzione e vendita diretta di biglietti delle lotterie nazionali e di titoli e documenti di viaggio, nonché alla vendita al dettaglio di tutti i valori bollati di cui l’Ente avesse l'esclusiva della distribuzione primaria ai rivenditori secondari. La fissazione delle modalità e delle condizioni dei servizi previsti era rimessa ad apposite convenzioni da stipulare con gli enti interessati.

Ai sensi dello stesso articolo 53, comma 3, lo Stato riconosceva all'Ente Poste italiane un compenso collegato allo svolgimento di obblighi di servizio universale nel settore dei recapiti postali[52], prevedendo che per gli anni successivi l'importo fosse determinato nel contratto di programma da stipulare ai sensi dell'articolo 2, comma 23, della legge n. 662 del 1996.

Si ricorda che, anche dopo la trasformazione dell’Ente Poste italiane in Spa, il contratto di programma (v. infra) è lo strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la società, con particolare riferimento agli obblighi di servizio universale. In particolare, l’articolo 23, comma 2, del D.Lgs. n. 261 del 1999, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, ha disposto l’affidamento del servizio universale alla società Poste Italiane Spa per un periodo, comunque non superiore a quindici anni, da determinarsi dall'Autorità di regolamentazione, compatibilmente con il processo di liberalizzazione in sede comunitaria. In attuazione di tale norma, con D.M. 17 aprile 2000 – emanato dal Ministro delle comunicazioni, quale autorità di regolamentazione - è stata confermata la concessione per l’espletamento del servizio postale universale alla società Poste Italiane Spa per un periodo massimo di quindici anni, che potrà essere ridotto in relazione all’andamento del processo di liberalizzazione a livello comunitario.

Nell’ambito del programma di risanamento di cui ai piani d’impresa (l’ultimo dei quali è relativo al triennio 2003-2005) la società Poste italiane Spa ha previsto (ed in parte attuato) una riorganizzazione aziendale che è passata anche attraverso il ridimensionamento della rete degli uffici postali. A riguardo, si ricorda che il vigente contratto di programma 2003-2005 stipulato dalla società Poste con il Ministero delle comunicazioni ha previsto:

-       all’articolo 6, comma 2, che la società trasmettesse all'Autorità di regolazione (ossia al Ministero delle comunicazioni) - entro novanta giorni dalla sottoscrizione del contratto - un elenco, da aggiornare in seguito con cadenza annuale, degli uffici postali e delle strutture di recapito operanti in zone remote che non garantiscono condizioni di equilibrio economico; il comma ha inoltre previsto che, entro i successivi novanta giorni,  la società trasmettesse un piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della gestione degli uffici postali  sopra richiamati, nel rispetto del principio dell'accesso alla rete postale pubblica in condizioni di non discriminazione;

-       all’articolo 6, comma 4, l’impegno della società a non effettuare chiusure di uffici postali che non fossero state preventivamente comunicate all'Autorità.

Con riferimento, in particolare, alle esigenze dei piccoli comuni e dei comuni montani, si evidenzia che il D.Lgs. n. 384 del 2003, di recepimento della direttiva 2002/39/CE[53], ha precisato che il mantenimento delle prestazioni del servizio postale universale deve essere tale da garantire servizi adeguati oltre che in tutti i punti del territorio nazionale anche nelle situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane.

Il tema della chiusura degli uffici postali in zone disagiate o periferiche è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo nella passata legislatura. Il Governo, nel rispondere a tali atti, ha precisato che secondo la società Poste italiane la chiusura di un ufficio postale è una soluzione estrema che viene adottata quando i volumi di traffico, complessivamente sviluppati, sono particolarmente esigui e non appaiono suscettibili di incremento e soltanto nel caso in cui gli strumenti disponibili ed i criteri ed i parametri oggettivi di valutazione utilizzati, sempre legati alla specifica realtà territoriale - distanza da uffici postali limitrofi, dati di operatività attuale e potenziale, composizione della popolazione - evidenziano l'impraticabilità di altre soluzioni come l'apertura a giorni alterni, l'orario ridotto, l'utilizzazione dell'operatore polivalente che nell'arco della giornata svolge le diverse competenze (dal recapito all'attività di sportello). Secondo i dati in tali occasioni comunicati al Governo dalla società Poste italiane, solo un numero estremamente ridotto di uffici postali, compresi tra quelli che non coprono neppure i costi di gestione, pari al 10 per cento del totale, ha formato negli ultimi anni oggetto di decisioni di chiusura: al fine di poter assicurare un servizio continuo ed ininterrotto per tutta la durata dell'anno, nonché di mantenere l'impegno di assicurare l'apertura giornaliera di almeno un ufficio postale nell'ambito territoriale di ciascun comune, la chiusura ha riguardato i soli uffici postali in relazione ai quali, in considerazione dello specifico contesto e della reale vicinanza con altri uffici postali, la misura non avrebbero comportato rilevanti disagi per la clientela.

Si ricorda inoltre che in base alla L. n. 449/97 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), è stato stabilito (articolo 17, commi 11-12) che il versamento delle tasse automobilistiche può essere effettuato presso i tabaccai, previa adesione ad apposita convenzione tipo, da approvare con decreto del Ministro delle finanze, sentita la Conferenza permanente Stato-regioni. La convenzione disciplina le modalità di collegamento telematico con il concessionario della riscossione e di riversamento al concessionario stesso delle somme riscosse, nonché determina il compenso spettante ai tabaccai per ciascuna operazione di versamento e le garanzie da prestare per lo svolgimento dell'attività.

Con il DM 28 dicembre 2000, inoltre, è stata approvata la convenzione tipo tra Ministero delle finanze e tabaccai titolari del punto di raccolta del gioco del lotto, ai fini della riscossione del pagamento del canone di abbonamento alla televisione.

In ordine alla formulazione del comma 2 dell’articolo 8,si osserva che non appare chiaro con quali soggetti l’amministrazione comunale possa stipulare apposita convenzione, anche ai fini della definizione dei rispettivi oneri e diritti.

Infine si segnala che il riferimento alle “altre prestazioni” che l’esercizio commerciale sarebbe autorizzato a svolgere, a seguito della convenzione, in luogo o insieme alla società Poste italiane Spa, appare del tutto generico.

 

Il comma 3 stabilisce che il Ministro provveda ad assicurare che nel contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l’obbligo di prestare attenzione, nella programmazione televisiva nazionale e locale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed ecogastronomiche dei piccoli comuni.

Il vigente contratto di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a., approvato per il triennio 2003-2005 con D.P.R. 14 febbraio 2003 ha previsto una serie di disposizioni volte a promuovere le realtà locali; tra queste si ricordano le disposizioni di carattere generale all’interno dell’articolo 1, relativo alla missione del servizio pubblico radiotelevisivo: il comma 4 prevede infatti che la Rai si impegni a promuovere le capacità produttive, imprenditoriali, creative e culturali sia nazionali che regionali e locali, valorizzare le culture locali e l'informazione regionale anche attraverso il potenziamento delle strutture periferiche dei centri di produzione, qualora ciò sia ritenuto necessario da parte della RAI, dedicare una specifica programmazione alle minoranze linguistiche. Alla valorizzazione delle culture locali è volto l’articolo 12 che prevede come - nel quadro dell'unità politica, culturale e linguistica del Paese - la RAI valorizzi e promuova, nell'àmbito delle proprie trasmissioni, le culture regionali e locali in stretta collaborazione con le regioni, le province, i comuni, le università e gli enti culturali, anche tramite convenzioni tra le sedi periferiche della concessionaria, le regioni e le province autonome.

Nel palinsesto della terza rete televisiva la Rai deve introdurre trenta minuti di programmazione per ogni regione, riservata alla trasmissione di programmi scelti dalle sedi regionali, partendo dall'ottimizzazione delle risorse esistenti ed in collaborazione col territorio. Tra gli impegni sottoscritti dalla concessionaria c’è anche quello relativo all’effettuazione di servizi per le minoranze linguistiche e di una programmazione rispettosa dei diritti delle minoranze linguistiche nelle zone di appartenenza.

 


Articolo 9
(Istituti scolastici)

 

 


1. Le regioni possono stipulare conven­zioni con gli uffici scolastici regionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per finanziare il mantenimento in attività degli istituti scolastici statali aventi sede nei piccoli comuni che dovrebbero essere chiusi o accorpati ai sensi delle disposizioni vigenti in materia. In particolare, le regioni agevolano forme sperimentali di teleinsegnamento.

2. In deroga a quanto disposto dall'articolo 17, commi 20 e 21, della legge 15 maggio 1997, n. 127, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono cedere a titolo gratuito ad istituzioni scolastiche insistenti nei piccoli comuni personal computer o altre apparecchiature informatiche, quando siano trascorsi almeno due anni dal loro acquisto e l'amministrazione abbia provveduto alla loro sostituzione. Le cessioni sono effettuate prioritariamente alle istituzioni scolastiche insistenti in aree montane e non costituiscono presupposto ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle donazioni.


 

 

L’articolo 9 reca norme per favorire il mantenimento di istituti scolastici nei piccoli comuni, anche tramite l’utilizzo di strumenti per l’insegnamento a distanza.

 

In particolare, il comma 1 prevede chele regioni possano stipulare convenzioni con gli uffici scolastici regionali per finanziare il mantenimento in attività degli istituti scolastici statali, aventi sede nei piccoli comuni, che dovrebbero essere chiusi o accorpati, e che le stesse regioni agevolino l’introduzione di forme sperimentali di teleinsegnamento.

 

Il D.P.R. n. 233/1998 (adottato, unitamente ad altri regolamenti, in attuazione dell’art. 21 della legge n. 59/1997[54], che ha dettato la base normativa essenziale dell’autonomia scolastica[55]), definisce le norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche autonome e l’attribuzione ad esse della personalità giuridica, stabilendo una serie di parametri da prendere in considerazione in sede di programmazione e razionalizzazione della rete scolastica, assegnate a regioni ed enti locali dagli artt. 137-139 del D.Lgs. 112/1998[56].

Il regolamento prende in considerazione fattori quali le caratteristiche demografiche, orografiche, economiche e socio-culturali del bacino di utenza e si prevedono deroghe per piccole isole, comuni montani, aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche.

 

Con il fine implicito di fornire strumenti utili all’attività di insegnamento a distanza, il comma 2 introduce una deroga, a favore delle istituzioni scolastiche insistenti nei piccoli comuni, all'articolo 17, commi 20 e 21, della legge 127/1997[57], riducendo da cinque a due anni il periodo minimo, decorrente dall’acquisto, dopo il quale le amministrazioni pubbliche possono cedere a titolo gratuito elaboratori elettronici (personal computer) o altre apparecchiature informatiche. Il comma prevede inoltre che le cessioni siano effettuate prioritariamente alle istituzioni scolastiche delle aree montane e precisa che tali cessioni non costituiscono presupposto ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle donazioni.

 

A tal proposito si ricorda che l’imposta sulle successioni e donazioni è stata soppressa dall’articolo 13, comma 1, della legge 18 ottobre 2001, n. 383. I trasferimenti di beni per donazione sono attualmente soggetti (ai sensi del comma 2 del citato articolo 13) alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le corrispondenti operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all'importo di 180.759,91 euro.

Si ritiene che nella fattispecie in esame, anche in assenza della disposizione qui illustrata, il trasferimento non sarebbe soggetto ad alcuna imposta, in quanto l’imposta ordinariamente applicabile ai trasferimenti a titolo oneroso di beni mobili non registrati (quali sono i personal computer) sarebbe l’imposta sul valore aggiunto (IVA), la quale però si riferisce esclusivamente alle cessioni di beni effettuate nell’esercizio di imprese o di arti e professioni[58] e non alle cessioni contemplate nel presente articolo.

 


Articolo 10
(Interventi per lo sviluppo e l'incentivazione di attività commerciali)

 

 

1. Gli artigiani residenti nei piccoli comuni possono mostrare e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese.

2. I piccoli comuni possono deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.

 

 

Il comma 1 dell'articolo 10 stabilisce il principio in base al quale gli artigiani che risiedono nei piccoli comuni possono esporre e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese.

 

Il presupposto per l'applicazione della disposizione in esame è, dunque, rappresentato unicamente dalla circostanza che l'artigiano risieda in un piccolo comune, indipendentemente, quindi, dal luogo in cui svolge l'attività.

 

Si ricorda che ai sensi dell'articolo 43 del codice civile il domicilio è il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi. La residenza, è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

 

Al riguardo, andrebbe valutata l'opportunità di estendere l'applicazione della norma anche agli artigiani che sebbene non residenti, svolgono la propria attività in un piccolo comune.

 

Per quanto riguarda il luogo in cui può aver luogo l'esposizione e la vendita dei prodotti artigianali, la disposizione fa riferimento ad "apposite aree".

 

Al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi in merito al soggetto legittimato a definire tali aree, va valutato se non sia opportuno precisare che la determinazione in questione è effettuata dal Comune.

 

Il comma 2, autorizza i piccoli comuni a deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.

Al riguardo, si osserva che la normativa vigente in materia già attribuisce ai comuni la competenza prevista dalla disposizione in esame.

 

Pertanto, andrebbe chiarito qual è il profilo innovativo della disposizione in esame.

 

Va osservato che la materia su cui dispone il comma, ragionevolmente "il commercio". è di competenza regionale. Va valutata, pertanto, la possibilità che residua allo Stato, sotto il vigore del nuovo titolo V, di derogare a disposizioni che potrebbero essere anche regionali, in una materia di competenza regionale.

 

Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (c.d. “decreto Bersani”) adottato in attuazione della delega conferita dall’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge c.d. “Bassanini-uno”), ha profondamente innovato, in un’ottica di liberalizzazione e semplificazione, la disciplina del commercio risalente al 1971, rimettendo all’autonomia delle regioni la definizione di buona parte della disciplina attuativa e applicativa.

Il provvedimento ha modulato su nuove basi il rapporto tra programmazione commerciale e pianificazione territoriale, coinvolgendo in modo diretto e diffuso, all’interno di un articolato quadro di competenze, regioni e comuni.

Le nuove norme affidano, infatti, alle regioni il compito di disciplinare l’insediamento delle attività commerciali, con l’obiettivo di favorire la realizzazione di una efficiente rete distributiva nel rispetto dei vincoli urbanistici e della tutela dei centri storici.

Con particolare riferimento agli orari di vendita (artt. 11,12 e 13), si riconosce all'esercente la facoltà di stabilire liberamente il proprio orario giornaliero di vendita nel rispetto dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti.

Gli esercizi commerciali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico in tutti i giorni della settimana tra le ore sette e le ore ventidue. dalle ore sette alle ore ventidue. In questo ambito l'orario è libero, salvo il limite delle tredici ore giornaliere. Si prevede un obbligo di comunicazione al pubblico dell'orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione. Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di categoria e i sindacati, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Il comune, sentite le organizzazioni di categoria e i sindacati individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno.

Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle città d'arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall'obbligo della chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e la mezza giornata di chiusura infrasettimanale.

 


Articolo 11
(Sistema distributivo dei carburanti)

 

 


1. Ad integrazione del Piano nazionale contenente le linee guida per l'ammoder­namento del sistema distributivo dei carburanti, di cui al decreto del Ministro delle attività produttive 31 ottobre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2001, le regioni, sentiti anche i comuni e le comunità montane, di intesa con le associazioni degli esercenti gli impianti di distribuzione dei carburanti, possono determinare le condizioni per assicurare, nei piccoli comuni, la presenza del servizio di erogazione quale servizio fondamentale. Alla copertura dei maggiori costi del servizio si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32.


 

 

Il comma unico in esame attribuisce alle Regioni la facoltà di determinare le condizioni per assicurare, nei piccoli comuni, la presenza del servizio di erogazione dei carburanti quale servizio fondamentale.

 

La procedura prevede la consultazione dei comuni e delle comunità montane e l'intesa con le associazioni degli esercenti gli impianti di distribuzione dei carburanti

 

La norma statale fissa vincoli procedurali all’esercizio (eventuale) dell’attività regionale. Tali vincoli, specie quello stringente dell’intesa con le associazioni degli esercenti, va  valutato alla luce dell’autonomia regionale.

 

Quanto dispone il comma in esame costituisce integrazione del Piano nazionale contenente le linee guida per l’ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti, di cui al decreto del Ministro delle attività produttive 31 ottobre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2001.

 

L’articolo 19 della L. n. 57 del 2001 ha previsto l’adozione da parte del Ministro dell’industria (ora dello sviluppo economico) del Piano nazionale contenente le linee guida per l’ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti. Si prevede che le regioni, in coerenza con il Piano nazionale, provvedano alla redazione di piani regionali sulla base di indirizzi e criteri espressamente definiti.

Il Piano nazionale, approvato con il decreto del Ministro delle attività produttive 31 ottobre 2001 (GU 30/11/2001, n. 279), prevede espressamente azioni di razionalizzazione dell'offerta attraverso la riduzione del numero di impianti, in particolare di quelli ricadenti nelle fattispecie di incompatibilità definite dallo stesso piano. Inoltre, tra i criteri stabiliti ai fini dell'installazione di nuovi impianti, ai quali dovrà attenersi la programmazione regionale, il Piano indica anche l'individuazione della superficie minima dei nuovi impianti in relazione all'utenza servita, nonché la distanza tra gli stessi.

 

I maggiori costi del servizio così realizzato è coperto – secondo il comma in commento – con corrispondente riduzione del Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti[59].

 


Articolo 12
(Incentivi per l'insediamento nei piccoli comuni)

 

 


1. Al fine di favorire il riequilibrio insediativo e il recupero dei centri abitati, ciascuna regione, provincia o comune può disporre incentivi finanziari e premi di insediamento a favore di coloro che trasferiscono la propria residenza e dimora abituale o la sede di effettivo svolgimento della propria attività economica, impegnandosi a non modificarla per un decennio, da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune.

2. Gli incentivi e i premi di cui al comma 1 possono essere concessi anche ai residenti nei piccoli comuni, che intendono recuperare il patrimonio abitativo dei comuni stessi ovvero avviare in essi una attività economica.

3. Le regioni possono altresì attribuire alle organizzazioni di categoria il compito di contribuire allo sviluppo di progetti di insediamento e promozione delle attività economiche.


 

 

Il comma 1 dà la facoltà a ciascuna regione, provincia e comune a disporre incentivi finanziari e premi di insediamento a favore di coloro che trasferiscono da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune la propria residenza e dimora abituale o la sede di effettivo svolgimento della propria attività economica, impegnandosi a non modificarla per un decennio. La disposizione in esame è espressamente finalizzata a favorire il riequilibrio insediativo e il recupero dei centri abitati.

 

Ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del codice civile la “residenza è nel luogo in cui la persona fisica ha la dimora abituale”.

Sotto il profilo fiscale, l’articolo 2 , comma 2, del TUIR (D.P.R 22 dicembre 1986, n. 917) specifica che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

 

Il comma 2 estende gli incentivi e i premi che regione, provincia e comune possono disporre anche ai residenti nei piccoli comuni, che intendano recuperare il patrimonio abitativo dei comuni stessi ovvero avviare in essi una attività economica.

 

Il comma 3 dà la facoltà alle regioni di attribuire alle organizzazioni di categoria il compito di contribuire allo sviluppo di progetti di insediamento e promozione delle attività economiche.

 

La norma in commento riproduce l’articolo 13 della già citata ed omonima pdl A.S 1942 della XIV legislatura.

 


Articolo 13
(Agevolazioni in materia di servizio idrico)

 

 

1. Le regioni possono prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni, siti in zone prevalentemente montane, in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili sia superiore ai fabbisogni per i diversi usi.

 

 

La disposizione – che attribuisce alle regioni la facoltà di prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni, siti in zone prevalentemente montane, in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili sia superiore ai fabbisogni per i diversi usi – corrisponde all’articolo 12 del testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura (AS 1942), salvo che per il mancato riferimento alla finalità della medesima di attuare la legge 5 gennaio 1994, n. 36.

 

Tale ultima legge è stata integralmente abrogata dall'art. 175, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. codice ambientale), ad esclusione del comma 6 dell'art. 22 (relativo alla copertura degli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e dell'Osservatorio dei servizi idrici).

 

Le norme vigenti in materia di servizio idrico integrato sono ora contenute nel D.Lgs. n. 152/2006, in particolare negli articoli 147-158.

 

L'articolo 147 definisce l'organizzazione del servizio idrico integrato confermando sostanzialmente le norme contenute nel Capo II della legge n. 36 del 1994.

L'articolo 148 definisce l'Autorità d'ambito territoriale ottimale quale struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente Regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente e alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche.

Si rammenta che l'Autorità d'ambito è il soggetto istituzionale, introdotto dall'art. 9 della legge n. 36 del 1994, al quale sono conferite le funzioni di governo, organizzazione e regolazione del servizio idrico integrato ovvero l'insieme dei servizi facenti capo al ciclo idrico integrato.

 

Delle norme citate si segnala, in quanto aventi finalità analoghe a quelle della norma in commento (cioè agevolare i piccoli comuni montani), l’art. 148, comma 5, che, ferma restando l’obbligatorietà della partecipazione all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali, prevede il carattere facoltativo dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e inclusi nel territorio delle comunità montane.

 

Tale ultima disposizione riproduce una norma contenuta nella proposta di legge C. 5568, esaminata dall’VIII Commissione della Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura. Si segnala che tale proposta di legge conteneva una disposizione sostanzialmente analoga a quella in esame, che prevedeva “specifiche agevolazioni per i comuni ricadenti nelle comunità montane mediante l'applicazione di riduzioni della tariffa d'ambito”.

 


Articolo 14
(Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni)

 

 


1. Ai fini della concessione di incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni, nello stato di previsione del Ministero dell'eco­nomia e delle finanze è istituito un apposito fondo.

2. A valere sulle disponibilità del fondo di cui al comma 1 si provvede alla copertura delle minori entrate derivanti:

a) da ulteriori misure agevolative con­cernenti l'imposta comunale sugli immobili destinati ad abitazione principale, in relazione al corrispondente aumento dei trasferimenti erariali volti a compensare le minori entrate per i comuni;

b) da ulteriori misure agevolative con­cernenti l'imposta di registro per l'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale.

3. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede annualmente, con proprio decreto, alla determinazione delle misure di cui al comma 2, lettera b), nei limiti del 30 per cento delle disponibilità del fondo di cui al comma 1.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede altresì annualmente, con proprio decreto, all'individuazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle restanti risorse tra i comuni, ai fini della concessione delle agevolazioni di cui al comma 2, lettera a).

5. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3 e 4 sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimere entro venti giorni dalla data di trasmissione.

6. Per la dotazione del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008. A decorrere dall'anno 2009, al finanziamento del fondo si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

7. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanzia­mento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsio­nale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

8. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 14, ai commi 1 e 2, istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, un Fondo per la concessione di incentivi fiscali a favore dei piccoli comuni, destinato alla copertura delle diminuzioni di entrata derivanti:

a) da ulteriori misure agevolative concernenti l’imposta comunale sugli immobili destinati ad abitazione principale. Le disponibilità del fondo sono utilizzate per l’aumento dei trasferimenti erariali con cui sono compensate le minori entrate per i comuni;

 

L’imposta comunale sugli immobili (ICI), disciplinata dal titolo I, capo I, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, colpisce il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli. Soggetto obbligato al pagamento dell’imposta è il proprietario dell’immobile ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie, ovvero ancora, per gli immobili concessi in locazione finanziaria, il locatario. Soggetto impositore è il comune nel cui territorio è situato l’immobile, il quale determina l’aliquota dell’imposta, che viene applicata alla base imponibile rappresentata dal valore dell’immobile (di norma determinato in base all’estimo catastale).

La legge determina i casi di esenzione dall’imposta, ne prevede la riduzione alla metà in caso di inagibilità del fabbricato e stabilisce una detrazione per l’abitazione principale, fissata in lire 200.000 (euro 103,29). Il comune può elevare tale importo fino a lire 500.000 (euro 258,22) ovvero ridurre l'imposta sull’abitazione principale fino al 50 per cento: queste agevolazioni possono essere concesse anche limitatamente a categorie disagiate. Lo stesso comma 2 dell'articolo 8 del D.Lgs. n. 504 del 1992 precisa che "per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente".

L'aliquota dev’essere deliberata in misura non inferiore al 4 per mille, né superiore al 7 per mille, e può essere diversificata entro tale limite, con riferimento ai casi di immobili diversi dalle abitazioni, o posseduti in aggiunta all'abitazione principale, o di alloggi non locati; l'aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopi di lucro.

L’articolo 4 del D.L. 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556, consente inoltre ai comuni di deliberare un’aliquota ridotta, comunque non inferiore al 4 per mille, in favore delle persone fisiche soggetti passivi e dei soci di cooperative edilizie a proprietà indivisa, residenti nel comune, per l'unità immobiliare direttamente adibita ad abitazione principale, nonché per quelle locate con contratto registrato ad un soggetto che le utilizzi come abitazione principale, a condizione che il gettito complessivo previsto sia almeno pari all'ultimo gettito annuale realizzato.

L’articolo 58, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, consente ai comuni di elevare la detrazione per l’abitazione principale anche oltre la misura di lire 500.000, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, a condizione che nei medesimi comuni non sia stabilita un’aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione del contribuente.

Infine, l’articolo 1, comma 5, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, consente ai comuni di stabilire aliquote agevolate anche inferiori al 4 per mille, a favore di proprietari che eseguano interventi volti al recupero di unità immobiliari inagibili o inabitabili o interventi finalizzati al recupero di immobili di interesse artistico o architettonico localizzati nei centri storici, ovvero volti alla realizzazione di autorimesse o posti auto anche pertinenziali oppure all'utilizzo di sottotetti. L’aliquota agevolata è applicata limitatamente alle unità immobiliari oggetto di detti interventi e per la durata di tre anni dall'inizio dei lavori.

 

La disposizione qui commentata contempla quindi la possibilità che i comuni cui essa si applica concedano agevolazioni ulteriori rispetto a quelle già previste dalla disciplina legislativa dell’ICI. Tuttavia, mentre l'applicazione delle attuali agevolazioni è condizionata al rispetto degli equilibri di bilancio degli enti locali, il successivo comma 4 prevede in questo caso che con decreto ministeriale siano annualmente individuati i criteri per la ripartizione delle risorse tra i comuni, a compensazione delle riduzioni di entrata derivanti dall’applicazione di queste misure agevolative.

 

La disposizione non specifica la natura delle agevolazioni, limitandosi a prescrivere che esse debbano riguardare gli immobili destinati ad abitazione principale.

 

b) da ulteriori misure agevolative concernenti l'imposta di registro per l'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale.

 

L’imposta di registro è disciplinata dal testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. Essa si applica sugli atti sottoposti a registrazione per obbligo di legge o volontariamente, in misura fissa o con aliquota proporzionale applicata alla base imponibile (solitamente il valore del bene che costituisce l’oggetto dell’atto).

Per gli atti traslativi a titolo oneroso, le aliquote sono stabilite nell’articolo 1 della parte prima della tariffa allegata al testo unico:

 

1. Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi, salvo quanto previsto dal successivo periodo

8%

Se l'atto ha ad oggetto fabbricati e relative pertinenze

7%

Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli a titolo principale o di associazioni o società cooperative di cui agli articoli 12 e 13 della legge 9 maggio 1975, n. 153

15%

Se il trasferimento ha per oggetto immobili di interesse storico, artistico e archeologico soggetti alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, sempreché l'acquirente non venga meno agli obblighi della loro conservazione e protezione

3%

Se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, a condizione:

a) che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano;

b) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare;

c) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le stesse agevolazioni ovvero con quelle disposte da talune precedenti leggi.

3%

Se il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato e esente dall'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'articolo 10, primo comma, numero 8- bis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell'atto l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni

1%

Se il trasferimento avviene a favore dello Stato ovvero a favore di enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunità montane

€ 168,00

Se il trasferimento ha per oggetto immobili situati all'estero o diritti reali di godimento sugli stessi

€ 168,00

Se il trasferimento avviene a favore delle istituzioni riordinate in aziende di servizi o in organizzazioni non lucrative di utilità sociale, a condizione che l’istituzione riordinata in azienda di servizio o in organizzazione non lucrativa di utilità sociale dichiari nell'atto che intende utilizzare direttamente i beni per lo svolgimento della propria attività e che realizzi l'effettivo utilizzo diretto entro due anni dall'acquisto.

€ 168,00

Se il trasferimento avviene a favore di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), a condizione che la ONLUS dichiari nell'atto che intende utilizzare direttamente beni per lo svolgimento della propria attività e che realizzi l'effettivo utilizzo diretto entro 2 anni dall'acquisto.

€ 168,00

 

In particolare, l’agevolazione fiscale per l’acquisto della c.d. “prima casa” è regolata dalla nota II-bis) all’art. 1 della tariffa - Parte prima.

Il regime agevolato si applica agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse. L'immobile deve essere ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o intende stabilire la residenza (salvi i casi particolari precisati dallo stesso legislatore).

 

La disposizione qui commentata contempla quindi la possibilità che nel territorio dei comuni cui essa si applica possano essere fruite agevolazioni ulteriori rispetto a quelle già previste dalla disciplina legislativa dell’imposta di registro, da determinarsi con le modalità indicate nel successivo comma 3.

 

Occorre rilevare che il riferimento all'acquisto dell'abitazione principale, contenuto nella lettera b) qui illustrata, sembra definire  una nuova misura agevolativa rispetto a quella ordinariamente prevista dalle disposizioni sopra richiamate. Infatti, i benefici per l'acquisto della "prima casa" possono trovare un campo di applicazione più vasto di quello relativo all'acquisto dell' ”abitazione principale”.

 

Ai sensi del comma 3, le ulteriori misure agevolative relative all’imposta di registro sono determinate annualmente con decreto del Ministro dell’economia e finanze, nei limiti del 30 per cento delle disponibilità del Fondo.

 

Ai sensi del comma 4, il Ministro dell'economia e delle finanze individua annualmente, con proprio decreto, i criteri e le modalità di ripartizione delle restanti risorse tra i comuni, per la concessione delle suddette ulteriori agevolazioni concernenti l’imposta comunale sugli immobili.

 

Il comma 5 dispone che gli schemi dei decreti sopra menzionati vengano inviati alle Camere per il parere dalle competenti Commissioni parlamentari, da esprimersi entro venti giorni dalla data di trasmissione.

 

Il comma 6 dota il Fondo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, disponendo che a decorrere dall’anno 2009 si provveda al finanziamento del Fondo con appositi stanziamenti da iscriversi nella tabella C della legge finanziaria. All’onere derivante dal presente comma si provvede, ai sensi del comma 7, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze per l’anno 2006 (u.p.b. 4.1.5.9 - cap. 4856), parzialmente utilizzando l’accantonamento previsto per il medesimo Ministero.

 

Il comma 8 autorizza il Ministero dell’economia ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni in bilancio.

 

Il presente articolo riproduce l’articolo 13 della proposta di legge recante “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti”, nel testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 21 gennaio 2003 e risultante dall’esame unificato delle pdl A.C. 1174 e A.C. 2952. Il provvedimento è stato trasmesso il 22 gennaio 2003 al Senato, ove, pur essendone iniziato l’esame presso la Commissione in sede referente, l’iter non si è concluso entro la fine della legislatura.

A tal proposito si segnala che l’articolo 13 citato recava per il Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni un’autorizzazione di spesa di 20 milioni di euro per il triennio 2003, 2004 e 2005, coprendo il relativo onere con una corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nel Fondo speciale di parte corrente nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze per l’anno 2003, parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. Fino all’esercizio finanziario 2005, tra le finalizzazioni da includere nel Fondo speciale risultava anche il provvedimento recante Misure a sostegno dei piccoli comuni (A. C. 1174; A. S. 1942).

Nella seduta del 14 dicembre 2005, la Commissione bilancio del Senato – Sottocommissione pareri aveva convenuto con il Governo di revocare la prenotazione del Fondo speciale relativa all’A.C. 1942[60].

 

Si segnala che l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia del Fondo speciale di parte corrente non reca le necessarie disponibilità.


Articolo 15
(Modifica all'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)

 

 

1. Al comma 2 dell'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il limite di cui al presente comma non si applica ai sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti».

 

 

L’articolo 15 aggiunge un periodo al comma 2 dell’art. 51 del testo unico sugli enti locali, approvato con D.Lgs. 267/2000[61], al fine di rimuovere la limitazione al numero dei mandati consecutivi alla carica di sindaco per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

 

Il citato articolo 51, composto di tre commi, disciplina la durata del mandato del sindaco, del presidente della provincia e dei relativi consigli (comma 1), stabilendo una limitazione al numero dei mandati consecutivi alla carica di sindaco e di presidente della provincia (comma 2).

Secondo l’attuale disciplina, chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche (art. 51, co. 2[62]).

A tale limitazione è posta una deroga nel caso in cui, per causa diversa dalle dimissioni volontarie, uno dei due mandati precedenti abbia avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno (art. 51, co. 3).

Alcune Regioni a statuto speciale hanno previsto, con differenti modalità, la possibilità di un terzo mandato dei sindaci. L’art. 1, co. 2-bis, della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 13/1999[63] stabilisce che nei comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti sono consentiti tre mandati consecutivi, e un quarto mandato se uno dei mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie. L’art. 30-bis, co. 3, della L.R. Valle d’Aosta 54/1998[64] ammette la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti. L’art. 5, co. 3, della L.R. Trentino-Alto Adige 3/1994[65] prevede che non è immediatamente rieleggibile alla carica di sindaco chi abbia espletato il mandato per tre volte consecutive.

 

Il tema della ineleggibilità dei sindaci dopo il secondo mandato consecutivo è stato ampiamente dibattuto dalle Camere nella scorsa legislatura.

Il 31 marzo 2004 l’Assemblea del Senato ha approvato un testo unificato di alcune proposte di legge (A.S. 132 e abb.) che, aggiungendo al co. 3 dell’art. 51 un’ulteriore ipotesi di deroga al limite dei due mandati previsto e disciplinato al co. 2, stabilisce che tale limite non si applica ai comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti. Il testo trasmesso dal Senato è stato oggetto di esame presso la I Commissione della Camera[66] tra il 6 aprile e il 21 ottobre 2004, congiuntamente ad altri 16 progetti di legge, senza pervenire all’approvazione.

Anche nella legislatura in corso risultano presentate numerose proposte di legge incidenti in varia misura sulla medesima materia; il loro esame non è ancora iniziato[67].

Il ministro dell’interno, Amato, rispondendo il 6 luglio 2006 alla Camera ad una interrogazione in materia[68], ha ricordato che la presidenza dell'ANCI ha fatto rilevare la circostanza dell'esistenza di 20 sindaci[69], di cui soltanto due in comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, eletti al terzo mandato, nonostante il limite posto dall’articolo 51, co. 2, del testo unico sugli enti locali.

 

La giustizia amministrativa è più volte intervenuta sulla questione. Recentemente la Corte di cassazione[70] ha rigettato il ricorso contro la dichiarazione di decadenza di un sindaco, eletto per la terza volta consecutiva, pronunciata dal Tribunale di Campobasso su richiesta della prefettura del medesimo capoluogo e impugnata dall’interessato innanzi alla Corte d’appello.

La Corte di cassazione, confermando la decisione del 2 novembre 2005 della Corte di appello di Campobasso, ha affermato che “nella specie esiste una causa d'ineleggibilità originaria alla carica di sindaco, legalmente prevista e parimenti legalmente sanzionata, che il consiglio comunale ben avrebbe potuto e dovuto rilevare, applicando la decadenza ovvero non convalidando l'elezione, siccome organo legalmente preposto alla verifica sull'assenza di cause ostative all'eleggibilità. In assenza di tale iniziativa nondimeno il Prefetto[71], esercitando la legittimazione che la norma di legge citata gli ha espressamente attribuito, ha chiesto che tale controllo venisse espletato e il conseguente rimedio venisse applicato in sede giurisdizionale e l'autorità adita ha quindi correttamente provveduto”. La disposizione contenuta nell’art. 51, co. 2, del D.Lgs. 267/2000, “dato il suo contenuto precettivo, pone un divieto di elezione al terzo incarico consecutivo che contiene in sé la sanzione in caso di sua violazione, che non può che essere rappresentata, ove l’elezione venga nondimeno convalidata [dal consiglio comunale], dalla declaratoria di decadenza”.

 

L’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) ha più volte richiesto una modifica legislativa che amplii le condizioni di eleggibilità ad un terzo mandato dei sindaci, superando le limitazioni attuali. La presidenza dell'ANCI ha sottolineato l'urgenza di intervenire sulla materia e ha affermato che, se proporrà l'eliminazione del divieto del terzo mandato, lo farà a prescindere dalla dimensione dei comuni[72].

 


Capo III - Disposizioni concernenti le aree protette
(artt. 16-22)

Premessa

Normativa statale in materia di recupero e valorizzazione dei centri storici

Nell'evoluzione della legislazione generale in materia di centri storici possono distinguersi due diversi periodi. Un primo periodo è caratterizzato da una politica di conservazione del patrimonio edilizio dei centri storici, con esclusione quindi di interventi di recupero o di trasformazione. In un secondo periodo si inscrivono invece norme che prevedono l’attuazione di interventi non solo conservativi ma anche trasformativi.

Il primo periodo

Appartengono al primo periodo le disposizioni della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (sulla tutela delle cose d'interesse artistico e storico) e della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (sulla protezione delle bellezze naturali).

Rientra inoltre in questo periodo la legge-ponte[73] sull'urbanistica del 6 agosto 1967, n. 765, che ha modificato la legge 17 agosto 1942, n. 1150.

Tale legge ha introdotto, per la prima volta nella legislazione italiana, una specifica disciplina riferibile ai centri storici, con una serie di elementi nuovi, pur se disorganici, rispetto alla legge n. 1150 del 1942, di cui ricalca sostanzialmente la struttura portante.

Nella legge n. 765 un primo riferimento ai centri storici è contenuto nell’art. 3 (che ha modificato l’art. 10 della legge n. 1150 del 1942), ove è prevista la possibilità di apportare modifiche d’ufficio, in sede di approvazione, ai piani regolatori generali adottati dai Comuni per assicurare, tra l’altro, “la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”.

Inoltre, l’articolo 17 della legge n. 765 (che ha aggiunto l'art. 41-quinquies alla legge n. 1150 del 1942[74]) introduce due concetti fondamentali in merito alla tutela e valorizzazione dei centri storici:

§      l'esigenza di considerare il centro storico nell'ambito della pianificazione urbanistica generale;

§      la fissazione di standards urbanistici per i centri antichi, che di norma prescrivono la conservazione delle densità edilizie e fondiarie preesistenti e il divieto di superare le altezze degli edifici già esistenti.

È previsto, inoltre, che in assenza di piani regolatori generali sono consentite “esclusivamente opere di consolidamento e restauro, senza alterazioni di volumi” e che eventuali aree libere sono inedificabili fino all’approvazione dello strumento urbanistico generale.

Si tratta evidentemente di “vincoli negativi”, tendenti ad evitare opere di trasformazione che alterino la configurazione del centro storico, prima dell’introduzione dello strumento urbanistico.

Per completare la disamina delle previsioni contenute nella legge n. 765 concernenti, direttamente o indirettamente, ai centri storici, si richiama l’ultimo comma dell’art. 17, il quale prevede che con decreto del Ministro dei lavori pubblici siano stabiliti, per zone territoriali omogenee, “i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”, da osservare “in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”.

In applicazione di tale disposizione, è stato emanato il DM 2 aprile 1968, n. 1444[75] che definisce, all’art. 2, quali zone territoriali omogenee, “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi” (zona A).

Il secondo periodo

Si richiamano in primo luogo le norme contenute nel titolo IV della legge 5 agosto 1978 n. 457 (articoli da 27 a 34)[76]riguardanti il recupero del patrimonio edilizio esistente, mediante l’adozione di appositi “piani di recupero”, da attuare anche con l’apporto dei privati.

Tale provvedimento non distingue il recupero e la rivitalizzazione dei centri storici dagli altri interventi di recupero, demandando ai comuni il compito di provvedere ad individuare specifiche “zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature”.

Il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente è quindi disciplinato attraverso il seguente meccanismo:

a)      individuazione delle zone di recupero ad opera dei Comuni;

b)      definizione dei piani di recupero con affidamento dell’attuazione ai Comuni ed ai privati;

c)      tipizzazione e disciplina degli interventi di conservazione, risanamento, ricostruzione e migliore utilizzazione del patrimonio stesso;

d)      modalità di attuazione dei piani di recupero ad opera dei proprietari o dei Comuni;

e)      agevolazioni creditizie.

 

Il titolo IV della legge n. 457 ha costituito il primo tentativo di adattamento del sistema complessivo della pianificazione, costruito sullo stampo dell'urbanistica dell'espansione, alle nuove necessità tracciate dal recupero. Esso inoltre ha provveduto a classificare gli interventi edilizi sull'esistente (art. 31)[77] che, fino a quel momento, non erano normativamente differenziati dalle nuove edificazioni. Le caratteristiche peculiari degli interventi nei centri storici sono quindi state assorbite dalla più ampia e generica nozione di recupero del patrimonio edilizio esistente[78].

Accanto a tali norme di carattere generale, si richiamano:

§      una serie eterogenea di provvedimenti rivolti a centri storici specifici, nonché le misure di incentivazione di vario tipo che fanno riferimento ai centri storici (in particolare, le varie leggi per la città di Venezia e le numerose disposizioni per la ricostruzione dei centri storici delle zone terremotate)[79];

§      gli interventi di recupero e di riqualificazione dei centri abitati previsti dall’articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493) e dall’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, che prevedono l’adozione da parte dei comuni, rispettivamente, di programmi di recupero urbano e di programmi integrati di intervento. Si tratta, analogamente ai piani di recupero della legge n. 457 del 1978, di interventi deliberati dal Comune per il recupero del patrimonio edilizio o per la realizzazione di opere pubbliche, dando anche in questi casi ai privati la possibilità di partecipare agli interventi.

I programmi integrati di intervento

L’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 recante Norme per l'edilizia residenziale pubblica, ha introdotto i programmi integrati d’intervento, disciplinati quale strumento flessibile basato sull’incontro delle volontà pubblico-private nella fissazione delle prescrizioni urbanistiche e finalizzato ad una riqualificazione urbanistico-edilizia-ambientale della zona interessata.

 

Tale tipo di strumento, insieme ai successivi sistemi definiti con il nome di Programmi complessi, rappresenta un primo passo verso il nuovo “tema” dell’urbanistica consensuale e si propone come uno strumento innovativo per la realizzazione di operazioni territoriali di ampio respiro, nonché quale soluzione strategica per la ridinamizzazione del territorio urbano.

 

In base al comma 1, il contenuto del programma integrato è caratterizzato:

§      dalla presenza di una pluralità di funzioni e dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione;

§      da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana;

§      dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati.

 

Il favore per il coinvolgimento anche dei privati nella definizione di tale intervento si evidenzia, nel comma 2, nell’attribuzione ai medesimi – singolarmente o riuniti in consorzio o associati tra loro – della facoltà di presentare al comune programmi integrati. Tali programmi possono riguardare non solo zone edificate, ma anche zone da destinare a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale.

 

Il comma 8 prevede la facoltà per le regioni destinare parte delle somme loro attribuite alla formazione di programmi integrati; il successivo comma 9 previe, infine, che il contributo dello Stato alla realizzazione di tali programmi fa carico ai fondi di cui all’articolo 2.

 

L’originaria disciplina dello strumento contemplava gli effetti sostanziali dell’intervento (prevedendo in particolare che la sua approvazione avesse l’effetto di concessione edilizia), il meccanismo di formazione del programma integrato, con particolare riferimento al potere di deroga alla legislazione urbanistica vigente, la priorità nella concessione dei finanziamenti da parte delle regioni ai comuni che provvedevano alla formazione dei programmi.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’articolo 16 della legge 179 del 1992, sotto il profilo in particolare del rispetto delle competenze regionali in materia di programmazione territoriale.

Secondo la Corte, i primi due commi dell’articolo 16, concernendo gli scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati alla formazione dei nuovi programmi di intervento, non invadono settori di competenza regionale, dato che regolano materie che appartengono alla competenza dello Stato. Spetta, infatti, a quest'ultimo “la determinazione del tipo di intervento programmatico destinato ad operare su tutto il suo territorio e diretto a fissare le linee essenziali e gli elementi caratteristici di una nuova figura. Si tratta di normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella potestà di programmazione territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di esplicarsi in modo unitario ed omogeneo”.

Vengono invece dichiarati costituzionalmente illegittimi i commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, sulla base in particolare delle seguenti considerazioni:

§      la “particolare energia” di cui sono dotati i piani in base all’articolo 16, comma 3, “per quanto attiene alla fase procedimentale del rilascio delle concessioni edilizie, per effetto della soppressione della verifica della conformità del progetto concreto alle previsioni del piano”costituisce “una grave deroga al principio di distinzione tra programmazione territoriale, come diretta a regolare la destinazione e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione dell'opera, conferita al soggetto interessato con il rilascio dell'atto amministrativo senza il controllo di coerenza dell'intervento specifico con gli indirizzi programmatici, controllo particolarmente necessario, per l'osservanza, che esso consente, del precetto dell'art. 4, comma primo, della stessa legge n. 10 del 1977, secondo il quale la concessione è data in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi”;

§      la deroga che consentono i commi quinto e sesto dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992 ai preesistenti limiti planovolumetrici contravviene “al principio, posto dall'art. 4, primo comma, della legge n. 10 del 1977, espressione di lunga prassi normativa, della conformità della concessione agli strumenti urbanistici

§      la “possibilità che il programma integrato determini le modificazioni di precedenti previsioni urbanistiche, con l'impiego di procedimento eventuale ed elastico di garanzia (quarto comma dell'art. 16), si pone come ulteriore causa di alterazione del quadro dei rapporti tra competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali nel vigente sistema di programmazione urbanistica, nelle sue articolazioni territoriali e di settore”;

§      infine, “la destinazione preferenziale, operata dalla legge n. 179 (comma settimo dell'art. 16), di detti fondi (i fondi in materia di edilizia residenziale) ai programmi integrati costituisce una deviazione dal criterio base, alterando irrazionalmente il principio della competenza decisoria regionale, che ben potrebbe esplicarsi con la destinazione dei fondi stessi all'edilizia residenziale comunale, prescindendo dal criterio di priorità determinato dalla adozione dei programmi integrati”.

Interventi successivi di derivazione internazionale o comunitaria

Più recentemente, la riqualificazione dei centri storici - e più in generale dei centri abitati - ha ricevuto nuovo impulso dall’attuazione di accordi internazionali o delle normativa comunitaria adottata nell’ambito delle iniziative per uno sviluppo sostenibile.

Tra esse si ricorda l’iniziativa comunitaria URBAN (Urban I 1994-99 e UrbanII2000-2006), che si propone di contribuire alla ricerca di soluzioni per la crisi di molti quartieri urbani, incentivando interventi di rilancio socioeconomico e favorendo sia il rinnovo di impianti ed infrastrutture per migliorare l’ambiente sia l’elaborazione e l’attuazione di specifiche strategie innovative di rivitalizzazione socio-economica dei centri urbani o dei quartieri degradati delle grandi città.

A livello nazionale tale iniziativa ha rappresentato, dopo un primo difficoltoso avvio - dovuto prevalentemente alle difficoltà oggettive derivanti dalla gestione di programmi assoggettati alle procedure, abbastanza complesse, tipiche dei Fondi strutturali in regime di assoluto partenariato - un ulteriore strumento volto al recupero urbano. Infatti, con la delibera CIPE del 6 agosto 1999, n. 146, alle risorse finanziarie rese disponibili dalla Comunità europea, si sono affiancati ulteriori cofinanziamenti nazionali pubblici.

Con il DM 19 luglio 2000 “Programmi di iniziativa comunitaria concernenti la rivitalizzazione economica e sociale delle città e delle zone adiacenti in crisi, per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile - URBAN II”, si è provveduto ad attivare il programma URBAN II “Italia 2000-2006” che prevede il finanziamento sul territorio nazionale di otto programmi, di cui quattro ubicati nelle regioni interessate dal Quadro Comunitario di Sostegno per le regioni rientranti nell’obiettivo 1 per il periodo 2000-2006. Il programma URBAN II è destinato ai Comuni medio-piccoli con popolazione superiore a 20.000 abitanti, mentre il precedente programma URBAN I era rivolto alle città con oltre 100mila abitanti. A seguito di una richiesta di ampliamento del numero di programmi da finanziare, è stato avviato il programma Urban – Italia con l’obiettivo di ricomprendervi alcuni “programmi stralcio”[80].

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato un pacchetto di cinque proposte relative al rinnovo del quadro legislativo per la riforma della politica di coesione nel periodo di programmazione 2007-2013:

-       una proposta di regolamento generale (COM(2004)492 procedura di parere conforme), recante norme e principi comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale e al Fondo di coesione;

-       una proposta di regolamento (COM(2004)495, procedura di codecisione) sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FEDER);

-       una proposta di regolamento (COM(2004)493, procedura di codecisione) sul Fondo sociale europeo (FSE);

-       una proposta di regolamento (COM(2004)494, procedura di consultazione) sul Fondo di coesione;

-       una proposta di regolamento (COM(2004)496, procedura di codecisione) che istituisce un nuovo strumento giuridico denominato Gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT)

 

Le proposte prospettano la concentrazione degli interventi strutturali su tre nuovi obiettivi (in relazione soprattutto con gli impegni di Lisbona (in materia di competitività) e di Göteborg (in materia di sviluppo sostenibile)::

§      obiettivo “Convergenza”.

§      obiettivo “Competitività e occupazione regionale”.

§      obiettivo “Cooperazione territoriale”.

 

In questo nuovo quadro legislativo, il campo di intervento delle attuali iniziative, tra cui URBAN,[81]relativa agli interventi a favore delle aree urbane,sarà integrato nelle priorità dei suddetti nuovi obiettivi. In particolare il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), i cui interventi saranno concentrati sugli obiettivi “Competitività e occupazione regionale” e “Cooperazione territoriale”, riserverà una particolare attenzione alle specificità territoriale delle zone urbane, soprattutto quelle relative alle cittadine di medie dimensioni il cui ruolo nel promuovere lo sviluppo regionale sarà valorizzato mediante aiuti alla riqualificazione urbana. Inoltre a tali zone potrebbero essere delegati poteri diretti[82].

L’esame delle proposte legislative relative alla politica di coesione è stato particolarmente complesso e articolato essendo strettamente connesso al negoziato sul quadro finanziario 2007-2013, concluso con l’accordo interistituzionale il 17 maggio 2006. L’accordo ha fissato un massimale complessivo degli stanziamenti di impegno destinati alla politica di coesione pari a 308,041 miliardi di euro (251,163 miliardi di euro per l’obiettivo Convergenza; 49,127 miliardi di europer l’obiettivo Competitività e occupazione regionale; 7,750 miliardi di euro per l’obiettivo Cooperazione territoriale).Per quanto concerne l’Italia, secondo le indicazioni fornite dal Dipartimento per le politiche di sviluppo del Ministero per l’economia e le finanze, gli stanziamenti complessivi relativi alla politica di coesione ammonterebbero a 25,6 miliardi di euro.

Il 5 maggio 2006 il Consiglio ha raggiunto un accordo politico sull’approccio generale delle proposte relative alla politica di coesione, inclusi gli aspetti finanziari. Il Parlamento europeo si è pronunciato favorevolmente sulle proposte in questione il 4 luglio 2006[83]. Le proposte dovrebbero essere adottate definitivamente dal Consiglio il 20 luglio prossimo.

 

Il 6 luglio 2005 la Commissione ha presentato la bozza degli “orientamenti strategici” per la coesione che dovranno essere adottati con regolamento del Consiglio entro tre mesi dall’approvazione del regolamento generale prima citato.

Gli orientamenti definiscono un quadro di intervento per l’elaborazione dei quadri strategici nazionali e dei programmi operativi attraverso cui si esplica l’intervento del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), dal Fondo sociale europeo (FSE) e dal Fondo di coesione.

Da dichiarazioni del Commissario per la politica regionale Danuta Hübner nel corso di un’audizione presso la Commissione per lo sviluppo regionale del PE svoltasi il 30 maggio 2006,, la Commissione prevede di presentare la proposta formale di regolamento sugli orientamenti strategici prima dell’estate, subito dopo l’adozione del regolamento generale, auspicando che la proposta stessa venga adottata non oltre ottobre-novembre 2006. Nella stessa riunione, il Commissario Hübner ha annunciato la presentazione di una comunicazione sulla dimensione urbana della politica di coesione volta a completare gli orientamenti strategici.

La definizione di centro storico

Nel panorama legislativo nazionale non esiste una definizione ad hoc del concetto di “centro storico”, nonostante vi siano numerosi richiami a tale concetto in varie norme.

Il primo riferimento è contenuto nella già citata legge n. 765 del 1967, cd. legge-ponte, il cui art. 17, comma 5, che in particolare vietava negli agglomerati urbani aventi “carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale", ogni alterazione di volumi e ogni costruzione sulle aree libere, fino all'approvazione dello strumento urbanistico generale. In assenza di una definizione di detti agglomerati, si evidenziò l'opportunità di una specifica determinazione da parte del consiglio comunale di tale concetto, in sede di adozione del Piano regolatore generale o con apposita delibera.

Nello stesso anno in cui fu approvata la legge-ponte, a titolo esclusivamente orientativo, il Ministero dei lavori pubblici con circolare 28 ottobre 1967, n. 3210[84], diede una definizione di detti agglomerati, riferendosi:

a)      alle strutture urbane in cui la maggioranza degli isolati contengono edifici costruiti in epoca anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti o di edifici di particolare valore artistico;

b)      alle strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto o in parte conservate, ivi comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella definizione di cui sopra (punto a);

c)      alle strutture urbane realizzate anche dopo il 1860, che nel loro complesso costituiscono documenti di un costume edilizio altamente qualificato.

 

L’art. 17, comma 5, della cd. legge ponte è stato abrogato dal testo unico in materia edilizia recato dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, mentre ancora vigente è la disciplina sugli standards urbanistici, adottata ai sensi dell'art. 17, commi 8 e 9, della legge n. 765 del 1967. Tale disciplina è contenuta nel D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che, tra i vari settori territoriali omogenei, individua (all’art. 2) la "zona A" in cui sono ricompresse “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.

L’indeterminatezza della formula legislativa recata dalla legge ponte, unita alla circostanza che il D.M. n. 1444 citato, nel classificare le zone A, include in esse non solo l’agglomerato urbano di antica origine e dotato di importanza storico-artistico-ambientale, ma anche le “aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”, hanno di fatto favorito “l’affermarsi di una interpretazione estremamente estensiva ed elastica, secondo la quale l’operazione di delimitazione, nell’ambito del p.r.g., del centro storico come entità giuridico-urbanistica diventa vera e propria scelta urbanistica”[85].

 

Si ricorda, infine, che nel “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (cd. Codice Urbani), recato dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42[86], non si fa riferimento ai centri storici, che non sono stati inseriti nel novero dei beni paesaggistici previsto dall’art. 136.

Tuttavia, occorre segnalare che nel testo presentato per il parere alle Camere l’art. 136, nell’individuare i beni e le aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, riprendeva l’elencazione contenuta nell’art. 139 del D.Lgs. n. 490/1999 ma la integrava con l’inserimento, tra i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale (indicati nella lettera c) dell’art. 136), anche dei centri storici sulla base dell’opportunità – sottolineata nella relazione illustrativa – di “riconoscere nella norma il dato fattuale”, visto che una rilevazione statistica svolta nel passato ha permesso di accertare che “su 2.166 decreti di vincolo ex legge 1497/1939, ben 129 riguardavano centri storici e comunque altri 614 avevano per oggetto un intero territorio comunale”.

Lo stesso tentativo è stato riproposto nello schema di decreto n. 595 presentato al parere delle Camere. Nella relazione illustrativa si legge che l’inserimento dei centri storici trova giustificazione nella necessità di “chiarire definitivamente che il vincolo paesaggistico dei complessi di immobili[87] può ben riguardare i centri storici, come del resto già suggerito dall'articolo 9, punto 4, del regolamento di cui al r.d. 1357 del 1934”. Tuttavia, anche in questo caso, nel testo definitivo del decreto (divenuto il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157) l’indicazione dei centri storici è scomparsa.

La normativa regionale in materia di centri storici

Numerose sono le leggi di iniziativa regionale tendenti a favorire lo sviluppo culturale, turistico ed economico dei centri storici.

Le regioni hanno stabilito i criteri di priorità nella individuazione degli interventi da ammettere a contributo – generalmente si tratta del recupero del patrimonio edilizio pubblico di rilevanza storico od artistica, o comunque situato in un contesto di rilevante pregio ambientale, del recupero del patrimonio edilizio privato di rilevanza storico od artistica o comunque situato in un contesto di rilevante pregio ambientale, ma limitatamente alle parti esterne od in vista degli edifici e del recupero e della sistemazione delle strutture e degli elementi urbani collegati ai precedenti interventi - e le procedure per l'erogazione dei contributi previsti.

Senza pretesa di fornire un quadro esaustivo delle normative regionali, si richiama innanzitutto l’ultima legge della regione Abruzzo in materia, la legge n. 13 del 17 marzo 2004. Ai sensi di tale legge “si considerano Centri Storici gli agglomerati insediativi urbani che conservano nell’organizzazione territoriale, nell’impianto urbanistico o nelle strutture edilizie, i segni di una formazione remota e di proprie originarie funzioni economiche, sociali, politiche e culturali.”

Tale definizione è la stessa che si ritrova nella normativa della regione Sardegna, la legge n. 19 del 28 ottobre 2002, n. 19 recante “Ulteriore finanziamento della legge regionale 13 ottobre 1998, n. 29 (Tutela e valorizzazione dei centri storici della Sardegna)”.

La legge n. 11 del 1997 della regione Marche recante “Interventi regionali per il recupero diffuso dei centri storici”, prevede la concessione di contributi regionali ai Comuni che, al fine di incentivare gli interventi di recupero edilizio nei centri storici o nei nuclei storici, concorrono a ridurre l'onere finanziario a carico dei soggetti attuatori degli interventi stessi. I Comuni individuano i soggetti beneficiari di un mutuo agevolato per la realizzazione di interventi di recupero edilizio ai sensi dell'articolo 31, lettere b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n. 457. Tali interventi devono essere localizzati all'interno del perimetro del centro storico o dei nuclei storici del comune.

Un’altra legge – la n. 43 del 14 dicembre 1998 della Regione Marche in materia di “Valorizzazione del patrimonio storico culturale della Regione Iniziativa III millennio” – ha promosso, nell’ambito di un programma straordinario per interventi di restauro e risanamento conservativo e manutenzione straordinaria del patrimonio immobiliare architettonico, storico e artistico, anche la realizzazione di programmi di recupero urbano per gli immobili situati nei centri storici. Gli interventi riguardano oltre che particolari edifici storici (teatri, mulini ad acqua, case coloniche storiche in terra cruda, chiese, musei e castelli) anche i programmi di recupero urbano nei centri storici. L’art. 1, comma 4 di tale legge dispone che “Agli effetti della presente legge sono considerati centri storici le aree edificate definite zone A ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 16 aprile 1968, n. 97, o che possiedono comunque i requisiti delle suddette zone A”.

Analogamente, in Liguria, la legge regionale n. 10 luglio 2002, n. 29[88], rinvia, per la definizione di centro storico, alle aree edificate definite zone A di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

Si ricorda, infine la legge n. 26 del 18 ottobre 2002 della regione Campania volta al recupero e alla valorizzazione dei centri storici della regione, ove, al titolo II “Incentivi per il restauro, il decoro e l’attintatura delle facciate degli edifici civili di interesse storico, artistico ed ambientale e delle cortine dei Centri Storici della Campania”, viene, per la prima volta, affrontata la tematica del colore dei centri antichi, con riferimento al “Piano del Colore” per l’edilizia storica, la cui dotazione è obbligatoria per quei comuni che intendono fruire dei contributi previsti dalla legge. In tale legge i centri storici sono definiti come “gli impianti urbanistici o agglomerati insediativi urbani che sono stati centri di cultura locale o di produzione artistica e che, accanto alle testimonianze di cultura materiale, contengono opere d’arte entro il contesto storico per cui sono nate e in rapporto con il tessuto urbano, esteso al contesto paesaggistico di pertinenza, come risulta individuato nell’iconografia tradizionale, e che conservano l’aspetto o i connotati d’insieme della città storica o di una consistente parte di essa”.

Il recupero dei centri storici nelle aree protette

La normativa statale

L’esigenza di tutelare i centri storici anche all’interno delle aree protette è stata sottolineata dall’art. 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), in base al quale “ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25:

a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;

b) recupero dei nuclei abitati rurali;

[omissis]”.[89]

Il successivo comma 2 dispone, inoltre, che “il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale”.

La normativa regionale

La stessa attenzione per il recupero dei centri storici nelle aree protette, mostrata dal legislatore nazionale, si ritrova nella produzione normativa regionale.

E’ il caso, ad esempio, della legge regionale calabrese n. 10 del 14 luglio 2003 recante Norme in materia di aree protette, che stabilisce (art. 3) che “nei centri storici compresi nelle aree protette si incentivano politiche di recupero dei patrimoni edilizi in armonia con la finalità della presente legge. A tal fine è incentivata la più ampia partecipazione degli Enti Locali, delle forze sociali e del terzo settore presenti nel territorio mirati, a conseguire forme di sviluppo economico e ricerca di nuove occupazioni e di nuove opportunità lavorative compatibili”. Di più, un intero articolo (art. 35) è dedicato alla Valorizzazione dei centri storici ricadenti nelle aree protette.

Il Progetto "Appennino Parco d'Europa" (APE)

Nella relazione illustrativa alla proposta di legge in commento viene sottolineato come in Italia, oltre agli interventi previsti dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97 (cosiddetta “legge sulla montagna”), non si intravedono altri strumenti di sistema a sostegno e sviluppo di politiche di accoglienza nei piccoli comuni. Fatta eccezione per il progetto “Appennino parco d’Europa” (APE).

Il progetto APE, che coinvolge le 14 regioni dell’arco appenninico suddivise per aree geografiche, è nato nel 1995[90] dalla constatazione del fatto che, a seguito dell’entrata in vigore della legge-quadro sulle aree naturali protette (legge n. 394 del 1991), si è verificata – lungo l’intero arco appenninico - la costituzione di molti parchi e riserve naturali di rilievo nazionale, regionale e locale, che è possibile leggere ed interpretare come un sistema articolato di aree protette.

Secondo il Programma d’azione del Progetto APE Appennino Parco d’Europa, del Ministero dell’ambiente, Servizio Conservazione della natura (marzo 2000), il progetto si propone, attraverso la realizzazione di una serie di programmi specifici, di attuare degli interventi per tutela e la valorizzazione degli ambiti definiti con una metodologia integrata di progettazione, esecuzione e gestione delle opere e delle attività impostata sulla base di una partecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati presenti nelle aree di intervento. Gli interventi si basano su:

§      valorizzazione delle risorse – culturali, naturali, umane – con interventi di supporto per le aree in ritardo di sviluppo e interventi di riequilibrio per le aree a rischio di degrado;

§      costruzione di un ambiente sociale adatto allo sviluppo, e quindi miglioramento della qualità della vita nelle aree in ritardo, favorendo i processi di recupero della fiducia sociale, l’offerta di servizi innovativi e qualificati per i residenti e per i visitatori;

§      promozione e la localizzazione di nuove iniziative imprenditoriali nei settori della conservazione della natura, del recupero dei beni storici e del patrimonio diffuso, del turismo, dell'agricoltura, del lavoro e della formazione, della manutenzione del territorio e della gestione delle risorse, aumentando e valorizzando i fattori di attrattività di interventi produttivi collegati alla specificità dei luoghi e delle tradizioni culturali.

Con la delibera CIPE 4 agosto 2000, n. 84 sono stati assegnati 35 miliardi di lire (pari a 18,1 milioni di euro) al cofinanziamento del progetto APE, poi ripartiti con la successiva delibera CIPE 1 febbraio 2001, n. 4 tra alcuni progetti pilota[91].

Precedenti proposte di legge in materia

Nel corso della XIV legislatura sono state presentate e discusse alcune proposte in materia di recupero e valorizzazione dei centri storici.

Si segnala, in particolare, la proposta di legge C. 5470, approvata in testo unificato con le proposte C. 5638 e C. 5891, e trasmessa al Senato in data 25 luglio 2005 (AS 3566).

 

Il testo approvato dalla Camera si proponeva di consentire l’avvio di interventi integrati, pubblico-privati, finalizzati al recupero e alla riqualificazione del patrimonio edilizio, nonché alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubbliche nei centri storici (art. 1).

Veniva inoltre demandata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, l’emanazione di un decreto per l’individuazione degli insediamenti urbanistici in comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, da equiparare ai centri storici (ai fini dell’applicazione della legge) e ai quali assegnare il marchio di «borghi antichi d’Italia».

 

Benché non sia stata esaminata dalla Commissione, occorre poi ricordare la proposta C. 3507, che riproduce esattamente l’A.C. 3511 della XIII legislatura, i cui contenuti sono in parte ripresi dalla proposta di legge in esame (cfr. in particolare gli articoli da 1 a 5, nonché l’articolo 8 dell’AC 3507).


Articolo 16
(Ambito di applicazione)

 

 


1. Il presente capo detta i principi fondamentali per la gestione e l'attuazione degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree naturali protette.

2. Il presente capo si applica ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e di quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale, compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette approvato con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2003.

3. Il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali nei territori di cui al comma 2 è finalizzato ai seguenti obiettivi:

a) individuare una politica di sviluppo delle aree naturali protette volta a tutelare e valorizzare il patrimonio storico e artistico e il paesaggio;

b) salvaguardare e tutelare la presenza antropica attraverso il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali;

c) garantire, attraverso i programmi di riqualificazione ambientale dei nuclei abitati urbani, oltre al recupero prettamente strutturale, formale e ambientale, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani nonché il recupero degli edifici e immobili dismessi;

d) garantire, attraverso i programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, oltre al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni ed i servizi urbani, nonché un adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali;

e) promuovere l'utilizzazione di forme e procedure di attuazione e di gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, anche attraverso l'intervento pubblico e privato, nel rispetto della normativa vigente in materia;

f) utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l'azione di incentivazione, promozione e gestione del patrimonio abitativo;

g) attuare le misure di incentivazione di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni.


 

 

Il comma 1 individua le finalità del Capo III della proposta di legge di dettare i principi fondamentali per la gestione e l'attuazione degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree naturali protette.

Il successivo comma 2 ne delimita l’ambito di applicazione ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte entro i confini di un parco nazionale o naturale regionale.

 

Tale ambito corrisponde a quello definito dall’art. 7 della già citata legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991), che, tra gli interventi prioritari cui destinare le risorse finanziarie disponibili, fa esplicito riferimento al restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale, nonché al recupero dei nuclei abitati rurali.

Tale ultima disposizione prevede in particolare che “ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25:

a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;

b) recupero dei nuclei abitati rurali;

[omissis]”.

Il successivo comma 2 dispone che “il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale”.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame aggiunge l’ulteriore condizione che tali parchi siano compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette approvato con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2003.

 

Tale elenco raccoglie tutte le aree naturali protette, marine e terrestri, che rispondono ad alcuni criteri[92] ed è periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

L'elenco ufficiale delle aree naturali protette attualmente in vigore è quello relativo al 5° Aggiornamento approvato con Delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003, pubblicata nella G.U. n. 205 del 2003, S.O. n. 144[93], e consultabile anche in versione elettronica, sul sito internet del Ministero dell’ambiente, all’indirizzo www2.minambiente.it/sito/settori_azione/scn/docs/elenco_ap_2003.pdf.

 

Per quanto riguarda le finalità cui deve tendere il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali esse sono individuate dal comma 3 nelle seguenti:

§      individuare una politica di sviluppo delle aree protette volta a tutelare e valorizzare il patrimonio storico e artistico e il paesaggio;

§      salvaguardare e tutelare la presenza antropica;

§      garantire l’esecuzione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, nonché il recupero degli edifici e immobili dimessi e l’adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali, attraverso programmi di riqualificazione ambientale e programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale;

§      promuovere forme e procedure di attuazione/gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, anche attraverso l'intervento pubblico e privato, nel rispetto della normativa vigente in materia;

§      utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l'azione di incentivazione, promozione e gestione del patrimonio abitativo;

§      attuare le misure di incentivazione previste dal già citato art. 7, comma 1, lett. a) e b), della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

 


Articolo 17
(Individuazione degli ambiti di recupero del patrimonio abitativo esistente nelle aree protette)

 


1. I comuni di cui all'articolo 16, comma 2, della presente legge individuano, attraverso i programmi integrati di intervento di cui all'articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, le zone urbane e rurali soggette al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, mediante interventi rivolti alla riqualificazione ambientale e alla riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale.


 

 

Articolo 18
(Programmi di riqualificazione ambientale)

 


1. I programmi di riqualificazione am­bientale sono finalizzati, oltre che al recupero strettamente paesaggistico e ambientale, alla realizzazione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, al recupero di edifici ed immobili dismessi, all'utilizzo, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, di forme e materiali appropriati al contesto ambientale.

2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri urbani dei centri abitati per le tipologie e gli agglomerati urbani considerati incongruenti con il contesto ambientale.


 

 

Articolo 19
(Programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale)

 


1. I programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale sono finalizzati ad una riprogettazione degli insediamenti e mirano, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, a valorizzarne l'identità storica, culturale ed ambientale, anche attraverso un complesso integrato e organico di interventi riguardanti l'adeguamento degli standard abitativi, la determinazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi, il recupero di edifici e immobili dismessi.

2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri dei centri storici e, in caso di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici, nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sede di redazione dei programmi integrati di intervento e nei perimetri dei nuclei abitati rurali.


 

 

L’articolo 17 prevede l’individuazione da parte dei comuni degli ambiti urbani e rurali di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente.

Lo strumento per operare tale individuazione è rappresentata dai programmi integrati di intervento di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, nel cui ambito vengono previsti:

§      interventi di riqualificazione ambientale, da realizzare attraverso i programmi di cui all’art. 18;

§      interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, da realizzare attraverso i programmi di cui all’articolo 19.

 

Sui programmi integrati di intervento si rinvia a quanto esposto nel relativo paragrafo in premessa.

In relazione ai rapporti tra Stato e Regioni nella disciplina del recupero del patrimonio urbanistico ed edilizio, e in particolare delle aree degradate, si premette che essa appare riconducibile alla materia “governo del territorio” contemplata dall’articolo 117, terzo comma, tra le materie di legislazione concorrente.

È utile richiamare tuttavia la citata sentenza della Corte costituzionale n. 393 del 1992, che ha dichiarato incostituzionali i commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, del citato articolo 16, ma ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dei primi due commi della medesima disposizione, posto che essi “concernendo gli scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati alla formazione dei nuovi programmi di intervento, non invadono settori di competenza regionale, dato che regolano materie che appartengono alla competenza dello Stato”. Spetta, infatti, a quest'ultimo “la determinazione del tipo di intervento programmatico destinato ad operare su tutto il suo territorio e diretto a fissare le linee essenziali e gli elementi caratteristici di una nuova figura. Si tratta di normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella potestà di programmazione territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di esplicarsi in modo unitario ed omogeneo”.

Si aggiunge che, nella proposta di legge in esame, lo strumento del programma integrato di intervento è destinato a trovare applicazione nelle aree protette, rispetto alle quali viene in rilievo un interesse ambientale e naturalistico di carattere nazionale (cfr. sentenza 7 – 18 ottobre 2002, n. 422). Nel valutare l’utilizzo dello strumento del programma integrato di intervento rispetto alle aree protette può inoltre richiamarsi, più in generale, la recentissima giurisprudenza della Corte costituzionale sul carattere "trasversale" della tutela dell’ambiente (attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’articolo 117 Cost., comma 2, lett. s), e quindi la sua idoneità ad abbracciare profili che possono rientrare di volta in volta anche in materie di competenza "concorrente" o "esclusiva" delle Regioni. In particolare, nella sentenza 407 del 10-26 luglio 2002, la Corte ha precisato che “l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)”. Tale indirizzo è stato ripetutamente ribadito e richiamato dalla successiva giurisprudenza (cfr. le sentenze n. 307 del 2003, n. 222 del 2003 e n. 214 del 2005).

 

Per quanto riguarda gli obiettivi dei programmi di riqualificazione ambientale, essi sono individuati dall’articolo 18, comma 1, nei seguenti:

§      recupero strettamente paesaggistico e ambientale;

§      realizzazione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani;

§      recupero di edifici ed immobili dimessi;

§      utilizzo, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, di forme e materiali appropriati al contesto ambientale.

 

Il successivo comma 2 dell’art. 18 delimita l’ambito di applicazione di tali programmi ai perimetri urbani dei centri abitati per le tipologie e gli agglomerati urbani considerati incongruenti con il contesto ambientale.

 

Gli obiettivi dei programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, parzialmente sovrapponibili a quelli dei programmi di cui all’articolo 18, sono individuati dall’articolo 19, comma 1, nei seguenti:

§      riprogettazione degli insediamenti;

§      valorizzazione, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, dell’identità storica, culturale ed ambientale degli stessi. Ciò, anche attraverso un complesso integrato e organico di interventi riguardanti:

-       l'adeguamento degli standard abitativi;

-       la determinazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi;

-       il recupero di edifici e immobili dismessi.

 

Il successivo comma 2 delimita l’ambito di applicazione di tali programmi ai perimetri dei centri storici e, in caso di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici, nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sede di redazione dei programmi integrati di intervento e nei perimetri dei nuclei abitati rurali.

 

In relazione alla parziale sovrapposizione dell’ambito di applicazione e degli obiettivi dei due strumenti di programmazione, occorre valutare se mantenerli distinti o prevedere un unico strumento più ampio.


Articolo 20
(Rinvio alle leggi regionali)

 


1. Le leggi regionali definiscono le procedure per l'adozione dei programmi integrati e per il relativo coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.


 

 

Articolo 21
(Destinazione di fondi ai programmi integrati)

 


1. Le regioni possono destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente ai sensi della vigente normativa alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati.

2. I fondi di cui al comma 1 possono essere assegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere utilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il trasferimento e la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili interessati dagli interventi.


 

 

L’articolo 20 demanda all’attività legislativa delle regioni la disciplina dei seguenti aspetti:

§      la definizione delle procedure per l'adozione dei programmi integrati;

§      il coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.

 

In proposito si osserva che a fronte di quanto detto sopra circa la legittimità dell’intervento statale che prevede l’utilizzo del programma integrato di intervento per il recupero di aree urbane degradate, ne definisce in termini generali le finalità e individua nel comune il soggetto competente per la formazione dei medesimi, il rinvio alle leggi regionali per la disciplina di aspetti specifici trova giustificazione nella competenza concorrente delle Regioni in materia di “governo del territorio”.

 

Analogamente, la previsione contenuta nell’articolo 21, comma 1, della mera facoltà delle regioni di destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati appare in linea con la competenza concorrente delle regioni nella materia.

Peraltro, tale previsione è riproduttiva del comma 8 dell’articolo 16 della legge n. 179 del 1992 (non colpito dalla dichiarazione di incostituzionalità contenuta nella citata sentenza 393 del 1992).

 

La Corte costituzionale ha invece dichiarato l’incostituzionalità del comma 7 dell’articolo 16, che prevedeva la concessioni da parte delle regioni dei finanziamenti inerenti il settore dell'edilizia residenziale ad esse attribuiti con priorità a quei comuni che provvedono alla formazione dei programmi di cui al presente articolo. Secondo la Corte, infatti, “la destinazione preferenziale, operata dalla legge n. 179 (comma settimo dell'art. 16), di detti fondi ai programmi integrati costituisce una deviazione dal criterio base, alterando irrazionalmente il principio della competenza decisoria regionale, che ben potrebbe esplicarsi con la destinazione dei fondi stessi all'edilizia residenziale comunale, prescindendo dal criterio di priorità determinato dalla adozione dei programmi integrati”.

 

Il comma 2 prevede che i fondi destinati dalla regione alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati, possono essere assegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere utilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il trasferimento e la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili interessati dagli interventi.

 

Tale disposizione appare in linea con quanto disposto dal comma 2 dell’art. 11 della legge n. 179/1992 (la cui applicazione - del resto - viene richiamata dal successivo art. 22 della proposta in esame), che prevede che nell’attuazione di interventi di recupero con i fondi dell’edilizia sovvenzionata, le disponibilità “possono essere utilizzate anche per la realizzazione o l'acquisto di alloggi per il trasferimento temporaneo degli abitanti degli immobili da recuperare”.

 


Articolo 22
(Programmi di iniziativa privata)

 

 


1. I proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, individuate ai sensi dell'articolo 17, comma 1, rappresentanti, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare in forma singola o associata proposte di programmi integrati di intervento.

2. Ai fini dell'attuazione del presente articolo, si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui al capo IV della legge 17 febbraio 1992, n. 179.

3. I comuni possono assegnare i fondi di cui all'articolo 21, comma 2, direttamente ai privati e ai consorzi, pubblici e privati, che hanno fatto richiesta di attivazione di un programma integrato di intervento.

4. I comuni possono promuovere o partecipare ai programmi integrati di intervento anche attraverso l'utilizzo dei fondi di cui all'articolo 5, comma 1, e all'articolo 11 della legge 17 febbraio 1992, n. 179.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame riconosce ai proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione individuate ai sensi dell'articolo 17, comma 1, la facoltà di presentare in forma singola o associata proposte di programmi integrati di intervento.

Quale condizione per l’esercizio della citata facoltà viene stabilito che i soggetti indicati rappresentino, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati.

 

La norma in commento riproduce la facoltà concessa in via generale ai soggetti privati (singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro) di presentare al comune programmi integrati, dall’art. 16, comma 2, della legge n. 179/1992. Rispetto a tale disposizione, tuttavia, viene esteso il vincolo recato dall’art. 30, comma 1, della legge n. 457/1978, secondo cui “i proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone di recupero, rappresentanti, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare proposte di piani di recupero”.

 

Il comma 2 rinvia alle norme in materia di recupero del patrimonio edilizio esistente, in quanto compatibili, dettate dal capo IV della legge n. 179/1992 (artt. 11-15).

 

Si ricorda, brevemente, che l’art. 11 della legge n. 179/1992, con cui si apre il capo IV della legge, prevede che le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per:

“a) interventi di edilizia residenziale pubblica nell'ambito di programmi di riqualificazione urbana;

b) interventi di recupero, di cui alle lettere b), c), d) ed e) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, di immobili con destinazione residenziale non inferiore al 70 per cento della superficie utile complessiva di progetto o di immobili non residenziali funzionali alla residenza. Le disponibilità destinate ai predetti interventi di recupero sono altresì utilizzate, ove occorra, per l'acquisizione degli immobili da recuperare e per l'adeguamento delle relative urbanizzazioni”.

Il comma 2 dell’art. 11, inoltre, dispone che “ai fini di cui al comma 1, le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per la realizzazione o l'acquisto di alloggi per il trasferimento temporaneo degli abitanti degli immobili da recuperare”.

Il successivo art. 12 disciplina le modalità di concessione, da parte della regione, dei contributi “di cui all'articolo 19 della legge 5 agosto 1978, n. 457, come integrato dall'articolo 6 della presente legge, nei limiti determinati dal CER, anche per opere di risanamento di parti comuni degli immobili, ai proprietari singoli, riuniti in consorzio o alle cooperative edilizie di cui siano soci, ai condominii o loro consorzi e ai consorzi tra i primi ed i secondi, al fine di avviare concrete iniziative nel settore del recupero del patrimonio edilizio esistente. Detti contributi possono essere concessi altresì ad imprese di costruzione, o a cooperative edilizie alle quali i proprietari o i soci abbiano affidato il mandato di realizzazione delle opere.

Viene altresì disposto che, per l'individuazione dei soggetti da ammettere ai citati benefici, i comuni sono tenuti alla formazione di programmi di intervento, anche su proposta di singoli operatori, per zone del territorio comunale o singoli fabbricati.

L’articolo 13, modificativo dell’art. 28 della legge n. 457/1978 dispone, in merito all’attuazione dei piani di recupero, che essa avviene da parte:

a) dei proprietari singoli o riuniti in consorzio o delle cooperative edilizie di cui siano soci, delle imprese di costruzione o delle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all'esecuzione delle opere, dei condominii o loro consorzi, dei consorzi fra i primi ed i secondi, nonché degli IACP o loro consorzi, di imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e di cooperative o loro consorzi;

b) dei comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a).

Lo stesso articolo disciplina poi i casi in cui i piani sono attuati dai comuni.

Viene inoltre stabilito che i comuni, “sempre previa diffida, possono provvedere all'esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute” e che gli stessi comuni “possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero”.

Il comma 2 dell’art. 13 attribuisce al comune la facoltà di delegare in tutto o in parte con apposita convenzione l'esercizio delle sue competenze all'istituto autonomo per le case popolari competente per territorio o al relativo consorzio regionale o a società miste alle quali partecipi anche il comune.

Infine l’art. 14 disciplina gli interventi ammessi, mentre l’art. 15 reca alcune disposizioni per gli edifici condominiali.

 

Il comma 3 consente ai comuni di assegnare i fondi, attribuitigli dalle regioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente ai sensi dell'art. 21, comma 2, direttamente ai privati e ai consorzi, pubblici e privati, che hanno fatto richiesta di attivazione di un programma integrato di intervento.

 

Il comma 4, infine, prevede che i comuni possono promuovere o partecipare ai programmi integrati di intervento anche attraverso l'utilizzo dei seguenti fondi istituiti dalla legge n. 179/1992:

§      il fondo di cui all'articolo 5, comma 1;

L’art. 5, comma 1, ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 1992, presso la sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti, un fondo speciale di rotazione per la concessione di mutui decennali, senza interessi, finalizzati all'acquisizione e all'urbanizzazione di aree edificabili ad uso residenziale, nonché all'acquisto di aree edificate da recuperare. I rimanenti commi dell’articolo recano la disciplina del fondo.

§      le risorse di cui all'articolo 11 (sopra richiamato).

 


Testo della proposta di legge
(A.C. 15)

 


N. 15

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA

 

d’iniziativa dei deputati

REALACCI, LUPI, IANNUZZI, CIRO ALFANO, ANGELI, ASTORE, ATTILI, BARANI, BARATELLA, BELLANOVA, BENVENUTO, BIANCHI, BOCCI, BOFFA, BUCCHINO, BUGLIO, BURTONE, CACCIARI, CALGARO, CALÒ, CARRA, CARTA, CASTAGNETTI, CECCUZZI, CENTO, CESARIO, CHIANALE, CHIAROMONTE, CHITI, CIALENTE, CICCIOLI, GIULIO CONTI, CORDONI, CRISCI, D'ANTONA, DATO, DE BRASI, DE CASTRO, DE MITA, DE ZULUETA, DIONISI, DUILIO, EVANGELISTI, FADDA, GIANNI FARINA, FARINONE, FASCIANI, FEDI, FIANO, FISTAROL, FOLENA, FRANCI, FRANZOSO, FRIGATO, FRONER, GALEAZZI, GHIZZONI, GIACHETTI, GIANCARLO GIORGETTI, GIULIETTI, GRASSI, GRILLINI, JANNONE, LANZILLOTTA, LARATTA, LEDDI MAIOLA, LISI, LOMAGLIO, LOVELLI, LUCÀ, LUCCHESE, LUSETTI, MANTINI, MARGIOTTA, MARIANI, MARINO, META, MIGLIOLI, MISIANI, MISURACA, MONDELLO, MONGUZZI, MORRONE, MOSELLA, MOTTA, MUSI, NAN, NANNICINI, OSVALDO NAPOLI, NICCHI, NUCARA, OLIVERIO, OTTONE, PALOMBA, PAROLI, PEDRINI, PEZZELLA, PICANO, ROCCO PIGNATARO, PINOTTI, PIRO, PISCITELLO, RAITI, ROSSI GASPARRINI, ROSSO, ROTONDO, RUGGERI, RUGGHIA, RUSCONI, PAOLO RUSSO, RUTA, SANGA, SANNA, SASSO, SATTA, SCHIRRU, SERVODIO, SORO, SPINI, SQUEGLIA, STRADELLA, SUPPA, TENAGLIA, TOCCI, TOLOTTI, TUCCI, VALDUCCI, VANNUCCI, VICHI, VICO, VILLARI, VIOLA, ZACCHERA, ZANELLA, ZANETTA, ZANOTTI, ZUNINO

¾

 

Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette

 

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Presentata il 28 aprile 2006

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, che contiene norme dirette a migliorare le condizioni di vita nelle aree del «disagio insediativo», nasce dalla consapevolezza delle grandi potenzialità delle aree in questione in termini di turismo, produzioni tipiche e risorse culturali e ambientali, quindi dalla volontà di valorizzare tale patrimonio. Le proposte concrete e le soluzioni operative in essa contenute derivano da numerose iniziative promosse negli anni passati, su tutto il territorio nazionale, da Legambiente e Confcommercio in collaborazione con la Federazione italiana parchi e riserve naturali, con la Confederazione italiana agricoltori, con la Coldiretti, con l'Unione delle province italiane e con l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani.

Il testo di tale proposta di legge, peraltro, riproduce nella prima parte il testo della proposta di legge atto Camera n. 1174 della XIV legislatura, presentata da deputati appartenenti a tutti i gruppi parlamentari e approvata pressoché all'unanimità dalla Camera dei deputati.

L'armonica distribuzione della popolazione sul territorio è una ricchezza insediativa che rappresenta una peculiarità e una garanzia del nostro sistema sociale e culturale, una certezza nella manutenzione del territorio e una opportunità di sviluppo economico. In Europa, Francia e Italia sono le nazioni dove la popolazione è maggiormente distribuita; nel nostro Paese 5.868 comuni hanno meno di 5 mila abitanti, pari al 72 per cento dei comuni italiani. Viviamo una ricchezza insediativa che il Cattaneo ha descritto come «l'opera di diffondere equabilmente la popolazione», «frutto di secoli» e di una «civiltà generale, piena e radicata» che ha favorito la distribuzione «generosamente su tutta la faccia del Paese».

Ma lo spopolamento e l'impoverimento di vaste aree - soprattutto pedemontane, montane e insulari - hanno nel secondo dopoguerra assunto caratteri strutturali delineando un'Italia che possiamo definire del «disagio insediativo», che interessa tutto l'arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro-meridionale, nelle parti montuose e interne della Sardegna e della Sicilia; attecchisce nel robusto «piede d'appoggio» meridionale, risale gli Appennini dalla Calabria all'Abruzzo, interessando pesantemente la Basilicata, dove ben 97 comuni sono a rischio progressivo di estinzione, e si apre, affievolendosi, verso nord, secondo una biforcazione che tocca aree interne delle Marche e della Toscana meridionale.

Tale spopolamento fa sì che l'Italia sia diventata un Paese ad alto rischio geologico, afflitto quasi annualmente da gravi episodi di natura ambientale (terremoti, alluvioni ed eruzioni) ma in buona misura anche da consumo eccessivo di suolo (spesso abusivo), incuria e, naturalmente, abbandono. Quantitativamente il dissesto idrogeologico (frane e alluvioni) nel periodo 1918-1990 riguarda 373 comuni (quasi il 5 per cento del totale) (Fonte CNR). A questo dato vanno aggiunti 2.678 comuni colpiti da frane e 1.727 da alluvioni, per un totale di 4.405 comuni colpiti: oltre il 50 per cento dei comuni italiani è stato colpito negli ultimi sessanta anni da calamità «naturali». Secondo il CRESME (dati Progetto AVI del CNR) le regioni nelle quali sono state censite più frane sono la Campania (oltre 1.600), l'Abruzzo, la Liguria e la Lombardia, con oltre 1.300 eventi. Le alluvioni hanno interessato il Veneto con oltre 2.000 eventi, il Piemonte e l'Emilia-Romagna (bacino del Po), la Toscana (Arno) e il Friuli-Venezia Giulia, con oltre 1.000 eventi.

Tale situazione scaturisce anche dalla mancanza di manutenzione, attività storicamente svolta dagli agricoltori e oggi non più adeguatamente sviluppata.

Sempre secondo il CRESME, si stimano costi annuali causati da catastrofi ambientali pari a circa 30-40 miliardi di euro; di questi circa due sono spesi per le sole «terapie intensive», per un totale di circa 100 miliardi di euro negli ultimi cinquanta anni. Quantificando i danni «derivanti dai soli eventi riferibili alla scarsa tutela e gestione del territorio», emerge un ticket annuale di circa quattro miliardi di euro.

Un disagio che rischia di divenire profondo con la crescente rarefazione, dei servizi al cittadino: servizi pubblici accorpati per il contenimento dei costi (uffici postali, presìdi territoriali scolastici, sanità eccetera); insufficiente manutenzione del territorio; esercizi commerciali privi di una domanda adeguata per la loro sopravvivenza. Dunque, come la questione sanità che rappresenta forse la prima preoccupazione per chi vive in contesti isolati, così i servizi territoriali e commerciali rappresentano una condizione di vivibilità essenziale, peraltro riconosciuta e supportata dalla stessa Unione europea.

Fenomeni di disagio si ripetono in numerose nazioni dell'Unione europea, che hanno già avviato politiche locali e generali di intervento per riportare le popolazioni nei piccoli comuni, per avviare una nuova fase di sviluppo e arginare preoccupanti fenomeni come quelli della desertificazione. Le azioni, pur nella loro diversità, muovono da una comune convinzione, ovvero che lo «sviluppo locale passa per il rafforzamento della più importante delle ricchezze che è la risorsa umana».

I tentativi sono avviati con più o meno successo, ma con la consapevolezza che gli interventi vanno mirati con modalità diverse a seconda del Paese e dei territori interessati. Alcuni esempi: in Svezia, all'inizio degli anni novanta, è stata lanciata una campagna nazionale («Hela Sveriga Ska leva/Tutta la Svezia deve vivere») in cui si invitano tutti i cittadini a prendere l'iniziativa ed attivarsi nell'organizzazione della vita e dei servizi sociali all'interno dei villaggi. Dopo quasi un decennio sono tremilacinquecento i gruppi locali attivatisi che si occupano dello sviluppo di servizi alla popolazione e gestiscono numerosi investimenti, migliaia di posti di lavoro e centri di telelavoro.

In Irlanda l'esperienza dell'azione di una associazione come la Rural Resettlement Ireland ha ispirato l'attuazione negli anni '90 di un programma pilota cofinanziato dall'Unione europea.

In Finlandia non esiste una politica nazionale specifica, ma alcune iniziative locali tendono a invogliare le famiglie a trasferirsi dai centri più grandi in campagna.

In Spagna, in particolare in Aragona, sono state attivate con successo politiche di accoglienza anche di lavoratori provenienti dall'Argentina, offrendo loro casa e lavoro.

In Francia sono stati avviati un ampio dibattito e numerose sperimentazioni sulle politiche di accoglienza nei centri minori e in special modo nel Limousine si tentano e si premiano soluzioni innovative e progetti di inserimento.

In Italia, invece, sostanzialmente, oltre agli interventi previsti dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97 (cosiddetta «legge sulla montagna»), non si intravedono altri strumenti di sistema a sostegno e sviluppo di politiche di accoglienza nei piccoli comuni. Fatta eccezione per le possibilità che il progetto «Appennino parco d'Europa» (APE) - ideato da Legambiente e regione Abruzzo e avviato in collaborazione con il Servizio conservazione della natura dell'allora Ministero dell'ambiente e già finanziato per progetti infrastrutturali a valenza nazionale - dischiude alla volontà di enti locali e territoriali di praticare concretamente e sviluppare queste politiche di salvaguardia e di valorizzazione nei territori della dorsale appenninica che attraversa e unisce l'Italia dal nord al sud fino alla Sicilia.

Con APE emerge un'immagine dell'Appennino quale grande sistema ambientale e territoriale di valore europeo e internazionale, fortemente connotato dalla presenza di aree protette e nel quale, proprio per questo, è possibile sperimentare l'avvio di politiche di conservazione e di sviluppo sostenibile.

Con la proposta di legge si vogliono mettere in rete una serie di iniziative in grado di fare «sistema» nelle aree interne maggiormente disagiate per far sì che divenga conveniente abitare, ad esempio, in un piccolo comune della Basilicata, della Calabria o dell'Appennino tosco-emiliano. Si vogliono delineare concrete misure per il sostegno ai piccoli comuni e alle attività economiche, agricole, commerciali e artigianali, secondo forme coerenti con le peculiarità dei territori dei piccoli comuni, che potranno rappresentare un investimento per il rilancio sociale ed economico e per la valorizzazione del patrimonio ambientale e storico-culturale di queste aree. Agevolazioni sull'affitto, il mantenimento delle strutture scolastiche e dei presìdi sanitari, delle stesse caserme dell'Arma dei carabinieri, la possibilità di pagare le bollette negli esercizi commerciali recuperando la figura dei vecchi «empori», la garanzia di avere un distributore di benzina, sono le condizioni essenziali per invertire un trend che rischia di creare solamente disagi al nostro Paese.

Nella competitività territoriale non esistono aree sciaguratamente deboli, ma soltanto aree non messe in condizione di competere e dunque costrette a tenere «sotterrati i propri talenti». Per trasformare un problema in opportunità, impedendo che una «grande fetta» della superficie del Paese resti marginalizzata e non letta quale opportunità di crescita economica e di riequilibrio territoriale, è necessario creare le precondizioni per lo sviluppo - sinteticamente, nelle aree fragili del nostro Paese queste si chiamano «servizi territoriali» - che evitino le politiche di generalizzato sostegno del secondo dopoguerra e che siano mirate e selettive, attuate secondo forme di partnership tra pubblico e privato, capaci di esprimere un positivo bilancio economico, ambientale e intergenerazionale.

Il mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali e di esercizi commerciali nei territori dei piccoli comuni costituisce una delle condizioni per una loro rivitalizzazione economica.

Lo sviluppo imprenditoriale e agricolo, si avvale di incentivi e di nuove opportunità, anche di piccole dimensioni caratterizzandosi in micro-attività puntuali e diffuse, che saranno comunque in grado di attivare circoli economici virtuosi, capaci di arrecare sicuri benefìci ambientali soprattutto applicando l'innovazione tecnologica. Sarà inoltre possibile recuperare, attraverso tali attività, anche molte forme di manualità storicamente presenti nelle esperienze lavorative degli addetti locali.

In linea con le misure dirette a valorizzare il patrimonio ambientale e storico-culturale dei piccoli comuni, sono gli interventi, contemplati dal capo III della proposta di legge, finalizzati al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree protette.

È noto, infatti, che queste aree, quando sono antropizzate, hanno un tessuto urbano fatto di piccoli e piccolissimi comuni, che costituiscono un patrimonio di valore inestimabile e di importanza fondamentale per la salvaguardia dell'identità storico-culturale dell'intero Paese.

Tali centri minori registrano, da un lato, costanti fenomeni di spopolamento, dovuti anche al progressivo invecchiamento della popolazione, dall'altro elementi di degrado e di manomissione del patrimonio edilizio preesistente, che rischiano di cancellarlo per sempre o comprometterlo irreversibilmente.

Si tratta di interventi non appropriati che trovano il loro fondamento talora in disposizioni eccezionali, altre volte nell'emulazione di modelli forniti dalla società moderna, che ha indotto il piccolo risparmio o l'emigrazione di ritorno ad alterare i caratteri tradizionali dei vecchi centri o a realizzare agglomerati e case sparse, talvolta simili a periferie urbane con tipologie improprie e d'impatto notevole.

A fronte di tale situazione, la legge-quadro sulle aree protette (legge 6 dicembre 1991, n. 394) - nel definire un complesso e articolato quadro normativo per l'istituzione e la gestione di aree naturali protette al fine di «garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese» - all'articolo 7 ha attribuito priorità nella concessione di finanziamenti agli interventi di restauro dei centri storici e degli edifici di particolare valore storico e culturale e al recupero dei nuclei abitati rurali.

In tale panorama, si inseriscono le misure contemplate dalla presente proposta di legge. Essa - a fronte dell'esistenza nei comuni compresi nelle aree protette di un'edilizia «impropria», spesso simile a quella delle periferie urbane - propone di recuperare i caratteri tipici dei luoghi, attraverso tipologie e materiali appropriati al contesto ambientale.

Tale finalità può essere realizzata valorizzando uno strumento già contemplato dalla normativa vigente, il programma integrato d'intervento di cui alla legge 17 febbraio 1992, n. 179. Attraverso una più puntuale definizione del suo contenuto, tale strumento appare infatti funzionale alla realizzazione di interventi, che, mediante una rilettura dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, siano rivolti alla riqualificazione ambientale, urbanistica ed edilizia.


 


proposta

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Capo I

FINALITÀ

 

Art. 1.

(Finalità della legge).

1. La presente legge, nel rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha lo scopo:

a) di promuovere e sostenere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali esercitate nei piccoli comuni e di tutelare e valorizzare il patrimonio naturale, rurale e storico-culturale custodito in tali comuni, favorendo altresì l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività economiche, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali;

b) di valorizzare e riqualificare le aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni, attraverso misure volte a favorire interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali in esse compresi.

 

Capo II

DISPOSIZIONI CONCERNENTI I COMUNI CON POPOLAZIONE PARI O INFERIORE A 5.000 ABITANTI E I PICCOLI COMUNI

 

Art. 2.

(Definizione di piccoli comuni).

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 3, ai fini della presente legge, per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, compresi in una delle seguenti tipologie:

a) comuni collocati in aree territorialmente dissestate;

b) comuni in cui si registrano evidenti situazioni di marginalità culturale, economica o sociale, con particolare riguardo a quelli nei quali negli ultimi dieci anni si sia verificato un significativo decremento della popolazione residente;

c) comuni siti in zone, in prevalenza montane, caratterizzate da difficoltà di comunicazione ed estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni ovvero il cui territorio sia connotato da particolare ampiezza e dalla frammentazione dei centri abitati in più frazioni.

2. Solo ai fini delle agevolazioni finanziarie previste dalla presente legge, non sono comunque considerati piccoli comuni i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nei quali si registra un'elevata densità di attività economiche e produttive, anche per la vicinanza con grandi centri metropolitani.

3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è definito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei piccoli comuni ai sensi dei commi 1 e 2.

4. L'elenco di cui al comma 3 è aggiornato ogni tre anni con le medesime procedure di cui al citato comma 3.

5. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3 e 4 sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimere entro un mese dalla data di trasmissione.

6. Le regioni, nell'ambito delle funzioni ad esse riconosciute dalle norme di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione, definiscono ulteriori interventi per il raggiungimento delle finalità di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a).

7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, per il proprio territorio, all'individuazione dei comuni ai sensi del comma 3 nonché, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, alle finalità della presente legge.

 

Art. 3.

(Disposizioni concernenti tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti).

1. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, le regioni, in attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, promuovono iniziative per l'unione di comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, nelle forme previste dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per la costituzione di consorzi e per l'esercizio in forma associata, anche avvalendosi di soggetti privati, dei servizi comunali e di specifiche funzioni.

2. Le unioni di comuni di cui al comma 1 adottano piani pluriennali di opere e interventi e individuano gli strumenti idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio-economico, ivi compresi quelli previsti dall'Unione europea, dallo Stato e dalla regione, che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali operativi di esecuzione del piano.

3. I piani pluriennali di sviluppo socio-economico hanno come finalità principale il consolidamento e lo sviluppo delle attività economiche ed il miglioramento dei servizi, nonché l'individuazione delle priorità di realizzazione degli interventi di salvaguardia e valorizzazione dell'ambiente anche mediante la conservazione del patrimonio monumentale, dell'edilizia rurale, dei centri storici e del paesaggio rurale, da porre al servizio dell'uomo a fini di sviluppo civile e sociale.

4. Le unioni di comuni, attraverso le indicazioni urbanistiche del piano pluriennale di sviluppo, concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento previsto dall'articolo 20 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

5. Il piano pluriennale di sviluppo socio-economico ed i suoi aggiornamenti sono adottati dalle unioni di comuni ed approvati dalla provincia secondo le procedure previste dalla legge regionale.

6. In tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti le funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi sono disciplinate a livello regolamentare da ciascun ente e possono essere affidate anche ad un organo monocratico interno o esterno all'ente.

7. Nei comuni di cui al comma 6 le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente. Ove ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.

8. I comuni di cui al comma 6 non sono tenuti all'osservanza delle seguenti disposizioni:

a) articoli 197, 229 e 230 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

b) articolo 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448;

c) articolo 14, commi 3, 5, 6, 7, 9, secondo periodo, e 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109;

d) articoli 11, 13 e 14 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554;

e) decreti del Ministro dei lavori pubblici 21 giugno 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 27 giugno 2000, e 4 agosto 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 29 settembre 2000.

9. Al fine di favorire, nei comuni di cui al comma 6, il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell'erogazione di acqua, energia, gas e ogni altro servizio, può essere utilizzata, per l'attività di incasso e di trasferimento di somme, previa convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze, la rete telematica gestita dai concessionari dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato per la raccolta dei giochi.

10. I comuni di cui al comma 6, anche in associazione o partecipazione tra di loro, possono stipulare con le diocesi cattoliche convenzioni per la salvaguardia e il recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari delle parrocchie. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che abbiano stipulato intese con lo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, per la salvaguardia e il recupero dei beni di cui al primo periodo nella disponibilità delle rappresentanze medesime. Le convenzioni sono finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali con le risorse di cui all'articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni. A tale fine, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere della Conferenza Stato-città e autonomie locali, sono stabiliti i criteri di accesso ai finanziamenti nonché la quota delle predette risorse destinata agli stessi.

11. I comuni di cui al comma 6 possono stipulare intese finalizzate al recupero delle stazioni ferroviarie disabilitate e delle case cantoniere dell'ANAS Spa al fine di destinarle, ricorrendo all'istituto del comodato a favore delle organizzazioni di volontariato, a presìdi di protezione civile e di salvaguardia del territorio ovvero, anche di intesa con la società Sviluppo Italia Spa, a sedi permanenti di promozione dei prodotti tipici locali.

12. Le regioni possono promuovere interventi per la realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici situati nei comuni di cui al comma 6 e alla diffusione di servizi via banda larga nei medesimi comuni.

13. Le regioni possono altresì incentivare l'adozione da parte dei comuni di cui al comma 6 di misure atte a tutelare l'arredo urbano, l'ambiente e il paesaggio, favorendo l'utilizzo di materiali di costruzione locali, l'installazione di antenne collettive per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive via satellite, la limitazione dell'impatto ambientale dei tracciati degli elettrodotti e degli impianti per telefonia mobile e radiodiffusione.

14. Al fine di favorire il riequilibrio anagrafico e di promuovere e valorizzare le nascite nei comuni di cui al comma 6, il Governo è autorizzato ad apportare all'articolo 30 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, le modifiche e le integrazioni necessarie a prevedere che i genitori residenti in uno dei comuni di cui al medesimo comma 6 possano richiedere, all'atto della dichiarazione resa nei termini e con le modalità di cui al citato articolo 30, che la nascita dei figli sia acquisita agli atti dello stato civile come avvenuta nel comune di residenza dei genitori medesimi, anche qualora il parto si sia verificato presso il territorio di un altro comune, purché ricompreso all'interno del territorio della medesima provincia.

15. All'articolo 135 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, alla lettera d) sono aggiunte infine le parole: «, con particolare riferimento al territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti».

 

Art. 4.

(Incentivi alle pluriattività).

1. L'articolo 17 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, e successive modificazioni, si applica a tutti i piccoli comuni anche ai fini del recupero delle terre incolte ai sensi della legge 4 agosto 1978, n. 440.

 

Art. 5.

(Attività e servizi).

1. Per garantire finalità di sviluppo sostenibile e un equilibrato governo del territorio, lo Stato, le regioni, le province, le unioni di comuni, le comunità montane e gli enti parco, per quanto di rispettiva competenza, assicurano, nei piccoli comuni, l'efficienza e la qualità dei servizi essenziali, con particolare riferimento all'ambiente, alla protezione civile, all'istruzione, alla sanità, ai servizi socio-assistenziali, ai trasporti e ai servizi postali.

2. Ai fini di cui al comma 1, presso i piccoli comuni possono essere istituiti centri multifunzionali nei quali concentrare una pluralità di servizi quali i servizi ambientali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato e di associazionismo culturale, commerciali e di sicurezza. Le regioni e le province possono concorrere alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi.

3. Per lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e alla manutenzione del territorio, i centri multifunzionali di cui al comma 2 possono stipulare convenzioni e contratti di appalto con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.

4. Nell'ambito delle finalità di cui al presente articolo, le regioni e le province possono privilegiare, nella definizione degli stanziamenti finanziari di propria competenza, le iniziative finalizzate all'insediamento nei piccoli comuni di centri di eccellenza per la prestazione dei servizi di cui al comma 2, quali istituti di ricerca, laboratori, centri culturali e sportivi.

 

Art. 6.

(Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali).

1. Il Ministero delle politiche agricole e forestali favorisce, d'intesa con le associazioni rappresentative degli enti locali, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie produttive interessate, la promozione e la commercializzazione, anche mediante un apposito portale telematico, dei prodotti agroalimentari tradizionali dei piccoli comuni, anche associati, di cui al decreto del direttore generale delle politiche agricole ed agroindustriali nazionali del Ministero delle politiche agricole e forestali 18 luglio 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 21 agosto 2000.

2. I piccoli comuni possono indicare nella cartellonistica ufficiale i rispettivi prodotti agroalimentari tradizionali, preceduti dalla dicitura «Luogo di produzione del ....» posta sotto il nome del comune e scritta in caratteri minori rispetto a quelli di quest'ultimo.

3. Per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali nonché per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari e culturali locali e per la salvaguardia, l'incremento e la valorizzazione della locale fauna selvatica, i piccoli comuni, singoli o associati, possono stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.

4. Ai fini di cui all'articolo 10, comma 8, della legge 21 dicembre 1999, n. 526, e successive modificazioni, nel territorio dei piccoli comuni gli esercizi di somministrazione e di ristorazione possono essere considerati consumatori finali.

 

Art. 7.

(Programmi di e-Government).

1. I progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata, conformi ai requisiti prescritti dalla legislazione vigente nazionale e comunitaria, hanno la precedenza nell'accesso ai finanziamenti pubblici per la realizzazione dei programmi di e-Government. In tale ambito sono prioritari i collegamenti informatici dei centri multifunzionali di cui all'articolo 4, comma 2.

2. Il Ministro per l'innovazione e le tecnologie nella pubblica amministrazione nell'individuare le specifiche iniziative di innovazione tecnologica per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti ai sensi del comma 2, lettera g), dell'articolo 26 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, indica prioritariamente quelle riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata.

 

Art. 8.

(Servizi postali e programmazione televisiva pubblica).

1. Il Ministero delle comunicazioni provvede ad assicurare, mediante un'apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario del servizio postale universale, che gli sportelli postali siano attivi in tutti i piccoli comuni.

2. L'amministrazione comunale può altresì stipulare apposite convenzioni, di intesa con le organizzazioni di categoria e con Poste italiane Spa, affinché il pagamento dei conti correnti, in particolare di quelli relativi alle imposte comunali e dei vaglia postali nonché le altre prestazioni possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali presenti nel territorio comunale.

3. Il Ministero delle comunicazioni provvede, altresì, ad assicurare che nel contratto di servizio con il concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l'obbligo di prestare particolare attenzione, nella programmazione televisiva pubblica nazionale e regionale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche dei piccoli comuni.

 

Art. 9.

(Istituti scolastici).

1. Le regioni possono stipulare convenzioni con gli uffici scolastici regionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per finanziare il mantenimento in attività degli istituti scolastici statali aventi sede nei piccoli comuni che dovrebbero essere chiusi o accorpati ai sensi delle disposizioni vigenti in materia. In particolare, le regioni agevolano forme sperimentali di teleinsegnamento.

2. In deroga a quanto disposto dall'articolo 17, commi 20 e 21, della legge 15 maggio 1997, n. 127, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono cedere a titolo gratuito ad istituzioni scolastiche insistenti nei piccoli comuni personal computer o altre apparecchiature informatiche, quando siano trascorsi almeno due anni dal loro acquisto e l'amministrazione abbia provveduto alla loro sostituzione. Le cessioni sono effettuate prioritariamente alle istituzioni scolastiche insistenti in aree montane e non costituiscono presupposto ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle donazioni.

 

Art. 10.

(Interventi per lo sviluppo e l'incentivazione di attività commerciali).

1. Gli artigiani residenti nei piccoli comuni possono mostrare e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese.

2. I piccoli comuni possono deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.

 

Art. 11.

(Sistema distributivo dei carburanti).

1. Ad integrazione del Piano nazionale contenente le linee guida per l'ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti, di cui al decreto del Ministro delle attività produttive 31 ottobre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2001, le regioni, sentiti anche i comuni e le comunità montane, di intesa con le associazioni degli esercenti gli impianti di distribuzione dei carburanti, possono determinare le condizioni per assicurare, nei piccoli comuni, la presenza del servizio di erogazione quale servizio fondamentale. Alla copertura dei maggiori costi del servizio si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32.

 

Art. 12.

(Incentivi per l'insediamento nei piccoli comuni).

1. Al fine di favorire il riequilibrio insediativo e il recupero dei centri abitati, ciascuna regione, provincia o comune può disporre incentivi finanziari e premi di insediamento a favore di coloro che trasferiscono la propria residenza e dimora abituale o la sede di effettivo svolgimento della propria attività economica, impegnandosi a non modificarla per un decennio, da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune.

2. Gli incentivi e i premi di cui al comma 1 possono essere concessi anche ai residenti nei piccoli comuni, che intendono recuperare il patrimonio abitativo dei comuni stessi ovvero avviare in essi una attività economica.

3. Le regioni possono altresì attribuire alle organizzazioni di categoria il compito di contribuire allo sviluppo di progetti di insediamento e promozione delle attività economiche.

 

Art. 13.

(Agevolazioni in materia di servizio idrico).

1. Le regioni possono prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni, siti in zone prevalentemente montane, in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili sia superiore ai fabbisogni per i diversi usi.

 

Art. 14.

(Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni).

1. Ai fini della concessione di incentivi fiscali in favore dei piccoli comuni, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un apposito fondo.

2. A valere sulle disponibilità del fondo di cui al comma 1 si provvede alla copertura delle minori entrate derivanti:

a) da ulteriori misure agevolative concernenti l'imposta comunale sugli immobili destinati ad abitazione principale, in relazione al corrispondente aumento dei trasferimenti erariali volti a compensare le minori entrate per i comuni;

b) da ulteriori misure agevolative concernenti l'imposta di registro per l'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale.

3. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede annualmente, con proprio decreto, alla determinazione delle misure di cui al comma 2, lettera b), nei limiti del 30 per cento delle disponibilità del fondo di cui al comma 1.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede altresì annualmente, con proprio decreto, all'individuazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle restanti risorse tra i comuni, ai fini della concessione delle agevolazioni di cui al comma 2, lettera a).

5. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3 e 4 sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimere entro venti giorni dalla data di trasmissione.

6. Per la dotazione del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008. A decorrere dall'anno 2009, al finanziamento del fondo si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

7. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

8. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 15.

(Modifica all'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

1. Al comma 2 dell'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il limite di cui al presente comma non si applica ai sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti».

 

Capo III

DISPOSIZIONI CONCERNENTI LE AREE PROTETTE

 

Art. 16.

(Ambito di applicazione).

1. Il presente capo detta i princìpi fondamentali per la gestione e l'attuazione degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree naturali protette.

2. Il presente capo si applica ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e di quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale, compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette approvato con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2003.

3. Il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali nei territori di cui al comma 2 è finalizzato ai seguenti obiettivi:

a) individuare una politica di sviluppo delle aree naturali protette volta a tutelare e valorizzare il patrimonio storico e artistico e il paesaggio;

b) salvaguardare e tutelare la presenza antropica attraverso il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali;

c) garantire, attraverso i programmi di riqualificazione ambientale dei nuclei abitati urbani, oltre al recupero prettamente strutturale, formale e ambientale, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani nonché il recupero degli edifici e immobili dismessi;

d) garantire, attraverso i programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, oltre al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni ed i servizi urbani, nonché un adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali;

e) promuovere l'utilizzazione di forme e procedure di attuazione e di gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, anche attraverso l'intervento pubblico e privato, nel rispetto della normativa vigente in materia;

f) utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l'azione di incentivazione, promozione e gestione del patrimonio abitativo;

g) attuare le misure di incentivazione di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni.

 

Art. 17.

(Individuazione degli ambiti di recupero del patrimonio abitativo esistente nelle aree protette).

1. I comuni di cui all'articolo 16, comma 2, della presente legge individuano, attraverso i programmi integrati di intervento di cui all'articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, le zone urbane e rurali soggette al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, mediante interventi rivolti alla riqualificazione ambientale e alla riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale.

 

Art. 18.

(Programmi di riqualificazione ambientale).

1. I programmi di riqualificazione ambientale sono finalizzati, oltre che al recupero strettamente paesaggistico e ambientale, alla realizzazione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, al recupero di edifici ed immobili dismessi, all'utilizzo, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, di forme e materiali appropriati al contesto ambientale.

2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri urbani dei centri abitati per le tipologie e gli agglomerati urbani considerati incongruenti con il contesto ambientale.

 

Art. 19.

(Programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale).

1. I programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale sono finalizzati ad una riprogettazione degli insediamenti e mirano, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, a valorizzarne l'identità storica, culturale ed ambientale, anche attraverso un complesso integrato e organico di interventi riguardanti l'adeguamento degli standard abitativi, la determinazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi, il recupero di edifici e immobili dismessi.

2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri dei centri storici e, in caso di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici, nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sede di redazione dei programmi integrati di intervento e nei perimetri dei nuclei abitati rurali.

 

Art. 20.

(Rinvio alle leggi regionali).

1. Le leggi regionali definiscono le procedure per l'adozione dei programmi integrati e per il relativo coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.

 

Art. 21.

(Destinazione di fondi ai programmi integrati).

1. Le regioni possono destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente ai sensi della vigente normativa alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati.

2. I fondi di cui al comma 1 possono essere assegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere utilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il trasferimento e la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili interessati dagli interventi.

 

Art. 22.

(Programmi di iniziativa privata).

1. I proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, individuate ai sensi dell'articolo 17, comma 1, rappresentanti, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare in forma singola o associata proposte di programmi integrati di intervento.

2. Ai fini dell'attuazione del presente articolo, si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui al capo IV della legge 17 febbraio 1992, n. 179.

3. I comuni possono assegnare i fondi di cui all'articolo 21, comma 2, direttamente ai privati e ai consorzi, pubblici e privati, che hanno fatto richiesta di attivazione di un programma integrato di intervento.

4. I comuni possono promuovere o partecipare ai programmi integrati di intervento anche attraverso l'utilizzo dei fondi di cui all'articolo 5, comma 1, e all'articolo 11 della legge 17 febbraio 1992, n. 179.

 

 




[1]     L. 6 dicembre 1991, n. 394, Legge quadro sulle aree protette.

[2]     L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione.

[3]     L. 31 gennaio 1994, n. 97, Nuove disposizioni per le zone montane.

[4]     Si ricorda che, ai sensi dell’art. 109, co. 2, nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni dirigenziali (salvo quelle proprie del segretario comunale) possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione.

[5]     D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. I commi 1 e 2 dell’art. 5 hanno il seguente tenore:

      “1. Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, valutano, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative).

      2. La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene particolarmente conto dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai princìpi della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutato”.

[6]     IL Codice, ai sensi dell’art. 257, comma 1, è entrato in vigore il 1° luglio 2006, sessanta giorni dopo la pubblicazione nella G. U., avvenuta il 2 maggio 2006.

[7]     Il comma 3 prevede che il responsabile: a) formuli proposte e fornisca dati e informazioni al fine della predisposizione del programma triennale dei lavori pubblici e dei relativi aggiornamenti annuali, nonché al fine della predisposizione di ogni altro atto di programmazione di contratti pubblici di servizi e di forniture, e della predisposizione dell’avviso di preinformazione; b) curi, in ciascuna fase di attuazione degli interventi, il controllo sui livelli di prestazione, di qualità e di prezzo determinati in coerenza alla copertura finanziaria e ai tempi di realizzazione dei programmi; c) curi il corretto e razionale svolgimento delle procedure; d) segnali eventuali disfunzioni, impedimenti, ritardi nell’attuazione degli interventi; e) accerti la libera disponibilità di aree e immobili necessari; f) fornisca all’amministrazione aggiudicatrice i dati e le informazioni relativi alle principali fasi di svolgimento dell’attuazione dell’intervento, necessari per l’attività di coordinamento, indirizzo e controllo di sua competenza; g) proponga all’amministrazione aggiudicatrice la conclusione di un accordo di programma, ai sensi delle norme vigenti, quando si rende necessaria l’azione integrata e coordinata di diverse amministrazioni; h) proponga l’indizione, o, ove competente, indica la conferenza di servizi, ai sensi della legge n. 241 del 1990, quando sia necessario per l’acquisizione di intese, pareri, concessioni, autorizzazioni, permessi, licenze, nulla osta, assensi, comunque denominati.

[8]     Le due direttive riguardano rispettivamente gli appalti degli enti erogatori di acqua ed energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (dir. 2004/17/CE) e gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi (dir. 2004/18/CE).

[9]     T.U delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

[10]    Si ricorda che il controllo di gestione, ai sensi dell’art. 147, comma 1, lett. b), del T.U.E.L rientra tra le tipologie dei controlli interni che gli enti locali - nell'ambito della loro autonomia normativa ed organizzativa - hanno la facoltà di individuare ed è volto a verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati.

[11]    Si ricorda in via generale che conto economico, conto del bilancio e conto del patrimonio, sono i documenti contabili che costituiscono il rendiconto dell’ente (art. 227 T.U. enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000).

[12]    L’art. 115 del D.Lgs. 20 febbraio 1995, n. 77 (non confluito nel T.U. di cui al D.Lgs. n. 267/2000) prevedeva l’obbligo di redazione del conto economico da parte degli enti locali secondo scadenze temporali diverse in relazione alla dimensione demografica dell’ente, a partire dall’anno 1997 per i comuni di maggiori dimensioni.

      Per quanto riguarda i piccoli comuni, le scadenze ivi previste sono state via via prorogate nel corso degli anni, da ultimo dall’articolo 1, comma 539, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005), in base al quale i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti avrebbero dovuto provvedere alla redazione del conto economico nell’anno 2006.

      Con la disposizione di cui all’art. 1, co. 164 della legge finanziaria 2006, la disciplina del conto economico prevista dall’art. 229 del testo unico non trova più applicazione per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti.

[13]    Si ricorda, in via generale che la disciplina relativa alle modalità di acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni e i relativi compiti della Consip sono stati oggetto di numerosi interventi legislativi che si sono susseguiti, talvolta a distanza di pochi mesi, seguendo indirizzi talvolta ampliativi, talvolta restrittivi. Oggetto di numerose novelle sono stati in particolare le norme recanti la disciplina dell’acquisto di beni e servizi da parte di amministrazioni statali, centrali e periferiche. Da ultimo, a questo proposito, il decreto – legge n. 168 del 12 luglio 2004, all’art. 1, comma 4, modificando il testo dell’articolo 26 della legge finanziaria per il 2000 (legge n. 488/1999), ha esteso l’oggetto delle convenzioni-quadro stipulate dal Ministero dell’economia e delle finanze a tutti gli acquisti di beni e servizi, superando così la limitazione, introdotta dalla legge finanziaria 2004, per effetto della quale tali convenzioni riguardavano solo gli acquisti di beni e servizi a rilevanza nazionale.

      In secondo luogo, è ribadita la facoltà per le amministrazioni pubbliche di fare ricorso alle convenzioni CONSIP. Si prevede, peraltro, che, nel caso in cui le amministrazioni non utilizzino dette convenzioni, siano obbligate ad adottarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per l’acquisto di beni comparabili.

      Da tale obbligo sono comunque esclusi i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e i comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti.

[14]    L’art. 256 del decreto legislativo n. 163 del 2006, non ha abrogato l’intero D:P.R. n. 554 del 1999, ma solo alcune delle sue disposizioni (in particolare, gli artt 3, 4, 5, 6, 7, comma 6, 10, 16, comma 3, 55, 57, 59, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 84, 85, 87, comma 2, 88, comma 1, 89, comma 3, 91, comma 4, 92, commi 1, 2 e 5, 93, 94, 95 commi 5, 6 e 7, 115, 118, 119, 120, 121, 122, 142, comma 1, 143, comma 3, 144, commi 1 e 2, 149, 150 e 151).

[15]   Disposizioni integrative e correttive al Codice sono state poi adottate con D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 156, relativamente ai beni culturali e D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 157 relativamente al paesaggio

[16]    La quota è definita annualmente con decreto del ministro delle finanze, di concerto con i ministri per i beni e le attività culturali e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

[17]   Tale ultima finalità è stata aggiunta dall’art. 5, comma 9, della legge 23 febbraio 2001, n. 29.

[18]   Tale finalità è stata aggiunta dall’art. 3 comma 7 della citata legge 11 novembre 2003, n. 310.

[19]    La disabilitazione può essere, oltre che totale,  parziale (con riferimento ad un certo tipo di servizio).

[20]    In assenza, quindi del capo stazione.

[21]    Tale separazione è prevista dalla normativa comunitaria vigente come presupposto per la realizzazione del processo di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto ferroviario (si ricorda in particolare la direttiva 91/440/CE, recepita nel nostro ordinamento dal DPR n. 277/98). Si noti che la normativa comunitaria prevede l’obbligo della separazione contabile, mentre non sussiste l’obbligo della separazione societaria, pur costituendo questa un obiettivo auspicato.

[22]    Istituita il 1° giugno 2000.

[23]    Istituita il 1° luglio 2001.

[24]    Si rammenta che i Ministeri delle comunicazioni e dell’innovazione tecnologica hanno istituito già nell’anno 2001 una task force, il cui lavoro ha portato, in data 21 novembre 2001, alla pubblicazione di un rapporto che ha evidenziato l’importanza di uno sviluppo armonico delle tre componenti del sistema (tecnologie, servizi e domanda) e, quindi, di un ruolo del Governo di indirizzo, coordinamento e stimolo sull’offerta di infrastruttura e servizi e sulla domanda con interventi prevalentemente di natura indiretta atti a stimolare la domanda e l’offerta.

[25]   Viene infatti disposto che qualora la costruzione e la manutenzione straordinaria di una serie di opere pubbliche - strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, porti, interporti appartenenti allo Stato, alle regioni a statuto ordinario, agli enti locali e agli altri enti pubblici - comporti lavori di trincea o comunque di scavo del sottosuolo, è obbligatorio prevedere la realizzazione di cave di multiservizi o, comunque, cavidotti di adeguata dimensione, conformi alle norme tecniche UNI e CEI pertinenti, per il passaggio di cavi di telecomunicazioni e di altre infrastrutture digitali.

[26]    Infatti, essendo ormai del tutto scomparso il fenomeno dell’assistenza alla puerpera nel proprio domicilio, la fruizione dei servizi sanitari di assistenza al parto avviene presso ospedali pubbliche o case di cura private; essendo tali strutture concentrate nei comuni maggiori, avviene che nei piccoli comuni (generalmente sprovvisti di servizi sanitari adeguati) si assiste ad una diminuzione progressiva e costante di nuove nascite, motivo per cui queste saranno sempre più concentrate esclusivamente nei comuni che registrano la presenza di tali strutture sanitarie.

[27]    Sulla base della delega recata dall’art. 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137.

[28]    Tale Convenzione definisce regole comuni per la protezione, la pianificazione e la gestione dei paesaggi nel diritto internazionale. L'importanza della Convenzione sta anche nell'obbligo, per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa che la sottoscrivono, di adeguare le proprie leggi alle direttive previste.

[29]    L’accordo (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001) rappresenta un documento programmatico in cui lo Stato, da un lato, e gli enti territoriali, dall’altro, individuano le rispettive competenze in materia di pianificazione paesaggistica. Esso individua i criteri e le modalità per la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali. Prevede altresì che vengano individuati gli ambiti di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio, cui corrispondono specifici obiettivi di qualità paesistica.

[30]    Giustificata, nella relazione illustrativa, con l’intento di recepire l’orientamento costantemente manifestato dalla Corte costituzionale.

[31]    L. 4 agosto 1978, n. 440,Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate.

[32]  Si segnalano in proposito le seguenti leggi regionali: Abruzzo, L.R. 16 settembre 1982, n. 73/; Emilia-Romagna, L.R. 26 ottobre 1979, n. 37; Liguria, L.R. 11 aprile 1996, n. 18; Lombardia, L.R. 3 ottobre 1981, n. 61; Marche, L.R. 19 marzo 1980, n. 16; Molise, L.R. 8 maggio 1980, n. 11; Piemonte, L.R. 17 ottobre 1979, n. 61; Puglia, L.R. 17 luglio 1981, n. 41; Toscana, L.R. 3 novembre 1979, n. 53; provincia di Trento, L.P. 27 aprile 1981, n. 8; Umbria, L.R. 29 maggio 1980, n. 59; Veneto, L.R. 11 aprile 1980, n. 30.

[33]    L. 31 gennaio 1994, n. 97,Nuove disposizioni per le zone montane.

[34]    Gli indici dei prezzi al consumo misurano le variazioni nel tempo, rispetto al periodo scelto come base, dei prezzi di beni e servizi (paniere), acquistabili sul mercato e destinati al consumo finale delle famiglie presenti sul territorio del paese.

Il sistema degli indici dei prezzi è costituito da:

-        indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC)

-        indice armonizzato dei prezzi al consumo per i paesi dell’Unione europea (IPCA),

-        indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (FOI).

Gli indici nazionali NIC e FOI sono prodotti anche nella versione che esclude dal calcolo i tabacchi, ai sensi della legge n. 81 del 1992. I tre indici sono basati su un’unica raccolta di dati. Essa viene svolta in tutte le città capoluogo di provincia dagli Uffici comunali di statistica presso diverse unità di vendita. In complesso gli indici vengono calcolati su oltre 300.000 quotazioni di prezzo ogni mese, rilevate in 25.000 unità di vendita e 12.000 abitazioni. Le quotazioni di prezzo si riferiscono ad un paniere comune costituito da circa 930 prodotti, raggruppati in 577 posizioni rappresentative, 209 voci di prodotto, 107 categorie, 38 gruppi e 12 capitoli di spesa, secondo la classificazione COICOP’95 Rev.1.

Le principali regole di calcolo sono comuni ai tre indici.

I tre indici differiscono per il concetto di prezzo considerato, la popolazione di riferimento e i sistemi di ponderazione utilizzati.

[35]   Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 recante Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[36]   Alle gare possono partecipare i soggetti in possesso dei requisiti di idoneità morale, finanziaria e professionale richiesti, ai sensi della normativa vigente, per il conseguimento della prescritta abilitazione all'autotrasporto di viaggiatori su strada, con esclusione delle società che, in Italia o all'estero, gestiscono servizi in affidamento diretto o attraverso procedure non ad evidenza pubblica, e delle società dalle stesse controllate. Tale esclusione non opera limitatamente alle gare che hanno ad oggetto i servizi già espletati dai soggetti stessi. La gara è aggiudicata sulla base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, nonché dei piani di sviluppo e potenziamento delle reti e degli impianti, oltre che della fissazione di un coefficiente minimo di utilizzazione per la istituzione o il mantenimento delle singole linee esercite.

[37]   L’articolo 11, comma 3, della legge n. 166 del 2002 ha stabilito la prorogabilità (da parte delle regioni), per un biennio, e quindi fino al 31 dicembre 2005, del termine fissato; gli articoli 22 e 23 del decreto-legge n. 355/2003 hanno previsto rispettivamente il mantenimento in capo agli attuali concessionari dell’affidamento di alcuni servizi ferroviari di interesse regionale e locale fino al 31 dicembre 2004 e la proroga del termine del periodo transitorio fissato dall’articolo 18, comma 3- bis, del D.Lgs. 422/1997, per l’affidamento dello svolgimento dei soli servizi di trasporto automobilistici.

[38]   Il termine di due anni è stato introdotto dall’articolo 3, comma 2-bis, delD.L. 30 dicembre 2005, n. 273, recante Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 23 febbraio 2006, n. 51. La legge finanziaria per il 2006 aveva previsto il termine di un anno.

[39]   L’art 14 del DL n. 269/2003, modificando e integrando l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali sui servizi pubblici locali, ha delineato una disciplina generale - recante, tra l’altro, la possibilità dell’affidamento “in house” (ossia a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano); inizialmente il trasporto pubblico locale non è stato escluso dall’ambito di applicazione di questa disciplina, il che ne ha permesso l’applicazione anche a tale settore; l’articolo 1, comma 48, della legge 308/2004 (Delega ambientale) ha inserito un comma 1-bis all’articolo 113 del testo unico, a norma del quale il trasporto pubblico locale è escluso dall’ambito di applicazione della disciplina generale sui servizi pubblici locali, dovendosi pertanto applicare in tale ambito la disciplina “speciale” di settore.

[40]   Recante Disciplina dell’agriturismo. La legge n. 96 del 2006 ha abrogato e sostituito la precedente legge 5 dicembre 1985, n. 730, citata dall’articolo 17, comma 3, della legge n. 97 del 1994.

[41]    Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228,Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57.

[42]   Si tratta, specificamente, del decreto legislativo n. 155 del 26 maggio 1997, che ha dato attuazione alle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE sull’igiene dei prodotti alimentari.

[43]    Merita ricordare che tra le più recenti iniziative promosse dal MIPAF per la promozione del “made in Italy” agroalimentare vi è la creazione nel 2003 del portale “Naturalmente italiano” (affidato alla gestione di ISMEA), il quale fornisce informazioni sui prodotti di qualità, gli itinerari enogastronomici, manifestazioni ed eventi, nonché servizi alle imprese (guide all’esportazione, informazioni di mercato e strategie di marketing).

[44]    Il testo originario dell’articolo articolo 10, comma 8, della legge n. 526/1999(Legge comunitaria 1999)  è stato modificato al fine di prevedere che gli esercizi di somministrazione e di ristorazione sono considerati consumatori finali dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 99 del 2004.

[45]    Si ricorda che, ai sensi del provvedimento in esame, sono definiti piccoli comuni i comuni che, oltre ad avere una popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, rientrano in una delle categorie svantaggiate indicate all’art. 2, co. 1 (vedi sopra).

[46]    Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 maggio 2006, sono stati conferiti gli incarichi ai ministri senza portafoglio. Al prof. Luigi Nicolais è stato conferito l’incarico per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione.

[47]    Legge 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[48]   www.cnipa.gov.it/site/_files/egov_Fase2.pdf

[49]   Sui centri di servizi territoriali si veda Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, Linee guida per la costituzione e l’avvio dei CST, settembre 2005 (www.cnipa.gov.it)

[50]   Legge 27 dicembre 1997, n. 449 recante Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.

[51]   Legge 23 dicembre 1996, n. 662 recante Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[52]    Con riferimento, in particolare, alle esigenze dei piccoli comuni e dei comuni montani, si evidenzia che, in attuazione della delega contenuta nell'articolo 19, comma 1, lettera f), della legge 3 febbraio 2003, n. 14, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2002/39/CE, in via di definizione, prevede che sia assicurato il mantenimento delle prestazioni del servizio postale universale in modo tale da garantire servizi adeguati in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane. Tale compenso è stato forfetariamente determinato in lire 400 miliardi per l'anno 1998.

[53]   Decreto legislativo 23 dicembre 2003, n. 384 recante Attuazione della direttiva 2002/39/CE che modifica la direttiva 97/67/CE relativamente all'ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità

[54]    Legge 15 marzo 1997, n. 59, "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa” (c.c. legge “Bassanini-uno”). In attuazione dell’art. 21 della legge n. 59/1997 è stato adottato, innanzitutto, il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, che disciplina l'autonomia didattica, organizzativa e di ricerca delle istituzioni scolastiche il cui esercizio fanno perno sul Piano dell'offerta formativa (POF) adottato da ciascuna istituzione. Il quadro attuativo dell'autonomia scolastica ha visto, altresì, l'emanazione del D.M. 1 febbraio 2001, n. 44, recante istruzioni sulla contabilità e i criteri per la formazione del bilancio delle istituzioni scolastiche autonome, nonché del D.Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, che - novellando il testo del D.Lgs. 29/1993 sul pubblico impiego - ha istituito e disciplinato la qualifica dirigenziale per i capi di istituto e del D.Lgs. 30 giugno 1999, n. 233, che riordina gli organi collegiali della scuola a livello nazionale e territoriale.

[55]    Secondo quanto stabilito dal citato D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, l’autonomia si sostanzia nella predisposizione ed attuazione, da parte di ciascun istituto, di un Piano dell’offerta formativa (POF), che comprende anche attività extracurricolari ed educative progettate in relazione al contesto culturale e socioeconomico (iniziative di recupero, sostegno, orientamento scolastico e professionale, attivazione di insegnamenti facoltativi e percorsi didattici individualizzati). Uno dei cardini della nuova organizzazione è, pertanto, il principio della flessibilità, ciò che rende possibile: l'articolazione modulare dell'orario annuale di ciascuna disciplina; la definizione di unità di insegnamento non necessariamente coincidenti con l'unità oraria della lezione; la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale; l'attivazione di insegnamenti facoltativi e di percorsi didattici individualizzati.

[56]   D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[57]   Legge 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[58]    Si veda l’articolo 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto.

[59]   Di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 (Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59) che recita: “ Fondo per la razionalizzazione della rete. 1. È costituito presso la cassa conguaglio GPL il Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti nel quale confluiscono i fondi residui disponibili nel conto economico avente la medesima denominazione, istituito ai sensi del provvedimento CIP n. 18 del 12 settembre 1989 e successive integrazioni e modificazioni. Tale Fondo sarà integrato, per gli anni 1998, 1999 e 2000, attraverso un contributo calcolato su ogni litro di carburante per autotrazione (benzine, gasolio, GPL e metano) venduto negli impianti di distribuzione, pari a lire tre a carico dei titolari di concessione o autorizzazione e una lira carico dei gestori. Tali disponibilità sono utilizzate per la concessione di indennizzi, per la chiusura di impianti, ai gestori e ai titolari di autorizzazione o concessione, secondo le condizioni, le modalità e i termini stabiliti dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato con proprio decreto, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.

      In attuazione del presente articolo, è stato emanato il D.M. 24 febbraio 1999. L'integrazione del fondo è stata disposta per l'anno 2002 con l'art. 29, L. 12 dicembre 2002, n. 273.

[60]   Cfr. in particolare, Seduta del 14 dicembre 2005, n. 535 - Res. sommario. Commissione bilancio – sottocommissione pareri. Intervento sottosegretario Ventucci. In ordine alla revoca di prenotazione di risorse del fondo speciale, il governo rilevava che stante l’imminente conclusione dell’esercizio finanziario per l’anno 2005 e tenuto conto che nell’accantonamento del Fondo speciale interessato non sussistono risorse disponibili per la relativa copertura, confermava, tra l’altro, che la prenotazione dei fondi speciali relativi agli Atti Senato n. 1942, recante interventi a sostegno dei piccoli comuni, n. 2274, potevano essere revocate, anche al fine di consentire una rapida approvazione di altri provvedimenti prioritari, ferma restando la possibilità di riverificare le clausole di copertura in una successiva fase dei rispettivi iter.

[61]    D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[62]    Tale disposizione era stata originariamente introdotta dall’art. 2, co. 2, della L. 81/1993 (Elezione diretta del sindaco) e successivamente trasfusa nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali, con l’intento di “favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale”.

[63]   L.R. Friuli Venezia Giulia 10 maggio 1999 n. 13, Disposizioni urgenti in materia di elezione degli organi degli Enti locali, nonché disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale; il comma 2-bis dell’art. 1 della L. n. 13 è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, della L.R. 11 dicembre 2003, n. 21.

[64]   L.R. Valle d'Aosta 7 dicembre 1998, n. 54, Sistema delle autonomie in Valle d'Aosta. L’art. 30-bis è stato aggiunto dall'art. 18 della L.R. 31 marzo 2003, n. 8.

[65]   L. R. Trentino Alto Adige 30 novembre 1994, n. 3, Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei Consigli comunali nonché modifiche alla legge regionale 4 gennaio 1993, n. 11.

[66]   In relazione alle altre proposte di legge dirette alla modifica della disciplina della medesima materia pendenti alla Camera, si ricorda che l’esame di alcune di esse (A.C. 1173, 531, 940, 1775, 1994) era iniziato presso la I Commissione nel gennaio 2002, ma si era interrotto a seguito dell’esame, da parte del Senato, delle proposte di legge approvate in testo unificato il 31 marzo 2004 (A.C. 4870).

[67]   A.C. 186 (Lusetti), A.C. 293 (Pedrini), A.C. 485 (Paroli), A.C. 694( Patarino), A.C. 705 (Napoli), A.C. 767 (Crapolicchio), A.C. 844 (Satta ed altri), A.C. 846 (Ruta), A.C. 849 (Realacci), A.C. 1062 (Mancini), A.C. 1093 (Fabris). Al Senato si veda l’A.S. 226 (Manzione).

[68]    Camera dei deputati, Seduta del 6 luglio 2006, Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, Interrogazione n. 3-00088, Iniziative normative concernenti l'ineleggibilità alla carica di sindaco di coloro che hanno ricoperto due mandati consecutivi.

[69]    Si tratta dei sindaci dei comuni di Casalbore, Veggiano, Castelletto Monferrato, Sgurgola, Alfano, Novedrate, Pescorocchiano, Monteu da Po, Liberi, Torralba, Favrià, Guardialfiera, Castiadas, San Marzano di S. Giuseppe (8.830 abitanti), Santo Stefano del Sole, Sirignano, Dragoni, Mugnano del cardinale, Varapodio, Taurianova (popolazione 15.799 abitanti). Si veda in proposito il sito www.terzomandato.it.

[70]    Corte di cassazione, I Sezione civile, sentenza 20 maggio 2006, n. 11895.

[71]    In precedenza la Corte di cassazione (sentenza 24 febbraio 2006, n. 4254) ha ritenuto inammissibile l'azione proposta dal Ministero dell'interno volta a ottenere la dichiarazione di ineleggibilità di un sindaco eletto per il terzo mandato consecutivo. La Corte ha interpretato l’art. 70 del D.Lgs. 267/2000 nel senso che è il prefetto, e non il ministro dell’interno, l’organo della pubblica amministrazione legittimato a promuovere la decadenza alla carica di sindaco.

[72]    Si veda l’intervento citato del ministro dell’interno Amato del 6 luglio 2006.

[73]    La legge n. 765 del 1967, voluta dall’allora Ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini dopo la frana di Agrigento del 1966 causata dal sovraccarico dell’edilizia speculativa, fu definita “legge-ponte” in quanto doveva rappresentare un rimedio provvisorio nell’attesa di un organico provvedimento di riforma urbanistica.

[74]    I commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 dell’art. 41-quinquies sono stati stato abrogati dall'art. 136, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, TU in materia edilizia. E’ vigente la disciplina sugli standards urbanistici recata dai commi 8 e 9.

[75]    Recante Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765.

[76]    Alcune delle disposizioni dell’art. 27 sono confluite nell’articolo 9 del D.P.R. n. 380 del 2001, mentre l’intero art. 31 è stato trasfuso nell’attuale art. 3 del citato D.P.R.

[77]    Ora art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

[78]    “Nei centri storici, in via tendenziale e di principio, sono consentiti solo interventi di risanamento e trasformazione conservativi; tuttavia, nell’esclusivo ambito dei piani di recupero ex legge n. 457/1978, con riguardo ai centri storici, potranno prevedersi - in via eccezionale, dato il carattere prevalentemente e tendenzialmente conservativo dei detti piani - interventi di ristrutturazione urbanistica; all’interno di questi ultimi non potrà escludersi la ricostruzione previa demolizione, di fabbricati; restano salve, ovviamente, le eventuali norme di maggior rigore previste dagli strumenti urbanistici locali”, cfr. C.G.A.S., Sez. Consult., 13.9.1995, n. 490/95, in Giust. amm. sic., 1996, 100.

[79]    Si richiama a titolo esemplificativo il decreto-legge n. 6 del 1998 recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria prevede, all’art. 3, interventi specifici su centri storici e su centri e nuclei urbani e rurali, demandando ai comuni l’individuazione dei centri e dei di particolare interesse maggiormente colpiti nei quali attuare i programmi di recupero.

[80]    D.M. infrastrutture e trasporti del27 maggio 2002, D.M. 7 agosto 2003 e D.M. 3 febbraio 2004.

[81]    L’attuale base giuridica del Programma URBAN II è l'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, recante la disciplina generale dei fondi strutturali per il periodo 2000-2006.

[82]    Vedi: Unione europea - Politica regionale “Inforegio - Nota sintetica 2004: La nuova politica di coesione a partire dal 2007”.

[83]    Il 12 giugno 2006 il Consiglio ha adottato una posizione comune sulle proposte legislative relative al Fondo regionale di sviluppo (FEDER), al Fondo sociale europeo (FSE) e al Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT); il testo è stato esaminato in seconda lettura dal Parlamento europeo, secondo la procedura di codecisione, il 4 luglio 2006 e verrà presumibilmente adottato dal Consiglio il 20 luglio prossimo.

[84]    Il testo della circolare può essere consultato anche tramite internet all’indirizzo http://www.comune.reggio-calabria.it/intranet/Rete/Urbanist/Leggi/C.M.3210_67.PDF.

[85]    G. Caia, G. Ghetti “La tutela dei centri storici”, Giappichelli editore, 1997.

[86]    Tale decreto ha sostituito il precedente testo unico in materia di beni culturali e ambientali recato dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.

[87]    Previsto dall’art. 136, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 42/2004.

[88]    Come modificata dalla legge regionale 12 marzo 2003, n. 7.

[89]    Può essere in proposito interessante richiamare quanto la dottrina secondo cui "...la legge sottolinea molto bene la sua idea ispiratrice di fondo: la tutela della natura non implica l'estromissione dell'uomo e delle sue attività..." (cfr. in particolare P. MADDALENA, in Aree naturali protette, Commentario alla legge n. 394/91, a cura di Gianluigi Ceruti) e, con specifico riferimento all’articolo 7, "...l'ordine di priorità individuato dal legislatore privilegia la valorizzazione e il recupero dell'esistente (...), ma anche dei nuclei abitati rurali, per sottolineare lo stretto rapporto tra il parco e coloro che lo abitano" (SCARCIGLIA, nel medesimo Commentario).

[90]    Su iniziativa del Ministero dell’ambiente, della Regione Abruzzo e di Legambiente.

[92]    Nell'elenco ufficiale delle aree naturali protette vengono iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri di seguito descritti, stabiliti con Delibera del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette del 1° dicembre 1993:

-       soggetti titolati a presentare domanda di iscrizione. Il soggetto titolato a presentare domanda di iscrizione è quello che ha istituito l'area protetta ovvero il gestore delegato;

-       esistenza di provvedimento istitutivo formale pubblico o privato, che può essere una legge o provvedimento equivalente statale o regionale; un provvedimento emesso da altro ente pubblico; un atto contrattuale tra il proprietario dell'area e l'ente che la gestisce nel quale siano specificate le finalità di salvaguardia dell'ambiente;

-       esistenza di perimetrazione, cioè deve esistere una documentazione cartografica comprovante la perimetrazione dell'area;

-       valori naturalistici. Presenza di formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche o gruppi di esse di rilevante valore naturalistico e ambientale (art. 1, comma 2, della legge n. 394/91) e/o esistenza di valori naturalistici (art. 2 commi 2 e 3 della legge n. 394/91);

-       coerenza con le norme di salvaguardia previste dalla legge 394/91. Ciò riguarda, tra l'altro, l'esistenza del divieto di attività venatoria nell'area. Questo comporta che, nel caso di aree protette in parte delle quali viene esercitata l'attività venatoria, potrà essere iscritta nell'Elenco solamente la parte nella quale vige il divieto di caccia.

-       gestione dell'area. Deve essere garantita una gestione da parte di Enti, Consorzi o altri soggetti giuridici; oppure la gestione può essere affidata con specifico atto a diverso soggetto pubblico o privato;

-       esistenza di bilancio o provvedimento di finanziamento. Deve essere comprovata l'esistenza di una gestione finanziaria dell'area, anche se questa è solamente passiva.

[93]    L’art. 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, demanda al Comitato per le aree naturali protette l'approvazione dell'elenco ufficiale di dette aree. Tuttavia il predetto Comitato è stato soppresso e le relative funzioni sono state trasferite alla Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.