Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Delega per il riordino della tassazione dei redditi di capitale, della riscossione e accertamento dei tributi erariali, del catasto dei fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali. A.C. n. 1762 - Edizione aggiornata
Riferimenti:
AC n. 1762/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 82
Data: 22/12/2006
Descrittori:
CATASTO   DIRITTI ERARIALI
REDDITO DI CAPITALE   TESTI UNICI
Organi della Camera: VI-Finanze


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

Delega per il riordino della tassazione dei redditi di capitale, della riscossione e accertamento dei tributi erariali, del catasto dei fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali

A.C. n. 1762

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 82

Edizione aggiornata

 

22 dicembre 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Finanze

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File: FI0031.doc


INDICE

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto. 4

§      Contenuto. 4

§      Relazioni allegate. 5

Elementi per l’istruttoria legislativa. 6

§      Necessità dell’intervento con legge. 6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite. 6

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali6

§      Compatibilità comunitaria. 6

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico. 7

§      Impatto sui destinatari delle norme. 9

§      Formulazione del testo. 9

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Delega in materia di redditi di capitale e di redditi diversi di natura finanziaria)13

§      Articolo2 (Delega in materia di riscossione)33

§      Articolo 3 (Delega in materia di accertamento)43

§      Articolo 4 (Delega per la riforma del sistema estimativo del catasto dei fabbricati)57

§      Articolo 5 (Delega per il riassetto delle disposizioni tributarie statali)75

§      Articolo 6 (Disposizioni attuative)80

Testo del disegno di legge (A.C. 1762)

Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali85

Normativa

§      Cost. 27 dicembre 1947 Costituzione della Repubblica italiana (art. 47)101

§      D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (artt. 31-45)102

§      D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi (artt. 36-39, 44-48, 67, 68, 87, 89)122

§      D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni (artt. 17-29)138

§      D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 (artt. 2 e 21)146

§      D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 2)147

§      L. 13 maggio 1999, n. 133 Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale (art. 18)149

§      D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della L. 25 giugno 1999, n. 205. 152

§      L. 27 luglio 2000, n. 212 Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente  161

§      L. 21 novembre 2000, n. 342 Misure in materia fiscale (art. 74)172

§      D.L. 30 settembre 2005, n. 203 Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (art. 3)173

Giurisprudenza costituzionale

§      Corte Costituzionale Sentenza 20-24 giugno 1994, n. 263. 185

 



Numero del disegno di legge

A.C. 1762

Titolo

Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali

Iniziativa

Governo

Settore d’intervento

Fisco

Iter al Senato

No

Numero di articoli

6

Date

 

§       presentazione o trasmissione alla Camera

4 ottobre 2006

§       annunzio

5 ottobre 2006

§       assegnazione

19 novembre 2006

Commissione competente

VI (Finanze)

Sede

Referente

Pareri previsti

I (Affari costituzionali), II (Giustizia), V (Bilancio), XI (Lavoro), XIV (Politiche dell’Unione europea) e Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


 

Contenuto

L’articolo 1 del disegno di legge delega il Governo ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, la sottoposizione di tali redditi ad un’unica aliquota non superiore al 20 per cento.

L’articolo 2 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, il rafforzamento dei poteri degli agenti della riscossione, l’estensione delle agevolazioni fiscali previste per le azioni esecutive e cautelari ai soggetti terzi incaricati dagli agenti della riscossione, nonché l’attribuzione a Riscossione SpA di funzioni attualmente esercitate dall’Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei versamenti unitari con compensazione e per il controllo sull’andamento dei versamenti delle imposte

L’articolo 3 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l’armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia di accertamento, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, l’unificazione dei termini, la coerenza con i princìpi dello Statuto del contribuente, la revisione dei criteri di accertamento presuntivi, l’armonizzazione delle diverse forme di interpello, la revisione del principio di unicità dell’atto di accertamento, il potenziamento del sistema informativo, il riordino della cooperazione con gli enti territoriali.

L’articolo 4 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema del catasto, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, la determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale, la definizione delle modalità e dei termini per l’aggiornamento del sistema di valutazione, la ridefinizione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, nonché la determinazione del ruolo dei comuni e dell’Agenzia del territorio e l’introduzione di meccanismi volti ad assicurare l’equivalenza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.

L’articolo 5 delega il Governo ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti testi unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti, sostanziali, processuali e procedimentali, in materia di tributi statali, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, l’uniformità della disciplina degli elementi essenziali dell’obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione delle sanzioni, nonché il divieto di applicazione analogica delle norme tributarie.

L’articolo 6 disciplina le modalità di attuazione delle deleghe contenute negli articoli precedenti.

Relazioni allegate

Al disegno di legge sono allegate la relazione illustrativa del Governo e la relazione tecnica sulle conseguenze di carattere finanziario.


 

Necessità dell’intervento con legge

La necessità di intervenire in via legislativa nelle materie contemplate dal provvedimento si giustifica in considerazione della riserva di legge (sia pure relativa) posta sulla materia tributaria dall’articolo 23 della Costituzione, il quale prescrive che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento interviene sul sistema tributario statale, materia attribuita dall’articolo 117, comma 2, lettera e), alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Trattandosi di legge di delegazione legislativa, occorre valutare l’idoneità e la specificità dei princìpi e criteri direttivi per l’attuazione delle deleghe legislative conferite, in relazione al disposto dell’articolo 76 della Costituzione.

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

La materia non sembra comportare significative interferenze con l’ordinamento comunitario.

Si osserva per altro che l’attuazione della delega contemplata nell’articolo 1, relativo alla tassazione dei redditi di capitale, dovrà far salva la disciplina recepita nell’ordinamento nazionale in conseguenza delle direttive riguardanti il regime fiscale dei rapporti tra le società madri e figlie (da ultimo la direttiva 2003/123/CE).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Il 4 dicembre 2006 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (rifusione) (COM(2006)760).

La proposta prospetta la rifusione della direttiva 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, e intende semplificare una parte della normativa comunitaria, in particolare attraverso la graduale eliminazione nei sistemi fiscali nazionali dell’imposta sui conferimenti, considerata dalla Commissione un ostacolo rilevante allo sviluppo delle società europee, rafforzando il divieto di istituire o di applicare altre imposte simili.

La proposta prevede un limite massimo dello 0,5% per le aliquote dell'imposta sui conferimenti entro il 2008 e una sua graduale abolizione entro il 2010, per essere in linea con la strategia di Lisbona. La Commissione sottolinea che a quella data gli Stati membri avranno avuto 25 anni di tempo per adattare i loro regimi fiscali al fine di prepararsi a tale abolizione.

La prima parte della proposta contiene le norme di carattere generale che vietano l'applicazione dell'imposta sui conferimenti e di altre imposte analoghe. La seconda parte contiene disposizioni speciali sull'applicazione dell'imposta sui conferimenti relative agli Stati membri che nel corso del periodo di graduale abolizione scelgono di continuare ad applicarla.

Gli Stati membri sono stati consultati in relazione alle modifiche proposte a livello tecnico. Il risultato delle consultazioni ha confermato la necessità della rifusione della direttiva per chiarirne le disposizioni e l'opportunità di eliminare gradualmente l'imposta sui conferimenti.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

L’articolo 3, comma 1, lettera g), prevede che, nell’esercizio della delega in materia di accertamento tributario, il Governo proceda al riordino e alla razionalizzazione delle attività di cooperazione con gli enti territoriali.

L’articolo 4, comma 1, lettera d), prevede che, nell’esercizio della delega in materia di catasto, il Governo proceda alla definizione del ruolo dei comuni, mentre la successiva lettera g) prescrive di garantire la sostanziale invarianza complessiva delle imposte comunali e di quelle erariali, aventi per base imponibile i valori o redditi immobiliari derivati.

L’articolo 5, comma 1, lettera i), prevede che, nell’esercizio della delega in materia di emanazione di testi unici di riordino delle disposizioni tributarie statali, si provveda al coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano e delle relative norme di attuazione.

Attribuzione di poteri normativi

Gli articoli da 1 a 5 del provvedimento conferiscono deleghe legislative al Governo; l’articolo 6 ne disciplina le modalità di attuazione.

Coordinamento con la normativa vigente

Si ricorda che in materia di riscossione sono da ultimo intervenuti i commi da 1 a 15 dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.

L’attuazione delle deleghe contemplate nel provvedimento comporterà modifiche a numerosi provvedimenti in materia fiscale. Si segnalano, in particolare, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi; il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sui redditi; il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, recante il riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi.

Inoltre, l’articolo 5 conferisce al Governo un’ampia delega per la redazione di testi unici volti al riordino e alla revisione di tutte le disposizioni legislative vigenti sostanziali, processuali e procedimentali in materia di tributi statali.

Collegamento con lavori legislativi in corso

Disposizioni volte al perfezionamento dei metodi di formulazione e di applicazione degli studi di settore, cui fa indiretto riferimento l’articolo 3, comma 1, lettera c) (che infatti si riferisce ai metodi di accertamento presuntivo), sono contenuti nell’articolo 3, commi da 1 a 15, del medesimo disegno di legge finanziaria per il 2007, nel testo approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato (A. S. n. 1183).

Inoltre, i commi 40 e 41 dell’articolo 3 del disegno di legge finanziaria per il 2007 istituiscono il sistema integrato delle banche dati in materia tributaria e finanziaria, per la condivisione e la gestione coordinata delle informazioni dell’intero settore pubblico per l’analisi e il controllo della pressione fiscale e dell’andamento dei flussi finanziari. La disposizione si ricollega al principio di delega in materia di accertamento tributario di cui all’articolo 3, comma 1, lettera f), che prevede il potenziamento del sistema informativo secondo modalità telematiche dell’accertamento tributario

Infine, in materia di definizione delle competenze dei comuni e dell’Agenzia del territorio nella gestione del catasto, cui fa riferimento l’articolo 4, comma 1, lettera d), intervengono gli articoli 13 e 14 del disegno di legge finanziaria per il 2007.

Impatto sui destinatari delle norme

L’attuazione della delega contenuta all’articolo 1 potrebbe comportare modifiche nell’applicazione dell’imposizione sostitutiva da parte degli intermediari finanziari attualmente disciplinati dal decreto legislativo n. 461 del 1997.

Formulazione del testo

All’articolo 1, comma 1, alinea, non risulta chiaro il riferimento agli organismi di investimento collettivo mobiliare: in particolare dovrebbe precisarsi se si faccia riferimento agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari disciplinati dalla direttiva 85/611/CEE ovvero agli organismi di investimento collettivo del risparmio di cui all’articolo 1, comma 1, lettera m), del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

All’articolo 1, comma 1, lettera e), non risulta chiaro il significato del criterio di delega che impone il rispetto del principio dell’equivalenza di trattamento tra gli intermediari finanziari.

 




1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi concernenti il riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e recanti modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, al fine della loro unificazione, con la previsione di un'unica aliquota non superiore al 20 per cento; conferma delle disposizioni vigenti che prevedono l'esenzione ovvero la non imponibilità dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria;

b) applicazione dell'aliquota di cui alla lettera a), nel rispetto dei princìpi di incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della Costituzione, al fine anche di evitare segmentazioni del mercato;

c) eventuale introduzione di misure compensative, anche aventi natura di deduzioni o detrazioni di imposta, a favore dei soggetti economicamente più deboli, nel rispetto del principio indicato alla lettera d);

d) semplificazione delle procedure al fine di ridurre i costi amministrativi a carico degli intermediari, da realizzare in via regolamentare o con l'adozione di provve­dimenti amministrativi generali;

e) coordinamento della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, nel rispetto del principio dell'equivalenza di trattamento tra i diversi redditi e strumenti di natura finanziaria nonché tra gli intermediari finanziari;

f) introduzione di un'adeguata disciplina transitoria, volta a regolamentare il pas­saggio alla nuova disciplina tenendo conto, tra l'altro, dell'esigenza di evitare che possano emergere, con particolare riferimento alle posizioni esistenti alla data della sua entrata in vigore, ingiustificati guadagni o perdite e nel rispetto del principio indicato alla lettera d);

g) possibilità di differire l'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a dodici mesi dalla data della loro pubblicazione;

h) coordinamento, introducendo tutte le modifiche necessarie, della nuova disci­plina con le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed in ogni altra legge, regolamento, decreto o prov­vedimento vigenti.

2. Dall'adozione dei decreti legislativi previsti dal presente articolo devono derivare maggiori entrate non inferiori, per l'anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere dall'anno 2008, a 2.000 milioni di euro annui.


 

 

L’articolo 1 del disegno di legge conferisce al Governo la delega legislativa, da esercitarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per il riordino del trattamento tributario relativo a:

§      redditi di capitale;

§      redditi diversi, limitatamente a quelli di natura finanziaria;

§      gestioni individuali di patrimoni;

§      organismi di investimento collettivo mobiliare (OICVM).

 

La delega legislativa si estende anche al regime delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive cui sono sottoposti i redditi di capitale.

I tipi di reddito e i soggetti interessati

I redditi di capitale sono, in linea generale, i redditi derivanti da un “impiego non dinamico” del capitale (quali ad esempio gli interessi derivanti dai conti correnti bancari). Ai sensi dell’articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si considerano in particolare redditi di capitale:

§      gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;

§      gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari, nonché dei certificati di massa;

A norma del comma 2 del medesimo articolo 44 del TUIR, si considerano similari alle obbligazioni i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli, e i titoli di massa che contengono l'obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell'impresa emittente o dell'affare in relazione al quale siano stati emessi, né di controllo sulla gestione stessa.

§      le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue disciplinate dagli articoli 1861 e 1869 del codice civile;

§      i compensi per prestazioni di fideiussione o di altra garanzia;

§      gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle società[1];

A norma del comma 2 del medesimo articolo 44 del TUIR, si considerano similari alle azioni i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione, da enti pubblici o privati che esercitano esclusivamente o principalmente attività commerciali, ovvero da società e enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, quando la remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi.

Quando si tratti di partecipazioni al capitale o al patrimonio, ovvero di titoli o strumenti finanziari interamente remunerati con la partecipazione ai risultati economici della gestione, emessi da società ed enti non residenti, essi si considerano similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito del soggetto emittente nello Stato estero di residenza; a tal fine, l'indeducibilità dev’essere provata mediante dichiarazione dell'emittente stesso o attraverso altri elementi certi e precisi.

§      gli utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, o di partecipazione agli utili e alle perdite senza corrispettivo apporto, di cui all’articolo 2554 del codice civile[2];

§      i proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti;

§      i proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute;

§      i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito;

§      i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione;

§      i redditi derivanti dai rendimenti delle forme pensionistiche complementari erogati in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale;

§      gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

 

Sono classificati tra i redditi diversi anche taluni proventi derivanti dall’impiego di capitale; essi tuttavia risultano incerti non solo nel quantum ma anche nell’esistenza, e si manifestano sotto forma di plusvalenze (cosiddetti capital gains).

In particolare, l’articolo 67 del TUIR stabilisce che, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, costituiscono redditi diversi:

a)   le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l'esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici;

b)   le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione;

c)   le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate, nonché dei diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni;

d)   le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate, nonché dei diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni;

e)   le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo;

f)     i redditi, diversi da quelli precedentemente indicati, comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere o acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria (si tratta, in questa seconda fattispecie, dei cosiddetti “strumenti finanziari derivati”). Agli effetti dell'applicazione della presente lettera sono considerati strumenti finanziari anche i predetti rapporti;

g)   le plusvalenze ed altri proventi, diversi da quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto;

h)   le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o dalla sorte nonché quelli attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o sociali;

i)      i redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente, compresi quelli dei terreni dati in affitto per usi non agricoli;

l)      i redditi di beni immobili situati all'estero;

m)i redditi derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico[3];

n)   i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall'affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili, dall'affitto e dalla concessione in usufrutto di aziende; l'affitto e la concessione in usufrutto dell'unica azienda da parte dell'imprenditore non si considerano fatti nell'esercizio dell'impresa, ma in caso di successiva vendita totale o parziale le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito complessivo come redditi diversi;

o)   le plusvalenze realizzate in caso di successiva cessione, anche parziale, delle aziende acquisite per trasferimento a causa di morte o donazione;

p)   i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;

q)   i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;

r)     le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e compensi erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche e di cori, bande e filodrammatiche da parte del direttore e dei collaboratori tecnici;

s)   le plusvalenze realizzate a seguito della trasformazione, prevista dall’articolo 2500-octies del codice civile, dei consorzi, delle società consortili, delle comunioni d’azienda, delle associazioni riconosciute e delle fondazioni in società di capitali.

 

Particolare rilievo, anche per il diverso regime di tassazione dei due tipi di plusvalenza, assume la distinzione tra partecipazione qualificata e partecipazione non qualificata.

Ai sensi della lettera c) del comma 1 dell’articolo 67 del TUIR, costituisce cessione di partecipazione qualificata la cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio delle società di persone (società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice), degli enti e delle associazioni a queste equiparate a norma dell’articolo 5 del medesimo TUIR (con esclusione delle associazioni non riconosciute costituite per l’esercizio in forma associata di arti o professioni), delle società di capitali e degli enti commerciali residenti, delle società e degli enti non residenti, nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o titoli ceduti rappresentino, complessivamente:

a)   una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 per cento, quando si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati;

b)   una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25 per cento, quando si tratti di altre partecipazioni.

Per i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di diritti di voto e di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi.

 

La gestione individuale di patrimoni e la gestione collettiva del risparmio costituiscono due diverse modalità di prestazione di servizi per l’investimento di capitali.

La gestione individuale di patrimoni è un contratto tipico sottoscritto con un’impresa d’investimento o una banca. Esso rientra nel novero dei servizi d’investimento[4], disciplinati dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ove è denominato “gestione individuale di portafogli d’investimento per conto terzi” [articolo 1, comma 5, lettera d)], e sottoposto a norme di legge inderogabili.

 

Queste sono contenute in particolare nell’articolo 24 del TUF:

-          il contratto deve essere redatto in forma scritta;

-          il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere (l’impresa o la banca possono recedere dal contratto per giusta causa, ai sensi dell’articolo 1727 del codice civile);

-          le imprese di investimento e le banche non possono contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino oltre il patrimonio gestito;

-          il cliente ha il diritto di recedere in ogni momento dal contratto mentre l’impresa di investimento e la banca possono farlo alle condizioni previste dal codice civile, all’articolo 1727, per la rinunzia del mandatario;

-          la rappresentanza per l’esercizio del diritto di voto inerente agli strumenti finanziari in gestione può essere conferita all’impresa di investimento e anche alla banca, ma la procura deve essere conferita in forma scritta e per ogni assemblea;

-          la banca e le imprese di investimento non possono delegare a terzi l’esecuzione dell’incarico di gestione loro conferito.

 

A norma dell’articolo 18 del TUF, l’attività di gestione individuale di patrimoni può essere svolta, oltre che dalle banche, dalle società di intermediazione mobiliare (SIM), dalle imprese d’investimento comunitarie e da quelle extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia, dalle società di gestione del risparmio (SGR), nonché dalle società di gestione armonizzate aventi sede in altro Stato comunitario.

 

L’espressione di organismi d’investimento collettivo mobiliare, impiegata nel testo della disposizione di delega, deve invece ritenersi probabilmente riferita agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) come definiti dalla normativa comunitaria.

L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 85/611/CEE del Consiglio,del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (oicvm) (modificato dalla successiva direttiva 2001/108/CE), ha infatti definito come organismi di investimento collettivo in valori mobiliari gli organismi con le seguenti caratteristiche:

§      il loro oggetto esclusivo è costituito dall’investimento collettivo dei capitali raccolti presso il pubblico in valori mobiliari e/o in altre attività finanziarie liquide;

§      le quote di tali organismi sono, su richiesta dei portatori, riacquistate o rimborsate, direttamente o indirettamente, a carico del patrimonio dei suddetti organismi. È assimilato a tali riacquisti o rimborsi il fatto che un organismo agisca per impedire che il corso delle sue quote in borsa si allontani sensibilmente dal valore netto di inventario.

 

Nell’ordinamento italiano il TUF ha invece introdotto la figura degli organismi di investimento collettivo del risparmio.

Tali sono infatti, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera m), del TUF, i fondi comuni d’investimento e le società d’investimento a capitale variabile (Sicav).

I fondi comuni d’investimento sono patrimoni autonomi, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, suddivisi in quote e gestiti in monte da una società di gestione del risparmio (SGR).I fondi comuni d’investimento possono essere distinti in fondi chiusi e fondi aperti. Nei fondi aperti l’investitore ha diritto di richiedere in qualsiasi momento il riscatto delle quote; nei fondi chiusi, invece, il diritto al riscatto delle quote matura, in linea di massima, soltanto al termine della durata prevista del fondo.

Le Sicav sono società per azioni a capitale variabile, con sede legale e direzione generale in Italia, aventi per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni al pubblico.

La differenza tra fondi comuni di investimento e Sicav consiste quindi nel fatto che mentre l’acquisto di una quota di un fondo comune d’investimento non rende soci del fondo, le Sicav si configurano come società per azioni e quindi l’acquisto di una loro quota si configura come partecipazione al loro capitale. Anche nelle Sicav, come nei fondi aperti, il riscatto delle quote può avvenire in qualsiasi momento.

A norma dell’articolo 33 del TUF, le Sicav e le società di gestione del risparmio esercitano in via esclusiva la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, vale a dire l’attività consistente nella promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni d’investimento e nell’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; nella gestione del patrimonio di fondi comuni di investimento e Sicav, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili e immobili[5].

 

Gli organismi di investimento collettivo del risparmio rappresentano una categoria più ampia rispetto agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari.Infatti nei primi possono essere ricompresi anche fondi che non operano con valori mobiliari, quali i fondi pensione e i fondi d’investimento immobiliari, nonché i “fondi chiusi”, che, consentendo il riscatto delle quote solo con determinate scadenze temporali, non sono compresi nell’ambito regolato dalla direttiva 85/611/CEE.

 

In relazione alla formulazione dell’articolo 1, comma 1, alinea, del disegno di legge, sarebbe quindi opportuno precisare se con l’espressione “organismi di investimento collettivo mobiliare” s’intenda designare gli “organismi di investimento collettivo in valori mobiliari” o, più estesamente, gli “organismi di investimento collettivo del risparmio”.


L’attuale regime fiscale

L’attuale impianto normativo in materia di tassazione delle rendite finanziarie può essere ricostruito utilizzando un duplice criterio di classificazione: da un lato, facendo riferimento alla tipologia di prelievo fiscale utilizzata (ritenuta alla fonte a titolo di acconto o di imposta, ovvero imposta sostitutiva) e alle aliquote che vengono applicate, dall’altro, considerando le modalità di applicazione della tassazione (con la possibilità di opzione tra regimi della dichiarazione, del risparmio gestito e del risparmio amministrato). Il regime normativo in materia è stato da ultimo significativamente modificato dal decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e dal decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.

 

In proposito si ricorda che:

§      come ritenuta alla fonte s’intende una particolare forma di applicazione dell’imposta, applicata per alcune categorie di redditi, attraverso la quale l’imposta è riscossa e versata dal soggetto che eroga le somme ad essa assoggettate (cioè dalla “fonte” del reddito), o dall’intermediario attraverso il quale esse sono erogate, al momento in cui esse vengono corrisposte al beneficiario. La ritenuta è eseguita a titolo d’imposta, se con essa si esaurisce l’obbligo tributario; a titolo di acconto, se il reddito su cui viene operata concorre alla formazione del reddito complessivo del soggetto, che opera i necessari conguagli in sede di dichiarazione e liquidazione dell’imposta da esso complessivamente dovuta;

§      come imposta sostitutiva s’intende un’imposta che viene applicata a componenti del reddito i quali non rientrano quindi nella determinazione del reddito complessivo. Per tali componenti di reddito, l’obbligo tributario è pertanto assolto con il pagamento dell’imposta sostitutiva.

 

Preliminarmente si deve poi avvertire che il regime fiscale di seguito esposto riguarda i redditi di capitale e i redditi diversi provenienti da attività finanziarie (ossia, rispettivamente: dividendi e interessi; plusvalenze derivanti da partecipazioni), compresi quelli derivanti da forme di gestione individuale o collettiva del patrimonio, percepiti da persone fisiche non imprenditori, in quanto:

§      per le società di capitali tali redditi rientrano nella base imponibile dell’imposta sui redditi delle società (IRES), con applicazione della regola sulla participation exemption introdotta dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, istitutivo dell’IRES, e poi modificata dall’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203: in base a tale regola, dividendi e interessi percepiti sono esenti da tassazione per il 95 per cento del loro ammontare (articolo 89 del TUIR), mentre le plusvalenze da partecipazioni risultano esenti, a determinate condizioni, per il 91 per cento (articolo 87 del TUIR; tale percentuale sarà ridotta all’84 per cento a decorrere dal 2007). La parte non esente è tassata con l’aliquota IRES del 33 per cento;

§      per le società di persone tali redditi sono imputati ai singoli soci e assoggettati alla tassazione IRPEF, per il 40 per cento del loro ammontare (in base agli articoli 58 e 59 del TUIR);

§      per le gli imprenditori persone fisiche, analogamente a quanto avviene per le società di persone, i suddetti redditi sono sottoposti alla tassazione IRPEF (in base agli stessi articoli 58 e 59 del TUIR), per il 40 per cento del loro ammontare.

 

Di norma, i dividendi relativi a partecipazioni (qualificate e no) in società residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile (art. 47, comma 4, art. 59 e art. 89, comma 3, del TUIR).

Allo stesso modo, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile le plusvalenze relative a partecipazioni in società residenti nei medesimi Stati e territori [art. 68, comma 4, e art. 87, comma 1, lettera c), del TUIR]. Ad esse non si applica quindi l’imposta sostitutiva con l’aliquota del 12,50 per cento (art. 5, comma 2, secondo periodo, del D.P.R. n. 461 del 1997).

 

Inoltre per i redditi di capitale e diversi percepiti da soggetti non residenti in Italia, la normativa vigente contempla, con varie modalità, il diritto al rimborso dell’imposta versata al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione (si vedano, ad esempio, l’articolo 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, l’articolo 6 del decreto legislativo n. 239 del 1996 e l’articolo 9 del decreto legislativo n. 461 del 1997).

Imposta applicata e aliquote

Ciò premesso, per quel che concerne specificamente i redditi di capitale:

a)   con riferimento agli interessi e agli altri proventi corrisposti ai possessori, l’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, recante disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, prevede due aliquote diverse, che vengono applicate come ritenute alla fonte a titolo di imposta:

-          aliquota del 27 per cento sugli interessi e proventi dei depositi bancari e postali e delle obbligazioni private con scadenza inferiore a 18 mesi;

-          aliquota del 12,5 per cento sugli interessi e proventi dei titoli di Stato ed equiparati e delle obbligazioni private con scadenza superiore a 18 mesi; l’articolo 2 del decreto legislativo n. 239 del 1996 ha stabilito che per gli interessi sulle obbligazioni private con scadenza superiore a 18 mesi non si applichi la ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura del 12,5 per cento, ma un’imposta sostitutiva con l’eguale aliquota del 12,5 per cento.

Peraltro, giova rilevare che, quando la ritenuta è eseguita a titolo d’imposta, anch’essa esaurisce il rapporto tributario, non concorrendo alla formazione del reddito imponibile complessivo del contribuente né i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, né quelli soggetti a imposta sostitutiva [articolo 3, comma 3, lettera a), e articolo 91, comma 1, lettera b), del TUIR]. L’effetto concreto, con riferimento alle modalità di imposizione, è quindi nei due casi equivalente. Una differenza tra i due regimi può se mai rinvenirsi nel fatto la ritenuta alla fonte è comunque applicata dall’emittente, mentre il pagamento dell’imposta sostitutiva può essere eseguito, a seconda dei casi, dal contribuente, sulla base della propria dichiarazione, ovvero dall’intermediario (si veda infra).

b)   per i dividendi da partecipazioni in società ed enti commerciali residenti percepiti da persone fisiche fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa viene effettuata una distinzione tra quelli derivanti da:

-          partecipazioni non qualificate: da assoggettare alla ritenuta alla fonte a titolo definitivo con l’aliquota del 12,5 per cento, come previsto dall’articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973;

-          partecipazioni qualificate: da assoggettare – limitatamente al 40 per cento del loro ammontare – a tassazione progressiva (IRPEF) in sede di dichiarazione dei redditi, come previsto dall’articolo 47 del TUIR.

 

Per quel che concerne i redditi diversi provenienti da attività finanziarie, l’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, recante il riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi, ha previsto che sulle plusvalenze non riferite a partecipazioni qualificate e sugli altri redditi diversi di natura finanziaria si applichi un’imposta sostitutiva con l’aliquota del 12,5 per cento; le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate rimangono invece assoggettate – limitatamente al 40 per cento del loro ammontarea tassazione progressiva (IRPEF) in sede di dichiarazione dei redditi, come previsto dall’articolo 58 del TUIR per i redditi di impresa e dall’articolo 68, comma 3, del TUIR per le persone fisiche non imprenditori.

 

Il trattamento dei redditi finanziari (redditi diversi e di capitale) ottenuti dal risparmio previdenziale è differenziato secondo i seguenti princìpi:

§      i contributi non dedotti nella fase di accumulo vengono sempre esclusi dalla base imponibile;

§      i contributi dedotti nella fase di accumulo vengono tassati come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;

§      i rendimenti finanziari sono assoggettati nella fase di accumulo ad imposta sostitutiva con l'aliquota dell'11 per cento, salvo che non si tratti di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte ovvero ad altra imposta sostitutiva;

§      i rendimenti finanziari che maturano dopo l'accensione della rendita pensionistica, se determinabili, sono assoggettati ad imposta sostitutiva con l'aliquota del 12,5 per cento (art. 26-ter, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973).

L’articolo 11 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, dispone che le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli derivanti dai rendimenti della forma pensionistica, se determinabili. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.

Per quanto riguarda la fase di accumulo, il loro trattamento è stato equiparato a quello proprio dei fondi comuni di diritto italiano, con la previsione tuttavia di un’aliquota di tassazione inferiore per tener conto del più lungo vincolo temporale cui è soggetto tale risparmio rispetto a quello finanziario. L’articolo 17 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, confermando le vigenti disposizioni del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, prevede infatti che i fondi pensione siano soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l’aliquota dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta (si veda infra).

 

Per le assicurazioni sulla vita aventi finalità finanziaria, nel caso di erogazione di un capitale, l’impresa di assicurazione applica – sulla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi versati – un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,5 per cento (articolo 26-ter, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973). In questo caso la tassazione avviene pertanto al momento della realizzazione (si veda infra).

Per tali contratti di assicurazione non è previsto alcun beneficio fiscale a fronte dei premi versati. Tuttavia, al pari di tutti i altri contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, sono esenti dall'imposta sui premi disciplinata dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216[6].

Per i fondi comuni d’investimento, infine, l’articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 (recante la disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare) prevede che i fondi non siano soggetti alle imposte sui redditi. Il risultato della gestione del fondo maturato in ciascun anno è sottoposto ad un’imposta sostitutiva nella misura del 12,5 per cento, che viene versata dalla società di gestione del risparmio. L’aliquota dell’imposta è ridotta al 5 per cento qualora il regolamento del fondo preveda che non meno dei due terzi del relativo attivo siano investiti in azioni di società di piccola o media capitalizzazione ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea, purché, decorso il periodo di un anno dalla data di avvio o di adeguamento del regolamento a tale condizione, il valore dell’investimento nelle azioni delle predette società non risulti inferiore, nel corso dell’anno solare, ai due terzi del valore dell’attivo per più di un sesto dei giorni di valorizzazione del fondo successivi al compimento del predetto periodo.

Stante il criterio di tassazione sul risultato maturato – indipendentemente dalla sua effettiva realizzazione – è consentito computare i risultati negativi della gestione, maturati in un periodo d’imposta, in diminuzione dei risultati positivi dei periodi successivi. La società di gestione può altresì utilizzare tali risultati, a partire dallo stesso periodo d’imposta in cui si sono verificati, in diminuzione del risultato di altri fondi da essa gestiti, accreditando l’importo corrispondente in favore del fondo che ha maturato il risultato negativo.

La medesima disposizione della legge n. 77 del 1983 prevede poi, al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, che i proventi derivanti dalle partecipazioni ai fondi non concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti[7]. Fanno eccezione i proventi derivanti da partecipazioni ai fondi assunte nell’esercizio di imprese commerciali (sia nella forma di società di persone o di capitali, sia esercitate da imprenditori individuali), che concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono percepiti, ancorché l'imprenditore li abbia iscritti in bilancio indipendentemente dalla percezione. Sui proventi percepiti viene tuttavia riconosciuto un credito di imposta pari al 15 per cento del loro importo, che neutralizza l’effetto della tassazione operata a carico del fondo.

Disposizioni analoghe sono previste per le società d’investimento a capitale variabile (SICAV) dall’articolo 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84, e per i fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi di diritto nazionale dall'articolo 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344, nonché – con i necessari adattamenti – per i fondi comuni esteri autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato (articolo 10-ter della citata legge n. 77 del 1983 e articolo 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649).

Le modalità di applicazione

Gli articoli 6 e 7 del medesimo decreto legislativo n. 461 del 1997 hanno introdotto particolari forme per la riscossione delle imposte sostitutive sui redditi di capitale e diversi provenienti da attività finanziarie, prevedendo per il contribuente la possibilità di scegliere tra:

1.      regime della dichiarazione;

2.      regime del risparmio amministrato;

3.      regime del risparmio gestito.

 

La disciplina non riguarda i redditi di capitale sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

 

In caso di opzione per il regime della dichiarazione, il contribuente deve compilare un apposito quadro della dichiarazione dei redditi, determinare la base imponibile, calcolare e versare la relativa imposta sostitutiva. In questo regime la tassazione avviene al momento del realizzo (art. 5, comma 3).

In caso di opzione per il regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito,invece, gli adempimenti di carattere tributario vengono eseguiti da intermediari autorizzati.

Nel regime del risparmio amministrato, la tassazione è applicata dall’intermediario presso il quale i titoli sono in deposito, in custodia o in amministrazione sui redditi di capitale e sui redditi diversi provenienti da attività finanziarie realizzati nelle singole operazioni. Le eventuali minusvalenze, perdite o differenziali negativi possono essere dedotte e riportate a nuovo nello stesso periodo di imposta e nei successivi, non oltre il quarto, purché si riferiscano al medesimo rapporto (art. 6).

Nel regime del risparmio gestito, il soggetto abilitato cui è stato conferito l’incarico di gestire la massa patrimoniale applica l’imposta sostitutiva sul risultato maturato della gestione, con l’aliquota del 12,50 per cento, al termine di ciascun anno solare. Se in un anno il risultato della gestione è negativo, il corrispondente importo è computato in diminuzione del risultato della medesima gestione dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto. Qualora alla conclusione del contratto il risultato della gestione sia negativo, il mandante, su certificazione rilasciata dal gestore, può detrarre la maggiore imposta assolta dall'imposta da lui dovuta su plusvalenze relative a taluni redditi diversi, oppure nell'ambito di altri rapporti di amministrazione o di gestione da lui intrattenuti, anche nei successivi periodi d’imposta, entro il termine individuato in base al periodo d’imposta in cui il risultato negativo è maturato (art. 7).

Nel regime del risparmio amministrato la tassazione avviene comunque al momento della realizzazione, mentre nel regime del risparmio gestito la tassazione avviene al momento della maturazione; in altre parole applicando il regime del risparmio gestito l’imposta sostitutiva viene applicata non sulle singole plusvalenze e altri redditi diversi realizzati nell’ambito della gestione, ma sul risultato di gestione maturato al termine di ciascun periodo d’imposta.

 

Come tassazione al momento della realizzazione s’intende l’imposizione che interviene nel momento in cui il reddito si manifesta. In questo caso, le banche, le SIM e gli altri intermediari applicano l’imposta sostitutiva su ogni singola plusvalenza, differenziale positivo o provento percepito dal contribuente.

In tale sistema le minusvalenze e le perdite assumono pertanto rilievo unicamente nell’ambito delle singole operazioni: l’intermediario le computa in diminuzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze o dai proventi realizzati nelle operazioni successive, riconducibili al medesimo rapporto, effettuate nello stesso periodo d’imposta e nei successivi, ma non oltre il quarto.

La tassazione al momento della maturazione viene invece eseguita dagli intermediari sul risultato di gestione maturato al termine di ciascun periodo d’imposta. In tale sistema è pertanto consentito compensare i risultati negativi e le minusvalenze complessive di un periodo d’imposta con quelli positivi dei periodi successivi.

La riforma attuata con il decreto legislativo n. 461 del 1997 prevedeva altresì l’applicazione al calcolo dell’imposta di un meccanismo, denominato “equalizzatore”, volto a rendere la tassazione fondata sul criterio della realizzazione finanziariamente equivalente a quella fondata sul criterio della maturazione. L’equalizzatore, la cui attuazione si è dimostrata di notevole complessità, è stato abrogato dall’articolo 9 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409.

Il contenuto della delega legislativa

La materia dei redditi di capitale e diversi è stata oggetto di significativi interventi di riforma negli ultimi anni.

In primo luogo, merita ricordare l’intervento previsto, nella XIII legislatura, dall’articolo 3, comma 160, della legge n. 662 del 1996, che, conferendo una delega al Governo per la riforma della materia, ha condotto alla riforma operata dal decreto legislativo n. 461 del 1997, sopra richiamato.

I principi e criteri di delega contenuti nell’articolo 3, comma 160, della legge n. 662 del 1996 erano i seguenti:

a)    revisione della disciplina dei redditi di capitale, con una puntuale definizione delle singole fattispecie di reddito, prevedendo norme di chiusura volte a ricomprendere ogni provento derivante dall'impiego di capitale;

b)    revisione della disciplina dei redditi diversi derivanti da cessioni di partecipazioni in società o enti, di altri valori mobiliari, nonché di valute e metalli preziosi; introduzione di norme volte ad assoggettare ad imposizione i proventi derivanti da nuovi strumenti finanziari, con o senza attività sottostanti; possibilità, anche ai fini di semplificazione, di prevedere esclusioni, anche temporanee, dalla tassazione o franchigie;

c)    introduzione di norme di chiusura volte ad evitare arbitraggi fiscali tra fattispecie produttive di redditi di capitali o diversi e quelle produttive di risultati economici equivalenti;

d)    ridefinizione dei criteri di determinazione delle partecipazioni qualificate, eventualmente anche in ragione dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria;

e)    previsione di distinta indicazione nella dichiarazione annuale delle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni sociali qualificate e degli altri redditi di cui alla lettera b), con possibilità di compensare distintamente le relative minusvalenze o perdite indicate in dichiarazione e di riportarle a nuovo non oltre il quarto periodo di imposta successivo;

f)      previsione di un'imposizione sostitutiva sui redditi di cui alla lettera b) derivanti da operazioni di realizzo; possibilità di optare per l'applicazione di modalità semplificate di riscossione dell'imposta, attraverso intermediari autorizzati e senza obbligo di successiva dichiarazione, per i redditi di cui alla medesima lettera b) non derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate, subordinatamente all'esistenza di stabili rapporti con i predetti intermediari;

g)    previsione di forme opzionali di tassazione sul risultato maturato nel periodo di imposta per i redditi di cui alla lettera b) non derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate e conseguiti mediante la gestione individuale di patrimoni non relativi ad imprese; applicazione di un’imposta sostitutiva sul predetto risultato, determinato al netto dei redditi affluenti alla gestione esenti da imposta o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva o che non concorrono a formare il reddito del contribuente, per i quali rimane fermo il trattamento sostitutivo o di esenzione specificamente previsto; versamento dell'imposta sostitutiva da parte del soggetto incaricato della gestione; possibilità di compensare i risultati negativi di un periodo di imposta con quelli positivi dei successivi periodi;

h)    introduzione di meccanismi correttivi volti a rendere la tassazione dei risultati di cui alla lettera g) equivalente con quella dei redditi diversi di cui alla lettera f) conseguiti a seguito di realizzo;

i)      revisione del regime fiscale degli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari secondo criteri analoghi a quelli previsti alla lettera g) e finalizzati a rendere il regime dei medesimi organismi compatibile con quelli ivi previsti;

l)      revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale o delle misure delle imposte sostitutive incidenti sui medesimi redditi, anche per il loro accorpamento su non più di tre livelli compresi fra un minimo del 12,5 per cento e un massimo del 27 per cento; applicazione, in ogni caso, ai titoli di Stato ed equiparati dell'aliquota del 12,5 per cento; differenziazione delle aliquote, nel rispetto dei princìpi di incoraggiamento e tutela del risparmio previsti dall'articolo 47 della Costituzione, in funzione della durata degli strumenti, favorendo quelli più a lungo termine, trattati nei mercati regolamentati o oggetto di offerta al pubblico; conferma dell'applicazione delle ritenute a titolo di imposta o delle imposte sostitutive sui redditi di capitale percepiti da persone fisiche, soggetti di cui all'articolo 5 del TUIR (società di persone), ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del medesimo testo unico (gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali), non esercenti attività commerciali e residenti nel territorio dello Stato; conferma dei regimi di non applicazione dell'imposta nei confronti dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, previsti dal decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239

m)  nel rispetto dei princìpi direttivi indicati alla lettera l), possibilità di prevedere l'applicazione di una imposizione sostitutiva sugli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti di cui all'articolo 44, comma 1, lettera e), del TUIR (gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle società) in misura pari al livello minimo indicato nella predetta lettera l); sono in ogni caso esclusi dall'applicazione dell'imposizione sostitutiva gli utili derivanti da partecipazioni qualificate;

n)    determinazione dell'imposta sostitutiva di cui alla lettera f) secondo i medesimi livelli indicati nella lettera l) e, in particolare, applicando il livello più basso ai redditi di cui alla lettera b), non derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate, nonché a quelli conseguiti nell'ambito delle gestioni di cui alle lettere g) e i); coordinamento fra le disposizioni in materia di ritenute alla fonte sui redditi di capitale e di imposte sostitutive incidenti sui medesimi redditi e i trattamenti previsti alle lettere g) e i);

o)    introduzione di disposizioni necessarie al più efficace controllo dei redditi di capitale e diversi, anche mediante la previsione di particolari obblighi di rilevazione e di comunicazione delle operazioni imponibili da parte degli intermediari professionali o di altri soggetti che intervengano nelle operazioni stesse, con possibilità di limitare i predetti obblighi nei casi di esercizio delle opzioni di cui alle lettere f) e g); revisione della disciplina contenuta nel decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 , convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e introduzione di tutte le disposizioni necessarie al più esteso controllo dei redditi di capitale e diversi anche di fonte estera;

p)    coordinamento della nuova disciplina con quella contenuta nel decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, nonché con il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introducendo nel citato testo unico tutte le modifiche necessarie ad attuare il predetto coordinamento, con particolare riguardo al trattamento dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato;

q)    coordinamento della nuova disciplina con quella contenuta nel decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239 , e con le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , introducendo tutte le modifiche necessarie ad attuare il predetto coordinamento;

r)      possibilità di differire l'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a nove mesi dalla loro pubblicazione.

 

In materia interveniva poi, nella XIV legislatura, la legge 7 aprile 2003, n. 80, recante delega legislativa al Governo per la riforma del sistema fiscale statale.

La finalità complessiva dell’intervento, come indicata nella relazione illustrativa al disegno di legge A.C. 2144 originariamente presentato dal Governo, era quella di superare la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” attraverso la previsione di un’unica categoria di “redditi finanziari”, individuati con “norme definitorie di carattere generale, in grado di comprendere tutte le tipologie di proventi”.

 

Gli specifici princìpi di delega, espressi nell’articolo 3, comma 1, lettera d), erano:

a)    introduzione di procedure di tassazione uniformi per tutti i redditi di natura finanziaria indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli;

b)    convergenza del regime fiscale sostitutivo su quello proprio dei titoli del debito pubblico;

c)    imposizione del risparmio affidato in gestione agli investitori istituzionali sulla base dei princìpi di cassa e di compensazione;

d)    regime differenziato di favore fiscale per il risparmio affidato a fondi pensione, a fondi etici e a casse di previdenza privatizzate;

e)    regime agevolativo per i contribuenti che destinano i propri risparmi alla costituzione di fondi personali di accumulo per l’acquisto della prima casa.

 

La delega conferita dalla legge n. 80 del 2003 non ha tuttavia trovato attuazione relativamente a questa parte.

 

I princìpi di delega contenuti nel comma 1 dell’articolo 1 del presente disegno di legge prevedono:

a)   la revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive, con la previsione di un’unica aliquota del 20 per cento, confermando le esenzioni e la non imponibilità, ove previste, dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria [lettera a) del comma 1]. Tale aliquota dovrà essere applicata nel rispetto dei princìpi di tutela del risparmio, anche al fine di evitare segmentazioni del mercato [lettera b) del comma 1];

Quale segmentazione del mercato s’intende la ripartizione del mercato in gruppi tra loro omogenei. Il rischio di segmentazione del mercato, nella prospettiva della disposizione qui illustrata, consiste nell’arbitraggio fiscale fra i diversi trattamenti tributari dei redditi di natura finanziaria.

b)   introduzione di misure compensative, anche sotto forma di deduzioni o detrazioni, a favore dei soggetti economicamente più deboli [lettera c) del comma 1];

c)   semplificazione delle procedure a carico degli intermediari, da realizzare in via regolamentare o con l’adozione di provvedimenti amministrativi generali [lettera d) del comma 1];

d)   coordinamento della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, nel rispetto del principio dell’equivalenza di trattamento tra i diversi redditi, nonché tra gli intermediari finanziari [lettera e) del comma 1];

Sarebbe opportuno chiarire il contenuto del riferimento all’ ”equivalenza di trattamento tra gli intermediari finanziari”.

e)   introduzione di un’adeguata disciplina transitoria destinata, in particolare, a evitare che dall’introduzione delle nuove norme possano derivare ingiustificati guadagni o perdite [lettera f) del comma 1];

f)     possibilità di differire l’entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a dodici mesi [lettera g) del comma 1]; coordinamento delle disposizioni, in particolare con il decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, recante disposizioni comuni in materia di accertamento, e con il testo unico delle imposte sui redditi;

Non risulta compreso nei princìpi di delega sopra esposti il trattamento più favorevole per le forme di previdenza complementare (per altro confermato dal recente decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252).

 

Il comma 2 ìndica gli effetti finanziari dell’articolo, stabilendo che dall’attuazione della delega debbano derivare maggiori entrate non inferiori, per l’anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere dall’anno 2008, a 2.000 milioni di euro.

L’effetto di maggior gettito ascritto alla presente disposizione era stato originariamente inserito nel prospetto di copertura della manovra finanziaria per il triennio 2007-2009, allegato al disegno di legge finanziaria per il 2007 (A.C. 1746). Tuttavia, nel corso dell’esame alla Camera, a seguito dell’approvazione dell’emendamento 16.1000 del Governo, il prospetto di copertura è stato riformulato, eliminando il riferimento agli effetti della delega (l’eliminazione di tale voce è risultata compensata dal miglioramento del risparmio pubblico).

 

In proposito si ricorda che il prospetto di copertura della manovra allegato al disegno di legge finanziaria fa riferimento al saldo netto da finanziare. Si rileva quindi l’opportunità di chiarire se l’effetto finanziario ascritto alle disposizioni dell’articolo 1 concorra o meno al conseguimento degli obiettivi prefissati con riferimento agli altri saldi di bilancio e, in particolare, a quello stabilito per l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, che rileva ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati a livello europeo[8]. Infatti, ove tali effetti concorressero al rispetto degli obiettivi di indebitamento pubblico delle pubbliche amministrazioni, l’attuazione della delega dovrebbe intervenire in modo da garantire l’effettiva entrata in vigore delle nuove disposizioni in termini idonei a consentire il rispetto di tali obiettivi[9].


Articolo2
(Delega in materia di riscossione)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte al riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, al fine di potenziare l'attività di recupero delle somme non versate spontaneamente, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) razionalizzazione e rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva, secondo modalità tali da consentire, tra l'altro, l'attribuzione agli agenti della riscossione del potere di concedere, diret­tamente o su incarico dell'ente creditore, la dilazione del pagamento delle entrate iscritte a ruolo;

b) estensione ai soggetti terzi incaricati dagli agenti della riscossione, limitata­mente agli adempimenti finalizzati allo svolgimento di tali incarichi, delle agevolazioni fiscali previste per le azioni esecutive e cautelari degli stessi agenti della riscossione e per le attività ad esse prodromiche;

c) parziale revisione della disciplina del rimborso delle spese sostenute dagli agenti della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutte le tipologie di oneri derivanti dall'esercizio dei compiti istituzionali;

d) introduzione di criteri di controllo dell'inesigibilità degli importi iscritti a ruolo coerenti con il nuovo sistema di riscos­sione nazionale e individuati anche sulla base del valore degli stessi importi;

e) semplificazione e razionalizzazione delle procedure di anticipazione, da parte degli agenti della riscossione, del rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite, anche con previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del beneficiario;

f) limitazione della chiamata in giudizio degli agenti della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi dell'attività ad esso effettivamente riferibile;

g) attribuzione a Riscossione S.p.a. di tutte o parte delle funzioni attualmente esercitate dall'Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei versamenti unitari con compensazione, nonché del moni­toraggio dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi e del compito di effettuare interventi finalizzati al recupero delle somme non versate.


 

 

L’articolo 2 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, al fine di potenziare l’attività di recupero delle somme non versate spontaneamente.

Il decreti legislativi dovranno essere adottati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delega, secondo la procedura disciplinata dal successivo articolo 6.

 

In materia di riscossione si ritiene opportuno ricordare il recente intervento contenuto nell’articolo 3 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha disposto la riforma del sistema nazionale di riscossione dei tributi.

In particolare esso ha previsto, a decorrere dal 1° ottobre 2006, la soppressione del precedente sistema di affidamento in concessione a privati del servizio nazionale della riscossione dei tributi e l'attribuzione delle funzioni relative alla riscossione nazionale all'Agenzia delle entrate, che le esercita tramite una nuova società, denominata "Riscossione Spa", costituita dall'Agenzia predetta, unitamente all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con un capitale di 150 milioni di euro[10]; la partecipazione pubblica al capitale, anche dopo l’ingresso di soci privati secondo quanto esposto di seguito, non potrà mai essere inferiore al 51 per cento; il presidente del collegio sindacale sarà scelto tra i magistrati della Corte dei conti. L’Agenzia esercita altresì il controllo sull’efficacia e sull’efficienza del servizio.

La società Riscossione Spa può esercitare – senza obbligo di cauzione – l'attività di riscossione mediante ruolo e di quella di riscossione delle entrate prevista dall'articolo 4 del D.Lgs. n. 237 del 1997 (concernente tributi, sanzioni e altre somme già riscosse dai servizi autonomi di cassa degli uffici dipendenti dal Dipartimento delle entrate), nonché ulteriori attività – quali la riscossione spontanea, la liquidazione e l’accertamento delle entrate degli enti pubblici, anche territoriali, e delle società da essi partecipate – da assegnarsi mediante procedure di gara ad evidenza pubblica. Attraverso la stipulazione di appositi contratti di servizio, essa potrà svolgere altresì attività strumentali a quelle dell'Agenzia delle entrate, potendo in tale ipotesi assumere finanziamenti e svolgere le connesse operazioni finanziarie.

È statuita una specifica disciplina per il passaggio dei carichi dai precedenti concessionari al nuovo soggetto. Per agevolare tale passaggio, è stata prevista inoltre la possibilità che Riscossione Spa acquisti quote non inferiori al 51 per cento del capitale delle società concessionarie (ovvero il ramo d’azienda delle banche che hanno gestito direttamente l'attività di riscossione), a condizione che il cedente acquisti a sua volta una partecipazione al capitale sociale della stessa società Riscossione Spa. Tuttavia, entro il 31 dicembre 2010 i soci pubblici dovranno riacquistare tali partecipazioni, nonché le azioni eventualmente ancora detenute da soggetti privati nelle società ex concessionarie non interamente partecipate. Successivamente, le azioni di Riscossione Spa possedute dai soci pubblici potranno essere cedute a soci privati, scelti in conformità alle regole di evidenza pubblica, comunque entro la misura massima del 49 per cento del capitale.

Per le proprie attività, la società potrà avvalersi anche di personale dell'Agenzia delle entrate e dell'INPS e fare ricorso alle società per azioni ex concessionarie da essa eventualmente partecipate. Potranno essere inoltre instaurate forme di cooperazione tra Riscossione Spa e il Corpo della Guardia di finanza. Dal 1° ottobre 2006 il Consorzio nazionale concessionari (CNC) è trasformato in società per azioni.

La società Riscossione Spa deve adempiere i suoi compiti senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Essa è anzi tenuta ad adottare idonee iniziative dirette al contenimento degli oneri relativi all'attività di riscossione coattiva.

La società Riscossione Spa ha concluso l’acquisizione delle società concessionarie il 28 settembre 2006. Essa è pertanto entrata nella piena operatività il 1° ottobre 2006, come previsto dall’articolo 3 del D.L. n. 203 del 2005.

Ulteriori disposizioni in materia di riscossione, di più limitata portata, sono contenute nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e nel decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.

L’articolo 35, commi da 25 a 26-bis, del decreto-legge n. 223 del 2006 consente agli agenti della riscossione di utilizzare, per la sola riscossione mediante ruolo e previa autorizzazione, i dati dell’anagrafe tributaria, nonché di accedere, previa richiesta, ai dati rilevanti detenuti da soggetti pubblici o privati. Il successivo articolo 37 dello stesso decreto-legge, ai commi 40-42, modifica alcuni termini di iscrizione a ruolo; al comma 43 stabilisce che non si effettuano iscrizione a ruolo né rimborso per importi inferiori a 100 euro risultanti dalla riliquidazione delle imposte sui redditi soggetti a tassazione separata, corrisposti negli anni 2003–2005, mentre al comma 44 fissa il termine per la notifica delle cartelle di pagamento emesse per il mancato pagamento degli importi dovuti dai soggetti che si sono avvalsi degli istituti definitorî di cui alla legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003).

Con il citato decreto-legge n. 262 del 2006, all’articolo 2, commi da 1 a 17, anche allo scopo di coordinare la riforma operata dall’articolo 3 del decreto-legge n. 203 del 2005, sono state, fra l’altro, apportate modificazioni relative alle procedure di espropriazione nell’ambito della riscossione coattiva (comma 6: disciplina del pignoramento dei crediti verso terzi; comma 8: disciplina della dichiarazione stragiudiziale del terzo circa le cose e le somme da questo dovute al soggetto iscritto a ruolo); è stato previsto altresì che le pubbliche amministrazioni, prima di procedere al pagamento di importi eccedenti 10.000 euro, accertino se il beneficiario sia inadempiente ad obblighi derivanti da cartelle di pagamento ad esso notificate, sospendendo in tal caso il pagamento (comma 9), ed è stata introdotta la facoltà di pagamento mediante compensazione volontaria con crediti d’imposta (commi 13 e 14).

 

I princìpi e criteri direttivi che dovranno essere osservati dal Governo nell’adozione dei decreti legislativi in esame sono i seguenti.

a)   razionalizzazione e rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva, secondo modalità tali da consentire, tra l’altro, l’attribuzione agli agenti della riscossione[11] del potere di concedere, direttamente o su incarico dell’ente creditore, la dilazione del pagamento delle entrate iscritte a ruolo;

Le procedure di riscossione coattiva sono attualmente disciplinate dal titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, recante Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. Il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, nel riformare il ricordato D.P.R. n. 602, ha inoltre esteso (articoli 17 e 18) la sua applicazione a tutte le entrate dello Stato e degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici, e, facoltativamente, alle entrate delle regioni e degli enti locali.

La procedura di riscossione coattiva si svolge secondo il seguente schema.

L’amministrazione finanziaria predispone un elenco dei debitori e delle somme da questi dovute per imposte, sanzioni e interessi. L’elenco, denominato ruolo (articolo 10 del D.P.R. n. 602 del 1973), è sottoscritto dal titolare dell’ufficio finanziario, o da un suo delegato, divenendo in tal modo esecutivo (articolo 12 del D.P.R.), e viene poi consegnato agli agenti della riscossione (articolo 24 del D.P.R.). Gli agenti della riscossione notificano al contribuente iscritto a ruolo una cartella di pagamento[12] per le somme risultanti dal suddetto ruolo. La cartella di pagamento contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà all’esecuzione forzata (art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973).

Contro il ruolo e la cartella di pagamento può essere proposto ricorso, entro lo stesso termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (articoli 19 e 20 del D.Lgs. n. 546 del 1992). Il ricorrente può chiedere inoltre la sospensione dell’atto impugnato, se da questo può derivargli un danno grave e irreparabile (articolo 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992).

Nel caso in cui nel termine di sessanta giorni il contribuente non abbia provveduto al pagamento e non abbia ottenuto la dilazione del pagamento o la sospensione giudiziale della cartella di pagamento, si procede all’esecuzione forzata[13].

L’esecuzione forzata per la riscossione delle imposte è esperita in base al ruolo, che costituisce titolo esecutivo, ed è regolata dalle norme ordinariamente applicabili al processo esecutivo, salvo quanto espressamente derogato dal titolo II, capo II, del D.P.R. n. 602 del 1973.

Le dilazioni del pagamento delle entrate iscritte a ruolo possono essere attualmente concesse dall’ufficio finanziario che ha effettuato l’iscrizione a ruolo, su richiesta del contribuente, da presentare prima dell'inizio della procedura esecutiva, ove questi si trovi in temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Le somme iscritte a ruolo possono essere ripartite fino ad un massimo di sessanta rate mensili; alternativamente, può essere concessa la sospensione della riscossione per un anno e, quindi, la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. Se l'importo iscritto a ruolo è superiore a cinquanta milioni di lire (pari a 25.822,84 euro), il riconoscimento di tali benefìci è subordinato alla prestazione di polizza fideiussoria o fideiussione bancaria. In caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente a questa, di due rate, il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente e automaticamente riscotibile in unica soluzione; il carico non può più essere rateizzato (articolo 19 del D.P.R. n. 602 del 1973).

Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso si applicano gli interessi al tasso del 4 per cento annuo (articolo 21 del D.P.R. n. 602 del 1973).

Inoltre, l’articolo 26 del D.Lgs. n. 46 del 1999 prevede che, per le entrate tributarie diverse da quelle dello Stato e per quelle non tributarie, la rateazione è concessa in conformità delle disposizioni che le regolano. La richiesta deve comunque essere presentata, a pena di decadenza, prima dell'inizio della procedura esecutiva.

b)   estensione delle agevolazioni fiscali, previste per le azioni esecutive e cautelari, e per le attività ad esse prodromiche, eseguite dagli agenti della riscossione, ai soggetti terzi da questi incaricati. L’estensione dovrà essere limitata agli adempimenti finalizzati allo svolgimento dell’incarico conferito;

Le agevolazioni fiscali riconosciute agli agenti della riscossione per lo svolgimento di azioni esecutive e cautelari[14] sono le seguenti:

-       gratuità delle trascrizioni, iscrizioni e cancellazioni di pignoramenti e ipoteche; gratuità della trascrizione dell’eventuale assegnazione di immobili in favore dello Stato; rilascio in carta libera dell’elenco delle trascrizioni e iscrizioni relative ai beni indicati dall’agente (articolo 47 del D.P.R. n. 602 del 1973);

-       gratuità delle visure ipotecarie e catastali rilasciate dall’Agenzia del territorio sui beni immobili dei debitori iscritti a ruolo e loro coobbligati; gratuità dell’attribuzione della rendita dei beni per i quali la stessa non risulta determinata e dello svolgimento della perizia effettuata sui terreni con destinazione edificatoria; applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 10 euro per i trasferimenti coattivi di beni mobili non registrati (articolo 47-bis del D.P.R. n. 602 del 1973);

-       riduzione del 50 per cento delle tasse e dei diritti giudiziari dovuti in occasione e in conseguenza del procedimento di riscossione coattiva (articolo 48 del D.P.R. n. 602 del 1973).

c)   parziale revisione della disciplina del rimborso delle spese sostenute dagli agenti della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutti i tipi di oneri derivanti dall’esercizio dei compiti istituzionali;

La disciplina del rimborso delle spese sostenute dagli agenti della riscossione è contenuta nell’articolo 17, commi 6 e seguenti, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, recante Riordino del servizio nazionale della riscossione.

Ai sensi del comma 7-ter del citato articolo 17, e del decreto ministeriale di aggiornamento del 27 febbraio 2004[15], le spese di notifica della cartella di pagamento sono a carico del debitore e sono fissate nella misura di 5,56 euro.

La misura e le modalità di erogazione del rimborso delle spese relative alle procedure esecutive sono contenute nel decreto ministeriale 21 novembre 2002[16], emanato in attuazione del comma 6 del citato articolo 17. Il decreto ministeriale contiene inoltre un elenco di attività necessariamente compiute da soggetti esterni, funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva, per le quali il rimborso all’agente della riscossione spetta nelle misure risultanti da tariffe ufficiali e sulla base di atti di liquidazione corredati da idonea documentazione.

All’agente della riscossione spetta un compenso anche per l’attività di esecuzione dei provvedimenti dell'ente creditore, che riconoscono, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo (articolo 17 cit., comma 7-bis).

Il rimborso delle spese è generalmente a carico del debitore, tranne che nei casi di annullamento del ruolo per effetto di provvedimenti di sgravio, o di discarico per inesigibilità, nei quali l’onere è posto a carico dell’ente creditore.

d)   introduzione di criteri di controllo dell’inesigibilità degli importi iscritti a ruolo, coerenti con il nuovo sistema di riscossione nazionale e individuati anche sulla base del valore degli stessi importi.

Il discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo, disciplinato dagli articoli 19 e 20 del D.Lgs. n. 112 del 1999, è richiesto dagli agenti della riscossione all’ente creditore nel caso in cui, espletate tutte le fasi in cui si articolano le procedure esecutive, il contribuente risulti del tutto o in parte insolvente. Per ottenere il discarico l’agente della riscossione deve presentare una comunicazione di inesigibilità, redatta secondo le modalità contenute nel decreto ministeriale 22 ottobre 1999[17]. Decorsi tre anni da tale comunicazione, l’agente della riscossione è automaticamente discaricato e i crediti erariali corrispondenti alle quote discaricate sono contestualmente eliminati dalle scritture patrimoniali. L’articolo 19, comma 2, del D.Lgs. n. 112 del 1999 elenca una serie omissioni da parte dell’agente della riscossione che costituiscono cause di perdita del diritto al discarico.

Durante i tre anni decorrenti dalla comunicazione di inesigibilità, l’agente deve conservare la documentazione cartacea relativa alle procedure esecutive poste in essere e l’ufficio può richiedere la trasmissione della documentazione relativa alle quote per le quali intende esercitare il controllo di merito, ovvero procedere alla verifica della stessa documentazione presso l’agente; la mancata consegna o messa a disposizione della documentazione comporta la perdita del diritto al discarico[18].

Per quanto riguarda i criteri in base ai quali deve essere effettuato il controllo del discarico per inesigibilità, l’articolo 20, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 112 del 1999 prevede che il controllo di cui al comma 1 dello stesso articolo[19] è effettuato a campione, sulla base dei criteri stabiliti da ciascun ente creditore.

e)   semplificazione e razionalizzazione delle procedure di anticipazione, da parte degli agenti della riscossione, del rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite, anche con previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del beneficiario;

Il rimborso delle somme indebitamente pagate dai contribuenti è disciplinato dall’articolo 26 del D.Lgs. n. 112 del 1999, il quale prevede che l’ente creditore incarichi l’agente della riscossione di effettuare i suddetti rimborsi, anticipando le relative somme, che verranno poi restituite dall’ente creditore, maggiorate degli interessi legali decorrenti dal giorno del rimborso al contribuente. Il comma 3 del citato articolo 26 rimette a un decreto ministeriale, non ancora emanato, l’individuazione delle modalità di esecuzione dei rimborsi e di restituzione delle somme anticipate all’agente della riscossione. È fatta salva per gli enti creditori diversi dallo Stato la possibilità di determinare, con proprio provvedimento, differenti modalità di rimborso.

L’articolo 57-bis dello stesso D.Lgs. n. 112 del 1999 prevede che, fino all’emanazione del sopra indicato decreto ministeriale (come detto, non ancora emanato), il rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite è eseguito con le modalità in vigore al 30 giugno 1999, e che la restituzione ai concessionari delle somme da essi anticipate è effettuata mediante compensazione sui versamenti in tesoreria dei tributi riscossi. In materia è stata emanata un’apposita circolare dell’Agenzia delle entrate[20], ai sensi della quale l’esecuzione dei rimborsi si articola nel seguente modo:

-        ricevuto dall’ente creditore il provvedimento di discarico delle somme iscritte a ruolo, l’agente della riscossione invita il contribuente a riscuotere il rimborso spettante. Il rimborso deve avvenire, nell’interesse del contribuente, entro sessanta giorni decorrenti dal settimo giorno lavorativo successivo alla trasmissione telematica del provvedimento di discarico[21]. La circolare ritiene comunque opportuno che gli agenti della riscossione inviino al contribuente l’invito a riscuote il rimborso entro il trentesimo giorno successivo alla suddetta trasmissione telematica;

-        il contribuente, o un suo delegato, deve presentarsi all’agente della riscossione per riscuotere il rimborso (anticipato dall’agente della riscossione) e rilasciare la relativa quietanza;

-        l’agente della riscossione, con cadenza mensile, invia all’ente creditore un elenco di tutte le anticipazioni effettuate nel mese precedente per erogare i rimborsi, corredato di copia delle quietanze rilasciate dai contribuenti. L’ufficio preposto al riscontro contabile verifica l’elenco ed emana un provvedimento di dilazione per l’importo richiesto dall’agente, comprensivo degli interessi maturati dal giorno dell’effettuazione del rimborso, fino alla data del provvedimento, a valere sui versamenti in Tesoreria dei tributi riscossi.

f)     limitazione della chiamata in giudizio degli agenti della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi dell’attività ad essi effettivamente riferibili.

Come si legge nella relazione illustrativa del Governo, questa limitazione ha lo scopo di evitare che l’agente della riscossione possa essere considerato legittimato passivamente in controversie che, pur traendo origine dalla notifica di una cartella di pagamento, abbiano ad oggetto il rapporto tra contribuente e ente creditore che ha dato luogo all’iscrizione a ruolo.

La limitazione della chiamata in giudizio degli agenti della riscossione ai soli casi in cui il giudizio verta sui vizi degli atti da questi compiuti è già di fatto operante, anche se non dichiarata espressamente da una norma legislativa.

Il giudice deve infatti dichiarare inammissibile il ricorso, per difetto di legittimazione passiva,qualora venga chiamato in giudizio l’agente della riscossione, anziché l'ufficio finanziario, per motivi attenti alla debenza del tributo[22].

Si cita, a conferma di quest’affermazione, la circolare n. 98/E del 23 aprile 1996, interpretativa del D.Lgs. n. 546 del 1992[23], la quale osserva che, per quanto concerne l’agente della riscossione, “lo stesso è parte del processo tributario quando oggetto della controversia sia l'impugnazione di atti a lui direttamente riferibili, nel senso che trattasi di errori imputabili allo stesso concessionario [ora: agente] (errori connessi alla compilazione e all'intestazione della cartella di pagamento o degli avvisi di mora, alla notificazione degli stessi atti, eccetera)”.

g)   attribuzione a Riscossione Spa di tutte o parte delle funzioni attualmente esercitate dall’Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei versamenti unitari con compensazione, nonché del monitoraggio dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi e del compito di effettuare interventi finalizzati al recupero delle somme non versate.

 

Il sistema dei versamenti unitari con compensazione, introdotto e disciplinato dal Capo III (articoli da 17 a 29) del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, prevede il versamento contestuale di imposte, contributi, premi previdenziali ed assistenziali e altre somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali, al netto di eventuali compensazioni di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalla dichiarazioni e dalla denunce periodiche. Tali versamenti si effettuano, utilizzando l’apposito modello F24, presso banche, poste e agenti della riscossione.

Ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 241 del 1997, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e del lavoro, è individuata una struttura di gestione avente il compito di attribuire agli enti destinatari le somme a ciascuno di essi spettanti, tenendo conto dell’eventuale compensazione effettuata dai contribuenti. La struttura, disciplinata dal decreto interministeriale 22 maggio 1998, n. 183, è stata costituita presso il Ministero delle finanze, Dipartimento delle entrate, Direzione centrale per la riscossione. Attualmente, in seguito alla creazione dell’Agenzia delle entrate, la struttura di gestione è un ufficio della Direzione centrale amministrativa dell’Agenzia stessa.

Le funzioni dell'ufficio struttura di gestione, che dovrebbero essere attribuite, in tutto o in parte, a Riscossione Spa, sono le seguenti[24]:

-        controllo e quadratura tra quanto riversato in tesoreria dagli intermediari della riscossione (banche, poste e agenti della riscossione) e i dati analitici, trasmessi telematicamente, dei versamenti eseguiti dai contribuenti;

-        quadratura delle compensazioni eseguite dai contribuenti e riaccredito delle stesse alle entrate, mediante prelievo dagli appositi capitoli di spesa o dai fondi messi a disposizione dagli enti percettori;

-        attribuzione agli enti percettori delle somme riscosse, mediante bonifico telematico o accredito nei capitoli di entrata del bilancio dello Stato;

-        addebito del conto economico dell'Agenzia per i compensi trattenuti dagli intermediari;

-        applicazione delle sanzioni agli intermediari nei casi di mancato rispetto degli accordi convenzionali e controllo dell'avvenuto versamento delle sanzioni stesse nel conto economico dell'Agenzia o nei capitoli di entrata del bilancio dello Stato;

-        versamento agli agenti della riscossione degli importi necessari per effettuare i rimborsi in conto fiscale e conseguente addebito sui capitoli di spesa del bilancio dello Stato.

 

Con riferimento alla prevista attribuzione alla società Riscossione Spa del controllo sull’andamento dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi, si segnala che la normativa vigente (articolo 2, commi 1 e 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248) conferisce agli uffici dell'Agenzia delle entrate la possibilità di controllare, anche prima della presentazione della dichiarazione annuale, il tempestivo versamento delle imposte sul reddito e dell'IVA, dovute a saldo o a titolo di acconto, nonché delle ritenute operate dai sostituti di imposta. L'esercizio di tale potere è subordinato alla circostanza che, secondo il prudente apprezzamento dell'ufficio, vi sia pericolo per la riscossione.

 


Articolo 3
(Delega in materia di accertamento)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di accertamento dei tributi erariali, volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le relative disposizioni, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) armonizzazione delle regole generali e dei poteri di accertamento per tutti i tributi erariali, comprese le attribuzioni e la competenza territoriale degli uffici, al fine di assicurarne la coerenza con i princìpi della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, nonché con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, e unificazione dei termini per l'accertamento, con la sola previsione di termini differenziati nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi, accessori e sanzioni non dovuti;

b) individuazione di specifici poteri di indagine e di accertamento in presenza di fenomeni di frode ed estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno concorso alla frode stessa;

c) armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e revisione dei criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva;

d) armonizzazione delle diverse forme di interpello, incluso quello internazionale, e definizione di una normativa generale antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la previsione della possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini esclusivamente o prevalentemente fiscali, anche mediante l'eventuale modificazione delle disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni;

e) revisione del principio di unicità dell'atto di accertamento, della sua integrabilità, e coordinamento con la disciplina dell'accertamento parziale e dell'adesione del contribuente;

f) potenziamento del sistema infor­mativo, acquisizione secondo modalità telematiche e armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione e contrasto dell'evasione nonché utilizzo delle stesse ai fini della corretta individuazione, anche a seguito dell'attività di controllo, dell'indicatore della situazione economica del contribuente;

g) riordino e razionalizzazione delle attività di cooperazione con gli enti territoriali e previdenziali nonché con le amministrazioni fiscali degli Stati esteri e dello scambio di informazioni, anche in attuazione degli accordi internazionali;

h) individuazione delle modalità e dei termini di ritrattabilità delle dichiarazioni e rapporto con la richiesta di rimborso.


 

 

L’articolo 3 delega il Governo ad intervenire, mediante uno o più decreti legislativi, per razionalizzare e semplificare le disposizioni in materia di accertamento di tributi erariali.

 

L’espressione accertamento tributario designa il complesso delle attività poste in essere dall’amministrazione finanziaria per determinare l’an e il quantum dell’obbligazione tributaria.

Le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi sono contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

 

La disposizione qui illustrata individua i seguenti princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della delega:

a)      armonizzazione delle regole e dei poteri di accertamento per tutti i tributi erariali, nonché delle attribuzioni e della competenza territoriale degli uffici, al fine di assicurarne la coerenza con le disposizioni dello statuto del contribuente, emanato con la legge 27 luglio 2000, n. 212, e con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità del procedimento amministrativo e dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi [comma 1, lettera a)].

Lo statuto del contribuente ha individuato alcuni princìpi applicabili al complesso dell’ordinamento tributario e ha apportato specifiche modifiche a singole disposizioni di legge.

In particolare, gli articoli da 1 a 4 recano alcuni princìpi di carattere generale ai quali il legislatore deve ispirarsi nell’adozione di norme in materia tributario.

L’articolo 1 qualifica le disposizioni contenute nella legge n. 212 del 2000 come princìpi generali dell’ordinamento tributario, derogabili e modificabili solo espressamente né mai attraverso leggi speciali. Si stabilisce, inoltre, che eventuali disposizioni di carattere interpretativo in campo tributario possono essere adottate solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. L’articolo 2 enunzia princìpi relativi alla chiarezza della formulazione delle disposizioni tributarie. Il successivo articolo 3 esclude che le disposizioni tributarie possano avere effetto retroattivo (tranne che nel caso dell’interpretazione autentica)[25]. Viene, poi, stabilito che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati. Infine, l’articolo 4 dispone che l’istituzione di nuovi tributi non possa essere operata con decretazione di urgenza, ma solo con legge ordinaria.

Gli articoli 5, 6 e 7 recano alcune disposizioni volte ad assicurare ai contribuenti la possibilità di acquisire le informazioni relative ai fatti che lo interessano; precisi obblighi sono a tal fine imposti all’amministrazione finanziaria.

In particolare, l’articolo 6 prescrive all'amministrazione finanziaria, ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari, di comunicare al contribuente – con le necessarie garanzie di riservatezza – gli atti a lui destinati nel luogo del suo effettivo domicilio, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui tali atti si riferiscono.

Inoltre, l'amministrazione deve:

1)       informare il contribuente di fatti o circostanze ad essa noti dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli le necessarie integrazioni o correzioni;

2)       prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, ovvero qualora dalla liquidazione emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta, ove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo, comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione di queste disposizioni.

L'amministrazione deve infine assicurare la disponibilità e la comprensibilità dei modelli di dichiarazione, delle istruzioni e di ogni altra comunicazione, e procurare che gli adempimenti possano essere eseguiti con la maggiore semplicità ed economicità per il contribuente. A questo non possono comunque essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente.

L’articolo 7 richiama, poi, con riferimento specifico all’amministrazione finanziaria, le prescrizioni contenute nella legge 7 agosto 1990, n. 241 in tema di chiarezza e di motivazione degli atti, di individuazione dei responsabili di procedimenti e di indicazione negli atti stessi degli uffici che possono fornire spiegazioni sul loro contenuto.

Gli articoli 8, 9 e 10 contengono disposizioni dirette ad evitare al contribuente ingiusti aggravi, a garantirgli un più immediato soddisfacimento dei suoi crediti d’imposta e ad escludere l’applicazione di sanzioni per eventi a lui non imputabili. In particolare, l’articolo 8 prescrive che le disposizioni tributarie non possono stabilire né prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario determinato dal codice civile e che l'obbligo di conservazione di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione. Esso inoltre, in aggiunta alla compensazione, ammette esplicitamente l’accollo del debito d’imposta tra le forme di estinzione del debito tributario; in secondo luogo, sancisce il diritto del contribuente ad ottenere il rimborso del costo delle fideiussioni che il contribuente abbia dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, quando sia accertato che essi non erano dovuti.

L’articolo 9 concede la remissione in termini per l’esecuzione di adempimenti tributari nel caso in cui il loro tempestivo adempimento sia impedito da cause di forza maggiore. Ciò comporta che, in relazione ad una forza esterna impeditiva dell’adempimento di legge, non sia più necessario fare ricorso ad interventi legislativi di urgenza, in quanto il provvedimento di rimessione in termini potrà essere disposto dal Ministero delle finanze con apposito decreto. L’articolo 10 stabilisce, tra le altre cose, che non sono irrogate sanzioni tutte le volte in cui il contribuente incorre in errori o irregolarità dovute al comportamento dell’amministrazione finanziaria.

L’articolo 11 modifica la disciplina in materia di interpello, ampliando notevolmente la possibilità, riconosciuta ai contribuenti dalla legge n. 413 del 1991, di rivolgersi all’amministrazione per acquisirne la pronunzia circa la corretta interpretazione di disposizioni che evidenzino obiettive condizioni di incertezza (cfr. infra).

Per quanto concerne la tutela dei contribuenti sottoposti ad accessi, ispezioni e verifiche, specifico rilievo assume l’articolo 12, il quale stabilisce il principio per cui le verifiche presso i locali del contribuente destinati all’esercizio delle attività commerciali debbono svolgersi durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse.

L’articolo 13 ha infine istituito presso ogni Direzione regionale delle entrate il Garante del contribuente.

I principi di efficienza, efficacia ed economicità del procedimento amministrativo sono contenuti nell’articolo 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, recante le norme sul procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi, che è stata da ultimo modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.

È altresì prevista l’unificazione dei termini per l’accertamento, salvo quanto esposto subito sotto circa la previsione di termini differenziati, nonché dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi, degli importi accessori e delle sanzioni non dovuti [comma 1, lettera a)].

Si ricorda inoltre, in materia di termini per l’accertamento, che l’articolo 15 del decreto legislativo 9 giugno 1997, n. 241, ha modificato in materia le disposizioni dell’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, relativi alle imposte sui redditi.

Tale norma, a seguito delle modifiche introdotte, prevede che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quella in cui è stata presentata la dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Fino alla scadenza del termine, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’amministrazione finanziaria.

Le disposizioni previste per le imposte sui redditi si applicano anche per l’imposta regionale sulle attività produttive, fino all’entrata in vigore delle leggi regionali applicative, secondo quanto previsto rispettivamente dagli articoli 25 e 24 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

Per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, gli avvisi relativi alle notifiche e agli accertamenti – a norma dell'articolo 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – debbono essere notificati entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione: anche in questo caso il termine è prolungato di un anno per l'ipotesi di omessa dichiarazione.

Ai fini dell'imposta di registro, l'articolo 76 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone che l'imposta sugli atti soggetti a registrazione non presentati deve essere richiesta, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dal giorno in cui avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione o nel quale si è verificato il fatto che legittima la registrazione d'ufficio. L'avviso di rettifica o di liquidazione della maggiore imposta dovuta deve essere invece notificato entro due anni dal pagamento dell'imposta proporzionale.

Con riguardo all'imposta comunale sugli immobili, l'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dispone che l'azione di controllo da parte dell'ente impositore deve essere esercitata entro i due anni successivi a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Il termine è di tre anni quando debba essere attribuita la rendita, e di cinque anni in caso di omessa presentazione della dichiarazione.

Termini specifici sono stabiliti dalla legge per altri tributi.

b)      previsione di termini differenziati di accertamento unicamente nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denunzia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 [comma 1, lettera a)];

Il decreto legislativo n. 74 del 2000 disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Tra i delitti in materia di dichiarazioni vengono previste la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; la dichiarazione infedele; l’omessa dichiarazione; tra i delitti in materia di documenti e di pagamento di imposte vengono contemplati l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; il concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; l’occultamento o distruzione di documenti contabili; l’omesso versamento di ritenute certificate; l’omesso versamento di IVA; l’indebita compensazione; la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

In materia, l’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 già prevede che, in caso di violazione che comporta l’obbligo di denunzia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, i termini per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.

L’articolo 331 del codice di procedura penale disciplina la denunzia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio, prevedendo che, quando tali soggetti, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, essi devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito, trasmettendola senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.

c)      l’individuazione di specifici poteri di indagine e di accertamento in presenza di fenomeni di frode e l’estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno concorso alla frode stessa [comma 1, lettera b)];

d)      l’armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e la revisione dei criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva [comma 1, lettera c)];

Le forme di accertamento possono essere distinte in accertamento analitico, accertamento sintetico, accertamento induttivo, accertamento parziale, accertamento d’ufficio.

L’accertamento d’ufficio è eseguito in presenza di omessa dichiarazione, ovvero di dichiarazione radicalmente nulla: in tal caso, l’amministrazione finanziaria determina il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte e di cui sia venuto a conoscenza, con facoltà di avvalersi di presunzioni non qualificate.

Si procede all’accertamento analitico quando l’amministrazione finanziaria, sebbene la dichiarazione sia incompleta o infedele è in grado di determinare analiticamente, ossia voce per voce, il maggior reddito conseguito o le indebite detrazioni effettuate dal contribuente (si veda, in proposito, l’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973).

Si procede invece all’accertamento sintetico, disciplinato dall’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, quando l’accertamento analitico esprime un volume di reddito non adeguato a quello attribuibile al contribuente sulla base di elementi certi.

In certi aspetti analogo all’accertamento sintetico (in quanto comunque basato su una ricostruzione della situazione reddituale del contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria), risulta l’accertamento induttivo, che però si fonda sull’individuazione di dati oggettivi in base ai quali poter definire il ricavo presunto dei contribuenti (laddove l’accertamento sintetico e di ufficio si basano sull’individuazione di elementi riferiti al singolo contribuente). In tale fattispecie rientrano ad esempio gli studi di settore, introdotti nell’ordinamento italiano dal decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Gli studi di settore consistono in valutazioni molto dettagliate per settori di attività, che dovrebbero consentire una più articolata determinazione dei ricavi normali di tali settori. La predisposizione degli studi si fonda su informazioni desunte da questionari inviati all’universo dei contribuenti di cui si rilevano, in particolare, gli acquisti di beni e servizi, i prezzi medi praticati, i consumi di materie prime, il capitale investito, l’impiego di manodopera e di beni strumentali, la localizzazione dell’attività ed altri elementi significativi.

Disposizioni volte al perfezionamento dei metodi di formulazione e di applicazione degli studi di settore sono contenuti nel disegno di legge finanziaria per il 2006, attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183, art. 3, commi 1-15). Esso disciplina in particolare le modalità di revisione e di aggiornamento degli studi di settore, ridefinendo le fattispecie alle quali non si applica tale strumento; prevede poi la determinazione di specifici indici di normalità economica per i contribuenti titolari di redditi di impresa o di lavoro autonomo cui non si applicano gli studi di settore, nonché l’individuazione di appositi indicatori di coerenza per le società di capitali, le società cooperative, le società di mutua assicurazione, che risultano escluse dall’applicazione degli studi di settore.

L’accertamento riguarda, di norma, il complesso dei redditi del contribuente riferiti alla dichiarazione presentata per il periodo d’imposta. Tuttavia, senza pregiudizio per l’ulteriore azione accertatrice, nei termini ordinari, l’amministrazione finanziaria, quando rilevi l’esistenza di un reddito non dichiarato o di un maggior reddito, può procedere ad accertamento parziale per accertare il detto reddito evaso o il maggior reddito imponibile (art. 41-bis del DPR n. 600 del 1973: si veda anche infra).

e)      l’armonizzazione delle diverse forme di interpello, incluso quello internazionale [comma 1, lettera d)];

Come già si è ricordato, l’istituto dell’interpello è stato introdotto nell’ordinamento tributario con l’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, con riguardo ad alcune specifiche disposizioni tributarie. La possibilità di ricorrere all’interpello è stata successivamente ampliata dall’articolo 11 dello Statuto del contribuente (cosiddetto “interpello ordinario”). L’interpello consiste nella facoltà di rivolgersi all’amministrazione finanziaria per acquisirne la pronunzia circa la corretta interpretazione di disposizioni che evidenzino obiettive condizioni di incertezza. In proposito, merita segnalare l’esclusione della possibilità di irrogare sanzioni nei confronti del contribuente che non abbia ricevuto risposta entro il termine di 120 giorni, limitatamente alla questione che è oggetto dell’istanza. Va inoltre ricordata la disposizione di carattere generale per cui, decorso inutilmente il termine, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione prospettata dal contribuente. Si stabilisce, infine, che è nullo qualsiasi atto adottato dall’amministrazione nei confronti del contribuente in difformità della risposta. Si ricorda, al riguardo, che con il decreto 26 aprile 2001, n. 209, è stato adottato il regolamento contenente le disposizioni attuative del citato articolo 11.

In concreto, il contribuente, quando sussistono obiettive condizioni di incertezza circa l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali può inoltre un quesito all’Amministrazione finanziaria che risponde nel termine sopra ricordato di 120 giorni. In particolare, l’Agenzia delle entrate può essere interpellata per quel che concerne le imposte sui redditi; l’imposta sul valore aggiunto; l’Irap; l’imposta di registro; l’imposta di bollo; la tassa sulle concessioni governative; l’imposta sugli intrattenimenti ed altri tributi minori.

In tali casi l’istanza deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente.

Per i tributi che non sono di competenza dell’Agenzia delle entrate il contribuente potrà presentare istanza di interpello all’ente che li gestisce (ad esempio l’Agenzia delle dogane per le accise, i comuni per l’ICI e per gli altri tributi comunali; le province per quelli provinciali e le regioni per quelli regionali).

Una speciale forma d’interpello è prevista dall’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché in varie norme del testo unico delle imposte sui redditi, allo scopo di rimuovere limiti e divieti contenuti in norme tributarie sostanziali a fine antielusivo, mediante dimostrazione dell’effettiva ragione economica sottostante all’operazione del contribuente.

L’articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003 n. 326, ha introdotto il cosiddetto interpello (o ruling) internazionale, in favore delle imprese con attività internazionale, con principale riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. Esso si conclude con la stipulazione di un accordo tra l'Agenzia delle entrate e il contribuente, vincolante per il periodo d'imposta in corso e per i due successivi, salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al proposito.

 Una forma di interpello speciale per gli investitori non residenti consiste nella proposizione di quesiti alla Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario da parte di soggetti non residenti che intendono effettuare operazioni di investimento in Italia, allo scopo di ottenere qualificata e tempestiva consulenza giuridica anche circa le agevolazioni fiscali previste dall'ordinamento.

f)        definizione di una normativa generale antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini esclusivamente e prevalentemente fiscali, anche attraverso la revisione delle disposizioni antielusive dell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 [comma 1, lettera d)];

L’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede, tra le altre cose, che siano inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Si prevede quindi che l'amministrazione finanziaria disconosca i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi sopra richiamati, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. Tali previsioni si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate le seguenti operazioni:

a)    trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

b)    conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

c)    cessioni di crediti;

d)    cessioni di eccedenze d'imposta;

e)    operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni;

f)      operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;

g)    cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo di cui all'articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi;

h)    pagamenti di interessi e canoni di cui all'art. 26-quater del DPR n. 600 del 1973, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea.

L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le misure di inopponibilità sopra richiamati. L'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.

g)      revisione del principio dell’unicità dell’atto di accertamento e della sua integrabilità e coordinamento con la disciplina dell’accertamento parziale e dell’adesione del contribuente [comma 1, lettera e)];

L’accertamento parziale, ai sensi dell’articolo 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, comporta che gli uffici dell’amministrazione finanziaria competenti, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice e sulla scorta di segnalazioni inviate dai soggetti ivi indicati che consentono di stabilire l’esistenza di redditi in tutto o in parte non dichiarati o di deduzioni, esenzioni, agevolazioni non spettanti, possono limitarsi ad accertare il reddito o il maggior reddito imponibile e la conseguente maggior imposta dovuta in base agli elementi predetti.

L’accertamento con adesione (o concordato), previsto in via generale ai fini delle imposte dei redditi, dell’IVA e delle altre imposte indirette dal decreto legislativo n. 218 del 1997, consiste nella rettifica delle dichiarazioni mediante definizione concordata con un unico atto e con l’adesione del contribuente. L’accertamento con adesione può applicarsi a condizione che siano state presentate la dichiarazione dei redditi e quella dell’IVA, oppure che non ricorrano ipotesi di reati fiscali.

Nel corso della XIV legislatura si è fatto ricorso ad una peculiare forma di accertamento con adesione, quella del concordato preventivo.

Una prima forma di concordato triennale, prevista dall’articolo 6 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria 2003) non ha trovato realizzazione per la mancata emanazione del regolamento ministeriale attuativo. In forma sperimentale, un concordato preventivo biennale riferito agli anni 2003 e 2004 è stato quindi introdotto dall’articolo 33 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269.

L’articolo 1, commi da 387 a 398, ha poi disciplinato l’istituto della pianificazione fiscale concordata triennale, destinata a entrare in funzione dal 2005. Tuttavia, questa disciplina è stata sostituita dalla programmazione fiscale triennale, prevista dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 (articolo 1, commi da 499 a 509 e 519-520) con decorrenza dal periodo fiscale 2006. L’articolo 1, comma 368, lettera a) della medesima legge ha inoltre prefigurato la possibilità di concordare la tassazione di distretto (riferita a tributi statali e locali) per le imprese aderenti ai distretti industriali, rimettendone la disciplina a un emanando decreto ministeriale. L’istituto della programmazione fiscale triennale è stato quindi soppresso dall’articolo 37, comma 51, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. “decreto Bersani-Visco”)

h)      potenziamento del sistema informativo, acquisizione secondo modalità telematiche e armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione e al contrasto dell’evasione, e utilizzo delle stesse per l’individuazione corretta dell’indicatore della situazione economica del contribuente [comma 1, lettera f)];

In materia di trasmissione telematica delle dichiarazioni interviene l’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998 n. 322, recante il regolamento in ordine alle modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’IRAP e all’IVA. Possono presentare dichiarazione in forma telematica tutti i contribuenti; vi sono poi alcune categorie di soggetti che sono tenuti alla presentazione della dichiarazione in forma telematica. Si tratta in particolare dei seguenti:

-       soggetti passivi IVA con volume di affari superiore a euro 10.000 (a decorrere dal 1° maggio 2007, in base a quanto disposto dall’articolo 37, comma 10, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006 n. 248, tutti i soggetti passivi IVA saranno tenuti alla presentazione della dichiarazione in via telematica);

-       i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta;

-       le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;

-       gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

-       i soggetti tenuti alla presentazione del modello per la comunicazione dei dati relativi all’applicazione degli studi di settore (nonché quelli tenuti all’applicazione dei parametri, a decorrere dal 1° maggio 2007, in base a quanto previsto dall’articolo 37, comma 10, decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n. 248).

Si prevede che tali dichiarazioni siano trasmesse avvalendosi del servizio telematico Entratel; il collegamento con l’Agenzia delle entrate è gratuito per gli utenti.

La disposizione fa riferimento all’ “indicatore della situazione economica del contribuente”. Sembra che tale espressione non debba intendersi riferita all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), contemplato nella legislazione vigente come indicatore della condizione economica degli individui, utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per verificare il diritto dei cittadini a ricevere prestazioni sociali subordinate a limiti di reddito e di ricchezza.

L’ISEE è infatti un indicatore misto, di natura reddituale e patrimoniale, in quanto viene calcolato sulla base della somma dei redditi assoggettabili ad IRPEF nonché dei redditi derivanti da attività finanziarie di tutti i componenti il nucleo familiare, da un lato, e del patrimonio mobiliare e immobiliare, dall’altro lato. L’indicatore così ottenuto è poi diviso per un parametro il cui importo dipende dal numero dei componenti il nucleo familiare (cosiddetta "scala di equivalenza"), al fine di rendere confrontabili situazioni economiche di soggetti appartenenti a nuclei famigliari di diversa numerosità.

Il disegno di legge finanziaria per il 2007, attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183, art. 3, commi 40-41) istituisce il sistema integrato delle banche dati in materia tributaria e finanziaria, per la condivisione e la gestione coordinata delle informazioni dell’intero settore pubblico per l’analisi e il controllo della pressione fiscale e dell’andamento dei flussi finanziari. Gli archivi di dati destinati a comporlo e le regole tecniche di accesso e funzionamento saranno definiti con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.

i)        riordino e razionalizzazione delle attività di cooperazione con gli enti territoriali e previdenziali nonché con le amministrazioni finanziarie degli Stati esteri, e dello scambio di informazioni anche in attuazione degli accordi internazionali [comma 1, lettera g)];

In materia di partecipazione degli enti locali alle attività di accertamento, l’articolo 1, del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha attribuito ai comuni intervenuti nell’accertamento fiscale il 30 per cento delle maggiori somme riscosse, relativamente ai tributi statali.

La determinazione delle modalità tecniche, delle forme di partecipazione dei comuni e delle ulteriori materie in cui essa può esplicarsi è demandata a provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, d’intesa con il Direttore dell’Agenzia del territorio per i tributi di competenza di questa.

Forme di partecipazione dei comuni all’accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche erano inoltre già previste dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. A questo fine, l’articolo 44 prescrive ai centri di servizio di trasmettere ai comuni di domicilio fiscale dei soggetti passivi le copie delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle persone fisiche e agli uffici delle imposte di trasmettere ai medesimi comuni le proprie proposte di accertamento in rettifica o d’ufficio (con le successive integrazione e modificazioni) relative a persone fisiche. Il comune di domicilio fiscale del contribuente, avvalendosi della collaborazione del consiglio tributario se istituito, può segnalare all'ufficio delle imposte dirette qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche, e indicare – anche nel caso di omissione della dichiarazione – dati, fatti ed elementi rilevanti con la loro idonea documentazione. A tal fine il comune può prendere visione presso gli uffici delle imposte degli allegati alle dichiarazioni già trasmessegli in copia dall'ufficio stesso. In relazione alle proposte di accertamento, il comune può inoltre proporre l'aumento degli imponibili, fornendone idonea documentazione. Per questi adempimenti, il comune può chiedere dati e notizie alle amministrazioni ed enti pubblici, che debbono rispondere gratuitamente. Le proposte di aumento non condivise dall'ufficio delle imposte devono essere trasmesse a cura dello stesso, con le proprie deduzioni, all'apposita commissione operante presso ciascun ufficio, la quale determina gli imponibili da accertare.

L’articolo 51 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, consente ai comuni di indicare all'ufficio del registro elementi per la valutazione di beni immobili o diritti reali immobiliari, ai fini dell'eventuale rettifica del valore dichiarato.

Il decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 (Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti), all’articolo 9, facoltizza i comuni a segnalare all'anagrafe tributaria dati e notizie, desunti da fatti certi, indicativi di capacità contributiva delle persone fisiche che risiedono nei rispettivi territori, vi possiedono beni o vi svolgono attività economica, nonché dati e notizie relativi ai soggetti, diversi dalle persone fisiche residenti, operanti o aventi beni nei rispettivi territori. Non risulta tuttavia essere stato emanato il decreto del Ministro per le finanze che avrebbe dovuto disciplinare le modalità e i termini delle segnalazioni.

Per quanto riguarda il concorso delle regioni, l’articolo 10 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, ha stabilito che le regioni a statuto ordinario partecipano all'attività di accertamento relativa ai tributi erariali, rimettendo a decreto del Ministro delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, la determinazione delle modalità attuative, da stabilirsi in analogia con quanto previsto dal citato articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 . Anche in questo caso, il previsto decreto attuativo non risulta essere stato emanato.

Il disegno di legge finanziaria per il 2007, attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183, art. 3, commi 37-39) prevede e disciplina l’annuale trasmissione alle regioni dei dati del sistema doganale relativi alle importazione e alle esportazioni, nonché l’annuale trasmissione alle regioni, alle province autonome e ai comuni, dei dati delle dichiarazioni dei redditi presentate nell’anno precedente dai contribuenti in essi residenti.

l)      individuazione delle modalità e dei termini di ritrattabilità delle dichiarazioni e rapporto con la richiesta di rimborso [comma 1, lettera h)].

 

Merita infine ricordare che, nel corso della XIV legislatura, misure volte a rafforzare i poteri di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria agli effetti dell’IRPEF e dell’IVA sono state adottate, in particolare, con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), all’articolo 1, commi da 402 a 406. Le modificazioni introdotte hanno potenziato, in particolare, le disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973 che già intervenivano in materia di invito ai contribuenti a comparire per fornire dati e notizie, di uso degli elementi acquisiti agli effetti delle rettifiche e degli accertamenti, di richieste di dati, notizie e documenti a banche, Poste, intermediari e soggetti che prestano servizi finanziari; è stata altresì integrata la determinazione degli elementi che consentono di stabilire l’esistenza di violazioni fiscali, ed esteso l’oggetto dell’accertamento, nel quale viene compresa anche l’imposta non versata. Successivamente, l’articolo 2, commi 8 e 9, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, ha disposto l’utilizzabilità dei dati acquisiti per l’accertamento delle accise agli effetti dell’accertamento presuntivo delle imposte dirette e dell’IVA.

Fra gli strumenti impiegati per la determinazione dell’imponibile hanno assunto una funzione sempre più rilevante gli studi di settore. Nel corso della XIV legislatura sono state infatti emanate alcune disposizioni relative alla loro revisione. Essa è stata prevista dapprima dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (articolo 23, comma 1), con finalità di controllo delle tendenze inflative rilevate in occasione del passaggio alla nuova moneta dell’euro, per i settori in cui si fossero manifestate o fossero in atto abnormi dinamiche di aumento dei prezzi. Per altro, tale operazione non risulta essere stata eseguita. Il controllo dei prezzi nella filiera agroalimentare da parte della Guardia di finanza è stato quindi nuovamente disposto dall’articolo 2 del D.L. 9 settembre 2005, n. 182. Finalità più propriamente tributarie ha invece rivestito la revisione quadriennale disposta in via generale per i medesimi studi dall’articolo 1, commi da 399 a 401, della legge n. 311 del 2004, la quale, all’articolo 1, commi da 407 a 411, ne ha altresì disciplinato l’impiego a fine di accertamento. Tale possibilità è estesa, nei riguardi dei soggetti che esercitano attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, nonché degli esercenti arti o professioni, anche al caso in cui emergano, nel periodo d’imposta da accertare, significative situazioni di incoerenza rispetto agli indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate. La possibilità di adeguamento alle risultanze degli studi di settore senza sanzioni e interessi, nel primo anno di applicazione, è stata altresì estesa ai periodi precedenti e riferita anche all’imposta regionale sulle attività produttive. In questo caso dev’essere tuttavia versata una maggiorazione del 3 per cento calcolata sulla differenza tra ricavi e compensi derivanti dall’applicazione degli studi e quelle annotati nelle scritture contabili, quando tale differenza sia superiore al 10 per cento.

All’ambito specifico dell’accertamento con adesione può poi ricondursi – pur con caratteristiche speciali – l’istituto del concordato preventivo, contemplato in varie forme nella legislazione degli ultimi anni (cfr. supra).

In materia di accertamento sono inoltre intervenuti alcuni provvedimenti all’inizio della legislatura in corso.

In particolare, il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha esteso all’accertamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale i poteri di accertamento e controllo conferiti agli uffici finanziari in materia di imposte indirette (articolo 35, comma 24); ha abrogato alcune limitazioni alla possibilità di effettuare l’accertamento in base agli studi di settore e dettano disposizioni transitorie per l’adeguamento alle risultanze dei suddetti studi (articolo 37, comma 2); ha raddoppiato i termini di decadenza dell’azione amministrativa di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, in riferimento a periodi di imposta in cui siano state riscontrate, a carico del contribuente, violazioni che comportano l’obbligo di denunzia per uno dei reati tributari di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000 (cfr. supra) (articolo 37, commi da 24 a 26); ha ampliato i poteri dell’amministrazione finanziaria in materia di accertamento delle imposte dirette, introducendo la possibilità di inviare questionari, nonché richiedere dati, notizie e documenti o acquisire informazioni relativamente al complesso dei rapporti economici intrattenuti dal destinatario dell’istanza conoscitiva (articolo 37, comma 32).

Successivamente il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2006, n. 286, ha fra l’altro esteso i poteri dell’Agenzia delle dogane in materia di accertamento con riferimento al controllo degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, presentati agli uffici doganali dai soggetti passivi IVA (articolo 1, comma 5).

 


Articolo 4
(Delega per la riforma del sistema
estimativo del catasto dei fabbricati)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la riforma generale del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di rinnovare l'attuale sistema estimativo del catasto stesso, basato sulla distinzione in categorie e classi, e per favorire il progressivo miglioramento dei relativi livelli di perequazione, trasparenza e qualità, nonché il recupero dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale attraverso:

1) segmentazione territoriale e fun­zionale del mercato immobiliare;

2) metodi di valutazione matematico-statistici;

3) utilizzo del parametro «metro quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali per le unità immobiliari a destinazione ordinaria;

4) definizione delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di valutazione;

b) derivazione dalla base patrimoniale di cui alla lettera a) di una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività;

c) ridefinizione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, nelle loro specifiche competenze con particolare riguardo alla deflazione del contenzioso;

d) articolazione del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio;

e) utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, da individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342;

f) introduzione di meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.


 

 

L’articolo 4 reca un’ampia delega al Governo per la riforma generale del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati al fine di rinnovare il sistema estimativo su cui si basa attualmente il catasto.

Il comma 1 enunzia, quali finalità della riforma, quella di favorire il progressivo miglioramento del sistema catastale, con riferimento sia ai livelli di perequazione, che alla trasparenza e qualità, nonché quella di favorire il recupero dell'evasione e dell’elusione nel settore immobiliare.

Il termine per l’esercizio della delega è fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, da attuarsi mediante l’adozione di uno o più decreti legislativi.

 

A tale proposito occorre preliminarmente notare che il comma 1 andrebbe più correttamente formulato, quanto all’oggetto della delega, prevedendo la delega “per la riforma generale del sistema di valutazione dei fabbricati su base catastale” (oppure, alternativamente, “per la riforma generale del sistema del catasto dei fabbricati”), anziché, come è ora, “per la riforma generale del sistema di valutazione del catasto fabbricati”, poiché quest’ultima locuzione stricto sensu individua quale oggetto della delega il sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, anziché il catasto medesimo.

 

I princìpi e criteri direttivi di delega sono contenuti nelle lettere da a) a f) del comma 1.

In particolare, le lettere a), b) e f) delineano i criteri cui dovrà ispirarsi il nuovo catasto dei fabbricati, mentre le lettere c), d) ed e), contengono princìpi relativi, rispettivamente, alle commissioni censuarie (lettera c), al ruolo dei comuni e dell’Agenzia del territorio (lettera d), e agli strumenti di comunicazione ai soggetti passivi dei nuovi estimi (lettera e).

Il nuovo catasto dei fabbricati: i princìpi di delega delle lettere a), b) e f)

In termini generali, dai princìpi di delega contenuti nelle lettere a) e b), si evince complessivamente che il sistema estimativo, attualmente fondato su categorie e classi, dovrà essere radicalmente modificato e dovrà basarsi sulla determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale e sulla successiva applicazione a tale base di coefficienti di redditività, attraverso i quali si determinerà la base reddituale, cioè il reddito imponibile.

 

Deve osservarsi preliminarmente che l’adozione del valore patrimoniale quale criterio per la formazione del catasto costituisce una radicale inversione dei princìpi che hanno fin qui presieduto alla formazione dei catasti. Essi, infatti, registrano attualmente la rendita, ossia il reddito medio ordinariamente ritraibile, dal quale, agli effetti dell’accertamento di taluni tributi, viene dedotto un valore convenzionale mediante l’applicazione di coefficienti o moltiplicatori. La formazione del catasto sulla base del valore patrimoniale inverte quest’impostazione: ciò potrebbe produrre effetti sul funzionamento delle imposte fondate sui dati catastali.

 

La lettera a)prevede infatti, come primo pilastro della riforma, la determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale attraverso:

1)      la segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare;

2)      metodi di valutazione matematico-statistici;

3)      l’utilizzo del «metro quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali per le unità immobiliari a destinazione ordinaria;

4)      la definizione delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di valutazione.

 

Dagli enunziati criteri, peraltro oltremodo generici, si evince solamente che l’attuale sistema degli estimi fondati sulle classi e sulle categorie sarà sostituito da uno nuovo che si baserà (numero 3 della lettera a) sul parametro del metro quadrato di superficie per le unità immobiliari a destinazione ordinaria (verrebbero quindi escluse quelle a destinazione speciale e particolare)[26].

 

Non è peraltro chiarito come si realizzi la determinazione degli estimi “su base patrimoniale”. Si può a tale proposito arguire, anche dal riferimento contenuto nel numero 1 della lettera a) stessa, che si tratti di un sistema volto a stimare il valore patrimoniale di ciascun fabbricato, collegandolo ad un ipotetico valore di mercato dello stesso in caso di compravendita, anziché al reddito retraibile dallo stesso immobile, quale potrebbe rilevarsi attraverso i dati di mercato delle locazioni immobiliari. Potrebbe pertanto trattarsi dello stesso sistema utilizzato per la revisione degli estimi catastali effettuata nel 1990 su base patrimoniale[27].

 

In tale prospettiva si colloca l’indicazione, fornita dal numero 1) della lettera a), che prevede la segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare, quale base per l’individuazione e la classificazione delle differenti tipologie di fabbricati: dovranno quindi prevedersi valori patrimoniali differenti in relazione a differenti localizzazioni degli immobili (parametro della segmentazione territoriale) e in relazione alla destinazione funzionale dei fabbricati stessi come rilevata dal mercato immobiliare.

 

I criteri di delega contenuti nella lettera a) appaiono piuttosto generici e non consentono di individuare precisamente strumenti e metodi attraverso i quali dovrà realizzarsi il nuovo sistema catastale.

In particolare, il criterio enunziato nel numero 2 della lettera a), che prevede l’impiego di “metodi di valutazione matematico-statistici”, non determina né le caratteristiche di tali metodi né il risultato che con essi dovrà conseguirsi.

 

Si ricorda che i metodi matematico-statistici sono metodi che vengono utilizzati per la stima di misure difficili da determinare, laddove il tentativo di esprimere valori collegati ad un certo evento risenta di valutazioni soggettive e richieda pertanto lo sviluppo di un metodo matematico-statistico il quale individui un indicatore caratterizzato da una relazione numericamente determinata rispetto alla variabile.

 

La lettera b)prevede poi chedalla base patrimoniale definita secondo la lettera a) sia fatta derivare una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività. In base a tale criterio, i redditi dovrebbero essere calcolati applicando coefficienti di redditività ai valori patrimoniali accertati. Il principio di delega non chiarisce tuttavia il modo in cui dovranno essere stabiliti tali coefficienti, la cui applicazione risulta determinante per i risultati della tassazione su base catastale.

 

Ad esempio, i coefficienti potrebbero essere calcolati attraverso rilevazioni effettuate sul mercato degli affitti e delle compravendite, necessariamente disaggregati per ambiti territoriali, oppure essere fissati a priori in base al confronto con investimenti concorrenti e simili a quelli immobiliari, portando in questo caso ad un’identificazione “presuntiva” dei redditi immobiliari.

 

L’unica indicazione sembra provenire dal principio di delega contenuto nella lettera f), chedispone l’introduzione di meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.

 

La condizione della parità di gettito complessivo non individua né i criteri di redistribuzione dell’onere fra realtà territoriali e tipologie di immobile, né l’incidenza dei mutamenti sul gettito delle singole imposte (ad esempio su quelle gravanti sui trasferimenti di immobili, la cui misura potrebbe crescere notevolmente in ragione del criterio di determinazione degli estimi su base patrimoniale).

 

La presente delega legislativa per il riordino del catasto dei fabbricati palesa notevoli affinità di contenuto rispetto alla legge di delega per la tassazione degli immobili contenuta nell’articolo 18 della legge 13 maggio 1999, n. 133[28], (provvedimento collegato alla legge finanziaria 1999), approvata nella XIII legislatura.

 

La suddetta delega legislativa prevedeva un intervento sulla tassazione degli immobili, allo scopo di razionalizzare e perequare il prelievo impositivo, in particolare assoggettando i redditi dei fabbricati a coefficienti convenzionali di redditività dei valori d'estimo delle unità immobiliari, determinati e successivamente fissati periodicamente, con decreto del Ministro delle finanze. I criteri di delega prevedevano l’assoggettamento dei redditi dei fabbricati, calcolati in conformità a tali coefficienti (con esclusione di quelli che concorressero a formare reddito d'impresa), ad un regime di tassazione ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche con un'aliquota pari a quella fissata per il primo scaglione di reddito mentre, per i redditi derivanti da locazione o da altre forme di utilizzazione a titolo oneroso da parte di terzi, limitava tale regime alla parte che non eccede i tassi di rendimento fissati.

In tale delega erano previsti, tra gli altri, anche criteri specifici di delega aventi ad oggetto categorie deboli o categorie particolari di soggetti meritevoli di tutela, che non sono presenti nell’attuale delega.

Si tratta delle seguenti:

-       il criterio della lettera b) prevedeva misure agevolative, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, in particolare per i redditi più bassi e per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, allo scopo di non aumentare l'onere fiscale gravante su di essi per effetto del nuovo regime di tassazione;

-       il criterio della lettera d) prevedeva esplicitamente la rideterminazione, a seguito della revisione degli estimi catastali e con la medesima decorrenza, anche al fine del mantenimento degli attuali margini di autonomia finanziaria, delle aliquote minime e massime dell'imposta comunale sugli immobili, in misura tale da garantire il medesimo gettito complessivo;

-       il criterio della lettera f) prevedeva la rimodulazione delle imposte sui trasferimenti, mediante applicazione di valori ridotti rispetto a quelli di estimo, in modo da evitare incrementi del gettito complessivo;

-       il criterio della lettera l) prevedeva il coordinamento di tutte le disposizioni legislative e regolamentari vigenti con la nuova disciplina, tenendo conto in particolare delle agevolazioni fiscali in favore dei locatori disposte dall'articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in ogni caso facendo salvi i criteri di agevolazione ivi previsti;

-       il criterio della lettera c) faceva salvo il principio di tassazione stabilito dall'articolo 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 , inteso a tenere conto dei vincoli gravanti su di essi nonché dell'interesse pubblico alla loro conservazione.

Gli altri criteri di delega [lettere c), d) ed e)]

Il criterio di delega enunziato nellalettera c)prevede laridefinizione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, nelle loro rispettive competenze.

Il principio di delega prevede, in particolare, come finalità cui dovrà mirare tale riforma, quello della deflazione del contenzioso.

 

Le commissioni censuarie provinciali e la Commissione censuaria centrale, sono organi dell’Agenzia del territorio, in base all’art. 15, comma 1, lettera d), del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107[29].

I loro compiti e funzioni sono definiti negli articoli da 16 a 40 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650 (Perfezionamento e revisione del sistema catastale), emanato in attuazione della legge di delega per la riforma tributaria (legge n. 825 del 1971).

Fino alla riforma tributaria degli anni '70 dello scorso secolo, le controversie in materia catastale erano in larga misura devolute alle Commissioni censuarie. La legge delega n. 825 del 1971 e i successivi decreti attuativi hanno sottratto alle Commissioni censuarie tale funzione decisoria, conservandone e valorizzandone viceversa le competenze consultive, di amministrazione attiva e di controllo amministrativo.

Attualmente le funzioni decisorie in ordine ai conflitti derivanti dall’applicazione delle disposizioni in materia catastale (c.d. “contenzioso catastale”) sono attribuite ad organi diversi, talora aventi natura giurisdizionale, talora amministrativa: la maggior parte delle controversie sono infatti riconducibili alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, altre rientrano nella giurisdizione amministrativa e altre ancora sono attribuibili alla giurisdizione generale ordinaria. Alle commissioni censuarie, organi amministrativi di natura non giurisdizionale, sono affidate alcuna competenze di carattere amministrativo in materia catastale.

 

Il riparto attuale tra giurisdizione tributaria e giurisdizione amministrativa in materia catastale è operato distinguendo gli atti relativi a operazioni catastali di carattere individuale dagli atti in materia catastale di carattere generale: i primi sono elencati analiticamente e dettagliatamente nell'art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e rientrano, in base al successivo articolo 19, comma 1, lettera f), nella giurisdizione delle Commissioni tributarie. L’articolo 2, in particolare, prevede che appartengano alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.

Gli atti in materia catastale generale invece, sia aventi contenuto normativo, che amministrativo generale, nonché decisorio, previsti anch'essi dalla disciplina catastale, sono invece ritenuti impugnabili davanti ai giudici amministrativi. Ad esempio, sono ricorribili davanti al giudice amministrativo, a condizione che siano lesivi di un interesse legittimo di cui sia portatore il ricorrente, i regolamenti e gli atti amministrativi generali in materia catastale, quali, ad esempio quelli recanti la determinazione e di approvazione delle tariffe d'estimo, quelli recanti la revisione delle stesse tariffe d'estimo ovvero quelli adottati, anche a seguito di reclamo dei soggetti legittimati, dalle Commissioni censuarie provinciali e dalla Commissione censuaria centrale in materia di prospetti delle qualità e classi dei terreni e delle categorie e classi delle unità immobiliari.

 

Circa invece le attribuzioni delle commissioni censuarie provinciali, l’articolo 31 del D.P.R. n. 650 del 1972, prevede le seguenti competenze:

a)    l’esame e l’approvazione dei prospetti delle tariffe per i terreni e per le unità immobiliari urbane dei comuni della propria provincia;

b)    la decisione, in prima istanza, sulle controversie sorte tra l'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali e le commissioni censuarie distrettuali[30] in materia di prospetti delle qualità e classi dei terreni e delle categorie e classi delle unità immobiliari urbane.

La Commissione censuaria centrale, in base all’articolo 32 dello stesso decreto, ha le seguenti competenze:

a)    decide sui ricorsi inoltrati dall'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali e dalle commissioni distrettuali contro le decisioni delle commissioni censuarie provinciali in merito ai prospetti delle qualità e classi dei terreni, ai quadri delle categorie classi delle unità immobiliari urbane ed ai rispettivi prospetti delle tariffe d'estimo di singoli comuni;

b)    provvede - nel solo caso di revisione generale delle tariffe d'estimo ed al fine di assicurare la perequazione degli estimi nell'ambito dell'intero territorio nazionale - alla ratifica, previe eventuali variazioni, delle tariffe relative alle qualità e classi dei terreni e di quelle relative alle unità immobiliari urbane;

c)    si sostituisce alle commissioni censuarie provinciali, che non adottano nei termini di tempo stabiliti le decisioni di cui al precedente articolo;

d)    dà parere, a richiesta dell'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, in ordine alle operazioni catastali regolate dai decreti emessi in attuazione della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e successive modificazioni, e per le quali il parere stesso è espressamente previsto;

e)    dà parere, a richiesta degli organi competenti, in merito alla utilizzazione degli elementi catastali disposta da norme legislative e regolamentari che disciplinano materie anche diverse dalle funzioni istituzionali del catasto;

f)      svolge la consulenza tecnica, a richiesta della commissione centrale tributaria, in merito alle vertenze nelle quali l'aspetto catastale assuma rilevanza;

g)    dà parere, a richiesta dell'Amministrazione finanziaria, sopra ogni questione concernente la formazione, la revisione e la conservazione del catasto dei terreni e del catasto edilizio urbano e l'utilizzazione dei relativi dati ai fini tributari.

La commissione censuaria centrale ha, inoltre, facoltà di proporre al Ministro per le finanze:

h)    di affidare a singoli componenti l'incarico di eseguire studi ed indagini particolari per l'espletamento dei compiti demandati alla commissione stessa, ivi compresi quelli derivanti da leggi speciali;

i)      di dare incarico a professori universitari o di istituti d'istruzione superiore ed a tecnici di specifica competenza di provvedere alla raccolta di elementi economici attinenti al settore agricolo o a quello dell'edilizia e alla conseguente compilazione di analisi estimali concernenti beni rustici o urbani.

 

Si ricorda infine che la revisione della disciplina delle commissioni censuarie è stata già disposta in passato, ma mai attuata, da numerosi provvedimenti (cfr. il capitolo successivo).

 

Il criterio di delega della lettera d)dispone larticolazione del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio.

 

L’esposto criterio di delega non determina distintamente la ripartizione delle diverse funzioni catastali fra l’amministrazione finanziaria e i comuni.

 

A tale proposito si ricorda che sulla stessa materia incidono gli articoli 13 e 14 del disegno di legge finanziaria 2007, approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183).

 

L’articolo 13 in particolare,modifica alcune norme del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112[31] relative al decentramento delle funzioni catastali ai comuni, chiarendo la ripartizione di competenze tra Stato ed enti locali per le funzioni relative agli atti catastali.

L’articolo 14 definisce le modalità di esercizio delle funzioni catastali spettanti agli enti locali e prevede che i comuni – a decorrere dal 1° novembre 2007 – esercitino direttamente le funzioni catastali ad essi attribuite dall’articolo 66 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112

L’articolo 13, in particolare, modifica gli articoli 65 e 66 di tale decreto legislativo, che elencano rispettivamente le funzioni mantenute allo Stato e quelle conferite agli enti locali.

In base all’articolo 65 novellato, allo Stato si confermano affidate le funzioni di tenuta dei registri immobiliari, con esecuzione delle formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione, nonché di visure. Viene peraltro aggiunta, come funzione spettante allo Stato, la gestione dei certificati ipotecari.

Tra le funzioni conservate in capo allo Stato vi è, oltre al controllo della qualità delle informazioni, la funzione di controllo della qualità dei processi di aggiornamento degli atti catastali, anziché il solo monitoraggio dei processi di aggiornamento.

Per quanto riguarda la modifica all’articolo 66, tale norma, nel testo vigente, attribuisce ai comuni le funzioni di conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché la revisione degli estimi e del classamento. La nuova disposizione conferma l’attribuzione ai comuni delle funzioni di conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti catastali, cioè la possibilità di utilizzare le banche dati catastali.

Per quanto riguarda invece la revisione degli estimi e del classamento, in precedenza attribuita ai comuni, la nuova formulazione chiarisce anche che i comuni partecipano al solo processo di determinazione degli estimi, ed elimina il riferimento alle funzioni relative al classamento. La relazione governativa al provvedimento chiarisce a tale proposito che la partecipazione al processo di determinazione degli estimi catastali include sia la funzione di attribuzione specifica alla singola unità, sia l’intervento in relazione ad eventuali future revisioni.

Il classamento delle unità immobiliari e le relative operazioni, con attribuzione o variazione di rendita catastale, competono esclusivamente all'Agenzia del Territorio, come ribadito anche dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005: articolo 1, commi 335 e seguenti). Anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 37 del 26 gennaio 2004, ha stabilito esplicitamente che il sistema catastale, compresi i criteri e le procedure per la determinazione delle relative rendite per i fabbricati iscritti o iscrivibili in catasto, "è e resta tuttora di competenza del legislatore statale".

Per quanto riguarda l’articolo 14, il comma 2subordina l’efficacia dell’attribuzione della funzione comunale di conservazione degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano all’emanazione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Con il suddetto decreto saranno individuati i termini e le modalità per il trasferimento graduale delle funzioni indicate.

A tal fine, si dovrà tenere conto dello stato di attuazione dell’informatizzazione del sistema di banche dati catastali, nonché della capacità tecnico-organizzativa dei comuni interessati, da parametrarsi in base al bacino potenziale di utenza.

I comuni hanno la facoltà di stipulare convenzioni non onerose con l’Agenzia del territorio, per l’esercizio di tutte o di parte delle funzioni catastali ad essi attribuite, tali convenzioni hanno durata decennale e sono tacitamente rinnovabili.

 

Tra gli interventi normativi che negli ultimi anni hanno riguardato il rapporto tra Stato e comuni nella gestione del catasto dei fabbricati si ricordano anche i seguenti.

 

Il D.P.R. n. 138 del 1998, recante le norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri, emanato in attuazione della delegificazione operata dalla legge n. 662 del 1996, prevedeva l’aggiornamento del catasto e la sua gestione unitaria con province e comuni e in particolare l’intervento dei comuni nella determinazione delle tariffe d’estimo.

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2000 sono state individuate le risorse per il trasferimento ai comuni delle funzioni in materia di catasto. In particolare, secondo quanto convenuto nell’accordo del 1° giugno 2000 in sede di Conferenza unificata, si è concordato il passaggio delle funzioni in maniera graduale, in considerazione dell’importanza del servizio del catasto nel processo di acquisizione delle entrate e della necessità di armonizzare il trasferimento delle risorse con la costituzione della citata Agenzia del territorio. Il D.P.C.M. 22 luglio 2004 ha successivamente modificato il comma 1 dell'articolo 6 del D.P.C.M. 19 dicembre 2000 portando da tre a cinque anni i termini per individuare le risorse finanziarie, umane, strumenti e organizzative da trasferire ai Comuni per l'esercizio delle funzioni in materia di catasto. Il termine per il trasferimento delle funzioni catastali ai comuni previsto è stato pertanto, in base a tale decreto, differito fino al 26 febbraio 2006.

L’articolo 34-quinquies del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, ha recentemente introdotto in via transitoria (sino all'attivazione del modello unico per l'edilizia previsto dallo stesso decreto-legge), una procedura di controllo delle dichiarazioni catastali presentate presso l’Agenzia del territorio, effettuata con la collaborazione dei comuni.

Si prevede a questo riguardo che l’Agenzia del territorio trasmetta ai comuni per via telematica tutte le dichiarazioni catastali di variazione[32] e di nuova costruzione presentate presso i suoi uffici, a decorrere dal 1° gennaio 2006. Ricevute le dichiarazioni, i comuni dovranno verificare la coerenza di quanto dichiarato nei suddetti atti con le informazioni disponibili, sulla base degli atti in loro possesso (non viene pertanto richiesto ai comuni di ispezionare l’immobile). Eventuali incoerenze riscontrate dai comuni dovranno essere segnalate all’Agenzia del territorio, la quale provvederà agli adempimenti di propria competenza.

Le procedure attuative di tale norma, la tipologia e i termini per la trasmissione telematica dei dati ai comuni e per la segnalazione delle incongruenze all’Agenzia del Territorio, nonché le modalità d’interscambio tra questi soggetti saranno disciplinate con decreto del Direttore dell’Agenzia del territorio, sentita la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

 

Il criterio di delega enunziato nella lettera e)prevede infine l’utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, da individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342.

Tale norma dispone che gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati siano efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell'ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita e che da tale notificazione decorra il termine di sessanta giorni per proporre il ricorso, a pena di inammissibilità, in base all'articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni.

La norma prevede altresì che dell’avvenuta notificazione gli uffici competenti diano tempestiva comunicazione ai comuni interessati.

Il sistema attuale di funzionamento del catasto dei fabbricati

La struttura attuale del catasto dei fabbricati risulta da una stratificazione molto complessa di interventi normativi e regolamentari che hanno interessato il settore a partire dalla riforma tributaria del 1971, aventi come obiettivo il riordino della materia.

Per comprende la struttura attuale occorre innanzitutto rifarsi all’articolo 9, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 557 del 1993, convertito dalla legge n. 133 del 1994, che ha previsto il censimento, da parte del Ministero delle finanze, di tutti i fabbricati e la loro iscrizione nel catasto edilizio urbano, con la nuova denominazione di "catasto fabbricati". Per realizzare un inventario completo e uniforme del patrimonio edilizio, il Ministero delle finanze è stato pertanto incaricato di censire tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e iscriverli, mantenendo tale qualificazione, nel nuovo catasto dei fabbricati, individuando altresì le unità immobiliari di qualsiasi natura non dichiarate al catasto, anche mediante ricognizione generale del territorio basata su informazioni derivanti da rilievi aerofotografici[33].

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28 recante il regolamento per la costituzione del catasto fabbricati e per le modalità di produzione e adeguamento della nuova cartografia catastale, il quale ha disposto la formazione del catasto dei fabbricati, affidando transitoriamente al dipartimento del territorio del Ministero delle finanze (poi Agenzia del territorio, in seguito alla riforma del Ministero delle finanze), la sua conservazione in base alla legge istituiva del "nuovo catasto edilizio urbano", e l'aggiornamento eseguito dagli uffici o affidato in appalto.

 

Il nuovo catasto edilizio urbano è stato istituito con il regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249.

L’articolo 1 disponeva l'accertamento generale dei fabbricati e delle altre costruzioni stabili non censite al catasto rustico, allo scopo di accertare le proprietà immobiliari urbane e determinarne la rendita e di costituire un catasto generale dei fabbricati e degli altri immobili urbani denominato nuovo catasto edilizio urbano.

A norma dell’articolo 3, l'accertamento generale degli immobili urbani è eseguito per unità immobiliare in base a dichiarazione scritta presentata:

a)       dal proprietario o, se questi è minore o incapace, da chi ne ha la legale rappresentanza;

b)       per gli enti morali, dal legale rappresentante;

c)       per le società commerciali, legalmente costituite, da chi, a termini dello statuto o dell'atto costitutivo, ha la firma sociale;

d)       per le società estere, da chi le rappresenta nello Stato.

Per le associazioni, per i condomìni e per le società e le ditte diverse da quelle sopra indicate, anche se esistenti soltanto di fatto, sono obbligati alla dichiarazione l'associato, il condomino o il socio o il componente la ditta, che sia amministratore anche di fatto ovvero, se l'amministratore manca, tutti coloro che fanno parte dell'associazione, del condominio, della società o della ditta, ciascuno per la propria quota.

A norma degli articoli 4 e 5 si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, compresi gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, e come unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile e atta a produrre un reddito proprio.

L’articolo 6 disciplina la dichiarazione e individua i fabbricati da essa esenti. A norma dell’articolo 7, alla dichiarazione deve essere allegata una planimetria in scala non inferiore a 1: 200, dalla quale si rilevi anche l’ubicazione di ciascuna unità immobiliare rispetto alle proprietà confinanti e alle strade pubbliche e private.

L’articolo 8 prevede che, per la determinazione della rendita, le unità immobiliari di gruppi di comuni, comune o porzione di comune, sono distinte, a seconda delle loro condizioni estrinseche e intrinseche, in categorie e ciascuna categoria in classi[34]. Per ciascuna categoria e classe è determinata la relativa tariffa, la quale esprime in moneta legale la rendita catastale con riferimento agli elementi di valutazione definiti dal regolamento.

L’articolo 9 definisce come rendita catastale la rendita lorda media ordinaria ritraibile previa detrazione delle spese di riparazione, manutenzione e di ogni altra spesa o perdita eventuale, stabilita con una percentuale per ogni classe di ciascuna categoria. Non sono detraibili decime, canoni, livelli, debiti e pesi ipotecari e censuari, nonché per imposte, sovraimposte e contributi di ogni specie.

L’articolo 10 dispone che la rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici e altri fabbricati, costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni, nonché delle unità immobiliari che non sono raggruppate in categorie e classi per la singolarità delle loro caratteristiche (fabbricati a destinazione speciale o particolare), è determinata con stima diretta per ogni singola unità.

L’articolo 11 stabilisce che le singole categorie e classi e la relativa tariffa siano determinate, per ciascun gruppo di comuni, comune o porzione di comune. Contro le decisioni adottate a questo riguardo dalle commissioni censuarie provinciali l'amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali può ricorrere alla Commissione censuaria centrale. Secondo l’articolo 12, l'assegnazione di ciascuna unità immobiliare alla categoria e alla classe relativa, nonché l'accertamento della consistenza delle singole unità immobiliari e il calcolo delle relative rendite catastali, sono eseguite dall'Ufficio tecnico erariale, che compila una tabella nella quale, per ciascun comune o porzione di comune, in corrispondenza a ciascuna ditta e distintamente per unità immobiliare, sono indicate le rispettive categorie e classi nonché la consistenza e, per gli immobili a destinazione speciale o particolare, la rendita catastale. La tabella è pubblicata mediante deposito negli uffici comunali per il periodo di trenta giorni. Contro i dati pubblicati è dato ricorso agli interessati, a norma dell’articolo 13, in prima istanza alla commissione censuaria comunale (ora: distrettuale) e in seconda istanza alla commissione censuaria provinciale. Il diritto di ricorso in seconda istanza spetta anche all'ufficio tecnico erariale. Contro le decisioni pronunciate dalla commissione censuaria provinciale è ammesso il ricorso alla commissione censuaria centrale soltanto per questioni di massima e per violazioni di legge. Il termine per ricorrere è stabilito in trenta giorni (articolo 15)[35].

L’articolo 16 dispone che il nuovo catasto edilizio urbano è formato in base alle risultanze dell'accertamento generale dei fabbricati e alla valutazione della rispettiva rendita catastale. Esso è costituito dallo schedario delle partite, dallo schedario dei possessori e dalla mappa urbana.

L’articolo 19 dispone, fra l’altro, che i comuni possono ottenere gratuitamente con l'opera di propri incaricati, o a loro spese con l'opera dell'amministrazione, la copia della mappa del loro territorio e degli atti che costituiscono il nuovo catasto edilizio urbano.

L’articolo 17 ne prescrive l’aggiornamento continuo, in particolare rispetto alle persone dei proprietari o dei possessori dei beni nonché rispetto alle persone che godono di diritti reali sui beni stessi e allo stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l'attribuzione della categoria e della classe. Le tariffe possono essere rivedute in sede di verificazione periodica o anche in dipendenza di circostanze di carattere generale o locale.

A questo fine, l’articolo 20 obbliga le persone e gli enti indicati nell'articolo 3 a denunziare, nei modi e nei termini stabiliti con regolamento, le variazioni nello stato e nel possesso dei rispettivi immobili. Nei casi di mutazioni che implichino variazioni nella consistenza delle singole unità immobiliari, la relativa dichiarazione deve essere corredata da una planimetria delle unità variate.

L’articolo 28 dispone che i fabbricati nuovi e ogni altra stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani, devono essere dichiarati all'Ufficio tecnico erariale entro il 31 gennaio dell'anno successivo a quello in cui sono divenuti abitabili o servibili all'uso cui sono destinati. La dichiarazione deve essere compilata per ciascuna unità immobiliare e corredata da una planimetria.

Lo stesso articolo prescrive ai comuni di informare gli uffici tecnici erariali competenti per territorio circa le licenze di costruzione (ora: permessi di costruire) rilasciate a norma dell'articolo 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150[36].

 

Un primo intervento organico si è avuto, successivamente, con la legge n. 549 del 1995 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1996), la quale aveva disposto la delega al Governo per l'accelerazione delle attività di revisione del catasto, disponendone altresì la riforma. Sebbene la delega non sia stata più esercitata, le disposizioni da essa recate sono state in larga parte trasfuse nella successiva legge n. 662 del 1996 (provvedimento collegato 1997), nella quale, a differenza di quanto stabilito dalla legge n. 549, non è stato previsto il ricorso alla delega legislativa, avendo il Governo ritenuto opportuno procedere ad una delegificazione della materia in oggetto.

Con l'articolo 3, commi 154 e 156 della legge n. 662 del 1996 la revisione degli estimi e del classamento è statapertanto delegificata prevedendosi un complessivo riordino in materia catastale da attuarsi con l'emanazione di regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2 della legge n. 400 del 1988, per:

a)      la revisione generale delle zone censuarie e delle tariffe d'estimo;

b)      la qualificazione, classificazione ed il classamento degli immobili;

c)      la revisione delle commissioni censuarie;

d)      la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali.

 

Nel complessivo disegno di riforma vi erano tre elementi essenziali: in primo luogo, la partecipazione diretta dei comuni, a cui spettava il potere di definizione delle microzone; in secondo luogo, l’adozione di criteri di tipo parametrale e, infine, l’utilizzazione di tecnologie informatiche e telematiche, allo scopo di razionalizzare la tassazione del mercato immobiliare e di assicurare una concreta trasparenza nella definizione dei valori.

In attuazione di tale delegificazione, sono stati emanati due regolamenti: il D.P.R. n. 138 del 1998, recante le norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri, nonché delle commissioni censuarie, e il D.P.R. n. 139 del 1998, recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali.

 

Con il D.P.R. n. 138 del 1998 si è perseguito in particolare l’obiettivo di imprimere una accelerazione alle operazioni da tempo avviate sia da parte degli uffici periferici del Dipartimento del Territorio (poi Agenzia del territorio, in seguito alla riforma del Ministero delle finanze), sia da parte dei comuni.

L’articolo 1 definisce la zona censuaria come porzione omogenea di territorio provinciale, che può comprendere un solo comune o una porzione del medesimo, ovvero gruppi di comuni, caratterizzati da similari caratteristiche ambientali e socio-economiche. L'ambito territoriale del comune ovvero della zona censuaria, qualora costituisca porzione dello stesso, è ulteriormente articolato in microzone. Gli uffici provinciali del dipartimento del territorio, sentite le amministrazioni provinciali, provvedono alla revisione delle zone censuarie esistenti, in coerenza con le indicazioni fornite dai comuni in merito alle microzone.

A norma dell’articolo 2, la microzona rappresenta una porzione del territorio comunale o, nel caso di zone costituite da gruppi di comuni, un intero territorio comunale che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socio-economici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori.

I comuni, nell'ambito del proprio territorio, provvedono a delimitare le microzone. In sede di prima applicazione, le deliberazioni del consiglio comunale dovevano essere adottate entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento. In mancanza, vi avrebbe provveduto il competente ufficio del dipartimento del territorio, entro i successivi centoventi giorni.

Qualora siano intervenute significative variazioni nel tessuto edilizio-urbanistico ovvero nella dotazione di servizi e infrastrutture, i comuni, sentiti i competenti uffici del dipartimento del territorio ovvero su richiesta di essi, possono procedere ad una nuova delimitazione delle microzone, con deliberazione del consiglio comunale avente effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo.

L’articolo 3 stabilisce che le tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria sono determinate con riferimento alla superficie, la cui unità è il metro quadrato

Per la revisione dei quadri di qualificazione e classificazione, l’articolo 4 prevede che per ciascuna zona censuaria siano indicate tutte le categorie riscontrate nella zona censuaria stessa e il numero delle classi in cui ciascuna categoria è suddivisa. I quadri sono sottoposti all'approvazione della commissione censuaria provinciale competente per territorio.

L’articolo 5 disciplina la revisione delle tariffe d'estimo, da operarsi facendo riferimento ai valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare, con esclusione dei regimi locativi disciplinati per legge e di valori e redditi occasionali ovvero singolari. Su questa base viene determinata la redditività media ordinariamente ritraibile dalle unità immobiliari urbane, al netto delle spese e perdite eventuali[37].

La revisione delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria consiste nella determinazione, per ogni zona censuaria, categoria e classe, della rendita catastale per unità di superficie, sulla base:

-        dei canoni annui ordinariamente ritraibili, con riferimento ai dati di mercato delle locazioni;

-        dei valori di mercato degli immobili, determinandone la redditività attraverso l'applicazione di saggi di rendimento ordinariamente rilevabili nel mercato edilizio locale per unità immobiliari analoghe.

Le suddette tariffe sono determinate come media dei valori reddituali unitari individuati con i criteri stabiliti nel presente articolo e con riferimento all'epoca censuaria 1996-1997.

Il classamento consiste (articolo 8) nell’attribuire alle unità immobiliari a destinazione ordinaria la categoria e la classe di competenza , e a quelle a destinazione speciale la sola categoria, con riferimento ai quadri di qualificazione e classificazione di cui all’articolo 4.

A norma dell’articolo 9, per ciascuna zona censuaria, i competenti uffici del dipartimento del territorio procedono alla revisione del classamento, sulla base:

a)       dell'articolazione del territorio comunale in microzone, definita ai sensi dell'articolo 2;

b)       dei quadri di qualificazione e classificazione, definiti ai sensi dell'articolo 4;

c)       dei criteri e dei fattori indicati nell'articolo 8, utilizzando le informazioni descrittive e censuarie presenti nella banca dati del catasto edilizio urbano e quelle rappresentate nelle schede descrittive delle microzone predisposte dai comuni, nonché le risultanze delle indagini immobiliari svolte in sede locale.

Nel corso delle operazioni di revisione l'amministrazione comunale viene sentita per la perequazione del classamento tra le diverse microzone in cui risulta articolato il territorio.

I successivi articoli da 10 a 12 riguardano la disciplina delle commissioni censuarie.

L’articolo 13 ha stabilito al 1° gennaio 2000 la data di decorrenza dell'applicazione dei nuovi estimi catastali.

 

Successivamente a tale decreto, il legislatore è intervenuto nuovamente in più occasioni sulle tariffe d’estimo e sul classamento. Si ricordano, tra gli altri, i seguenti provvedimenti.

 

L'articolo 9, comma 11, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), ha demandato a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze la determinazione delle nuove tariffe d'estimo conseguenti all'attuazione delle decisioni delle commissioni censuarie provinciali e della commissione censuaria centrale, ovvero per tenere conto delle variazioni delle tariffe in altro modo determinatesi, prescrivendo l’inserimento delle nuove rendite negli atti catastali. L’adempimento è stato eseguito con il regolamento recante determinazione delle tariffe d'estimo e delimitazione delle zone censuarie, emanato con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 6 giugno 2002, n. 159, che ha stabilito le nuove tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane situate nei comuni in esso indicati.

 

I commi da 335 a 339 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) hanno più recentemente disposto una parziale revisione del classamento delle unità immobiliari, attraverso due procedimenti diversi, l’uno relativo a porzioni di territorio (microzone), l’altro riferito a singole unità immobiliari.

In particolare, il comma 335 prevede che i comuni chiedano agli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato, individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 138 del 1998, e il corrispondente valore medio catastale, ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone comunali.

Per tale calcolo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate che, ai sensi del successivo comma 339, determina le modalità tecniche e applicative per la revisione. Esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, l'Agenzia del territorio, con provvedimento del suo direttore, apre il procedimento di revisione.

A questo riguardo, il provvedimento in materia di classamenti catastali di unità immobiliari di proprietà privata, emanato con determinazione del direttore dell’Agenzia del territorio in data 16 febbraio 2005 (Gazzetta ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2005), all’articolo 1, prevede che per la selezione delle microzone interessate dalla revisione parziale del classamento, il valore medio di mercato per microzona, individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, è aggiornato utilizzando i valori dell'osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del territorio riferiti al secondo semestre 2004.

In particolare, l'aggiornamento si effettua calcolando:

a)       il valore centrale dell'intervallo dei valori indicati nell'osservatorio, con riferimento alla tipologia immobiliare omogenea a quella del valore medio di mercato individuato ai sensi del citato regolamento e alla zona territoriale dell'osservatorio corrispondente alla microzona comunale;

b)       la media dei relativi valori centrali, qualora ad una microzona corrispondano due o più zone territoriali dell'osservatorio.

I valori medi di mercato delle microzone così determinati, oppure i valori contenuti nella banca dati dell'osservatorio del mercato immobiliare relativi al secondo semestre 2004, sono messi a disposizione dagli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio, su richiesta del comune.

Il comma 336 reca poi disposizioni per l’integrazione o l’aggiornamento dei dati catastali.

I comuni, ove constatino l’esistenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto non coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie, debbono chiedere ai titolari di diritti reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti d’aggiornamentoredatti ai sensi del regolamento emanato con decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701.

 


Articolo 5
(Delega per il riassetto delle disposizioni tributarie statali)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti testi unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti, sostanziali, processuali e procedimentali, in materia di tributi statali, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) uniformità della disciplina degli elementi essenziali dell'obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscos­sione e di applicazione delle sanzioni;

b) semplificazione e chiarezza del linguaggio normativo utilizzato nella redazione dei testi unici;

c) organicità e coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposizioni raccolte in ciascun testo unico;

d) adeguamento della normativa vigente alle previsioni della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente;

e) adeguamento della normativa vigente al diritto comunitario primario e derivato, nonché alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;

f) previsione del divieto dell'ap­plicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;

g) semplificazione amministrativa degli adempimenti fiscali a carico del contri­buente, ferma restando la normativa che consente di disciplinare gli adempimenti fiscali con regolamenti e atti amministrativi generali;

h) applicazione all'organizzazione e all'attività dell'Amministrazione finanziaria del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;

i) coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione;

l) abrogazione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro efficacia o siano prive di contenuto normativo o siano comunque obsolete;

m) espressa indicazione delle disposizioni abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei testi unici o nei differenti termini da questi stabiliti.


 

 

L’articolo 5 conferisce al Governo una delega legislativa, da attuarsi entro due anni dall’approvazione della legge, per l’emanazione di testi unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative sostanziali, procedimentali e processuali in materia di tributi statali.

 

La disposizione individua i seguenti princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della delega:

a)   uniformità della disciplina degli elementi essenziali dell’obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione delle sanzioni;

Per la disciplina in materia di riscossione e di accertamento si rinvia a quanto esposto rispettivamente nelle schede relative agli articoli 2 e 3.

In materia di dichiarazioni mette conto ricordare che l’articolo 1 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dispone che ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti, anche se da essi non consegua alcun debito d’imposta. I soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili devono presentare la dichiarazione anche in mancanza di reddito. In attuazione della delega contenuta nell’articolo 3, comma 136, della legge n. 662 del 1996, è stato emanato il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, recante il regolamento sulle modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto. Il decreto ha introdotto la dichiarazione unificata (modello Unico) che consente di assolvere contemporaneamente agli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA, dei sostituti d’imposta e dell’IRAP. Nella dichiarazione unificata confluiscono inoltre anche i dati relativi ai contributi previdenziali e assistenziali e ai premi INAIL.

La disciplina del D.P.R. n. 322 del 1998 è stata poi modificata dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, recante il regolamento per la semplificazione degli adempimenti tributari che ha ridotto gli adempimenti connessi alle dichiarazioni fiscali ed ha allineato i termini di presentazione delle stesse. In particolare i termini per la presentazione delle dichiarazioni scadono:

-        per i soggetti passivi IRPEF (persone fisiche, società di persone ed enti equiparati):

-        tra il 1° maggio e il 31 luglio di ciascun anno, tramite banca o ufficio postale

-        entro il 31 ottobre per la presentazione telematica

-        per i soggetti passivi IRES (società di capitali):

-        entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta, tramite banca o ufficio postale;

-        entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo di imposta per la presentazione telematica della dichiarazione[38].

La materia delle sanzioni tributarie non penali è stata invece riformata sulla base della delega contenuta nella legge n. 662 del 1996, mediante tre decreti legislativi:

   il decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472, recante i principi generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie

   il decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 471 di riforma delle sanzioni per le violazioni in materia di imposte dirette, IVA e riscossione dei tributi

   il decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 473 recante la riforma delle sanzioni amministrative per le violazioni in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi e di altri tributi indiretti.

In particolare, l’articolo 2 del decreto legislativo n. 472 del 1997 prevede che le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie siano la sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie.

La sanzione pecuniaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro improduttiva di interessi è inflitta a chi abbia commesso la violazione da solo o in concorso con altre persone. Essa può essere determinata in misura fissa, o tra un limite minimo e un limite massimo. Gli importi sono suscettibili di aggiornamento, con cadenza triennale.

L’articolo 21 del decreto legislativo n. 472 del 1997 definisce invece come sanzioni accessorie:

a)       l'interdizione, per una durata massima di sei mesi, dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali e di enti con personalità giuridica, pubblici o privati;

b)       l'interdizione dalla partecipazione a gare per l'affidamento di pubblici appalti e forniture, per la durata massima di sei mesi;

c)       l'interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative per l'esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata massima di sei mesi;

d)       la sospensione, per la durata massima di sei mesi, dall'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da quelle indicate nella lettera c).

La disposizione prevede altresì che le singole leggi d'imposta, nel prevedere i casi di applicazione delle sanzioni accessorie, ne stabiliscono i limiti temporali in relazione alla gravità dell'infrazione e ai limiti minimi e massimi della sanzione principale.

b)   semplificazione e chiarezza del linguaggio normativo utilizzato nella redazione dei testi unici;

c)   organicità e coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposizioni raccolte in ciascun testo unico;

d)   adeguamento delle disposizioni vigenti allo statuto del contribuente, emanato con la legge n. 212 del 2000;

Sul contenuto dello statuto del contribuente si veda la scheda relativa all’articolo 3.

e)   adeguamento della normativa vigente al diritto comunitario primario e derivato e anche alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;

f)     previsione del divieto dell’applicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo dell’imposta, le esenzioni e le agevolazioni;

Il principio non risulta attualmente contenuto nello Statuto del contribuente, né in altre disposizioni di legge vigenti; esso risultava comunque già compreso tra i princìpi e criteri direttivi della delega contenuta all’articolo 2 della legge n. 80 del 2003 per l’emanazione di un codice unico in materia fiscale [articolo 2, comma 1, lettera e)]. La delega non è stata poi attuata.

La dottrina e la giurisprudenza hanno comunque ravvisato nella previsione del principio di legalità nell’ordinamento tributario, quale risulta dall'articolo 23 della Costituzione, un limite all’ammissibilità dell’interpretazione analogica in tale ambito, quanto meno per ciò che concerne le norme che "determinano gli oggetti d'imposta". Ad esempio, per il divieto di interpretazione analogica riferito ad alcune norme di esenzione fiscale (nel caso specifico: esenzioni dal pagamento dell’imposta comunale sull’incremento del valore degli immobili - INVIM) si richiama la sentenza della Corte costituzionale del 6 marzo 2001, n. 49.

g)   semplificazione amministrativa degli adempimenti fiscali a carico del contribuente, ferma restando la normativa che consente di disciplinare gli adempimenti fiscali con regolamenti e atti amministrativi generali;

h)   applicazione del codice dell’amministrazione digitale, emanato con decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, all’organizzazione e all’attività dell’Amministrazione finanziaria;

Il codice dell’amministrazione digitale raccoglie e riordina in un unico contesto normativo le disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche amministrazioni, affrontando in modo organico il tema dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’attività amministrativa, nei suoi aspetti organizzativi e procedimentali e con riguardo ai rapporti con i cittadini e le imprese. Il testo reca inoltre la disciplina dei princìpi giuridici fondamentali relativi al documento informatico ed alla firma digitale, che era in precedenza contenuta nel testo unico “misto” sulla documentazione amministrativa. Il codice è stato adottato con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 10 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (legge di semplificazione 2001) relativa al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di società dell’informazione.

i)      coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano e delle relative norme di attuazione;

j)      abrogazione delle disposizioni oramai prive di efficacia, o di contenuto normativo o comunque obsolete;

k)   indicazione espressadelle norme abrogate.

 

In materia di codificazione fiscale interveniva già, nella XIV legislatura, la già ricordata legge n. 80 del 2003, recante la delega per la riforma del sistema fiscale statale. In particolare, l’articolo 1 delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la riforma del sistema fiscale statale. Il nuovo sistema si basa su cinque imposte ordinate in un unico codice (imposta sul reddito, imposta sul reddito delle società, imposta sul valore aggiunto, imposta sui servizi, accisa). L’articolo 2 prevedeva poi l’articolazione del codice in una parte generale e in una parte speciale.

 

La parte generale avrebbe dovuto ordinare il sistema fiscale sulla base dei seguenti princìpi:

a)       la legge disciplina gli elementi essenziali dell'imposizione, nel rispetto dei princìpi di legalità, di capacità contributiva, di uguaglianza;

b)       le norme fiscali si adeguano ai princìpi fondamentali dell'ordinamento comunitario e non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia;

c)       le norme fiscali, in coerenza con le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente, sono informate ai princìpi di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva, irretroattività;

d)       è vietata la doppia imposizione giuridica;

e)       è vietata l'applicazione analogica delle norme fiscali che stabiliscono il presupposto ed il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;

f)         è garantita la tutela dell'affidamento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco;

g)       è introdotta una disciplina, unitaria per tutte le imposte, del soggetto passivo, dell'obbligazione fiscale, delle sanzioni e del processo, prevedendo, per quest'ultimo, l'inclusione dei consulenti del lavoro e dei revisori contabili tra i soggetti abilitati all'assistenza tecnica generale. La disciplina dell'obbligazione fiscale prevede princìpi e regole, comuni a tutte le imposte, su dichiarazione, accertamento e riscossione;

h)       è previsto il progressivo innalzamento del limite per la compensazione dei crediti di imposta;

i)         la disciplina dell'obbligazione fiscale minimizza il sacrificio del contribuente nell'adempimento degli obblighi fiscali;

l)         la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione;

m)     la sanzione fiscale penale è applicata solo nei casi di frode e di effettivo e rilevante danno per l'erario;

n)       è prevista l'introduzione di norme che ordinano e disciplinano istituti giuridici tributari destinati a finalità etiche e di solidarietà sociale.

 

La parte speciale del codice, invece, avrebbe dovuto raccogliere le disposizioni concernenti le singole imposte di cui alla presente legge.

 

Come già ricordato, la delega non ha avuto attuazione relativamente a quest’aspetto.

 


Articolo 6
(Disposizioni attuative)

 


1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5 sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari rendono il parere entro trenta giorni dall'asse­gnazione.

2. Decorso il termine di cui al comma 1, secondo periodo, senza che le Commis­sioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui agli articoli da 1 a 5 e con la procedura di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei medesimi decreti legislativi, nonché tutte le modificazioni necessarie per il migliore coordinamento normativo.

4. Dall'attuazione delle deleghe di cui alla presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 6 disciplina in modo uniforme la procedura per l’esercizio di tutte le deleghe legislative previste nel provvedimento.

 

Nel dettaglio si prevede che gli schemi dei decreti legislativi siano trasmessi alle Camere per l’acquisizione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari.

Le Commissioni parlamentari devono esprimere il parere entro trenta giorni dall’assegnazione.

Ove il termine per l’espressione del parere decorra senza che lo stesso sia rilasciato, i decreti legislativi possono comunque essere adottati.

Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi possono essere adottati decreti legislativi integrativi e correttivi delle disposizioni contenute nei decreti legislativi attuativi delle deleghe conferite dal provvedimento, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi ivi previsti e con la medesima procedura, nonché decreti legislativi volti a conseguire un miglior coordinamento normativo.

Si stabilisce infine che dall’attuazione delle deleghe non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In proposito, si rileva che in casi analoghi in passato si è previsto che gli schemi dei decreti legislativi trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari venissero corredati di relazione tecnica.

 

Inoltre, si rileva che, in coerenza con la prassi consolidata, la clausola di invarianza finanziaria contenuta nel comma 4 andrebbe riformulata in senso prescrittivo (utilizzando l’espressione “non devono derivare”, anziché “non derivano”).



 

N. 1762

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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DISEGNO DI LEGGE

 

Presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze

(PADOA SCHIOPPA)

¾

 

Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione
dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi
erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per
la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali

 

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Presentata il 4 ottobre 2006

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Onorevoli Deputati! - Il disegno di legge in esame si suddivide in sei articoli contenenti cinque deleghe legislative volte a realizzare un generale riordino delle disposizioni tributarie statali.

In particolare, l'articolo 1 demanda al Governo l'adozione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi volti al riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e ad apportare modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi.

Nell'attuazione della delega il Governo si atterrà a princìpi aventi quali finalità: la natura finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, al fine della loro unificazione, con la previsione di un'aliquota unica non superiore al 20 per cento e con la conferma delle vigenti disposizioni che prevedono esenzioni ovvero non imponibilità di redditi diversi e di capitali; il rispetto, nell'applicazione dell'aliquota unica, dei princìpi di incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della Costituzione; l'eventuale introduzione di misure compensative, anche attraverso deduzioni o detrazioni di imposta, a favore dei soggetti economicamente più deboli; la semplificazione delle procedure per ridurre i costi amministrativi a carico degli intermediari; il coordinamento della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, attraverso l'introduzione di tutte le modifiche necessarie e nel rispetto del principio dell'equivalenza di trattamento tra i diversi redditi e strumenti di natura finanziaria, nonché tra gli intermediari finanziari; l'introduzione di una adeguata disciplina transitoria volta ad escludere, con riferimento alle posizioni maturate prima della data di entrata in vigore della nuova normativa, la possibilità di ingiustificati guadagni o perdite derivanti dal passaggio alla nuova disciplina.

Dall'adozione dei decreti legislativi previsti dall'articolo 1 in oggetto sono attese maggiori entrate per un importo non inferiore a 1.100 milioni di euro per l'anno 2007 e a 2.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008.

La delega legislativa di cui all'articolo 2, da esercitare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ha ad oggetto la revisione della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, con il primario obiettivo di aumentare l'efficacia della lotta all'evasione fiscale, anche quando essa si presenta sotto forma di «evasione da riscossione».

Nell'attuazione della delega il Governo si atterrà a princìpi aventi quali finalità: la razionalizzazione e il rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva a mezzo ruolo, attraverso, tra l'altro, il riconoscimento agli agenti della riscossione del potere di concedere la rateizzazione delle somme iscritte a ruolo; l'estensione ai terzi, di cui gli agenti della riscossione decidono di avvalersi ai fini dell'attività di riscossione coattiva, del regime fiscale agevolato attualmente riconosciuto agli agenti medesimi nell'ambito dello svolgimento della propria attività; la parziale revisione della vigente disciplina in materia di rimborso delle spese sostenute dagli agenti della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutte le tipologie di oneri derivanti dall'esercizio dei compiti istituzionali.

Ulteriori princìpi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano: la ridefinizione del sistema di controllo dell'inesigibilità delle somme iscritte a ruolo, prevedendo, in particolare, che i nuovi criteri di verifica dell'effettiva inesigibilità dei crediti siano individuati anche facendo riferimento al valore delle singole partite iscritte a ruolo; la semplificazione delle procedure di rimborso al contribuente delle somme oggetto di sgravio per indebito, anche attraverso la previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del beneficiario; la limitazione della chiamata in giudizio dell'agente della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi effettivamente riferibili all'attività dello stesso, evitando così che il concessionario possa essere considerato legittimato passivamente in controversie che traggono origine dalla notifica di una cartella di pagamento, ma che hanno ad oggetto eccezioni relative unicamente all'operato dell'ente creditore in sede di iscrizione a ruolo.

La delega, infine, prevede l'attribuzione a Riscossione S.p.a. di funzioni oggi spettanti all'Agenzia delle entrate in materia di gestione dei versamenti unitari con compensazione di cui al capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché del monitoraggio dei versamenti d'imposta e contributivi, ai fini del tempestivo recupero coattivo delle somme dovute e non versate spontaneamente.

Con l'articolo 3 si delega il Governo all'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, di uno o più decreti legislativi in materia di accertamento dei tributi erariali, volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le relative disposizioni.

I criteri direttivi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano: l'armonizzazione delle regole generali e dei poteri di accertamento per tutti i tributi erariali, comprese le attribuzioni e la competenza territoriale degli uffici, al fine di assicurare la coerenza con i princìpi della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), e con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa; l'unificazione dei termini per l'accertamento dei tributi erariali, con la sola previsione di termini differenziati nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi, accessori e sanzioni non dovuti; l'armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e la revisione dei criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva; l'armonizzazione delle diverse forme di interpello, incluso quello internazionale, e l'introduzione di una normativa generale antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la previsione della possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini esclusivamente o prevalentemente fiscali.

La delega, inoltre, prevede: la revisione del principio di unicità dell'atto di accertamento e della sua integrabilità, ed il coordinamento con la disciplina dell'accertamento parziale e dell'adesione del contribuente; il potenziamento del sistema informativo, con l'acquisizione secondo modalità telematiche, l'armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione ed al contrasto dell'evasione e l'utilizzo delle medesime informazioni anche ai fini della corretta individuazione dell'indicatore della situazione economica del contribuente; il riordino e la razionalizzazione dei poteri di cooperazione con gli enti territoriali e previdenziali, nonché con le amministrazioni fiscali degli Stati esteri, e dello scambio di informazioni, anche in attuazione degli accordi internazionali; l'individuazione delle modalità e dei termini di ritrattabilità delle dichiarazioni; l'individuazione di specifici poteri di indagine e di accertamento in presenza dei fenomeni di frodi e l'estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno concorso alla stessa.

L'articolo 4 demanda al Governo l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di aggiornare il sistema estimativo del catasto stesso, attualmente basato sulla distinzione in categorie e classi, e allo specifico scopo di favorire un progressivo miglioramento dei relativi livelli di perequazione, trasparenza e qualità, nonché il recupero dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare.

Nell'attuazione della delega il Governo si dovrà attenere a princìpi aventi quali finalità: la determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale tenendo conto di parametri, specificatamente individuati dalla norma, che si basano sulla segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare, su specifici metodi di valutazione matematico-statistica, sull'utilizzo del parametro «metro quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali, per le unità immobiliari a destinazione ordinaria, e sulla definizione delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di valutazione; la derivazione dalla base patrimoniale innanzi detta di una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività.

Ulteriori princìpi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano la rideterminazione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, soprattutto ai fini della deflazione del contenzioso, e l'articolazione del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio.

La delega, infine, prevede, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, l'utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, da individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, e l'introduzione di meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.

All'articolo 5 si demanda al Governo l'adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi recanti testi unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti, di natura sostanziale, processuale e procedimentale, in materia di tributi statali.

L'attuale disciplina tributaria si caratterizza per un'oggettiva decodificazione causata dalla pluralità degli interventi normativi che si sono susseguiti nel tempo. Di qui la necessità di armonizzare e codificare in un'unica sede le disposizioni fiscali nazionali.

I testi unici, come qui sono stati pensati e disegnati, ordinano le disposizioni legislative sulla base di princìpi e criteri direttivi volti a: semplificare il linguaggio normativo, assicurando l'organicità e la coerenza giuridica delle disposizioni raccolte in ciascun testo unico, con l'abrogazione delle disposizioni obsolete; adeguare la normativa al dettato dello statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), nonché al diritto comunitario primario e derivato e alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee; uniformare la disciplina degli elementi essenziali dell'obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione delle sanzioni, ponendo il divieto dell'applicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni; semplificare i procedimenti tributari; realizzare il coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione.

L'articolo 6 prevede che sui testi dei decreti legislativi siano acquisiti i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Tali pareri dovranno essere resi entro trenta giorni dall'assegnazione (comma 1). Decorso inutilmente tale termine, il Governo ha facoltà di procedere in assenza dei pareri (comma 2). In ogni caso, nei due anni successivi alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi sopra descritti e previa acquisizione dei pareri parlamentari, possono essere adottati uno o più decreti legislativi recanti interventi integrativi e correttivi, nonché tutte le modificazioni necessarie per il migliore coordinamento normativo (comma 3). Dall'attuazione della delega non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 4).



RELAZIONE TECNICA

(Articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978,

n. 468, e successive modificazioni).

 

 

Nell'ambito del riordino della disciplina dei redditi di natura finanziaria, è previsto un intervento normativo volto ad unificare le attuali aliquote impositive in un'unica aliquota non superiore al 20 per cento senza esclusioni. Attualmente la tassazione delle cosiddette rendite finanziarie prevede la presenza di due aliquote impositive, pari al 12,5 per cento ed al 27 per cento in relazione alla diversa tipologia di strumento finanziario.

I principali proventi attualmente tassati al 27 per cento sono relativi ai seguenti strumenti:

interessi maturati sui depositi bancari, postali e da certificati di deposito;

accettazioni bancarie;

titoli di emittenti privati con durata inferiore ai diciotto mesi;

obbligazioni con rendimenti non allineati ai parametri di legge;

titoli atipici.

I principali proventi, invece, attualmente tassati al 12,5 per cento sono relativi ai seguenti strumenti:

proventi sui titoli pubblici;

proventi sui titoli obbligazionari o similari, emessi da banche ed imprese private con durata superiore ai diciotto mesi;

proventi da cambiali ed altri redditi di capitale; proventi derivanti da partecipazione a fondi d'investimento e gestioni patrimoniali;

proventi sulle plusvalenze derivanti da partecipazioni azionarie non qualificate.

Ai fini della stima degli effetti sono stati presi come base di calcolo i dati di gettito del bilancio dello Stato (ripartizione capitoli/articoli) ultimi disponibili. La scelta di partire dai dati di gettito è dovuta al fatto che questi ultimi risultano essere più completi e più recenti rispetto ad altre informazioni desumibili da altre fonti.

Inoltre si è ritenuto opportuno utilizzare come base di riferimento per il calcolo un periodo omogeneo dal punto di vista delle normative di riferimento, in tal modo contenendo la variabilità che, soprattutto per alcuni strumenti, risulta, specie in anni passati, elevata e dovuta anche a circostanze contingenti.

Sulla base informativa così ottenuta sono state operate ulteriori correzioni per tener conto del fatto che i versamenti relativi a strumenti con differente aliquota affluiscono nei capitoli in modo indistinto. In particolare tale operazione ha riguardato i capitoli del comparto obbligazionario (in cui ad esempio affluiscono i gettiti delle obbligazioni a breve e di quelle a medio-lungo termine) e degli interessi sui depositi e conti correnti (dove affluisce anche il gettito dei buoni postali fruttiferi). Per operare le ripartizioni si è ipotizzata una proporzionalità tra la distribuzione degli stock di strumenti in mano agli operatori ed il corrispondente gettito.

Ulteriori considerazioni, con ricorso alle medesime ipotesi e fonti informative, sono state fatte anche per individuare la distribuzione degli stock fra i settori istituzionali e le differenti categorie di percettori (soggetti ad imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d'acconto).

Una volta definita la base dati sulla quale operare la simulazione e prima di effettuare i calcoli sono state compiute ulteriori valutazioni circa i possibili effetti di sostituzione tra le diverse forme di impiego all'interno del Paese.

Per quanto riguarda la sostituzione tra diverse tipologie di attività finanziarie, si ritiene che essa non sarà rilevante dal punto di vista del gettito, data l'unificazione delle aliquote.

Per quanto riguarda invece il possibile effetto di sostituzione tra attività finanziarie ed attività reali (immobili), lo stesso si ritiene che non sia rilevante, atteso il fatto che l'andamento crescente dei tassi di interesse rende meno incentivante la sostituzione di attività finanziarie (più remunerate) con attività reali (di cui aumenta il costo di finanziamento). Tale sostituzione, che potrebbe interessare soggetti con alto livello di reddito e di ricchezza, si ritiene sia già avvenuta negli scorsi anni (in presenza di bassi tassi d'interesse).

Ipotizzando l'invarianza dei comportamenti degli investitori, non sono stati considerati effetti indiretti derivanti dalla sostituzione di attività finanziarie interne con attività finanziarie estere, né possibili effetti di fuoriuscita di capitali indotti dall'aumento dell'aliquota o l'effetto di possibili rimborsi anticipati. Allo stesso modo non vengono presi in considerazione i possibili effetti di spesa derivanti da un conseguente aumento dei tassi di interesse.

Per il calcolo della stima di gettito si è considerato che il provvedimento entri in vigore il 1o luglio 2007 e che, con riferimento ai redditi che maturano nell'anno, agisca il meccanismo del pro-rata temporis.

La stima del gettito derivante dall'introduzione del provvedimento, su base d'anno, risulta essere conforme alle indicazioni contenute nella delega tenuto conto della previsione del passaggio ad una aliquota unica al 20 per cento.

In questa ipotesi, il saldo complessivo, derivante dall'effetto combinato dell'incremento dell'aliquota dal 12,5 per cento al 20 per cento e della riduzione dell'aliquota dal 27 per cento al 20 per cento, risulta essere non inferiore per l'anno 2007 (con decorrenza 1o luglio 2007) a 1,1 miliardi di euro ed a regime (dal 2008 in avanti) a 2 miliardi di euro annui.


 

proposta di legge

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Art. 1.

(Delega in materia di redditi di capitale
e di redditi diversi di natura finanziaria).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi concernenti il riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e recanti modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, al fine della loro unificazione, con la previsione di un'unica aliquota non superiore al 20 per cento; conferma delle disposizioni vigenti che prevedono l'esenzione ovvero la non imponibilità dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria;

b) applicazione dell'aliquota di cui alla lettera a), nel rispetto dei princìpi di incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della Costituzione, al fine anche di evitare segmentazioni del mercato;

c) eventuale introduzione di misure compensative, anche aventi natura di deduzioni o detrazioni di imposta, a favore dei soggetti economicamente più deboli, nel rispetto del principio indicato alla lettera d);

d) semplificazione delle procedure al fine di ridurre i costi amministrativi a carico degli intermediari, da realizzare in via regolamentare o con l'adozione di provvedimenti amministrativi generali;

e) coordinamento della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, nel rispetto del principio dell'equivalenza di trattamento tra i diversi redditi e strumenti di natura finanziaria nonché tra gli intermediari finanziari;

f) introduzione di un'adeguata disciplina transitoria, volta a regolamentare il passaggio alla nuova disciplina tenendo conto, tra l'altro, dell'esigenza di evitare che possano emergere, con particolare riferimento alle posizioni esistenti alla data della sua entrata in vigore, ingiustificati guadagni o perdite e nel rispetto del principio indicato alla lettera d);

g) possibilità di differire l'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a dodici mesi dalla data della loro pubblicazione;

h) coordinamento, introducendo tutte le modifiche necessarie, della nuova disciplina con le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed in ogni altra legge, regolamento, decreto o provvedimento vigenti.

2. Dall'adozione dei decreti legislativi previsti dal presente articolo devono derivare maggiori entrate non inferiori, per l'anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere dall'anno 2008, a 2.000 milioni di euro annui.

 

 

Art. 2.

(Delega in materia di riscossione).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte al riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, al fine di potenziare l'attività di recupero delle somme non versate spontaneamente, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) razionalizzazione e rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva, secondo modalità tali da consentire, tra l'altro, l'attribuzione agli agenti della riscossione del potere di concedere, direttamente o su incarico dell'ente creditore, la dilazione del pagamento delle entrate iscritte a ruolo;

b) estensione ai soggetti terzi incaricati dagli agenti della riscossione, limitatamente agli adempimenti finalizzati allo svolgimento di tali incarichi, delle agevolazioni fiscali previste per le azioni esecutive e cautelari degli stessi agenti della riscossione e per le attività ad esse prodromiche;

c) parziale revisione della disciplina del rimborso delle spese sostenute dagli agenti della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutte le tipologie di oneri derivanti dall'esercizio dei compiti istituzionali;

d) introduzione di criteri di controllo dell'inesigibilità degli importi iscritti a ruolo coerenti con il nuovo sistema di riscossione nazionale e individuati anche sulla base del valore degli stessi importi;

e) semplificazione e razionalizzazione delle procedure di anticipazione, da parte degli agenti della riscossione, del rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite, anche con previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del beneficiario;

f) limitazione della chiamata in giudizio degli agenti della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi dell'attività ad esso effettivamente riferibile;

g) attribuzione a Riscossione S.p.a. di tutte o parte delle funzioni attualmente esercitate dall'Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei versamenti unitari con compensazione, nonché del monitoraggio dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi e del compito di effettuare interventi finalizzati al recupero delle somme non versate.

 

 

Art. 3.

(Delega in materia di accertamento).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di accertamento dei tributi erariali, volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le relative disposizioni, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) armonizzazione delle regole generali e dei poteri di accertamento per tutti i tributi erariali, comprese le attribuzioni e la competenza territoriale degli uffici, al fine di assicurarne la coerenza con i princìpi della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, nonché con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, e unificazione dei termini per l'accertamento, con la sola previsione di termini differenziati nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi, accessori e sanzioni non dovuti;

b) individuazione di specifici poteri di indagine e di accertamento in presenza di fenomeni di frode ed estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno concorso alla frode stessa;

c) armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e revisione dei criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva;

d) armonizzazione delle diverse forme di interpello, incluso quello internazionale, e definizione di una normativa generale antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la previsione della possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini esclusivamente o prevalentemente fiscali, anche mediante l'eventuale modificazione delle disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni;

e) revisione del principio di unicità dell'atto di accertamento, della sua integrabilità, e coordinamento con la disciplina dell'accertamento parziale e dell'adesione del contribuente;

f) potenziamento del sistema informativo, acquisizione secondo modalità telematiche e armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione e contrasto dell'evasione nonché utilizzo delle stesse ai fini della corretta individuazione, anche a seguito dell'attività di controllo, dell'indicatore della situazione economica del contribuente;

g) riordino e razionalizzazione delle attività di cooperazione con gli enti territoriali e previdenziali nonché con le amministrazioni fiscali degli Stati esteri e dello scambio di informazioni, anche in attuazione degli accordi internazionali;

h) individuazione delle modalità e dei termini di ritrattabilità delle dichiarazioni e rapporto con la richiesta di rimborso.

 

 

Art. 4.

(Delega per la riforma del sistema
estimativo del catasto dei fabbricati).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la riforma generale del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di rinnovare l'attuale sistema estimativo del catasto stesso, basato sulla distinzione in categorie e classi, e per favorire il progressivo miglioramento dei relativi livelli di perequazione, trasparenza e qualità, nonché il recupero dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale attraverso:

1) segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare;

2) metodi di valutazione matematico-statistici;

3) utilizzo del parametro «metro quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali per le unità immobiliari a destinazione ordinaria;

4) definizione delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di valutazione;

b) derivazione dalla base patrimoniale di cui alla lettera a) di una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività;

c) ridefinizione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, nelle loro specifiche competenze con particolare riguardo alla deflazione del contenzioso;

d) articolazione del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio;

e) utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, da individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342;

f) introduzione di meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.

 

 

Art. 5.

(Delega per il riassetto

delle disposizioni tributarie statali).

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti testi unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti, sostanziali, processuali e procedimentali, in materia di tributi statali, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) uniformità della disciplina degli elementi essenziali dell'obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione delle sanzioni;

b) semplificazione e chiarezza del linguaggio normativo utilizzato nella redazione dei testi unici;

c) organicità e coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposizioni raccolte in ciascun testo unico;

d) adeguamento della normativa vigente alle previsioni della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente;

e) adeguamento della normativa vigente al diritto comunitario primario e derivato, nonché alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;

f) previsione del divieto dell'applicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;

g) semplificazione amministrativa degli adempimenti fiscali a carico del contribuente, ferma restando la normativa che consente di disciplinare gli adempimenti fiscali con regolamenti e atti amministrativi generali;

h) applicazione all'organizzazione e all'attività dell'Amministrazione finanziaria del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;

i) coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione;

l) abrogazione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro efficacia o siano prive di contenuto normativo o siano comunque obsolete;

m) espressa indicazione delle disposizioni abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei testi unici o nei differenti termini da questi stabiliti.

 

 

Art. 6.

(Disposizioni attuative).

 

1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5 sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari rendono il parere entro trenta giorni dall'assegnazione.

2. Decorso il termine di cui al comma 1, secondo periodo, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui agli articoli da 1 a 5 e con la procedura di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei medesimi decreti legislativi, nonché tutte le modificazioni necessarie per il migliore coordinamento normativo.

4. Dall'attuazione delle deleghe di cui alla presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 



Corte Costituzionale
Sentenza 20-24 giugno 1994, n. 263

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75; 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie); 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone censuarie); 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone censuarie); del Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), promossi con ordinanze emesse il 4 agosto 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, il 13 maggio 1993 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, il 23 novembre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano, il 2 ottobre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, il 10 novembre 1993 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria (n. 2 ordinanze) e il 20 novembre 1993 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Perugia, iscritte rispettivamente ai nn. 628, 656 e 798 del registro ordinanze 1993 e ai nn. 5, 31, 33 e 118 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, nn. 43 e 44 dell'anno 1993 e nn. 5, 6, 8 e 13 dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione di Boselli Ernestina, dell'Associazione della proprietà edilizia di Perugia ed altro, del Comune di Perugia, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;

Uditi gli Avvocati Valerio Onida per Boselli Ernestina, Valerio Onida, Gaspare Falsitta e Mario Rampini per l'Associazione della proprietà edilizia di Perugia ed altro, Alarico Mariani Marini e Gaetano Ardizzone per il Comune di Perugia e l'Avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 


Ritenuto in fatto

1.1. - Nel corso di un giudizio promosso da Boselli Ernestina nei confronti dell'U.T.E. di Piacenza per ottenere - previa disapplicazione, se del caso, degli atti generali relativi alla formazione della tariffa d'estimo (ovvero il decreto ministeriale 20 gennaio 1990) - che sia dichiarata "nulla e di nessun effetto" la rendita attribuita sulla base della tariffa medesima agli immobili di proprietà della ricorrente (o, in subordine, la riduzione della rendita stessa), la Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, con ordinanza 4 agosto 1993 (R.O. n. 628 del 1993), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione, dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75. Premesso che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con decisione n. 1184 del 6 maggio 1992, ha annullato i decreti del Ministro delle finanze del 20 gennaio 1990 e del 27 settembre 1991, con i quali era stato posto alla base della revisione delle tariffe d'estimo il valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile, il giudice a quo rileva che il Governo ha riprodotto il contenuto dei citati decreti ministeriali in una serie di decreti-legge, l'ultimo dei quali, e cioè il decreto-legge n. 16 del 1993, è stato convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75. Tale decreto-legge, all'art. 2, ha stabilito che le nuove tariffe, che entreranno in vigore dal 1 gennaio 1995, dovranno essere basate sul parametro della redditività anziché su quello del valore commerciale dell'immobile. Tuttavia, osserva il remittente, il decreto-legge, sia pure per un periodo di tempo limitato, ovvero fino al 31 dicembre 1994, ha resuscitato le disposizioni contenute nei decreti ministeriali dichiarati illegittimi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza "divenuta definitiva", ponendosi in tal modo in contrasto: a) con gli artt. 102, primo comma, e 103, primo comma, della Costituzione, configurando una ipotesi di "straripamento" del potere legislativo nel campo riservato istituzionalmente al potere giudiziario: i contribuenti, sebbene per un periodo limitato, sarebbero obbligati a conformarsi ad atti amministrativi illegittimi, né tale rilievo sarebbe superabile considerando che la norma stabilisce che, se le tariffe in vigore dal 1 gennaio 1995 risulteranno inferiori a quelle derivanti dall'applicazione dei decreti ministeriali, il contribuente potrà recuperare la somma versata in più sotto forma di credito d'imposta nella dichiarazione successiva all'entrata in vigore delle nuove tariffe, in quanto al momento i contribuenti sarebbero obbligati a pagare somme superiori a quelle effettivamente dovute. Né è previsto un termine per la restituzione delle somme versate, né la corresponsione di interessi; b) con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, non essendo conforme né al principio della capacità contributiva, né a quello di progressività, la tassazione, sia pure in via provvisoria, delle rendite immobiliari fondata su una ipotesi di fruttuosità del valore capitale dell'immobile determinato in base a criteri di tipo patrimoniale, che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi successivi al 1994, palesando, inoltre, la propria intrinseca irrazionalità; c) con gli stessi artt. 3 e 53, nonché con l'art. 24 della Costituzione, in quanto, differendo al periodo successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilità, per i contribuenti, di recuperare quanto eventualmente pagato in più del dovuto ed il relativo contenzioso, sottoporrebbe, medio tempore, il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacità contributiva e ripristinatoria di una forma di solve et repete.

1.2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. In una successiva memoria, l'Avvocatura, precisato che la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio non è "divenuta definitiva", deduce, rinviando alla memoria depositata per il giudizio di cui al R.O. n. 656 del 1993, l'infondatezza della questione, osservando, in particolare, che la Costituzione rende possibile utilizzare anche gli indici di capacità contributiva che derivano dal possesso di cespiti patrimoniali; indici che risultano automaticamente informati al principio di progressività. Peraltro, le imposte sui redditi e l'imposta comunale sugli immobili (ICI) non sono divenute imposte patrimoniali solo perché si è adottato uno dei possibili metodi di estimo degli immobili urbani. Infine, il terzo dei profili prospettati sarebbe inammissibile, in quanto le questioni attinenti alla riscossione dei tributi sarebbero irrilevanti in una controversia sulla attribuzione delle rendite.

1.3. - Si è costituito in giudizio anche il contribuente, depositando una memoria nella quale si sostiene che la norma, se interpretata nel senso (più attendibile) di "convalidare" gli atti amministrativi annullati, appare caratterizzata da un fine fraudolento in quanto, incidendo retroattivamente nei confronti di situazioni sub judice, lede, in violazione degli artt. 24, 101, 102, 103 e 113 della Costituzione, la funzione attribuita dalla Costituzione al potere giudiziario e il diritto dei singoli alla tutela giurisdizionale. Inoltre la stessa, restituendo efficacia ai contenuti di un atto amministrativo illegittimo e già annullato, viene a sostituirsi all'attività amministrativa, con l'effetto di togliere ogni rilievo al procedimento amministrativo, in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, specie in riferimento al principio del giusto procedimento. Essa urta, altresì, contro l'art. 24 della Costituzione, in quanto, attraverso la legificazione dell'atto amministrativo, porta a vanificare la articolata tutela giudiziaria prevista in tema di controversie catastali. La norma contrasta, infine, con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in particolare in quanto estimi determinati col criterio del valore non potrebbero essere utilizzati ai fini della applicazione delle imposte sul reddito. Da ultimo, con una memoria depositata in prossimità dell'udienza, la difesa della parte privata, ricordato che, recentemente, è intervenuta la decisione del Consiglio di Stato su una delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che hanno annullato i decreti ministeriali, ribadisce le argomentazioni già svolte, osservando, conclusivamente, come il legislatore, mirando proprio a togliere di mano al giudice l'oggetto del giudizio, abbia disposto dei rapporti tributari e patrimoniali facenti capo ai cittadini, trascurando ogni esigenza di giusto procedimento e precludendo la strada al controllo giudiziale dei provvedimenti adottati per via legislativa.

2.1. - Nel corso di un giudizio promosso da La Guardia Giuseppe e altra contro l'U.T.E. di Venezia, per l'annullamento della decisione con cui la Commissione tributaria di primo grado di Venezia ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso l'attribuzione della nuova rendita catastale all'immobile dei contribuenti, la Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, con ordinanza 13 maggio 1993 (R.O. n. 656 del 1993), ha sollevato - in riferimento agli artt. 70, 77, secondo comma, 24, 101, 102, 104, 3 e 53 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui dispone che "fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite già determinate in esecuzione del decreto ministeriale 20 gennaio 1990". Il giudice a quo, premesso che i prospetti di tariffa divenuti ormai obbligatori ex lege determinano la lesione diretta ed immediata delle situazioni soggettive fatte valere, ritiene che il Governo, attraverso la "legificazione" dei decreti ministeriali annullati dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, operata con la legge di conversione n. 75 del 1993, al termine di una catena di decreti-legge non convertiti, avrebbe condizionato la libera scelta del Parlamento "con la irreversibilità delle situazioni nel frattempo intervenute, quindi influenzandone la libera formazione del consenso circa l'opportunità di convertire o meno il decreto in discorso". Secondo l'ordinanza, "le suesposte considerazioni sono assorbenti della violazione del principio della divisione dei poteri dedotto dai contribuenti, per l'evidente fine dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 e della relativa legge di conversione (come dei precedenti decreti-legge) di superare l'annullamento della determinazione tariffaria discendente dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio". L'ordinanza ripete quindi le censure avanzate ai punti sub b) e c) dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993).

2.2. - Nel giudizio di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Nell'atto di intervento ed in una successiva memoria l'Avvocatura sostiene che il giudizio di fronte alla Commissione tributaria di primo grado era stato promosso prima e indipendentemente dalla nascita di uno specifico rapporto di imposta, consistendo nella impugnativa in via principale del decreto ministeriale sulla determinazione delle tariffe, per cui correttamente tale Commissione aveva dichiarato il suo difetto di giurisdizione. Questo impedimento sarebbe ulteriormente accentuato dalla legificazione del decreto ministeriale, alla quale consegue una impugnazione in via principale dell'atto avente forza di legge, giacché manca del tutto la incidentalità della questione e non esiste un rapporto di imposta controverso. La questione sarebbe comunque infondata, in quanto: - non sussisterebbe la violazione degli artt. 70 e 77 della Costituzione, poiché "l'autonomia del Parlamento è al di sopra di ogni sospetto e comunque non valutabile in questa sede"; - l'accenno al tentativo di superare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio sarebbe inconsistente, sia perché questa non è passata in giudicato, sia perché la principale ragione di annullamento posta a base di essa consisteva nella inadeguatezza della fonte normativa in una materia che richiedeva la forma della legge; peraltro, la giurisprudenza della Corte riconosce al legislatore la possibilità di disciplinare retroattivamente il quadro normativo precedente, senza con ciò violare né il diritto di difesa né l'autonomia del potere giurisdizionale (da ultimo, v. la sentenza n. 6 del 1994); inoltre, il decreto ministeriale 20 gennaio 1990 "era già stato anteriormente legificato con norme di cui non è contestata la legittimità"; - il fatto che le nuove tariffe siano stabilite sulla base del valore unitario di mercato non contrasterebbe con il principio della capacità contributiva né con quello della progressività dell'imposizione, fermo comunque che tale censura dovrebbe essere considerata inammissibile, in quanto questo passaggio dell'ordinanza sarebbe incomprensibile; - ferma la ragionevolezza del criterio seguito dalla norma denunciata, va considerato che, al valore di mercato degli immobili, per ottenere il reddito è stato applicato un bassissimo saggio di interesse (1% per le abitazioni, 2% per gli uffici, 3% per i negozi), in conformità delle deliberazioni della commissione censuaria centrale (23 aprile 1990, n. 3666 e 18 giugno 1990, n. 3668); - le nuove tariffe hanno lasciato indenni situazioni meritevoli di considerazione, quali i fabbricati non di lusso utilizzati dal proprietario come abitazione principale, oppure i fabbricati dati in locazione per effetto di regimi legali ad un canone che, ridotto di un quarto, risulti inferiore alla rendita catastale; - il riferimento alla reintroduzione di una forma di solve e repete sarebbe irrilevante, consistendo in "una mera dissertazione accademica del tutto avulsa da un interesse concreto dedotto in giudizio'; inoltre, l'eventualità che siano pagate somme di cui si possa successivamente chiedere il rimborso, che è normale in molti tributi, non avrebbe nulla in comune con il richiamato principio del solve et repete.

3.1. - Con ordinanza emessa il 23 novembre 1993 (R.O. n. 798 del 1993) - sui ricorsi riuniti promossi da Via Elena ed altri avverso l'U.T.E. di Cosenza per chiedere che sia dichiarata "nulla e priva di effetti" la rendita attribuita agli immobili di loro proprietà - la Commissione tributaria di primo grado di Rossano ha sollevato questione di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione;

b) dell'art. 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 e dell'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405, convertito in legge 10 novembre 1993, n. 457, in riferimento agli artt. 3, 102 e 103 della Costituzione. Sostiene il remittente che la soluzione adottata dal potere legislativo nel ripristinare, sia pure per un periodo limitato, le disposizioni contenute nei decreti ministeriali annullati dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, costituirebbe uno straripamento del potere legislativo nel campo istituzionalmente riservato al potere giudiziario, in violazione degli artt. 102, primo comma, e 103, primo comma, della Costituzione. La disposizione menzionata violerebbe inoltre gli artt. 3 e 53 della Costituzione, introducendo una tassazione delle rendite immobiliari attraverso una determinazione operata non più su base reddituale, ma patrimoniale. Inoltre, si ripristinerebbe una forma di solve et repete, in contrasto con gli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione, per effetto dell'applicazione in via provvisoria delle tariffe annullate, essendo previsto il varo dal 1 gennaio 1995 di nuovi estimi che sostituiscano quelli illegittimi con il recupero delle somme eventualmente versate in più. L'art. 1 del decreto-legge n. 287 del 1993 (e l'art. 1 del decreto-legge n. 405 del 1993, che lo reitera), in quanto dà esclusiva competenza alla commissione censuaria centrale in tema di revisione degli estimi, esautorando le commissioni distrettuali e provinciali ed escludendo l'interpello dei comuni interessati da parte degli uffici tecnici erariali, violerebbe l'art. 3 della Costituzione, "sotto il profilo del diverso trattamento normativo riservato a situazioni del tutto analoghe tra loro". Tale norma, inoltre, rimettendo nei termini il Ministero delle finanze per inoltrare i ricorsi presso la commissione censuaria centrale, modificherebbe il valore sostanziale della res iudicata e porrebbe in essere uno straripamento del potere legislativo in un campo riservato al potere giudiziario.

3.2. - Nel giudizio di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate. Soffermandosi in particolare sulla censura rivolta avverso il decreto-legge n. 287 del 1993 e il successivo n. 405 del 1993, l'Avvocatura rileva che tali atti hanno inteso colmare una lacuna dell'art. 2, comma 1- bis del decreto-legge n. 16 del 1993, che non ha previsto l'ipotesi della inesistenza "per mancata costituzione" della commissione censuaria provinciale, alla quale taluni comuni hanno indirizzato i ricorsi previsti dal comma sesto. Pertanto, appare erronea la congettura secondo cui il comma 1- bis avrebbe inteso rimettere nei termini l'amministrazione finanziaria. Inoltre, non essendo le commissioni censuarie organi giurisdizionali, non ha senso parlare di res iudicata e di "straripamento in un campo riservato al potere giudiziario".

4.1. - Con ordinanza emessa in data 2 ottobre 1993 (R.O. n. 5 del 1994), la Commissione tributaria di primo grado di Piacenza - sui ricorsi proposti da Paperi Giorgio ed altro avverso l'applicazione da parte dell'U.T.E. di Piacenza delle tariffe di estimo di cui ai decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991 - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione. Secondo il remittente, la disposizione impugnata violerebbe l'art. 77 della Costituzione, per difetto dei presupposti di necessità e di urgenza ai quali è subordinata l'emanazione dei decreti-legge. Inoltre, essa, in contrasto con gli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, "finisce per incidere sui giudizi in corso, proponendosi come interpretazione autentica di una norma di natura interpretativa". L'adozione, poi, sia pure in via temporanea, di un criterio impositivo basato sul valore degli immobili, anziché sulla loro redditività, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, perché consentirebbe, tra l'altro, l'applicazione di tariffe d'estimo espressione di un unico saggio di interesse determinato per tutto il territorio nazionale, con perdita di ogni collegamento con il bene e con la sua produttività.

4.2. - Nel giudizio di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, deducendo l'inammissibilità della censura relativa alla violazione dell'art. 77 della Costituzione, essendo rimessa al Parlamento la verifica dei presupposti della necessità e dell'urgenza dei decreti-legge. Si sostiene, inoltre, che, a seguire la prospettazione dell'ordinanza, si attribuirebbe a qualsiasi privato il potere di bloccare l'attività legislativa mediante la proposizione di ricorsi. In riferimento alla esistenza di tariffe espressione di un unico saggio di interesse su tutto il territorio nazionale, si rileva che "il saggio di interesse di riferimento è stato determinato in misura (per solito 1% annuo) di gran lunga inferiore al praticato e che non sono individuabili saggi di interesse differenziati per comune o per provincia".

5.1. - Con due identiche ordinanze, emesse il 10 novembre 1993 (R.O. n. 31 del 1994 e R.O. n. 33 del 1994) - sui ricorsi proposti, l'uno, dall'Associazione della proprietà edilizia di Perugia e da Mantellini Gino e, l'altro, da Amati Carlo, per l'annullamento delle deliberazioni con cui è stata determinata la misura della aliquota dell'imposta comunale sugli immobili, per l'anno 1993 e successivi, nel Comune di Perugia e, per l'anno 1993, nel Comune di Terni - il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75 e, in via derivata, dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e del Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 55, 70, 77, 92, 97, 101, 102, 104, 108 e 113 della Costituzione, "nei termini precisati in motivazione". Nella parte motiva, il giudice a quo, ritenuto il carattere pregiudiziale delle questioni di legittimità costituzionale, rispetto a quella della legittimità o meno della delibera comunale determinativa dell'aliquota dell'ICI, sostiene che non sia manifestamente infondata - in riferimento agli artt. 24, 55 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg. e 113 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, seconda parte, della legge n. 75 del 1993 e, in via derivata, dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo n. 504 del 1992, che avrebbero prevaricato il diritto di difesa dei cittadini, nonché le prerogative del potere giurisdizionale, attraverso il ripristino di decreti ministeriali annullati. Del pari, non manifestamente infondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni stesse, in riferimento agli artt. 3, 55 e segg., 70 e segg. e 97 della Costituzione per aver prevaricato le prerogative di autotutela della pubblica amministrazione, alla quale esclusivamente spetta il potere-dovere di riesaminare i propri atti, allo scopo di renderli conformi a legge. Ancor più pregnante e significativa, in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, sarebbe, ad avviso del remittente, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 421 del 1992 e dell'intero Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo n. 504 del 1992, per l'istituzione di un'imposta comunale sugli immobili basata su valori di redditività astratti e rivalutabili sulla base di parametri non pertinenti e non attendibili calcolati non sul solo effettivo andamento del mercato locativo, ma, altresì, sull'andamento del mercato immobiliare (ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993), sicché l'imposta viene a gravare sul patrimonio immobiliare lordo del contribuente, anziché sul reddito effettivamente ritraibile dal medesimo. L'imposta, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, discriminerebbe illegittimamente i contribuenti, a seconda che siano o meno proprietari di immobili, senza tener conto di altre possibili espressioni di ricchezza. Inoltre, non attribuendo rilievo significativo agli oneri e alle passività che gravano sul patrimonio immobiliare, essa illegittimamente si attesterebbe, con riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, sullo stesso piano degli istituti ablatori; infine, essa contrasterebbe con il principio della capacità contributiva, "squilibrando la stessa capacità di contribuzione a tutto danno del contribuente proprietario di immobili, senza considerazione alcuna in ordine alla pressione tributaria specifica che già opprime tali cespiti". È prevista, infatti, una aliquota a misura unica, applicabile sulla medesima base imponibile già gravata dall'aliquota progressiva dell'IRPEF, ovvero dall'aliquota proporzionale dell'IRPEG, senza alcun beneficio di detrazione dall'IRPEF (o dall'IRPEG) medesima, così come già previsto per l'ILOR. Tutto ciò, secondo il Tribunale amministrativo regionale remittente, non è sminuito dall'intervento del decreto-legge n. 16 del 1993, giacché - come è stato evidenziato nell'ordinanza 4 agosto 1993 della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993) e nell'ordinanza 13 maggio 1993 della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993) - tale disciplina (con forzature di scelta anche nei confronti del libero dibattito parlamentare) dà corso all'imposizione secondo criteri che incidono sul patrimonio e che sanano l'attività di prelievo fiscale già operata, ma, ponendosi in contrasto con gli artt. 70, 77, 101, 102, 104 e segg. della Costituzione, viola il principio della divisione dei poteri.

5.2. - In entrambi i giudizi di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. Con due identiche memorie, l'Avvocatura dello Stato sostiene in primo luogo l'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale, in quanto al Tribunale amministrativo regionale compete, quanto all'ICI, "la giurisdizione solo sull'altezza dell'aliquota in misura superiore a quella minima di legge", restando, invece, estranea "ogni questione concernente la base imponibile e, in genere, l'obbligazione tributaria". Nel merito, l'Avvocatura deduce l'infondatezza della censura relativa alla violazione del principio della separazione dei poteri, con argomentazioni analoghe a quelle di cui alle memorie relative alle ordinanze delle Commissioni tributarie di cui si è già fatto menzione. In ordine alla prevaricazione delle prerogative di autotutela dell'amministrazione, si sostiene che non vi è alcun ostacolo alla traduzione in norma di legge di un atto amministrativo, essendo la stessa amministrazione soggetta alla legge. Inoltre, il sistema di determinazione del reddito dei fabbricati basato sul valore di mercato degli immobili non si porrebbe in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto al valore di mercato è stato applicato un bassissimo saggio di interesse. La memoria, così come quella depositata per il giudizio di cui al R.O. n. 656 del 1993, ricorda, inoltre, che le nuove tariffe hanno lasciato indenni molte situazioni meritevoli di considerazione. Riguardo all'imposta comunale sugli immobili, l'Avvocatura sostiene che l'art. 53 della Costituzione non vieta la istituzione di imposte di tipo patrimoniale, mentre rientra nelle scelte del legislatore, non impedite da principi costituzionali, l'esclusione delle somme corrisposte per l'ICI dalla deduzione dell'imponibile IRPEF o IRPEG.

5.3. - Nel giudizio iscritto al n. 31 del 1993 del registro ordinanze si sono costituiti l'Associazione della proprietà edilizia di Perugia e il Sig. Mantellini, la cui difesa ha presentato una memoria, simile, nella prima parte, a quella presentata dalla parte privata nel giudizio introdotto con l'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993).

Si sostiene, al riguardo: - che l'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 tende ad incidere retroattivamente su situazioni sub judice; - che la stessa norma intende ridare efficacia ad un atto amministrativo illegittimo e già annullato; - che in base al principio del giusto procedimento "è da escludere che la legge possa disporre nei casi singoli del contenuto e degli effetti degli atti amministrativi". Soffermandosi sulla dedotta incostituzionalità della normativa sull'ICI, la memoria osserva, poi, che l'art. 5 del decreto legislativo n. 504 del 1992 prevede coefficienti di capitalizzazione elevatissimi e vincolanti, comportando l'introduzione di una presunzione assoluta, in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, giacché in un elevato numero di casi il prelievo sarebbe destinato a gravare su un imponibile assai superiore al valore effettivo del bene, senza che all'interessato sia offerta la possibilità di dimostrare che tali valori superano il valore venale dell'unità immobiliare. Inoltre, le norme sull'ICI - in specie l'art. 5, terzo comma, del decreto legislativo n. 504 del 1992 - appaiono irrazionali ed arbitrarie, contrastando perciò con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, sia perché sottopongono all'imposta anche gli impianti ed i macchinari posseduti da imprese, cioè beni soggetti ad un intenso logorio, senza che sia introdotto alcun correttivo, sia per le modalità previste per la rivalutazione del costo storico degli immobili industriali. La mancata previsione della rilevanza delle passività che gravano l'immobile, ai fini della determinazione della base imponibile, costituirebbe ulteriore violazione dell'art. 53 della Costituzione. Il mancato esonero della prima casa si configurerebbe altresì come mancato esonero del minimo vitale, con effetto ablatorio, a fronte del quale sarebbe insufficiente la detrazione prevista dall'art. 15 della legge n. 537 del 1993. L'effetto ablatorio dell'imposta deriverebbe anche dall'aliquota assai elevata, nonché dalla indetraibilità dall'imponibile IRPEF o IRPEG. Le imposte patrimoniali, infatti, sono conformi al dettato costituzionale solo se possono essere pagate con il reddito, in quanto, diversamente, impongono l'alienazione del bene e assumono carattere espropriativo, intaccando le fonti produttive a disposizione del privato, in violazione dell'art. 53, inteso alla luce dell'art. 42, della Costituzione. Rilevato, inoltre, che la struttura complessiva dell'imposta personale e dell'ICI, combinandosi con il divieto di detrazione, sfocia nell'espropriazione dell'intero reddito, si lamenta, infine, l'incostituzionalità dell'art. 12 del decreto legislativo n. 504, relativo alla riscossione coattiva dell'imposta.

5.4. - Anche il Comune di Perugia si è costituito nel giudizio iscritto al n. 31 del 1994 del registro ordinanze, sostenendo che la questione relativa all'art. 2, primo comma, seconda parte, della legge 24 marzo 1993, n. 75, sarebbe inammissibile, in quanto dal suo accoglimento non discenderebbe la dichiarazione di illegittimità "in via derivata" dell'art. 5 del decreto legislativo sull'ICI. La stessa sarebbe comunque infondata, nel merito, non potendosi opporre al legislatore una riserva di amministrazione, e conseguentemente di giurisdizione, né risultando pregiudicato il diritto di difesa. Quanto alla disciplina dell'ICI, secondo la memoria, l'introduzione del parametro del valore del fabbricato razionalizzerebbe il sistema di determinazione del reddito medio ordinario, ove si consideri che lo stesso esprime l'attitudine del bene a produrre reddito. Circa il rilievo relativo alla tassazione del patrimonio immobiliare lordo, da questo non potrebbe discendere la illegittimità dell'intero Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo n. 504 del 1992. Premesso che la questione andrebbe rimessa al Tribunale amministrativo regionale per una migliore specificazione o che, in alternativa, dovrebbe essere dichiarata inammissibile, si osserva comunque che il valore dell'immobile è determinato sulla base del reddito lordo diminuito delle spese di riparazione e manutenzione e di ogni altra spesa necessaria a produrlo. Rilevato che il patrimonio ben può essere considerato sintomo di capacità contributiva, la memoria ritiene di escludere anche il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta di alcune situazioni, anziché di altre, come indicative di capacità contributiva, ed apparendo l'imposta ragionevole, anche in virtù del carattere di generalità. Il tributo non avrebbe poi carattere ablatorio, ove si tenga conto della mitezza delle aliquote e del reddito catastale preso in considerazione, mentre l'art. 15 della legge n. 537 del 1993 delineerebbe in modo ancora più netto l'intento del legislatore (di cui agli artt. 8 e 17 del decreto legislativo n. 504 del 1992) di attenuare l'imposizione, in particolare quando il bene sia adibito all'uso del contribuente.

5.5. - Nell'imminenza dell'udienza, la difesa della Associazione della proprietà edilizia e di Mantellini Gino ha depositato due ulteriori memorie. La prima, in replica alle memorie dell'Avvocatura dello Stato e del Comune di Perugia, ricorda, in particolare, che nel frattempo è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato sugli atti amministrativi annullati dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, onde è ormai inoppugnabile che la disposizione di legge qui contestata abbia come scopo ed effetto di ridare efficacia a detti atti, con illegittima interferenza sull'esercizio della funzione giurisdizionale ed indebita commistione fra attività legislativa ed attività amministrativa. La seconda memoria, soffermandosi specificamente sulla disciplina dell'ICI, deduce che appare irrazionale e contrastante con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva la scelta del legislatore di istituire una imposta patrimoniale ordinaria, avente ad oggetto i soli immobili, per di più senza considerare i debiti che ineriscono ai cespiti cui si riferisce. La memoria si sofferma criticamente su vari aspetti della disciplina dell'ICI relativi ai coefficienti di capitalizzazione "elevatissimi e vincolanti"; all'impossibilità per il contribuente di dimostrare che il valore scaturente dalla capitalizzazione delle nuove rendite catastali è di gran lunga superiore al valore venale; alla mancanza di correttivi riguardanti l'esistenza di regimi vincolistici di determinazione del canone; ai criteri di valutazione dei fabbricati classificati nel gruppo D; agli indici fissati per la rivalutazione del costo storico degli immobili industriali; all'inadeguatezza dell'esonero accordato al c.d. minimo vitale e all'omessa considerazione della composizione del nucleo familiare del soggetto; ai criteri di tassazione degli immobili inagibili; alla previsione di un'aliquota elevata (tra 4 e 7%) e al divieto di detrazione dell'ICI dall'imposta personale; al mancato esonero degli opifici utilizzati direttamente dai piccoli imprenditori commerciali; alla disciplina della riscossione delle somme liquidate dal comune per imposte, sanzioni e interessi.

5.6. - Anche il Comune di Perugia ha depositato un'ulteriore memoria, nella quale, ribadite le considerazioni già svolte sulla irrilevanza e sulla infondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, si osserva che con la legge n. 75 del 1993 il legislatore ha utilizzato una tecnica normativa particolare per dettare la disciplina relativa alla determinazione degli estimi catastali. Quanto alla norma istitutiva dell'ICI, poiché la commissione censuaria centrale ha adottato saggi di interesse bassissimi per la determinazione della rendita, il valore degli immobili non può che essere determinato adottando i moltiplicatori previsti per legge, precisando che i valori hanno carattere vincolante non perché derivino da una presunzione assoluta, ma perché individuati sulla base di criteri di calcolo fissati dal legislatore. Dedotta l'infondatezza di quanto assunto dalle parti private a proposito dei beni di impresa, si osserva, quanto alla mancata deduzione delle passività, che ogni acquisto a titolo oneroso esige una spesa che viene compensata dall'entrata del valore dell'immobile acquistato. Rilevato, poi, che ai fini del minimo vitale occorre valutare l'insieme dell'importo che il soggetto è chiamato a pagare, si osserva, quanto all'effetto ablatorio dell'ICI, che esso non deriva da quest'ultima, bensì dal cumulo di più imposte.

6.1. - Con ordinanza emessa in data 20 novembre 1993 (R.O. n. 118 del 1994), la Commissione tributaria di secondo grado di Perugia - nel corso del giudizio di appello promosso dall'U.T.E. di Perugia avverso varie decisioni della Commissione tributaria di primo grado di Perugia, emesse nei confronti di Sebastiani Bruno ed altri - ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 102, 103 e 104 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75.

Il remittente sostiene che la disposizione in esame viola: - gli artt. 102, primo comma, 103, primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, in quanto, facendo rivivere, sia pure per un periodo di tempo limitato, le disposizioni annullate con la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 1184 del 1992, darebbe luogo ad uno straripamento del potere legislativo nel campo riservato al potere giudiziario; - gli artt. 3 e 53 della Costituzione, "non essendo conforme né al principio della capacità contributiva, né a quello della progressività, la tassazione delle rendite immobiliari, su una ipotesi di fruttuosità del capitale dell'immobile determinato in base a criteri di tipo patrimoniale"; - gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, ripristinando una forma di solve et repete.

6.2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Si rileva nella memoria che il Consiglio di Stato, pronunziandosi su uno degli appelli avverso le decisioni rese dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha affermato che, essendo stato il contenuto dei decreti ministeriali annullati trasfuso in disposizioni legislative, sarebbe venuto meno l'interesse a ricorrere. Ciò testimonierebbe la inesistenza di un giudicato su cui avrebbe inciso la norma impugnata, mentre "appare indubbio che il legislatore può recepire il contenuto di un atto amministrativo, conferendo, così, ad esso il valore di legge". Si osserva, poi, che la retroattività al 1 gennaio 1992 non è prevista per le tariffe e le rendite determinate a seguito della revisione generale che avrà effetto dal 1 gennaio 1995, ma è circoscritta alle tariffe e alle rendite modificate con l'intervento del decreto legislativo n. 568 del 1993. In ordine alla violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, si nega la lesione del principio di uguaglianza, attesa la generale applicazione delle tariffe in questione. Circa la capacità contributiva, si afferma che rientra nella discrezionalità del legislatore assumere determinate situazioni, e non altre, come indicative della capacità contributiva, né ha rilevanza, ai fini della progressività del sistema impositivo, la determinazione della base imponibile dei fabbricati effettuata sulla base delle tariffe d'estimo e delle rendite in questione. Sarebbe, infine, del tutto inconferente il riferimento alla introduzione del principio del solve et repete, in quanto la norma impugnata non pone alcun limite al diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

7. - Per tutti i giudizi, l'Avvocatura dello Stato ha presentato, in prossimità dell'udienza, una ulteriore memoria, nella quale, nel ribadire le argomentazioni già svolte, si osserva: - quanto al decreto-legge n. 16 del 1993, che è "del tutto normale che l'atto annullato, perché la materia in esso contenuta richiedeva la forma di norme aventi rango legislativo, sia stato legificato non in contrasto, ma in conformità al giudicato"; - la questione di incostituzionalità dell'ICI nel suo complesso e nei singoli aspetti è inammissibile, perché "riguarda esclusivamente il rapporto di imposta di diritto soggettivo ed esula totalmente da quanto è oggetto del giudizio principale innanzi al Tribunale amministrativo regionale"; - così come è sollevata dalle ordinanze del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, la questione si pone in termini astratti ed accademici, senza nessun nesso con controversie concrete, ma, soprattutto, assume il contenuto di una discussione de futuro, dal momento che l'ICI ha cominciato a manifestare i suoi effetti nel 1993, mentre i ricorsi al Tribunale amministrativo regionale sono anteriori; - la non deducibilità dell'ICI dall'IRPEF non viola alcun precetto costituzionale; comunque, l'eccezione non riguarderebbe la disciplina dell'ICI, bensì quella dell'IRPEF o dell'IRPEG; - una serie di censure si rinvengono nella memoria di parte, ma non nelle ordinanze del Tribunale amministrativo regionale, quali quelle relative alla misura elevata dei coefficienti di capitalizzazione del reddito; alla necessità che il contribuente abbia il diritto di offrire la prova di un valore venale inferiore; all'imposta su fabbricati posseduti da imprese; al mancato rilievo delle passività; alla tassazione della casa destinata ad abitazione principale; al fatto che l'imposta patrimoniale debba essere concepita in modo da consentire il pagamento con il reddito derivante dal patrimonio stesso; al procedimento previsto dall'art. 12 del decreto legislativo n. 504 per la riscossione dell'imposta. Infine, si sostiene che l'imposta non può essere sospettata di incostituzionalità solo perché patrimoniale, mentre infondata, come è dato evincere anche dalla sentenza della Corte costituzionale 23 maggio 1985, n. 159 (relativa alla SOCOF), è anche la censura relativa alla non universalità dell'imposta che non colpisce i patrimoni mobiliari.

 

Considerato in diritto

1. - I giudizi di cui in epigrafe, ponendo questioni identiche o quantomeno connesse, vanno riuniti in rito per essere decisi con un'unica sentenza.

2.1. - Le ordinanze delle varie commissioni tributarie di cui si è riferito in narrativa - e cioè Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993), Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993), Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994), Commissione tributaria di secondo grado di Perugia (R.O. n. 118 del 1994) - chiamano la Corte a stabilire se l'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui ripristina, sia pure in via transitoria, le disposizioni contenute nei decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, relativi alla revisione delle tariffe di estimo del catasto edilizio urbano, dichiarate illegittime dal giudice amministrativo, violi gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto la tassazione delle rendite immobiliari, fondata su una ipotesi di fruttuosità del valore capitale di un immobile determinata con criteri di tipo patrimoniale, apparirebbe in contrasto con i principi della capacità contributiva e della progressività, palesando altresì la propria irrazionalità, come si evince dalla circostanza che lo stesso criterio viene abbandonato per i periodi successivi al 1994. Le medesime ordinanze di cui sopra, con esclusione di quella della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994), denunciano le stesse norme per violazione degli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione, in quanto ripristinatorie di una forma di solve et repete, differendo al periodo di imposta successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilità da parte dei contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato in più e il relativo contenzioso. 2.2. - Le ordinanze predette sollevano le seguenti ulteriori questioni relative al già citato art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, e cioè se esso:

a) configuri una ipotesi di "straripamento" del potere legislativo nel campo riservato istituzionalmente al potere giudiziario, con violazione degli artt. 102 e 103 della Costituzione, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, nella prima ordinanza di rimessione (R.O. n. 628 del 1993), e dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993); con violazione degli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di secondo grado di Perugia (R.O. n. 118 del 1994); con violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza nella seconda ordinanza di rimessione (R.O. n. 5 del 1994);

b) violi l'art. 77, secondo comma, della Costituzione, in quanto la reiterazione dei decreti-legge si sarebbe tradotta in una coartazione della volontà delle Camere, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), che ritiene questo profilo assorbente della violazione del principio della divisione dei poteri per l'evidente fine dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 e della relativa legge di conversione di superare l'annullamento della determinazione tariffaria discendente dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, non senza invocare, sia pure nel solo dispositivo dell'ordinanza, la violazione anche degli artt. 70, 101, 102 e 104; ovvero violi lo stesso art. 77, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza del decreto-legge, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994). 3.1. - Le due ordinanze del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria (R.O. n. 31 e R.O. n. 33 del 1994) pongono questioni che investono, anzitutto, l'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui prevede che "fino al 31 dicembre 1993 resta fermo per i comuni e i contribuenti l'effetto di cui al primo comma, terzo periodo, dell'art. 2 del citato decreto-legge n. 16 del 1993". Investono, altresì, l'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Secondo il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, le dette disposizioni contrastano, la prima in via diretta e la seconda in via derivata, con:

a) gli artt. 24, 55 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg., e 113 della Costituzione, ledendo il diritto di difesa dei cittadini e le prerogative del potere giurisdizionale, in quanto legittimano, fino alla data del 31 dicembre 1993, un decreto ministeriale annullato e producono una "sanatoria con efficacia retroattiva di una procedura amministrativa illegittimà; censura che, ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, "non è sminuita" dall'intervento del decreto-legge n. 16 del 1993, il cui contrasto con gli artt. 70, 77, 101, 102 e 104 e segg. della Costituzione è stato già evidenziato nelle ordinanze di rimessione alla Corte di cui al R.O. n. 628 del 1993 e R.O. n. 656 del 1993, per avere il Governo, da una parte, inciso sul patrimonio dei proprietari e, dall'altra, operato precludendo le scelte che potevano scaturire da un libero dibattito parlamentare;

b) gli artt. 3, 55 e segg., 70 e segg. e 97 della Costituzione, per avere il legislatore, con la sanatoria di cui sopra, sia pure in via transitoria, leso le prerogative di autotutela della pubblica amministrazione. 3.2. - Le medesime ordinanze del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria chiedono, altresì, alla Corte di stabilire se l'art. 4 della legge n. 421 del 1992 e il Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nell'istituire l'imposta comunale sugli immobili, violino gli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, per avere il legislatore concepito un'imposta sugli immobili basata su valori di redditività assolutamente astratti e rivalutabili sulla base di parametri non pertinenti e comunque non attendibili, venendo a colpire il patrimonio immobiliare lordo del contribuente, anziché il reddito effettivamente ritraibile dal medesimo; nonché contrastino con:

a) l'art. 3 della Costituzione, discriminando illegittimamente i contribuenti, a seconda che siano o meno proprietari di immobili, senza tener conto di altre possibili espressioni di ricchezza;

b) l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto non attribuiscono rilievo significativo agli oneri e alle passività che gravano sul patrimonio immobiliare, sicché l'imposta illegittimamente si attesterebbe sullo stesso piano degli istituti ablatori, "con l'ulteriore aggravante che la relativa disciplina non concede ristoro alcuno, in termini di componenti negativi del reddito tassabile";

c) l'art. 53 della Costituzione, collidendo con il principio della capacità contributiva, in quanto "viene squilibrata la stessa capacità di contribuzione a tutto danno del contribuente proprietario di immobili, senza considerazione alcuna in ordine alla pressione tributaria specifica che già opprime tali cespiti'; ciò atteso che l'ICI prevede una aliquota a misura unica, applicabile sulla medesima base imponibile già gravata dall'aliquota progressiva dell'IRPEF, ovvero dall'aliquota proporzionale dell'IRPEG, senza alcun beneficio di detrazione dall'IRPEF (o dall'IRPEG) medesima, così come previsto, a suo tempo, per l'ILOR.

4. - Infine, l'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993) solleva le seguenti ulteriori questioni: - se l'art. 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 e l'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405 - nel dare competenza esclusiva alla commissione censuaria centrale in tema di revisione degli estimi, con esautoramento delle commissioni distrettuali e provinciali ed esclusione dell'interpello dei comuni interessati - violino l'art. 3 della Costituzione, "sotto il profilo del diverso trattamento normativo riservato a situazioni del tutto analoghe tra loro"; - se le stesse norme di cui sopra violino gli artt. 102 e 103 della Costituzione, in quanto rimettono nei termini il Ministero delle finanze per inoltrare i ricorsi presso la commissione censuaria centrale, modificando così il valore sostanziale della res iudicata e ponendo in essere uno straripamento del potere legislativo in un campo riservato al potere giudiziario.

5. - Nei giudizi di cui sopra, l'Avvocatura dello Stato, oltre a contestare nel merito il fondamento delle questioni sottoposte all'esame della Corte, ha dedotto l'inammissibilità delle questioni sollevate da tre delle ordinanze menzionate, sotto il profilo dell'inesistenza dei presupposti atti a dare ingresso al giudizio di costituzionalità.

Più in particolare, viene negata l'ammissibilità: a) delle questioni sollevate con l'ordinanza della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), per mancanza del carattere di incidentalità, non essendo controverso un rapporto di imposta e trattandosi, in ipotesi, di una impugnazione in via principale di un atto avente forza di legge, cioè dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16; b) della questione di costituzionalità dell'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75, e dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, in quanto la stessa esulerebbe dall'ambito di cognizione del giudice amministrativo e sarebbe comunque irrilevante nel processo a quo, in quanto al Tribunale amministrativo regionale spetterebbe, in tema di imposta comunale sugli immobili, "la giurisdizione solo sull'altezza dell'aliquota, in misura superiore a quella minima di legge". Quanto alla prima delle eccezioni, il giudice remittente, come risulta dall'ordinanza, si è dato carico di esaminare il profilo della rituale introduzione innanzi a sé del giudizio, individuandone l'oggetto nella lesione diretta ed immediata delle situazioni soggettive dei ricorrenti, "in quanto gli interessati non possono in alcun modo sottrarsi alla tariffazione del loro immobile come operata dall'amministrazione". Tanto è sufficiente perché il giudizio di costituzionalità possa ritenersi ritualmente introdotto, in quanto il controllo della Corte costituzionale, ai fini dell'ammissibilità della questione di legittimità ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va limitato all'adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia chiamato a decidere. Quanto all'altra eccezione, con la quale si deduce l'inammissibilità della questione per il fatto che essa esulerebbe dal thema decidendum affidato al giudice amministrativo nella materia di cui trattasi, giova ricordare, in linea generale, che, secondo il costante indirizzo della Corte, il difetto di giurisdizione del giudice a quo, per comportare l'irrilevanza della questione, deve risultare chiaramente dalla legge o corrispondere ad un univoco orientamento giurisprudenziale, sì da rivestire il carattere dell'evidenza. Nel giudizio pendente innanzi al Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, nel quale è in discussione la legittimità di un provvedimento amministrativo, vale a dire la delibera comunale determinativa dell'aliquota dell'ICI, il controllo della Corte - una volta accertata l'esistenza di un giudizio sulla legittimità di un atto della pubblica amministrazione, e cioè dell'oggetto tipico del giudizio amministrativo - non può implicare un sindacato circa l'iter logico seguito dal giudice remittente per affermare la propria competenza a fronte della specifica questione, ma deve limitarsi alla verifica di una ragionevole possibilità, valutata a priori in limine litis, che la disposizione denunziata sia applicabile ai fini della pronunzia da emettere nel giudizio stesso.

6. - Definite come sopra le eccezioni pregiudiziali poste dalla difesa erariale, la Corte ritiene, prima di passare al merito delle questioni di costituzionalità, e per delineare un più chiaro quadro di riferimento, svolgere una breve puntualizzazione sulla vicenda normativa della quale è chiamata ad occuparsi. L'esigenza dell'aggiornamento del catasto edilizio urbano, resa manifesta dapprima con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 604, e ribadita, da ultimo, dalla legge 30 dicembre 1989, n. 427, ebbe avvio con il decreto ministeriale 20 gennaio 1990, che, nel dettare i criteri per la revisione del catasto, fece riferimento, per la determinazione delle tariffe di estimo, nonché per le rendite catastali delle unità immobiliari a destinazione speciale o particolare, al "valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile", determinato "come media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989". All'esito delle operazioni di revisione seguì il decreto ministeriale 27 settembre 1991 che stabilì le tariffe di estimo per l'intero territorio nazionale, con effetto dal 1 gennaio 1992, in conformità ai criteri di cui al precedente decreto ministeriale 20 gennaio 1990. I predetti provvedimenti formarono oggetto di diverse sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che li dichiararono illegittimi per aver trasformato, in contrasto con il d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, da eccezionale a generale il criterio della determinazione delle tariffe di estimo sulla base dell'interesse del capitale fondiario, anziché sulla base del reddito virtualmente ritraibile, trasformazione che non era consentito effettuare in via amministrativa. Dopo l'annullamento dei predetti decreti, il Governo è intervenuto con una serie di decreti-legge, l'ultimo dei quali è stato finalmente convertito in legge, e cioè quello in data 23 gennaio 1993, n. 16, il cui art. 2 ha disposto - con effetto dal 1 gennaio 1995 - una nuova revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe di estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei criteri di classamento, ad opera di un decreto ministeriale che, al fine di determinare la redditività media ordinariamente ritraibile, faccia riferimento al valore del mercato degli immobili e delle locazioni. Lo stesso art. 2 del decreto-legge ha peraltro previsto, fino al 31 dicembre 1993, la permanenza in vigore e quindi l'applicazione delle tariffe di estimo e delle rendite già determinate in esecuzione del decreto 20 gennaio 1990 (art. 2, primo comma, terzo periodo). A sua volta la legge 24 marzo 1993, n. 75, nel convertire il decreto menzionato, ha aggiunto al predetto art. 2 i commi 1-bis, 1- ter e 1-quater, con i quali si è data facoltà ai comuni di ricorrere alle commissioni censuarie provinciali e, in sede di appello, alla commissione censuaria centrale "con riferimento alle tariffe di estimo e alle rendite vigenti ai sensi del primo comma" del medesimo art. 2. Le tariffe d'estimo e le rendite modificate in conseguenza di tali ricorsi, nonché quelle derivanti da ulteriori modificazioni al fine di mantenere l'invarianza del gettito, recepite in un apposito decreto legislativo, secondo quanto stabilito dall'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, si sarebbero applicate per l'anno 1994. Peraltro, ai fini delle imposte dirette (salve alcune esclusioni), l'applicazione sarebbe stata anticipata al 1 gennaio 1992 ove fossero risultate inferiori a quelle stabilite col decreto ministeriale 27 settembre 1991. Di ciò i contribuenti avrebbero tenuto conto nella dichiarazione dei redditi da presentare per il 1993, secondo criteri indicati sempre dal predetto art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, peraltro modificati con decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330. È venuta così a determinarsi una articolata e complessa disciplina non priva di farraginosità, in spregio alla chiarezza dei rapporti fra fisco e contribuenti, per effetto della quale:

a) dal 1995 dovrebbero entrare in vigore i nuovi estimi, in attuazione della prevista revisione generale, che dovrebbe tener conto, ai fini della "redditività media ordinariamente ritraibile", dei "valori del mercato degli immobili e delle locazioni";

b) per il 1992-1993 è stata riconfermata l'applicabilità delle tariffe stabilite con il decreto ministeriale 27 settembre 1991;

c) per il 1994, ma con eventuale retroattività, in caso di maggior favore, si applicano le tariffe eventualmente modificate - all'esito dei ricorsi previsti dai commi 1-bis, 1- ter e 1-quater dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 - dall'apposito provvedimento che la legge di conversione aveva previsto e che, nel frattempo, risulta emanato, vale a dire il decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568.

7.1. - Passando all'esame del merito delle varie questioni di legittimità, non fondata è, anzitutto, quella sollevata dalle varie Commissioni tributarie menzionate, le quali lamentano la violazione, da parte dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, degli artt. 3 e 53 della Costituzione, deducendo, in particolare, che la tassazione delle rendite immobiliari fondata su un'ipotesi di fruttuosità di un immobile, determinata con criteri di tipo patrimoniale, colliderebbe con il principio della capacità contributiva e della progressività, evidenziando, altresì, profili di irrazionalità. Al riguardo va, in primo luogo, rilevato che il riferimento al principio di progressività appare inconferente, giacché tale principio si riferisce, come la giurisprudenza costituzionale ha avuto occasione di precisare, al sistema tributario nel suo complesso e non ai singoli tributi, dal momento che il principio stesso, se inteso come crescita dell'aliquota correlata con l'ammontare del reddito, non può che aver riguardo al rapporto diretto fra imposizione e reddito personale complessivo del contribuente (sentenza n. 159 del 1985). Quanto agli altri profili dedotti, la Corte osserva come, nella specie, il legislatore, con la norma denunciata, rimane nell'ottica tipica del catasto, sistema che già a suo tempo ha superato positivamente il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 16 del 1965) e la cui finalità è quella di fissare in valori obiettivi, rappresentati dalla c.d. rendita catastale, l'attitudine del bene a produrre reddito. Nel caso della disposizione portata all'esame della Corte, il procedimento seguito, anziché fondarsi sul tradizionale parametro del valore locatizio, si basa sul valore di mercato del bene in sé, nell'implicito presupposto, tratto dall'esperienza, di una connessione fra valore del bene e idoneità dello stesso a produrre un reddito. Il criterio, presumibilmente ispirato dalla constatazione di una scarsa attuale rappresentatività del mercato delle locazioni in ordine alla potenziale capacità di produrre reddito da parte del bene, in presenza di una contingente situazione legislativa quale quella connessa al regime vincolistico degli alloggi, si discosta indubbiamente da quello codificato nell'art. 15 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142; questo pone, infatti, a base del calcolo "il canone annuo di fitto, ordinariamente ritraibile", salvo i casi, pure previsti per legge, in cui un siffatto calcolo non sia possibile, vale a dire quando la locazione non esista o abbia carattere d'eccezione (così l'art. 27 del medesimo d.P.R. n. 1142 del 1949). Ma tutto ciò non è sufficiente per dedurre la illegittimità costituzionale del criterio seguito, per contrarietà al principio della capacità contributiva, tanto più che ciò che viene qui in discussione non è la disciplina di una specifica imposta, quanto un sistema come quello catastale, volto a definire valori, i quali hanno la limitata funzione di fornire una base di riferimento generale per l'applicazione delle singole imposte, secondo la disciplina apprestata per ciascuna di esse dal legislatore, sicché sarà piuttosto nell'ambito della regolamentazione delle singole imposte che si potrà verificare il rispetto del predetto canone costituzionale. È pur vero che i criteri di determinazione delle tariffe di estimo e delle rendite catastali, ove non ispirati a principi di ragionevolezza, potrebbero, benché le tariffe e le rendite non siano di per sé atti di imposizione tributaria, porre le premesse per l'incostituzionalità delle singole imposte che su di essi si fondino. Peraltro, nel momento in cui, per determinare tariffe di estimo e rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito ritraibile e si privilegia il valore di mercato del bene, si opera una scelta procedimentale alla quale non è logicamente estraneo il rischio di determinazione di rendite catastali tali da superare per la loro misura il reddito effettivo, sicché imposte ordinarie, che a tali rendite si rifacessero, porterebbero ad una sostanziale progressiva erosione del bene. Ma, a parte il fatto che, al di là di generiche doglianze di non razionalità, le ordinanze non prospettano profili idonei a concretamente evidenziare una incongruità dei criteri di determinazione dei valori adottati nella norma denunciata rispetto al fine che con essi si è inteso perseguire, è importante rilevare la transitorietà della disciplina denunciata, peraltro ripetutamente sottolineata anche dalle ordinanze di rimessione e superata, a partire dal 1995, dai nuovi criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore locativo, nei quali si è evidentemente tenuto conto della più recente evoluzione legislativa che tende, come è noto, a superare il regime vincolistico delle locazioni. 7.2. - Del pari infondata è la doglianza relativa alla pretesa reintroduzione della regola del solve et repete, in violazione degli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione. In realtà le ordinanze muovono da una erronea premessa interpretativa dell'ultima parte dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, assumendo che detta norma preveda che, ove gli estimi catastali, determinati con decreto ministeriale, secondo i criteri previsti a decorrere dal 1995, risultino inferiori a quelli già vigenti per gli anni precedenti, il contribuente possa tenerne conto ai fini della imposta personale che dovrà essere pagata a partire dal 1992. Come già rilevato, nell'illustrare, nelle sue linee generali, il quadro normativo discendente dall'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 e dalla relativa legge di conversione n. 75 del 1993, il raffronto va fatto non fra le tariffe di estimo di cui al decreto del Ministro delle finanze 27 settembre 1991 e quelle che entreranno in vigore dal 1995, bensì fra quelle di cui al predetto decreto e quelle risultanti all'esito dei ricorsi alle commissioni censuarie, proposti dai comuni ai sensi dei commi 1-bis, 1- ter e 1-quater dello stesso art. 2. In ogni caso, a parte l'erroneità della premessa interpretativa, la censura è infondata, non essendo la situazione ipotizzata dalla disposizione impugnata in alcun modo assimilabile a quelle che si ispirano al principio del solve et repete, dichiarato a suo tempo incostituzionale (sentenza n. 21 del 1961), riguardante, come è noto, l'imposizione dell'onere di pagamento di un tributo quale presupposto indefettibile dell'esperibilità dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente, mediante l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del tributo stesso.

7.3. - Neppure fondata è la doglianza concernente la violazione degli artt. 24, 101, 102, 103 e 104 della Costituzione, per il lamentato straripamento del potere legislativo nel campo riservato al potere giudiziario. Il tema delle leggi, per lo più interpretative o innovative con effetto retroattivo, che interagiscono con controversie in corso, ha formato, come è noto, oggetto di ricorrente esame da parte della giurisprudenza costituzionale, la quale ritiene che tali leggi non urtino, in linea di principio, contro la Costituzione, né vulnerino le attribuzioni degli organi giurisdizionali, a meno che non siano preordinate a vanificare i giudicati, dovendosi tener conto che l'opera del legislatore si svolge su un piano diverso da quello dell'opera interpretativa ed applicativa affidata al giudice (sentenza n. 455 del 1992). D'altro canto, non può negarsi al legislatore nemmeno la facoltà di disciplinare settori per i quali vi sia una insufficiente copertura legislativa, come talora la Corte ha avuto occasione di precisare (sentenza n. 356 del 1993). Nel caso di specie, per negare fondamento alla proposta censura, appare decisiva la considerazione che a ben vedere il legislatore, più che a vanificare pronunzie giudiziali, ha provveduto a dare fondamento legislativo a criteri che il giudice amministrativo aveva considerato illegittimi proprio perché enunciati in un decreto ministeriale, in contrasto con le norme sul catasto, sovraordinate in quanto contenute in un regolamento governativo.

7.4. - Inammissibile è poi la questione che l'ordinanza della già menzionata Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994) solleva in ordine al medesimo art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, deducendo che sarebbero mancati i presupposti della necessità e dell'urgenza, per l'emanazione dello stesso. Come più volte affermato da questa Corte, intervenuta la conversione, perdono rilievo e non possono trovare ingresso nel giudizio di costituzionalità le censure di illegittimità dedotte con riguardo ai limiti dei poteri del Governo nell'adozione dei decreti-legge. Quanto, poi, al rilievo che la ripetuta reiterazione del decreto-legge avrebbe coartato, in violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione la libera espressione della volontà delle Camere, secondo quanto sostenuto dalla Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, trattasi di notazione espressiva di null'altro che di un mero punto di vista, come tale inidonea ad attivare lo scrutinio di costituzionalità e che quindi non può che mettere capo ad una pronuncia di inammissibilità. Come ad una pronuncia di inammissibilità non possono che mettere capo i profili sollevati nella stessa ordinanza, richiamando, nel solo dispositivo, gli artt. 70, 101, 102 e 104 della Costituzione, senza addurre alcun cenno di motivazione.

8. - Quanto alle questioni prospettate dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, vanno anzitutto esaminate quelle che investono l'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75 e, in via derivata l'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per violazione degli artt. 3, 24, 55 e segg., 70 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg. e 113 della Costituzione. Poiché, l'art. 2 della legge n. 75 del 1993, nella parte in cui forma oggetto di censura, dispone che "fino al 31 dicembre 1993, resta fermo per i comuni e i contribuenti l'effetto di cui al primo comma, terzo periodo," del decreto-legge n. 16 del 1993, ne consegue che, sia pure nella diversità delle disposizioni investite, la sostanza delle questioni portate all'esame della Corte corrisponde a quella di cui alle ordinanze delle già ricordate Commissioni tributarie, segnatamente nella parte in cui si lamenta la lesione del diritto di difesa dei cittadini e delle prerogative del potere giurisdizionale. A ciò si aggiunge l'ulteriore profilo attinente alla denunciata lesione delle prerogative di autotutela della pubblica amministrazione. La Corte sarebbe portata a dubitare della corretta proposizione di una questione di costituzionalità, quando il giudice remittente, come nella specie, invochi a sostegno di essa parametri puntualmente indicati, ma faccia, al tempo stesso, generico richiamo a quelli che ad essi seguono, per di più senza adeguatamente ed analiticamente motivare in ordine a ciascuno dei parametri che si assumono violati. Ad ogni modo, valgono le considerazioni già svolte, nel senso che, nella specie, il legislatore ha provveduto a dare fondamento legislativo a criteri che il giudice amministrativo aveva considerato illegittimi, proprio perché enunciati in un decreto ministeriale che contrastava con la disciplina del catasto contenuta nel d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142. Tutto ciò, se da una parte vale ad escludere, come già precisato, una illegittima interferenza nell'esercizio della funzione del giudice, non consente nemmeno di scorgere una lesione dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione, in quanto nel caso di specie il legislatore è intervenuto a sanare situazioni derivanti proprio dall'accertata inidoneità dello strumento amministrativo a realizzare una determinata disciplina. Fermo quanto detto, non è comunque configurabile un profilo di illegittimità derivata nell'art. 5 del decreto legislativo n. 504 del 1992, rispetto all'art. 2 della legge n. 75 del 1993, posto che la prima norma, anche per essere cronologicamente anteriore, non fa, né in alcun modo potrebbe fare, rinvio ai criteri enunciati nella seconda, ma si limita, nel definire la base imponibile per l'imposta comunale sugli immobili, a richiamare le rendite risultanti in catasto, da rivalutare "periodicamente in base a parametri che tengono conto dell'effettivo andamento del mercato immobiliare", ma senza qualificare la relativa fonte.

9. - Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria dubita, poi, della legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 421 del 1992 e del Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per violazione degli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione.

La lesione di tali parametri viene prospettata sotto molteplici profili, attinenti all'incidenza dell'imposta sul patrimonio immobiliare lordo anziché sul reddito, alla discriminazione fra contribuenti, a seconda che siano o meno proprietari di immobili, alla mancata considerazione degli oneri e passività nonché della pressione tributaria specifica che già grava sugli immobili stessi. A proposito del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, occorre osservare che la denuncia proposta, la quale investe il Capo I (artt. 1-18) nella sua totalità, si risolve sostanzialmente nella censura dell'intero complesso normativo riguardante l'istituzione e la disciplina, nei suoi aspetti sostanziali e procedimentali, dell'imposta comunale sugli immobili. Nei termini in cui viene proposta, la questione è da dichiarare inammissibile, in quanto le disposizioni del testo impugnato hanno oggetti eterogenei, fra i quali non è dato ravvisare quella reciproca, intima connessione che consente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, di introdurre validamente un giudizio di legittimità costituzionale quando questo ha ad oggetto un intero testo legislativo. Né possono valere a superare un siffatto rilievo le puntuali censure prospettate dalla difesa delle parti private, in quanto, secondo costante giurisprudenza, la Corte deve esaminare le questioni nei limiti in cui esse sono state precisate nelle ordinanze di rinvio (da ultimo, ordinanza n. 469 del 1992). Per la stessa ragione è da considerare inammissibile la questione di costituzionalità in quanto riferita all'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 - disposizione dalla quale trae fondamento la delega a suo tempo conferita al Governo per la istituzione dell'ICI - e che si compone di molteplici proposizioni normative, in riferimento a ben diciannove principi e criteri direttivi. Quanto, infine, ai rilievi che le due ordinanze svolgono in ordine all' art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, per violazione degli artt. 70, 77, 101, 102, 104 e segg. della Costituzione - senza sollevare, almeno a quanto risulta dall'articolazione espositiva delle ordinanze medesime, specifica questione di costituzionalità - possono valere le argomentazioni svolte a proposito delle questioni sollevate con le ordinanze della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993) e della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), alle cui prospettazioni il giudice amministrativo remittente fa del resto rinvio.

10. - Inammissibile è, infine, la questione sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano nei confronti dell'art. 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 e dell'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405, in riferimento agli artt. 3, 102 e 103 della Costituzione. Anzitutto, il primo di essi non è stato convertito in legge, anche se i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge 10 novembre 1993, n. 457, di conversione del successivo decreto-legge n. 405 del 1993. In ogni caso, i due decreti-legge riguardano le procedure di ricorso previste dai commi 1- bis e 1- ter del decreto-legge n. 16 del 1993, per la contestazione degli estimi fra comuni e amministrazione finanziaria, destinate a concludersi con le pronunzie poi recepite con il decreto legislativo n. 568 del 28 dicembre 1993. Le norme denunziate dispongono, in particolare, che i ricorsi non decisi per mancata costituzione delle commissioni censuarie alla data di entrata in vigore del decreto stesso si intendono accolti, fissando, a decorrere da questa medesima data, un termine di trenta giorni per i ricorsi, da parte dell'amministrazione, alla commissione censuaria centrale. Poiché nel giudizio pendente innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Rossano si discute delle rendite catastali, quali derivanti dagli estimi di cui al decreto ministeriale 27 settembre 1991, assunti a contenuto dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, risulta estranea al thema decidendum ogni questione attinente alle procedure di ricorso di cui sopra, peraltro non ancora definite all'epoca dell'ordinanza di rimessione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi:

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, sollevata con le ordinanze della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione; della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in riferimento agli artt. 24, 3 e 53 della Costituzione; della Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione; della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 101, 102 e 104 della Costituzione; della Commissione tributaria di secondo grado di Perugia (R.O. n. 118 del 1994), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102, 103 e 104 della Costituzione;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, sollevata con la ordinanza della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in riferimento all'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e con la ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994), in riferimento all'art. 77 della Costituzione;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, sollevata con la ordinanza della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in riferimento agli artt. 70, 101, 102 e 104 della Costituzione;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie) e dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 55 e segg., 70 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg. e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con due ordinanze in data 10 novembre 1993 (R.O. n. 31 del 1994 e R.O. n. 33 del 1994);

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e del Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, con le menzionate ordinanze del predetto Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone censuarie) e 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone censuarie), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 102 e 103 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano, con la menzionata ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 giugno 1994.

Il Presidente: CASAVOLA

Il redattore: VARI

Il cancelliere: DI PAOLA

Depositata in cancelleria il 24 giugno 1994.

Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

 



[1]     Le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata costituiscono tuttavia redditi di lavoro autonomo, in base a quanto disposto dalla lettera d) del comma 2 dell’articolo 53 del TUIR.

[2]     Se il contratto di partecipazione all’utile si fonda esclusivamente su una prestazione di lavoro, la partecipazione all’utile costituisce un reddito di lavoro autonomo, ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 53 del TUIR

[3]     A norma dell’articolo 53, comma 2, lettera b), del TUIR, costituiscono invece redditi di lavoro autonomo i redditi derivanti dall'utilizzazione economica, da parte dell’autore o dell’inventore, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, quando non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali.

[4]     I servizi d’investimento, come definiti dall’articolo 1, comma 5, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, sono le attività di negoziazione in conto proprio, di negoziazione per conto terzi, di collocamento, di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, di ricezione e trasmissione degli ordini nonché di mediazione. A norma dell’articolo 18 del medesimo testo unico, l’esercizio professionale dei servizi d’investimento nei confronti del pubblico è riservato alle imprese d’investimento (SIM e imprese d’investimento comunitarie ed extracomunitarie autorizzate) e alle banche. Particolari servizi possono essere prestati anche da altri soggetti.

[5]     Le società di gestione armonizzate possono esercitare lo stesso servizio, limitatamente alla gestione del patrimonio di fondi comuni di investimento e Sicav di propria o altrui istituzione.

[6]     Si ricorda, inoltre, che l'articolo 111 del TUIR ammette alla partecipazione del reddito dell'impresa assicuratrice anche la variazione delle riserve tecniche obbligatorie (le quali costituiscono passività, rappresentando l’esposizione dell’impresa verso gli assicurati). Per quanto riguarda gli strumenti finanziari nei quali sono investite le riserve tecniche, è previsto che gli utili da partecipazione ad esse relativi, i maggiori e minori valori iscritti relativi alle azioni, alle quote di partecipazione e agli altri strumenti finanziari nonché le plusvalenze esenti e le relative minusvalenze concorrano a formare il reddito qualora siano relativi ad investimenti a beneficio di assicurati dei rami vita i quali ne sopportano il rischio. Il D.L. 24 settembre 2002, n. 209, ha altresì introdotto un'imposta sulle riserve matematiche dei rami vita risultanti dal bilancio dell'esercizio, con esclusione di quelle aventi ad oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente da qualsiasi causa derivante ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana nonché di quelle relative ai fondi pensione o alle forme pensionistiche individuali. Tale imposta, stabilita nella misura dello 0,52 per cento, per il solo anno 2002, indi nella misura ordinaria dello 0,20 per cento (aumentata allo 0,30 per cento dal D.L. 12 luglio 2004, n. 168, con effetto dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2004), è recuperabile come credito d’imposta, da utilizzarsi, a decorrere dal periodo d'imposta 2005, in sede di versamento delle ritenute e delle imposte sostitutive previste dall'articolo 26-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.

[7]    Ovviamente, nel caso di acquisto o cessione delle quote di partecipazione al fondo al di fuori delle strutture di servizio del fondo medesimo, verso un corrispettivo diverso dal valore che le quote avevano nel giorno dell’operazione, l'eventuale differenza positiva costituirà plusvalenza tassabile agli effetti dell’imposta sui redditi.

[8]     Al riguardo, si ricorda che il rappresentante del Governo, intervenuto nella seduta della Commissione Finanze del 5 dicembre 2006, ha chiesto la rapida approvazione del provvedimento proprio in considerazione degli “impegni assunti nei confronti dell'Unione europea in merito agli andamenti di finanza pubblica”.

[9]     La relazione tecnica, nel calcolare l’effetto di gettito per l’anno 2007 derivante dall’articolo 1 considera che il provvedimento entri in vigore il 1° luglio 2007.

[10]    La società Riscossione SpA, con sede legale in Roma, via M. Carucci 85, è stata costituita il 27 ottobre 2005 e iscritta nel registro delle imprese il successivo 31 ottobre. Con l’atto costitutivo è stato adottato lo statuto che ne specifica l’organizzazione.

[11]    L’articolo 3, comma 28, del D.L. n. 203 del 2005, stabilisce che sono denominati agenti della riscossione la società Riscossione Spa e le società da questa partecipate ai sensi del comma 7 del medesimo articolo.

[12]    Le cartelle di pagamento contengono, fra l’altro, l’indicazione dell’ufficio emittente, la descrizione degli addebiti con le relative motivazioni, le istruzioni sulle modalità di pagamento, nonché l’indicazione delle modalità per ricorrere.

[13]    Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, si rende necessario notificare al contribuente un ulteriore avviso con intimazione ad adempiere entro cinque giorni; tale avviso perde efficacia trascorsi centottanta giorni dalla sua notifica (articolo 50 del D.P.R. n. 602 del 1973).

[14]    Ai sensi dell’articolo 49 del D.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’articolo 1, comma 415, della legge n. 311 del 2004, gli agenti della riscossione possono promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.

      A titolo meramente esemplificativo si segnalano le seguenti possibili azioni cautelari e conservative:

-        il sequestro conservativo (articolo 671 c.p.c. e articolo 2905 c.c.), consentito al creditore che abbia timore di perdere le garanzia del proprio credito;

-        l'azione surrogatoria (articolo 2900 c.c.), mediante la quale il creditore ha la possibilità di soddisfare le proprie ragioni sostituendosi al debitore nell’esercizio delle azioni di contenuto patrimoniale che a questo competano verso terzi;

-        l'azione revocatoria (articolo 2901 c.c.), che consente al creditore di far dichiarare l'inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, al di fuori di una procedura di tipo fallimentare;

-        l’impugnazione della rinunzia all’eredità (articolo 524 c.c.), mediante la quale i creditori possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari, fino alla concorrenza dei loro crediti.

[15]    Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 2 marzo 2004, n. 51.

[16]    Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 febbraio 2001, n. 30.

[17]    Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 ottobre 1999, n. 255.

[18]   L’ufficio, qualora ritenga che sussistano le cause di perdita del diritto al discarico di cui al citato articolo 19, comma 2, notifica apposito atto all’agente della riscossione, il quale, nei successivi trenta giorni, può produrre le proprie osservazioni in merito. Decorso tale termine il discarico è ammesso o rifiutato con provvedimento a carattere definitivo.

      In caso di diniego del discarico, l’agente deve versare all’ente creditore una somma pari ad un quarto dell'importo iscritto a ruolo ed alla totalità delle spese, se rimborsate dall'ente creditore, maggiorata degli interessi legali decorrenti dal termine ultimo previsto per la notifica della cartella. Entro novanta giorni dalla notificazione del provvedimento, l’agente può definire la controversia con il pagamento di metà dell'importo come sopra dovuto o, in alternativa, ricorrere alla Corte dei conti.

[19]    Si tratta del controllo relativo alle seguenti cause di perdita del diritto a discarico:

-        mancata notificazione della cartella di pagamento entro i termini espressamente previsti, per causa imputabile all’agente della riscossione;

-        mancato svolgimento dell'azione esecutiva su tutti i beni del contribuente, la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema informativo del Ministero dell’economia e delle finanze, a meno che i beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui esistenza è stata successivamente comunicata dall'ufficio;

-        mancato svolgimento delle attività conseguenti alle segnalazioni di azioni esecutive e cautelari effettuate dall'ufficio;

-        mancata riscossione delle somme iscritte a ruolo per vizi e irregolarità compiute nell'attività di notifica della cartella di pagamento e nell'ambito della procedura esecutiva, salvo che l’agente della riscossione non dimostri che tali vizi e irregolarità non hanno influito sull'esito della procedura.

[20]    Circolare n. 97/E del 20 novembre 2001.

[21]    L’agente della riscossione che, senza giustificato motivo, non esegue, in tutto o in parte, entro il termine di sessanta giorni, la restituzione delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria pari a tali somme ed è tenuto a corrispondere al soggetto che ha diritto gli interessi legali dal giorno successivo a quello in cui la restituzione avrebbe dovuto essere effettuata (articolo 48 del D.Lgs. n. 112 del 1999).

[22]    Si veda la sentenza della Corte di cassazione, Sezione tributaria, n. 6450 del 15 gennaio 2002 (depositata il 6 maggio 2002), la cui massima recita: “In tema di contenzioso tributario, ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in caso di impugnazione di cartella esattoriale, la legittimazione passiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l'impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo”.

[23]    Si ricorda che l’articolo 10 del citato D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che i concessionari (oggi agenti) della riscossione possono essere parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie.

[24]    Si veda al riguardo il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 26 settembre 2001, pubblicato sulla G.U. 9 ottobre 2001, n. 235.

[25]    È peraltro consolidato nella giurisprudenza l’avviso secondo cui non è preclusa la retroattività della disposizioni più favorevoli per il contribuente.

[26]    A norma dell’articolo 8 del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con D.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142, sono fabbricati a destinazione speciale le unità immobiliari costituite da opifici e in genere dai fabbricati previsti nell'articolo 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni. Le categorie in cui vengono compresi non sono suddivise in classi. Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all'esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e simili.

[27]   Si veda, a questo proposito, la sentenza della Corte costituzionale 20-24 giugno 1994, n. 263, relativamente alle controversie originate dall’adozione del criterio patrimoniale mediante atto amministrativo e alla successiva sanatoria operata dal decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75.

[28]    “Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”.

[29]    “Regolamento di organizzazione del Ministero delle finanze”.

[30]    Abrogate dall’articolo 2 del D.L. n.- 16 del 1993.

[31]    Recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”.

[32]    Si ricorda che le dichiarazioni di variazione possono riguardare la persona del proprietario o del possessore dei beni nonché la persona che gode di diritti reali sui beni stessi, ovvero lo stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l'attribuzione della categoria e della classe catastale.

[33]    Il settore era già stato, in precedenza, interessato da vari provvedimenti aventi come obiettivo il riordino della materia. Tra questi si ricorda il D.L. n. 16 del 1993, convertito dalla legge n. 75 del 1993, il quale ha profondamente inciso sulle disposizioni della legge n. 1249 del 1939 e del relativo regolamento di attuazione (D.P.R. n. 1142 del 1949) e ha ordinato la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei criteri di classamento, da effettuarsi con decreto del Ministro delle finanze. Tale revisione doveva avvenire sulla base di criteri che, al fine di determinare la redditività media degli immobili, facessero riferimento ai valori di mercato degli stessi.

[34]    L’articolo 61 del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, definisce il classamento come l’operazione consistente “nel riscontrare sopraluogo per ogni singola unità immobiliare la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l'unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria (...) che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe”, disponendo che le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria e alle caratteristiche che hanno all'atto del classamento.

[35]    Per la disciplina delle commissioni censuarie si vedano gli articoli da 16 a 40 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, recante perfezionamento e revisione del sistema catastale.

[36]    L'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è stato abrogato dall'art. 136 del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 378, con la decorrenza indicata nell'art. 138 dello stesso decreto e dall'art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con la decorrenza indicata nell'art. 138 dello stesso decreto (1° gennaio 2002). Le disposizioni di cui al presente articolo sono ora contenute negli artt. 8,12 e 15 del testo unico emanato con il suddetto D.P.R. n. 380 del 2001, riguardanti il permesso di costruire.

[37]    Il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, all’articolo 37, comma 2, stabilisce che le tariffe d'estimo e i redditi dei fabbricati a destinazione speciale o particolare sono sottoposti a revisione quando se ne manifesti l'esigenza per sopravvenute variazioni di carattere permanente nella capacità di reddito delle unità immobiliari e comunque ogni dieci anni. La revisione è disposta con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previo parere della Commissione censuaria centrale e può essere effettuata per singole zone censuarie. Prima di procedervi gli uffici tecnici erariali devono sentire i comuni interessati. Il comma 3 prevede che le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall'anno di pubblicazione del nuovo prospetto delle tariffe nella Gazzetta Ufficiale, ovvero, nel caso di stima diretta (per i fabbricati a destinazione speciale), dall'anno in cui è stato notificato il nuovo reddito al possessore iscritto in catasto. Se la pubblicazione o notificazione avviene oltre il mese precedente quello stabilito per il versamento dell'acconto di imposta, le modificazioni hanno effetto dall'anno successivo.

[38]    Si ricorda che i commi 10 e 14 dell’articolo 37 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, modificano, a decorrere dal 1° maggio 2007, i termini per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi prevedendo in particolare che per i soggetti passivi IRPEF la dichiarazione debba essere presentata tra il 1° maggio e il 30 giugno, ovvero, in via telematica, entro il 31 luglio e che per i soggetti passivi IRES la dichiarazione venga presentata obbligatoriamente in via telematica entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.