Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo in materia di filiazione - A.C. 2514
Riferimenti:
AC n. 2514/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 172
Data: 16/05/2007
Descrittori:
DIRITTO DI FAMIGLIA E SUCCESSORIO   FIGLI
FIGLI NATURALI   LEGGE DELEGA
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Delega al Governo in materia di filiazione

A.C. 2514

 

 

 

 

 

n. 172

 

 

16 maggio 2007

 


La documentazione predisposta in occasione dell’esame del progetto di legge relativo alla delega al Governo in materia di filiazione (A.C. 2514) è suddivisa nei seguenti volumi:

 

§         dossier n. 172:contiene le schede di sintesi, schede di lettura, progetti di legge, normativa di riferimento, giurisprudenza ed ulteriore documentazione;

§         dossier n. 172/1: contiene una raccolta di dottrina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

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File: GI0153.doc

 

 


INDICE

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Necessità dell’intervento con legge  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  6

§      Compatibilità comunitaria  6

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  7

§      Impatto sui destinatari delle norme  8

§      Formulazione del testo  8

Schede di lettura

Quadro normativo: la filiazione naturale  11

Contenuto del disegno di legge  22

§      Art. 1 (Diritti e doveri dei figli)22

§      Art. 2 (Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione)25

§      Art. 3 (Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile)37

Progetto di legge

§      A.C. 2514, (Governo), Delega al Governo per la revisione della normativa in materia di filiazione  41

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica Italiana. (artt. 2, 3, 29, 30, 31, 117)63

§      Codice civile (artt. 148, 231-290, 315-342, 565, 687)67

§      L. 4 agosto 1955, n. 848.  Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (artt. 8, 12,16)105

§      L. 4 maggio 1983, n. 184. Diritto del minore ad una famiglia.107

§      L. 23 agosto 1988 n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 17)158

§      L. 27 maggio 1991, n. 176. Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (art. 12)160

§      L. 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (artt. 16, 17, 33, 34, 35, 39)163

§      D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127 (artt. 28-49)165

§      L. 28 marzo 2001, n. 149. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile  177

§      L. 20 marzo 2003, n. 77. Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996  197

§      L. 8 febbraio 2006, n. 54. Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli209

Normativa comunitaria

§      Reg. (CE) 27 novembre 2003, n. 2201/2003. Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000  215

Giurisprudenza

Corte costituzionale

§      Sentenza 2-14 aprile 1969, n. 79  271

§      Sentenza 15 giugno-4 luglio 1979, n. 55  278

§      Sentenza 4-12 aprile 1990, n. 184  283

§      Sentenza 26 ottobre-7 novembre 1994, n. 377  287

§      Sentenza 22 giugno-3 luglio 2000, n. 250  292

§      Sentenza 20-28 novembre 2002, n. 494  297

§      Sentenza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 266  304

Documentazione

Unione europea

§      Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (parte II artt. 67, 83-86, 93)315

§      Convenzione europea sullo status giuridico dei minori nati al di fuori del matrimonio. Strasburgo, 15 ottobre 1975 (in inglese)325

 

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

2514

Titolo

Delega al Governo per la revisione della normativa in materia di filiazione

Iniziativa

Governo

Settore d’intervento

Famiglia; diritto civile

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3

Date

 

§       presentazione alla Camera

12 aprile 2007

§       annuncio

16 aprile 2007

§       assegnazione

24 aprile 2007

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali)

 


Struttura e oggetto

Contenuto

Il disegno di legge in esame, di iniziativa governativa e composto da tre articoli, contiene disposizioni in materia di filiazione.

 

Nello specifico l'articolo 1 interviene sull'attuale formulazione dell'articolo 315 del codice civile, attualmente rubricato Doveri del figlio verso i genitori, al fine di sostituirlo con una nuova e più ampia disposizione comprensiva sia dei doveri del figlio verso i genitori e verso la famiglia, ma anche e soprattutto dei suoi diritti nell'ambito della relazione con i genitori e con i parenti in generale.

 

L'articolo 1 prevede, inoltre, l'inserimento nel codice civile del nuovo articolo 315-bis, rubricato Stato giuridico della filiazione, volto ad affermare il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio.

 

L'articolo 2 del disegno di legge in esame contiene, poi, la delega al Governo per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile, nonché delle disposizioni ad esse connesse e ciò al fine di eliminare, come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, ogni residua ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo.

 

A tal fine il comma 1 dell'articolo 2 individua undici principi e criteri diretti che dovranno essere rispettati dal Governo in sede di attuazione della delega in esame.

 

Da ultimo, ai sensi dell'articolo 3, il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata del decreto o dei decreti legislativi di cui al precedente articolo 2, provvede ad  apportate le necessarie modifiche alla disciplina vigente in materia di ordinamento dello stato civile, attualmente contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni. 

Relazioni allegate

Al disegno di legge sono allegati la relazione illustrativa del Governo, l’analisi di impatto regolamentare e l’analisi tecnico normativa.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Il disegno di legge interviene sulla disciplina del codice civile in tema di filiazione, in particolare prevedendo la sostituzione dell'articolo 315 e l'introduzione dell'articolo 315-bis e dettando i criteri di delega per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile, nonché delle disposizioni ad esse connesse.

L'intervento con legge risulta, pertanto, necessario.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

In considerazione della finalità del disegno di legge in esame, volto alla revisione dell'attuale normativa in materia di filiazione la base giuridica del provvedimento è individuabile nell’articolo 117, comma 2, lettera l) (giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa) della Costituzione.

Compatibilità comunitaria

Documenti all’esame delle istituzioni europee
(a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione Europea)

Il 17 luglio 2006 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale ed introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale (COM(2006)399)[1].

Partendo dalla considerazione che le differenze esistenti nelle diverse leggi nazionali possono comportare una serie di problemi nei procedimenti matrimoniali di natura internazionale, la Commissione propone di istituire un quadro normativo chiaro e completo in materia in seno all’Unione europea al fine di garantire ai cittadini la certezza del diritto, la prevedibilità, la flessibilità e l’accesso alla giustizia.

Al fine di perseguire il suddetto obiettivo la proposta prospetta una serie di modifiche al citato regolamento (CE) n. 2201/2003 che riguardano tra l’altro:

·         l’introduzione di norme di conflitto armonizzate in materia di divorzio e separazione basate sulla scelta dei coniugi limitatamente alle leggi con cui il matrimonio presenta uno stretto legame;

·         il riconoscimento ai coniugi della scelta in merito alla legge applicabile e all’autorità giurisdizionale competente per i procedimenti di divorzio e separazione;

·         un migliore accesso alla giustizia nei procedimenti matrimoniali per i coniugi di nazionalità diversa che vivono in uno Stato terzo.

La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata oggetto di un dibattito in occasione del Consiglio Giustizia e affari interni del 19 aprile 2007; il seguito dell’esame è previsto per il 12 giugno 2007. Il Parlamento europeo dovrebbe dare il proprio parere in occasione della plenaria del 28 novembre 2007.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

Ai sensi dell'articolo 2, il Governo entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile e delle disposizioni ad esse connesse.

Ai sensi del successivo articolo 3 il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata del decreto o dei decreti legislativi di cui al precedente articolo 2, provvede ad apportate le necessarie modifiche alla disciplina vigente in materia di ordinamento dello stato civile, attualmente contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni. 

Coordinamento con la normativa vigente

La tecnica della novella legislativa è direttamente utilizzata, all'articolo 1, per la sostituzione della rubrica del titolo IX del libro primo e del testo dell'articolo 315 del codice civile, nonché per l'introduzione del nuovo articolo 315-bis del medesimo codice.

 

A tale tecnica si farà poi ampio ricorso nei decreti legislativi attuativi dell'articolo 2.

Impatto sui destinatari delle norme

Come evidenziato nella analisi di impatto della regolazione allegata al disegno di legge in esame, scopo del provvedimento è quello di "eliminare ogni residua discriminazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, a partire dalla distinzione terminologica (che sostituisce quelle di «figli legittimi» e di «figli naturali»), compatibilmente con il dettato costituzionale".

Formulazione del testo

In relazione all'articolo 2, comma 1, lettera d), al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l'opportunità di definire meglio il criterio direttivo indicato da tale disposizione, con particolare riferimento alla necessità di prevedere l' "estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio" (cfr. successiva scheda di lettura relativa all'articolo 2).

 

In relazione poi al criterio direttivo previsto dalla successiva lettera e), n. 3, si osserva che l’articolo 251 del  codice civile già prevede l’autorizzazione giudiziale ai fini del riconoscimento del figlio incestuoso, nei casi in cui tale riconoscimento è consentito. Il medesimo articolo prevede, altresì che tale autorizzazione deve tener presente l’interesse del figlio ed evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio, così come previsto anche dal criterio direttivo in esame.

Pertanto, considerato che il profili innovativo del principio di delega non può essere individuato nella necessità della previa autorizzazione giudiziale dei figli incestuosi, andrebbe verificato se l’intervento del legislatore delegante debba riguardare, più in generale, i presupposti del riconoscimento dei figli incestuosi che la normativa vigente consente solamente nel caso di genitori in buona fede ovvero nel caso di annullamento dei matrimonio da cui derivi il vincolo di affinità tra i genitori (cfr. successiva scheda di lettura relativa all'articolo 2).

 

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo: la filiazione naturale

L’art. 30 della Costituzione e i primi interventi della Corte costituzionale

La Costituzione, all’articolo 30, comma 1 sancisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, «anche se nati fuori del matrimonio». Il comma 3 del medesimo articolo dispone che attraverso la legge debba essere assicurata «ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima».

 

In relazione alla citata disposizione si segnala che nel corso del dibattito in seno all’Assemblea costituente furono espresse posizioni del tutto contrastanti e lo scontro avvenne fra correnti culturali, piuttosto che fra parti politiche: fra i cattolici, da una parte, strenui difensori della famiglia fondata sul matrimonio, che vedevano minacciata da una equiparazione dei figli legittimi ai figli nati fuori del matrimonio, ed i laici, dall’altra, favorevoli alla proclamazione della pari dignità sociale di tutti i figli e dell’eguaglianza dei loro diritti nei confronti dei genitori.

Il 3° comma dell’articolo 30 della Costituzione nacque dall’approvazione di uno specifico emendamento presentato dal deputato Zotta nella fase finale della discussione in Assemblea. Nell’illustrarlo, il deputato precisò che l’introduzione in Costituzione del criterio della compatibilità aveva lo scopo di mantenere ferma la distinzione fra le diverse categorie di figli nati fuori dal matrimonio già delineata dal codice civile, modificandone tuttavia la disciplina in modo che fosse assicurata, «in omaggio ai criteri della solidarietà e della eguaglianza degli esseri umani», una maggiore protezione sia dei figli naturali che degli stessi figli adulterini nei confronti di quello fra i genitori che non fosse legato da matrimonio, fino alla loro eventuale completa parificazione ai legittimi[2];

 

La Costituzione repubblicana opera dunque una piena equiparazione tra figli legittimi e figli naturali (sono definiti figli naturali i figli di genitori non sposati fra loro) per quanto riguarda l’assistenza da parte dei genitori (assicurata dal primo comma dell’art. 30) - e cioè relativamente al diritto dei figli, anche se nati fuori del matrimonio, ad essere mantenuti, istruiti ed educati, ma non nella posizione familiare.

A questo proposito occorre, peraltro, osservare che il dettato costituzionale si inseriva nel 1948, in un ordinamento giuridico civilistico che distingueva nettamente i figli illegittimi in tre categorie, prevedendo per ognuna di queste un trattamento giuridico differente, progressivamente deteriore, e in ogni caso più sfavorevole di quello riservato alla categoria dei figli legittimi.

 

Il codice civile del 1942, nella sua originaria formulazione, prevedeva, infatti, i figli naturali (e cioè i figli di genitori non coniugati fra loro né con altri), i figli adulterini (e cioè i figli di padri o madri coniugati con altre persone) ed i figli incestuosi. Lo stesso codice stabiliva pesanti limitazioni al riconoscimento volontario da parte del padre o della madre dei figli adulterini e di quelli incestuosi e vietava la dichiarazione giudiziale di paternità (limitata fortemente anche in relazione alla paternità naturale)[3].

In questa fase la Corte costituzionale ha affermato che la Costituzione, rispondendo «all’esigenza di un orientamento legislativo, a favore della filiazione illegittima, inteso ad eliminare posizioni giuridicamente e socialmente deteriori, compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima» (sent. n. 7 del 1963), assimila – e cioè tendenzialmente equipara – «i figli naturali ai figli legittimi, ma soltanto laddove manchi in concreto una famiglia legittima da tutelare»[4].

 

Ad esempio, con la sentenza n. 79 del 1969, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 467 c.c. nella parte in cui escludeva dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, figlio o fratello del de cuis, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi, la Corte ha affermato che in mancanza di famiglia legittima ai figli naturali deve essere riservato lo stesso trattamento dei figli legittimi. Per disciplinare queste ipotesi non è necessario ricorrere ad alcuna normativa speciale: ciò in quanto la garanzia che il legislatore ordinario è vincolato ad apprestare occorrerà solo per conciliare la protezione del figlio naturale con gli interessi dei membri della famiglia legittima. La stessa Corte ha dunque affermato che i membri della famiglia legittima sono esclusivamente i coniugi ed i figli legittimi, non anche i collaterali e gli ascendenti: con la conseguenza che, in mancanza di famiglia legittima e cioè quando il genitore naturale non sia sposato, è illegittima ogni discriminazione che colpisca il figlio naturale.

 

Negli stessi anni la Corte costituzionale ha:

§      dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 593, co. 1, c.c., che limitava la quota di successione testamentaria a danno dei figli naturali non riconoscibili (sent. n. 250 del 1970);

§      ha annullato la disparità fra riserve a favore dei figli legittimi e quella a favore dei figli naturali (quando manchino i legittimi) (sent. n. 50 del 1973);

§      ha annullato la norma che imponeva il “concorso” tra figli naturali e ascendenti, sconosciuto alla successione dei figli legittimi (sent. n. 82 del 1974);

§      ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 284 c.c. nella parte in cui escludeva che la legittimazione per decreto potesse essere concessa quando il genitore avesse già figli legittimi o legittimati o loro discendenti (sent. n. 237 del 1974).

 

La riforma del diritto di famiglia del 1975

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 (L. 19 maggio 1975, n. 151) si è data attuazione all’art. 30, co. 3 della Costituzione: il criterio ispiratore del legislatore è stato quello di assimilare quanto più possibile la posizione giuridica dei figli naturali a quella dei figli legittimi.

Il riconoscimento del figlio naturale

Il riconoscimento del figlio naturale è l’atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato al di fuori del matrimonio. Notevoli sono le innovazioni apportate dalla L. 151/1975 al diritto di riconoscere i figli naturali; si è previsto, infatti:

§      che esso può essere effettuato dal padre e dalla madre, anche se questi, all’epoca del concepimento, erano uniti in matrimonio con altra persona;

§      che l’età minima per effettuarlo è il sedicesimo anno di età;

§      che il figlio che abbia compiuto il sedicesimo anno deve dare l’assenso; per i figli di età inferiore è richiesto il consenso dell’altro genitore, che non può, però, essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio.

 

Analiticamente, ai sensi dell’art. 250 del codice civile il figlio naturale può essere riconosciuto dal padre o dalla madre, o da entrambi, anche se all'epoca del concepimento questi erano sposati con un'altra persona.

Il riconoscimento può essere effettuato nell'atto di nascita oppure con un'apposita dichiarazione posteriore al concepimento o alla nascita, rilasciata innanzi a un ufficiale di stato civile, oppure contenuta in un atto pubblico o in un testamento, redatto in qualsiasi forma (art. 254 c.c.). Valgono come riconoscimento anche la domanda di legittimazione presentata al giudice (anche se la legittimazione non abbia poi luogo) e la dichiarazione di legittimazione contenuta in un atto pubblico o in un testamento.

Il riconoscimento può essere effettuato sia congiuntamente sia separatamente; nel caso in cui debba essere riconosciuto un figlio ultrasedicenne è necessario anche il suo consenso; se il figlio è minore di 16 anni occorre invece quello del genitore che lo ha già riconosciuto e che non può negarlo ove risponda all'interesse del figlio. La legge prevede uno speciale procedimento da seguire nel caso in cui sia fatta opposizione dal genitore che per primo abbia effettuato il riconoscimento[5].

 

E’ irriconoscibile il figlio incestuoso, cioè il figlio naturale nato da persone legato tra loro da vincolo di parentela, salvo che i genitori, al tempo del concepimento, ignorassero la parentela esistente tra loro, o da vincolo di affinità in linea retta salvo che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità (art. 251 c.c.). Quando uno solo dei genitori sia stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere effettuato solo da lui; in questo caso occorre l’autorizzazione del giudice.

 

L’art. 253 c.c. vieta il riconoscimento che contrasti con lo stato di figlio legittimo o legittimato; il codice ammette invece che possa essere riconosciuto anche il figlio premorto (art. 255 c.c.), in favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti, i quali potranno così acquistare il cognome del premorto e i diritti successori e alimentari nei confronti di chi abbia effettuato il riconoscimento.

 

Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore, da chi è stato riconosciuto, nonché da chiunque vi abbia interesse. L’azione è imprescritibile (art. 263 c.c.)[6].

 

Analiticamente, ai sensi dell’art. 263 c.c. lo stato di figlio naturale può essere contestato da chiunque vi abbia interesse, compreso l'autore del riconoscimento, impugnando la veridicità del riconoscimento (è competente il tribunale ordinario). Occorre, naturalmente, provare (qualsiasi mezzo di prova è ammesso) la non sussistenza del rapporto di filiazione (art. 264 c.c.). Il figlio che è stato riconosciuto non può impugnare il riconoscimento, se minore di età o interdetto. La legge prevede delle azioni dirette a contestare il titolo dello stato di figlio naturale al fine di ottenere l'annullamento del riconoscimento estorto con la violenza oppure effettuato da persona interdetta giudizialmente (artt. 265 e 266 c.c.)[7]. L'azione di annullamento è trasmissibile, nel caso in cui il suo titolare sia morto entro il termine utile per la sua proposizione senza averla esercitata, ai discendenti, agli ascendenti e agli eredi di lui (art. 267 c.c.).

 

Ai sensi dell’art. 256 c.c., il riconoscimento è irrevocabile e, quando è contenuto in un testamento, ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato.

L’azione per la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità naturale

L’art. 269 del codice civile ammette il figlio che non sia stato riconosciuto a promuovere un'azione volta a ottenere la dichiarazione giudiziale della maternità o della paternità. L’azione è sempre esperibile[8].

 

Per dimostrare la maternità occorre provare l'identità tra colui che si pretende essere figlio e colui che fu partorito dalla donna qualificata come sua madre. La prova della paternità può essere data con qualsiasi mezzo, tenendo presente però che la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra lei e il preteso padre, all'epoca del concepimento, non costituiscono prova della paternità naturale: questa dovrà, ad es., essere dimostrata con il possesso di stato di figlio naturale, oppure tramite analisi ematologiche e genetiche, che restano la prova principale in questo tipo di giudizio.

L'azione è imprescrittibile se è il figlio a proporla; se costui muore prima di averla esercitata, spetta ai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti esercitarla, nel termine di 2 anni dalla morte (art. 270 c.c.). Dagli stessi soggetti l'azione può essere proseguita nel caso in cui il figlio sia morto dopo averla promossa. In caso di minore di età o di persona interdetta, l'azione è esercitata, nel loro interesse, rispettivamente dal genitore che esercita la patria potestà o dal tutore, previa autorizzazione del giudice. La legge richiede il consenso del minore sedicenne per la promozione o prosecuzione dell'azione.

 

La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento; con essa il giudice può anche dare quei provvedimenti che ritiene utili per il mantenimento, l'istruzione o per la tutela degli interessi patrimoniali del figlio (come, ad es., quelli concernenti l'affidamento del figlio e l'esercizio della potestà su di lui) (art. 277 c.c.).

 

Lo “status” di figlio naturale riconosciuto

L’art. 258 del codice civile afferma che il riconoscimento del figlio naturale produce effetti solo per il genitore che lo effettua, «salvo i casi previsti dalla legge» e che l’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore; queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.

Dallo status di figlio naturale derivano i seguenti effetti, che si realizzano ex tunc, cioè dalla data della nascita del figlio:

 

§      il genitore che ha riconosciuto il figlio ha rispetto a questi gli stessi diritti e doveri che ha rispetto ai figli legittimi (art. 261 c.c.);

§      Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la potestà su di lui (per il caso di riconoscimento da parte di entrambi i genitori cfr. art. 317-bis);

§      il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se è stato riconosciuto da entrambi i genitori simultaneamente, assume il cognome paterno (art. 262 c.c.). Qualora il riconoscimento del padre sia intervenuto successivamente a quello della madre, è data la scelta al figlio naturale di assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Se il figlio è minore di età, la scelta è fatta dal giudice, a seguito dell'azione promossa dal genitore che esercita la potestà, oppure, se questi è la madre, dal padre interessato a fare assumere al figlio il suo cognome[9];

§      il figlio naturale è equiparato ai figli legittimi per i diritti di successione mortis causa[10]; questi ultimi, però, hanno la c.d. facoltà di commutazione, cioè possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione del figlio naturale, estromettendolo dalla comunione ereditaria (art. 537 c.c.). L’applicazione dell’istituto richiede il consenso del figlio naturale (in caso di opposizione interviene giudice, chiamato a valutare le circostanza personali e patrimoniali ed a decidere se la commutazione corrisponde a un interesse meritevole di tutela)[11].

Si segnala, altresì, che anche nel caso di filiazione naturale tra figlio naturale e genitori vi sono reciproci obblighi alimentari (art. 433 c.c.), mentre sussistono numerose perplessità in merito all'esistenza di un rapporto di parentela tra il figlio naturale ed i parenti del genitore che effettua il riconoscimento. Tuttavia non v’è dubbio che la legge le attribuisca rilevanza in alcuni rapporti, come accade in materia successoria con le norme sulla rappresentazione.

 

Per quanto riguarda, poi, l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori, la legge disciplina in modo particolare tale materia ponendo alcune cautele, in considerazione da un lato dell’esigenza di evitare le situazioni di tensione che tale inserimento può determinare, e dall’altro di quella di tutelare l’altro genitore che si potrebbe vedere privato del figlio. Pertanto, l’art. 252 dispone che il giudice può autorizzare l’inserimento se non è contrario agli interessi del figlio minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge e dei figli legittimi, conviventi, che abbiano compiuto il sedicesimo anno, nonché dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento.

 

La legittimazione dei figli naturali

Con la legittimazione i figli naturali acquisiscono una posizione giuridica analoga a quella dei figli legittimi (art. 280 c.c.). A differenza del riconoscimento, la legittimazione fa sorgere veri e propri rapporti di parentela con tutti i componenti della famiglia del genitore, e il figlio si trova inserito nella stessa senza bisogno di alcuna autorizzazione del giudice (come accade invece nel caso di inserimento del figlio naturale riconosciuto nella famiglia legittima)[12].

 

I figli naturali legittimati per susseguente matrimonio acquistano i diritti dei figli legittimi a decorrere dal giorno del matrimonio (art. 283 c.c.). È necessario il riconoscimento di entrambi i genitori nell'atto di matrimonio o anteriormente a esso (in questo caso la legittimazione è un effetto autentico del matrimonio); se successiva, gli effetti della legittimazione decorrono dal giorno in cui essa è stata effettuata.

La legittimazione è, altresì, accordata dal giudice con provvedimento solo quando risponda agli interessi del figlio (tale rispondenza è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice), e in presenza delle seguenti condizioni indicate dalla legge (art. 284 c.c.):

a) che sia domandata personalmente dai genitori o da uno di essi purché non minore di 16 anni;

b) che il genitore sia impossibilitato o sussista un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio[13];

c) che sussista l'assenso dell'altro coniuge, se colui che chiede il riconoscimento è già sposato e non legalmente separato;

d) che il figlio legittimando, se ha compiuto i 16 anni, dia il suo consenso; mentre se di età inferiore è necessario quello dell'altro genitore o del curatore speciale, salvo che il figlio sia già stato riconosciuto.

La legittimazione è possibile anche in presenza di figli legittimi o legittimati, che, se di età superiore ai 16 anni, dovranno essere sentiti dal presidente del tribunale. Essa è anche consentita dopo la morte dei genitori qualora costoro ne abbiano espresso l'intenzione in un testamento o in un atto pubblico; in tal caso spetterà ai figli naturali domandarla, a condizione che, mentre il genitore era ancora vivente, la legittimazione non fosse possibile o fosse impedita da un gravissimo ostacolo (art. 285 c.c.).

La legge prescrive inoltre che la domanda di legittimazione sia comunicata agli ascendenti, ai discendenti e al coniuge, oppure, in loro mancanza, a due dei prossimi parenti entro il quarto grado. È legittimato a far domanda, in caso di morte del genitore, anche uno qualsiasi dei suoi ascendenti legittimi, sempre che il genitore non abbia espresso una volontà in contrasto con quella di legittimare (art. 286 c.c.).

Per quanto riguarda la procedura da seguire in caso di legittimazione, la relativa domanda (avente la forma di un ricorso) e i documenti che la giustificano devono essere presentati al presidente del tribunale, nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza (art. 288 c.c.). La decisione è presa dal tribunale in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e accertate le condizioni prescritte dalla legge. Essa è soggetta a reclamo alla Corte d'appello su istanza del pubblico ministero e di parte.

 

La sentenza che accoglie la domanda di legittimazione viene annotata in calce all'atto di nascita del figlio. Gli effetti della legittimazione decorrono dalla data della sentenza e riguardano solo il genitore nei cui confronti è stata concessa.

 

Le residue differenze tra la posizione giuridica del figlio legittimo e quella del figlio naturale

Nonostante i notevoli progressi fatti nel campo del diritto di famiglia a seguito della riforma del 1975, l’equiparazione tra filiazione legittima e filiazione naturale non è tuttavia completamente realizzata, poiché differenze tuttora permangono sotto i seguenti profili:

 

§      anzitutto, la dottrina osserva che la stessa persistenza nella disciplina codicistica di due distinte categorie di figli concretizza, di per sé, una forma di discriminazione in danno dei figli naturali[14];

 

§      quindi differenze permangono in ordine ai modi di accertamento della filiazione (lo stato di figlio legittimo si forma d’ufficio, all’atto di nascita, mentre la formazione del corrispondente titolo di legittimazione naturale è rimessa alla volontà degli interessati attraverso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale);

 

§      quanto alla disciplina del rapporto di filiazione e dunque dei rapporti personali, patrimoniali e successori tra figlio e genitore, le più importanti differenze residue sono relative all’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima del genitore e al diritto di commutazione (v. sopra). Tali differenze sembrerebbero disposte a protezione dell’unità spirituale della famiglia e sono ritenute quindi generalmente conformi all’art. 30, co. 3, Cost.[15];

 

§      differenze permangono sotto il profilo della capacità espansiva della relazione di filiazione, e cioè della sua idoneità a dar vita a rapporti di parentela in linea retta o collaterale.

Tale questione ha importanti conseguenze sul versante della successione legittima. Il legislatore, infatti, aveva completamente escluso dalla successione legittima i fratelli naturali del de cuius e solo a seguito di un intervento della Corte costituzionale (sentt. n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990) attualmente i fratelli naturali riconosciuti o dichiarati vengono chiamati dopo tutti i parenti entro il sesto grado e prima dello Stato[16].

 

In merito, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 377 del 1994 ha affermato che «a distanza di vent'anni dalla riforma del diritto di famiglia e in presenza di un notevole incremento dei rapporti familiari di fatto, appare sempre meno plausibile che i fratelli e sorelle naturali del de cuius restino esclusi dalla successione ab intestato a vantaggio anche di lontani parenti legittimi fino al sesto grado»; tuttavia, la stessa Corte ha riconosciuto che «l'inserimento dei suddetti fratelli e sorelle naturali negli ordini successori dei parenti non può avvenire mediante una pronuncia additiva che attribuisca ad essi precedenza sulla vocazione dei parenti legittimi dal terzo al sesto grado in linea collaterale, bensì postula un bilanciamento di interessi che implica una valutazione complessa, eccedente i poteri della Corte». Conseguentemente, la Consulta non ha potuto far altro che invitare il legislatore a provvedere.

 

Più in generale, quanto al tema della parificazione tra figli legittimi e figli naturali, la giurisprudenza della corte costituzionale, inizialmente favorevole all’equiparazione, ma solo in assenza di famiglia legittima[17], sembra oggi privilegiare un’interpretazione del comma 3 dell’art. 30 che assicuri l’incondizionata applicazione del principio di eguaglianza, e sostiene che le residue disparità di trattamento dei figli nati fuori del matrimonio possono trovare una giustificazione «unicamente nel tradizionale disfavore verso la prole naturale, che pervadeva ancora il nuovo codice civile» (sent. n. 250 del 2000[18]).

Le uniche occasioni in cui la Corte costituzionale fa ancora applicazione della clausola di compatibilità – per il resto travolta dalla necessità di dare integrale applicazione all’art. 3, comma 1, della Costituzione – sono quelle in cui essa nega rilevanza alla c.d. “parentela naturale”, affermando che l’equiparazione fra filiazione legittima e filiazione naturale richiesta dall’art. 30, co. 3, Cost. riguarda solo il rapporto che si instaura tra il genitore e il figlio (cfr. sent. n. 363 del 1988, 184 del 1990, 377 del 1994, 532 del 2000).

Peraltro, quanto alla consistenza del limite di compatibilità, la giurisprudenza costituzionale per lungo tempo non dà alcuna indicazione, limitandosi a dire che «la determinazione di tale limite appartiene alla discrezionalità del legislatore» (cfr. sent. n. 167 del 1992). Solo di recente, però, con la sentenza n. 494 del 2002, invece, la Corte ha affermato che:

-       la riserva del 3° comma in favore dei diritti dei membri della famiglia legittima «mal si presta ad essere interpretata in modo tanto generico e atecnico, fino a ricomprendervi la protezione di condizioni di serenità psicologica;

-       i diritti dei membri della famiglia legittima capaci di porre un limite all’eguaglianza dei figli sono soltanto i «diritti in senso proprio»;

-       «in ogni caso, l’ingresso di figli naturali in un rapporto coniugale e in una vita familiare legittima di per sé non è una violazione di diritti ma un incerto del mestiere di vivere».

Nell’escludere che il limite possa consistere nella necessità di salvaguardare la coesione della famiglia e la sua unità spirituale, la Corte rende oggi inutilizzabile il riferimento agli unici beni che gli studiosi – in modo pressoché unanime – avevano ritenuto che potessero fornire un contenuto minimo concreto a quella clausola[19].


Contenuto del disegno di legge

Art. 1
(Diritti e doveri dei figli)

 


1. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Dei diritti e dei doveri dei figli e delle relazioni tra genitori e figli».

2. L'articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 315. - (Diritti e doveri dei figli). - Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha altresì diritto di crescere in famiglia, di mantenere rapporti significativi con i parenti e, se capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

3. Dopo l'articolo 315 del codice civile è inserito il seguente:

«Art. 315-bis. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.

Le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli senza distinzioni, salvo che si tratti di disposizioni specificamente riferite ai figli nati nel matrimonio o a quelli nati fuori del matrimonio».

 


 

 

 

L’articolo 1 del provvedimento sostituisce la rubrica del titolo IX del primo libro del codice civile, detta una nuova formulazione dell’art. 315 del codice civile ed aggiunge, infine, il nuovo art- 315-bis.

 

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, la nuova rubrica del citato titolo IX (Dei diritti e dei doveri dei figli e delle relazioni tra genitori e figli) sposta il centro dell’attenzione dalla potestà dei genitori (così recita l’attuale rubrica) al più generale complesso delle relazioni che intercorrono tra i genitori ed i figli minori (comma 1).

 

La nuova formulazione dell’art. 315 c.c. dettata dal comma 2 dell’art. 1 del d.d.l. risponde, conseguentemente, a questa diversa impostazione volta ad attribuire massimo rilievo non  solo ai doveri del figlio nei confronti del genitore, ma anche e soprattutto ai suoi diritti nei confronti dei genitori e dei parenti in generale.

 

Si ricorda che il vigente art. 315 c.c. (Doveri del figlio verso i genitori) prevede che Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. In particolare, l’obbligo di contribuzione è frutto della riforma del diritto di famiglia del 1975 e si ritiene sussistente anche nei confronti del figlio naturale convivente in ragione del rapporto di solidarietà che deve intercorrere tra coloro che coabitano nello stesso nucleo familiare.

 

Nello specifico, il nuovo art. 315 c.civ., rubricato Diritti e doveri dei figli, prevede espressamente il diritto del figlio:

 

§         al mantenimento, all’educazione, all’istruzione e all’assistenza morale da parte dei genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni (primo comma);

 

§         alla crescita in famiglia, al mantenimento di rapporti significativi con i parenti e, se capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano (secondo comma).

 

A fianco dunque dei tradizionali doveri dei genitori nei confronti dei figli - mantenimento, educazione e istruzione – già contemplati dall'articolo 30 della Costituzione e dall’art. 147 c. civ[20]. (Doveri verso i figli), il nuovo testo dell'articolo 315 c. civ. contempla anche il diritto del figlio all'assistenza morale da parte dei genitori, il diritto a crescere con la propria famiglia, il diritto ad avere rapporti con i parenti ed il diritto ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

 

In relazione all' ”assistenza morale”, la relazione illustrativa del provvedimento precisa che tale espressione sembra “introdurre nel rapporto genitore-figli un elemento che va oltre gli obblighi materiali, divenendo dovere di prestazione personale”, mentre il diritto del figlio ad avere rapporti significativi con i parenti sembra rivolto, in particolare, ai figli riconosciuti nati fuori dal matrimonio, affinché siano assicurate anche a costoro le naturali relazioni che nascono  tra le persone che discendono da uno stesso stipite.

 

Per quanto riguarda, poi, il diritto del figlio – se capace di discernimento - di essere ascoltato nelle decisioni che lo riguardano, tale previsione è coerente con il contenuto dell’art. 12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, nonchè con le più recenti tendenze della normativa in materia familiare.

 

L’art. 12 della Convenzione di New York ha previsto che gli Stati garantiscano al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa e tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, la citata Convenzione prevede che al fanciullo venga data la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.

 

Si osserva, inoltre, che il diritto del minore ad essere ascoltato è previsto anche dalla legge 184/1983, recante Diritto del minore ad una famiglia, in relazione all’assunzione giudiziale dei provvedimenti di interesse del minore (come l’affido familiare, l’affidamento preadottivo e l’adozione); la legge stabilisce in tal senso un limite minimo di 12 anni; il minore di anni 12 anni deve, comunque, essere sentito se ritenuto in possesso di “capacità di discernimento”.

 

Per quanto riguarda, invece, le previsioni dell'articolo 315 relative agli obblighi dei figli, il comma 3 di tale articolo ribadisce il principio generale, già contemplato nell'attuale formulazione di tale norma, in base al quale il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.

 

Il comma 4 dell’articolo 1 in esame aggiunge, infine, al codice civile il nuovo articolo 315-bis, norma cardine del disegno di legge in esame.

 

La disposizione in esame, rubricata “Stato giuridico della filiazione sancisce, infatti, il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio, per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio.

 

A tale principio si ispirano numerose disposizioni del successivo articolo 2 del disegno di legge del Governo contenente la delega al Governo per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile, nonché delle disposizioni ad esse connesse.

 


 

Art. 2
(Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione per eliminare ogni residua discriminazione tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo, nel rispetto di quanto previsto nell'articolo 30 della Costituzione, osservando, oltre che i princìpi di cui agli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e introdotto dall'articolo 1 della presente legge, i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) unificazione dei capi I e II del titolo VII del libro primo del codice civile, con la sostituzione della rubrica del medesimo titolo VII con la seguente: «Dello stato di figlio» e apportando ad esso tutte le modificazioni conseguenti, tra cui, in particolare: trasposizione dei contenuti della sezione I del capo I in un nuovo capo I, avente la seguente rubrica: «Della presunzione di paternità»; trasposizione dei contenuti della sezione II del capo I in un nuovo capo II, avente la seguente rubrica: «Delle prove della filiazione»; trasposizione dei contenuti della sezione III del capo I in un nuovo capo III, avente la seguente rubrica: «Dell'azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio»; trasposizione dei contenuti del paragrafo 1 della sezione I del capo II in un nuovo capo IV, avente la seguente rubrica: «Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio»; trasposizione dei contenuti del paragrafo 2 della sezione I del capo II in un nuovo capo V, avente la seguente rubrica: «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità»; abrogazione della sezione II del capo II. Nell'esercizio della delega si provvede altresì all'abrogazione delle altre disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione;

b) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» con riferimenti ai «figli nati nel matrimonio» e ai «figli nati fuori del matrimonio» e dei riferimenti alla «filiazione legittima» e alla «filiazione naturale» con riferimenti alla «filiazione nel matrimonio» e alla «filiazione fuori del matrimonio», nei casi in cui la distinzione assume rilevanza; eliminazione di ogni distinzione non necessaria;

c) ridefinizione della disciplina del possesso di stato, della prova della filiazione e degli effetti anche verso i figli nati fuori del matrimonio;

d) estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all'articolo 235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali;

e) modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, con la previsione che:

1) il riconoscimento produca effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua;

2) sia necessario l'assenso del figlio che ha compiuto i quattordici anni di età;

3) il riconoscimento dei figli nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta, all'infinito, o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, sia consentito solo previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio, e che la disciplina della dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità e quella del riconoscimento siano anche in tali casi adeguate ai princìpi costituzionali;

4) la disciplina attinente all'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell'uno o dell'altro genitore sia adeguata alla disciplina in materia di affidamento condiviso, prevedendo il consenso dell'altro coniuge e l'ascolto degli altri figli conviventi;

5) il principio dell'inammissibilità del riconoscimento di cui all'articolo 253 del codice civile sia esteso a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o dichiarato da un'altra persona;

f) modificazione della disciplina dell'impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell'imprescrittibilità dell'azione solo per il figlio e con l'introduzione di un termine per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati;

g) unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio;

h) specificazione del contenuto dei diritti, dei poteri e dei doveri dei genitori con la valorizzazione del principio di responsabilità nei confronti dei figli;

i) conferma della previsione dell'ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento nelle procedure previste dalla presente legge;

l) adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio;

m) adattamento e riordino dei criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l'individuazione, nell'ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione dei princìpi della presente legge e di quelli affermati nella giurisprudenza civile e costituzionale.

2. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 provvedono, altresì, ad effettuare il necessario coordinamento con le disposizioni da essi recate delle norme per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 1.

3. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro delle politiche per la famiglia, del Ministro della giustizia e del Ministro per i diritti e le pari opportunità. Sugli schemi approvati dal Consiglio dei ministri esprimono il loro parere le Commissioni parlamentari competenti entro due mesi dalla loro trasmissione alle Camere. Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1 o successivamente, quest'ultimo termine è prorogato di sei mesi.

4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1 il Governo può adottare decreti correttivi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui ai commi 1 e 2 e con la procedura prevista dal comma 3.

 


 

 

 

L'articolo 2 del disegno di legge in esame contiene la delega al Governo in materia di filiazione e ciò al fine di eliminare, come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, ogni residua ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo.

 

In relazione a tale finalità, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il Governo dovrà emanare uno o più decreti legislativi volti a modificare le attuali disposizioni previste in materia di filiazione, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 30 della Costituzione, dagli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente, sostituito il primo ed introdotto il secondo  dall'articolo 1 della presente legge.

 

A questo proposito si ricorda che l'articolo 30 della Costituzione stabilisce, da un lato, il principio generale in base al quale è' dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio (comma 1), dall'altro lato, che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima (comma 3).

Si ricorda, altresì, che l'articolo 315 del codice civile, nel testo come modificato dalla proposta di legge in esame, reca disposizioni in materia Diritti e doveri dei figli, mentre il nuovo articolo articolo315-bis concerne lo Stato giuridico della filiazione.

 

Il citato comma 1 dell'articolo 2 del disegno di legge in esame individua, poi, i seguenti undici principi e criteri diretti che dovranno essere rispettati dal Governo in sede di attuazione della delega in esame.

 

Ai sensi della lettera a), il Governo dovrà prevedere l'unificazione degli attuali capi I (Della filiazione legittima) e II (Della filiazione naturale e della legittimazione) del titolo VII (Della filiazione) del libro primo (Delle persone e della famiglia) del codice civile in un unico titolo rubricato «Dello stato di figlio», abrogando, altresì le disposizioni relative all'istituto della legittimazione.

Tale soppressione, si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, è giustificata dalla sopravvenuta inutilità di tale istituto in relazione alle nuove disposizioni previste dal disegno di legge volte a spostare l'asse dell'interesse della normativa dall'acquisto della qualità di figlio legittimo o naturale a quello dello stato di figlio.

Al riguardo si ricorda che con la legittimazione il figlio nato fuori del matrimonio acquista la qualità di figlio legittimo (art. 280, comma 1 c. civ.) .

Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti, mentre possono essere legittimati pure i figli premorti a favore dei loro discendenti.

La legittimazione può avvenire per susseguente matrimonio dei genitori naturali o per provvedimento del giudice.

La legittimazione per susseguente matrimonio si verifica automaticamente nel caso che si sposino tra loro i genitori che abbiano entrambi riconosciuto il figlio, ovvero che lo riconoscano dopo essersi sposati (art.283 c. civ).

 

Ai sensi della successiva lettera b) del citato comma 1 dell'articolo 2 il Governo dovrà, poi, procedere ad una ricognizione puntuale di tutte le disposizioni vigenti nelle quali compaiano le espressioni «figlio legittimo» o «filiazione legittima» e «figlio naturale» o «filiazione naturale», sostituendole, rispettivamente, con quelle di «figlio nato nel matrimonio» e «filiazione nel matrimonio» ovvero di «figlio nato fuori del matrimonio» e «filiazione fuori del matrimonio».

A questo proposito si osserva che la medesima lettera ribadisce anche in questa sede il principio generale in base al quale si dovrà far ricorso alla nuova distinzione tra «fiiliazione nel matrimonio» e «filiazione fuori del matrimonio» solamente nei casi in cui risulti necessario e ciò in linea con l'obiettivo della unicità dello stato giuridico di figlio che il disegno di legge in esame si propone di realizzare.

 

La lettera c) concerne, a sua volta, la disciplina del possesso di stato, della prova della filiazione e degli effetti anche verso i figli nati fuori dal matrimonio che dovrà essere rivista dal Governo in sede di attuazione della delega.

 

Al riguardo, si ricorda che in base alla normativa vigente, lo status di figlio legittimo si prova, di regola, con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile (art. 236 c. civ). Ove manchi l'atto di nascita, lo stato di figlio legittimo potrà essere dimostrato mediante il possesso continuato dello stato di figlio legittimo (art. 236, comma 2 c.civ.). Il possesso di stato è il godimento effettivo e socialmente riconosciuto della posizione di figlio.

Come chiarito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ad integrare il possesso dello stato di figlio legittimo devono concorrere i seguenti elementi: nomen, ossia la persona deve aver sempre portato il cognome del padre che pretende di avere; tractatus, ossia deve essere sempre stata trattata da costui come figlio e, come tale, mantenuta, educata, istruita; fama  ossia deve essere stata costantemente considerata come figlio nei rapporti sociali nell'ambito della famiglia (art. 237 c. civ).Infine, ove manchino si l'atto di nascita che il possesso di stato, la prova della filiazione legittima può darsi anche per testimoni (art. 241 c. civ); in tal caso però, le testimonianze sono ammissibili solamente qualora esista un principio di prova scritta, ovvero quando ricorrano presunzioni ed indizi abbastanza gravi (art. 241, comma 2).

 

Ai sensi, poi, della successiva lettera d), il legislatore delegato dovrà prevedere l'estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e ridefinire la disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all'articolo 235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali.

 

Al riguardo, si ricorda che, attualmente, ai sensi dell’articolo 231 c. civ. il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio. Ai sensi del successivo articolo 232 c. civ., si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento  dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio (comma 1). La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente (comma 2). Ai sensi del successivo articolo 233. il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità

Da ultimo, ai sensi dell'articolo 235 c.civ. l'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti: 1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita; 2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità. In relazione a tale ultima fattispecie si osserva, altresì, che la Corte Costituzionale, con sentenza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 266, ha dichiarato, tra l’altro, l'illegittimità del presente numero nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.

 

In relazione al citato principio direttivo si osserva che al fine di evitare possibili dubbi interpretativi andrebbe valutata l'opportunità di definire meglio la finalità perseguita dalla disposizione in esame, con particolare riferimento alla "estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio".

Al riguardo, si osserva che nella relazione illustrativa del provvedimento si precisa che "la disposizione sulla presunzione di paternità, di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell'articolo 2, intende eliminare le incongruenze dell'attuale disciplina codicistica in ordine all'azione di disconoscimento. Una volta ammessa la presunzione di paternità con riguardo ai figli nati in costanza di matrimonio (così l'articolo 233 del codice civile), appare ingiustificato differenziarne l'operatività a seconda del momento della nascita. Nell'attuale formulazione del codice civile, il momento della nascita incide sull'esperibilità dell'azione, in quanto questa è ammessa in ogni caso se il figlio è nato nei primi sei mesi dal matrimonio, mentre è limitata se il figlio è nato in un tempo successivo (articolo 235)". 

Dalla relazione in esame sembrerebbe, quindi, che l’intervento del legislatore delegato debba essere diretto a dare massima efficacia al principio attualmente contenuto nell’articolo 231 c. civ. secondo cui il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio, con conseguente revisione di quelle disposizioni normative che pongono dei limiti alla citata presunzione di paternità a seconda del momento del concepimento.

 

La lettera e) del medesimo comma 1 dell'articolo 2 affida al legislatore delegato il compito di rivedere la normativa riguardante il riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, prevedendo, espressamente che:

 

1) il riconoscimento produca effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua;

 

Il criterio direttivo in esame interviene sulla delicata questione riguardante la rilevanza della c.d parentela naturale. Al riguardo, si osserva, infatti, che, come rilevato dalla dottrina, è ancora fortemente discusso se la filiazione naturale determini anche un rapporto di parentela e quindi la nascita di uno status o il rapporto debba essere limitato al genitore o ai genitori che hanno effettuato il riconoscimento[21].

La dottrina che nega al figlio naturale il rapporto di parentela con la famiglia del genitore fa leva principalmente sul dettato della norma che limita gli effetti del riconoscimento al genitore da cui fu fatto, salvi i casi previsti dalla legge (art. 258). Secondo questa parte della dottrina, infatti, il figlio naturale assume uno status solamente nei confronti di ciascun genitore ed anche quando venga riconosciuto da entrambi la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determina la costituzione di due rapporti distinti, indipendenti tra loro, con ciascuno dei genitori (cfr. quadro normativo).

Viceversa, secondo altra parte della dottrina[22], la generale rilevanza giuridica della parentela naturale deve essere ribadita in base ad un preciso argomento testuale  che è dato dalla stessa definizione giuridica di parentela. Secondo tale definizione la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite e, appunto, i parenti naturali discendono da uno stipite.

In ogni caso i fratelli naturali sono, a date condizioni, successori legittimi.

 

2) sia necessario l'assenso del figlio che ha compiuto i quattordici anni di età;

 

A questo proposito si ricorda che l’attuale formulazione del comma 2 dell’articolo 250 del c. civ. afferma il principio in base al quale il riconoscimento del figlio che ha compiuto sedici anni non produce effetto senza il suo assenso. Ai sensi del successivo comma 3, il riconoscimento del figlio che ha compiuto sedici anni  non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.

La modifica prevista dal criterio direttivo in esame è volta, quindi,  ad abbassare l’età del minore che deve prestare il proprio assenso ai fini del suo riconoscimento da parte del genitore .

 

3) il riconoscimento dei figli nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta, all'infinito, o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, sia consentito solo previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio, e che la disciplina della dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità e quella del riconoscimento siano anche in tali casi adeguate ai princìpi costituzionali;

 

Il criterio direttivo riguarda la disciplina dei figli cosiddetti incestuosi.

 

Com’è noto si definisce figlio incestuoso il figlio naturale concepito da  persone tra le quali esiste un rapporto di parentela, anche soltanto naturale, o in linea retta, o in linea collaterale di secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta. Al riguardo, l’articolo 251 c. civ (Riconoscimento dei figli incestuosi) stabilisce il divieto di un loro riconoscimento, salvo che per i genitori in buona fede, in quanto  al tempo del concepimento ignoravano il vincolo esistente tra di loro, o nel caso in cui sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità. Il medesimo art. 251 c,  civ. prevede, altresì, che quando uno solo dei genitori è stato in buona fede il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui . Ai sensi del successivo comma 2 dell’articolo 251 c. civ., come risultante dalle modifiche introdotte dalla riforma del diritto di famiglia, avvenuta con la legge n. 151 del 1975, il riconoscimento deve essere autorizzato dal giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Come sottolineato dalla dottrina[23], nell'ipotesi di filiazione non riconoscibile, l'azione volta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità è sostituita dall'azione per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. L'articolo  279 c. civ  prevede, infatti, che in ogni caso in cui non può proporsi azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, il figlio può agire per ottenere il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, previa autorizzazione del giudice. Il figlio maggiorenne, ricorrendone i presupposti può agire per il riconoscimento degli alimenti.

Sul piano successorio, poi, i figli non riconoscibili hanno diritto in caso di successione legittima ad un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di eredità a cui avrebbero avuto diritto se fossero stati riconoscibili.  

 

In relazione al criterio direttivo si osserva che l’articolo 251 del  codice civile già prevede l’autorizzazione giudiziale ai fini del riconoscimento del figlio incestuoso, nei casi in cui tale riconoscimento è consentito. Il medesimo articolo prevede, altresì che tale autorizzazione deve tener presente l’interesse del figlio ed evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio, così come previsto anche dal criterio direttivo in esame.

Pertanto, considerato che il profili innovativo del principio di delega non può essere individuato nella necessità della previa autorizzazione giudiziale dei figli incestuosi, andrebbe verificato se l’intervento del legislatore delegante debba riguardare, più in generale, i presupposti del riconoscimento dei figli incestuosi che la normativa vigente consente solamente nel caso di genitori in buona fede ovvero nel caso di annullamento dei matrimonio da cui derivi il vincolo di affinità tra i genitori.

Al riguardo, si osserva però che nella relazione illustrativa del provvedimento si precisa che “si prevede come necessaria l'autorizzazione giudiziale, quale forma di tutela del figlio stesso nei confronti di un'iniziativa che potrebbe essergli pregiudizievole, esponendolo al pericolo di un grave disagio familiare e sociale. La maggiore età non esclude la necessità dell'autorizzazione giudiziale in considerazione del grave pregiudizio che dal riconoscimento potrebbe derivare ai congiunti della persona riconosciuta”.

 

4) la disciplina attinente all'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell'uno o dell'altro genitore sia adeguata alla disciplina in materia di affidamento condiviso, prevedendo il consenso dell'altro coniuge e l'ascolto degli altri figli conviventi;

 

In relazione al criterio direttivo in esame si segnala che quando il riconoscimento proviene dal genitore coniugato con persona diversa dall'altro genitore, si pone il problema dell'inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima del suo genitore. Allo stato, "la normativa vigente tutela il prevalente interesse dei membri della famiglia legittima a non subire la convivenza del figlio naturale e il riconoscimento di tale interesse all'intimità della convivenza della famiglia legittima appare rispondente alla norma costituzionale  che ravvisa un limite alla tutela della figlio naturale nei diritti dei membri della famiglia legittima (art. 30 Cost.). Accanto a questo interesse può inoltre rilevare l'interesse del figlio riconosciuto a non essere inserito in un ambiente ostile e quindi pregiudizievole per la formazione della sua personalità. Si spiga pertanto come il riconoscimento del figlio naturale da parte del genitore coniugato richieda l'intervento del tribunale dei minori per decidere circa l'affidamento del minore e adottare altri provvedimenti a tutela del suo interesse morale e materiale  (art,. 252 c. civ.)

In particolare, la normativa vigente prevede che la convivenza del figlio naturale con la famiglia legittima del genitore può essere giudizialmente autorizzata se ciò non appare contrario al suo interesse e se vi acconsentono il coniuge del genitore e gli eventuali figli legittimi conviventi ultrasedicenni[24].

 

In relazione, poi, all'istituto dell'affidamento condiviso richiamato dal criterio direttivo in esame, si ricorda che la legge 8 febbraio 2006, n. 54[25] ha riformato in maniera consistente l’istituto dell’affidamento dei figli conseguente alla separazione personale dei genitori, allo scioglimento, all’annullamento, alla cessazione degli effetti civili, alla nullità del matrimonio.

Il principio cardine della nuova normativa – applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati - consiste nel privilegiare la soluzione dell’affidamento condiviso, che diviene la forma di affidamento prioritario dei figli minori di genitori separati, in modo che l’affidamento ad un solo genitore diventerebbe una soluzione soltanto residuale.

Infatti, nonostante tale istituto fosse già previsto dalla legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970 n. 898) il sistema previgente stabiliva, in via ordinaria, l'affidamento dei figli ad uno dei genitori in caso di separazione, secondo il prudente apprezzamento del presidente del tribunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi. Nella prassi, la stragrande maggioranza degli affidamenti ha individuato la madre come genitore affidatario del minore. In tal senso la situazione non teneva conto del principio della bigenitorialità; un principio affermatosi da tempo praticamente in tutti gli ordinamenti europei e  stabilito anche, a livello internazionale, dalla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la legge 176 del 1991.

La finalità cui risulta ispirata la nuova normativa è quella di salvaguardare il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura istruzione ed educazione da entrambi. Vengono poi dettagliatamente disciplinati i diversi aspetti collegati a tale modalità di affidamento e i diversi modi di composizione innanzi al giudice delle possibili controversie in merito. Oltre all’opposizione all’affidamento condiviso viene attribuita ad entrambi i genitori la facoltà di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli; vengono altresì dettate specifiche disposizioni processuali.

 

 

5) il principio dell'inammissibilità del riconoscimento di cui all'articolo 253 del codice civile sia esteso a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o dichiarato da un'altra persona;

 

Il richiamato articolo 253 c. civ, afferma il principio in base al quale “in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato in cui la persona si trova".

La modifica prevista dal criterio direttivo in esame mira, quindi, ad estendere espressamente il citato divieto di riconoscimento a tutti i casi in cui esso contrasti con lo stato di filiazione già acquisito dalla persona che si vorrebbe riconoscere e ciò in ragione dell'identità dello stato di figlio che il disegno di legge in esame intende realizzare.

 

La lettera f) concerne la disciplina dell'impugnazione del riconoscimento.

 

Al riguardo, in base al criterio direttivo contenuto in tale lettera, il legislatore delegato dovrà modificare la disciplina vigente riconoscendo il principio della imprescrittibilità dell'azione volta ad impugnare il riconoscimento solamente in relazione al figlio e con l'introduzione di un termine per l'esercizio dell'azione nei confronti degli altri legittimati.

 

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, la ratio  di tale limitazione  deve essere individuata nella necessità  “di tutelare la stabilità di un vincolo vissuto e confermato dal possesso di stato protratto nel tempo. Appare però giustificato differenziare questa situazione rispetto a quelle in cui la perpetuità dell'azione trae ragione dall'esigenza di ristabilire la verità occultata da fatti di alterazione dello stato”.

 

Ai sensi, poi, dei successivi criteri direttivi previsti dalle lettere g) ed h) il legislatore delegato dovrà prevedere l’unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio, specificando il contenuto dei diritti, dei poteri e dei doveri dei genitori con la valorizzazione del principio di responsabilità nei confronti dei figli.

 

La lettera i) conferma, poi la previsione delle disposizioni che prevedono l’obbligo di ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento nelle procedure previste dalla presente legge, mentre ai sensi del principio direttivo contenuto nella successiva lettera l), il legislatore delegato dovrà procedere all'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio;

 

Come già rilevato (cfr. quadro normativo), da un punto di vista successorio, la legge di riforma del diritto di famiglia, abbandonando l'antica discriminazione già in parte superata dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, ha accomunato negli stessi diritti figli legittimi e figli naturali, mentre è rimasta ancora una differente disciplina successoria per i figli c.d. incestuosi.

I figli legittimi conservano tuttavia una posizione privilegiata dalla facoltà di chiedere l'estromissione dei figli naturali del defunto dalla comunione ereditaria (commutazione della porzione dei figli naturali; cfr. quadro normativo). Su questo punto la relazione illustrativa del provvedimento prevede espressamente l'abrogazione di tale disposizione "in quanto eguale diritto non sussiste nei confronti dei coeredi estranei. Si evidenzia, pertanto, la discriminazione in tal modo sancita a carico dei figli nati fuori del matrimonio".

In relazione, poi, alla questione relativa alla successione legittima dei fratelli naturali e alla relativa giurisprudenza costituzionale, si rinvia al quadro normativo.

 

Per quanto riguarda, invece, l'adeguamento della disciplina delle donazioni, obiettivo questo richiamato dal criterio direttivo in esame, la medesima relazione governativa specifica che la norma sulla revoca per sopravvenienza di figli richiede solo un adeguamento terminologico, analogo a quello richiesto per la norma sulla revoca del testamento.

A questo proposito si ricorda che l'attuale formulazione dell'articolo 687 (Revocazione per sopravvenienza di figli) del codice civile prevede che le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti [c.c. 462], sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del testatore, benché postumo o legittimato o adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo la revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento, e, trattandosi di figlio naturale legittimato, anche se è già stato riconosciuto dal testatore prima del testamento e soltanto in seguito legittimato.

 

La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi (comma 3).

Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione la disposizione ha il suo effetto (comma 4).

 

Da ultimo, la lettera m) delcitato comma 1 dell'articolo 2 del disegno di legge in esame impone al Governo di rivedere i  criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l'individuazione, nell'ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione dei princìpi della presente legge e di quelli affermati nella giurisprudenza civile e costituzionale.

 

I citati articoli dettano disposizioni in relazione alla filiazione (art. 33), alla legittimazione (art. 34), al riconoscimento di figlio naturale (art. 35) e ai rapporti fra adottato e famiglia adottiva (art. 39).

 

In particolare, ai sensi dell'articolo 33, comma 1, lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. Ai sensi del comma 2, è legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita del figlio. Il comma 3 prevede, poi, che la legge nazionale del figlio al momento della nascita regola i presupposti e gli effetti dell'accertamento e della contestazione dello stato di figlio. Lo stato di figlio legittimo, acquisito in base alla legge nazionale di uno dei genitori, non può essere contestato che alla stregua di tale legge.

 

Ai sensi dell'articolo 34 la legittimazione -istituto questo oggetto di soppressione da parte del ddl in esame-  per susseguente matrimonio è regolata dalla legge nazionale del figlio nel momento in cui essa avviene o dalla legge nazionale di uno dei genitori nel medesimo momento. Negli altri casi, il comma 2 prevede che la legittimazione venga regolata dalla legge dello Stato di cui è cittadino, al momento della domanda, il genitore nei cui confronti il figlio viene legittimato. Per la legittimazione destinata ad avere effetto dopo la morte del genitore legittimante, si tiene conto della sua cittadinanza al momento della morte.

 

L'articolo 35, in materia di riconoscimento di figlio naturale, stabilisce, poi, che le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene. La capacità del genitore di fare il riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale, mentre la forma del riconoscimento è regolata dalla legge dello Stato in cui esso è fatto o da quella che ne disciplina la sostanza.

 

Ai sensi del successivo articolo 39 i rapporti personali e patrimoniali fra l'adottato e l'adottante o gli adottanti ed i parenti di questi sono regolati dal diritto nazionale dell'adottante o degli adottanti se comune o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti ovvero da quello dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.

 

L'articolo 2, comma 2, completa il quadro degli interventi che il legislatore delegato dovrà operare, innanzitutto con riferimento alla necessità di coordinamento con le norme di attuazione del codice civile e, più in generale, con le altre norme vigenti

 

I successivi commi 3 e 4 indicano, poi, la procedura con cui il decreto o i decreti legislativi dovranno essere elaborati, approvati, emanati ed eventualmente corretti.

Al riguardo, si prevede che i citati decreti legislativi vengano adottati su proposta del Ministro delle politiche per la famiglia, del Ministro della giustizia e del Ministro per i diritti e le pari opportunità (comma 3).

 

Sui relativi schemi le competenti Commissioni parlamentari dovranno esprimere un parere entro due mesi dalla loro trasmissione alle Camere, ovvero entro sei mesi nel caso in cui il termine per l'espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni antecedenti la scadenza del termine previsto dal comma 1 dell'articolo 2 in relazione all'adozione dei decreti medesimi (dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge).

 

Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri.

 

Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1 il Governo può adottare decreti correttivi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla legge delega in esame e con la procedura prevista dal comma 3 in relazione all'adozione dei relativi schemi di decreto (comma 4).

 


 

Art. 3
(Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile)


1. Con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge sono apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni.


 

 

 

Ai sensi dell'articolo 3 del disegno di legge, il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata del decreto o dei decreti legislativi di cui al precedente articolo 2 del provvedimento in esame, provvede ad  apportate le necessarie modifiche alla disciplina vigente in materia di ordinamento dello stato civile attualmente contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni. 

 

A tal fine lo strumento previsto è il regolamento di cui all'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni.

 

Ai sensi dell'articolo 17, comma 1 della legge n. 400 del 1988 con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari;

b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;

c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.

 

 


Progetto di legge

 


 

N. 2514

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

DISEGNO DI LEGGE

 

presentato dal ministro delle politiche per la famiglia

(BINDI)

 

dal ministro della giustizia

(MASTELLA)

 

e dal ministro per i diritti e le pari opportunità

(POLLASTRINI)

 

di concerto con il ministro dell'interno

(AMATO)

 

e con il ministro della solidarietà sociale

(FERRERO)

 

 

 

Delega al Governo per la revisione della normativa in materia di filiazione

 

 

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Presentato il 12 aprile 2007

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Onorevoli Deputati! - La persona umana è al primo posto nella gerarchia di valori fatta propria dalla Costituzione. Il valore «persona umana» costituisce la parte caratterizzante l'ordinamento giuridico, tanto da garantirne l'armonia e l'unitarietà d'intenti, e la famiglia nel suo aspetto sociale e nel suo riflesso giuridico si lega inscindibilmente all'esistenza, alla dignità e alla personalità di ciascuno dei suoi componenti.

Tale premessa è necessaria per dare ragione dei princìpi implicati da un obiettivo di modificazione che si propone di portare a compimento il disegno - già assai ben delineato fin dalla precedente legge di riforma del diritto di famiglia, la legge 19 maggio 1975, n. 151 - di parificare ogni forma di filiazione, nel rispetto dell'articolo 30, terzo comma, della Costituzione.

Da tempo, nei vari Paesi dell'Unione europea, la tendenza è verso una completa equiparazione tra tutti i figli senza ulteriori qualificazioni: in Spagna già dal 1978, in Germania e negli altri Paesi del nord Europa ancora prima, in Francia molto più di recente, con una legge che unifica la normativa in materia in un solo capo dedicato allo stato di figlio senza ulteriori aggettivi. E convenzioni europee sui diritti dell'uomo e del fanciullo, raccomandazioni comunitarie, interventi in tale materia della Corte europea dei diritti dell'uomo si susseguono senza sosta, disegnando un unico quadro rispetto al quale l'Italia presenta alcuni tratti divergenti.

Come è noto, anche nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, sono previste due disposizioni delle quali la famiglia costituisce l'oggetto di tutela: l'articolo 8, che riconosce il diritto al rispetto della vita familiare, e, ancora più importante, l'articolo 12, a norma del quale «Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l'esercizio di tale diritto», ripercorrendo la via tracciata dall'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948.

Le decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo tratteggiano la famiglia come organismo che presuppone lo sviluppo della personalità dei suoi componenti, sulla base dei princìpi di pari dignità, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà.

Da qui discende una serie di corollari, tra i quali si possono sicuramente menzionare quelli relativi alla tutela dei figli per se stessi, cioè in quanto individui nati, e alla pari dignità dei figli naturali rispetto ai figli legittimi.

Non minore importanza può assumere, anche per quanto attiene al nostro ordinamento, la posizione della Corte europea dei diritti dell'uomo in ordine alla parentela naturale. Relativamente ai rapporti tra i figli naturali, è noto come la nostra Corte costituzionale, intervenendo a margine della parziale incostituzionalità dell'articolo 565 del codice civile, abbia dichiarato doversi considerare nella categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali, riconosciuti o dichiarati.

Numerose sono le disposizioni relative alla famiglia che, tramite la «Carta di Nizza» (i cui contenuti sono confluiti nella parte II della Costituzione per l'Europa), l'Europa mostra di voler costituzionalizzare: l'articolo II-67 della Costituzione per l'Europa fa riferimento al rispetto della vita privata e della vita familiare, l'articolo II-83 sancisce il diritto alla parità tra uomini e donne, l'articolo II-84 i diritti del minore, l'articolo II-85 i diritti degli anziani, l'articolo II-86 i diritti delle persone con disabilità, mentre l'articolo II-93 enuncia il principio generale in base al quale «è garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale».

Nel nostro ordinamento, l'articolo 2 della Costituzione appresta la chiave di lettura del fondamento che la Costituzione stessa offre alla famiglia attraverso gli articoli 29, 30 e 31. Gli interessi della famiglia che l'ordinamento garantisce si coniugano con i valori della persona, sia sotto il profilo statico dell'integrità e della dignità, sia sotto quello dinamico dell'armonico sviluppo della personalità. La prospettiva solidaristica impone la ricerca di un criterio di contemperamento dell'esercizio dei diritti fondamentali, o meglio la ricerca dell'«equilibrio delle libertà». In caso di conflitto tra interessi tutti degni di garanzia, a livello costituzionale, la scelta di quello da privilegiare o da sacrificare deve avvenire secondo la precisa gerarchia dei valori dettata dalla Costituzione stessa. Nella famiglia, il principio di solidarietà, che si specifica nella solidarietà familiare, prescrive ancora con maggiore forza di subordinare le categorie dell'avere a quelle dell'essere, ovvero di considerare le situazioni patrimoniali come strumentali alla realizzazione di quelle di natura esistenziale.

La parificazione di tutte le forme di filiazione, quale che sia la fonte di costituzione del legame giuridico, è conseguenza diretta dell'impianto costituzionale. Del resto, l'articolo 30 della Costituzione si esprime assai chiaramente in proposito, quando discorre di diritti e doveri dei genitori: qui non vi è spazio per alcuna forma di discriminazione. Va tenuto sempre presente che l'articolo 30, terzo comma, della Costituzione assicura ogni tutela ai figli nati fuori del matrimonio, purché compatibile con la garanzia della famiglia legittima. Questa norma fa parte della trama del Costituente e in essa rinviene il suo vero valore. Il conflitto può sorgere tra coloro che fanno parte della famiglia ristretta, coniuge e figli, poiché questi sono titolari di interessi proporzionali. E il conflitto può riguardare situazioni paritarie, cioè che ricevono eguale protezione dall'ordinamento costituzionale. Il criterio della compatibilità non può tuttavia comportare il sacrificio dei diritti inviolabili della persona: se c'è conflitto, occorre trovare il punto di equilibrio. Cadono in questa prospettiva le giustificazioni di quelle differenze che ancora si possono rinvenire a livello codicistico o di legislazione ordinaria. Del resto, la differenza di status rileva ancora in poche e scarne norme, che spesso svolgono una duplice funzione di tutela sia per i figli nati nel matrimonio sia per quelli che tali non sono.

È il caso, ad esempio, delle disposizioni che regolano l'ingresso del figlio riconosciuto nella famiglia preesistente di uno dei genitori. Qui la ragione è di non perturbare la coesione di quella specifica famiglia o di non pregiudicare la serenità e lo sviluppo dei figli minori che ne fanno parte: sia quelli già conviventi, sia quelli che si apprestano a entrare nella quotidiana esistenza di quella concreta famiglia. Da ciò, la necessità dei consensi e del controllo del giudice. Non hanno più senso invece le altre differenze legate a una visione ormai da tempo superata di conservazione del patrimonio familiare, che si rinvengono nel regime successorio.

In una prospettiva che, sulla scorta dell'articolo 30 della Costituzione, tutela la filiazione come valore in sé, originale e non dipendente, nessuna differenza, se non quelle necessarie a regolarne l'accertamento, può derivare dalla fonte del rapporto: un atto volontario, come il matrimonio o il riconoscimento, o autoritativo, come l'accertamento della paternità o della maternità. Anzi, la prospettiva tende al riconoscimento di un unico status filiationis, fondato sui due aspetti della verità biologica e dell'assunzione della responsabilità rispetto al figlio, aspetti entrambi necessariamente presenti a fondare la ratio della disciplina. Ne consegue l'inutilità dell'istituto della legittimazione per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice, di cui si propone l'abrogazione.

Di più, si ritiene maturo il momento per abbattere l'ultima odiosa mortificante discriminazione nei riguardi dei figli incestuosi, la cui posizione giuridica, in caso di matrimonio putativo, non si può far dipendere dalla buona o mala fede dei genitori. Non così quando si vuole riconoscere un figlio incestuoso consapevolmente generato: qui si giustifica il controllo del giudice sia per la protezione del figlio, sia per la riprovazione sociale di una simile condotta.

Doveroso appare poi riformare l'istituto della parentela, facendo cadere ogni aggancio all'opinione che ancora si ostina, anche a livello giurisprudenziale, a non ritenere esistente il legame di parentela tra il figlio riconosciuto nato al di fuori del matrimonio e i parenti del genitore. Sotto questo aspetto, il distacco tra il comune sentire e la norma giuridica non potrebbe essere più evidente. Del resto, indici normativi della rilevanza della parentela «naturale» - e l'espressione è ben strana, quasi che ogni forma di parentela non fosse, per l'appunto, «naturale» - sono già presenti nel codice civile e assai significativi: l'articolo 148 non distingue tra i figli quando chiama i nonni a contribuire al loro mantenimento, se i genitori non hanno sufficienti mezzi; né le regole dell'obbligazione alimentare fanno differenze di tal fatta tra ascendenti e discendenti, per fondare i doveri di solidarietà.

Se unico è lo stato di figlio, fondato sulla verità e sulla responsabilità, medesima è l'esigenza di superare l'ostacolo dell'assenza o della distruzione delle registrazioni anagrafiche: da qui la proposta di regolare anche per i figli nati fuori del matrimonio la prova fondata sul possesso di stato.

L'elemento della responsabilità, anche qui senza differenze, si accentua nella disciplina della potestà dei genitori, quando si regola la «cura» del figlio. Il dovere principale rimane quello di dare al figlio assistenza materiale, ma anche amore, attenzione e rispetto. E se nessun legislatore può imporre i sentimenti, però il rispetto si può imporre. E ciò si fa quando si dà spazio all'autodeterminazione del minore dotato di capacità di discernimento in tutte quelle decisioni che, più di altre, influiscono sulla sua persona e sulla sua personalità: frequentazioni, salute, professione religiosa, formazione professionale, ma anche consenso al riconoscimento, al mutamento del cognome e via via enumerando. Ma il rispetto significa anche prevedere come necessario e doveroso l'ascolto del minore in tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano. Le convenzioni internazionali in materia di minori enfatizzano il loro diritto a essere sempre ascoltati in ordine alle decisioni che riguardano la loro vita: il presente disegno di legge si propone di dare piena attuazione a tale previsione e di fare sì che il minore, per quanto possibile, diventi protagonista della propria vita, assumendo sempre più il genitore il compito di sostenerlo in una crescita che sviluppi le sue potenzialità e inclinazioni. Di qui anche la scelta di precisare il significato del termine «potestà», che per la sua derivazione romanistica induce chi lo utilizza a pensare più all'aspetto del potere e della correlativa soggezione che non all'aspetto della responsabilità e della correlativa fiducia.

Infine, può sembrare di poco momento preoccuparsi di espungere dall'ordinamento ogni riferimento all'origine «legittima» o «naturale», riferimento tradizionalmente carico di significati disdicevoli: e invece questo pare non solo una modesta ma doverosa riparazione di secoli e secoli di discriminazione, ma altresì un'iniziativa ricca di conseguenze promozionali per il definitivo cambio della percezione sociale del fenomeno.

Il cammino di riforma degli istituti che disciplinano la famiglia, iniziato con il codice del 1942 e giunto a maturazione con la riforma del 1975, non è ancora completo: permangono nella disciplina codicistica antinomie, residui del passato, disposizioni del tutto superate dall'evoluzione dei tempi, la cui esistenza è spesso ignorata dalle persone comuni, il cui sentire diverge in modo assoluto dalla previsione di legge. Il presente disegno di legge ha dunque per fine la piena attuazione dell'articolo 30, primo e terzo comma, della Costituzione, eliminando definitivamente dall'ordinamento ogni traccia, anche lessicale, di ingiustificata difformità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori del matrimonio.

Resta, naturalmente, la distinzione dell'origine, in quanto questa è prevista espressamente dalla Costituzione, che promuove e tutela in maniera peculiare la famiglia fondata sul matrimonio e che subordina la tutela dei figli nati fuori del matrimonio a un giudizio di compatibilità con i diritti dei membri di tale famiglia. Tale origine era un tempo segnata dalla distinzione tra figli legittimi e illegittimi, distinzione ormai da tempo sostituita da quella tra figli legittimi e figli naturali, che il disegno di legge si propone di mutare in quella tra «figli nati nel matrimonio» e «figli nati fuori del matrimonio», utilizzando la definizione scelta dalla Costituzione. Una distinzione che assume rilevanza ogniqualvolta dalla nascita nel matrimonio possano discendere effetti, sia pure esclusivamente morali, ovvero ogniqualvolta serva a far comprendere che una certa persona può essere figlio solo di determinate persone, in quanto venuto al mondo in costanza del loro matrimonio.

Tutto ciò premesso, è evidente come, accanto all'intervento immediatamente possibile e programmaticamente significativo sul codice civile, la scelta della delega sia quasi imposta dalla considerazione della miriade di disposizioni che si dovranno toccare, magari anche solo formalmente, compito che renderebbe estremamente difficoltoso il cammino di un disegno di legge che le volesse prevedere tutte.

L'esame dei singoli articoli del presente disegno di legge è utile per chiarire la portata dell'intervento.

L'articolo 1 interviene, come anticipato, direttamente sul codice civile, in particolare sostituendo la rubrica del titolo IX del libro primo e spostando il centro dell'attenzione dall'aspetto della potestà dei genitori a quello dei diritti dei figli nell'ambito di quella particolarissima relazione giuridica che lega il genitore al figlio minorenne.

In conseguenza di tale diverso approccio, viene sostituito l'articolo 315 del codice civile, con la specificazione non più solo dei doveri del figlio, ma, prima ancora, dei suoi diritti nell'ambito della relazione con i genitori e con i parenti in generale.

A fianco dunque dei doveri classici dei genitori - mantenimento, educazione e istruzione - il nuovo testo dell'articolo 315 pone poi anche l'assistenza morale, affermando il diritto del figlio a crescere con la propria famiglia, quello di avere rapporti con i parenti e quello di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Si tratta di modifiche rilevanti, anche se in larga misura anticipate dalla realtà sociale, dai princìpi stabiliti dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia» come, significativamente, l'intitolazione originaria è stata sostituita dalla legge 28 marzo 2001, n. 149.

Il fatto che provvedere alle necessità materiali e di istruzione del figlio non sia sufficiente a soddisfare l'obbligo del genitore e il diritto del figlio è cosa che la pedagogia, la sociologia e la stessa società hanno compreso da molto tempo; fino ad oggi il legislatore non aveva però avuto il coraggio di introdurre l'altro obbligo, quello morale, quello affettivo, nascondendosi dietro l'obiezione, pur fondata, che l'affetto non può imporsi per legge. La formula «assistenza morale», richiamandosi più all'azione che al sentimento, sembra poter ovviare a tale obiezione, pur riuscendo a introdurre nel rapporto genitori-figli un elemento che va oltre gli obblighi materiali, divenendo dovere di prestazione personale.

Il medesimo articolo 315 si occupa poi del diritto del figlio a esprimersi e ad essere ascoltato nelle questioni e nelle procedure che lo riguardano: si tratta di un esplicito richiamo ai princìpi sanciti da atti internazionali quali la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, il cui articolo 12 impone agli Stati Parti di garantire al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, e il conseguente diritto a che le sue opinioni siano debitamente prese in considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

Il nuovo articolo 315-bis del codice civile chiarisce che lo stato giuridico di tutti i figli è il medesimo e che le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, a meno che vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio.

L'articolo 2 contiene la delega al Governo a intervenire nella materia della filiazione per eliminare ogni residua ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo, nel rispetto di quanto previsto nella Carta costituzionale, dei princìpi enunciati all'articolo 1 e da quelli di seguito elencati nel medesimo articolo 2, comma 1.

La prima conseguenza è individuata dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo 2, che prevede l'unificazione dei capi I e II del titolo VII del libro primo del codice civile in un unico titolo rubricato «Dello stato di figlio». L'asse dell'interesse della normativa si sposta dunque dall'acquisto della qualità di figlio legittimo o naturale a quello dello stato di figlio. La distinzione, come si è già detto nella parte generale, resterà soltanto nei casi in cui l'indicazione dell'origine assuma un significato; scompare in tutti gli altri.

La medesima lettera a) prevede l'abrogazione dell'istituto della legittimazione per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice, stante la sopravvenuta inutilità di tale istituto.

La lettera b) del citato comma 1 dell'articolo 2 obbliga il legislatore delegato a fare una ricognizione puntuale di tutte le disposizioni vigenti nelle quali compaiano le espressioni «figlio legittimo» o «filiazione legittima» e «figlio naturale» o «filiazione naturale», con la conseguente necessità di sostituirle, rispettivamente, con quelle di «figlio nato nel matrimonio» e «filiazione nel matrimonio» ovvero di «figlio nato fuori del matrimonio» e «filiazione fuori del matrimonio». È del tutto evidente che si tratta solo di una modifica lessicale, ma è noto che spesso i cambiamenti culturali nascono proprio dai termini che si usano.

La disposizione sulla ridefinizione della disciplina del possesso di stato [lettera c) del medesimo comma 1 dell'articolo 2] è la conseguenza della sancita unicità dello stato giuridico di figlio. Tale unicità si riflette infatti nell'eguale efficacia probatoria del possesso di stato, anche relativamente alle persone nate fuori del matrimonio. Questa efficacia manifesta la sua piena rilevanza nelle ipotesi di mancanza o distruzione degli atti dello stato civile. Quando poi si tratta di persone che non sono state riconosciute, il possesso di stato supplisce alla mancanza di un formale atto di riconoscimento, in quanto il «fatto» del possesso di stato attesta obiettivamente la reciproca volontà del genitore e del figlio di accettare il rapporto di filiazione. Se, invece, il possesso di stato contrasta con lo stato risultante dagli atti dello stato civile, esso solo non può prevalere su quello stato. La rimozione dello stato formale di filiazione può infatti avere luogo solo a seguito dell'esperimento di un'azione di stato. L'efficacia probatoria del possesso di stato potrà allora essere valutata secondo la regola generale, dando ingresso, se del caso, alla prova genetica.

La disposizione sulla presunzione di paternità, di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell'articolo 2, intende eliminare le incongruenze dell'attuale disciplina codicistica in ordine all'azione di disconoscimento.

Una volta ammessa la presunzione di paternità con riguardo ai figli nati in costanza di matrimonio (così l'articolo 233 del codice civile), appare ingiustificato differenziarne l'operatività a seconda del momento della nascita. Nell'attuale formulazione del codice civile, il momento della nascita incide sull'esperibilità dell'azione, in quanto questa è ammessa in ogni caso se il figlio è nato nei primi sei mesi dal matrimonio, mentre è limitata se il figlio è nato in un tempo successivo (articolo 235).

Questa differenziazione ha peraltro perduto la sua primitiva ragion d'essere a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 266 del 21 giugno-6 luglio 2006, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 235, primo comma, numero 3), del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove genetiche o ematologiche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie. Questa sentenza ha reso irrilevante l'anteriore accertamento dell'infedeltà coniugale e ha aperto la via all'azione di disconoscimento sulla sola base delle prove genetiche o emobiologiche. La sostanziale liberalizzazione dell'azione rende ragionevole la sua generalizzata esperibilità (ancorché subordinata a requisiti di ammissibilità relativi all'esistenza di un principio di prova) nei confronti del figlio che sia comunque nato durante il matrimonio.

La disposizione sugli effetti del riconoscimento, di cui alla lettera e) del medesimo comma 1 dell'articolo 2, intende ordinare e modificare tali effetti in conformità al principio dell'identità dello stato giuridico di figlio.

Va osservato, in primo luogo, che l'acquisizione di questo stato rende il figlio partecipe della famiglia del genitore che lo ha riconosciuto. È questa partecipazione che occorre prevedere espressamente, sancendo il principio che il figlio riconosciuto è senz'altro parente dei parenti del suo genitore [numero 1)].

Richiedere l'assenso al riconoscimento da parte del riconoscendo che abbia compiuto quattordici anni - così abbassando il limite d'età ora fissato dall'articolo 250, secondo comma, del codice civile ai sedici anni - risponde all'esigenza di dare spazio all'autonomia del minore, che la legge riconosce già sufficientemente maturo per dare il consenso alla propria adozione, cioè per prendere una decisione non meno importante per la sua vita [numero 2)].

Il numero 3) prevede un intervento del legislatore delegato in tema di riconoscimento del figlio nato da una relazione incestuosa, sulla linea già tracciata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 20-28 novembre 2002 a proposito di dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità relativa al figlio nato da una relazione adulterina. Si prevede come necessaria l'autorizzazione giudiziale, quale forma di tutela del figlio stesso nei confronti di un'iniziativa che potrebbe essergli pregiudizievole, esponendolo al pericolo di un grave disagio familiare e sociale. La maggiore età non esclude la necessità dell'autorizzazione giudiziale in considerazione del grave pregiudizio che dal riconoscimento potrebbe derivare ai congiunti della persona riconosciuta.

Gli effetti del riconoscimento, per quanto attiene all'inserimento del figlio nella famiglia del genitore che lo ha riconosciuto [numero 4)] vanno coordinati con il principio, sancito dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, che indica come prioritaria la soluzione dell'affidamento condiviso e richiede che i provvedimenti relativi alla prole siano adottati con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Proprio l'interesse del figlio riconosciuto esige che si tenga conto anche dell'interesse del nucleo familiare del genitore con il quale il figlio dovrebbe convivere: interesse del nucleo familiare inevitabilmente correlato all'interesse del figlio, il quale sarebbe pregiudicato dall'inserimento in una famiglia che non lo voglia accogliere. Questi reciproci interessi devono essere salvaguardati quale che sia la natura del nucleo familiare nel quale il genitore vorrebbe inserire il figlio. Da ciò consegue la necessità del consenso dell'altro coniuge o convivente e l'ascolto degli altri figli conviventi, nei termini già esplicitati illustrando il nuovo testo dell'articolo 315, secondo comma, del codice civile.

In ragione dell'identità dello stato di figlio il divieto di riconoscimento va esteso espressamente a tutti i casi in cui esso contrasti con lo stato di filiazione già acquisito dalla persona che si vorrebbe riconoscere [numero 5)]. Se lo stato di filiazione dipende da un precedente riconoscimento, è necessario che il nuovo riconoscimento sia preceduto dall'impugnazione del primo riconoscimento e il precedente stato sia quindi rimosso mediante sentenza.

La disposizione di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 2 intende introdurre un limite temporale all'impugnazione del riconoscimento, al fine di tutelare la stabilità di un vincolo vissuto e confermato dal possesso di stato protratto nel tempo. Appare però giustificato differenziare questa situazione rispetto a quelle in cui la perpetuità dell'azione trae ragione dall'esigenza di ristabilire la verità occultata da fatti di alterazione dello stato.

Le disposizioni di cui alle lettere g) e h) del comma 1 dell'articolo 2 sono intese a una ridefinizione delle conseguenze della filiazione, tale da mettere in evidenza l'identità dei diritti e dei doveri dei genitori nei confronti dei figli. L'ufficio in cui si compendiano diritti e doveri dei genitori è per antica tradizione denominato «potestà». Tale denominazione, di origine romana, è stata conservata dal codice civile nella formula della patria potestà, convertita con la riforma del 1975 in potestà dei genitori. Essa evoca l'idea di un istituto incentrato sull'aspetto del potere e della correlativa soggezione. Occorre però prendere atto che il termine «potestà» non corrisponde più alla realtà di un rapporto in cui il momento prevalente è divenuto quello dei doveri genitoriali, rispetto ai quali i poteri hanno carattere strumentale: si ha il potere educativo per adempiere l'obbligo di educare il figlio; si ha il potere di amministrare i beni del figlio per adempiere l'obbligo di gestire diligentemente il suo patrimonio e così via.

Altri ordinamenti hanno sostituito l'antico termine con espressioni più idonee a esprimere l'idea di una posizione attribuita in ragione dell'interesse prioritario del figlio. In Germania, ad esempio, la potestà è divenuta cura (Sorge), mentre il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, ha adottato la locuzione «responsabilità genitoriale».

Non è dato tuttavia prevedere se gli Stati membri si adegueranno all'indicazione proveniente dalla terminologia del citato regolamento. La Francia, ad esempio, ha voluto mantenere il termine «autorité», in Spagna resta la «patria potestad»: anche nel nostro ordinamento non sembra necessario adottare un nuovo termine, che nel comune linguaggio sarebbe difficilmente recepito e che potrebbe ingenerare l'idea di una delegittimazione del ruolo genitoriale. Appare piuttosto opportuno che il legislatore indichi con chiarezza il contenuto della potestà e ne precisi il significato di ufficio nell'interesse dei figli mettendone in evidenza l'aspetto della responsabilità.

La disposizione sull'ascolto del minore, di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 2, intende richiamare la necessità di reimpostare le procedure attinenti alle materie trattate nel rispetto del principio, stabilito dal nuovo testo dell'articolo 315, secondo comma, del codice civile, dell'ascolto del minore capace di discernimento.

La disposizione sull'adeguamento della disciplina delle successioni [lettera l) del comma 1 dell'articolo 2] muove dal rilievo che l'identità dello stato di figlio, pur se nato fuori del matrimonio, e la sua partecipazione alla famiglia del genitore reclamano l'eliminazione di ogni discriminazione anche nel campo della successione a causa di morte. L'adeguamento deve rispondere all'idea che la parentela intercorrente tra il figlio nato fuori del matrimonio e i suoi parenti è senz'altro titolo per la successione legittima. Va eliminato anche il diritto che, pur dopo la riforma del 1975, il codice attribuisce ai figli «legittimi» consentendo loro di estromettere dalla comunione ereditaria i figli «naturali». In quanto eguale diritto non sussiste nei confronti dei coeredi estranei, si evidenzia la discriminazione in tal modo sancita a carico dei figli nati fuori del matrimonio.

Del pari, in tema di donazioni, la norma sulla revoca per sopravvenienza di figli richiede solo un adeguamento terminologico, analogo a quello richiesto per la norma sulla revoca del testamento.

La lettera m) del comma 1 dell'articolo 2 prevede l'adeguamento e il riordino dei criteri di collegamento che la legge 31 maggio 1995, n. 218, stabilisce a proposito della legge regolatrice della filiazione (articolo 33), legittimazione (articolo 34), riconoscimento di figlio naturale (articolo 35) e rapporti fra adottato e famiglia adottiva (articolo 39), tenendosi presente che la configurazione dei diritti del figlio - quali diritti della persona - richiede un attento vaglio alla luce dei princìpi dell'ordine pubblico internazionale (articolo 16) e dell'eventuale individuazione di norme di applicazione necessaria (articolo 17).

L'articolo 2, comma 2, completa il quadro degli interventi che il legislatore delegato dovrà operare, innanzitutto con riferimento alle norme per l'attuazione del codice civile, e quindi con riferimento alle altre norme vigenti, quale disposizione di chiusura.

L'articolo 2, commi 3 e 4, indica la procedura con cui il decreto o i decreti legislativi dovranno essere elaborati, approvati, emanati ed eventualmente corretti. Dalla concorrenza delle competenze di più Ministeri deriva la previsione della coproponenza da parte del Ministro delle politiche per la famiglia, del Ministro della giustizia e del Ministro per i diritti e le pari opportunità.

Infine, l'articolo 3 prevede l'emanazione di un regolamento volto ad apportare le modifiche necessarie, conseguenti alla nuova impostazione del regime della filiazione, al regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

Il disegno di legge in esame non comporta nuovi oneri per il bilancio dello Stato. Le modifiche introdotte direttamente al codice civile, infatti, e i princìpi e criteri direttivi dettati in sede di delega non hanno conseguenze di natura finanziaria.



 

 

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

1. Aspetti tenico-normativi in senso stretto.

A) Necessità dell'intervento normativo.

L'intervento è reso necessario dall'opportunità di eliminare ogni residua discriminazione in materia di filiazione. È altresì reso necessario dalla ratifica da parte dell'Italia di importanti accordi internazionali (quali la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla legge n. 77 del 2003) nonché dalla partecipazione dell'Italia alla produzione normativa europea (in particolare con riferimento al regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale).

B) Analisi del quadro normativo.

La disciplina della filiazione è contenuta prevalentemente nel codice civile, al titolo VII del libro primo. Norme connesse sono quelle contenute nelle disposizioni di attuazione del codice civile, quelle in tema di adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184), di diritto internazionale privato (legge 31 maggio 1995, n. 218), di separazione dei genitori e affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54), di ordinamento dello stato civile (regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396).

C)Incidenza delle norme proposte sulle norme e i regolamenti vigenti.

Il disegno di legge interviene sulla disciplina del codice civile in tema di filiazione, in particolare prevedendo la sostituzione dell'articolo 315 e l'introduzione dell'articolo 315-bis e dettando i criteri di delega per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile, nonché delle disposizioni ad esse connesse.

D)Analisi della compatibilità con le competenze delle regioni ordinarie ed a statuto speciale.

La materia riguarda l'ordinamento civile ed è pertanto di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, lettera l), della Costituzione.

E)Verifica della coerenza con le fonti legislative primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni ed agli enti locali.

Si rinvia a quanto esposto alla lettera D).

F)Verifica dell'assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione della possibilità di delegificazione.

Non risultano rilegificazioni in materia e non si opera nell'ambito di delegificazione.

2. Elementi di drafting e linguaggio normativo.

A)Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte nel testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso.

Il testo contiene due nuove definizioni in tema di filiazione: quelle di «figli nati nel matrimonio» e di «figli nati fuori del matrimonio», al posto delle vigenti definizioni di «figli legittimi» e di «figli naturali». Le definizioni predette attengono anche all'espressione «filiazione». Le nuove definizioni sono più coerenti con il dettato costituzionale (articolo 30) e con il principio di eguaglianza dei figli che si vuole introdurre. In particolare, si vuole abbandonare la definizione di figli (e filiazione) «legittimi» che, pur con l'abolizione della contrapposta definizione di «illegittimi», richiama ancora un giudizio di disvalore sociale che non sussiste più nel comune sentire e che soprattutto non può essere collegato allo stato di figlio.

B)Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni ed integrazioni subite dal medesimo.

I riferimenti normativi sono corretti.

C)Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni ed integrazioni a disposizioni vigenti.

La tecnica della novella legislativa è direttamente utilizzata, all'articolo 1, per la sostituzione della rubrica del titolo IX del libro primo e del testo dell'articolo 315 del codice civile, nonché per l'introduzione dell'articolo 315-bis del medesimo codice. A tale tecnica si farà poi ampio ricorso nei decreti legislativi attuativi dell'articolo 2.

D)Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo.

I decreti legislativi delegati dovranno prevedere le espresse abrogazioni normative.

 3. Ulteriori elementi.

A)Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o su analogo oggetto.

La giurisprudenza di merito e di legittimità ha da tempo e in maniera unanime applicato il principio della sostanziale equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi, a meno che espresse disposizioni non prevedessero specifiche differenziazioni: proprio queste ultime sono state modificate al fine di eliminare ogni residua discriminazione. In ordine alla giurisprudenza costituzionale sono da segnalare la sentenza n. 266 del 2006, relativa alla rilevanza della prova genetica in tema di azione di disconoscimento di paternità, nonché la sentenza n. 494 del 2002, sulla possibilità di azione per la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità e delle relative indagini nei casi in cui il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.

B) Verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento e relativo stato dell'iter.

Vertono su materia analoga: a) al Senato della Repubblica: l'atto Senato n. 28, del senatore Roberto Manzione, recante «Modifiche al codice civile in materia di facoltà di commutazione dei figli legittimi nella spartizione dell'eredità»; l'atto Senato n. 1090, dei senatori Olimpia Vano e altri, recante «Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza dei diritti successori dei figli naturali e dei figli legittimi», entrambi assegnati alle competenti Commissioni parlamentari ma di cui non è ancora iniziato l'esame; b) alla Camera dei deputati: l'atto Camera n. 1108, dell'onorevole Cesare Campa, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio, fatta a Strasburgo il 15 ottobre 1975»; l'atto Camera n. 1613, dell'onorevole Donatella Poretti, recante «Modifiche al codice civile in materia di figli legittimi e naturali», entrambi assegnati alle competenti Commissioni parlamentari ma di cui non è ancora iniziato l'esame.

Tutti i progetti di legge citati sono stati presi in considerazione ai fini della predisposizione del presente disegno di legge e molte delle proposte ivi contenute sono state in esso riprese.


 

ANALISI DELL'IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)

A)Ambito dell'intervento; destinatari diretti e indiretti.

Destinatario diretto dell'intervento è il Governo, delegato ad adottare uno o più decreti legislativi. Destinatari indiretti sono tutti i soggetti privati, genitori e figli.

B) Obiettivi e risultati attesi.

Eliminare ogni residua discriminazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, a partire dalla distinzione terminologica (che sostituisce quelle di «figli legittimi» e di «figli naturali»), compatibilmente con il dettato costituzionale.

C)Impatto diretto e indiretto sull'organizzazione e sulle attività delle pubbliche amministrazioni.

Le modifiche normative che si introducono direttamente e che si introdurranno con i decreti legislativi delegati non avranno alcun impatto sull'organizzazione e sulle attività delle pubbliche amministrazioni.

D) Impatto sui destinatari indiretti, stima degli effetti immediati e differiti della nuova normativa sulle varie categorie di soggetti interessati.

Con il tempo le nuove disposizioni dovrebbero condurre a una sostanziale equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio.

E) Aree di criticità.

Non si evidenziano aree di criticità.

F)Opzioni alternative alla regolazione ed opzioni regolatorie, valutazione delle opzioni regolatorie possibili.

L'opzione regolatoria alternativa sarebbe la predisposizione di un disegno di legge articolato con disposizioni che modifichino direttamente le norme del codice civile, delle disposizioni per l'attuazione dello stesso codice, della legge sul diritto internazionale privato e le altre norme contenute in leggi vigenti in materia di filiazione. Si è ritenuto preferibile procedere con una delega in considerazione del numero delle disposizioni da modificare e della delicatezza della materia.


 


 disegno di legge

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Art. 1.

(Diritti e doveri dei figli).

1. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Dei diritti e dei doveri dei figli e delle relazioni tra genitori e figli».

2. L'articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 315. - (Diritti e doveri dei figli). - Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha altresì diritto di crescere in famiglia, di mantenere rapporti significativi con i parenti e, se capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

3. Dopo l'articolo 315 del codice civile è inserito il seguente:

«Art. 315-bis. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.

Le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli senza distinzioni, salvo che si tratti di disposizioni specificamente riferite ai figli nati nel matrimonio o a quelli nati fuori del matrimonio».

Art. 2.

(Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione per eliminare ogni residua discriminazione tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo, nel rispetto di quanto previsto nell'articolo 30 della Costituzione, osservando, oltre che i princìpi di cui agli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e introdotto dall'articolo 1 della presente legge, i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) unificazione dei capi I e II del titolo VII del libro primo del codice civile, con la sostituzione della rubrica del medesimo titolo VII con la seguente: «Dello stato di figlio» e apportando ad esso tutte le modificazioni conseguenti, tra cui, in particolare: trasposizione dei contenuti della sezione I del capo I in un nuovo capo I, avente la seguente rubrica: «Della presunzione di paternità»; trasposizione dei contenuti della sezione II del capo I in un nuovo capo II, avente la seguente rubrica: «Delle prove della filiazione»; trasposizione dei contenuti della sezione III del capo I in un nuovo capo III, avente la seguente rubrica: «Dell'azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio»; trasposizione dei contenuti del paragrafo 1 della sezione I del capo II in un nuovo capo IV, avente la seguente rubrica: «Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio»; trasposizione dei contenuti del paragrafo 2 della sezione I del capo II in un nuovo capo V, avente la seguente rubrica: «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità»; abrogazione della sezione II del capo II. Nell'esercizio della delega si provvede altresì all'abrogazione delle altre disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione;

b) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» con riferimenti ai «figli nati nel matrimonio» e ai «figli nati fuori del matrimonio» e dei riferimenti alla «filiazione legittima» e alla «filiazione naturale» con riferimenti alla «filiazione nel matrimonio» e alla «filiazione fuori del matrimonio», nei casi in cui la distinzione assume rilevanza; eliminazione di ogni distinzione non necessaria;

c) ridefinizione della disciplina del possesso di stato, della prova della filiazione e degli effetti anche verso i figli nati fuori del matrimonio;

d) estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all'articolo 235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali;

e) modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, con la previsione che:

1) il riconoscimento produca effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua;

2) sia necessario l'assenso del figlio che ha compiuto i quattordici anni di età;

3) il riconoscimento dei figli nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta, all'infinito, o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, sia consentito solo previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio, e che la disciplina della dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità e quella del riconoscimento siano anche in tali casi adeguate ai princìpi costituzionali;

4) la disciplina attinente all'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell'uno o dell'altro genitore sia adeguata alla disciplina in materia di affidamento condiviso, prevedendo il consenso dell'altro coniuge e l'ascolto degli altri figli conviventi;

5) il principio dell'inammissibilità del riconoscimento di cui all'articolo 253 del codice civile sia esteso a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o dichiarato da un'altra persona;

f) modificazione della disciplina dell'impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell'imprescrittibilità dell'azione solo per il figlio e con l'introduzione di un termine per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati;

g) unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio;

h) specificazione del contenuto dei diritti, dei poteri e dei doveri dei genitori con la valorizzazione del principio di responsabilità nei confronti dei figli;

i) conferma della previsione dell'ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento nelle procedure previste dalla presente legge;

l) adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio;

m) adattamento e riordino dei criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l'individuazione, nell'ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione dei princìpi della presente legge e di quelli affermati nella giurisprudenza civile e costituzionale.

2. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 provvedono, altresì, ad effettuare il necessario coordinamento con le disposizioni da essi recate delle norme per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 1.

3. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro delle politiche per la famiglia, del Ministro della giustizia e del Ministro per i diritti e le pari opportunità. Sugli schemi approvati dal Consiglio dei ministri esprimono il loro parere le Commissioni parlamentari competenti entro due mesi dalla loro trasmissione alle Camere. Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1 o successivamente, quest'ultimo termine è prorogato di sei mesi.

4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1 il Governo può adottare decreti correttivi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui ai commi 1 e 2 e con la procedura prevista dal comma 3.

Art. 3.

(Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile).

1. Con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge sono apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni.

 

 

 


Normativa di riferimento

 


 

Normativa nazionale

 


 

Costituzione della Repubblica Italiana.
(artt. 2, 3, 29, 30, 31, 117)

 

Art. 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

 

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [disp. att. Cost. XIV] (1) e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [Cost. 29, 37, 48, 51], di razza, di lingua [Cost. 6; disp. att. Cost. X], di religione [Cost. 8, 19, 20]; di opinioni politiche [Cost. 22], di condizioni personali e sociali.

 

E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

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(1) Per la salvaguardia dei diritti dell'uomo vedi la L. 4 agosto 1955, n. 848; L. 13 luglio 1966, n. 653; D.P.R. 14 aprile 1982, n. 217.

 

TITOLO II

Rapporti etico-sociali

 

 

Art. 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

 

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

 

Art. 30.

E' dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

 

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

 

La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

 

La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità

 

Art. 31.

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose.

 

Protegge la maternità e l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo [Cost. 37].

 

Art. 117.

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (1).

 

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

 

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

 

b) immigrazione;

 

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

 

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

 

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

 

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

 

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

 

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

 

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

 

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

 

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

 

n) norme generali sull'istruzione;

 

o) previdenza sociale;

 

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

 

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

 

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

 

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (2).

 

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato (3).

 

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (4).

 

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

 

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

 

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

 

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni (5).

 

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (6).

 

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(1) Per la sostituzione del presente comma vedi l'art. 39 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(2) Per la modifica del presente comma vedi l'art. 39 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(3) Per la modifica del presente comma vedi l'art. 39 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(4) Per la sostituzione del presente comma vedi l'art. 39 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(5) Per la sostituzione del presente comma vedi l'art. 39 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(6) Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione delle norme contenute nel presente articolo vedi la L. 5 giugno 2003, n. 131. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «117. La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato. Altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».


 

Codice civile
(artt. 148, 231-290, 315-342, 565, 687)

 

 

Art. 148.

Concorso negli oneri.

I coniugi devono adempiere l'obbligazione prevista nell'articolo precedente in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo [c.c. 143]. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli [c.c. 433].

 

In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole.

 

Il decreto notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore, possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica (1).

 

L'opposizione è regolata dalle norme relative all'opposizione al decreto di ingiunzione [c.p.c. 645], in quanto applicabili.

 

Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento (2).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-14 giugno 2002, n. 236 (Gazz. Uff. 19 giugno 2002, n. 24 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost.

(2) Articolo così sostituito dall'art. 30, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 12-21 ottobre 2005, n. 394 (Gazz. Uff. 26 ottobre 2005, n. 43 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità degli artt. 261, 147 e 148, 2643, numero 8, 2652, 2653 e 2657 del codice civile, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

TITOLO VII

 

Della filiazione

 

Capo I

 

Della filiazione legittima

 

Sezione I

 

Dello stato di figlio legittimo

 

 

Art. 231.

Paternità del marito.

Il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio [c.c. 232, 235, 243, 252, 253, 433, n. 2, 468, 536, 566].

 

 

Art. 232.

Presunzione di concepimento durante il matrimonio.

Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni [c.c. 231, 233, 235, 253] dalla data dell'annullamento [c.c. 117], dello scioglimento [c.c. 149] o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

 

La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale [c.c. 151] o dalla omologazione di separazione consensuale [c.p.c. 711] ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 90, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 233.

Nascita del figlio prima dei centottanta giorni.

Il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità [c.c. 232, 235] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 91, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 234.

Nascita del figlio dopo i trecento giorni.

Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall'annullamento [c.c. 117], dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio [c.c. 149], è stato concepito durante il matrimonio.

 

Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale [c.c. 151], o dalla omologazione di separazione consensuale [c.c. 158] ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.

 

In ogni caso il figlio può proporre azione per reclamare lo stato di legittimo (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 92, L. 19 maggio 1975 n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 235.

Disconoscimento di paternità.

L'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:

 

1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita (1);

 

2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare [c.c. 122] (2);

 

3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità (3).

 

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

 

L'azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre (4).

 

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(1) Per il divieto di disconoscimento della paternità nel caso di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita vedi l'art. 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40.

 

 

(2) Per il divieto di disconoscimento della paternità nel caso di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita vedi l'art. 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40.

 

 

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 maggio 1985, n. 134 (Gazz. Uff. 15 maggio 1985, n. 113-bis), ha dichiarato, fra l'altro, la illegittimità dell'art. 244, secondo comma, c.c., nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie. Con sentenza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 266 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l'illegittimità del presente numero nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.

 

 

(4) Articolo così sostituito dall'art. 93, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 229 dello stesso provvedimento così dispone: «Le disposizioni sul disconoscimento di paternità, comprese quelle relative alla legittimazione attiva della madre e dei figli, si applicano anche ai figli nati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

L'azione del padre è proponibile se a tale data non sia decorso il termine stabilito dalla legge predetta, il quale è prorogato della metà se, alla medesima data, manca meno di un mese alla sua scadenza.

 

L'azione della madre deve riguardare i figli minori d'età ed essere proposta entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Entro lo stesso termine deve essere proposta l'azione del figlio se il termine stabilito dalla legge nei suoi confronti ha una scadenza anteriore».

 

La Corte costituzionale, con sentenza 26 marzo-1 aprile 1982, n. 64 (Gazz. Uff. 7 aprile 1982, n. 96), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 229 della L. 19 maggio 1975, n. 151, nella parte in cui non prevede che l'azione di disconoscimento di paternità sia proponibile dal padre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, nell'ipotesi che nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita la moglie abbia commesso adulterio. La stessa Corte, con sentenza 22-26 settembre 1998, n. 347 (Gazz. Uff. 30 settembre 1998, n. 39 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell'art. 235 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost. Con sentenza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 266 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.

 

 

Sezione II

 

Delle prove della filiazione legittima

 

Art. 236.

Atto di nascita e possesso di stato.

La filiazione legittima si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile [c.c. 238, 241, 451, 457] (1).

 

Basta in mancanza di questo titolo il possesso continuo dello stato di figlio legittimo [c.c. 131, 237, 240] (2).

 

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(1) Vedi gli artt. 28-30 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sull'ordinamento dello stato civile.

 

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 6-16 febbraio 2006, n. 61 (Gazz. Uff. 22 febbraio 2006, n. 8 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, Cost.

 

 

Art. 237.

Fatti costitutivi del possesso di stato.

Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgono a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere [c.c. 131, 236, 240, 241].

 

In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti:

 

che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere;

 

che il padre l'abbia trattata come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa;

 

che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali;

 

che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia [c.c. 238, 270] (1).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 6-16 febbraio 2006, n. 61 (Gazz. Uff. 22 febbraio 2006, n. 8 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, Cost.

 

 

Art. 238.

Atto di nascita conforme al possesso di stato.

Salvo quanto disposto dagli articoli 128, 233, 234, 235 e 239, nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all'atto stesso [c.c. 236, 237].

 

Parimenti non si può contestare la legittimità di colui il quale ha un possesso di stato conforme all'atto di nascita [c.c. 253] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 94, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 239.

Supposizione di parto o sostituzione di neonato.

Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato [c.p. 566, 567, 568], ancorché vi sia un atto di nascita conforme al possesso di stato [c.c. 238], il figlio può reclamare uno stato diverso, dando la prova della filiazione anche a mezzo di testimoni nei limiti e secondo le regole dell'articolo 241 [c.c. 249].

 

Parimenti si può contestare la legittimità del figlio dando anche a mezzo di testimoni, nei limiti e secondo le regole sopra indicati, la prova della supposizione o della sostituzione predette [c.c. 248].

 

 

Art. 240.

Mancanza dell'atto di matrimonio.

La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio [c.c. 130], qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato [c.c. 236, 237, 238, 452] che non sia in opposizione con l'atto di nascita.

 

 

Art. 241.

Prova con testimoni.

Quando mancano l'atto di nascita e il possesso di stato [c.c. 236, 237], o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come nato da genitori ignoti [c.p. 495], la prova della filiazione può darsi col mezzo di testimoni.

 

Questa prova non può essere ammessa che quando vi è un principio di prova per iscritto [c.c. 242, 2724, n. 1], ovvero quando le presunzioni [c.c. 2727] e gli indizi sono abbastanza gravi da determinare l'ammissione della prova.

 

 

Art. 242.

Principio di prova per iscritto.

Il principio di prova per iscritto [c.c. 241, 2724, n. 1] risulta dai documenti di famiglia, dai registri e dalle carte private del padre o della madre, dagli atti pubblici e privati provenienti da una delle parti che sono impegnate nella controversia o da altra persona, che, se fosse in vita, avrebbe interesse nella controversia.

 

 

Art. 243.

Prova contraria.

La prova contraria può darsi con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non è figlio della donna che egli pretende di avere per madre, oppure che non è figlio del marito della madre, quando risulta provata la maternità.

 

 

Sezione III

 

Dell'azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità

 

Art. 244.

Termini dell'azione di disconoscimento.

L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio [c.c. 245, 246] (1).

 

Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia (2).

 

L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio, entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.

 

L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore (3) (4).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 maggio 1985, n. 134 (Gazz. Uff. 15 maggio 1985, n. 113-bis), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità del presente articolo, secondo comma, nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie. La stessa Corte, con sentenza 10-14 maggio 1999, n. 170 (Gazz. Uff. 19 maggio 1999, n. 20 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) l'illegittimità del secondo comma del presente articolo, nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata dal numero 2) dell'art. 235 del codice civile, decorra per il marito dal giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare; b) in applicazione dell'art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità del primo comma del presente articolo, nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare di cui al numero 2) dell'art. 235 del codice civile, decorra per la moglie dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito.

 

 

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 maggio 1985, n. 134 (Gazz. Uff. 15 maggio 1985, n. 113-bis), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità del presente articolo, secondo comma, nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie. La stessa Corte, con sentenza 10-14 maggio 1999, n. 170 (Gazz. Uff. 19 maggio 1999, n. 20 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) l'illegittimità del secondo comma del presente articolo, nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata dal numero 2) dell'art. 235 del codice civile, decorra per il marito dal giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare; b) in applicazione dell'art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità del primo comma del presente articolo, nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare di cui al numero 2) dell'art. 235 del codice civile, decorra per la moglie dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito.

 

 

(3) Articolo così sostituito dall'art. 95, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Il quarto comma è stato, poi, così sostituito dall'art. 81, L. 4 maggio 1983, n. 184 recante disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori.

 

 

(4) La Corte costituzionale, con sentenza 26 marzo-1° aprile 1982, n. 64 (Gazz. Uff. 7 aprile 1982, n. 96), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Successivamente la stessa Corte, con sentenza 20-27 novembre 1991, n. 429 (Gazz. Uff. 4 dicembre 1991, n. 48 - Prima Serie speciale), ha dichiarato: a) non fondata ai sensi di cui in motivazione la questione di legittimità dell'ultimo comma del presente articolo in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.; b) inammissibile la medesima questione, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

 

Art. 245.

Sospensione del termine.

Se la parte interessata a promuovere l'azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente [c.c. 414], la decorrenza del termine indicato nell'articolo precedente è sospesa [c.c. 2964], nei suoi confronti sino a che dura lo stato di interdizione [c.c. 2941]. L'azione può tuttavia essere promossa dal tutore (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 96, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 246.

Trasmissibilità dell'azione.

Se il titolare dell'azione di disconoscimento della paternità muore senza averla promossa, ma prima che ne sia decorso il termine [c.c. 244], sono ammessi ad esercitarla in sua vece:

 

1) nel caso di morte del presunto padre o della madre, i discendenti e gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo;

 

2) nel caso di morte del figlio, il coniuge o i discendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 97, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 247.

Legittimazione passiva.

Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari [c.p.c. 102], nel giudizio di disconoscimento.

 

Se una delle parti è minore o interdetta, l'azione è proposta in contraddittorio con un curatore [c.p.c. 78] nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

 

Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato [c.c. 390, 415], l'azione è proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice.

 

Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti l'azione si propone nei confronti delle persone indicate nell'articolo precedente o, in loro mancanza, nei confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 98, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 248.

Legittimazione all'azione di contestazione della legittimità. Imprescrittibilità.

L'azione per contestare la legittimità spetta a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse.

 

L'azione è imprescrittibile [c.c. 2934].

 

Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.

 

Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 99, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 249.

Reclamo della legittimità.

L'azione per reclamare lo stato legittimo spetta al figlio; ma, se egli non l'ha promossa ed è morto in età minore o nei cinque anni dopo aver raggiunto la maggiore età [c.c. 2], può essere promossa dai discendenti di lui. Essa deve essere proposta contro entrambi i genitori e in loro mancanza, contro i loro eredi.

 

L'azione è imprescrittibile [c.c. 2934] riguardo al figlio [c.c. 248, 263, 2946].

 

Capo II

 

Della filiazione naturale e della legittimazione (1)

 

Sezione I

 

Della filiazione naturale (2)

 

§ 1 - Del riconoscimento dei figli naturali

 

 

Art. 250.

Riconoscimento.

Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente (3).

 

Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso.

 

Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i sedici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento (4).

 

Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. Se vi è opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l'intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante (5).

 

Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età (6).

 

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(1) Rubrica così modificata dall'art. 100, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi anche il terzo comma dell'art. 30 Cost.

 

 

(2) Rubrica così modificata dall'art. 101, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

(3) Vedi anche il R.D. 8 luglio 1938, n. 1415, di approvazione dei testi della legge di guerra e della legge di neutralità.

 

(4) La Corte costituzionale, con sentenza 14-19 gennaio 1987, n. 8 (Gazz. Uff. 28 gennaio 1987, n. 5 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

(5) La Corte costituzionale, con sentenza 14-19 gennaio 1987, n. 8 (Gazz. Uff. 28 gennaio 1987, n. 5 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

 

(6) Articolo così sostituito dall'art. 102, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Gli artt. 230 e 231 dello stesso provvedimento così dispongono: «230. Le disposizioni della presente legge relativa al riconoscimento dei figli naturali si applicano anche ai figli nati o concepiti prima della sua entrata in vigore.

Il riconoscimento di figli naturali, compiuto prima di tale data fuori dei casi in cui era ammesso secondo le leggi anteriori, non può essere annullato, se al momento in cui fu fatto concorrevano le condizioni per cui sarebbe ammissibile secondo le disposizioni della presente legge.

 

Tale riconoscimento vale anche agli effetti delle successioni aperte prima dell'entrata in vigore della presente legge, purché i diretti successori del figlio non siano esclusi con sentenza passata in giudicato o definiti con convenzione tra le parti interessate o non siano trascorsi tre anni dall'apertura della successione senza che il figlio abbia fatto valere alcuna ragione ereditaria sui beni della successione.

 

231. Nel caso di riconoscimento di minori che alla data di entrata in vigore della presente legge risultino affiliati od affidati a norma della L. 5 giugno 1967, n. 431, il tribunale per i minorenni decide in ordine all'affidamento, tenendo conto dell'interesse morale e materiale del minore».

 

 

Art. 251.

Riconoscimento di figli incestuosi.

I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado [c.c. 74, 75, 76], ovvero un vincolo di affinità [c.c. 78] in linea retta non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l'affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui [c.c. 128, 278, 281, 293].

 

Il riconoscimento è autorizzato dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 103, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 252.

Affidamento del figlio naturale e suo inserimento nella famiglia legittima.

Qualora il figlio naturale di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all'affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale.

 

L'eventuale inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice [disp. att. c.c. 38] qualora ciò non sia contrario all'interesse del minore e sia accertato il consenso dell'altro coniuge e dei figli legittimi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell'altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l'altro genitore.

 

Qualora il figlio naturale sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia legittima è subordinato al consenso dell'altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all'atto del matrimonio o l'altro coniuge conoscesse l'esistenza del figlio naturale.

 

È altresì richiesto il consenso dell'altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 104, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 231 dello stesso provvedimento così dispone: «Nel caso di riconoscimento di minori che alla data di entrata in vigore della presente legge risultino affiliati od affidati a norma della L. 5 giugno 1967, n. 431, il tribunale per i minorenni decide in ordine all'affidamento, tenendo conto dell'interesse morale e materiale del minore». La Corte costituzionale, con sentenza 4-17 giugno 1987, n. 229 (Gazz. Uff. 22 luglio 1987, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell'ultimo comma del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost.

 

 

Art. 253.

Inammissibilità del riconoscimento.

In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato in cui la persona si trova [c.c. 231, 232, 278, 281] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 105, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

 

 

Art. 254.

Forma del riconoscimento. (1)

Il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell'atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita [c.c. 250, 408, 411] o al concepimento [c.c. 401], davanti ad un ufficiale dello stato civile [o davanti al giudice tutelare] (2) o in un atto pubblico [c.c. 2699] o in un testamento [c.c. 256, 587], qualunque sia la forma di questo (3).

 

La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice o la dichiarazione della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo (4).

 

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(1) Formulazione così modificata dall'avviso di rettifica pubblicato sulla Gazz. Uff. 2 ottobre 1976, n. 263.

 

 

(2) Le parole fra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 138, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall'art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

 

 

(3) Vedi anche gli artt. 42 e 43, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sull'ordinamento dello stato civile.

 

 

(4) Articolo così sostituito dall'art. 106, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 255.

Riconoscimento di un figlio premorto.

Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti [c.c. 250, 282].

 

 

Art. 256.

Irrevocabilità del riconoscimento.

Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento [c.c. 254, 587, 679] ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 107, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 257.

Clausole limitatrici.

È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento [c.c. 250].

 

 

Art. 258.

Effetti del riconoscimento.

Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto [c.c. 250, 260, 261, 262, 277, 401, 536, 578, 592, 687] salvo i casi previsti dalla legge.

 

L'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.

 

Il pubblico ufficiale che le riceve e l'ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con l'ammenda (1) da lire quarantamila a lire centosessantamila. Le indicazioni stesse devono essere cancellate (2).

 

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(1) L'ammenda, così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, è commutata in sanzione pecuniaria amministrativa.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 108, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 259.

Introduzione del figlio naturale nella casa coniugale.

[Il figlio naturale di uno dei coniugi, riconosciuto durante il matrimonio [c.c. 250], non può essere introdotto nella casa coniugale se non col consenso dell'altro coniuge, salvo che questi abbia già dato il suo assenso al riconoscimento] [c.c. 284, n. 4] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 109, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 260.

Poteri dei genitori.

[Il genitore che ha riconosciuto il figlio naturale [c.c. 258] ha rispetto a lui i diritti derivanti dalla patria potestà [c.c. 315] tranne l'usufrutto legale [c.c. 324].

 

Se il riconoscimento è fatto dai due genitori, congiuntamente o separatamente, i diritti derivanti dalla patria potestà [c.c. 315] sono esercitati dal padre. In caso di morte del padre, di lontananza o di altro impedimento che renda a lui impossibile l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà [c.c. 2941, n. 2], e nel caso di decadenza da tali diritti secondo le norme del titolo IX di questo libro, questi diritti sono esercitati dalla madre [c.c. 317].

 

Se l'interesse del figlio lo esige, il tribunale può attribuire alla madre, invece che al padre, l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà; può altresì limitare l'esercizio di questi diritti, ovvero escludere dall'esercizio di essi, in casi gravi, tutti e due i genitori] [c.c. 277] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 109, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 261.

Diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento.

Il riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 110, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 12-21 ottobre 2005, n. 394 (Gazz. Uff. 26 ottobre 2005, n. 43 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità degli artt. 261, 147 e 148, 2643, n. 8, 2652, 2653 e 2657 del codice civile, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

 

Art. 262.

Cognome del figlio.

Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto [c.c. 258]. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre.

 

Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre.

 

Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa, l'assunzione del cognome del padre (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 111, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 18-23 luglio 1996, n. 297 (Gazz. Uff. 31 luglio 1996, n. 31 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo, nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale. La stessa Corte, con sentenza 6-16 febbraio 2006, n. 61 (Gazz. Uff. 22 febbraio 2006, n. 8 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, Cost.

 

 

Art. 263.

Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.

Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento [c.c. 250], da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse [c.c. 264, 265, 268].

 

L'impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione [c.c. 280, 715, 2934] (1).

 

L'azione è imprescrittibile [c.c. 248, 249, 2946] (2).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 16-30 dicembre 1987, n. 625 (Gazz. Uff. 8 gennaio 1988, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 29 e 30 Cost.

 

 

(2) Per il divieto di impugnazione del riconoscimento nel caso di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita vedi l'art. 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40. La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 maggio 1985, n. 134 (Gazz. Uff. 15 maggio 1985, n. 113-bis), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 30 Cost., secondo capoverso. La stessa Corte, con sentenza 8-18 aprile 1991, n. 158 (Gazz. Uff. 24 aprile 1991, n. 17 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 Cost.; con sentenza 22 aprile 1997, n. 112 (Gazz. Uff. 30 aprile 1997, n. 18 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost.

 

 

Art. 264.

Impugnazione da parte del riconosciuto.

Colui che è stato riconosciuto non può, durante la minore età [c.c. 2] o lo stato d'interdizione per infermità di mente [c.c. 414] impugnare il riconoscimento.

 

Tuttavia il giudice, con provvedimento in camera di consiglio [c.p.c. 737] su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell'altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il sedicesimo anno di età, può dare l'autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale [c.c. 263, 267, 268; c.p.c. 78] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 112, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

 

Art. 265.

Impugnazione per violenza.

Il riconoscimento può essere impugnato per violenza [c.c. 1434] dall'autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata.

 

Se l'autore del riconoscimento è minore [c.c. 2], l'azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell'età maggiore [c.c. 263, 268, 2964, 2968].

 

 

Art. 266.

Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale.

Il riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale [c.c. 414] dal rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione [c.c. 429], dall'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca [c.c. 268, 2964, 2968].

 

 

Art. 267.

Trasmissibilità dell'azione.

Nei casi indicati dagli articoli 265 e 266, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia scaduto il termine, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi [c.c. 246, 264, 270, 2964].

 

 

Art. 268.

Provvedimenti in pendenza del giudizio.

Quando è impugnato il riconoscimento [c.c. 263, 264, 265, 266], il giudice può dare, in pendenza del giudizio, i provvedimenti che ritenga opportuni nell'interesse del figlio (1).

 

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(1) Vedi, anche, gli artt. 48 e 49 D.PR. 3 novembre 2000, n. 396, sull'ordinamento dello stato civile.

 

 

§ 2 - Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale

 

 

Art. 269.

Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. (1)

La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.

 

La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.

 

La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.

 

La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale (2).

 

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(1) Vedi, la L. 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza ed il relativo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572.

Vedi, anche, l'art. 30, Cost. L'art. 1, L. 23 novembre 1971, n. 1047, sulla proroga dei termini per la dichiarazione di paternità, così dispone: «L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità può essere proposta dai figli nati prima del 1 luglio 1939 anche nei casi previsti ai nn. 1, 2 e 4 dell'art. 269 c.c., entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Nei casi preveduti dall'art. 252 c.c. l'azione può essere proposta anche successivamente a tale termine, purché entro i due anni dallo scioglimento del matrimonio, o dalla cessazione degli effetti civili di esso.

 

Nei casi preveduti dal n. 2 dell'art. 269 c.c. l'azione può essere proposta anche dopo la scadenza del termine indicato nel primo comma, purché entro i due anni dal giorno in cui è passata in giudicato la sentenza o è stato scoperto il documento contenente la dichiarazione di paternità.

 

Nei processi in corso la presente disposizione si applica d'ufficio in ogni fase e grado di giudizio».

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 113, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

L'art. 232 dello stesso provvedimento così dispone: «Le disposizioni della presente legge relative all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, nonché alle azioni previste dall'art. 279 c.c., si applicano anche ai figli nati o concepiti prima della sua entrata in vigore».

 

 

Art. 270.

Legittimazione attiva e termine.

L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale è imprescrittibile riguardo al figlio.

 

Se il figlio muore prima di avere iniziato l'azione, questa può essere promossa dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte.

 

L'azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 114, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 271.

Legittimazione attiva e termine.

[L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità naturale può essere promossa dal figlio entro i due anni dal raggiungimento della maggiore età [c.c. 273, 274, 276] o, nel caso indicato nel secondo comma dell'articolo 252, dalla data dello scioglimento del matrimonio per effetto della morte del coniuge, se lo scioglimento avviene successivamente al raggiungimento della maggiore età. Se egli muore prima di tale termine, l'azione può essere promossa dai discendenti legittimi di lui [c.c. 267].

 

Nei casi preveduti dal n. 2 dell'articolo 269 l'azione può essere promossa anche dopo la scadenza del termine indicato nel comma precedente, entro i due anni dal giorno in cui è passata in giudicato la sentenza [c.p.c. 324; c.p.p. 648] o è stato scoperto il documento contenente la dichiarazione di paternità [c.c. 279, n. 1, 2694].

 

L'azione già promossa dal figlio, se egli muore, non può essere proseguita che dai suoi discendenti legittimi] [c.c. 272] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 115, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 272.

Dichiarazione giudiziale di maternità.

[La maternità può essere dichiarata giudizialmente anche fuori dei casi previsti dall'articolo 269 [c.c. 278].

 

Essa è dimostrata provando l'identità di colui che si pretende essere il figlio e colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume esserne la madre.

 

L'azione può essere proposta dal figlio e, dopo la morte di lui, dai suoi discendenti legittimi, se egli è morto in età minore [c.c. 2] o prima di cinque anni dal raggiungimento della maggiore età [c.c. 271, 274, 276, 279].

 

L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio] [c.c. 248, 249, 263, 273, 2934, 2946] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 115, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 273.

Azione nell'interesse del minore o dell'interdetto.

L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità naturale [c.c. 269] può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall'articolo 316 o dal tutore. Il tutore [c.c. 357] però deve chiedere l'autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale (1).

 

Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di sedici anni.

 

Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice [disp. att. c.c. 38] (2).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 11-20 luglio 1990, n. 341 (Gazz. Uff. 25 luglio 1990, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento all'art. 3 Cost.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 116, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 21-25 maggio 1987, n. 193 (Gazz. Uff. 17 giugno 1987, n. 25 - Prima Serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, in riferimento all'art. 3 Cost.

 

 

Art. 274.

Ammissibilità dell'azione.

L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata (1) (2).

 

Sull'ammissibilità il tribunale [disp. att. c.c. 38] decide in camera di consiglio con decreto motivato [c.p.c. 737], su ricorso di chi intende promuovere l'azione, sentiti il pubblico ministero e le parti e assunte le informazioni del caso. Contro il decreto si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anche essa in camera di consiglio (3).

 

L'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta. Al termine della inchiesta gli atti e i documenti della stessa sono depositati in cancelleria ed il cancelliere deve darne avviso alle parti le quali, entro quindici giorni dalla comunicazione di detto avviso, hanno facoltà di esaminarli e di depositare memorie illustrative.

 

Il tribunale, anche prima di ammettere l'azione, può, se trattasi di minore o di altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio (4).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 117, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 11-20 luglio 1990, n. 341 (Gazz. Uff. 25 luglio 1990, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità dell'art. 274, primo comma, c.c., nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio.

 

 

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 19 giugno-3 luglio 1997, n. 216 (Gazz. Uff. 16 luglio 1997, n. 29 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 Cost.

 

 

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 19 giugno-3 luglio 1997, n. 216 (Gazz. Uff. 16 luglio 1997, n. 29 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 Cost.

 

 

(4) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 23 novembre 1971, n. 1047, sulla proroga dei termini per la dichiarazione di paternità. Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 6-10 febbraio 2006, n. 50 (Gazz. Uff. 15 febbraio 2006, n. 7 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo. In precedenza la stessa Corte, con sentenza 14-22 maggio 1974, n. 140 (Gazz. Uff. 29 maggio 1974, n. 139), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo in riferimento agli artt. 24 e 30, ultimo comma, Cost.; con sentenza 16-30 dicembre 1987, n. 621 (Gazz. Uff. 8 gennaio 1988, n. 1 - Prima Serie speciale), aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo in riferimento agli artt. 30 e 2 Cost.; con sentenza 1-19 giugno 1998, n. 228 (Gazz. Uff. 1 luglio 1998, n. 26 - Prima serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., all'art. 31, primo e secondo comma, Cost. e all'art. 24, primo comma, Cost.

 

 

Art. 275.

Pena in caso di inammissibilità.

[Il tribunale, se dichiara inammissibile l'azione [c.c. 279], può condannare l'istante al pagamento di una pena pecuniaria da lire trecento a lire cinquemila] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 118, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 276.

Legittimazione passiva.

La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi.

 

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse [c.p.c. 100].

 

 

Art. 277.

Effetti della sentenza.

La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento [c.c. 258].

 

Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui (1).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 119, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi, anche, l'art. 85, R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, sull'ordinamento dello stato civile.

 

 

Art. 278.

Indagini sulla paternità o maternità. (1)

Le indagini sulla paternità o sulla maternità non sono ammesse nei casi in cui, a norma dell'articolo 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato [c.c. 251, 253] (2).

 

Possono essere ammesse dal giudice quando vi è stato ratto o violenza carnale nel tempo che corrisponde a quello del concepimento (3).

 

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(1) Vedi, anche, la L. 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza ed il relativo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572.

 

 

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 20-28 novembre 2002, n. 494 (Gazz. Uff. 4 dicembre 2002, n. 48 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art. 251, primo comma, del codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.

 

 

(3) Articolo così sostituito dall'art. 120, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 279.

Responsabilità per il mantenimento e l'educazione.

In ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione. Il figlio naturale se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti [c.c. 433].

 

L'azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'articolo 274.

 

L'azione può essere promossa nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la potestà (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 121, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 232 dello stesso provvedimento così dispone: «Le disposizioni della presente legge relative all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, nonché alle azioni previste dall'art. 279 del codice civile, si applicano anche ai figli nati o concepiti prima della sua entrata in vigore».

 

 

Sezione II

 

Della legittimazione dei figli naturali

 

 

Art. 280.

Legittimazione.

La legittimazione attribuisce a colui che è nato fuori del matrimonio la qualità di figlio legittimo [c.c. 252, 263, 290, 291, 293, 433, n. 2, 468, 536, 567].

 

Essa avviene per susseguente matrimonio dei genitori del figlio naturale o per provvedimento del giudice (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 122, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi, anche, la L. 10 maggio 1976, n. 492, approvazione ed esecuzione della convenzione sulla legittimazione per matrimonio, firmata a Roma il 10 settembre 1970.

 

 

Art. 281.

Divieto di legittimazione.

Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti [c.c. 250, 251, 253] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 123, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 282.

Legittimazione di figli premorti.

La legittimazione dei figli premorti può anche aver luogo in favore dei loro discendenti legittimi e dei loro figli naturali riconosciuti [c.c. 255].

 

 

Art. 283.

Effetti e decorrenza della legittimazione per susseguente matrimonio.

I figli legittimati per susseguente matrimonio [c.c. 280, 290] acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se sono stati riconosciuti da entrambi i genitori nell'atto di matrimonio o anteriormente, oppure dal giorno del riconoscimento se questo è avvenuto dopo il matrimonio (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 124, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 284.

Legittimazione per provvedimento del giudice.

La legittimazione può essere concessa con provvedimento del giudice soltanto se corrisponde agli interessi del figlio ed inoltre se concorrono le seguenti condizioni:

 

1) che sia domandata [c.c. 254] dai genitori stessi [c.c. 578] o da uno di essi e che il genitore abbia compiuto l'età indicata nel quinto comma dell'articolo 250;

 

2) che per il genitore vi sia l'impossibilità o un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio;

 

3) che vi sia l'assenso dell'altro coniuge se il richiedente è unito in matrimonio e non è legalmente separato;

 

4) che vi sia il consenso del figlio legittimando se ha compiuto gli anni sedici, o dell'altro genitore o del curatore speciale, se il figlio è minore degli anni sedici, salvo che il figlio sia già riconosciuto.

 

La legittimazione può essere chiesta anche in presenza di figli legittimi o legittimati. In tal caso il presidente del tribunale deve ascoltare i figli legittimi o legittimati, se di età superiore ai sedici anni (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 125, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 233 dello stesso provvedimento così dispone: «La legittimazione per provvedimento del giudice si applica anche ai figli nati anteriormente all'entrata in vigore della presente legge. Dalla stessa data non possono essere proseguiti procedimenti per la legittimazione per decreto del Capo dello Stato, ma della presentazione della domanda di legittimazione a norma delle disposizioni anteriori si tiene conto agli effetti del secondo comma dell'art. 290 del codice civile».

 

 

 

Art. 285.

Condizioni per la legittimazione dopo la morte dei genitori.

Se uno dei genitori ha espresso in un testamento [c.c. 587] o in un atto pubblico [c.c. 2699] la volontà di legittimare i figli naturali, questi possono, dopo la morte di lui, domandare la legittimazione se sussisteva la condizione prevista nel numero 2) dell'articolo precedente.

 

In questo caso la domanda deve essere comunicata agli ascendenti, discendenti e coniuge o, in loro mancanza, a due tra i prossimi parenti del genitore entro il quarto grado [c.c. 76] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 126, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 286.

Legittimazione domandata dallo ascendente.

La domanda di legittimazione di un figlio naturale riconosciuto [c.c. 254] può in caso di morte del genitore essere fatta da uno degli ascendenti legittimi di lui, se il genitore non ha comunque espressa una volontà in contrasto con quella di legittimare [c.c. 285].

 

 

Art. 287.

Legittimazione in base alla procura per il matrimonio.

Nei casi in cui è consentito di celebrare il matrimonio per procura [c.c. 111] quando concorrono le condizioni per la legittimazione per susseguente matrimonio la legittimazione dei figli naturali con provvedimento del giudice può essere domandata in base alla procura a contrarre il matrimonio, se questo non poté essere celebrato per la sopravvenuta morte del mandante [c.c. 285].

 

Quando i figli non sono stati riconosciuti, per domandarne la legittimazione è necessario che dalla procura risulti la volontà di riconoscerli o di legittimarli (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 127, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 288.

Procedura. (1)

La domanda di legittimazione accompagnata dai documenti giustificativi deve essere diretta al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza [c.c. 254, 284].

 

Il tribunale, sentito il pubblico ministero, accerta la sussistenza delle condizioni stabilite negli articoli precedenti e delibera, in camera di consiglio [c.p.c. 737] sulla domanda di legittimazione.

 

Il pubblico ministero e la parte possono, entro venti giorni dalla comunicazione, proporre reclamo alla corte d'appello. Questa, richiamati gli atti dal tribunale, delibera in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

 

In ogni caso la sentenza che accoglie la domanda è annotata in calce all'atto di nascita del figlio (2).

 

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(1) Vedi il R.D. 20 settembre 1934, n. 1579 recante norme di attuazione e transitorie del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404 sulla istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni. Vedi, anche, l'art. 49, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sull'ordinamento dello stato civile e gli artt. 50 e 58 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 128, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi, anche, la L. 14 aprile 1982, n. 164, recante norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

 

 

Art. 289.

Azioni esperibili dopo la legittimazione.

La legittimazione per provvedimento del giudice non impedisce l'azione ordinaria per la contestazione dello stato di figlio legittimato per la mancanza delle condizioni indicate nel numero 1) dell'articolo 284, negli articoli 285, 286, e 287, ferma restando la disposizione dell'articolo 263.

 

Se manca la condizione indicata nel numero 3) dell'articolo 284 la contestazione può essere promossa soltanto dal coniuge del quale è mancato l'assenso (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 129, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 290.

Effetti e decorrenza della legittimazione per provvedimento del giudice.

La legittimazione per provvedimento del giudice produce gli stessi effetti della legittimazione per susseguente matrimonio [c.c. 283, 288], ma soltanto dalla data del provvedimento e nei confronti del genitore riguardo al quale la legittimazione è stata concessa [c.c. 280].

 

Se il provvedimento interviene dopo la morte del genitore, gli effetti risalgono alla data della morte, purché la domanda di legittimazione non sia stata presentata dopo un anno da tale data [c.c. 285] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 130, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 233 dello stesso provvedimento così dispone: «La legittimazione per provvedimento del giudice si applica anche ai figli nati anteriormente all'entrata in vigore della presente legge. Dalla stessa data non possono essere proseguiti procedimenti per la legittimazione per decreto del Capo dello Stato, ma della presentazione della domanda di legittimazione a norma delle disposizioni anteriori si tiene conto agli effetti del secondo comma dell'art. 290 del codice civile».

 

 

TITOLO IX

Della potestà dei genitori (1)

 

Art. 315.

Doveri del figlio verso i genitori.

Il figlio deve rispettare i genitori [c.c. 300, 358] e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa (2).

 

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(1) Rubrica così modificata dall'art. 136, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 137, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 316.

Esercizio della potestà dei genitori. (1)

Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore [c.c. 2] o alla emancipazione [c.c. 390].

 

La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.

 

In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

 

Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili.

 

Il giudice [disp. att. c.c. 38], sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio (2).

 

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(1) Vedi l'art. 146, L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 138, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 317.

Impedimento di uno dei genitori.

Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l'esercizio della potestà, questa è esercitata in modo esclusivo dall'altro.

 

La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione [c.c. 150], di scioglimento [c.c. 149], di annullamento [c.c. 117] o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i figli vengono affidati ad uno di essi. L'esercizio della potestà è regolato in tali casi, secondo quanto disposto nell'articolo 155 (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 139, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 317-bis.

Esercizio della potestà.

Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale [c.c. 250] spetta la potestà su di lui.

 

Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 316. Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice [disp. att. c.c. 38], nell'esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.

 

Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 140, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 24 gennaio-5 febbraio 1996, n. 23 (Gazz. Uff. 14 febbraio 1996, n. 7 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del combinato disposto dell'art. 317-bis del codice civile e dell'art. 38 disp. att. c.c., in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost. La stessa Corte, con sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 451 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell'art. 317-bis del codice civile e dell'art. 38 disp. trans. c.c., in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.

 

 

Art. 318.

Abbandono della casa del genitore.

Il figlio non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la potestà né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare [c.c. 344] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 141, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 319.

Cattiva condotta del figlio.

[Il padre che non riesca a frenare la cattiva condotta del figlio, può, salva l'applicazione delle norme contenute nelle leggi speciali collocarlo in un istituto di correzione, con l'autorizzazione del presidente del tribunale [c.c. 359, 410, n. 1].

 

L'autorizzazione può essere chiesta anche verbalmente. Il presidente del tribunale, assunte informazioni, provvede con decreto senza formalità di atti e senza dichiarare i motivi.

 

Contro il decreto del presidente del tribunale è ammesso ricorso al presidente della corte di appello, il quale provvede sentito il pubblico ministero] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 142, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 320.

Rappresentanza e amministrazione.

I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni [c.c. 155, 334, 465, 643]. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.

 

Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell'articolo 316.

 

I genitori non possono alienare [c.c. 777; c.p.c. 733], ipotecare [c.c. 2806] o dare in pegno [c.c. 2784] i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni [c.c. 356, 471, 519, 782, 784], procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui [c.c. 1813] o locazioni ultranovennali [c.c. 1572] o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri [c.p.c. 806] giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare.

 

I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l'impiego.

 

L'esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l'autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sulla istanza.

 

Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa potestà, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la potestà, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all'altro genitore (1).

 

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(1) Articolo sostituito dall'art. 143, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 321.

Nomina di un curatore speciale.

In tutti i casi in cui i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, non possono o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedenti l'ordinaria amministrazione, il giudice [c.c. disp. att. c.c. 38], su richiesta del figlio stesso, del pubblico ministero o di uno dei parenti che vi abbia interesse, e sentiti i genitori, può nominare al figlio un curatore speciale [c.p.c. 78] autorizzandolo al compimento di tali atti (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 144, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 322.

Inosservanza delle disposizioni precedenti.

Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli [c.c. 320, 321] del presente titolo possono essere annullati su istanza dei genitori esercenti la potestà o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa [c.c. 1425, 1441] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 145, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 323.

Atti vietati ai genitori.

I genitori esercenti la potestà sui figli non possono, neppure all'asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona [c.c. 599] dei beni e dei diritti del minore [c.c. 1471, n. 3].

 

Gli atti compiuti in violazione del divieto previsto nel comma precedente possono essere annullati su istanza del figlio o dei suoi eredi o aventi causa [c.c. 322, 1425, 1442].

 

I genitori esercenti la potestà non possono diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore [c.c. 1260, 1261] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 146, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 324.

Usufrutto legale.

I genitori esercenti la potestà hanno in comune l'usufrutto [c.c. 1002] dei beni del figlio.

 

I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all'istruzione ed educazione dei figli.

 

Non sono soggetti ad usufrutto legale:

 

1) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

 

2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;

 

3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la potestà o uno di essi non ne abbiano l'usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima [c.c. 536, 537];

 

4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la potestà. Se uno solo di essi era favorevole all'accettazione, l'usufrutto legale spetta esclusivamente a lui (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 147, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 325.

Obblighi inerenti all'usufrutto legale.

Gravano sull'usufrutto legale gli obblighi propri dell'usufruttuario [c.c. 324, 1001] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 148, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 326.

Inalienabilità dell'usufrutto legale. Esecuzione sui frutti.

L'usufrutto legale non può essere oggetto di alienazione [c.c. 980, 1470], di pegno o di ipoteca né di esecuzione da parte dei creditori [c.c. 2784, 2810, 2910].

 

L'esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia [c.c. 170] (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 149, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 327.

Usufrutto legale di uno solo dei genitori.

Il genitore che esercita in modo esclusivo la potestà è il solo titolare dell'usufrutto legale (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 150, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 328.

Nuove nozze.

Il genitore che passa a nuove nozze [c.c. 1014] conserva l'usufrutto legale, con l'obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione di quest'ultimo (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 151, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 329.

Godimento dei beni dopo la cessazione dell'usufrutto legale.

Cessato l'usufrutto legale, se il genitore ha continuato a godere i beni del figlio convivente con esso senza procura ma senza opposizione, o anche con procura ma senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti esistenti al tempo della domanda [c.c. 217, 1148].

 

 

Art. 330.

Decadenza dalla potestà sui figli.

Il giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà [c.c. 320] quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.

 

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (1) (2).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 152, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi l'art. 1, secondo comma, L. 19 luglio 1991, n. 216, sui primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose.

(2) Comma così modificato dall'art. 37, L. 28 marzo 2001, n. 149. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare».

 

Art. 331.

Passaggio della patria potestà alla madre.

[Quando, pronunziata la decadenza [c.c. 330], l'esercizio della patria potestà passa alla madre [c.c. 317, 327], il tribunale può in speciali circostanze impartire disposizioni alle quali la madre deve attenersi [c.c. 37]. Il tribunale, può anche ordinare che il figlio venga allontanato dalla casa paterna] [c.c. 333, 336] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 153, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 332.

Reintegrazione nella potestà.

Il giudice (1) può reintegrare nella potestà il genitore che ne è decaduto [c.c. 330], quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio [c.c. 336, 402] (2).

 

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(1) A norma dell'art. 38 disp. att. c.c. la competenza appartiene al tribunale per i minorenni.

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 154, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 333.

Condotta del genitore pregiudizievole ai figli.

Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice [disp. att. c.c. 38], secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (1).

 

Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento (2).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 37, L. 28 marzo 2001, n. 149. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare».

 

 

(2) Articolo così sostituito dall'art. 155, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi l'art. 1, secondo comma, L. 19 luglio 1991, n. 216, sui primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose.

 

 

Art. 334.

Rimozione dall'amministrazione.

Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni [c.c. 337] a cui i genitori devono attenersi nell'amministrazione o può rimuovere entrambi o uno solo di essi dall'amministrazione stessa e privarli, in tutto o in parte, dell'usufrutto legale [c.c. 320, 324, 336].

 

L'amministrazione è affidata ad un curatore, se è disposta la rimozione di entrambi i genitori (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 156, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 335.

Riammissione nell'esercizio della amministrazione.

Il genitore rimosso dall'amministrazione ed eventualmente privato dell'usufrutto legale può essere riammesso dal tribunale nell'esercizio dell'una o nel godimento dell'altro, quando sono cessati i motivi che hanno provocato il provvedimento [c.c. 336].

 

 

Art. 336.

Procedimento.

I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso [c.p.c. 737] dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.

 

Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito (1).

 

In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio (2) (3).

 

Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, [anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge] (4) (5).

 

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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 16-30 gennaio 2002, n. 1 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondate le questioni di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 30, primo comma, 31, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost.

 

 

(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 16-30 gennaio 2002, n. 1 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibili le questioni di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 111, primo e secondo comma, Cost.

 

 

(3) Articolo così sostituito dall'art. 157, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. Vedi, altresì, l'art. 1, secondo comma, L. 19 luglio 1991, n. 216, sui primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose. Il D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che, in via transitoria e fino alla emanazione di nuove disposizioni che regolano i procedimenti di cui al presente articolo e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai medesimi procedimenti continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data della sua entrata in vigore (27 aprile 2001, n.d.r.). Successivamente il comma 2 dell'art. 1, D.L. 1 luglio 2002, n. 126, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 2 agosto 2002, n. 175, ha disposto che, in via transitoria e fino alla emanazione di nuove disposizioni che regolano i procedimenti di cui al presente articolo, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai medesimi procedimenti continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 150 del 2001 sopracitato. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, convertito, in legge, con modificazioni, con L. 1° agosto 2003, n. 200, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, con L. 27 luglio 2004, n. 188, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito in legge, con modificazioni, con L. 17 agosto 2005, n. 168 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

(4) Comma aggiunto dall'art. 37, L. 28 marzo 2001, n. 149. Le parole tra parentesi quadre sono state abrogate dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto (1° luglio 2002).

 

(5) La Corte Costituzionale, con sentenza 16-30 gennaio 2002, n. 1 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 111 Cost.

 

 

 

Art. 337.

Vigilanza del giudice tutelare.

Il giudice tutelare [c.c. 344] deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della potestà [c.c. 316] e per l'amministrazione dei beni (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 158, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 338.

Condizioni imposte alla madre superstite.

[Il padre può per testamento [c.c. 587], per atto pubblico [c.c. 2699] o per scrittura privata autenticata [c.c. 2703] stabilire condizioni alla madre superstite per l'educazione dei figli [c.c. 147, 317] e per l'amministrazione dei beni.

 

La madre, che non voglia accettare le condizioni, può domandare di essere dispensata dall'osservanza di esse; e il tribunale provvede in camera di consiglio [c.p.c. 737], assunte informazioni e sentito il pubblico ministero e, se possibile, i parenti sino al terzo grado] [c.c. 76] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 159, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 235 della suddetta legge così dispone: «Dall'entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia le condizioni stabilite dal padre ai sensi dell'abrogato art. 338 del codice civile per l'educazione dei figli e per l'amministrazione dei beni e non possono essere iniziate o proseguite azioni per l'inosservanza delle suddette condizioni. Dalla stessa data il curatore del nascituro cessa il diritto dal suo ufficio».

 

 

Art. 339.

Curatore del nascituro.

[Se alla morte del marito la moglie si trova incinta, il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, può nominare un curatore per la protezione del nascituro [c.c. 1, 784] e, occorrendo, per l'amministrazione dei beni di lui] [c.c. 462, 643, 784] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 159, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

 

Art. 340.

Nuove nozze della madre.

[La madre, che vuole passare a nuove nozze, deve darne notizia al tribunale prima che sia celebrato il matrimonio. Il tribunale, assunte le informazioni del caso e sentito il pubblico ministero, delibera se l'amministrazione dei beni possa esserle conservata [c.c. 341], oppure stabilisce condizioni, riguardo all'amministrazione stessa e all'educazione dei figli.

 

In caso di inosservanza della precedente disposizione la madre perde di diritto l'amministrazione [c.c. 328] e il marito è responsabile in solido dell'amministrazione esercitata in passato e di quella in seguito indebitamente conservata [c.c. 1292].

 

Il tribunale su istanza del pubblico ministero o dei parenti o anche d'ufficio, qualora non creda di riammettere la madre nell'amministrazione dei beni, delibera sulle condizioni da osservare per l'educazione dei figli e sulla nomina di un curatore ai loro beni [c.c. 335].

 

L'ufficiale dello stato civile, che celebra o trascrive il matrimonio della vedova, deve informarne il procuratore della Repubblica entro dieci giorni dalla celebrazione o dalla trascrizione] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 159, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. L'art. 236 della suddetta legge così dispone: «Dall'entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia i provvedimenti emanati dal tribunale ai sensi dell'abrogato art. 340 del codice civile e non possono essere iniziate o proseguite azioni per l'inosservanza, avvenuta in precedenza, dei suddetti provvedimenti».

 

 

Art. 341.

Responsabilità del nuovo marito.

[Quando la madre è mantenuta nella amministrazione dei beni o vi è riammessa, il marito s'intende sempre ad essa associato in quell'amministrazione e ne diviene responsabile in solido] [c.c. 340, 1292] (1).

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 159, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.

 

Art. 342.

Nuove nozze del genitore non ariano. (1)

 

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(1) Articolo abrogato dall'art. 1, R.D.L. 20 gennaio 1944, n. 25 e dall'art. 3, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 287, recante provvedimenti relativi alla riforma della legislazione civile.

 

 

TITOLO II

Delle successioni legittime

 

Art. 565.

Categorie dei successibili.

Nella successione legittima [c.c. 457, 553, 642] l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi [c.c. 567] e naturali, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato [c.c. 586] nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 183, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia. La Corte costituzionale, con sentenza 15 giugno-4 luglio 1979, n. 55 (Gazz. Uff. 11 luglio 1979, n. 189) ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 565 c.c., nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost. La stessa Corte, con sentenza 4-12 aprile 1990, n. 184 (Gazz. Uff. 18 aprile 1990, n. 16 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 565 c.c., riformato dall'art. 183 della legge sulla riforma del diritto di famiglia, nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore; successivamente, con sentenza 26 ottobre - 7 novembre 1994, n. 377 (Gazz. Uff. 16 novembre 1994, n. 47 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo in riferimento all'art. 3 Cost. e all'art. 30, terzo comma, Cost.; con sentenza 15-23 novembre 2000, n. 532 (Gazz. Uff. 29 novembre 2000, n. 49 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 3 Cost., all'art. 29, primo comma, Cost. e all'art. 30, terzo comma, Cost. In precedenza la stessa Corte, con sentenza 18-26 maggio 1989, n. 310 (Gazz. Uff. 31 maggio 1989, n. 22 - Prima serie speciale), aveva dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.

I successori legittimi possono chiedere al tribunale la nomina del curatore dello scomparso (art. 48 c.c.) e la dichiarazione d'assenza (art. 49 c.c.).

 

Art. 687.

Revocazione per sopravvenienza di figli.

Le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti [c.c. 462], sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del testatore, benché postumo [c.c. 232], o legittimato [c.c. 280] o adottivo [c.c. 291], ovvero per il riconoscimento [c.c. 250] di un figlio naturale [c.c. 268, 803].

 

La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento, e, trattandosi di figlio naturale legittimato, anche se è già stato riconosciuto dal testatore prima del testamento e soltanto in seguito legittimato.

 

La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi.

 

Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione [c.c. 467], la disposizione ha il suo effetto.


 

L. 4 agosto 1955, n. 848.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952
(artt. 8, 12,16)

 

(1). (2) (3).

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 24 settembre 1955, n. 221.

(2) Il testo della Convenzione è stato modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, del Protocollo n. 5, ratificato con L. 19 maggio 1967, n. 448, del Protocollo n. 8, ratificato con L. 27 ottobre 1988, n. 496, del Protocollo n. 9, ratificato con L. 14 luglio 1993, n. 257, del Protocollo n. 10, ratificato con L. 2 gennaio 1995, n. 17 e del Protocollo n. 11, ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(3) Vedi, anche, il Protocollo n. 2, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, il Protocollo n. 4 reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1982, n. 217, il Protocollo n. 6, ratificato con L. 2 gennaio 1989, n. 8, il Protocollo n. 7, ratificato con L. 9 aprile 1990, n. 98 e il Protocollo n. 14 ratificato con L. 15 dicembre 2005, n. 280.

 

 

 

Art. 1. 

Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ed il Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

 

 

Art. 2. 

Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione e Protocollo suddetti, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore.

 

 

Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (4)

 

Traduzione non ufficiale

 

 

(omissis)

Art. 8.

Diritto al rispetto della vita privata e familiare (13).

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

 

2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

 

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(13) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(omissis)

 

Art. 12.

Diritto al matrimonio (17).

Uomini e donne in età maritale hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l'esercizio di tale diritto.

 

 

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(17) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

(omissis)

 

Art. 16

Restrizioni all'attività politica di stranieri (21).

Nessuna delle disposizioni degli articoli 10, 11 e 14 può essere interpretata nel senso che vieta alle Alte Parti Contraenti di porre limitazioni all'attività politica degli stranieri.

 

 

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(21) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(omissis)

 

 

 


 

L. 4 maggio 1983, n. 184.
Diritto del minore ad una famiglia.

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 17 maggio 1983, n. 133, S.O.

 

(2)  Titolo così sostituito dall'art. 1, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(3)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

 

- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 21 febbraio 1996, n. 42; Circ. 1 aprile 1999, n. 77;

 

- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 27 gennaio 2000, n. 25;

 

- Ministero dell'economia e delle finanze: Ris. 28 maggio 2004, n. 77/E;

 

- Ministero di grazia e giustizia: Circ. 15 luglio 1999, n. 4/99.

 

 

TITOLO I

Princìpi generali (4)

 

Art. 1.

1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.

 

2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.

 

3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma.

 

4. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge.

 

5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'àmbito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell'ordinamento (5).

 

 

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(4)  Rubrica così sostituita dall'art. 1, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(5)  Articolo così sostituito dall'art. 1, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

TITOLO I-bis

Dell'affidamento del minore (6)

 

Art. 2.

1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

 

2. Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.

 

3. In caso di necessità e urgenza l'affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all'articolo 1, commi 2 e 3.

 

4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.

 

5. Le regioni, nell'àmbito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi (7).

 

 

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(6)  Intitolazione aggiunta dall'art. 2, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(7)  Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 3.

1. I legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del capo I del titolo X del libro primo del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito.

 

2. Nei casi previsti dal comma 1, entro trenta giorni dall'accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico.

 

3. Nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della potestà, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati chiedono al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio (8).

 

 

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(8)  Articolo così sostituito dall'art. 3, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 4.

1. L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.

 

2. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

 

3. Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

 

4. Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.

 

5. L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.

 

6. Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto, ovvero intervenute le circostanze di cui al comma 5, sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l'adozione di ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore.

 

7. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato (9).

 

 

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(9)  Articolo così sostituito dall'art. 4, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 5.

1. L'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell' articolo 316 del codice civile. In ogni caso l'affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L'affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato.

 

2. Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari.

 

3. Le norme di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o che si trovino presso un istituto di assistenza pubblico o privato.

 

4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria (10).

 

 

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(10)  Articolo così sostituito dall'art. 5, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

TITOLO II

Dell'adozione

Capo I

Disposizioni generali

 

Art. 6.

1. L'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.

 

2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare.

 

3. L'età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l'età dell'adottando.

 

4. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.

 

5. I limiti di cui al comma 3 possono essere derogati, qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.

 

6. Non è preclusa l'adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato.

 

7. Ai medesimi coniugi sono consentite più adozioni anche con atti successivi e costituisce criterio preferenziale ai fini dell'adozione l'avere già adottato un fratello dell'adottando o il fare richiesta di adottare più fratelli, ovvero la disponibilità dichiarata all'adozione di minori che si trovino nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

 

8. Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono intervenire, nell'àmbito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all'inserimento sociale, fino all'età di diciotto anni degli adottati (11).

 

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(11)  Articolo così sostituito dall'art. 6, L. 28 marzo 2001, n. 149. La Corte costituzionale, con sentenza 18 marzo-1° aprile 1992, n. 148 (Gazz. Uff. 8 aprile 1992, n. 15 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, nella parte in cui non consentiva l'adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, nel caso in cui per uno di essi l'età degli adottanti superasse di più di quarant'anni l'età dell'adottando e dalla separazione fosse derivato ai minori un danno grave per il venir meno della comunanza di vita e di educazione; con sentenza 18-24 luglio 1996, n. 303 (Gazz. Uff. 31 luglio 1996, n. 31 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse disporre l'adozione, valutando esclusivamente l'interesse del minore, nel caso in cui l'età di uno dei coniugi adottanti superasse di oltre quaranta anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella di solito intercorsa tra genitori e figli, se dalla mancata adozione fosse derivato un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore; con sentenza 28 settembre-9 ottobre 1998, n. 349 (Gazz. Uff. 14 ottobre 1998, n. 41 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse disporre l'adozione, valutando esclusivamente l'interesse del minore, nel caso in cui l'età di uno dei coniugi adottanti non superasse di almeno diciotto anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella di solito intercorsa tra genitori e figli, se dalla mancata adozione fosse derivato un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore; con sentenza 5-9 luglio 1999, n. 283 (Gazz. Uff. 14 luglio 1999, n. 28, Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse disporre l'adozione, valutando esclusivamente l'interesse del minore, nel caso in cui l'età dei coniugi adottanti superasse di oltre quaranta anni l'età dell'adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorsa tra genitori e figli, se dalla mancata adozione fosse derivato un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.

 

 

Art. 7.

1. L'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti.

 

2. Il minore, il quale ha compiuto gli anni quattordici, non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso, che deve essere manifestato anche quando il minore compia l'età predetta nel corso del procedimento. Il consenso dato può comunque essere revocato sino alla pronuncia definitiva dell'adozione.

 

3. Se l'adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha un'età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento (12).

 

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(12)  Articolo così sostituito dall'art. 7, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Capo II

Della dichiarazione di adottabilità (13)

 

Art. 8.

1. Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.

 

2. La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare.

 

3. Non sussiste causa di forza maggiore quando i soggetti di cui al comma 1 rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice.

 

4. Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall'inizio con l'assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell'articolo 10 (14) (15).

 

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(13)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

(14)  Articolo così sostituito dall'art. 8, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(15)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 9.

1. Chiunque ha facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.

 

2. Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l'elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al tribunale, con ricorso, di dichiarare l'adottabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria, che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi (16).

 

3. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo.

 

4. Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. L'omissione della segnalazione può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.

 

5. Nello stesso termine di cui al comma 4, uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L'omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell' articolo 330 del codice civile e l'apertura della procedura di adottabilità (17) (18).

 

 

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(16)  La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-4 luglio 2002, n. 314 (Gazz. Uff. 10 luglio 2002, n. 27, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, n. 2, della legge 28 marzo 2001, n. 149, recte: art. 9, comma 2, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nel testo introdotto dall'art. 9 della legge 28 marzo 2001, n. 149, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31, secondo comma, e 32 della Costituzione.

 

(17)  Articolo così sostituito dall'art. 9, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(18)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 10.

1. Il presidente del tribunale per i minorenni o un giudice da lui delegato, ricevuto il ricorso di cui all'articolo 9, comma 2, provvede all'immediata apertura di un procedimento relativo allo stato di abbandono del minore. Dispone immediatamente, all'occorrenza, tramite i servizi sociali locali o gli organi di pubblica sicurezza, più approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono.

 

2. All'atto dell'apertura del procedimento, sono avvertiti i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore. Con lo stesso atto il presidente del tribunale per i minorenni li invita a nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per il caso che essi non vi provvedano. Tali soggetti, assistiti dal difensore, possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice.

 

3. Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della potestà dei genitori sul minore, la sospensione dell'esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.

 

4. In caso di urgente necessità, i provvedimenti di cui al comma 3 possono essere adottati dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato.

 

5. Il tribunale, entro trenta giorni, deve confermare, modificare o revocare i provvedimenti urgenti assunti ai sensi del comma 4. Il tribunale provvede in camera di consiglio con l'intervento del pubblico ministero, sentite tutte le parti interessate ed assunta ogni necessaria informazione. Deve inoltre essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. I provvedimenti adottati debbono essere comunicati al pubblico ministero ed ai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile (19) (20).

 

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(19)  Articolo così sostituito dall'art. 10, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(20)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 11.

Quando dalle indagini previste nell'articolo precedente risultano deceduti i genitori del minore e non risultano esistenti parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, il tribunale per i minorenni provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. In tal caso il tribunale per i minorenni decide nell'esclusivo interesse del minore (21).

 

Nel caso in cui non risulti l'esistenza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore o la cui paternità o maternità sia stata dichiarata giudizialmente, il tribunale per i minorenni, senza eseguire ulteriori accertamenti, provvede immediatamente alla dichiarazione dello stato di adottabilità a meno che non vi sia richiesta di sospensione della procedura da parte di chi, affermando di essere uno dei genitori naturali, chiede termine per provvedere al riconoscimento. La sospensione può essere disposta dal tribunale per un periodo massimo di due mesi sempreché nel frattempo il minore sia assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con il genitore naturale.

 

Nel caso di non riconoscibilità per difetto di età del genitore, la procedura è rinviata anche d'ufficio sino al compimento del sedicesimo anno di età del genitore naturale, purché sussistano le condizioni menzionate nel comma precedente. Al compimento del sedicesimo anno, il genitore può chiedere ulteriore sospensione per altri due mesi.

 

Ove il tribunale sospenda o rinvii la procedura ai sensi dei commi precedenti, nomina al minore, se necessario, un tutore provvisorio.

 

Se entro detti termini viene effettuato il riconoscimento, deve dichiararsi chiusa la procedura, ove non sussista abbandono morale e materiale. Se trascorrono i termini senza che sia stato effettuato il riconoscimento, si provvede senza altra formalità di procedura alla pronuncia dello stato di adottabilità.

 

Il tribunale, in ogni caso, anche a mezzo dei servizi locali, informa entrambi i presunti genitori, se possibile, o comunque quello reperibile, che si possono avvalere delle facoltà di cui al secondo e terzo comma.

 

Intervenuta la dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo, il riconoscimento è privo di efficacia. Il giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità è sospeso di diritto e si estingue ove segua la pronuncia di adozione divenuta definitiva (22) (23).

 

 

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(21)  Comma così modificato dall'art. 11, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(22)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

(23)  La Corte costituzionale con sentenza 8-10 maggio 1995, n. 160 (Gazz. Uff. 12 maggio 1995, n. 20, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

 

Art. 12.

Quando attraverso le indagini effettuate consta l'esistenza dei genitori o di parenti entro il quarto grado indicati nell'articolo precedente, che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore, e ne è nota la residenza, il presidente del tribunale per i minorenni con decreto motivato fissa la loro comparizione, entro un congruo termine, dinanzi a sé o ad un giudice da lui delegato.

 

Nel caso in cui i genitori o i parenti risiedano fuori dalla circoscrizione del tribunale per i minorenni che procede, la loro audizione può essere delegata al tribunale per i minorenni del luogo della loro residenza.

 

In caso di residenza all'estero è delegata l'autorità consolare competente.

 

Udite le dichiarazioni dei genitori o dei parenti, il presidente del tribunale per i minorenni o il giudice delegato, ove ne ravvisi l'opportunità, impartisce con decreto motivato ai genitori o ai parenti prescrizioni idonee a garantire l'assistenza morale, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del minore, stabilendo al tempo stesso periodici accertamenti da eseguirsi direttamente o avvalendosi del giudice tutelare o dei servizi locali, ai quali può essere affidato l'incarico di operare al fine di più validi rapporti tra il minore e la famiglia.

 

Il presidente o il giudice delegato può, altresì, chiedere al pubblico ministero di promuovere l'azione per la corresponsione degli alimenti a carico di chi vi è tenuto per legge e, al tempo stesso, dispone, ove d'uopo, provvedimenti temporanei ai sensi del comma 3 dell'articolo 10 (24) (25) (26).

 

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(24)  Comma così modificato dall'art. 12, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(25)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

(26)  La Corte costituzionale con sentenza 8-10 maggio 1995, n. 160 (Gazz. Uff. 12 maggio 1995, n. 20, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

 

Art. 13.

Nel caso in cui i genitori ed i parenti di cui all'articolo precedente risultino irreperibili ovvero non ne sia conosciuta la residenza, la dimora o il domicilio, il tribunale per i minorenni provvede alla loro convocazione ai sensi degli articoli 140 e 143 del codice di procedura civile, previe nuove ricerche tramite gli organi di pubblica sicurezza (27) (28).

 

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(27)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

(28)  La Corte costituzionale con sentenza 8-10 maggio 1995, n. 160 (Gazz. Uff. 12 maggio 1995, n. 20, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

Art. 14.

1. Il tribunale per i minorenni può disporre, prima della dichiarazione di adottabilità, la sospensione del procedimento, quando da particolari circostanze emerse dalle indagini effettuate risulta che la sospensione può riuscire utile nell'interesse del minore. In tal caso la sospensione è disposta con ordinanza motivata per un periodo non superiore a un anno.

 

2. La sospensione è comunicata ai servizi sociali locali competenti perché adottino le iniziative opportune (29) (30).

 

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(29)  Articolo così sostituito dall'art. 13, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(30)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 15.

1. A conclusione delle indagini e degli accertamenti previsti dagli articoli precedenti, ove risulti la situazione di abbandono di cui all'articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato dal tribunale per i minorenni quando:

 

a) i genitori ed i parenti convocati ai sensi degli articoli 12 e 13 non si sono presentati senza giustificato motivo;

 

 

b) l'audizione dei soggetti di cui alla lettera a) ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi;

 

 

c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori.

 

2. La dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con sentenza, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato. Devono essere, parimenti, sentiti il tutore, ove esista, ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.

 

3. La sentenza è notificata per esteso al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti indicati nel primo comma dell'articolo 12, al tutore, nonché al curatore speciale ove esistano, con contestuale avviso agli stessi del loro diritto di proporre impugnazione nelle forme e nei termini di cui all'articolo 17 (31) (32).

 

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(31)  Articolo così sostituito dall'art. 14, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(32)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 16.

1. Il tribunale per i minorenni, esaurita la procedura prevista nei precedenti articoli e qualora ritenga che non sussistano i presupposti per la pronuncia per lo stato di adottabilità dichiara che non vi è luogo a provvedere.

 

2. La sentenza è notificata per esteso al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti indicati nel primo comma dell'articolo 12, nonché al tutore e al curatore speciale ove esistano. Il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti opportuni nell'interesse del minore.

 

3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile (33) (34).

 

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(33)  Articolo così sostituito dall'art. 15, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(34)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

Art. 17.

1. Avverso la sentenza il pubblico ministero e le altre parti possono proporre impugnazione avanti la Corte d'appello, sezione per i minorenni, entro trenta giorni dalla notificazione. La corte, sentite le parti e il pubblico ministero ed effettuato ogni altro opportuno accertamento, pronuncia sentenza in camera di consiglio e provvede al deposito della stessa in cancelleria, entro quindici giorni dalla pronuncia. La sentenza è notificata d'ufficio al pubblico ministero e alle altre parti.

 

2. Avverso la sentenza della corte d'appello è ammesso ricorso per Cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per i motivi di cui ai numeri 3, 4 e 5 del primo comma dell' articolo 360 del codice di procedura civile. Si applica altresì il secondo comma dello stesso articolo.

 

3. L'udienza di discussione dell'appello e del ricorso deve essere fissata entro sessanta giorni dal deposito dei rispettivi atti introduttivi (35) (36).

 

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(35)  Articolo così sostituito dall'art. 16, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(36)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

Art. 18.

1. La sentenza definitiva che dichiara lo stato di adottabilità è trascritta, a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni, su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale stesso. La trascrizione deve essere effettuata entro il decimo giorno successivo a quello della comunicazione che la sentenza di adottabilità è divenuta definitiva. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell'impugnazione deve inviare immediatamente apposita comunicazione al cancelliere del tribunale per i minorenni (37) (38).

 

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(37)  Articolo così sostituito dall'art. 17, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(38)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 19.

Durante lo stato di adottabilità è sospeso l'esercizio della potestà dei genitori.

Il tribunale per i minorenni nomina un tutore, ove già non esista, e adotta gli ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore (39).

 

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(39)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

 

Art. 20.

Lo stato di adottabilità cessa per adozione o per il raggiungimento della maggiore età da parte dell'adottando (40).

 

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(40)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

Art.21.

1. Lo stato di adottabilità cessa altresì per revoca, nell'interesse del minore, in quanto siano venute meno le condizioni di cui all'articolo 8, comma 1, successivamente alla sentenza di cui al comma 2 dell'articolo 15.

 

2. La revoca è pronunciata dal tribunale per i minorenni d'ufficio o su istanza del pubblico ministero, dei genitori, del tutore.

 

3. Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

 

4. Nel caso in cui sia in atto l'affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato (41) (42).

 

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(41)  Articolo così sostituito dall'art. 18, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(42)  L'art. 1, D.L. 24 aprile 2001, n. 150, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2001, n. 240, ha disposto che in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità disciplinati dal presente capo (artt. 8-21), e comunque non oltre il 30 giugno 2002, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Successivamente, il comma 1 dell'art. 1, D.L. 1° luglio 2002, n. 126, come sostituito dalla relativa legge di conversione, ha disposto che, in via transitoria, fino alla emanazione di una specifica disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, e comunque non oltre il 30 giugno 2003, ai predetti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 150 del 2001. Da ultimo, le disposizioni previste dal suddetto D.L. 1° luglio 2002, n. 126 sono state prorogate al 30 giugno 2004 dall'art. 15, D.L. 24 giugno 2003, n. 147, al 30 giugno 2005 dall'art. 2, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 luglio 2004, n. 188 (Gazz. Uff. 30 luglio 2004, n. 177), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, al 30 giugno 2006 dall'art. 8, D.L. 30 giugno 2005, n. 115 e al 30 giugno 2007 dall'art. 1, comma 2, L. 12 luglio 2006, n. 228.

 

Capo III

Dell'affidamento preadottivo

 

Art. 22.

1. Coloro che intendono adottare devono presentare domanda al tribunale per i minorenni, specificando l'eventuale disponibilità ad adottare più fratelli ovvero minori che si trovino nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È ammissibile la presentazione di più domande anche successive a più tribunali per i minorenni, purché in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi. I tribunali cui la domanda è presentata possono richiedere copia degli atti di parte ed istruttori, relativi ai medesimi coniugi, agli altri tribunali; gli atti possono altresì essere comunicati d'ufficio. La domanda decade dopo tre anni dalla presentazione e può essere rinnovata.

 

2. In ogni momento a coloro che intendono adottare devono essere fornite, se richieste, notizie sullo stato del procedimento.

 

3. Il tribunale per i minorenni, accertati previamente i requisiti di cui all'articolo 6, dispone l'esecuzione delle adeguate indagini di cui al comma 4, ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli o associati, nonché avvalendosi delle competenti professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, dando precedenza nella istruttoria alle domande dirette all'adozione di minori di età superiore a cinque anni o con handicap accertato ai sensi dell'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

 

4. Le indagini, che devono essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi giorni, riguardano in particolare la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare dei richiedenti, i motivi per i quali questi ultimi desiderano adottare il minore. Con provvedimento motivato, il termine entro il quale devono concludersi le indagini può essere prorogato una sola volta e per non più di centoventi giorni.

 

5. Il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.

 

6. Il tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero, gli ascendenti dei richiedenti ove esistano, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, omessa ogni altra formalità di procedura, dispone, senza indugio, l'affidamento preadottivo, determinandone le modalità con ordinanza. Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all'affidamento alla coppia prescelta.

 

7. Il tribunale per i minorenni deve in ogni caso informare i richiedenti sui fatti rilevanti, relativi al minore, emersi dalle indagini. Non può essere disposto l'affidamento di uno solo di più fratelli, tutti in stato di adottabilità, salvo che non sussistano gravi ragioni. L'ordinanza è comunicata al pubblico ministero, ai richiedenti ed al tutore. Il provvedimento di affidamento preadottivo è immediatamente, e comunque non oltre dieci giorni, annotato a cura del cancelliere a margine della trascrizione di cui all'articolo 18.

 

8. Il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali. In caso di accertate difficoltà, convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all'origine delle difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale (43) (44).

 

 

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(43)  Articolo così sostituito dall'art. 19, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(44)  La Corte costituzionale, con ordinanza 6-14 maggio 2001, n. 192 (Gazz. Uff. 20 giugno 2001, n. 24, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Cost.

 

 

Art. 23.

1. L'affidamento preadottivo è revocato dal tribunale per i minorenni d'ufficio o su istanza del pubblico ministero o del tutore o di coloro che esercitano la vigilanza di cui all'articolo 22, comma 8, quando vengano accertate difficoltà di idonea convivenza ritenute non superabili. Il provvedimento relativo alla revoca è adottato dal tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, con decreto motivato. Debbono essere sentiti, oltre al pubblico ministero ed al presentatore dell'istanza di revoca, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, gli affidatari, il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno.

 

2. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, al presentatore dell'istanza di revoca, agli affidatari ed al tutore. Il decreto che dispone la revoca dell'affidamento preadottivo è annotato a cura del cancelliere entro dieci giorni a margine della trascrizione di cui all'articolo 18.

 

3. In caso di revoca, il tribunale per i minorenni adotta gli opportuni provvedimenti temporanei in favore del minore ai sensi dell'articolo 10, comma 3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile (45).

 

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(45)  Articolo così sostituito dall'art. 20, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 24.

Il pubblico ministero e il tutore possono impugnare il decreto del tribunale relativo all'affidamento preadottivo o alla sua revoca, entro dieci giorni dalla comunicazione, con reclamo alla sezione per i minorenni della corte d'appello.

 

La corte d'appello, sentiti il ricorrente, il pubblico ministero e, ove occorra, le persone indicate nell'articolo 23 ed effettuati ogni altro accertamento ed indagine opportuni, decide in camera di consiglio con decreto motivato.

 

 

Capo IV

Della dichiarazione di adozione

 

Art. 25.

1. Il tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilità, decorso un anno dall'affidamento, sentiti i coniugi adottanti, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, il pubblico ministero, il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno, verifica che ricorrano tutte le condizioni previste dal presente capo e, senza altra formalità di procedura, provvede sull'adozione con sentenza in camera di consiglio, decidendo di fare luogo o di non fare luogo all'adozione. Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all'adozione nei confronti della coppia prescelta.

 

2. Qualora la domanda di adozione venga proposta da coniugi che hanno discendenti legittimi o legittimati, questi, se maggiori degli anni quattordici, debbono essere sentiti.

 

3. Nell'interesse del minore il termine di cui al comma 1 può essere prorogato di un anno, d'ufficio o su domanda dei coniugi affidatari, con ordinanza motivata.

 

4. Se uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l'affidamento preadottivo, l'adozione, nell'interesse del minore, può essere ugualmente disposta ad istanza dell'altro coniuge nei confronti di entrambi, con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte.

 

5. Se nel corso dell'affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione può essere disposta nei confronti di uno solo o di entrambi, nell'esclusivo interesse del minore, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta.

 

6. La sentenza che decide sull'adozione è comunicata al pubblico ministero, ai coniugi adottanti ed al tutore.

 

7. Nel caso di provvedimento negativo viene meno l'affidamento preadottivo ed il tribunale per i minorenni assume gli opportuni provvedimenti temporanei in favore del minore ai sensi dell'articolo 10, comma 3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile (46).

 

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(46)  Articolo così sostituito dall'art. 21, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 26.

1. Avverso la sentenza che dichiara se fare luogo o non fare luogo all'adozione, entro trenta giorni dalla notifica, può essere proposta impugnazione davanti alla sezione per i minorenni della Corte d'appello da parte del pubblico ministero, dagli adottanti e dal tutore del minore. La Corte d'appello, sentite le parti ed esperito ogni accertamento ritenuto opportuno, pronuncia sentenza. La sentenza è notificata d'ufficio alle parti per esteso.

 

2. Avverso la sentenza della Corte d'appello è ammesso ricorso per Cassazione, che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica della stessa, solo per i motivi di cui al primo comma, numero 3, dell' articolo 360 del codice di procedura civile.

 

3. L'udienza di discussione dell'appello e del ricorso per Cassazione deve essere fissata entro sessanta giorni dal deposito dei rispettivi atti introduttivi.

 

4. La sentenza che pronuncia l'adozione, divenuta definitiva, è immediatamente trascritta nel registro di cui all'articolo 18 e comunicata all'ufficiale dello stato civile che la annota a margine dell'atto di nascita dell'adottato. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell'impugnazione deve immediatamente dare comunicazione della definitività della sentenza al cancelliere del tribunale per i minorenni.

 

5. Gli effetti dell'adozione si producono dal momento della definitività della sentenza (47).

 

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(47)  Articolo così sostituito dall'art. 22, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 27.

Per effetto dell'adozione l'adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome.

 

Se l'adozione è disposta nei confronti della moglie separata, ai sensi dell'articolo 25, comma 5, l'adottato assume il cognome della famiglia di lei (48).

 

Con l'adozione cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali (49).

 

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(48)  Comma così modificato dall'art. 23, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(49)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-16 luglio 2002, n. 350 (Gazz. Uff. 24 luglio 2002, n. 29, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 35, 27 e 28 nel testo modificato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 11 della Costituzione.

 

 

Art. 28.

1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni.

 

2. Qualunque attestazione di stato civile riferita all'adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l'esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell'annotazione di cui all'articolo 26, comma 4.

 

3. L'ufficiale di stato civile, l'ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria. Non è necessaria l'autorizzazione qualora la richiesta provenga dall'ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali.

 

4. Le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.

 

5. L'adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L'istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.

 

6. Il tribunale per i minorenni procede all'audizione delle persone di cui ritenga opportuno l'ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l'accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l'istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l'accesso alle notizie richieste.

 

7. L'accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (50) (51).

 

8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l'autorizzazione non è richiesta per l'adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili (52) (53).

 

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(50)  Comma così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dal comma 2 dell'art. 177, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

(51) La Corte costituzionale, con sentenza 16-25 novembre 2005, n. 425 (Gazz. Uff. 30 novembre 2005, n. 48, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, nel testo modificato dall'art. 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.

(52)  Articolo così sostituito dall'art. 24, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(53)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-16 luglio 2002, n. 350 (Gazz. Uff. 24 luglio 2002, n. 29, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 35, 27 e 28 nel testo modificato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 11 della Costituzione.

 

TITOLO III

Dell'adozione internazionale

Capo I

Dell'adozione di minori stranieri (54)

 

Art. 29.

1. L'adozione di minori stranieri ha luogo conformemente ai princìpi e secondo le direttive della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993, di seguito denominata «Convenzione», a norma delle disposizioni contenute nella presente legge (55).

 

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(54)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476. Per l'istituzione del «Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali» vedi il comma 152 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

 

(55)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 29-bis.

 1. Le persone residenti in Italia, che si trovano nelle condizioni prescritte dall'articolo 6 e che intendono adottare un minore straniero residente all'estero, presentano dichiarazione di disponibilità al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneità all'adozione.

 

2. Nel caso di cittadini italiani residenti in uno Stato straniero, fatto salvo quanto stabilito nell'articolo 36, comma 4, è competente il tribunale per i minorenni del distretto in cui si trova il luogo della loro ultima residenza; in mancanza, è competente il tribunale per i minorenni di Roma.

 

3. Il tribunale per i minorenni, se non ritiene di dover pronunciare immediatamente decreto di inidoneità per manifesta carenza dei requisiti, trasmette, entro quindici giorni dalla presentazione, copia della dichiarazione di disponibilità ai servizi degli enti locali.

 

4. I servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli o associati, anche avvalendosi per quanto di competenza delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, svolgono le seguenti attività:

 

a) informazione sull'adozione internazionale e sulle relative procedure, sugli enti autorizzati e sulle altre forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà, anche in collaborazione con gli enti autorizzati di cui all'articolo 39-ter;

 

 

b) preparazione degli aspiranti all'adozione, anche in collaborazione con i predetti enti;

 

 

c) acquisizione di elementi sulla situazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sul loro ambiente sociale, sulle motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un'adozione internazionale, sulla loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di accogliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del tribunale per i minorenni della loro idoneità all'adozione.

 

5. I servizi trasmettono al tribunale per i minorenni, in esito all'attività svolta, una relazione completa di tutti gli elementi indicati al comma 4, entro i quattro mesi successivi alla trasmissione della dichiarazione di disponibilità (56) (57) (58).

 

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(56)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

(57)  La Corte costituzionale, con ordinanza 12-27 marzo 2003, n. 85 (Gazz. Uff. 2 aprile 2003, n. 13, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 29-bis come introdotto con legge 31 dicembre 1998, n. 476 «e delle norme collegate», sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione.

 

(58) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

 

 

Art. 30.

1. Il tribunale per i minorenni, ricevuta la relazione di cui all'articolo 29-bis, comma 5, sente gli aspiranti all'adozione, anche a mezzo di un giudice delegato, dispone se necessario gli opportuni approfondimenti e pronuncia, entro i due mesi successivi, decreto motivato attestante la sussistenza ovvero l'insussistenza dei requisiti per adottare.

 

2. Il decreto di idoneità ad adottare ha efficacia per tutta la durata della procedura, che deve essere promossa dagli interessati entro un anno dalla comunicazione del provvedimento. Il decreto contiene anche indicazioni per favorire il migliore incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare.

 

3. Il decreto è trasmesso immediatamente, con copia della relazione e della documentazione esistente negli atti, alla Commissione di cui all'articolo 38 e, se già indicato dagli aspiranti all'adozione, all'ente autorizzato di cui all'articolo 39-ter.

 

4. Qualora il decreto di idoneità, previo ascolto degli interessati, sia revocato per cause sopravvenute che incidano in modo rilevante sul giudizio di idoneità, il tribunale per i minorenni comunica immediatamente il relativo provvedimento alla Commissione ed all'ente autorizzato di cui al comma 3.

 

5. Il decreto di idoneità ovvero di inidoneità e quello di revoca sono reclamabili davanti alla corte d'appello, a termini degli articoli 739 e 740 del codice di procedura civile, da parte del pubblico ministero e degli interessati (59) (60).

 

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(59)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

(60)  La Corte costituzionale, con sentenza 28 gennaio-5 febbraio 1998, n. 10 (Gazz. Uff. 11 febbraio 1998, n. 6, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 30, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 31 della Costituzione.

 

 

Art. 31.

1. Gli aspiranti all'adozione, che abbiano ottenuto il decreto di idoneità, devono conferire incarico a curare la procedura di adozione ad uno degli enti autorizzati di cui all'articolo 39-ter.

 

2. Nelle situazioni considerate dall'articolo 44, primo comma, lettera a), il tribunale per i minorenni può autorizzare gli aspiranti adottanti, valutate le loro personalità, ad effettuare direttamente le attività previste alle lettere b), d), e), f) ed h) del comma 3 del presente articolo (61).

 

3. L'ente autorizzato che ha ricevuto l'incarico di curare la procedura di adozione:

 

a) informa gli aspiranti sulle procedure che inizierà e sulle concrete prospettive di adozione;

 

 

b) svolge le pratiche di adozione presso le competenti autorità del Paese indicato dagli aspiranti all'adozione tra quelli con cui esso intrattiene rapporti, trasmettendo alle stesse la domanda di adozione, unitamente al decreto di idoneità ed alla relazione ad esso allegata, affinché le autorità straniere formulino le proposte di incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare;

 

 

c) raccoglie dall'autorità straniera la proposta di incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare, curando che sia accompagnata da tutte le informazioni di carattere sanitario riguardanti il minore, dalle notizie riguardanti la sua famiglia di origine e le sue esperienze di vita;

 

 

d) trasferisce tutte le informazioni e tutte le notizie riguardanti il minore agli aspiranti genitori adottivi, informandoli della proposta di incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare e assistendoli in tutte le attività da svolgere nel Paese straniero;

 

 

e) riceve il consenso scritto all'incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare, proposto dall'autorità straniera, da parte degli aspiranti all'adozione, ne autentica le firme e trasmette l'atto di consenso all'autorità straniera, svolgendo tutte le altre attività dalla stessa richieste; l'autenticazione delle firme degli aspiranti adottanti può essere effettuata anche dall'impiegato comunale delegato all'autentica o da un notaio o da un segretario di qualsiasi ufficio giudiziario;

 

 

f) riceve dall'autorità straniera attestazione della sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 4 della Convenzione e concorda con la stessa, qualora ne sussistano i requisiti, l'opportunità di procedere all'adozione ovvero, in caso contrario, prende atto del mancato accordo e ne dà immediata informazione alla Commissione di cui all'articolo 38 comunicandone le ragioni; ove sia richiesto dallo Stato di origine, approva la decisione di affidare il minore o i minori ai futuri genitori adottivi;

 

 

g) informa immediatamente la Commissione, il tribunale per i minorenni e i servizi dell'ente locale della decisione di affidamento dell'autorità straniera e richiede alla Commissione, trasmettendo la documentazione necessaria, l'autorizzazione all'ingresso e alla residenza permanente del minore o dei minori in Italia;

 

 

h) certifica la data di inserimento del minore presso i coniugi affidatari o i genitori adottivi;

 

 

i) riceve dall'autorità straniera copia degli atti e della documentazione relativi al minore e li trasmette immediatamente al tribunale per i minorenni e alla Commissione;

 

 

l) vigila sulle modalità di trasferimento in Italia e si adopera affinché questo avvenga in compagnia degli adottanti o dei futuri adottanti;

 

 

m) svolge in collaborazione con i servizi dell'ente locale attività di sostegno del nucleo adottivo fin dall'ingresso del minore in Italia su richiesta degli adottanti;

 

 

n) [certifica la durata delle necessarie assenze dal lavoro, ai sensi delle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 39-quater, nel caso in cui le stesse non siano determinate da ragioni di salute del bambino, nonché la durata del periodo di permanenza all'estero nel caso di congedo non retribuito ai sensi della lettera c) del medesimo comma 1 dell'articolo 39-quater] (62);

 

 

o) certifica, nell'ammontare complessivo agli effetti di quanto previsto dall'articolo 10, comma 1, lettera l-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione (63).

 

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(61) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

 

(62)  Lettera abrogata dall'art. 86, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Le disposizioni di cui alla presente lettera sono ora contenute negli articoli 27 e 37 del testo unico approvato con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

 

(63)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 32.

1. La Commissione di cui all'articolo 38, ricevuti gli atti di cui all'articolo 31 e valutate le conclusioni dell'ente incaricato, dichiara che l'adozione risponde al superiore interesse del minore e ne autorizza l'ingresso e la residenza permanente in Italia.

 

2. La dichiarazione di cui al comma 1 non è ammessa:

 

a) quando dalla documentazione trasmessa dall'autorità del Paese straniero non emerge la situazione di abbandono del minore e la constatazione dell'impossibilità di affidamento o di adozione nello Stato di origine;

 

 

b) qualora nel Paese straniero l'adozione non determini per l'adottato l'acquisizione dello stato di figlio legittimo e la cessazione dei rapporti giuridici fra il minore e la famiglia di origine, a meno che i genitori naturali abbiano espressamente consentito al prodursi di tali effetti.

 

3. Anche quando l'adozione pronunciata nello Stato straniero non produce la cessazione dei rapporti giuridici con la famiglia d'origine, la stessa può essere convertita in una adozione che produca tale effetto, se il tribunale per i minorenni la riconosce conforme alla Convenzione. Solo in caso di riconoscimento di tale conformità, è ordinata la trascrizione.

 

4. Gli uffici consolari italiani all'estero collaborano, per quanto di competenza, con l'ente autorizzato per il buon esito della procedura di adozione. Essi, dopo aver ricevuto formale comunicazione da parte della Commissione ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lettera h), rilasciano il visto di ingresso per adozione a beneficio del minore adottando (64).

 

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(64)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 33.

1. Fatte salve le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello Stato per fini familiari, turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso nello Stato a minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai sensi dell'articolo 32 ovvero che non sono accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado.

 

2. È fatto divieto alle autorità consolari italiane di concedere a minori stranieri il visto di ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione, al di fuori delle ipotesi previste dal presente Capo e senza la previa autorizzazione della Commissione di cui all'articolo 38.

 

3. Coloro che hanno accompagnato alla frontiera un minore al quale non viene consentito l'ingresso in Italia provvedono a proprie spese al suo rimpatrio immediato nel Paese d'origine. Gli uffici di frontiera segnalano immediatamente il caso alla Commissione affinché prenda contatto con il Paese di origine del minore per assicurarne la migliore collocazione nel suo superiore interesse.

 

4. Il divieto di cui al comma 1 non opera nel caso in cui, per eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro grave impedimento di carattere oggettivo, non sia possibile l'espletamento delle procedure di cui al presente Capo e sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del minore all'ingresso nello Stato. In questi casi gli uffici di frontiera segnalano l'ingresso del minore alla Commissione ed al tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo di residenza di coloro che lo accompagnano.

 

5. Qualora sia comunque avvenuto l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni consentite, il pubblico ufficiale o l'ente autorizzato che ne ha notizia lo segnala al tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo in cui il minore si trova. Il tribunale, adottato ogni opportuno provvedimento temporaneo nell'interesse del minore, provvede ai sensi dell'articolo 37-bis, qualora ne sussistano i presupposti, ovvero segnala la situazione alla Commissione affinché prenda contatto con il Paese di origine del minore e si proceda ai sensi dell'articolo 34 (65).

 

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(65)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 34.

1. Il minore che ha fatto ingresso nel territorio dello Stato sulla base di un provvedimento straniero di adozione o di affidamento a scopo di adozione gode, dal momento dell'ingresso, di tutti i diritti attribuiti al minore italiano in affidamento familiare.

 

2. Dal momento dell'ingresso in Italia e per almeno un anno, ai fini di una corretta integrazione familiare e sociale, i servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti autorizzati, su richiesta degli interessati, assistono gli affidatari, i genitori adottivi e il minore. Essi in ogni caso riferiscono al tribunale per i minorenni sull'andamento dell'inserimento, segnalando le eventuali difficoltà per gli opportuni interventi (66).

 

3. Il minore adottato acquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile (67).

 

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(66)  La Corte costituzionale, con ordinanza 11-31 luglio 2002, n. 415 (Gazz. Uff. 7 agosto 2002, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, così come modificati dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(67)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 35.

1. L'adozione pronunciata all'estero produce nell'ordinamento italiano gli effetti di cui all'articolo 27 (68).

 

2. Qualora l'adozione sia stata pronunciata nello Stato estero prima dell'arrivo del minore in Italia, il tribunale verifica che nel provvedimento dell'autorità che ha pronunciato l'adozione risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste dall'articolo 4 della Convenzione.

 

3. Il tribunale accerta inoltre che l'adozione non sia contraria ai princìpi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore, e se sussistono la certificazione di conformità alla Convenzione di cui alla lettera i) e l'autorizzazione prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 39, ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile (69).

 

4. Qualora l'adozione debba perfezionarsi dopo l'arrivo del minore in Italia, il tribunale per i minorenni riconosce il provvedimento dell'autorità straniera come affidamento preadottivo, se non contrario ai princìpi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore, e stabilisce la durata del predetto affidamento in un anno che decorre dall'inserimento del minore nella nuova famiglia. Decorso tale periodo, se ritiene che la sua permanenza nella famiglia che lo ha accolto è tuttora conforme all'interesse del minore, il tribunale per i minorenni pronuncia l'adozione e ne dispone la trascrizione nei registri dello stato civile. In caso contrario, anche prima che sia decorso il periodo di affidamento preadottivo, lo revoca e adotta i provvedimenti di cui all'articolo 21 della Convenzione. In tal caso il minore che abbia compiuto gli anni 14 deve sempre esprimere il consenso circa i provvedimenti da assumere; se ha raggiunto gli anni 12 deve essere personalmente sentito; se di età inferiore deve essere sentito ove ciò non alteri il suo equilibrio psico-emotivo, tenuto conto della valutazione dello psicologo nominato dal tribunale (70).

 

5. Competente per la pronuncia dei provvedimenti è il tribunale per i minorenni del distretto in cui gli aspiranti all'adozione hanno la residenza nel momento dell'ingresso del minore in Italia.

 

6. Fatto salvo quanto previsto nell'articolo 36, non può comunque essere ordinata la trascrizione nei casi in cui:

 

a) il provvedimento di adozione riguarda adottanti non in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana sull'adozione;

 

 

b) non sono state rispettate le indicazioni contenute nella dichiarazione di idoneità;

 

 

c) non è possibile la conversione in adozione produttiva degli effetti di cui all'articolo 27;

 

 

d) l'adozione o l'affidamento stranieri non si sono realizzati tramite le autorità centrali e un ente autorizzato;

 

 

e) l'inserimento del minore nella famiglia adottiva si è manifestato contrario al suo interesse (71) (72) (73).

 

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(68) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

(69)  La Corte costituzionale, con ordinanza 11-31 luglio 2002, n. 415 (Gazz. Uff. 7 agosto 2002, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, così come modificati dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(70)  Comma così modificato dall'art. 32, L. 28 marzo 2001, n. 149.

(71)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

(72)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-16 luglio 2002, n. 350 (Gazz. Uff. 24 luglio 2002, n. 29, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 35, 27 e 28 nel testo modificato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 11 della Costituzione.

(73)  La Corte costituzionale, con ordinanza 11-31 luglio 2002, n. 415 (Gazz. Uff. 7 agosto 2002, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, così come modificati dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

 

Art. 36.

1. L'adozione internazionale dei minori provenienti da Stati che hanno ratificato la Convenzione, o che nello spirito della Convenzione abbiano stipulato accordi bilaterali, può avvenire solo con le procedure e gli effetti previsti dalla presente legge (74).

 

2. L'adozione o l'affidamento a scopo adottivo, pronunciati in un Paese non aderente alla Convenzione né firmatario di accordi bilaterali, possono essere dichiarati efficaci in Italia a condizione che:

 

a) sia accertata la condizione di abbandono del minore straniero o il consenso dei genitori naturali ad una adozione che determini per il minore adottato l'acquisizione dello stato di figlio legittimo degli adottanti e la cessazione dei rapporti giuridici fra il minore e la famiglia d'origine;

 

 

b) gli adottanti abbiano ottenuto il decreto di idoneità previsto dall'articolo 30 e le procedure adottive siano state effettuate con l'intervento della Commissione di cui all'articolo 38 e di un ente autorizzato;

 

 

c) siano state rispettate le indicazioni contenute nel decreto di idoneità;

 

 

d) sia stata concessa l'autorizzazione prevista dall'articolo 39, comma 1, lettera h) (75).

 

3. Il relativo provvedimento è assunto dal tribunale per i minorenni che ha emesso il decreto di idoneità all'adozione. Di tale provvedimento è data comunicazione alla Commissione, che provvede a quanto disposto dall'articolo 39, comma 1, lettera e).

 

4. L'adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai princìpi della Convenzione (76).

 

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(74) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

(75) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

(76)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 37.

1. Successivamente all'adozione, la Commissione di cui all'articolo 38 può comunicare ai genitori adottivi, eventualmente tramite il tribunale per i minorenni, solo le informazioni che hanno rilevanza per lo stato di salute dell'adottato.

 

2. Il tribunale per i minorenni che ha emesso i provvedimenti indicati dagli articoli 35 e 36 e la Commissione conservano le informazioni acquisite sull'origine del minore, sull'identità dei suoi genitori naturali e sull'anamnesi sanitaria del minore e della sua famiglia di origine.

 

3. Per quanto concerne l'accesso alle altre informazioni valgono le disposizioni vigenti in tema di adozione di minori italiani (77).

 

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(77)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 37-bis.

1. Al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza (78).

 

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(78)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 38.

1. Ai fini indicati dall'articolo 6 della Convenzione è costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per le adozioni internazionali.

 

2. La Commissione è composta da:

 

a) un presidente nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nella persona di un magistrato avente esperienza nel settore minorile ovvero di un dirigente dello Stato avente analoga specifica esperienza;

 

 

b) due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

 

 

c) un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

 

 

d) un rappresentante del Ministero degli affari esteri;

 

 

e) un rappresentante del Ministero dell'interno;

 

 

f) due rappresentanti del Ministero della giustizia;

 

 

g) un rappresentante del Ministero della salute;

 

 

h) un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze;

 

 

i) un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

 

 

l) tre rappresentanti della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

 

 

m) tre rappresentanti designati, sulla base di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da associazioni familiari a carattere nazionale, almeno uno dei quali designato dal Forum delle associazioni familiari (79).

 

3. Il presidente dura in carica quattro anni e l'incarico può essere rinnovato una sola volta (80).

 

4. I componenti della Commissione rimangono in carica quattro anni. [Con regolamento adottato dalla Commissione è assicurato l'avvicendamento graduale dei componenti della Commissione stessa allo scadere del termine di permanenza in carica] (81). [A tal fine il regolamento può prorogare la durata in carica dei componenti della Commissione per periodi non superiori ad un anno] (82) (83).

 

5. La Commissione si avvale di personale dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri e di altre amministrazioni pubbliche (84).

 

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(79)  Comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, lettera a), L. 16 gennaio 2003, n. 3. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo 2. Per l'abrogazione del presente comma vedi il comma 19-quinquies dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(80)  Comma così modificato dall'art. 39-duodetricies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Per l'abrogazione del presente comma vedi il comma 19-quinquies dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(81)  Periodo soppresso dall'art. 2, comma 1, lettera b), L. 16 gennaio 2003, n. 3.

(82)  Periodo soppresso dall'art. 2, comma 1, lettera b), L. 16 gennaio 2003, n. 3.

(83) Per l'abrogazione del presente comma vedi il comma 19-quinquies dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(84)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476. Vedi, anche, l'art. 3-quinquies, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

 

Art. 39.

1. La Commissione per le adozioni internazionali:

 

a) collabora con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati, anche raccogliendo le informazioni necessarie, ai fini dell'attuazione delle convenzioni internazionali in materia di adozione;

 

 

b) propone la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale;

 

 

c) autorizza l'attività degli enti di cui all'articolo 39-ter, cura la tenuta del relativo albo, vigila sul loro operato, lo verifica almeno ogni tre anni, revoca l'autorizzazione concessa nei casi di gravi inadempienze, insufficienze o violazione delle norme della presente legge. Le medesime funzioni sono svolte dalla Commissione con riferimento all'attività svolta dai servizi per l'adozione internazionale, di cui all'articolo 39-bis (85);

 

 

d) agisce al fine di assicurare l'omogenea diffusione degli enti autorizzati sul territorio nazionale e delle relative rappresentanze nei Paesi stranieri;

 

 

e) conserva tutti gli atti e le informazioni relativi alle procedure di adozione internazionale;

 

 

f) promuove la cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori;

 

 

g) promuove iniziative di formazione per quanti operino o intendano operare nel campo dell'adozione;

 

 

h) autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione;

 

 

i) certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione, come previsto dall'articolo 23, comma 1, della Convenzione stessa;

 

 

l) per le attività di informazione e formazione, collabora anche con enti diversi da quelli di cui all'articolo 39-ter.

 

2. La decisione dell'ente autorizzato di non concordare con l'autorità straniera l'opportunità di procedere all'adozione è sottoposta ad esame della Commissione, su istanza dei coniugi interessati; ove non confermi il precedente diniego, la Commissione può procedere direttamente, o delegando altro ente o ufficio, agli incombenti di cui all'articolo 31.

 

3. La Commissione attua incontri periodici con i rappresentanti degli enti autorizzati al fine di esaminare le problematiche emergenti e coordinare la programmazione degli interventi attuativi dei princìpi della Convenzione.

 

4. La Commissione presenta al Presidente del Consiglio dei ministri, che la trasmette al Parlamento, una relazione biennale sullo stato delle adozioni internazionali, sullo stato della attuazione della Convenzione e sulla stipulazione di accordi bilaterali anche con Paesi non aderenti alla stessa (86) (87).

 

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(85)  Con Delib. 31 maggio 2001, n. 2/2001/AE/AUT/ALBO (Gazz. Uff. 14 giugno 2001, n. 136, S.O.), modificata con Delib. 3 ottobre 2001 (Gazz. Uff. 13 ottobre 2001, n. 239), con Delib. 17 novembre 2001, n. 12/2001/AE/ALBO (Gazz. Uff. 6 dicembre 2001, n. 284) e con Delib. 9 gennaio 2002, n. 3/2002/AE/ALBO (Gazz. Uff. 28 gennaio 2002, n. 23), è stato formato l'albo degli enti autorizzati allo svolgimento di pratiche di adozione internazionale. Successivamente, con Delib. 14 novembre 2002, n. 120/2002/AE/ALBO (Gazz. Uff. 30 novembre 2002, n. 281, S.O.), modificata con Comunicato 22 marzo 2003 (Gazz. Uff. 22 marzo 2003, n. 68), con Comunicato 27 giugno 2003 (Gazz. Uff. 27 giugno 2003, n. 147), con Comunicato 10 settembre 2003 (Gazz. Uff. 10 settembre 2003, n. 210), con Comunicato 14 novembre 2003 (Gazz. Uff. 14 novembre 2003, n. 265), con Comunicato 13 dicembre 2003 (Gazz. Uff. 13 dicembre 2003, n. 289), con Comunicato 3 agosto 2004 (Gazz. Uff. 3 agosto 2004, n. 180), con Comunicato 25 agosto 2004 (Gazz. Uff. 25 agosto 2004, n. 199), con Comunicato 3 settembre 2004 (Gazz. Uff. 3 settembre 2004, n. 207) e con Comunicato 2 dicembre 2004 (Gazz. Uff. 2 dicembre 2004, n. 283), è stato formato, in sostituzione del precedente, l'albo degli enti autorizzati allo svolgimento di procedure di adozione internazionale. Con Delib. 9 gennaio 2002, n. 1/2002/AE/ALBO, con Delib. 20 marzo 2003, n. 39/2003/SG, con Del. 17 dicembre 2003, n. 172/2003 e con Del. 1° marzo 2005, n. 3/2005/SG, sono state approvate le linee guida per l'ente autorizzato allo svolgimento di procedure di adozione di minori stranieri. Con Del. 17 dicembre 2003, n. 163 (Gazz. Uff. 2 gennaio 2004, n. 1, S.O.), rettificata con Comunicato 7 febbraio 2004 (Gazz. Uff. 7 febbraio 2004, n. 31), è stato formato, in sostituzione del precedente, il nuovo albo degli enti autorizzati allo svolgimento di procedure di adozione internazionale. Con Del. 20 dicembre 2004, n. 36/2004/SG/AE/AUT/ALBO (Gazz. Uff. 31 dicembre 2004, n. 306, S.O.), modificata con Comunicato 2 maggio 2005 (Gazz. Uff. 2 maggio 2005, n. 100), con Del. 25 luglio 2005, n. 4/2005/AE/REV (Gazz. Uff. 11 agosto 2005, n. 186) e con Del. 27 settembre 2005, n. 5/2005/AE/AUT (Gazz. Uff. 25 novembre 2005, n. 275), è stato formato, in sostituzione del precedente, il nuovo albo degli enti autorizzati allo svolgimento di procedure di adozione internazionale. Da ultimo, con Del. 19 dicembre 2005, n. 20/2005/SG/AE/AUT/ALBO (Gazz. Uff. 1° aprile 2006, n. 77, S.O.), modificata con Comunicato 22 giugno 2006 (Gazz. Uff. 22 giugno 2006, n. 143, S.O.) e con Comunicato 10 luglio 2006 (Gazz. Uff. 10 luglio 2006, n. 158) è stato formato, in sostituzione del precedente, il nuovo albo degli enti autorizzati allo svolgimento di procedure di adozione internazionale.

 

(86)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

(87) Per l'abrogazione del presente articolo vedi il comma 19-quinquies dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

 

Art. 39-bis.

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nell'ambito delle loro competenze:

 

a) concorrono a sviluppare una rete di servizi in grado di svolgere i compiti previsti dalla presente legge;

 

 

b) vigilano sul funzionamento delle strutture e dei servizi che operano nel territorio per l'adozione internazionale, al fine di garantire livelli adeguati di intervento;

 

 

c) promuovono la definizione di protocolli operativi e convenzioni fra enti autorizzati e servizi, nonché forme stabili di collegamento fra gli stessi e gli organi giudiziari minorili.

 

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono istituire un servizio per l'adozione internazionale che sia in possesso dei requisiti di cui all'articolo 39-ter e svolga per le coppie che lo richiedano al momento della presentazione della domanda di adozione internazionale le attività di cui all'articolo 31, comma 3.

 

3. I servizi per l'adozione internazionale di cui al comma 2 sono istituiti e disciplinati con legge regionale o provinciale in attuazione dei princìpi di cui alla presente legge. Alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano sono delegate le funzioni amministrative relative ai servizi per l'adozione internazionale (88).

 

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(88)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 39-ter.

1. Al fine di ottenere l'autorizzazione prevista dall'articolo 39, comma 1, lettera c), e per conservarla, gli enti debbono essere in possesso dei seguenti requisiti:

 

a) essere diretti e composti da persone con adeguata formazione e competenza nel campo dell'adozione internazionale, e con idonee qualità morali;

 

 

b) avvalersi dell'apporto di professionisti in campo sociale, giuridico e psicologico, iscritti al relativo albo professionale, che abbiano la capacità di sostenere i coniugi prima, durante e dopo l'adozione;

 

 

c) disporre di un'adeguata struttura organizzativa in almeno una regione o in una provincia autonoma in Italia e delle necessarie strutture personali per operare nei Paesi stranieri in cui intendono agire;

 

 

d) non avere fini di lucro, assicurare una gestione contabile assolutamente trasparente, anche sui costi necessari per l'espletamento della procedura, ed una metodologia operativa corretta e verificabile;

 

 

e) non avere e non operare pregiudiziali discriminazioni nei confronti delle persone che aspirano all'adozione, ivi comprese le discriminazioni di tipo ideologico e religioso;

 

 

f) impegnarsi a partecipare ad attività di promozione dei diritti dell'infanzia, preferibilmente attraverso azioni di cooperazione allo sviluppo, anche in collaborazione con le organizzazioni non governative, e di attuazione del principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale nei Paesi di provenienza dei minori;

 

 

g) avere sede legale nel territorio nazionale (89).

 

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(89)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 39-quater.

[1. Fermo restando quanto previsto in altre disposizioni di legge, i genitori adottivi e coloro che hanno un minore in affidamento preadottivo hanno diritto a fruire dei seguenti benefìci:

 

a) l'astensione dal lavoro, quale regolata dall'articolo 6, primo comma, della legge 9 dicembre 1977, n. 903, anche se il minore adottato ha superato i sei anni di età (90);

 

 

b) l'assenza dal lavoro, quale regolata dall'articolo 6, secondo comma, e dall'articolo 7 della predetta legge n. 903 del 1977, sino a che il minore adottato non abbia raggiunto i sei anni di età (91);

 

 

c) congedo di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero richiesto per l'adozione (92) (93)] (94).

 

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(90)  Le disposizioni di cui alla presente lettera sono ora contenute nell'articolo 27 del testo unico approvato con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

(91)  Le disposizioni di cui alla presente lettera sono ora contenute nell'articolo 37 del testo unico approvato con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

(92)  Le disposizioni di cui alla presente lettera sono ora contenute nell'articolo 27 del testo unico approvato con D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

(93)  L'intero Capo I (artt. da 29 a 39) è stato così sostituito, con gli articoli da 29 a 39-quater, dall'art. 3, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

(94)  Articolo abrogato dall'art. 86, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

 

 

Capo II

Dell'espatrio di minori a scopo di adozione

 

Art. 40.

I residenti all'estero, stranieri o cittadini italiani, che intendono adottare un cittadino italiano minore di età, devono presentare domanda al console italiano competente per territorio, che la inoltra al tribunale per i minorenni del distretto dove si trova il luogo di dimora del minore, ovvero il luogo del suo ultimo domicilio; in mancanza di dimora o di precedente domicilio nello Stato, è competente il tribunale per i minorenni di Roma.

 

Agli stranieri stabilmente residenti in Paesi che hanno ratificato la Convenzione, in luogo della procedura disciplinata dal primo comma si applicano le procedure stabilite nella Convenzione per quanto riguarda l'intervento ed i compiti delle autorità centrali e degli enti autorizzati. Per il resto si applicano le disposizioni della presente legge (95).

 

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(95)  Comma aggiunto dall'art. 5, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 41.

Il console del luogo ove risiedono gli adottanti vigila sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi, ove lo ritenga opportuno, dell'ausilio di idonee organizzazioni assistenziali italiane o straniere.

 

Qualora insorgano difficoltà di ambientamento del minore nella famiglia dei coniugi affidatari o si verifichino, comunque, fatti incompatibili con l'affidamento preadottivo, il console deve immediatamente darne notizia scritta al tribunale per i minorenni che ha pronunciato l'affidamento.

 

Il console del luogo ove risiede il minore vigila per quanto di propria competenza perché i provvedimenti dell'autorità italiana relativi al minore abbiano esecuzione e se del caso provvede al rimpatrio del minore.

 

Nel caso di adozione di minore stabilmente residente in Italia da parte di cittadini stranieri residenti stabilmente in Paesi che hanno ratificato la Convenzione, le funzioni attribuite al console dal presente articolo sono svolte dall'autorità centrale straniera e dall'ente autorizzato (96).

 

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(96)  Comma aggiunto dall'art. 5, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 42.

Qualora sia in corso nel territorio dello Stato un procedimento di adozione di un minore affidato a stranieri, o a cittadini italiani residenti all'estero, non può essere reso esecutivo un provvedimento di adozione dello stesso minore pronunciato da autorità straniera.

 

Art. 43.

Le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 9 si applicano anche ai cittadini italiani residenti all'estero (97).

 

Per quanto riguarda lo svolgimento delle funzioni consolari, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 34, 35 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, numero 200.

 

Competente ad accertare la situazione di abbandono del cittadino minore di età che si trovi all'estero e a disporre i conseguenti provvedimenti temporanei nel suo interesse ai sensi dell'articolo 10, compreso se del caso il rimpatrio, è il tribunale per i minorenni del distretto ove si trova il luogo di ultimo domicilio del minore; in mancanza di precedente domicilio nello Stato è competente il tribunale per i minorenni di Roma.

 

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(97)  Comma così modificato dall'art. 33, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

TITOLO IV

Dell'adozione in casi particolari

Capo I

Dell'adozione in casi particolari e dei suoi effetti

 

Art. 44.

1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:

 

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

 

 

b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

 

 

c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

 

 

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

 

2. L'adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.

 

3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

 

4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare (98) (99).

 

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(98)  Articolo così sostituito dall'art. 25, L. 28 marzo 2001, n. 149. In precedenza, la Corte costituzionale, con sentenza 31 gennaio-2 febbraio 1990, n. 44 (Gazz. Uff. 7 febbraio 1990, n. 6 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 44, quinto comma, nella parte in cui, limitatamente al disposto della lettera b) del primo comma, non consentiva al giudice competente di ridurre, in presenza di validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età a diciotto anni.

(99) La Corte costituzionale, con ordinanza 15-29 luglio 2005, n. 347 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, 31, secondo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma, e 44, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

 

 

Art. 45.

1. Nel procedimento di adozione nei casi previsti dall'articolo 44 si richiede il consenso dell'adottante e dell'adottando che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età.

 

2. Se l'adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha una età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento.

 

3. In ogni caso, se l'adottando non ha compiuto gli anni quattordici, l'adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante.

 

4. Quando l'adozione deve essere disposta nel caso previsto dall'articolo 44, comma 1, lettera c), deve essere sentito il legale rappresentante dell'adottando in luogo di questi, se lo stesso non può esserlo o non può prestare il proprio consenso ai sensi del presente articolo a causa delle sue condizioni di minorazione (100).

 

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(100)  Articolo così sostituito dall'art. 26, L. 28 marzo 2001, n. 149. In precedenza, la Corte costituzionale, con sentenza 10-18 febbraio 1988, n. 182 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1988, n. 8 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 45, secondo comma, nella parte in cui è previsto il consenso anziché l'audizione del legale rappresentante del minore.

 

 

Art. 46.

Per l'adozione è necessario l'assenso dei genitori e del coniuge dell'adottando.

Quando è negato l'assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell'adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, pronunziare ugualmente l'adozione, salvo che l'assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la potestà o dal coniuge, se convivente, dell'adottando. Parimenti il tribunale può pronunciare l'adozione quando è impossibile ottenere l'assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.

 

 

Art. 47.

1. L'adozione produce i suoi effetti dalla data della sentenza che la pronuncia. Finché la sentenza non è emanata, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il loro consenso.

 

2. Se uno dei coniugi muore dopo la prestazione del consenso e prima della emanazione della sentenza, si può procedere, su istanza dell'altro coniuge, al compimento degli atti necessari per l'adozione.

 

3. Se l'adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell'adottante (101).

 

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(101)  Articolo così sostituito dall'art. 27, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 48.

Se il minore è adottato da due coniugi, o dal coniuge di uno dei genitori, la potestà sull'adottato ed il relativo esercizio spettano ad entrambi.

 

L'adottante ha l'obbligo di mantenere l'adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall' articolo 147 del codice civile.

 

Se l'adottato ha beni propri, l'amministrazione di essi, durante la minore età dell'adottato stesso, spetta all'adottante, il quale non ne ha l'usufrutto legale, ma può impiegare le rendite per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore con l'obbligo di investirne l'eccedenza in modo fruttifero. Si applicano le disposizioni dell' articolo 382 del codice civile.

 

 

Art. 49.

1. L'adottante deve fare l'inventario dei beni dell'adottato e trasmetterlo al giudice tutelare entro trenta giorni dalla data della comunicazione della sentenza di adozione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nella sezione III del capo I del titolo X del libro primo del codice civile.

 

2. L'adottante che omette di fare l'inventario nel termine stabilito o fa un inventario infedele può essere privato dell'amministrazione dei beni dal giudice tutelare, salvo l'obbligo del risarcimento dei danni (102).

 

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(102)  Articolo così sostituito dall'art. 28, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 50.

Se cessa l'esercizio da parte, dell'adottante o degli adottanti della potestà, il tribunale per i minorenni su istanza dell'adottato, dei suoi parenti o affini o del pubblico ministero, o anche d'ufficio, può emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell'adottato, la sua rappresentanza e l'amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l'esercizio della potestà sia ripreso dai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile.

 

Art. 51.

La revoca dell'adozione può essere pronunciata dal tribunale su domanda dell'adottante, quando l'adottato maggiore di quattordici anni abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso di loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni.

 

Se l'adottante muore in conseguenza dell'attentato, la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti.

 

Il tribunale, assunte informazioni ed effettuato ogni opportuno accertamento e indagine, sentiti il pubblico ministero, l'adottante e l'adottato, pronuncia la sentenza.

 

Il tribunale, sentito il pubblico ministero ed il minore, può emettere altresì i provvedimenti opportuni con decreto in camera di consiglio circa la cura della persona del minore, la rappresentanza e l'amministrazione dei beni.

 

Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

 

Nei casi in cui siano adottati i provvedimenti di cui al quarto comma, il tribunale li segnala al giudice tutelare ai fini della nomina di un tutore.

 

 

Art. 52.

Quando i fatti previsti nell'articolo precedente sono stati compiuti dall'adottante contro l'adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui, la revoca può essere pronunciata su domanda dell'adottato o su istanza del pubblico ministero.

 

Il tribunale, assunte informazioni ed effettuato ogni opportuno accertamento e indagine, sentiti il pubblico ministero, l'adottante e l'adottato che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento pronuncia sentenza (103).

 

Inoltre il tribunale, sentiti il pubblico ministero ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche di età inferiore, può dare provvedimenti opportuni con decreto in camera di consiglio circa la cura della persona del minore, la sua rappresentanza e l'amministrazione dei beni, anche se ritiene conveniente che l'esercizio della potestà sia ripreso dai genitori.

 

Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

 

Nei casi in cui siano adottati i provvedimenti di cui al terzo comma il tribunale li segnala al giudice tutelare al fine della nomina di un tutore.

 

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(103)  Comma così modificato dall'art. 32, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 53.

La revoca dell'adozione può essere promossa dal pubblico ministero in conseguenza della violazione dei doveri incombenti sugli adottanti.

 

Si applicano le disposizioni di cui ai precedenti articoli.

 

 

Art. 54.

Gli effetti dell'adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca.

 

Se tuttavia la revoca è pronunziata dopo la morte dell'adottante per fatto imputabile all'adottato, l'adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell'adottante.

 

 

Art. 55.

Si applicano al presente capo le disposizioni degli articoli 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile (104).

 

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(104)  La Corte costituzionale, con sentenza 17-24 giugno 2002, n. 268 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione.

 

 

Capo II

Delle forme dell'adozione in casi particolari.

 

Art. 56.

Competente a pronunciarsi sull'adozione è il tribunale per i minorenni del distretto dove si trova il minore.

 

Il consenso dell'adottante e dell'adottando che ha compiuto i quattordici anni e del legale rappresentante dell'adottando deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale o ad un giudice da lui delegato (105).

 

L'assenso delle persone indicate nell'articolo 46 può essere dato da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

 

Si applicano gli articoli 313 e 314 del codice civile, ferma restando la competenza del tribunale per i minorenni e della sezione per i minorenni e della sezione per i minorenni della corte di appello (106).

 

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(105) La Corte costituzionale, con sentenza 10-18 febbraio 1988, n. 182 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1988, n. 8 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, nella parte in cui è previsto il consenso anziché l'audizione del legale rappresentante il minore.

(106) La Corte costituzionale, con sentenza 25-29 ottobre 1999, n. 401 (Gazz. Uff. 3 novembre 1999, n. 44, serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, quarto comma, in relazione all'art. 313 del codice civile, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione.

 

 

Art. 57.

Il tribunale verifica:

 

1) se ricorrono le circostanze di cui all'articolo 44;

 

2) se l'adozione realizza il preminente interesse del minore.

 

A tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell'adottando, dispone l'esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull'adottante, sul minore e sulla di lui famiglia.

 

L'indagine dovrà riguardare in particolare:

 

a) l'idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare degli adottanti (107);

 

 

b) i motivi per i quali l'adottante desidera adottare il minore;

 

 

c) la personalità del minore;

 

 

d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell'adottante e del minore.

 

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(107)  Lettera così sostituita dall'art. 29, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

TITOLO V

Modifiche al titolo VIII del libro I del codice civile

 

Art. 58.

(108).

 

 

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(108)  Sostituisce l'intitolazione del titolo VIII del libro I del codice civile.

 

 

Art. 59.

 ... (109).

 

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(109)  Sostituisce l'intitolazione del Capo I del titolo VIII del libro I del codice civile.

 

 

Art. 60.

Le disposizioni di cui al capo I del titolo VIII del libro I del codice civile non si applicano alle persone minori di età.

 

 

Art. 61.

(110).

 

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(110)  Sostituisce l' art. 299 del codice civile.

 

 

Art. 62.

(111).

 

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(111)  Sostituisce l' art. 307 del codice civile.

 

 

Art. 63.

(112).

 

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(112)  Sostituisce l'intitolazione del Capo II del titolo VIII del titolo I del codice civile.

 

 

Art. 64.

(113).

 

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(113)  Sostituisce l' art. 312 del codice civile.

 

 

 

Art. 65.

(114).

 

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(114)  Sostituisce l' art. 313 del codice civile.

 

 

Art. 66.

(115).

 

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(115)  Sostituisce i primi due commi dell' art. 314 del codice civile.

 

 

Art. 67.

Sono abrogati: il secondo e il terzo comma dell'articolo 293, il secondo e il terzo comma dell' articolo 296, gli articoli 301, 302, 303, 308 e 310 del codice civile.

 

È abrogato altresì il capo III del titolo VIII del libro I del codice civile.

 

 

TITOLO VI

Norme finali, penali e transitorie

 

Art. 68.

(116).

 

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(116)  Sostituisce il primo comma dell' art. 38, disp. att. del codice civile.

 

 

Art. 69.

In aggiunta a quanto disposto nell' articolo 51 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nel registro delle tutele devono essere annotati i provvedimenti emanati dal tribunale per i minorenni ai sensi dell'articolo 10 della presente legge.

 

 

Art. 70.

1. I pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio che omettono di riferire alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio, sono puniti ai sensi dell' articolo 328 del codice penale. Gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 2.500.000.

 

2. I rappresentanti degli istituti di assistenza pubblici o privati che omettono di trasmettere semestralmente alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni l'elenco di tutti i minori ricoverati o assistiti, ovvero forniscono informazioni inesatte circa i rapporti familiari concernenti i medesimi, sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 5.000.000 (117).

 

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(117)  Articolo così sostituito dall'art. 34, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 71.

Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da uno a tre anni (118) (119).

 

Se il fatto è commesso dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza e di custodia, la pena è aumentata della metà.

 

Se il fatto è commesso dal genitore la condanna comporta la perdita della relativa potestà e l'apertura della procedura di adottabilità; se è commesso dal tutore consegue la rimozione dall'ufficio; se è commesso dalla persona cui il minore è affidato consegue la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare (120).

 

Se il fatto è commesso da pubblici ufficiali, da incaricati di un pubblico servizio, da esercenti la professione sanitaria o forense, da appartenenti ad istituti di assistenza pubblici o privati nei casi di cui all' articolo 61, numeri 9 e 11, del codice penale, la pena è raddoppiata.

 

La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività. La condanna comporta la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare (121).

 

Chiunque svolga opera di mediazione al fine di realizzare l'affidamento di cui al primo comma è punito con la reclusione fino ad un anno o con multa da lire 500.000 a lire 5.000.000 (122).

 

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(118)  Comma così sostituito dall'art. 35, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

(119)  La Corte costituzionale, con ordinanza 7-13 giugno 2000, n. 196 (Gazz. Uff. 21 giugno 2000, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, primo, terzo e quinto comma, e 74, primo e secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.

 

(120)  La Corte costituzionale, con ordinanza 7-13 giugno 2000, n. 196 (Gazz. Uff. 21 giugno 2000, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, primo, terzo e quinto comma, e 74, primo e secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.

 

(121)  La Corte costituzionale, con ordinanza 7-13 giugno 2000, n. 196 (Gazz. Uff. 21 giugno 2000, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, primo, terzo e quinto comma, e 74, primo e secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.

 

(122)  Comma così sostituito dall'art. 35, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 72.

Chiunque, per procurarsi denaro o altra utilità, in violazione delle disposizioni della presente legge, introduce nello Stato uno straniero minore di età perché sia definitivamente affidato a cittadini italiani è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

La pena stabilita nel precedente comma si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo danaro o altra utilità a terzi, accolgono stranieri minori di età in illecito affidamento con carattere di definitività. La condanna comporta l'inidoneità a ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.

 

 

 

Art. 72-bis.

1. Chiunque svolga per conto di terzi pratiche inerenti all'adozione di minori stranieri senza avere previamente ottenuto l'autorizzazione prevista dall'articolo 39, comma 1, lettera c), è punito con la pena della reclusione fino a un anno o con la multa da uno a dieci milioni di lire.

 

2. La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da due a sei milioni di lire per i legali rappresentanti ed i responsabili di associazioni o di agenzie che trattano le pratiche di cui al comma 1.

 

3. Fatti salvi i casi previsti dall'articolo 36, comma 4, coloro che, per l'adozione di minori stranieri, si avvalgono dell'opera di associazioni, organizzazioni, enti o persone non autorizzati nelle forme di legge sono puniti con le pene di cui al comma 1 diminuite di un terzo (123).

 

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(123)  Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 31 dicembre 1998, n. 476.

 

 

Art. 73.

Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio legittimo per adozione è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire 200.000 a lire 2.000.000 (124).

 

Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche a chi fornisce tali notizie successivamente all'affidamento preadottivo e senza l'autorizzazione del tribunale per i minorenni.

 

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(124)  Comma così sostituito dall'art. 36, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 74.

Gli ufficiali di stato civile trasmettono immediatamente al competente tribunale per i minorenni comunicazione, sottoscritta dal dichiarante, dell'avvenuto riconoscimento da parte di persona coniugata di un figlio naturale non riconosciuto dall'altro genitore. Il tribunale dispone l'esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicità del riconoscimento (125).

 

Nel caso in cui vi siano fondati motivi per ritenere che ricorrano gli estremi dell'impugnazione del riconoscimento il tribunale per i minorenni assume, anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all' articolo 264, secondo comma, del codice civile (126).

 

 

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(125)  La Corte costituzionale, con ordinanza 7-13 giugno 2000, n. 196 (Gazz. Uff. 21 giugno 2000, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, primo, terzo e quinto comma, e 74, primo e secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.

 

(126)  La Corte costituzionale, con ordinanza 7-13 giugno 2000, n. 196 (Gazz. Uff. 21 giugno 2000, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, primo, terzo e quinto comma, e 74, primo e secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.

 

 

Art. 75.

[L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta l'assistenza legale alle procedure previste ai sensi della presente legge.

 

La liquidazione delle spese, delle competenze e degli onorari viene effettuata dal giudice con apposita ordinanza, a richiesta del difensore, allorché l'attività di assistenza di quest'ultimo è da ritenersi cessata.

 

Si applica la disposizione di cui all'articolo 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533] (127).

 

 

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(127)  Articolo abrogato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l'art. 143 del citato D.P.R. n. 115 del 2002.

 

 

Art. 76.

Alle procedure relative all'adozione di minori stranieri in corso o già definite al momento di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data medesima (128).

 

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(128)  La Corte costituzionale, con sentenza 1° luglio 1986, n. 199 (Gazz. Uff. 25 luglio 1986, n. 36 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 76 nella parte in cui preclude l'applicazione dell'art. 37 alle procedure già iniziate nei confronti di minore straniero in stato di abbandono in Italia.

 

 

Art. 77.

Gli articoli da 404 a 413 del codice civile sono abrogati. Per le affiliazioni già pronunciate alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano i divieti e le autorizzazioni di cui all' articolo 87 del codice civile.

 

 

Art. 78.

(129).

 

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(129)  Sostituisce il quarto comma dell' art. 87 del codice civile.

 

 

Art. 79.

Entro tre anni dall'entrata in vigore della presente legge i coniugi che risultino forniti dei requisiti di cui all'art. 6 possono chiedere al tribunale per i minorenni di dichiarare, sempreché il provvedimento risponda agli interessi dell'adottato e dell'affiliato, con decreto motivato, l'estensione degli effetti della adozione nei confronti degli affiliati o adottati ai sensi dell' art. 291 del codice civile, precedentemente in vigore, se minorenni all'epoca del relativo provvedimento (130).

 

Il tribunale dispone l'esecuzione delle opportune indagini di cui all'articolo 57, sugli adottanti e sull'adottato o affiliato.

 

Gli adottati o affiliati che abbiano compiuto gli anni dodici e, in considerazione della loro capacità di discernimento, anche i minori di età inferiore devono essere sentiti; se hanno compiuto gli anni quattordici devono prestare il consenso (131).

 

Il coniuge dell'adottato o affiliato, se convivente non legalmente separato, deve prestare l'assenso.

 

I discendenti degli adottati o affilianti che hanno superato gli anni quattordici devono essere sentiti.

 

Se gli adottati o affiliati sono figli legittimi o riconosciuti è necessario l'assenso dei genitori. Nel caso di irreperibilità o di rifiuto non motivato, su ricorso degli adottanti o affilianti, sentiti il pubblico ministero, i genitori dell'adottato o affiliato e quest'ultimo, se ha compiuto gli anni dodici, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo dell'assenso mancante.

 

Al decreto relativo all'estensione degli effetti dell'adozione si applicano le disposizioni di cui agli articoli 25, 27 e 28, in quanto compatibili.

 

Il decreto del tribunale per i minorenni che nega l'estensione degli effetti dell'adozione può essere impugnato anche dall'adottato o affiliato se maggiorenne.

 

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(130)  La Corte costituzionale con sentenza 1° luglio 1986, n. 198 (Gazz. Uff. 25 luglio 1986, n. 36 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 79, primo comma, nella parte in cui, nella ipotesi di coniugi non più uniti in matrimonio alla data della presentazione della domanda di estensione degli effetti dell'adozione, non consente di pronunziare l'estensione stessa nei confronti degli adottati ai sensi dell' art. 291 del codice civile, precedentemente in vigore. La stessa Corte, con sentenza 10-18 febbraio 1988, n. 183 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1988, n. 8 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 79, primo comma, nella parte in cui non consente l'estensione degli effetti dell'adozione legittimante nei confronti dei minori adottati con adozione ordinaria quando la differenza di età tra adottanti e adottato superi i 40 anni.

 

(131)  Comma così modificato dall'art. 32, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 80.

1. Il giudice, se del caso ed anche in relazione alla durata dell'affidamento, può disporre che gli assegni familiari e le prestazioni previdenziali relative al minore siano erogati temporaneamente in favore dell'affidatario.

 

2. Le disposizioni di cui all'articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, all'articolo 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, e alla legge 8 marzo 2000, n. 53, si applicano anche agli affidatari di cui al comma 1.

 

3. Alle persone affidatarie si estendono tutti i benefìci in tema di astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro, di permessi per malattia, di riposi giornalieri, previsti per i genitori biologici.

 

4. Le regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l'idoneità all'accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche (132).

 

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(132)  Articolo prima modificato dall'art. 86, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e poi così sostituito dall'art. 38, L. 28 marzo 2001, n. 149.

 

 

Art. 81.

(133).

 

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(133)  Sostituisce l'ultimo comma dell' art. 244 del codice civile.

 

 

Art. 82.

Gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle procedure previste dalla presente legge nei riguardi di persone minori di età, sono esenti dalle imposte di bollo e di registro e da ogni spesa, tassa e diritto dovuti ai pubblici uffici.

 

Sono ugualmente esenti gli atti ed i documenti relativi all'esecuzione dei provvedimenti pronunciati dal giudice nei procedimenti su indicati.

 

Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, valutati in annue lire 100.000.000, si provvede mediante corrispondente riduzione del capitolo 1589 dello stato di previsione del Ministero di grazia e giustizia per l'anno finanziario 1983 e corrispondenti capitoli degli esercizi successivi.

 

Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

L. 23 agosto 1988 n. 400.
Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri
(art. 17)

 

 

Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 settembre 1988, n. 214, S.O. 

(omissis)

 

Art. 17.

Regolamenti.

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:

 

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari (28);

 

 

b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;

 

 

c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

 

 

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;

 

 

e) [l'organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali] (29).

 

2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari (30).

 

3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

 

4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

 

4-bis. L'organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l'osservanza dei criteri che seguono:

 

a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione;

 

b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;

 

c) previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati;

 

d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;

 

e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali (31).

 

 

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(28)  Lettera così modificata dall'art. 11, L. 5 febbraio 1999, n. 25.

 

(29)  Lettera abrogata dall'art. 74, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e dall'art. 72, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

 

(30) La Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 303 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 23, 70, 76 e 77 della Costituzione.

 

(31)  Comma aggiunto dall'art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.


 

L. 27 maggio 1991, n. 176.
Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989
(art. 12)

 

(1). (2) (3).

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 giugno 1991, n. 135, S.O.

(2)  Si riporta soltanto il testo della traduzione non ufficiale. Vedi, anche, i protocolli opzionali alla presente convenzione resi esecutivi con L. 11 marzo 2002, n. 46.

(3)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:  Ministero della sanità: Circ. 22 aprile 1998, n. DPS-X40/98/1010; - Ministero per la pubblica istruzione: Circ. 2 settembre 1998, n. 371.

 

 

Art. 1. 

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.

 

 

Art. 2. 

1. Piena ed intera esecuzione è data alla convenzione di cui all'articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall'articolo 49 della convenzione stessa.

 

 

Art. 3.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

TRADUZIONE NON UFFICIALE

CONVENZIONE. SUI DIRITTI DEL FANCIULLO

 Preambolo

 

 

Gli Stati parti alla presente Convenzione

 

Considerando che, in conformità con i principi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana nonché l'uguaglianza ed il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel mondo,

 

Tenendo presente che i popoli delle Nazioni Unite hanno ribadito nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo e nella dignità e nel valore della persona umana ed hanno risolto di favorire il progresso sociale e di instaurare migliori condizioni di vita in una maggiore libertà,

 

Riconoscendo che le Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e nei Patti internazionali relativi ai Diritti dell'Uomo hanno proclamato ed hanno convenuto che ciascuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza distinzione di sorta in particolare di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di ogni altra opinione, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di ogni altra circostanza,

 

Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, le Nazioni Unite hanno proclamato che l'infanzia ha diritto ad un aiuto e ad una assistenza particolari,

 

Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società ed ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l'assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività,

 

Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione,

 

In considerazione del fatto che occorra preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella Società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà,

 

Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione speciale al fanciullo è stata enunciata nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo adottata dall'Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici - in particolare negli articoli 23 e 24 - nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali - in particolare all'articolo 10 - e negli Statuti e strumenti pertinenti delle Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere del fanciullo,

 

Tenendo presente che, come indicato nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita,

 

Rammentando le disposizioni della Dichiarazione sui principi sociali e giuridici applicabili alla protezione ed al benessere dei fanciulli, considerati soprattutto sotto il profilo delle prassi in materia di adozione e di collocamento familiare a livello nazionale e internazionale; dell'Insieme delle regole minime delle Nazioni Unite relative all'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Beijing) e della Dichiarazione sulla protezione delle donne e dei fanciulli in periodi di emergenza e di conflitto armato,

 

Riconoscendo che vi sono in tutti i paesi del mondo fanciulli che vivono in condizioni particolarmente difficili e che è necessario prestare ad essi una particolare attenzione,

 

Tenendo debitamente conto dell'importanza delle tradizioni e dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo armonioso del fanciullo,

 

Riconoscendo l'importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare nei paesi in via di sviluppo,

 

Hanno convenuto quanto segue:

 

(omissis)

 

Art. 12.

 1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

 

2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.

 

(omissis)

 


 

L. 31 maggio 1995, n. 218.
Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato
(artt. 16, 17, 33, 34, 35, 39)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 giugno 1995, n. 128, S.O.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero dell'interno: Circ. 9 febbraio 1999, n. 1958; Circ. 22 dicembre 2004, n. 64/2004;

- Ministero di grazia e giustizia: Circ. 5 aprile 1996, n. 12/96; Circ. 9 aprile 1997, n. 4/97.

(omissis)

Art. 16

Ordine pubblico.

1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico.

 

2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana.

 

 

Art. 17

Norme di applicazione necessaria.

1. È fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera.

(omissis)

Art. 33

Filiazione.

1. Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita.

 

2. È legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita del figlio.

 

3. La legge nazionale del figlio al momento della nascita regola i presupposti e gli effetti dell'accertamento e della contestazione dello stato di figlio. Lo stato di figlio legittimo, acquisito in base alla legge nazionale di uno dei genitori, non può essere contestato che alla stregua di tale legge.

 

Art. 34

Legittimazione.

1. La legittimazione per susseguente matrimonio è regolata dalla legge nazionale del figlio nel momento in cui essa avviene o dalla legge nazionale di uno dei genitori nel medesimo momento.

 

2. Negli altri casi, la legittimazione è regolata dalla legge dello Stato di cui è cittadino, al momento della domanda, il genitore nei cui confronti il figlio viene legittimato. Per la legittimazione destinata ad avere effetto dopo la morte del genitore legittimante, si tiene conto della sua cittadinanza al momento della morte.

 

 

Art. 35

Riconoscimento di figlio naturale.

1. Le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene.

 

2. La capacità del genitore di fare il riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale.

 

3. La forma del riconoscimento è regolata dalla legge dello Stato in cui esso è fatto o da quella che ne disciplina la sostanza.

 

 

Art. 39

Rapporto fra adottato e famiglia adottiva.

1. I rapporti personali e patrimoniali fra l'adottato e l'adottante o gli adottanti ed i parenti di questi sono regolati dal diritto nazionale dell'adottante o degli adottanti se comune o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti ovvero da quello dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.

(omissis)

 


 

D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127
(artt. 28-49)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 dicembre 2000, n. 303, S.O.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- ISTAT (Istituto nazionale di statistica): Circ. 21 maggio 2004, n. 27; Circ. 1 luglio 2004, n. 30;

- Ministero dell'interno: Circ. 26 marzo 2001, n. 2/2001; Circ. 12 aprile 2001, n. 6; Circ. 11 luglio 2001, n. 9; Circ. 13 luglio 2001, n. 10; Circ. 15 luglio 2002, n. 14;

- Ministero della giustizia: Circ. 16 marzo 2001, n. 1827; Circ. 23 ottobre 2001, n. 17.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visto l'articolo 87 della Costituzione;

 

Visto l'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

 

Visto l'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127;

 

Visto il regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238;

 

Viste le preliminari deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del 30 aprile 1999 e del 7 luglio 2000;

 

Sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

 

Consultato il Garante per la protezione dei dati personali;

 

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 4 maggio 2000;

 

Acquisito il parere della competente Commissione della Camera dei deputati;

 

Considerato che il termine per l'emissione del parere della competente Commissione parlamentare del Senato della Repubblica, ai sensi dell'art. 2, comma 13, della legge 15 maggio 1997, n. 127, è decorso in data 11 agosto 2000 senza la pronuncia del predetto parere;

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 ottobre 2000;

 

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per la funzione pubblica, del Ministro della giustizia e del Ministro dell'interno;

 

 

Emana il seguente regolamento:

(omissis)

TITOLO VII

Delle registrazioni relative agli atti di nascita e agli atti di riconoscimento dei figli naturali

 

Art. 28. 

Iscrizioni e trascrizioni.

1. Negli archivi di cui all'articolo 10 si iscrivono:

 

a) le dichiarazioni di nascita rese direttamente all'ufficiale dello stato civile;

 

 

b) gli atti di riconoscimento di filiazione naturale ricevuti dall'ufficiale dello stato civile a norma dell'articolo 254, primo comma, del codice civile;

 

 

c) gli atti di assenso prestati ai sensi dell'articolo 250, secondo comma, del codice civile, se successivi al riconoscimento, ricevuti dall'ufficiale dello stato civile;

 

 

d) gli atti di consenso prestati ai sensi dell'articolo 250, terzo comma, del codice civile, se anteriori al riconoscimento dell'altro genitore, ricevuti dall'ufficiale dello stato civile;

 

 

e) i processi verbali di cui all'articolo 38.

 

2. Nei medesimi archivi si trascrivono:

 

a) le dichiarazioni di nascita rese al direttore sanitario dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita;

 

 

b) gli atti di nascita ricevuti all'estero;

 

 

c) gli atti e i processi verbali relativi a nascite avvenute durante un viaggio marittimo, aereo o ferroviario;

 

 

d) gli atti di nascita ricevuti dagli ufficiali designati per le operazioni eseguite dalle forze di pace o di guerra;

 

 

e) le sentenze straniere e i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione in materia di nascita;

 

 

f) i decreti di cambiamento o aggiunta di nome e cognome e i provvedimenti che revocano o annullano i decreti medesimi;

 

 

g) i provvedimenti in materia di adozione.

 

3. Negli archivi suddetti si iscrivono anche gli atti che si sarebbero dovuti iscrivere o trascrivere e che vengono formati per ordine del tribunale perché in precedenza omessi (7).

 

 

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(7)  Vedi, anche, l'art. 9, D.M. 27 febbraio 2001.

 

 

Art. 29.

 Atto di nascita.

1. La dichiarazione di nascita è resa nei termini e con le modalità di cui all'articolo 30.

 

2. Nell'atto di nascita sono indicati il luogo, l'anno, il mese, il giorno e l'ora della nascita, le generalità, la cittadinanza, la residenza dei genitori legittimi nonché di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale e di quelli che hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati, il sesso del bambino e il nome che gli viene dato ai sensi dell'articolo 35.

 

3. Se il parto è plurimo, se ne fa menzione in ciascuno degli atti indicando l'ordine in cui le nascite sono seguite.

 

4. Se il dichiarante non dà un nome al bambino, vi supplisce l'ufficiale dello stato civile.

 

5. Quando si tratta di bambini di cui non sono conosciuti i genitori, l'ufficiale dello stato civile impone ad essi il nome ed il cognome.

 

6. L'ufficiale dello stato civile accerta la verità della nascita attraverso l'attestazione o la dichiarazione sostitutiva di cui all'articolo 30, commi 2 e 3.

 

7. Nell'atto di nascita si fa menzione del modo di accertamento della nascita.

 

 

Art. 30. 

Dichiarazione di nascita.

1. La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata (8).

 

2. Ai fini della formazione dell'atto di nascita, la dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile è corredata da una attestazione di avvenuta nascita contenente le generalità della puerpera, nonché le indicazioni del comune, ospedale, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell'ora della nascita e del sesso del bambino.

 

3. Se la puerpera non è stata assistita da personale sanitario, il dichiarante che non è neppure in grado di esibire l'attestazione di constatazione di avvenuto parto, produce una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.

 

4. La dichiarazione può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all'attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all'ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l'autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore.

 

5. La dichiarazione non può essere ricevuta dal direttore sanitario se il bambino è nato morto ovvero se è morto prima che è stata resa la dichiarazione stessa. In tal caso la dichiarazione deve essere resa esclusivamente all'ufficiale dello stato civile del comune dove è avvenuta la nascita.

 

6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo, gli uffici dello stato civile, nei loro rapporti con le direzioni sanitarie dei centri di nascita presenti sul proprio territorio, si attengono alle modalità di coordinamento e di collegamento previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 10, comma 2.

 

7. I genitori, o uno di essi, se non intendono avvalersi di quanto previsto dal comma 4, hanno facoltà di dichiarare, entro dieci giorni dal parto, la nascita nel proprio comune di residenza. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra di loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre. In tali casi, ove il dichiarante non esibisca l'attestazione della avvenuta nascita, il comune nel quale la dichiarazione è resa deve procurarsela presso il centro di nascita dove il parto è avvenuto, salvo quanto previsto al comma 3 (9).

 

8. L'ufficiale dello stato civile che registra la nascita nel comune di residenza dei genitori o della madre deve comunicare al comune di nascita il nominativo del nato e gli estremi dell'atto ricevuto (10).

 

 

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(8)  Vedi, anche, l'art. 93, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e l'art. 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40.

(9)  Vedi, anche, l'art. 11, D.M. 27 febbraio 2001.

(10)  Vedi, anche, l'art. 12, D.M. 27 febbraio 2001.

 

 

Art. 31. 

Dichiarazione tardiva.

1. Se la dichiarazione è fatta dopo più di dieci giorni dalla nascita, il dichiarante deve indicare le ragioni del ritardo. In tal caso l'ufficiale dello stato civile procede alla formazione tardiva dell'atto di nascita e ne dà segnalazione al procuratore della Repubblica.

 

2. Nel caso in cui il dichiarante non produca la documentazione di cui all'articolo 30, commi 2 e 3, o non indichi le ragioni del ritardo, la dichiarazione di nascita può essere ricevuta solo in forza di decreto dato con il procedimento della rettificazione. A tale fine l'ufficiale dello stato civile informa senza indugio il procuratore della Repubblica per il promovimento del relativo giudizio (11).

 

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(11)  Vedi, anche, l'art. 9, D.M. 27 febbraio 2001.

 

 

Art. 32. 

Omessa dichiarazione.

1. L'ufficiale dello stato civile, quando viene a conoscenza che la dichiarazione di nascita non è stata fatta neppure tardivamente, ne riferisce al procuratore della Repubblica ai fini del promovimento del giudizio di rettificazione. Dopo che ne ha riferito al procuratore della Repubblica, non può più ricevere la dichiarazione tardiva di nascita, ma forma l'atto di nascita soltanto in base al relativo decreto.

 

 

Art. 33. 

Disposizioni sul cognome.

1. Il figlio legittimato ha il cognome del padre, ma egli, se maggiore di età alla data della legittimazione, può scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha legittimato.

 

2. Uguale facoltà di scelta è concessa al figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché al figlio naturale di ignoti riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi.

 

3. Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta. Esse vengono annotate nell'atto di nascita del figlio medesimo.

 

 

Art. 34. 

Limiti all'attribuzione del nome.

1. È vietato imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come nome, nomi ridicoli o vergognosi.

 

2. I nomi stranieri che sono imposti ai bambini aventi la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell'alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell'alfabeto della lingua di origine del nome.

 

3. Ai figli di cui non sono conosciuti i genitori non possono essere imposti nomi o cognomi che facciano intendere l'origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l'atto di nascita è formato.

 

4. Se il dichiarante intende dare al bambino un nome in violazione del divieto stabilito nel comma 1 o in violazione delle indicazioni del comma 2, l'ufficiale dello stato civile lo avverte del divieto, e, se il dichiarante persiste nella sua determinazione, riceve la dichiarazione, forma l'atto di nascita e, informandone il dichiarante, ne dà immediatamente notizia al procuratore della Repubblica ai fini del promovimento del giudizio di rettificazione.

 

 

Art. 35. 

Nome.

1. Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere composto da uno o da più elementi onomastici, anche separati, non superiori a tre. In quest'ultimo caso, tutti gli elementi del prenome dovranno essere riportati negli estratti e nei certificati rilasciati dall'ufficiale dello stato civile e dall'ufficiale di anagrafe.

 

 

 

 

Art. 36. 

Indicazioni sul nome.

1. Chi ha avuto attribuito alla nascita, prima della data di entrata in vigore del presente regolamento, un nome composto da più elementi, anche se separati tra loro, può dichiarare per iscritto all'ufficiale dello stato civile del luogo di nascita l'esatta indicazione con cui, in conformità alla volontà del dichiarante o, all'uso fattone, devono essere riportati gli elementi del proprio nome negli estratti per riassunto e nei certificati rilasciati dagli uffici dello stato civile e di anagrafe.

 

2. La sottoscrizione della dichiarazione non è soggetta ad autenticazione ove presentata unitamente a copia fotostatica, non autenticata, di un documento di identità del sottoscrittore. L'istanza e la copia fotostatica del documento di identità possono essere inviate per via telematica o a mezzo posta o via fax.

 

3. La dichiarazione medesima è annotata senza altre formalità nell'atto di nascita ed è comunicata ai sensi dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228.

 

 

Art. 37. 

Casi particolari.

1. Quando al momento della dichiarazione di nascita il bambino non è vivo, il dichiarante deve far conoscere se il bambino è nato morto o è morto posteriormente alla nascita. Tali circostanze devono essere comprovate dal dichiarante con certificato medico.

 

2. L'ufficiale dello stato civile forma il solo atto di nascita se il bambino è nato morto e fa ciò risultare nell'atto stesso; egli forma anche quello di morte, se il bambino è morto posteriormente alla nascita (12).

 

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(12)  Vedi, anche, l'art. 9, D.M. 27 febbraio 2001.

 

 

Art. 38.

 Ritrovamento di minori abbandonati.

1. Chiunque trova un bambino abbandonato deve affidarlo ad un istituto o ad una casa di cura. Il direttore della struttura che accoglie il bambino ne dà immediata comunicazione all'ufficiale dello stato civile del comune dove è avvenuto il ritrovamento. L'ufficiale dello stato civile iscrive negli archivi di cui all'articolo 10 apposito processo verbale nel quale indica l'età apparente ed il sesso del bambino, così come risultanti nella comunicazione a lui pervenuta, ed impone un cognome ed un nome, informandone immediatamente il giudice tutelare e il tribunale per i minorenni per l'espletamento delle incombenze di rispettiva competenza.

 

 

 

 

Art. 39.

 Nascita in viaggio marittimo o aereo.

1. Se la nascita avviene durante un viaggio marittimo, il relativo atto deve essere formato entro ventiquattro ore dall'evento.

 

2. Si osservano le disposizioni degli articoli 203, 205, 207, 208, e 210 del codice della navigazione o, in caso si tratti di navi militari, quelle del relativo regolamento per il servizio di bordo, in quanto compatibili con il presente regolamento.

 

3. Se la nascita avviene durante un viaggio aereo, si osservano le disposizioni degli articoli 835 e 836 del codice della navigazione, in quanto compatibili con il presente regolamento.

 

 

Art. 40. 

Nascita in viaggio per ferrovia.

1. Se la nascita avviene durante un viaggio per ferrovia, la dichiarazione deve essere fatta al responsabile del convoglio che redige un processo verbale con le dichiarazioni prescritte per gli atti di nascita e lo consegna al capo della stazione nella quale si effettua la prima fermata del convoglio. Il capo della stazione lo trasmette all'ufficiale dello stato civile del luogo, per la trascrizione.

 

 

Art. 41. 

Trascrizioni.

1. Per la trascrizione degli atti e dei processi verbali relativi a nascite avvenute durante un viaggio marittimo o aereo è competente l'ufficiale dello stato civile del luogo di primo approdo della nave o dell'aeromobile. Se tale luogo si trova all'estero si applica l'articolo 15.

 

2. Di ogni documento trasmesso è fatta menzione negli archivi di cui all'articolo 10.

 

 

Art. 42. 

Riconoscimento di figli naturali.

1. Chi intende riconoscere un figlio naturale davanti all'ufficiale dello stato civile deve dimostrare che nulla osta al riconoscimento ai sensi di legge. Se il riconoscimento è fatto con atto distinto, posteriore alla nascita, e questa è avvenuta in altro comune, l'ufficiale dello stato civile deve acquisire direttamente la relativa documentazione ai sensi dell'articolo 21, comma 2.

 

2. Per gli atti di riconoscimento che riguardano figli incestuosi, deve essere prodotta copia del provvedimento di autorizzazione al riconoscimento.

 

 

Art. 43. 

Annotazioni.

1. La dichiarazione di riconoscimento di un figlio naturale, fatta a norma dell'articolo 254 del codice civile, è annotata nell'atto di nascita.

 

2. Se il riconoscimento riguarda un figlio nato fuori del comune in cui l'atto è ricevuto, l'ufficiale dello stato civile trasmette copia dell'atto di riconoscimento, ai fini dell'annotazione nell'atto di nascita, all'ufficiale dello stato civile del comune dove è stata dichiarata la nascita.

 

 

Art. 44. 

Riconoscimento del nascituro.

1. Il riconoscimento di un figlio nascituro può essere fatto dal padre. o contestualmente a quello della gestante o dopo il riconoscimento di quest'ultima e la prestazione del suo consenso, ai sensi dell'articolo 250, terzo comma, del codice civile.

 

2. L'ufficiale dello stato civile che riceve una dichiarazione di riconoscimento di figlio nascituro, rilascia di ufficio a chi la effettua copia di tale dichiarazione.

 

 

Art. 45. 

Altri casi di riconoscimento.

1. Il riconoscimento del figlio naturale che non ha compiuto i sedici anni non può essere ricevuto dall'ufficiale dello stato civile in mancanza del consenso del genitore che lo ha riconosciuto per primo o della sentenza del tribunale per i minorenni che tiene luogo del consenso mancante. Il consenso può essere manifestato, anteriormente al riconoscimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo, oppure può essere manifestato contestualmente al riconoscimento medesimo.

 

2. Se il figlio ha compiuto i sedici anni, il riconoscimento è ricevuto dall'ufficiale dello stato civile ma non produce effetto senza l'assenso di cui al secondo comma dell'articolo 250 del codice civile e di ciò si fa menzione nell'atto di riconoscimento. Se l'assenso è manifestato successivamente, di esso è fatta annotazione nell'atto di riconoscimento iscritto.

 

3. In caso di riconoscimento contenuto in un testamento, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano con riguardo al momento in cui si chiede l'annotazione del riconoscimento nell'atto di nascita.

 

 

Art. 46. 

Adempimenti d'ufficio.

1. Il pubblico ufficiale che ha ricevuto una dichiarazione di riconoscimento di figlio naturale deve, nei venti giorni successivi, inviarne copia all'ufficiale dello stato civile competente per l'annotazione.

 

2. Se la dichiarazione è contenuta in un testamento, la copia deve essere trasmessa dal notaio entro venti giorni dalla pubblicazione del testamento olografo o del testamento segreto, o dal passaggio del testamento pubblico dal fascicolo a repertorio speciale degli atti di ultima volontà a quello generale degli atti fra vivi.

 

3. L'annotazione può essere chiesta all'ufficiale dello stato civile da chiunque vi ha interesse.

 

4. Il giudice, nel caso previsto dall'articolo 268 del codice civile, può ordinare che sia sospesa l'annotazione del riconoscimento impugnato. Può ordinare, altresì, che la domanda di impugnazione sia annotata nell'atto di nascita, quando vi è stato già annotato il riconoscimento.

 

5. Se la persona riconosciuta è sottoposta a tutela, l'ufficiale dello stato civile deve dare notizia al giudice tutelare, nel termine di dieci giorni, dell'avvenuta iscrizione o annotazione del riconoscimento.

 

 

Art. 47. 

Adempimenti particolari.

1. In caso di riconoscimento di un figlio naturale, già riconosciuto dall'altro genitore, l'ufficiale dello stato civile deve dare notizia al genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento e che non ha prestato il proprio consenso.

 

 

Art. 48. 

Impugnazioni dell'atto di riconoscimento.

1. La sentenza passata in giudicato che accoglie l'impugnazione dell'atto di riconoscimento è comunicata, a cura del procuratore della Repubblica, o è notificata, a cura degli interessati, all'ufficiale dello stato civile che ne fa annotazione nell'atto di nascita.

 

2. Nel caso di rigetto dell'impugnazione, qualora questa sia stata annotata nell'atto di nascita, la sentenza è parimenti comunicata o notificata all'ufficiale dello stato civile affinché annoti, di seguito alle precedenti annotazioni, anche il rigetto dell'impugnazione.

 

3. La dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, dopo il passaggio in giudicato, è comunicata, a cura del procuratore della Repubblica, o è notificata dagli interessati. all'ufficiale dello stato civile che ne fa annotazione nell'atto di nascita.

 

 

Art. 49. 

Annotazioni.

1. Negli atti di nascita si annotano:

 

a) i provvedimenti di adozione e di revoca;

 

b) i provvedimenti di revoca o di estinzione dell'affiliazione;

 

c) le comunicazioni di apertura e di chiusura della tutela, eccettuati i casi di interdizione legale;

 

d) i decreti di nomina e di revoca del tutore o del curatore provvisorio in pendenza del giudizio di interdizione o di inabilitazione;

 

e) le sentenze di interdizione o di inabilitazione e quelle di revoca;

 

f) gli atti di matrimonio e le sentenze dalle quali risulta l'esistenza del matrimonio;

 

g) le sentenze che pronunciano la nullità, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;

 

h) i provvedimenti della corte di appello previsti nell'articolo 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, e le sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione di un matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto;

 

i) gli atti e i provvedimenti riguardanti l'acquisto, la perdita, la rinuncia o il riacquisto della cittadinanza italiana;

 

j) le sentenze dichiarative di assenza o di morte presunta e quelle che, a termini dell'articolo 67 del codice civile, dichiarano la esistenza delle persone di cui era stata dichiarata la morte presunta o ne accertano la morte;

 

k) gli atti di riconoscimento di filiazione naturale, in qualunque forma effettuati;

 

l) le domande di impugnazione del riconoscimento, quando ne è ordinata l'annotazione, e le relative sentenze di rigetto;

 

m) le sentenze che pronunciano la nullità o l'annullamento dell'atto di riconoscimento;

 

n) le legittimazioni per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice e le sentenze che accolgono le relative impugnazioni;

 

o) le sentenze che dichiarano o disconoscono la filiazione legittima;

 

p) i provvedimenti che determinano il cambiamento o la modifica del nome cognome relativi alla persona cui l'atto si riferisce; quelli che determinano il cambiamento o la modifica del cognome relativi alla persona da cui l'intestatario dell'atto ha derivato il cognome, salvi i casi in cui il predetto intestatario, se maggiorenne, si sia avvalso della facoltà di poter mantenere il cognome precedentemente posseduto;

 

q) le sentenze relative al diritto di uso di uno pseudonimo;

 

r) gli atti di morte;

 

s) i provvedimenti di rettificazione che riguardano l'atto già iscritto o trascritto nei registri.

 

2. All'annotazione della legittimazione per susseguente matrimonio provvede l'ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla celebrazione del matrimonio o all'annotazione dell'atto di riconoscimento, quando questo è successivo al matrimonio, se ha notizia dell'esistenza di figli legittimati per effetto di detto matrimonio e dell'avvenuto riconoscimento.

 

3. All'annotazione della legittimazione per provvedimento del giudice, si provvede a richiesta del procuratore della Repubblica o di chiunque vi abbia interesse.

 

4. Le annotazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere richieste, anche verbalmente, dagli interessati (13).

 

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(13)  Vedi, anche, l'art. 9, D.M. 27 febbraio 2001.

(omissis)


 

 

L. 28 marzo 2001, n. 149.
Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile

 

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2001

 

 

 

TITOLO I

DIRITTO DEL MINORE

ALLA PROPRIA FAMIGLIA

 

Art. 1.

 

 

    1. Il titolo della legge 4 maggio 1983, n. 184, di seguito denominata «legge n. 184», è sostituito dal seguente: «Diritto del minore ad una famiglia».

 

    2. La rubrica del Titolo I della legge n. 184 è sostituita dalla seguente: «Princìpi generali».

 

    3.  L’articolo 1 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 1. – 1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.

 

    2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.

 

    3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma.

 

    4. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge.

 

    5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento».

 

TITOLO II

AFFIDAMENTO DEL MINORE

 

Art. 2.

 

    1. All’articolo 2 della legge n. 184 sono premesse le seguenti parole: «Titolo I-bis. Dell’affidamento del minore».

 

    2. L’articolo 2 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

       «Art. 2. – 1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

 

    2. Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.

 

    3. In caso di necessità e urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3.

 

    4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.

 

    5. Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi».

 

Art. 3.

 

    1. L’articolo 3 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 3. – 1. I legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del capo I del titolo X del libro primo del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l’esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito.

 

    2. Nei casi previsti dal comma 1, entro trenta giorni dall’accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico.

 

    3. Nel caso in cui i genitori riprendano l’esercizio della potestà, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati chiedono al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio».

 

Art. 4.

 

    1. L’articolo 4 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 4. – 1. L’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.

 

    2. Ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.

 

    3. Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

 

    4. Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore.

 

    5. L’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.

 

    6. Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto, ovvero intervenute le circostanze di cui al comma 5, sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.

 

    7. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato».

 

Art. 5.

 

    1. L’articolo 5 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 5. – 1. L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall’autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 316 del codice civile. In ogni caso l’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato.

 

    2. Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari.

 

    3. Le norme di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o che si trovino presso un istituto di assistenza pubblico o privato».

 

    4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria».

 

TITOLO III

DELL’ADOZIONE

 

Capo I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 6.

 

   1. L’articolo 6 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 6. – 1. L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.

 

    2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare.

 

    3. L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando.

 

    4. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.

 

    5. I limiti di cui al comma 3 possono essere derogati, qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.

 

    6. Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato.

 

    7. Ai medesimi coniugi sono consentite più adozioni anche con atti successivi e costituisce criterio preferenziale ai fini dell’adozione l’avere già adottato un fratello dell’adottando o il fare richiesta di adottare più fratelli, ovvero la disponibilità dichiarata all’adozione di minori che si trovino nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate».

 

    8. Nel caso di adozione dei minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono intervenire, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli adottati».

 

Art. 7.

 

    1. L’articolo 7 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 7. – 1. L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti.

 

    2. Il minore, il quale ha compiuto gli anni quattordici, non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso, che deve essere manifestato anche quando il minore compia l’età predetta nel corso del procedimento. Il consenso dato può comunque essere revocato sino alla pronuncia definitiva dell’adozione.

 

    3. Se l’adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha un’età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento».

 

Capo II

 

DELLA DICHIARAZIONE

DI ADOTTABILITÀ

 

Art. 8.

 

     1. L’articolo 8 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 8. – 1. Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purchè la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.

 

    2. La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare.

 

    3. Non sussiste causa di forza maggiore quando i soggetti di cui al comma 1 rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice.

 

    4. Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10».

 

Art. 9.

 

    1. L’articolo 9 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 9. – 1. Chiunque ha facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.

 

 

    2. Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria, che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi.

 

    3. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo.

 

    4. Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare.

 

    5. Nello stesso termine di cui al comma 4, uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L’omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’articolo 330 del codice civile e l’apertura della procedura di adottabilità».

 

Art. 10.

 

    1. L’articolo 10 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 10. – 1. Il presidente del tribunale per i minorenni o un giudice da lui delegato, ricevuto il ricorso di cui all’articolo 9, comma 2, provvede all’immediata apertura di un procedimento relativo allo stato di abbandono del minore. Dispone immediatamente, all’occorrenza, tramite i servizi sociali locali o gli organi di pubblica sicurezza, più approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull’ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono.

 

    2. All’atto dell’apertura del procedimento, sono avvertiti i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore. Con lo stesso atto il presidente del tribunale per i minorenni li invita a nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per il caso che essi non vi provvedano. Tali soggetti, assistiti dal difensore, possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice.

 

    3. Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all’affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell’interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della potestà dei genitori sul minore, la sospensione dell’esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.

 

    4. In caso di urgente necessità, i provvedimenti di cui al comma 3 possono essere adottati dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato.

 

    5. Il tribunale, entro trenta giorni, deve confermare, modificare o revocare i provvedimenti urgenti assunti ai sensi del comma 4. Il tribunale provvede in camera di consiglio con l’intervento del pubblico ministero, sentite tutte le parti interessate ed assunta ogni necessaria informazione. Deve inoltre essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. I provvedimenti adottati debbono essere comunicati al pubblico ministero ed ai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile».

 

Art. 11.

 

    1. All’articolo 11, primo comma, della legge n. 184, dopo le parole: «parenti entro il quarto grado» sono inserite le seguenti: «che abbiano rapporti significativi con il minore».

 

Art. 12.

 

     1. All’articolo 12, quinto comma, della legge n. 184, le parole «ai sensi del secondo comma dell’articolo 10» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi del comma 3 dell’articolo  10».

 

Art. 13.

 

    1. L’articolo 14 della legge n.184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 14. – 1. Il tribunale per i minorenni può disporre, prima della dichiarazione di adottabilità, la sospensione del procedimento, quando da particolari circostanze emerse dalle indagini effettuate risulta che la sospensione può riuscire utile nell’interesse del minore. In tal caso la sospensione è disposta con ordinanza motivata per un periodo non superiore a un anno.

 

    2. La sospensione è comunicata ai servizi sociali locali competenti perché adottino le iniziative opportune».

 

Art. 14.

 

   1. L’articolo 15 della legge n.184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 15. – 1. A conclusione delle indagini e degli accertamenti previsti dagli articoli precedenti, ove risulti la situazione di abbandono di cui all’articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato dal tribunale per i minorenni quando:

 

        a) i genitori ed i parenti convocati ai sensi degli articoli 12 e 13 non si sono presentati senza giustificato motivo;

 

        b) l’audizione dei soggetti di cui alla lettera a) ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi;

 

        c) le prescrizioni impartite ai sensi dell’articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori.

 

    2. La dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con sentenza, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell’istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato. Devono essere, parimenti, sentiti il tutore, ove esista, ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.

 

    3. La sentenza è notificata per esteso al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti indicati nel primo comma dell’articolo 12, al tutore, nonché al curatore speciale ove esistano, con contestuale avviso agli stessi del loro diritto di proporre impugnazione nelle forme e nei termini di cui all’articolo 17».

 

Art. 15.

 

    1. L’articolo 16 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 16. – 1. Il tribunale per i minorenni, esaurita la procedura prevista nei precedenti articoli e qualora ritenga che non sussistano i presupposti per la pronuncia per lo stato di adottabilità dichiara che non vi è luogo a provvedere.

 

    2. La sentenza è notificata per esteso al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti indicati nel primo comma dell’articolo 12, nonché al tutore e al curatore speciale ove esistano. Il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti opportuni nell’interesse del minore.

 

    3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile».

 

Art. 16.

 

    1. L’articolo 17 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 17. – 1. Avverso la sentenza il pubblico ministero e le altre parti possono proporre impugnazione avanti la Corte d’appello, sezione per i minorenni, entro trenta giorni dalla notificazione. La Corte, sentite le parti e il pubblico ministero ed effettuato ogni altro opportuno accertamento, pronuncia sentenza in camera di consiglio e provvede al deposito della stessa in cancelleria, entro quindici giorni dalla pronuncia. La sentenza è notificata d’ufficio al pubblico ministero e alle altre parti.

 

    2. Avverso la sentenza della Corte d’appello è ammesso ricorso per Cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per i motivi di cui ai numeri 3, 4 e 5 del primo comma dell’articolo 360 del codice di procedura civile. Si applica altresì il secondo comma dello stesso articolo.

 

    3. L’udienza di discussione dell’appello e del ricorso deve essere fissata entro sessanta giorni dal deposito dei rispettivi atti introduttivi».

 

Art. 17.

 

    1. L’articolo 18 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 18. – 1. La sentenza definitiva che dichiara lo stato di adottabilità è trascritta, a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni, su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale stesso. La trascrizione deve essere effettuata entro il decimo giorno successivo a quello della comunicazione che la sentenza di adottabilità è divenuta definitiva. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell’impugnazione deve inviare immediatamente apposita comunicazione al cancelliere del tribunale per i minorenni».

 

Art. 18.

 

    1. L’articolo 21 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 21. – 1. Lo stato di adottabilità cessa altresì per revoca, nell’interesse del minore, in quanto siano venute meno le condizioni di cui all’articolo 8, comma 1, successivamente alla sentenza di cui al comma 2 dell’articolo 15.

 

    2. La revoca è pronunciata dal tribunale per i minorenni d’ufficio o su istanza del pubblico ministero, dei genitori, del tutore.

 

    3. Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

 

    4. Nel caso in cui sia in atto l’affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato».

 

Capo III

 

DELL’AFFIDAMENTO PREADOTTIVO

 

Art. 19.

 

    1. L’articolo 22 della legge n.184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 22. – 1. Coloro che intendono adottare devono presentare domanda al tribunale per i minorenni, specificando l’eventuale disponibilità ad adottare più fratelli ovvero minori che si trovino nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n.  104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È ammissibile la presentazione di più domande anche successive a più tribunali per i minorenni, purchè in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi. I tribunali cui la domanda è presentata possono richiedere copia degli atti di parte ed istruttori, relativi ai medesimi coniugi, agli altri tribunali; gli atti possono altresì essere comunicati d’ufficio. La domanda decade dopo tre anni dalla presentazione e può essere rinnovata.

 

    2. In ogni momento a coloro che intendono adottare devono essere fornite, se richieste, notizie sullo stato del procedimento.

 

    3. Il tribunale per i minorenni, accertati previamente i requisiti di cui all’articolo 6, dispone l’esecuzione delle adeguate indagini di cui al comma 4, ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli o associati, nonché avvalendosi delle competenti professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, dando precedenza nella istruttoria alle domande dirette all’adozione di minori di età superiore a cinque anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

 

    4. Le indagini, che devono essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi giorni, riguardano in particolare la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i motivi per i quali questi ultimi desiderano adottare il minore. Con provvedimento motivato, il termine entro il quale devono concludersi le indagini può essere prorogato una sola volta e per non più di centoventi giorni.

 

    5. Il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.

 

    6. Il tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero, gli ascendenti dei richiedenti ove esistano, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, omessa ogni altra formalità di procedura, dispone, senza indugio, l’affidamento preadottivo, determinandone le modalità con ordinanza. Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all’affidamento alla coppia prescelta.

 

    7. Il tribunale per i minorenni deve in ogni caso informare i richiedenti sui fatti rilevanti, relativi al minore, emersi dalle indagini. Non può essere disposto l’affidamento di uno solo di più fratelli, tutti in stato di adottabilità, salvo che non sussistano gravi ragioni. L’ordinanza è comunicata al pubblico ministero, ai richiedenti ed al tutore. Il provvedimento di affidamento preadottivo è immediatamente, e comunque non oltre dieci giorni, annotato a cura del cancelliere a margine della trascrizione di cui all’articolo 18.

 

   8. Il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell’affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali. In caso di accertate difficoltà, convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all’origine delle difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale».

 

Art. 20.

 

   1. L’articolo 23 della legge n.184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 23. – 1. L’affidamento preadottivo è revocato dal tribunale per i minorenni d’ufficio o su istanza del pubblico ministero o del tutore o di coloro che esercitano la vigilanza di cui all’articolo 22, comma 8, quando vengano accertate difficoltà di idonea convivenza ritenute non superabili. Il provvedimento relativo alla revoca è adottato dal tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, con decreto motivato. Debbono essere sentiti, oltre al pubblico ministero ed al presentatore dell’istanza di revoca, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, gli affidatari, il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno.

 

    2. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, al presentatore dell’istanza di revoca, agli affidatari ed al tutore. Il decreto che dispone la revoca dell’affidamento preadottivo è annotato a cura del cancelliere entro dieci giorni a margine della trascrizione di cui all’articolo 18.

 

    3. In caso di revoca, il tribunale per i minorenni adotta gli opportuni provvedimenti temporanei in favore del minore ai sensi dell’articolo 10, comma 3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile».

 

Capo IV

 

DELLA DICHIARAZIONE DI ADOZIONE

 

Art. 21.

 

     1. L’articolo 25 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 25. – 1. Il tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilità, decorso un anno dall’affidamento, sentiti i coniugi adottanti, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, il pubblico ministero, il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno, verifica che ricorrano tutte le condizioni previste dal presente capo e, senza altra formalità di procedura, provvede sull’adozione con sentenza in camera di consiglio, decidendo di fare luogo o di non fare luogo all’adozione. Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all’adozione nei confronti della coppia prescelta.

 

    2. Qualora la domanda di adozione venga proposta da coniugi che hanno discendenti legittimi o legittimati, questi, se maggiori degli anni quattordici, debbono essere sentiti.

 

    3. Nell’interesse del minore il termine di cui al comma 1 può essere prorogato di un anno, d’ufficio o su domanda dei coniugi affidatari, con ordinanza motivata.

 

    4. Se uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo, l’adozione, nell’interesse del minore, può essere ugualmente disposta ad istanza dell’altro coniuge nei confronti di entrambi, con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte.

 

    5. Se nel corso dell’affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari, l’adozione può essere disposta nei confronti di uno solo o di entrambi, nell’esclusivo interesse del minore, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta.

 

    6. La sentenza che decide sull’adozione è comunicata al pubblico ministero, ai coniugi adottanti ed al tutore.

 

    7.    Nel caso di provvedimento negativo viene meno l’affidamento preadottivo ed il tribunale per i minorenni assume gli opportuni provvedimenti temporanei in favore del minore ai sensi dell’articolo 10, comma 3. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile».

 

Art. 22.

 

     1. L’articolo 26 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 26. – 1. Avverso la sentenza che dichiara se fare luogo o non fare luogo all’adozione, entro trenta giorni dalla notifica, può essere proposta impugnazione davanti alla sezione per i minorenni della Corte d’appello da parte del pubblico ministero, dagli adottanti e dal tutore del minore. La Corte d’appello, sentite le parti ed esperito ogni accertamento ritenuto opportuno, pronuncia sentenza. La sentenza è notificata d’ufficio alle parti per esteso.

 

    2. Avverso la sentenza della Corte d’appello è ammesso ricorso per Cassazione, che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica della stessa, solo per i motivi di cui al primo comma, numero 3, dell’articolo 360 del codice di procedura civile.

 

    3. L’udienza di discussione dell’appello e del ricorso per Cassazione deve essere fissata entro sessanta giorni dal deposito dei rispettivi atti introduttivi.

 

    4. La sentenza che pronuncia l’adozione, divenuta definitiva, è immediatamente trascritta nel registro di cui all’articolo 18 e comunicata all’ufficiale dello stato civile che la annota a margine dell’atto di nascita dell’adottato. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell’impugnazione deve immediatamente dare comunicazione della definitività della sentenza al cancelliere del tribunale per i minorenni.

 

    5. Gli effetti dell’adozione si producono dal momento della definitività della sentenza».

 

Art. 23.

 

   1. All’articolo 27, secondo comma, della legge n. 184, le parole «ai sensi dell’articolo 25, quinto comma» sono sostituite dalle seguenti «ai sensi dell’articolo 25, comma 5».

 

Art. 24.

 

    1. L’articolo 28 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 28. – 1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni.

 

    2. Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell’annotazione di cui all’articolo 26, comma 4.

 

    3. L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. Non è necessaria l’autorizzazione qualora la richiesta provenga dall’ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali.

 

    4. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.

 

    5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.

 

    6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste.

 

    7. L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

 

    8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili».

 

TITOLO IV

 

DELL’ADOZIONE IN CASI

PARTICOLARI

 

Capo I

 

DELL’ADOZIONE IN CASI

PARTICOLARI E DEI SUOI EFFETTI

 

Art. 25.

 

    1. L’articolo 44 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 44. – 1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:

 

        a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

 

        b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;

 

        c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n.  104, e sia orfano di padre e di madre;

 

        soppressa

 

        d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

 

    2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.

 

    3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

 

    4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare».

 

Art. 26.

 

    1. L’articolo 45 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 45. – 1. Nel procedimento di adozione nei casi previsti dall’articolo 44 si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età.

 

    2. Se l’adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha una età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento.

 

    3. In ogni caso, se l’adottando non ha compiuto gli anni quattordici, l’adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante.

 

    4. Quando l’adozione deve essere disposta nel caso previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera c), deve essere sentito il legale rappresentante dell’adottando in luogo di questi, se lo stesso non può esserlo o non può prestare il proprio consenso ai sensi del presente articolo a causa delle sue condizioni di minorazione».

 

Art. 27.

 

    1. L’articolo 47 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 47. – 1. L’adozione produce i suoi effetti dalla data della sentenza che la pronuncia. Finché la sentenza non è emanata, tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il loro consenso.

 

    2. Se uno dei coniugi muore dopo la prestazione del consenso e prima della emanazione della sentenza, si può procedere, su istanza dell’altro coniuge, al compimento degli atti necessari per l’adozione.

 

    3. Se l’adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell’adottante».

 

Art. 28.

 

    1. L’articolo 49 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 49. – 1. L’adottante deve fare l’inventario dei beni dell’adottato e trasmetterlo al giudice tutelare entro trenta giorni dalla data della comunicazione della sentenza di adozione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nella sezione III del capo I del titolo X del libro primo del codice civile.

 

    2. L’adottante che omette di fare l’inventario nel termine stabilito o fa un inventario infedele può essere privato dell’amministrazione dei beni dal giudice tutelare, salvo l’obbligo del risarcimento dei danni».

 

Capo II

 

DELLE FORME DELL’ADOZIONE

IN CASI PARTICOLARI

 

Art. 29.

 

    1. La lettera a) del terzo comma dell’articolo 57 della legge n. 184 è sostituita dalla seguente:

 

        «a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti;».


 

TITOLO V

MODIFICHE AL TITOLO VIII DEL

LIBRO PRIMO DEL CODICE CIVILE

 

Art. 30.

 

    1. L’articolo 313 del codice civile è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 313. - (Provvedimento del tribunale) – Il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione.

 

    L’adottante, il pubblico ministero, l’adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la Corte d’appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero».

 

Art. 31.

 

    1. L’articolo 314 del codice civile è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 314. - (Pubblicità) – La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.

 

    Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato.

 

    L’autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza che pronuncia l’adozione o della sentenza di revoca nei modi che ritiene opportuni».

 

TITOLO VI

 

NORME FINALI, PENALI

E TRANSITORIE

 

Art. 32.

 

    1. All’articolo 35, comma 4, della legge n. 184, le parole: «può essere sentito ove sia opportuno e» sono sostituite dalle seguenti: «deve essere sentito».

 

    2. All’articolo 52, secondo comma, della legge n. 184, le parole: «e, se opportuno, anche di età inferiore» sono sostituite dalle seguenti: «e anche di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento».

 

    3. All’articolo 79, terzo comma, della legge n. 184, le parole: «, se opportuno,» sono sostituite dalle seguenti: «, in considerazione della loro capacità di discernimento,».

 

Art. 33.

 

    1. All’articolo 43, primo comma, della legge n. 184, le parole: «di cui al sesto, settimo e ottavo comma dell’articolo 9» sono sostituite dalle seguenti: «di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 9».

 

Art. 34.

 

     1. L’articolo 70 della legge n.  184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 70. – 1. I pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio che omettono di riferire alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio, sono puniti ai sensi dell’articolo 328 del codice penale. Gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 2.500.000.

 

    2. I rappresentanti degli istituti di assistenza pubblici o privati che omettono di trasmettere semestralmente alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni l’elenco di tutti i minori ricoverati o assistiti, ovvero forniscono informazioni inesatte circa i rapporti familiari concernenti i medesimi, sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 5.000.000».

 

Art. 35.

 

    1. Il primo comma dell’articolo 71 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da uno a tre anni».

 

    2. Il sesto comma dell’articolo 71 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Chiunque svolga opera di mediazione al fine di realizzare l’affidamento di cui al primo comma è punito con la reclusione fino ad un anno o con multa da lire 500.000 a lire 5.000.000.»

 

Art. 36.

 

    1. Il primo comma dell’articolo 73 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio legittimo per adozione è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire 200.000 a lire 2.000.000».

 

Art. 37.

 

    1. All’articolo 330, secondo comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore».

 

    2. All’articolo 333, primo comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore».

 

    3. All’articolo 336 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

    «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge».

 

Art. 38.

 

    1. L’articolo 80 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:

 

    «Art. 80. – 1. Il giudice, se del caso ed anche in relazione alla durata dell’affidamento, può disporre che gli assegni familiari e le prestazioni previdenziali relative al minore siano erogati temporaneamente in favore dell’affidatario.

 

    2. Le disposizioni di cui all’articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, all’articolo 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, e alla legge 8 marzo 2000, n. 53, si applicano anche agli affidatari di cui al comma 1.

 

    3. Alle persone affidatarie si estendono tutti i benefici in tema di astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro, di permessi per malattia, di riposi giornalieri, previsti per i genitori biologici.

 

    4. Le regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinchè tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche».

 

 

Art.39.

 

    1. Dopo i primi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge e successivamente con cadenza triennale, il Ministro della giustizia e il Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nell’ambito delle rispettive competenze, trasmettono al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge, al fine di verificarne la funzionalità in relazione alle finalità perseguite e la rispondenza all’interesse del minore, in particolare per quanto attiene all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 6, commi 3 e 5, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall’articolo 6 della presente legge.

 

Art. 40.

 

    1. Per le finalità perseguite dalla presente legge è istituita, entro e non oltre centottanta giorni dalla data della sua entrata in vigore, anche con l’apporto dei dati forniti dalle singole regioni, presso il Ministero della giustizia, una banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all’adozione nazionale e internazionale, con indicazione di ogni informazione atta a garantire il miglior esito del procedimento. I dati riguardano anche le persone singole disponibili all’adozione in relazione ai casi di cui all’articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall’articolo 25 della presente legge.

 

    2. La banca dati è resa disponibile, attraverso una rete di collegamento, a tutti i tribunali per i minorenni e deve essere periodicamente aggiornata con cadenza trimestrale.

 

    3. Con regolamento del Ministro della giustizia sono disciplinate le modalità di attuazione e di organizzazione della banca dati, anche per quanto attiene all’adozione dei dispositivi necessari per la sicurezza e la riservatezza dei dati.

 

    4. Dall’attuazione del presente articolo non debbono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 

Art. 41.

 

   1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

  


 

L. 20 marzo 2003, n. 77.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996


 

 

(1) (2) (3)

-------------------------------------------

 

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 aprile 2003, n. 91, S.O.

(2)  Si riporta soltanto il testo della traduzione non ufficiale.

(3)  Il Ministero degli affari esteri, con Comunicato 10 settembre 2003 (Gazz. Uff. 10 settembre 2003, n. 210), ha reso noto che il giorno 4 luglio 2003 si è provveduto al deposito dello strumento di ratifica previsto per l'entrata in vigore della Convenzione qui allegata; di conseguenza la suddetta Convenzione, a norma dell'articolo 21 della stessa, è entrata in vigore, per l'Italia, il 4 luglio 2003.

All'atto del deposito è stata formulata dall'Italia la seguente dichiarazione:

«Le Gouvernement de la République Italienne indique, au sens de l'art. 1 alinéa 4 de la Convention, comme différends auxquels la Convention peut s'appliquer, ceux visés aux articles 145 code civil, en matière d'autorité parentale; 244, dernier alinéa code civil, en matière de filation naturelle; 247, dernier alinéa code civil, sur le même thème; 264 alinéa 2 et 274 code civil sur le même thême; 322 et 323 code civil en matière d'opposition du fils à certains actes d'administration des biens, accomplis par les parents.».

 

 

Art. 1.  

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996.

 

Art. 2.

  1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 21, paragrafo 3, della Convenzione stessa.

 

Art. 3. 

 1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 314.210 euro annui a decorrere dal 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

 

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 4. 

 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

Convenzione

Traduzione non ufficiale

 

Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli

 

Preambolo

 

Gli Stati membri del Consiglio d'Europa e gli altri Stati firmatari della presente Convenzione;

 

Considerando che lo scopo del Consiglio d'Europa è di realizzare una più stretta unione tra i suoi membri;

 

In considerazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo ed in particolare dell'articolo 4 che esige che gli Stati Parti adottino ogni misura legislativa, amministrativa e di altro genere necessaria per l'attuazione dei diritti riconosciuti in tale Convenzione;

 

Prendendo nota del contenuto della Raccomandazione 1121 (1990) dell'Assemblea Parlamentare relativa ai diritti dei fanciulli;

 

Convinti che i diritti e gli interessi superiori dei fanciulli debbano essere promossi e che a tal fine i fanciulli dovrebbero avere la possibilità di esercitare tali diritti, in particolare nelle procedure in materia familiare che li concernono;

 

Riconoscendo che i fanciulli dovrebbero ricevere informazioni pertinenti affinché i loro diritti ed interessi superiori possano essere promossi, e le loro opinioni tenute in debito conto;

 

Riconoscendo il ruolo rilevante dei genitori per la protezione e la promozione dei diritti e degli interessi superiori dei figli, e considerando che anche gli Stati dovrebbero, se del caso, concorrervi;

 

Considerando tuttavia che in caso di conflitto, è opportuno che le famiglie si adoperino per raggiungere un accordo prima di deferire la questione dinnanzi ad un'istanza giudiziaria;

 

Hanno convenuto quanto segue:

 

Capitolo I

Portata e oggetto della Convenzione, e definizioni

 

Art. 1. 

Portata ed oggetto della Convenzione.

1. La presente Convenzione si applica ai fanciulli che non hanno ancora 18 anni.

 

2. L'oggetto della presente Convenzione mira a promuovere, nell'interesse superiore dei fanciulli, i diritti degli stessi, a concedere loro diritti procedurali ed agevolarne l'esercizio; vigilando affinché possano, direttamente o per il tramite di altre persone o organi, essere informati ed autorizzati a partecipare alle procedure che li riguardano dinnanzi ad un'autorità giudiziaria.

 

3. Ai fini della presente Convenzione, le procedure che concernono i fanciulli dinnanzi ad un'autorità giudiziaria sono considerate procedure in materia familiare, in particolare quelle relative all'esercizio delle responsabilità di genitore, soprattutto per quanto riguarda la residenza ed il diritto di visita riguardo ai figli.

 

4. Ogni Stato, al momento della firma o del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, deve designare mediante una dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, almeno tre categorie di controversie familiari dinnanzi ad un'autorità giudiziaria cui la presente Convenzione può applicarsi.

 

5. Ogni Parte può con una dichiarazione addizionale completare l'elenco delle categorie di controversie familiari cui la presente Convenzione può applicarsi, o fornire ogni informazione relativa all'applicazione degli articoli 5 e 9 paragrafo 2, 10, paragrafo 2 e 11.

 

6. La presente Convenzione non impedisce alle Parti di applicare regole più favorevoli per la promozione e l'esercizio dei diritti dei fanciulli.

 

 

Art. 2. 

Definizioni.

Ai fini della presente Convenzione, s'intende per:

 

a) «autorità giudiziaria», un tribunale o un'autorità amministrativa avente una competenza equivalente;

 

b) «detentore di responsabilità di genitore» i genitori ed altre persone o organi abilitati ad esercitare in tutto o in parte, responsabilità di genitore;

 

c) «rappresentante» ogni persona come un avvocato o un organo designato ad agire dinnanzi un'autorità giudiziaria a nome di un fanciullo;

 

d) «informazioni pertinenti» le informazioni appropriate in considerazione dell'età e del discernimento del fanciullo, che saranno fornite allo stesso per consentirgli di esercitare pienamente i suoi diritti, salvo se la comunicazione di tali informazioni potrebbe nuocere al suo benessere.

 

Capitolo II

Misure procedurali per promuovere l'esercizio dei diritti dei fanciulli

 

A. Diritti procedurali di un fanciullo

 

Art. 3. 

Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nelle procedure.

Ad un fanciullo che è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, sono conferiti nelle procedure dinnanzi ad un'autorità giudiziaria che lo concernono i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare:

 

a) ricevere ogni informazione pertinente;

 

b) essere consultato ed esprimere la sua opinione;

 

c) essere informato delle eventuali conseguenze dell'attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione.

 

Art. 4. 

Diritto di chiedere la designazione di un rappresentante speciale.

1. Salvo quanto disposto dall'articolo 9, il fanciullo ha il diritto di chiedere, personalmente o per il tramite di altre persone o organi, la designazione di un rappresentante speciale nelle procedure dinnanzi ad un'autorità giudiziaria che lo concernono, qualora il diritto interno privi coloro che hanno responsabilità di genitore, della facoltà di rappresentare il fanciullo per via di un conflitto d'interesse con lo stesso.

 

2. Gli Stati sono liberi di disporre che il diritto di cui al paragrafo 1 si applichi unicamente ai fanciulli considerati dal diritto interno come aventi un discernimento sufficiente.

 

 

Art. 5. 

Altri eventuali diritti procedurali.

Le Parti esaminano l'opportunità di concedere ai fanciulli diritti procedurali supplementari nelle procedure che li concernono dinnanzi ad un'autorità giudiziaria, in particolare:

 

a) il diritto di chiedere di essere assistiti da una persona appropriata di loro scelta per aiutarli ad esprimere la loro opinione;

 

b) il diritto di chiedere, essi stessi o per il tramite di altre persone o organi, la designazione di un rappresentante speciale, se del caso un avvocato;

 

c) il diritto di designare un proprio rappresentante;

 

d) il diritto di esercitare, in tutto o in parte, le prerogative di una parte in tali procedure.

 

 

 

B. Ruolo delle autorità giudiziarie

 

Art. 6. 

Processo decisionale.

Nelle procedure che interessano un fanciullo, l'autorità giudiziaria, prima di adottare qualsiasi decisione deve:

 

a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti in vista di prendere una decisione nell'interesse superiore del fanciullo e se del caso, ottenere informazioni supplementari in particolare da parte di coloro che hanno responsabilità di genitore;

 

b) quando il fanciullo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, l'autorità giudiziaria:

 

- si accerta che il fanciullo abbia ricevuto ogni informazione pertinente;

 

- consulta personalmente il fanciullo, se del caso, e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata tenendo conto del discernimento del fanciullo, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso;

 

- consente al fanciullo di esprimere la sua opinione;

 

c) tenere debitamente conto dell'opinione espressa da quest'ultimo.

 

 

Art. 7. 

Obbligo di agire con prontezza.

Nelle procedure che concernono un fanciullo, l'autorità giudiziaria deve procedere con prontezza evitando ogni inutile ritardo e deve potersi avvalere di procedure che assicurino una rapida esecuzione delle sue decisioni. In caso di urgenza, l'autorità giudiziaria ha, se del caso, facoltà di adottare decisioni immediatamente esecutive.

 

 

Art. 8. 

Possibilità di procedere d'ufficio.

Nelle procedure che interessano un fanciullo, l'autorità giudiziaria ha facoltà, nei casi di grave minaccia al benessere del fanciullo, secondo quanto determinato dal diritto interno, di procedere d'ufficio.

 

 

Art. 9. 

Designazione di un rappresentante.

1. Nelle procedure che interessano un fanciullo, se, in virtù del diritto interno, coloro che hanno responsabilità di genitore si vedono privati della facoltà di rappresentare il fanciullo a causa di un conflitto d'interessi con lo stesso, l'autorità giudiziaria può designare un rappresentante speciale per il fanciullo in tali procedure.

 

2. Le Parti esaminano la possibilità di prevedere che, nelle procedure che interessano un fanciullo, l'autorità giudiziaria abbia facoltà di designare un rappresentante speciale, se del caso un avvocato, per rappresentare il fanciullo.

 

C. Ruolo dei rappresentanti

 

Art. 10.

  1. Nel caso di procedure che interessano un fanciullo dinnanzi ad un'autorità giudiziaria, il rappresentante deve, a meno che ciò non sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori del fanciullo:

 

a) fornire al fanciullo ogni informazione pertinente, se quest'ultimo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente;

 

b) fornire spiegazioni al fanciullo, se quest'ultimo è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, in merito alle eventuali conseguenze dell'attuazione pratica della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni azione del rappresentante;

 

c) determinare l'opinione del fanciullo ed informarne l'autorità giudiziaria.

 

2. Le Parti esaminano la possibilità di estendere le norme del paragrafo 1 a coloro che hanno responsabilità di genitore.

 

 

D. Estensione di talune disposizioni

 

Art. 11.  

Le Parti esaminano la possibilità di estendere le disposizioni degli articoli 3, 4 e 9 alle procedure che interessano i fanciulli e che sono pendenti presso altri organi nonché alle questioni che li interessano, a prescindere da ogni procedura.

 

 

E. Organi nazionali

 

Art. 12.

  1. Le Parti incoraggiano, attraverso organi aventi, tra l'altro le funzioni di cui al paragrafo 2, la promozione e l'esercizio dei diritti dei fanciulli.

 

2. Tali funzioni sono le seguenti:

 

a) formulare proposte per rafforzare il dispositivo legislativo relativo all'esercizio dei diritti dei fanciulli;

 

b) formulare pareri sui progetti legislativi relativi all'esercizio dei diritti dei fanciulli;

 

c) fornire informazioni generali relative all'esercizio dei diritti dei fanciulli, ai mezzi di comunicazione, al pubblico ed alle persone o agli organi che si occupano di questioni relative ai fanciulli;

 

d) ricercare l'opinione dei fanciulli a fornire loro ogni informazione appropriata.

 

 

F. Altre misure

 

Art. 13. 

Mediazione ed altri metodi di soluzione dei conflitti.

Per prevenire e risolvere i conflitti, ed evitare procedure che coinvolgano un fanciullo dinnanzi ad un'autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano la mediazione o ogni altro metodo di soluzione dei conflitti, nonché la loro utilizzazione per concludere un accordo nei casi appropriati determinati dalle Parti.

 

 

Art. 14.

 Patrocinio legale gratuito e consulenza giuridica.

Se il diritto interno prevede il patrocinio legale gratuito o la consulenza giuridica per la rappresentanza dei fanciulli nelle procedure che li interessano dinnanzi ad un'autorità giudiziaria; tali disposizioni si applicano alle materie considerate dagli articoli 4 e 9.

 

 

Art. 15. 

Relazioni con altri strumenti internazionali.

La presente Convenzione non ostacola l'applicazione di altri strumenti internazionali che trattano questioni specifiche inerenti alla protezione dei fanciulli e delle famiglie, ai quali una Parte della presente Convenzione è Parte o lo diviene.

 

 

Capitolo III

Comitato permanente

 

Art. 16. 

Istituzione e funzioni del Comitato permanente.

1. Ai fini della presente Convenzione, è istituito un Comitato permanente.

 

2. Il Comitato permanente segue i problemi relativi alla presente Convenzione. In particolare, ha facoltà di:

 

a) esaminare ogni questione pertinente relativa all'interpretazione o all'attuazione della Convenzione. Le conclusioni del Comitato permanente relative all'attuazione della Convenzione possono essere formulate sotto forma di raccomandazione; le raccomandazioni sono adottate a maggioranza di tre quarti dei voti espressi;

 

b) proporre emendamenti alla Convenzione ed esaminare quelli formulati secondo l'articolo 20;

 

c) fornire consulenza ed assistenza agli organi nazionali che esercitano le funzioni di cui al paragrafo 2 dell'articolo 12, e promuovere la cooperazione internazionale tra gli stessi.

 

 

Art. 17. 

Composizione.

1. Ogni Parte può farsi rappresentare in seno al Comitato permanente da uno o più delegati. Ciascuna Parte dispone di un voto.

 

2. Ogni Stato di cui all'articolo 21 che non è Parte alla presente Convenzione può essere rappresentato al Comitato permanente da un osservatore. Lo stesso si applica ad ogni altro Stato o alla Comunità europea, dopo l'invito ad aderire alla Convenzione, in conformità con le disposizioni dell'articolo 22.

 

3. A meno che una Parte, almeno un mese prima della riunione, non abbia informato il Segretario generale della sua obiezione il Comitato permanente può invitare a partecipare a titolo di osservatore a tutte le riunioni, o a tutta, o a parte di una riunione:

 

- ogni Stato non previsto al paragrafo 2 di cui sopra;

 

- il Comitato dei diritti del fanciullo delle Nazioni Unite;

 

- la Comunità europea;

 

- ogni organismo internazionale governativo;

 

- ogni organismo internazionale non governativo che persegue una o più delle funzioni di cui al paragrafo 2 dell'articolo 12;

 

- ogni organismo nazionale governativo o non governativo, che esercita una o più delle funzioni di cui al paragrafo 2 dell'articolo 12.

 

4. Il Comitato permanente può scambiare informazioni con le organizzazioni appropriate che operano a favore dell'esercizio dei diritti dei fanciulli.

 

 

Art. 18.

 Riunioni.

1. Alla fine del terzo anno successivo alla data di entrata in vigore della presente Convenzione e, a sua iniziativa, in qualsiasi altro momento dopo questa data, il Segretario generale del Consiglio d'Europa inviterà il Comitato permanente a riunirsi.

 

2. Il Comitato permanente può adottare decisioni solo a condizione che almeno la metà delle Parti sia presente.

 

3. Salvo quanto disposto dagli articoli 16 e 20, le decisioni del Comitato permanente sono adottate a maggioranza dei membri presenti.

 

4. Salvo quanto disposto dalle norme della presente Convenzione, il Comitato permanente stabilisce il proprio Regolamento interno ed il regolamento interno di ogni gruppo di lavoro che ha istituito per svolgere tutti i compiti appropriati nel quadro della Convenzione.

 

 

Art. 19. 

Rapporti del Comitato permanente.

Dopo ciascuna riunione, il Comitato permanente trasmette alle Parti ed al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa un rapporto relativo ai suoi dibattiti ed alle decisioni adottate.

 

 

Capitolo IV

Emendamenti alla Convenzione

 

Art. 20.

   1. Ogni proposta di emendamento agli articoli della presente Convenzione, presentata da una Parte o dal Comitato permanente, è comunicata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa e trasmessa a sua cura, almeno due mesi prima della successiva riunione del Comitato permanente, agli Stati membri del Consiglio d'Europa, ad ogni firmatario, ad ogni Parte, ad ogni Stato invitato a firmare la presente Convenzione secondo le disposizioni dell'articolo 21, e ad ogni Stato o alla Comunità europea, che è stato invitato ad aderire secondo le disposizioni dell'articolo 22.

 

2. Ogni proposta di emendamento presentata secondo le disposizioni del paragrafo precedente, è esaminata dal Comitato permanente, che sottopone il testo adottato a maggioranza di tre quarti dei voti espressi all'approvazione del Comitato dei Ministri. Dopo tale approvazione, il testo è trasmesso alle Parti per accettazione.

 

3. L'emendamento entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di un mese dopo la data alla quale le Parti avranno informato il Segretario generale della loro accettazione.

 

 

Capitolo V

Clausole finali

 

Art. 21. 

Firma, ratifica ed entrata in vigore.

1. La presente Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione.

 

2. La presente Convenzione sarà soggetta a ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione saranno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d'Europa.

 

3. La presente Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data alla quale tre Stati, compresi almeno due Stati membri del Consiglio d'Europa, abbiano espresso il loro consenso ad essere parte della Convenzione, secondo le norme del paragrafo precedente.

 

4. Per ogni Stato che esprima in seguito il suo consenso ad essere parte della Convenzione, quest'ultima entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di deposito del suo strumento di ratifica, accettazione o approvazione (4).

 

 

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(4)  Il Ministero degli affari esteri, con Comunicato 10 settembre 2003 (Gazz. Uff. 10 settembre 2003, n. 210), ha reso noto che il giorno 4 luglio 2003 si è provveduto al deposito dello strumento di ratifica previsto per l'entrata in vigore della Convenzione qui allegata; di conseguenza la suddetta Convenzione, a norma del presente articolo, è entrata in vigore, per l'Italia, il 4 luglio 2003.

 

All'atto del deposito è stata formulata dall'Italia la seguente dichiarazione:

 

«Le Gouvernement de la République Italienne indique, au sens de l'art. 1 alinéa 4 de la Convention, comme différends auxquels la Convention peut s'appliquer, ceux visés aux articles 145 code civil, en matière d'autorité parentale; 244, dernier alinéa code civil, en matière de filation naturelle; 247, dernier alinéa code civil, sur le même thème; 264 alinéa 2 et 274 code civil sur le même thême; 322 et 323 code civil en matière d'opposition du fils à certains actes d'administration des biens, accomplis par les parents.».

 

 

Art. 22. 

Stati non membri e Comunità europea.

1. Dopo l'entrata in vigore della presente Convenzione, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa potrà, di sua iniziativa o su proposta del Comitato permanente, e previa consultazione delle Parti, invitare ogni Stato non membro del Consiglio d'Europa che non ha partecipato all'elaborazione della Convenzione, come pure la Comunità europea, ad aderire alla presente Convenzione con una decisione presa alla maggioranza prevista all'articolo 20, capoverso d, dello Statuto del Consiglio d'Europa, ed all'unanimità dei voti dei delegati degli Stati contraenti aventi diritto ad essere rappresentati al Comitato dei Ministri.

 

2. Per ogni Stato aderente o per la Comunità europea, la Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di deposito dello strumento di adesione presso il Segretario generale del Consiglio d'Europa.

 

 

Art. 23. 

Applicazione territoriale.

1. Ogni Stato può, al momento della firma o del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, designare il territorio o i territori cui la presente Convenzione si applicherà.

 

2. Ogni Parte può, in qualsiasi momento successivo, mediante una dichiarazione indirizzata al Segretario generale del Consiglio d'Europa, estendere l'applicazione della presente Convenzione ad ogni altro territorio designato nella dichiarazione, per il quale tratta le relazioni internazionali o è abilitata a stipulare. La Convenzione entrerà in vigore nei confronti di questo territorio il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre anni dopo la data di ricevimento della dichiarazione da parte del Segretario generale.

 

3. Ogni dichiarazione resa ai sensi dei due paragrafi precedenti, potrà essere ritirata per quanto riguarda il territorio (o i territori) indicato (i) in tale dichiarazione, mediante notifica inviata al Segretario Generale. Il ritiro avrà effetto il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale.

 

 

Art. 24. 

Riserve.

Non può essere formulata alcuna riserva alla presente Convenzione.

 

 

Art. 25. 

Denuncia.

1. Ogni Parte può in qualunque momento denunciare la presente Convenzione indirizzando una notifica al Segretario Generale del Consiglio d'Europa.

 

2. La denuncia avrà effetto il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario generale.

 

 

 

 

Art. 26. 

Notifiche.

Il Segretario Generale del Consiglio d'Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio, ad ogni firmatario, ad ogni Parte e ad ogni altro Stato o alla Comunità Europea, invitato ad aderire alla presente Convenzione:

 

a) ogni firma;

 

 

b) il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione;

 

 

c) ogni data di entrata in vigore della presente Convenzione, secondo i suoi articoli 21 o 22;

 

 

d) ogni emendamento adottato secondo l'articolo 20 e la data alla quale tale emendamento entra in vigore;

 

 

e) ogni dichiarazione formulata ai sensi delle disposizioni degli articoli 1 e 23;

 

 

f) ogni denuncia formulata ai sensi delle disposizioni dell'articolo 25;

 

 

g) ogni altro atto, notifica o comunicazione attinente alla presente Convenzione.

 

 

In fede di che i sottoscritti, debitamente abilitati a tal fine, hanno firmato la presente Convenzione.

 

 

Fatto a Strasburgo il 25 gennaio 1996, in francese ed in inglese, entrambi i testi facenti ugualmente fede, in un unico esemplare che sarà depositato nell'archivio del Consiglio d'Europa. Il Segretario Generale del Consiglio d'Europa ne comunicherà copia certificata conforme a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d'Europa, agli Stati non membri che hanno partecipato all'elaborazione della presente Convenzione, alla Comunità Europea e ad ogni Stato invitato ad aderire alla presente Convenzione.


 

L. 8 febbraio 2006, n. 54.
Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 1 marzo 2006, n. 50.

 

 

Art. 1

Modifiche al codice civile.

1. L'articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente:

 

«Art. 155 (Provvedimenti riguardo ai figli). - Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

 

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

 

La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

 

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

 

1) le attuali esigenze del figlio;

 

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

 

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

 

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

 

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

 

L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

 

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.».

 

2. Dopo l'articolo 155 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti:

 

«Art. 155-bis (Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso). - Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.

 

Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile.

 

Art. 155-ter (Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli). - I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

 

Art. 155-quater (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). - Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643.

 

Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l'altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell'affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.

 

Art. 155-quinquies (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). - Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.

 

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

 

Art. 155-sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore). - Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

 

Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli».

 

 

Art. 2

Modifiche al codice di procedura civile.

1. Dopo il terzo comma dell'articolo 708 del codice di procedura civile, è aggiunto il seguente:

 

«Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento».

 

2. Dopo l'articolo 709-bis del codice di procedura civile, è inserito il seguente:

 

«Art. 709-ter (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). - Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.

 

A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

 

1) ammonire il genitore inadempiente;

 

2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

 

3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;

 

4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

 

I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».

 

 

Art. 3

Disposizioni penali.

1. In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

 

 

Art. 4

Disposizioni finali.

1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'articolo 710 del codice di procedura civile o dall'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, l'applicazione delle disposizioni della presente legge.

 

2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonchè ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

 

 

Art. 5

Disposizione finanziaria.

1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

 


Normativa comunitaria


Reg. (CE) 27 novembre 2003, n. 2201/2003.
Regolamento del Consiglio
relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella G.U.U.E. 23 dicembre 2003, n. L 338. Entrata in vigore: 1° agosto 2004.

 

 

Il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 61, lettera c), e l'articolo 67, paragrafo 1,

 

vista la proposta della Commissione (2),

 

visto il parere del Parlamento europeo (3),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (4),

 

considerando quanto segue:

 

(1) La Comunità europea si prefigge l'obiettivo di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. A tal fine, la Comunità adotta, tra l'altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno.

 

(2) Il Consiglio europeo di Tampere ha approvato il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie quale fondamento per la creazione di un autentico spazio giudiziario e ha individuato nel diritto di visita un settore prioritario.

 

(3) Il regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, stabilisce norme relative alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di procedimenti matrimoniali. Il contenuto di tale regolamento riprendeva ampiamente la convenzione del 28 maggio 1998 avente il medesimo oggetto (5).

 

(4) Il 3 luglio 2000 la Francia ha presentato un'iniziativa in vista dell'adozione del regolamento del Consiglio relativo all'esecuzione reciproca delle decisioni in materia di diritto di visita ai figli minori (6).

 

(5) Per garantire parità di condizioni a tutti i minori, il presente regolamento disciplina tutte le decisioni in materia di responsabilità genitoriale, incluse le misure di protezione del minore, indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale.

 

(6) Dato che l'applicazione delle norme sulla responsabilità genitoriale ricorre spesso nei procedimenti matrimoniali, è più opportuno disporre di uno strumento unico in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori.

 

(7) Il campo di applicazione del presente regolamento riguarda le materie civili, indipendentemente dal tipo di organo giurisdizionale.

 

(8) Relativamente alle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, il presente regolamento dovrebbe applicarsi solo allo scioglimento del vincolo matrimoniale e non dovrebbe riguardare questioni quali le cause di divorzio, gli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o altri provvedimenti accessori ed eventuali.

 

(9) Per quanto attiene ai beni del minore, il presente regolamento dovrebbe applicarsi esclusivamente alle misure di protezione del minore, vale a dire i) alla designazione e alle funzioni di una persona o ente aventi la responsabilità di gestire i beni del minore o che lo rappresentino o assistano e ii) alle misure relative all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore. In tale contesto e a titolo d'esempio, il presente regolamento dovrebbe applicarsi ai casi nei quali i genitori hanno una controversia in merito all'amministrazione dei beni del minore. Le misure relative ai beni del minore e non attinenti alla protezione dello stesso dovrebbero continuare ad essere disciplinate dal regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

 

(10) Il presente regolamento non è inteso ad applicarsi a materie come quelle relative alla sicurezza sociale, misure pubbliche di carattere generale in materia di istruzione e di sanità o decisioni sul diritto d'asilo e nel settore dell'immigrazione. Inoltre, esso non si applica né al diritto di filiazione, che è una questione distinta dall'attribuzione della responsabilità genitoriale, né alle altre questioni connesse con la situazione delle persone. Esso non si applica nemmeno ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi dai minori.

 

(11) Le obbligazioni alimentari sono escluse dal campo di applicazione del presente regolamento in quanto sono già disciplinate dal regolamento (CE) n. 44/2001. I giudici competenti ai sensi del presente regolamento saranno in genere competenti a statuire in materia di obbligazioni alimentari in applicazione dell'articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 44/2001.

 

(12) È opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente regolamento si informino all'interesse superiore del minore e in particolare al criterio di vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale.

 

(13) Nell'interesse del minore, il presente regolamento consente al giudice competente, a titolo eccezionale e in determinate condizioni, di trasferire il caso al giudice di un altro Stato membro se quest'ultimo è più indicato a conoscere del caso. Tuttavia, in questo caso, il giudice adito in seconda istanza non dovrebbe essere autorizzato a trasferire il caso a un terzo giudice.

 

(14) Gli effetti del presente regolamento non dovrebbero pregiudicare l'applicazione del diritto internazionale pubblico in materia di immunità diplomatiche. Se il giudice competente in applicazione del presente regolamento non può esercitare la propria competenza a causa dell'esistenza di una immunità diplomatica conforme al diritto internazionale, la competenza dovrebbe essere determinata nello Stato membro nel quale la persona interessata non beneficia di immunità, conformemente alla legge di tale Stato.

 

(15) È opportuno che la notificazione e comunicazione dei documenti introduttivi del giudizio proposto a norma del presente regolamento siano disciplinate dal regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.

 

(16) Il presente regolamento non osta a che i giudici di uno Stato membro adottino, in casi di urgenza, provvedimenti provvisori o cautelari relativi alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati.

 

(17) In caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980, quale integrata dalle disposizioni del presente regolamento, in particolare l'articolo 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati. Tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. Se la decisione implica il rientro del minore, esso dovrebbe avvenire senza che sia necessario ricorrere a procedimenti per il riconoscimento e l'esecuzione della decisione nello Stato membro in cui il minore è trattenuto.

 

(18) Qualora venga deciso il non rientro in virtù dell'articolo 13, della convenzione dell'Aia del 1980, il giudice dovrebbe informarne il giudice competente o l'autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. Detto giudice, se non è ancora stato adito, o l'autorità centrale, dovrebbe inviare una notificazione alle parti. Questo obbligo non dovrebbe ostare a che l'autorità centrale invii anch'essa una notificazione alle autorità pubbliche interessate conformemente alla legge nazionale.

 

(19) L'audizione del minore è importante ai fini dell'applicazione del presente regolamento, senza che detto strumento miri a modificare le procedure nazionali applicabili in materia.

 

(20) L'audizione del minore in un altro Stato membro può essere effettuata in base alle modalità previste dal regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale.

 

(21) Il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile.

 

(22) Gli atti pubblici e gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro dovrebbero essere equiparati a «decisioni» ai fini dell'applicazione delle norme sul riconoscimento e l'esecuzione.

 

(23) Il Consiglio europeo di Tampere ha affermato nelle sue conclusioni (punto 34) che le decisioni pronunciate nelle controversie familiari dovrebbero essere «automaticamente riconosciute in tutta l'Unione senza che siano necessarie procedure intermedie o che sussistano motivi per rifiutarne l'esecuzione». Pertanto le decisioni in materia di diritto di visita o di ritorno, che siano state certificate nello Stato membro d'origine conformemente alle disposizioni del presente regolamento, dovrebbero essere riconosciute e hanno efficacia esecutiva in tutti gli altri Stati membri senza che sia richiesto qualsiasi altro procedimento. Le modalità relative all'esecuzione di tali decisioni sono tuttora disciplinate dalla legge nazionale.

 

(24) Il certificato rilasciato allo scopo di facilitare l'esecuzione della decisione non dovrebbe essere impugnabile. Non dovrebbe poter dare luogo a una domanda di rettifica se non in caso di errore materiale, ossia se il certificato non rispecchia correttamente il contenuto della decisione.

 

(25) È opportuno che le autorità centrali collaborino fra loro, sia in generale che per casi specifici, anche per favorire la risoluzione amichevole delle controversie familiari in materia di responsabilità genitoriale. A questo scopo è necessario che le autorità centrali si avvalgano della possibilità di partecipare alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione 2001/470/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale.

 

(26) La Commissione dovrebbe rendere pubblici e aggiornare gli elenchi relativi ai giudici e ai mezzi di impugnazione comunicati dagli Stati membri.

 

(27) Le misure necessarie all'attuazione del presente regolamento sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

 

(28) Il presente regolamento sostituisce il regolamento (CE) n. 1347/2000 che è pertanto abrogato.

 

(29) Ai fini del corretto funzionamento del presente regolamento, è opportuno che la Commissione ne esamini l'applicazione per proporre, se del caso, le modifiche necessarie.

 

(30) A norma dell'articolo 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, questi Stati hanno notificato che intendono partecipare all'adozione ed applicazione del presente regolamento.

 

(31) La Danimarca, conformemente agli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, non partecipa all'adozione del presente regolamento, e non ne è pertanto vincolata né è soggetta alla sua applicazione.

 

(32) Poiché gli obiettivi del presente regolamento non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. Il presente regolamento si limita a quanto necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

 

(33) Il presente regolamento riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In particolare, mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino quali riconosciuti dall'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha adottato il presente regolamento:

 

 

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(2)  Pubblicata nella G.U.C.E. 27 agosto 2002, n. C 203 E.

 

(3)  Parere reso il 20 settembre 2002.

 

(4)  Pubblicato nella G.U.U.E. 14 marzo 2003, n. C 61.

 

(5)  All'atto dell'adozione del regolamento (CE) n. 1347/2000, il Consiglio aveva preso atto della relazione esplicativa relativa alla convenzione, redatta dal prof. Alegria Borras (G.U.C.E. 16 luglio 1998, n. C 221).

 

(6)  Pubblicato nella G.U.C.E. 15 agosto 2000, n. C 234.

 

 

Capo I

Ambito d'applicazione e definizioni

 

Articolo 1

Ambito d'applicazione.

1. Il presente regolamento si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative:

 

a) al divorzio, alla separazione personale e all'annullamento del matrimonio;

 

b) all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.

 

2. Le materie di cui al paragrafo 1, lettera b), riguardano in particolare:

 

a) il diritto di affidamento e il diritto di visita;

 

b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi;

 

c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano;

 

d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto;

 

e) le misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore.

 

3. Il presente regolamento non si applica:

 

a) alla determinazione o all'impugnazione della filiazione;

 

b) alla decisione relativa all'adozione, alle misure che la preparano o all'annullamento o alla revoca dell'adozione;

 

c) ai nomi e ai cognomi del minore;

 

d) all'emancipazione;

 

e) alle obbligazioni alimentari;

 

f) ai trust e alle successioni;

 

g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori.

 

 

Articolo 2

Definizioni.

Ai fini del presente regolamento valgono le seguenti definizioni:

 

1) «autorità giurisdizionale»: tutte le autorità degli Stati membri competenti per le materie rientranti nel campo di applicazione del presente regolamento a norma dell'articolo 1;

 

2) «giudice»: designa il giudice o il titolare di competenze equivalenti a quelle del giudice nelle materie che rientrano nel campo di applicazione del presente regolamento;

 

3) «Stato membro»: tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca;

 

4) «decisione»: una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio emessa dal giudice di uno Stato membro, nonché una decisione relativa alla responsabilità genitoriale, a prescindere dalla denominazione usata per la decisione, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza;

 

5) «Stato membro d'origine»: lo Stato membro in cui è stata resa la decisione da eseguire;

 

6) «Stato membro dell'esecuzione»: lo Stato membro in cui viene chiesta l'esecuzione della decisione;

 

7) «responsabilità genitoriale»: i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita;

 

8) «titolare della responsabilità genitoriale»: qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore;

 

9) «diritto di affidamento»: i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza;

 

10) «diritto di visita»: in particolare il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo;

 

11) «trasferimento illecito o mancato ritorno del minore»: il trasferimento o il mancato rientro di un minore:

 

a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e

 

b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi.

 

L'affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non può, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell'altro titolare della responsabilità genitoriale.

 

 

Capo II

Competenza

Sezione 1

Divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio

 

Articolo 3

Competenza generale.

1. Sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:

 

a) nel cui territorio si trova:

 

- la residenza abituale dei coniugi, o

 

- l'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o

 

- la residenza abituale del convenuto, o

 

- in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o

 

- la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o

 

- la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, ha ivi il proprio «domicile»;

 

b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del «domicile» di entrambi i coniugi.

 

2. Ai fini del presente regolamento la nozione di «domicile» cui è fatto riferimento è quella utilizzata negli ordinamenti giuridici del Regno Unito e dell'Irlanda.

 

 

Articolo 4

Domanda riconvenzionale.

L'autorità giurisdizionale davanti alla quale pende un procedimento in base all'articolo 3 è competente anche per esaminare la domanda riconvenzionale in quanto essa rientri nel campo d'applicazione del presente regolamento.

 

 

Articolo 5

Conversione della separazione personale in divorzio.

Fatto salvo l'articolo 3, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro che ha reso la decisione sulla separazione personale è altresì competente per convertirla in una decisione di divorzio, qualora ciò sia previsto dalla legislazione di detto Stato.

 

 

Articolo 6

Carattere esclusivo della competenza giurisdizionale di cui agli articoli 3, 4 e 5.

Il coniuge che:

 

a) risiede abitualmente nel territorio di uno Stato membro o

 

b) ha la cittadinanza di uno Stato membro o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, ha il proprio «domicile» nel territorio di uno di questi Stati membri può essere convenuto in giudizio davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro soltanto in forza degli articoli 3, 4 e 5.

 

 

Articolo 7

Competenza residua.

1. Qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.

 

2. Il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest'ultimo, invocare le norme sulla competenza qui in vigore contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro o che, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, non ha il proprio «domicile» nel territorio di uno di questi Stati membri.

 

 

Capo II

Competenza

Sezione 2

Responsabilità genitoriale

 

Articolo 8

Competenza generale.

1. Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi.

 

2. Il paragrafo 1 si applica fatte salve le disposizioni degli articoli 9, 10 e 12.

 

 

Articolo 9

Ultrattività della competenza della precedente residenza abituale del minore.

1. In caso di lecito trasferimento della residenza di un minore da uno Stato membro ad un altro che diventa la sua residenza abituale, la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza abituale del minore permane in deroga all'articolo 8 per un periodo di 3 mesi dal trasferimento, per modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato membro prima del trasferimento del minore, quando il titolare del diritto di visita in virtù della decisione sul diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato membro della precedente residenza abituale del minore.

 

2. Il paragrafo 1 non si applica se il titolare del diritto di visita di cui al paragrafo 1, ha accettato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui risiede abitualmente il minore partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza contestarla.

 

 

Articolo 10

Competenza nei casi di sottrazione di minori.

In caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giurisdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro e:

 

a) se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato rientro;

 

o

 

b) se il minore ha soggiornato in quell'altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e se ricorre una qualsiasi delle seguenti condizioni:

 

i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro;

 

ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i);

 

iii) un procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro è stato definito a norma dell'articolo 11, paragrafo 7;

 

iv) l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno ha emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore.

 

 

Articolo 11

Ritorno del minore.

1. Quando una persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (in seguito «la convenzione dell'Aia del 1980») per ottenere il ritorno di un minore che è stato illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, si applicano i paragrafi da 2 a 8.

 

2. Nell'applicare gli articoli 12 e 13 della convenzione dell'Aia del 1980, si assicurerà che il minore possa essere ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità.

 

3. Un'autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di cui al paragrafo 1 procede al rapido trattamento della domanda stessa, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale.

 

Fatto salvo il primo comma l'autorità giurisdizionale, salvo nel caso in cui circostanze eccezionali non lo consentano, emana il provvedimento al più tardi sei settimane dopo aver ricevuto la domanda.

 

4. Un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'articolo 13, lettera b), della convenzione dell'Aia del 1980 qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno.

 

5. Un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di disporre il ritorno del minore se la persona che lo ha chiesto non ha avuto la possibilità di essere ascoltata.

 

6. Se un'autorità giurisdizionale ha emanato un provvedimento contro il ritorno di un minore in base all'articolo 13 della convenzione dell'Aia del 1980, l'autorità giurisdizionale deve immediatamente trasmettere direttamente ovvero tramite la sua autorità centrale una copia del provvedimento giudiziario contro il ritorno e dei pertinenti documenti, in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice, all'autorità giurisdizionale competente o all'autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. L'autorità giurisdizionale riceve tutti i documenti indicati entro un mese dall'emanazione del provvedimento contro il ritorno.

 

7. A meno che l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno non sia già stato adita da una delle parti, l'autorità giurisdizionale o l'autorità centrale che riceve le informazioni di cui al paragrafo 6 deve informarne le parti e invitarle a presentare all'autorità giurisdizionale le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché quest'ultima esamini la questione dell'affidamento del minore.

 

Fatte salve le norme sulla competenza di cui al presente regolamento, in caso di mancato ricevimento delle conclusioni entro il termine stabilito, l'autorità giurisdizionale archivia il procedimento.

 

8. Nonostante l'emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all'articolo 13 della convenzione dell'Aia del 1980, una successiva decisione che prescrive il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del presente regolamento è esecutiva conformemente alla sezione 4 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore.

 

 

Articolo 12

Proroga della competenza.

1. Le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui viene esercitata, ai sensi dell'articolo 5, la competenza a decidere sulle domande di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio sono competenti per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si ricollegano a tali domande se:

 

a) almeno uno dei coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio;

 

e

 

b) la competenza giurisdizionale di tali autorità giurisdizionali è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all'interesse superiore del minore.

 

2. La competenza esercitata conformemente al paragrafo 1 cessa non appena:

 

a) la decisione che accoglie o respinge la domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio sia passata in giudicato;

 

o

 

b) nei casi in cui il procedimento relativo alla responsabilità genitoriale è ancora pendente alla data di cui alla lettera a), la decisione relativa a tale procedimento sia passata in giudicato;

 

o

 

c) il procedimento di cui alle lettere a) e b) sia terminato per un'altra ragione.

 

3. Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti in materia di responsabilità dei genitori nei procedimenti diversi da quelli di cui al primo paragrafo se:

 

a) il minore ha un legame sostanziale con quello Stato membro, in particolare perché uno dei titolari della responsabilità genitoriale vi risiede abitualmente o perché è egli stesso cittadino di quello Stato e

 

b) la loro competenza è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti al procedimento alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite ed è conforme all'interesse superiore del minore.

 

4. Se il minore ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato che non è parte della convenzione dell'Aia, del 19 ottobre 1996, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di potestà genitoriale e di misure di protezione dei minori, si presume che la competenza fondata sul presente articolo sia nell'interesse del minore, in particolare quando un procedimento si rivela impossibile nel paese terzo interessato.

 

 

Articolo 13

Competenza fondata sulla presenza del minore.

1. Qualora non sia possibile stabilire la residenza abituale del minore né determinare la competenza ai sensi dell'articolo 12, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui si trova il minore.

 

2. Il paragrafo 1 si applica anche ai minori rifugiati o ai minori sfollati a livello internazionale a causa di disordini nei loro paesi.

 

 

Articolo 14

Competenza residua.

Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13 la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.

 

 

Articolo 15

Trasferimento delle competenze a una autorità giurisdizionale più adatta a trattare il caso.

1. In via eccezionale le autorità giurisdizionali di uno Stato membro competenti a conoscere del merito, qualora ritengano che l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare sia più adatto a trattare il caso o una sua parte specifica e ove ciò corrisponda all'interesse superiore del minore, possono:

 

a) interrompere l'esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentare domanda all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato membro conformemente al paragrafo 4 oppure

 

b) chiedere all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato membro di assumere la competenza ai sensi del paragrafo 5.

 

2. Il paragrafo 1 è applicabile:

 

a) su richiesta di una parte o

 

b) su iniziativa dell'autorità giurisdizionale o

 

c) su iniziativa di un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con cui il minore abbia un legame particolare, conformemente al paragrafo 3.

 

Il trasferimento della causa può tuttavia essere effettuato su iniziativa dell'autorità giurisdizionale o su richiesta di un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro soltanto se esso è accettato da almeno una delle parti.

 

3. Si ritiene che il minore abbia un legame particolare con uno Stato membro, ai sensi del paragrafo 1, se tale Stato membro

 

a) è divenuto la residenza abituale del minore dopo che l'autorità giurisdizionale di cui al paragrafo 1 è stata adita; o

 

b) è la precedente residenza abituale del minore; o

 

c) è il paese di cui il minore è cittadino; o

 

d) è la residenza abituale di uno dei titolari della responsabilità genitoriale; o

 

e) la causa riguarda le misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore situati sul territorio di questo Stato membro.

 

4. L'autorità giurisdizionale dello Stato membro competente a conoscere del merito fissa un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell'altro Stato membro devono essere adite conformemente al paragrafo 1.

 

Decorso inutilmente tale termine, la competenza continua ad essere esercitata dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita ai sensi degli articoli da 8 a 14.

 

5. Le autorità giurisdizionali di quest'altro Stato membro possono accettare la competenza, ove ciò corrisponda, a motivo delle particolari circostanze del caso, all'interesse superiore del minore, entro 6 settimane dal momento in cui sono adite in base al paragrafo 1, lettere a) o b). In questo caso, l'autorità giurisdizionale preventivamente adita declina la propria competenza. In caso contrario, la competenza continua ad essere esercitata dall'autorità giurisdizionale preventivamente adito ai sensi degli articoli da 8 a 14.

 

6. Le autorità giurisdizionali collaborano, ai fini del presente articolo, direttamente ovvero attraverso le autorità centrali nominate a norma dell'articolo 53.

 

 

Capo II

Competenza

Sezione 3

Disposizioni comuni

 

Articolo 16

Adizione di un'autorità giurisdizionale.

1. L'autorità giurisdizionale si considera adita:

 

a) alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso l'autorità giurisdizionale, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto;

 

o

 

b) se l'atto deve essere notificato prima di essere depositato presso l'autorità giurisdizionale, alla data in cui l'autorità competente ai fini della notificazione lo riceve, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l'atto fosse depositato presso l'autorità giurisdizionale.

 

 

Articolo 17

Verifica della competenza.

L'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d'ufficio la propria incompetenza.

 

 

Articolo 18

Esame della procedibilità.

1. Se la persona che ha la residenza abituale in uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l'azione è stata proposta non compare, l'autorità giurisdizionale competente è tenuta a sospendere il procedimento fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile a tal fine.

 

2. In luogo delle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo, si applica l'articolo 19 del regolamento (CE) n. 1348/2000 qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente da uno Stato membro a un altro a norma di tale regolamento.

 

3. Ove non si applichino le disposizioni del regolamento (CE) n. 1348/2000, si applica l'articolo 15 della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente all'estero a norma di tale convenzione.

 

 

Articolo 19

Litispendenza e connessione.

1. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diverse e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita.

 

2. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi siano state proposte domande sulla responsabilità genitoriale su uno stesso minore, aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita.

 

3. Quando la competenza dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l'autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita.

 

In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti all'autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l'azione dinanzi all'autorità giurisdizionale preventivamente adita.

 

 

Articolo 20

Provvedimenti provvisori e cautelari.

1. In casi d'urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

 

2. I provvedimenti adottati in esecuzione del paragrafo 1 cessano di essere applicabili quando l'autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati.

 

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 1

Riconoscimento

 

Articolo 21

Riconoscimento delle decisioni

1. Le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento.

 

2. In particolare, e fatto salvo il paragrafo 3, non è necessario alcun procedimento per l'aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro, contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di detto Stato membro.

 

3. Fatta salva la sezione 4 del presente capo, ogni parte interessata può far dichiarare, secondo il procedimento di cui alla sezione 2, che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta.

 

La competenza territoriale degli organi giurisdizionali indicati nell'elenco, comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all'articolo 68, è determinata dal diritto interno dello Stato membro nel quale è proposta l'istanza di riconoscimento o di non riconoscimento.

 

4. Se il riconoscimento di una decisione è richiesto in via incidentale dinanzi ad una autorità giurisdizionale di uno Stato membro, questa può decidere al riguardo.

 

 

Articolo 22

Motivi di non riconoscimento delle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio.

La decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non è riconosciuta nei casi seguenti:

 

a) se il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto;

 

b) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione;

 

c) se la decisione è incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; o

 

d) se la decisione è incompatibile con una decisione anteriore avente le stesse parti, resa in un altro Stato membro o in un paese terzo, purché la decisione anteriore soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto.

 

 

Articolo 23

Motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale.

Le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti:

 

a) se, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto;

 

b) se, salvo i casi d'urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto;

 

c) quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione;

 

d) su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità genitoriale, se è stata emessa senza dargli la possibilità di essere ascoltato;

 

e) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale emessa nello Stato membro richiesto;

 

f) se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale emessa in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda, la quale soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto;

 

o

 

g) se la procedura prevista dall'articolo 56 non è stata rispettata.

 

 

Articolo 24

Divieto di riesame della competenza giurisdizionale dell'autorità giurisdizionale d'origine.

Non si può procedere al riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d'origine. Il criterio dell'ordine pubblico di cui agli articoli 22, lettera a), e 23, lettera a), non può essere applicato alle norme sulla competenza di cui agli articoli da 3 a 14.

 

 

Articolo 25

Divergenze fra le leggi.

Il riconoscimento di una decisione non può essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l'annullamento del matrimonio.

 

 

Articolo 26

Divieto di riesame del merito.

In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito.

 

 

Articolo 27

Sospensione del procedimento.

1. L'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione pronunciata in un altro Stato membro può sospendere il procedimento se la decisione è stata impugnata con un mezzo ordinario.

 

2. L'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione emessa in Irlanda o nel Regno Unito e la cui esecuzione è sospesa nello Stato membro d'origine per la presentazione di un ricorso può sospendere il procedimento.

 

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 2

Istanza per la dichiarazione di esecutività

 

Articolo 28

Decisioni esecutive.

1. Le decisioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale su un minore, emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, sono eseguite in un altro Stato membro dopo esservi state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata, purché siano state notificate.

 

2. Tuttavia la decisione è eseguita in una delle tre parti del Regno Unito (Inghilterra e Galles, Scozia e Irlanda del Nord) soltanto dopo esservi stata registrata per esecuzione, su istanza di una parte interessata.

 

 

Articolo 29

Giudici territorialmente competenti.

1. L'istanza per la dichiarazione di esecutività è proposta ai giudici che figurano nell'elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all'articolo 68.

 

2. La competenza territoriale è determinata dalla residenza abituale della parte contro cui è chiesta l'esecuzione oppure dalla residenza abituale del minore cui l'istanza si riferisce.

 

Quando nessuno dei luoghi di cui al primo comma si trova nello Stato membro dell'esecuzione, la competenza territoriale è determinata dal luogo dell'esecuzione.

 

 

Articolo 30

Procedimento.

1. Le modalità del deposito dell'istanza sono determinate in base alla legge dello Stato membro dell'esecuzione.

 

2. L'istante elegge il proprio domicilio nella circoscrizione dell'autorità giurisdizionale adita. Tuttavia, se la legge dello Stato membro dell'esecuzione non prevede l'elezione del domicilio, l'istante designa un procuratore.

 

3. All'istanza vengono allegati i documenti di cui agli articoli 37 e 39.

 

 

Articolo 31

Decisione dell'autorità giurisdizionale.

1. L'autorità giurisdizionale adita decide senza indugio. In questa fase del procedimento, né la parte contro la quale l'esecuzione viene chiesta né il minore possono presentare osservazioni.

 

2. L'istanza può essere respinta solo per uno dei motivi di cui agli articoli 22, 23 e 24.

 

3. In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito.

 

 

Articolo 32

Comunicazione della decisione.

La decisione resa su istanza di parte è senza indugio portata a conoscenza del richiedente, a cura del cancelliere, secondo le modalità previste dalla legge dello Stato membro dell'esecuzione.

 

 

Articolo 33

Opposizione.

1. Ciascuna delle parti può proporre opposizione contro la decisione resa sull'istanza intesa a ottenere una dichiarazione di esecutività.

 

2. L'opposizione è proposta davanti all'autorità giurisdizionale di cui all'elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all'articolo 68.

 

3. Il ricorso è esaminato secondo le norme sul procedimento in contraddittorio.

 

4. Se l'opposizione è proposta dalla parte che ha richiesto la dichiarazione di esecutività, la parte contro cui l'esecuzione viene fatta valere è chiamata a comparire davanti all'autorità giurisdizionale dell'opposizione. In caso di contumacia, si applicano le disposizioni dell'articolo 18.

 

5. L'opposizione contro una dichiarazione di esecutività deve essere proposta nel termine di un mese dalla notificazione della stessa. Se la parte contro la quale è chiesta l'esecuzione ha la residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza.

 

 

Articolo 34

Autorità giurisdizionale dell'opposizione e ulteriori mezzi di impugnazione.

La decisione resa sull'opposizione può costituire unicamente oggetto delle procedure di cui all'elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione conformemente all'articolo 68.

 

Articolo 35

Sospensione del procedimento.

1. L'autorità giurisdizionale dinanzi alla quale è proposta l'opposizione a norma dell'articolo 33 o dell'articolo 34 può, su istanza della parte contro la quale è chiesta l'esecuzione, sospendere il procedimento di esecuzione se la decisione è stata impugnata nello Stato membro d'origine con un mezzo ordinario o se il termine per proporre l'impugnazione non è ancora scaduto. In quest'ultimo caso l'autorità giurisdizionale può fissare un termine per proporre tale impugnazione.

 

2. Qualora la decisione sia stata emessa in Irlanda o nel Regno Unito, qualsiasi mezzo di impugnazione esperibile nello Stato membro d'origine è considerato «impugnazione ordinaria» ai sensi del paragrafo 1.

 

Articolo 36

Esecuzione parziale.

1. Se la decisione ha statuito su vari capi della domanda e l'esecuzione non può essere concessa per tutti i capi, l'autorità giurisdizionale autorizza l'esecuzione solo per uno o taluni di essi.

 

2. L'istante può chiedere un'esecuzione parziale.

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 3

Disposizioni comuni alle sezioni 1 e 2

 

Articolo 37

Documenti.

1. La parte che chiede o contesta il riconoscimento oche chiede una dichiarazione di esecutività deve produrre quanto segue:

 

a) una copia della decisione, che presenti le condizioni di autenticità prescritte;

 

e

 

b) il certificato di cui all'articolo 39.

 

2. Se si tratta di decisione contumaciale, la parte che ne chiede il riconoscimento o l'esecuzione deve inoltre produrre:

 

a) l'originale o una copia autenticata del documento comprovante che la domanda giudiziale o l'atto equivalente è stato notificato o comunicato al contumace;

 

o

 

b) un documento comprovante che il convenuto ha inequivocabilmente accettato la decisione.

 

Articolo 38

Mancata produzione di documenti.

1. Qualora i documenti di cui all'articolo 37, paragrafo 1, lettera b), o paragrafo 2, non vengano prodotti, l'autorità giurisdizionale può fissare un termine per la loro presentazione o accettare documenti equivalenti ovvero, qualora ritenga di essere informato a sufficienza, disporre l'esonero della presentazione degli stessi.

 

2. Qualora l'autorità giurisdizionale lo richieda, è necessario produrre una traduzione dei documenti richiesti. La traduzione è autenticata da una persona a tal fine abilitata in uno degli Stati membri.

 

Articolo 39

Certificato relativo alle decisioni rese nelle cause matrimoniali e in materia di responsabilità genitoriale.

L'autorità giurisdizionale o l'autorità competente dello Stato membro d'origine rilascia, su richiesta di qualsiasi parte interessata, un certificato utilizzando il modello standard di cui all'allegato I (decisioni in materia matrimoniale) o all'allegato II (decisioni in materia di responsabilità genitoriale).

 

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 4

Esecuzione di talune decisioni in materia di diritto di visita e di talune decisioni che prescrivono il ritorno del minore

 

Articolo 40

Campo d'applicazione.

1. La presente sezione si applica:

 

a) al diritto di visita;

 

e

 

b) al ritorno del minore ordinato in seguito a una decisione che prescrive il ritorno del minore di cui all'articolo 11, paragrafo 8.

 

2. Le disposizioni della presente sezione non ostano a che il titolare della responsabilità genitoriale chieda il riconoscimento e l'esecuzione in forza delle disposizioni contenute nelle sezioni 1 e 2 del presente capo.

 

 

Articolo 41

Diritto di visita.

1. Il diritto di visita di cui all'articolo 40, paragrafo 1, lettera a), conferito in forza di una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria alcuna dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento se la decisione è stata certificata nello Stato membro d'origine in accordo con il paragrafo 2.

 

Anche se il diritto interno non prevede l'esecutività di diritto, nonostante un eventuale ricorso, di una decisione che accorda un diritto di visita, l'autorità giurisdizionale può dichiarare la decisione esecutiva.

 

2. Il giudice di origine rilascia il certificato di cui al paragrafo 1, sulla base del modello standard di cui all'allegato III (certificato sul diritto di visita), solo nei seguenti casi:

 

a) in caso di procedimento in contumacia, la domanda giudiziale o un atto equivalente è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale che questi possa presentare le proprie difese, o, è stato notificato o comunicato nel mancato rispetto di queste condizioni, sia comunque accertato che il convenuto ha accettato la decisione inequivocabilmente;

 

b) tutte le parti interessate hanno avuto la possibilità di essere ascoltate;

 

e

 

c) il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l'audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità.

 

Il certificato standard deve essere compilato nella lingua della decisione.

 

3. Se il diritto di visita riguarda un caso che sin dall'atto della pronuncia della decisione riveste un carattere transfrontaliero, il certificato è rilasciato d'ufficio quando la decisione diventa esecutiva, anche se solo provvisoriamente. Se il caso diventa transfrontaliero solo in seguito, il certificato è rilasciato a richiesta di una della parti.

 

 

Articolo 42

Ritorno del minore.

1. Il ritorno del minore di cui all'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), ordinato con una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al riconoscimento, se la decisione è stata certificata nello Stato membro d'origine conformemente al paragrafo 2.

 

Anche se la legislazione nazionale non prevede l'esecutività di diritto, nonostante eventuali impugnazioni, di una decisione che prescrive il ritorno del minore di cui all'articolo 11, paragrafo 8, l'autorità giurisdizionale può dichiarare che la decisione in questione è esecutiva.

 

2. Il giudice di origine che ha emanato la decisione di cui all'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), rilascia il certificato di cui al paragrafo 1 solo se:

 

a) il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l'audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità;

 

b) le parti hanno avuto la possibilità di essere ascoltate; e c) l'autorità giurisdizionale ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all'articolo 13 della convenzione dell'Aia del 1980.

 

Nel caso in cui l'autorità giurisdizionale o qualsiasi altra autorità adotti misure per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale, il certificato contiene i dettagli di tali misure.

 

Il giudice d'origine rilascia detto certificato di sua iniziativa e utilizzando il modello standard di cui all'allegato IV (certificato sul ritorno del minore).

 

Il certificato è compilato nella lingua della decisione.

 

 

Articolo 43

Domanda di rettifica.

1. Il diritto dello Stato membro di origine è applicabile a qualsiasi rettifica del certificato.

 

2. Il rilascio di un certificato a norma dell'articolo 41, paragrafo 1, o dell'articolo 42, paragrafo 1, non è inoltre soggetto ad alcun mezzo di impugnazione.

 

 

Articolo 44

Effetti del certificato.

Il certificato ha effetto soltanto nei limiti del carattere esecutivo della sentenza.

 

 

Articolo 45

Documenti.

1. La parte che chiede l'esecuzione di una decisione deve produrre quanto segue:

 

a) una copia della decisione, che presenti le condizioni di autenticità prescritte;

 

e

 

b) il certificato di cui all'articolo 41, paragrafo 1, o all'articolo 42, paragrafo 1.

 

2. Ai fini del presente articolo:

 

- il certificato di cui all'articolo 41, paragrafo 1, è corredato della traduzione del punto 12 relativo alle modalità per l'esercizio del diritto di visita,

 

- il certificato di cui all'articolo 42, paragrafo 1, è corredato della traduzione del punto 14 relativo alle misure adottate per assicurare il ritorno del minore.

 

La traduzione deve essere nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro dell'esecuzione o in un'altra lingua che quello Stato membro abbia dichiarato di accettare.

 

La traduzione è autenticata da una persona a tal fine abilitata in uno degli Stati membri.

 

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 5

Atti pubblici e accordi.

 

Articolo 46

Gli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti alle stesse condizioni previste per le decisioni.

 

 

 

Capo III

Riconoscimento ed esecuzione

Sezione 6

Altre disposizioni

 

Articolo 47

Procedimento di esecuzione.

1. Il procedimento di esecuzione è disciplinato dalla legge dello Stato membro dell'esecuzione.

 

2. Ogni decisione pronunciata dall'autorità giurisdizionale di uno Stato membro e dichiarata esecutiva ai sensi della sezione 2 o certificata conformemente all'articolo 41, paragrafo 1, o all'articolo 42, paragrafo 1, è eseguita nello Stato membro dell'esecuzione alle stesse condizioni che si applicherebbero se la decisione fosse stata pronunciata in tale Stato membro.

 

In particolare una decisione certificata conformemente all'articolo 41, paragrafo 1, o all'articolo 42, paragrafo 1, non può essere eseguita se è incompatibile con una decisione esecutiva emessa posteriormente.

 

 

Articolo 48

Modalità pratiche per l'esercizio del diritto di visita.

1. L'autorità giurisdizionale dello Stato membro dell'esecuzione possono stabilire modalità pratiche volte ad organizzare l'esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competente a conoscere del merito e a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione.

 

2. Le modalità pratiche stabilite a norma del paragrafo 1 cessano di essere applicabili in virtù di una decisione posteriore emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competenti a conoscere del merito.

 

 

Articolo 49

Spese.

Le disposizioni del presente capo, eccettuate quelle previste alla sezione 4, si applicano altresì alla determinazione dell'importo delle spese per i procedimenti instaurati in base al presente regolamento nonché all'esecuzione di qualsiasi decisione relativa a tali spese.

 

 

Articolo 50

Patrocinio a spese dello Stato.

L'istante che nello Stato membro d'origine ha usufruito in tutto o in parte del patrocinio a spese dello Stato o dell'esenzione dalle spese beneficia, nel procedimento di cui agli articoli 21, 28, 41, 42 e 48, dell'assistenza più favorevole o dell'esenzione più ampia prevista dalla legge dello Stato membro dell'esecuzione.

 

 

Articolo 51

Cauzione o deposito.

Non può essere imposta la costituzione di cauzioni o depositi, comunque denominati, alla parte che chiede l'esecuzione in uno Stato membro di una decisione pronunciata in un altro Stato membro per i seguenti motivi:

 

a) per il difetto di residenza abituale nello Stato membro richiesto, o

 

b) per la sua qualità di straniero oppure, qualora l'esecuzione sia richiesta nel Regno Unito o in Irlanda, per difetto di «domicile» in uno di tali Stati membri.

 

 

Articolo 52

Legalizzazione o altra formalità analoga.

Non è richiesta alcuna legalizzazione o altra formalità analoga per i documenti indicati negli articoli 37, 38 e 45, né per l'eventuale procura alle liti.

 

 

Capo IV

Cooperazione fra autorità centrali in materia di responsabilità genitoriale

 

Articolo 53

Designazione.

Ciascuno Stato membro designa una o più autorità centrali incaricata di assisterlo nell'applicazione del presente regolamento e ne specifica le competenze territoriali e materiali. Qualora uno Stato membro abbia designato più autorità centrali, le comunicazioni dovrebbero essere inviate direttamente all'autorità centrale competente. Se una comunicazione è stata inviata a un'autorità centrale non competente, quest'ultima deve inoltrarla all'autorità centrale competente e informare il mittente al riguardo.

 

 

Articolo 54

Funzioni generali.

Le autorità centrali mettono a disposizione informazioni sull'ordinamento e sulle procedure nazionali e adottano misure generali per migliorare l'applicazione del presente regolamento e rafforzare la cooperazione. A tal fine si ricorre alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione 2001/470/CE.

 

 

Articolo 55

Cooperazione nell'ambito di cause specifiche alla responsabilità genitoriale.

Le autorità centrali, su richiesta di un'autorità centrale di un altro Stato membro o del titolare della responsabilità genitoriale, cooperano nell'ambito di cause specifiche per realizzare gli obiettivi del presente regolamento. A tal fine esse provvedono, direttamente o tramite le autorità pubbliche o altri organismi, compatibilmente con l'ordinamento di tale Stato membro in materia di protezione dei dati personali:

 

a) a raccogliere e a scambiare informazioni:

 

i) sulla situazione del minore;

 

ii) sugli eventuali procedimenti in corso; o iii) sulle decisioni adottate relativamente al minore;

 

b) a fornire informazioni e assistenza ai titolari della responsabilità genitoriale che chiedono il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni sul loro territorio, relativamente in particolare al diritto di visita e al ritorno del minore;

 

c) a facilitare la comunicazione fra le autorità giurisdizionali, in relazione soprattutto all'attuazione dell'articolo 11, paragrafi 6 e 7, e dell'articolo 15;

 

d) a fornire informazioni e sostegno utili all'attuazione dell'articolo 56 da parte delle autorità giurisdizionali;

 

e) a facilitare un accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale, ricorrendo alla mediazione o con altri mezzi, e ad agevolare a tal fine la cooperazione transfrontaliera.

 

 

Articolo 56

Collocamento del minore in un altro Stato membro.

1. Qualora l'autorità giurisdizionale competente in virtù degli articoli da 8 a 15 intenda collocare il minore in istituto o in una famiglia affidataria e tale collocamento abbia luogo in un altro Stato membro, egli consulta preventivamente l'autorità centrale o un'altra autorità competente di quest'ultimo Stato membro se in tale Stato membro è previsto l'intervento di un'autorità pubblica nei casi nazionali di collocamento di minori.

 

2. La decisione sul collocamento di cui al paragrafo 1 può essere presa nello Stato membro richiedente soltanto se l'autorità centrale o un'altra autorità competente dello Stato richiesto ha approvato tale collocamento.

 

3. Le modalità relative alla consultazione o all'approvazione di cui ai paragrafi 1 e 2 sono disciplinate dal diritto nazionale dello Stato membro richiesto.

 

4. Qualora l'autorità giurisdizionale competente ai sensi degli articoli da 8 a 15 decida di collocare il minore in una famiglia affidataria e tale collocamento abbia luogo in un altro Stato membro, e in quest'ultimo Stato membro non sia previsto l'intervento di un'autorità pubblica nei casi nazionali di collocamento di minori, egli lo comunica all'autorità centrale o ad un'autorità competente di quest'ultimo Stato membro.

 

 

Articolo 57

Metodo di lavoro.

1. I titolari della responsabilità genitoriale possono rivolgere una domanda di assistenza, di cui all'articolo 55, all'autorità centrale dello Stato membro in cui risiedono abitualmente ovvero all'autorità centrale dello Stato membro in cui si può trovare o risiede abitualmente il minore. In generale, la domanda contiene tutte le informazioni disponibili che ne possono agevolare l'esecuzione. Se la domanda di assistenza riguarda il riconoscimento o l'esecuzione di una decisione in materia di responsabilità genitoriale che rientra nel campo di applicazione del presente regolamento, il titolare della responsabilità genitoriale vi acclude i pertinenti certificati di cui all'articolo 39, all'articolo 41, paragrafo 1, o all'articolo 42, paragrafo 1.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione la o le lingue ufficiali delle Istituzioni della Comunità, diverse dalla sua, nelle quali le comunicazioni alle autorità centrali possono essere redatte.

 

3. L'assistenza delle autorità centrali a norma dell'articolo 55 è gratuita.

 

4. Ciascuna autorità centrale sostiene i propri costi.

 

 

Articolo 58

Riunioni.

1. Per facilitare l'applicazione del presente regolamento le autorità centrali si riuniscono periodicamente.

 

2. Le riunioni sono convocate conformemente alla decisione 2001/470/CE relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale.

 

 

Capo V

Relazioni con gli altri atti normativi

 

Articolo 59

Relazione con altri strumenti.

1. Fatti salvi gli articoli 60, 63, 64 e il paragrafo 2 del presente articolo, il presente regolamento sostituisce, nei rapporti tra gli Stati membri, le convenzioni vigenti alla data della sua entrata in vigore, concluse tra due o più Stati membri su materie disciplinate dal presente regolamento.

 

2. a) La Finlandia e la Svezia hanno facoltà di dichiarare che nei loro rapporti reciproci, in luogo delle norme del presente regolamento, si applica in tutto o in parte la convenzione del 6 febbraio 1931 tra Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia contenente disposizioni di diritto internazionale privato in materia di matrimonio, adozione e tutela, nonché il relativo protocollo finale. Queste dichiarazioni sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea in allegato al presente regolamento. Tali Stati membri possono dichiarare in qualsiasi momento di rinunciarvi in tutto o in parte.

 

b) È fatto obbligo di rispettare il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza tra i cittadini dell'Unione europea.

 

c) I criteri di competenza giurisdizionale di qualsiasi accordo che sarà concluso tra gli Stati membri di cui alla lettera a) su materie disciplinate dal presente regolamento devono corrispondere a quelli stabiliti dal regolamento stesso.

 

d) Le decisioni pronunciate in uno degli Stati nordici che abbia reso la dichiarazione di cui alla lettera a), in base a un criterio di competenza giurisdizionale corrispondente a quelli previsti nel capo II del presente regolamento, sono riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri secondo le disposizioni del capo III del regolamento stesso.

 

3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione:

 

a) copia degli accordi di cui al paragrafo 2, lettere a) e c), e delle relative leggi uniformi di applicazione;

 

b) qualsiasi denuncia o modifica di tali accordi o leggi uniformi.

 

 

Articolo 60

Relazione con talune convenzioni multilaterali.

Nei rapporti tra gli Stati che ne sono parti, il presente regolamento prevale sulle convenzioni seguenti, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate:

 

a) convenzione dell'Aia, del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori;

 

b) convenzione del Lussemburgo, dell'8 settembre 1967, sul riconoscimento delle decisioni relative al vincolo matrimoniale;

 

c) convenzione dell'Aia, del 1° giugno 1970, sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali;

 

d) convenzione europea, del 20 maggio 1980, sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento;

 

e

 

e) convenzione dell'Aia, del 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori.

 

 

Articolo 61

Relazioni con la convenzione dell'Aia del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione, in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori.

 

Nelle relazioni con la convenzione dell'Aia del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori, il presente regolamento si applica:

 

a) se il minore in questione ha la sua residenza abituale nel territorio di uno Stato membro;

 

b) per quanto riguarda il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione emessa dal giudice competente di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, anche se il minore risiede abitualmente nel territorio di uno Stato non membro che è parte contraente di detta convenzione.

 

 

Articolo 62

Portata degli effetti.

1. Gli accordi e le convenzioni di cui all'articolo 59, paragrafo 1, e agli articoli 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal presente regolamento.

 

2. Le convenzioni di cui all'articolo 60, in particolare la convenzione dell'Aia del 1980, continuano ad avere efficacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti, conformemente all'articolo 60.

 

 

Articolo 63

Trattati con la Santa Sede.

1. Il presente regolamento fa salvo il trattato internazionale (Concordato) concluso fra la Santa Sede e il Portogallo, firmato nella Città del Vaticano il 7 maggio 1940.

 

2. Ogni decisione relativa all'invalidità di un matrimonio disciplinata dal trattato di cui al paragrafo 1 è riconosciuta negli Stati membri a norma del capo III, sezione 1, del presente regolamento.

 

3. Le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano altresì ai seguenti trattati internazionali (Concordati) conclusi con la Santa Sede:

 

a) «Concordato lateranense», dell'11 febbraio 1929, tra l'Italia e la Santa Sede, modificato dall'accordo, con protocollo aggiuntivo, firmato a Roma il 18 febbraio 1984;

 

b) accordo tra la Santa Sede e la Spagna su questioni giuridiche del 3 gennaio 1979;

 

c) accordo tra la Santa Sede e Malta, del 3 febbraio 1993, sul riconoscimento degli effetti civili dei matrimoni canonici e delle decisioni delle autorità e dei tribunali ecclesiastici in merito a tali matrimoni, incluso il protocollo di applicazione della stessa data, con secondo protocollo aggiuntivo del 6 gennaio 1995 (7).

 

4. La Spagna, l'Italia o Malta possono sottoporre il riconoscimento delle decisioni di cui al paragrafo 2 alle procedure e ai controlli applicabili alle sentenze dei tribunali ecclesiastici pronunciate in base ai trattati internazionali con la Santa Sede di cui al paragrafo 3 (8).

 

5. Gli Stati membri comunicano alla Commissione:

 

a) una copia dei trattati di cui ai paragrafi 1 e 3;

 

b) eventuali denunce o modificazioni di tali trattati.

 

--------------------------------------------------------------------------------

(7)  Lettera aggiunta dall'articolo 1 del regolamento (CE) n. 2116/2004, con decorrenza indicata al suo articolo 2.

 

(8)  Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 del regolamento (CE) n. 2116/2004, con decorrenza indicata al suo articolo 2.

 

Il paragrafo 4 in vigore fino alla data indicata all'articolo 2 del suddetto regolamento recita:

"4. L'Italia e la Spagna possono sottoporre il riconoscimento delle decisioni di cui al paragrafo 2 alle procedure e ai controlli applicabili alle sentenze dei tribunali ecclesiastici pronunciate in base ai trattati internazionali con la Santa Sede di cui al paragrafo 3."

 

 

Capo VI

Disposizioni transitorie

 

Articolo 64

1. Il presente regolamento si applica solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formati e agli accordi tra le parti conclusi posteriormente alla data in cui il presente regolamento entra in applicazione secondo l'articolo 72.

 

2. Le decisioni pronunciate dopo l'entrata in applicazione del presente regolamento, relative ad azioni proposte prima di tale termine ma dopo l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento se la norma sulla competenza era fondata su regole conformi a quelle contenute nel capo II del regolamento stesso, ovvero nel regolamento (CE) n. 1347/2000, ovvero in una convenzione in vigore tra lo Stato membro d'origine e lo Stato membro richiesto al momento della proposizione dell'azione.

 

3. Le decisioni pronunciate prima dell'entrata in applicazione del presente regolamento, relative ad azioni proposte dopo l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento, purché siano decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero decisioni relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimoniali.

 

4. Le decisioni pronunciate prima dell'entrata in applicazione del presente regolamento ma dopo l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, relative ad azioni proposte prima dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1347/2000, sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo III del presente regolamento, purché siano decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero decisioni relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimoniali, e se la norma sulla competenza era fondata su regole conformi a quelle contenute nel capo II del presente regolamento, ovvero nel regolamento (CE) n. 1347/2000, ovvero in una convenzione in vigore tra lo Stato membro d'origine e lo Stato membro richiesto al momento della proposizione dell'azione.

 

 

Capo VII

Disposizioni finali

 

Articolo 65

Riesame.

Al più tardi il 1° gennaio 2012 e successivamente ogni cinque anni, la Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo, sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri, una relazione sull'applicazione del presente regolamento, corredata se del caso di proposte di adeguamento.

 

 

Articolo 66

Stati membri con sistemi normativi plurimi.

Qualora in uno Stato membro vigano, in unità territoriali diverse, due o più sistemi giuridici o complessi di norme per questioni disciplinate dal presente regolamento:

 

a) ogni riferimento alla residenza abituale nello Stato membro va inteso come riferimento alla residenza abituale nell'unità territoriale;

 

b) ogni riferimento alla cittadinanza, o, nel caso del Regno Unito, al «domicile» va inteso come riferimento all'appartenenza all'unità territoriale designata dalla legge di detto Stato;

 

c) ogni riferimento all'autorità dello Stato membro va inteso come riferimento all'autorità di un'unità territoriale interessata di tale Stato;

 

d) ogni riferimento alle norme dello Stato membro richiesto va inteso come riferimento alle norme dell'unità territoriale in cui si invocano la competenza giurisdizionale, il riconoscimento o l'esecuzione.

 

 

Articolo 67

Informazioni relative alle autorità centrali e alle lingue accettate.

Gli Stati membri comunicano alla Commissione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente regolamento:

 

a) denominazione, indirizzo e mezzi di comunicazione indirizzate alle autorità centrali designate a norma dell'articolo 53;

 

b) le lingue accettate per le comunicazioni indirizzate alle autorità centrali di cui all'articolo 57, paragrafo 2;

 

e

 

c) le lingue accettate per la compilazione del certificato sul diritto di visita a norma dell'articolo 45, paragrafo 2.

 

Gli Stati membri comunicano alla Commissione ogni eventuale cambiamento di queste informazioni.

 

La Commissione provvede affinché tali informazioni siano accessibili a tutti.

 

 

Articolo 68

Informazioni relative ai giudici e ai mezzi di impugnazione.

Gli Stati membri comunicano alla Commissione gli elenchi dei giudici e dei mezzi d'impugnazione di cui agli articoli 21, 29, 33 e 34 e le modifiche apportate.

 

La Commissione aggiorna tali informazioni e le rende accessibili a tutti mediante pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e con ogni altro mezzo appropriato.

 

 

Articolo 69

Modificazione degli allegati.

Le modifiche dei certificati standard di cui agli allegati da I a IV sono adottate in conformità della procedura di cui all'articolo 70, paragrafo 2.

 

 

Articolo 70

Comitato.

1. La Commissione è assistita da un comitato (di seguito, «il comitato»).

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 3 e 7 della decisione 1999/468/CE.

 

3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.

 

 

Articolo 71

Abrogazione del regolamento (CE) n. 1347/2000.

1. Il regolamento (CE) n. 1347/2000 è abrogato alla data in cui il presente regolamento entra in applicazione.

 

2. I riferimenti al regolamento (CE) n. 1347/2000 si intendono fatti al presente regolamento secondo la tavola di concordanza che figura nell'allegato V.

 

 

Articolo 72

Entrata in vigore.

Il presente regolamento entra in vigore il 1° agosto 2004.

 

Il presente regolamento si applica dal 1° marzo 2005, ad eccezione degli articoli 67, 68, 69 e 70 che si applicano dal 1° agosto 2004.

 

 

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri in base al trattato che istituisce la Comunità europea.

 

 

Fatto a Bruxelles, addì 27 novembre 2003.

 

 

Per il Consiglio

Il Presidente

R. CASTELLI

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

Certificato di cui all'articolo 39 sulle decisioni in materia matrimoniale [1]


Allegato I

 

 

 

1. Paese di origine

 

2. Giudice o autorità che rilascia il certificato

 

2.1. Denominazione

 

2.2. Recapito

 

2.3. Telefono/Fax/Posta elettronica

 

3. Matrimonio

 

3.1. Moglie

 

3.1.1. Nome e cognome

 

3.1.2. Recapito

 

3.1.3. Stato e luogo di nascita

 

3.1.4. Data di nascita

 

3.2. Marito

 

3.2.1. Nome e cognome

 

3.2.2. Recapito

 

3.2.3. Stato e luogo di nascita

 

3.2.4. Data di nascita

 

3.3. Stato, luogo (eventualmente) e data del matrimonio

 

3.3.1. Stato del matrimonio

 

3.3.2. Luogo del matrimonio (eventualmente)

 

3.3.3. Data del matrimonio

 

4. Autorità giurisdizionale che ha pronunciato la decisione

 

4.1. Denominazione

 

4.2. Sede

 

5. Decisione

 

5.1. Data

 

5.2. Numero di riferimento

 

5.3. Tipo di decisione

 

5.3.1. Divorzio

 

5.3.2. Annullamento del matrimonio

 

5.3.3. Separazione personale

 

5.4. Si tratta di decisione resa in contumacia?

 

5.4.1. No

 

5.4.2. Sì [2]

 

6. Nomi delle parti alle quali è stato concesso il patrocinio a spese dello Stato

 

7. Contro la decisione può ancora essere proposta opposizione secondo la legge dello Stato membro di origine?

 

7.1. No

 

7.2. Sì

 

8. Data da cui decorrono gli effetti giuridici nello Stato membro in cui la decisione è stata pronunciata

 

8.1. Divorzio

 

8.2. Separazione personale

 

Fatto a il

Firma e/o timbro

 

__________

[1] Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000.

 

[2] Devono essere allegati i documenti di cui all'articolo 37, paragrafo 2.

 


Certificato di cui all'articolo 39 sulle decisioni relative alla responsabilità genitoriale [1]

 

 

 

Allegato II

 

1. Stato membro di origine

 

2. Giudice o autorità che rilascia il certificato

 

2.1. Denominazione

 

2.2. Recapito

 

2.3. Telefono/Fax/Posta elettronica

 

3. Titolari di un diritto di visita

 

3.1. Cognome, nome

 

3.2. Recapito

 

3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4. Titolari della responsabilità genitoriale diversi da quelli menzionati al punto 3 [2]

 

4.1.

 

4.1.1. Cognome, nome

 

4.1.2. Recapito

 

4.1.3 Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.2.

 

4.2.1. Cognome, nome

 

4.2.2. Recapito

 

4.2.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.3.

 

4.3.1. Cognome, nome

 

4.3.2. Recapito

 

4.3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

5. Autorità giurisdizionale che ha pronunciato la decisione

 

5.1. Denominazione

 

5.2. Luogo

 

6. Decisione

 

6.1. Data

 

6.2. Numero di riferimento

 

6.3. Si tratta di decisione resa in contumacia?

 

6.3.1. No

 

6.3.2. Sì [3]

 

7. Minori oggetto della decisione [4]

 

7.1. Nome, cognome e data di nascita

 

7.2. Nome, cognome e data di nascita

 

7.3. Nome, cognome e data di nascita

 

7.4. Nome, cognome e data di nascita

 

8. Nomi delle parti alle quali è stato concesso il patrocinio a spese dello Stato

 

9. Attestato di esecutività e notificazione

 

9.1. La decisione è esecutiva secondo la legge dello Stato membro di origine?

 

9.1.1. Sì

 

9.1.2. No

 

9.2. La decisione è stata notificata alla parte contro cui l'esecuzione viene fatta valere?

 

9.2.1. Sì

 

9.2.1.1. Nome e cognome della parte

 

9.2.1.2. Recapito

 

9.2.1.3. Data della notificazione

 

9.2.2. No

 

10. Informazioni specifiche per le decisioni relative al diritto di visita se è richiesto l'exequatur ai sensi dell'articolo 28. Tale possibilità è prevista all'articolo 40, paragrafo 2:

 

10.1. Modalità di esercizio del diritto di visita (se e nella misura in cui tali precisazioni figurano nella decisione)

 

10.1.1. Data, ora

 

10.1.1.1. Inizio

 

10.1.1.2. Fine

 

10.1.2. Luogo

 

10.1.3. Obblighi specifici che fanno capo al titolare della responsabilità genitoriale

 

10.1.4. Obblighi specifici che fanno capo al beneficiario del diritto di visita

 

10.1.5. Limitazioni connesse con l'esercizio del diritto di visita

 

11. Informazioni specifiche per le decisioni relative al ritorno del minore se è richiesto l'exequatur ai sensi dell'articolo 28. Tale possibilità è prevista dall'articolo 40, paragrafo 2:

 

11.1. La decisione prevede il ritorno del minore

 

11.2. Persona presso laquale il minore deve fare ritorno (se tale precisazione figura nella decisione)

 

11.2.1. Cognome, nome

 

11.2.2 Recapito

 

Fatto a , il

 

 

 

Firma e/o timbro

 

 

__________

 

[1] Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000.

 

[2] In caso di potestà congiunta, la persona menzionata al punto 3 può anche essere menzionata al punto 4.

 

[3] In questo caso devono essere allegati i documenti di cui all'articolo 37, paragrafo 2.

 

[4] Se i minori sono più di quattro, utilizzare un secondo modulo.


Certificato di cui all'articolo 41 paragrafo 1, sulle decisioni in materia di diritto di visita [1]

 

Allegato III

 

1. Stato membro di origine

 

2. Autorità giurisdizionale o autorità che rilascia il certificato

 

2.1. Denominazione

 

2.2. Recapito

 

2.3. Telefono/Fax/Posta elettronica

 

3. Titolari di un diritto di visita

 

3.1. Cognome, nome

 

3.2. Recapito

 

3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4. Titolari della responsabilità genitoriale diversi da quelli menzionati al punto 3 [2] [3]

 

4.1. Madre

 

4.1.1. Cognome, nome

 

4.1.2. Recapito

 

4.1.3 Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.2. Padre

 

4.2.1. Cognome, nome

 

4.2.2. Recapito

 

4.2.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.3. Altri

 

4.3.1. Cognome, nome

 

4.3.2. Recapito

 

4.3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

5. Autorità giurisdizionale che ha pronunciato la decisione

 

5.1. Denominazione

 

5.2. Luogo

 

6. Decisione

 

6.1. Data

 

6.2. Numero di riferimento

 

7. Minori oggetto della decisione [4]

 

7.1. Nome, cognome e data di nascita

 

7.2. Nome, cognome e data di nascita

 

7.3. Nome, cognome e data di nascita

 

7.4. Nome, cognome e data di nascita

 

8. La decisione è esecutiva nello Stato membro di origine?

 

8.1. Sì

 

8.2. No

 

9. La domanda giudiziale o un atto equivalente è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in maniera tale che questi ha potuto presentare le proprie difese o è stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione

 

10. Tutte le parti interessate hanno avuto la possibilità di essere ascoltate

 

11. I figli sono stati ascoltati, salvo che l'audizione non sia stata ritenuta inopportuna in considerazione della loro età e del loro grado di maturità

 

12. Modalità pratiche per l'esercizio del diritto di visita (se e nella misura in cui tali precisazioni figurano nella decisione)

 

12.1. Data, ora

 

12.1.1. Inizio

 

12.1.2. Fine

 

12.2. Luogo

 

12.3. Obblighi specifici che fanno capo al titolare della responsabilità genitoriale

 

12.4. Obblighi specifici che fanno capo al beneficiario del diritto di visita

 

12.5. Limitazioni connesse all'esercizio del diritto di visita

 

13. Nomi delle parti alle quali è stato concesso il patrocinio a spese dello Stato

 

Fatto a , il

 

 

Firma e/o timbro

 

 

__________

 

[1] Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000.

 

[2] In caso di potestà congiunta, la persona menzionata al punto 3 può anche essere menzionata al punto 4.

 

[3] Barrare la casella corrispondente alla persona nei confronti della quale deve essere eseguita la decisione.

 

[4] Se i minori sono più di quattro, utilizzare un secondo modulo.

 


 

 

Certificato di cui all'articolo 42, paragrafo 1, sul ritorno del minore [1] (9)

 

Allegato IV

 

1. Stato membro di origine

 

2. Giudice o autorità che rilascia il certificato

 

2.1. Denominazione

 

2.2. Recapito

 

2.3. Telefono/Fax/Posta elettronica

 

3. Persona presso il quale il minore deve fare ritorno (se tale precisazione figura nella decisione)

 

3.1. Cognome, nome

 

3.2. Recapito

 

3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4. Titolari della responsabilità genitoriale [2]

 

4.1. Madre

 

4.1.1. Nome e cognome

 

4.1.2. Recapito (se i dati sono disponibili)

 

4.1.3 Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.2. Padre

 

4.2.1. Nome e cognome

 

4.2.2. Recapito (se i dati sono disponibili)

 

4.2.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

4.3. Altri

 

4.3.1. Nome e cognome

 

4.3.2. Recapito (se i dati sono disponibili)

 

4.3.3. Data e luogo di nascita (se i dati sono disponibili)

 

5. Convenuto (se i dati sono disponibili) (10)

 

5.1. Cognome, nome

 

5.2. Recapito (se i dati sono disponibili)

 

6. Autorità giurisdizionale che ha pronunciato la decisione

 

6.1. Denominazione

 

6.2. Luogo

 

7. Decisione

 

7.1. Data

 

7.2. Numero di riferimento

 

8. Minori oggetto della decisione [3]

 

8.1. Nome, cognome e data di nascita

 

8.2. Nome, cognome e data di nascita

 

8.3. Nome, cognome e data di nascita

 

8.4. Nome, cognome e data di nascita

 

9. La decisione dispone il ritorno del minore

 

10. La decisione è esecutiva nello Stato membro di origine? (11)

 

10.1. Sì

 

10.2. No

 

11. I figli sono stati ascoltati, salvo che l'audizione non sia stata ritenuta inopportuna in considerazione della loro età e del loro grado di maturità

 

12. Le parti hanno avuto la possibilità di essere ascoltate

 

13. La decisione stabilisce il ritorno del minore e il giudice nella sua sentenza ha tenuto conto dei motivi e degli elementi di prova sui quali si basa la decisione adottata conformemente all'articolo 13, lettera b), della convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori

 

14. Se del caso, le modalità delle misure adottate dal giudice o dalle autorità al fine di assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato membro in cui risiede abitualmente

 

15. Nomi delle parti alle quali è stato concesso il patrocinio a spese dello Stato

 

Fatto a , il

 

 

 

Firma e/o timbro

 

 

__________

 

[1] Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000.

 

[2] Tale punto è facoltativo.

 

[3] Se i minori sono più di quattro, utilizzare un secondo modulo.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

 

(9)  Titolo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 28 giugno 2006, n. L 174.

 

(10)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 28 giugno 2006, n. L 174.

 

(11)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 28 giugno 2006, n. L 174.


 

Tabella di corrispondenza con il regolamento (CE) n. 1347/2000

Allegato V

 

 

Articoli abrogati

Articoli corrispondenti del nuovo testo

 

 

1

1,2

2

3

3

12

4

 

5

4

6

5

7

6

8

7

9

17

10

18

11

16,19

12

20

13

2,49,46

14

21

15

22,23

16

 

17

24

18

25

19

26

20

27

21

28

22

21,29

23

30

24

31

25

32

26

33

27

34

28

35

29

36

30

50

31

51

32

37

33

39

34

38

35

52

36

59

37

60,61

38

62

39

 

40

63

41

66

42

64

43

65

44

68,69

45

70

46

72

Allegato I

68

Allegato II

68

Allegato III

68

Allegato IV

Allegato I

Allegato V

Allegato II

 

 

 


Allegato VI

 

Dichiarazione della Svezia e della Finlandia ai sensi dell'articolo 59 paragrafo 2, lettera a) del regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000.

 

 

Dichiarazione della Svezia

 

Ai sensi dell'articolo 59, paragrafo 2, lettera a), del regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, la Svezia dichiara che nei rapporti tra Svezia e Finlandia, in luogo delle norme di detto regolamento, si applica in tutto e per tutto la convenzione del 6 febbraio 1931 tra Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia contenente disposizioni di diritto internazionale privato in materia di matrimonio, adozione e tutela, nonché il relativo protocollo finale.

 

 

Dichiarazione della Finlandia

 

Ai sensi dell'articolo 59, paragrafo 2, lettera a), del regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 la Finlandia dichiara che nei rapporti tra Finlandia e Svezia, in luogo delle norme di detto regolamento, si applica in tutto e per tutto la convenzione del 6 febbraio 1931 fra Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Danimarca contenente disposizioni di diritto internazionale privato in materia di matrimonio, adozione e tutela, nonché il relativo protocollo finale.

 


Giurisprudenza

 


Corte costituzionale

 


 

Sentenza 2-14 aprile 1969, n. 79

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

 

Prof. Giuseppe BRANCA

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CRIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

 

Dott. Nicola REALE

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 577 del Codice civile promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1967 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Dellepiane Giovanni Battista e Dellepiane Vittorio ed altri, iscritta al n. 230 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 25 novembre 1967.

 

Visti gli atti di costituzione di Dellepiane Giovanni Battista e di Dellepiane Vittorio ed altri;

 

udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

 

uditi l'avv. Nino Musio Sale, per Dellepiane Giovanni Battista, e gli avvocati Massimo Medina e Cesare Tumedei, per Dellepiane Vittorio ed altri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il 26 giugno 1967, nel corso d'un procedimento civile proposto dal signor Giovanni Battista Dellepiane nei confronti dei signori Vittorio Dellepiane ed altri, il tribunale di Genova emanava un'ordinanza di rinvio a questa Corte, denunciando, per contrasto con gli artt. 3 e 30, comma terzo, della Costituzione, gli artt. 467 e 577 del Codice civile: norme di cui l'una attribuisce in generale il diritto di rappresentazione ai soli discendenti legittimi del chiamato, l'altra attribuisce un diritto analogo, nella successione ab intestato, anche al figlio naturale del chiamato, ma soltanto se il de cuius non lasci parenti legittimi entro il terzo grado. Sulla questione c'e già stata pronuncia di infondatezza (Corte costituzionale sentenza n. 54 del 1960); tuttavia il tribunale ritiene di doverla riproporre sotto un profilo che gli pare "più ampio e diverso da quello già a suo tempo preso in esame dalla Corte".

 

Secondo l'ordinanza di rinvio (che in parte fa proprie argomentazioni dell'attore), l'art. 3 della Costituzione, ponendo un principio fondamentale di eguaglianza, condiziona l'interpretazione dell'art. 30, comma terzo, che perciò é "norma uguagliatrice" dei figli nati "fuori del matrimonio" rispetto ai figli nati "nel matrimonio": se ne dovrebbe dedurre che la "famiglia legittima", i cui diritti possono costituire un limite alla tutela dei figli naturali, sia quella costituitasi "col matrimonio" del loro padre: infatti solo riguardo ad essa la estraneità del figlio naturale acquista giuridica rilevanza, cioè solo riguardo ad essa questi può dirsi nato fuori del matrimonio. Pertanto l'art. 577 del Codice civile, posponendolo ai parenti del chiamato che non fanno parte di tale famiglia legittima, violerebbe gli artt. 3 e 30 della Costituzione.

 

Inoltre, secondo il tribunale, il diritto di rappresentazione, sussistendo anche nella successione testamentaria, non si fonda su un rapporto di parentela tra il de cuius e il chiamato (che non può e non vuole accettare l'eredità): perciò il "differente trattamento legislativo tra figlio naturale e figlio legittimo", fondandosi invece sul rapporto di parentela, non ha alcuna giustificazione rispetto al principio d'eguaglianza (art. 3). Infine la diversa formulazione del terzo comma dell'art. 30 della Costituzione rispetto al quarto, in cui la posizione di limiti (alla ricerca della paternità) é espressamente demandata al legislatore, dimostrerebbe come l'ampiezza di tutela dei figli naturali, in quel terzo comma, non dipenda da libere scelte legislative, ma sia già determinata costituzionalmente: del che non avrebbe tenuto conto questa Corte nella sentenza ricordata ab initio n. 54 del 1960).

 

2. - La difesa di Giovanni Battista Dellepiane, nelle deduzioni depositate il 22 settembre 1967, riprende e sviluppa gli argomenti del tribunale di Genova, già prospettati da essa nel giudizio di merito. E mette soprattutto l'accento sull'irrazionalità d'una disciplina che "antepone i diritti dei terzi parenti ai diritti di un figlio"... del chiamato: un figlio al quale la Costituzione assicura, anche di fronte a costoro, tutti i diritti dei legittimi, compreso il diritto al mantenimento da parte del padre naturale.

 

La difesa delle controparti, nelle deduzioni presentate il 23 settembre 1967, si richiama invece alla sentenza del 1960 n. 54 della Corte costituzionale, che avrebbe già risolto, nel senso del rigetto, il "quesito" sottopostole ora dallo stesso tribunale di Genova. Il quale del resto avrebbe frainteso il principio d'eguaglianza sostenendo l'assimilazione, nel sistema successorio, del diritto del figlio naturale a quello del figlio legittimo, cioè assimilando due posizioni diverse; diversità risultante dall'art. 30 della Costituzione, norma particolare su cui non può prevalere la norma generale dell'art. 3.

 

3. - Nella memoria depositata il 5 marzo 1969 la difesa di Giovanni Battista Dellepiane risponde alle obiezioni delle controparti concludendo che, quand'anche il terzo comma dell'art. 30 della Costituzione si riferisse ai membri della famiglia legittima del de cuius, gli artt. 467 e 577 del Codice civile sarebbero egualmente illegittimi: l'art. 467, poiché esclude dalla rappresentazione il figlio naturale "discriminando aprioristicamente sulla condizione di figlio nato fuori del matrimonio" (art. 3 Cost.); l'art. 577, poiché presuppone "tutti i possibili parenti del de cuius" al figlio, "della cui rappresentazione si tratta".

 

Anche le controparti hanno presentato una memoria, il 7 marzo 1969. Vi si osserva che la differenziazione tra figli legittimi e naturali é mantenuta, dagli artt. 467 e 577, nei limiti della ragionevolezza: l'istituto della rappresentazione si basa sul "presunto affetto" del de cuius per i discendenti legittimi del vocato, affetto altrettanto presumibilmente da escludere nei riguardi del discendente illegittimo (il quale del resto non é parente del de cuius, mentre é proprio l'art. 468 a richiedere la parentela). Dalla rappresentazione, tutela della sola famiglia legittima del vocato, il figlio naturale é escluso allo stesso modo dell'adottivo. In conclusione la famiglia legittima del genitore che non può e non vuole accettare l'eredità é proprio quella in cui egli é nato (quella del suo ascendente) e che poi ha accresciuto eventualmente col proprio matrimonio: perciò occorre tener conto dei diritti di tutti i suoi componenti e in questo senso si esprime il terzo comma dell'art. 30 della Costituzione, anche per mezzo dei lavori preparatori, quando accorda tutela al figlio naturale.

 

4. - Nella discussione orale si sono ribadite e chiarite le diverse tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Sono stati denunciati gli artt. 467 e 577 del Codice civile perché non riconoscono il diritto di rappresentazione ai figli naturali di chi, figlio o fratello del de cuius, non abbia coniuge o discendenti legittimi: le due norme contrasterebbero con gli artt. 3 e 30, comma terzo, della Costituzione.

 

La questione, che pure dette luogo a una lontana sentenza di rigetto (n. 54 del 1960), é fondata.

 

Nella Costituzione non é riposto un astratto "favore" per i figli naturali (riconosciuti o dichiarati) da tradursi soltanto ad opera della legge ordinaria in tutela concreta nel contenuto e nei limiti. La garanzia dei diritti del figlio naturale é invece tutta spiegata nel terzo comma, prima parte, dell'art. 30 per il caso in cui non urti cogli interessi" dei membri della famiglia legittima": vale a dire che l'intervento del legislatore occorrerà solo per conciliare la protezione del figlio naturale coi diritti di costoro (conciliazione del resto in parte avvenuta ante litteram ad es. con le norme del Codice civile che disciplinano la situazione dei figli naturali, quanto ai diritti ereditari, se concorrono coi figli legittimi). Ne deriva che, per l'ipotesi in cui non sussista una famiglia legittima, una legiferazione speciale non é necessaria: infatti il figlio naturale gode già in virtù dell'art. 30, di un'ampia protezione alla quale il legislatore ordinario é vincolato, diversamente da quanto accade per altre materie (v. ad es. sent. 1969 n. 1 di questa Corte).

 

2. - Più precisamente la Costituzione garantisce al figlio naturale (beninteso, riconosciuto o dichiarato), non una generica difesa, ma "ogni" tutela giuridica e sociale: il che non può intendersi altrimenti che come tutela adeguata alla posizione di figlio, vale a dire (sempreché non vi siano membri della famiglia legittima) simile a quella che l'ordinamento attribuisce in ogni campo ai figli legittimi: in ogni campo, compreso evidentemente quello della successione ereditaria, dato che rispetto ad essa lo status di figlio (legittimo o naturale) ha, secondo i principi, rilevanza precisa (artt. 467 e segg., 536 e segg. del Cod. civile). Con ciò non si vuol dire che la Costituzione abbia del tutto assimilato i figli naturali ai legittimi (ché anzi l'ampiezza dei diritti dei primi nei confronti dei secondi dev'essere determinata, in ossequio alla preminenza di questi ultimi e sia pure con criteri di razionalità, dal potere discrezionale del legislatore ordinario); ma si riconosce tuttavia che l'assimilazione é innegabile (solo) là dove manchi una famiglia legittima. Cosicché ai fini del presente giudizio, dati i limiti nei quali la questione é stata avanzata, resta innanzi tutto da stabilire che cosa intenda, la norma costituzionale, per famiglia legittima.

 

La Corte ritiene ora, scostandosi dalla precedente sentenza, che "famiglia legittima" sia quella costituitasi col matrimonio del padre naturale e composta dal coniuge e dai figli legittimi. A questa interpretazione conducono il linguaggio o il contenuto tanto delle norme costituzionali quanto della legislazione ordinaria, oltrechè la stessa sistematica del Codice civile.

 

3. - Infatti nell'art. 29 la garanzia costituzionale copre il gruppo "società naturale" fondato sul matrimonio, quello, cioè, che, nato da tale unione, riposa appunto sulla parità dei coniugi, anche nel governo della famiglia, e sull'unità familiare (secondo comma dello stesso art. 29): parità ed unità che non possono esigersi né ipotizzarsi nei riguardi degli ascendenti o collaterali di chi ha costituito col matrimonio una società naturale.

 

Del resto che solo del coniuge e dei discendenti si sia preoccupato il Costituente risulta anche dall'art. 31, dove la famiglia e i suoi compiti sono quelli che derivano dal matrimonio; risulta inoltre dall'art. 30, comma primo, che riconosce doveri e diritti dei genitori nei confronti dei figli e non nei riguardi dei propri ascendenti o collaterali. Da questo quadro non é verosimile che sia uscito il terzo comma dell'art. 30: anche qui, l'accenno alla famiglia legittima di chi ha figli naturali, evidentemente, non comprende gli ascendenti o i collaterali; poiché si contrappongono i figli nati fuori del matrimonio di lui alla sua famiglia legittima, questa non può essere che il gruppo costituitosi col suo matrimonio. In tal senso depongono inoltre innumerevoli testimonianze dei lavori preparatori che sovrastano a un isolato indizio contrario.

 

4. - D'altra parte la stessa legislazione ordinaria, dinanzi a un soggetto che abbia contratto matrimonio, rifugge dall'inquadrare nella famiglia di lui tutto il gruppo degli ascendenti e dei collaterali; anzi il Codice individua, dal punto di vista di tale soggetto riguardo a costoro, più che un legame familiare un vincolo di parentela (ad es. art. 102 e v. Titolo V), mentre circoscrive la famiglia alla comunità che quegli ha costituito col suo matrimonio (ad es. art. 144 e rubrica del capo VI e v. Titolo VI). Anche la norma che sembra comprendere nel concetto di famiglia d'un coniuge il gruppo dei suoi ascendenti e collaterali, in realtà ha un altro senso: l'art. 299, quarto comma, parla di famiglia della moglie (che adotta il figlio del marito) proprio perché allude alla situazione di lei prima del matrimonio e astraendosi da esso. É d'altronde sintomatico come, a parte le convivenze, perfino il documento detto "stato di famiglia" non registri gli ascendenti e i collaterali di chi abbia contratto matrimonio.

 

Da ciò non si vuol dedurre che la famiglia legittima d'una persona comprenda (come nello "stato di famiglia"), oltre al coniuge, solo i figli "non coniugati" poiché gli altri hanno formato un nuovo gruppo familiare; ma si trae piuttosto argomento per asserire che essa non include mai né i collaterali né gli ascendenti. A livello costituzionale, poi, come ai figli naturali d'un soggetto é dovuta protezione anche se hanno contratto matrimonio, cosi i figli legittimi di quel genitore vanno difesi pur quando abbiano fondato una propria società coniugale; perciò la famiglia legittima indicata dall'art. 30, terzo comma, ricomprende sicuramente tutti i figli, e coi loro diritti la legge dovrà stabilire la compatibilità della tutela dei così detti illegittimi.

 

5. - In conclusione, se il genitore naturale non ha coniuge né figli legittimi, manca una famiglia legittima nel senso dell'art. 30, terzo comma, e si apre per il figlio naturale la tutela garantita da questa norma. In particolare, qualora la persona, che non può o non vuole accettare l'eredità od il legato del proprio genitore o fratello, non lasci e non abbia né coniuge né figli legittimi (e loro discendenti che ne prendano il posto ex art. 469), al suo figlio naturale deve riconoscersi il diritto di rappresentazione che spetterebbe al legittimo; diritto che appartiene anche quando sussista il coniuge del così rappresentato: infatti tra il figlio naturale e tale coniuge non v'é contrasto di interessi da conciliare (ex art. 30 Cost.), dato che questi, a differenza del figlio naturale e dai discendenti legittimi, non può subentrare per rappresentazione al proprio coniuge.

 

Di conseguenza l'art. 467 del Codice civile, che sottrae quel diritto al figlio naturale, deve dichiararsi illegittimo: anche perché la norma costituzionale che si riferisce alle successioni (art. 42, quarto comma), così generica com'é, non legittima l'arbitrio del legislatore ordinario, ma contiene soltanto una riserva di legge.

 

Per giustificare la disposizione dell'art. 467 la dottrina ha rilevato che, non essendovi "rapporto civile" tra il figlio naturale e il genitore (il fratello) del proprio padre, sarebbe illogico un acquisto ereditario, per rappresentazione, del primo dal secondo. Ma può rispondersi che l'affermazione non é rigorosa se si pensa, a tacere dell'impedimento matrimoniale (art. 87, nn. 1-3 e penultimo comma), all'obbligo alimentare del genitore verso il figlio naturale del proprio figlio (art. 435, terzo comma) e al rapporto di parentela che fra l'uno e l'altro ha introdotto lo stesso articolo 577, come si notò anche durante la compilazione del Codice; inoltre, quali che siano il fondamento e la natura della rappresentazione, in concreto questa tutela gli interessi della famiglia (legittima) del mancato erede o legatario, impedendo che i beni le siano tolti solo perché il genitore non può e non vuole accettarli; perciò, una volta assimilato, rispetto al padre, il figlio naturale al legittimo, mancando l'uno quei beni possono essere sottratti interamente all'altro. Illogico semmai é consentire, con la norma denunciata, che il legato, pur essendo acquisito ipso iure al patrimonio del legatario, cioè alle aspettative dei figli naturali, ne possa uscire per sua volontà; e più in generale sembra iniquo che il rappresentato sia arbitro, non accettando, di frustrare volutamente quelle stesse aspettative.

 

6. - Dichiarata l'illegittimità dell'art. 467 si deve fare altrettanto, a norma dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, per l'art. 468; il quale riserva la successione per rappresentazione ai soli discendenti di chi non può e non vuole accettare: siccome per discendenti si sono intesi sempre, ovviamente, quelli legittimi, anche questa norma é incostituzionale poiché nega il diritto al figlio naturale in assenza di discendenti legittimi del padre.

 

L'art. 577 ammette alla successione ab intestato il figlio naturale del figlio del de cuius, ma solo se quest'ultimo non lasci né coniuge né parenti entro il terzo grado. La norma ha come presupposto, nel Codice, l'assenza d'un diritto di rappresentazione del figlio naturale ed é stata emanata (si dice) aequitatis causa, proprio in sostituzione di quel diritto. Perciò, comunque si qualifichi la situazione, l'art. 577 é totalmente illegittimo, poiché risponde a un sistema successorio che contrasta col diritto di rappresentazione del figlio naturale. Infatti, dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 467, quegli succede o non succede a seconda che non vi siano o vi siano discendenti legittimi del rappresentato; mentre a norma dell'art. 577 succederebbe o non succederebbe a seconda che non vi fossero o vi fossero coniugi o parenti entro il terzo grado del de cuius: il che non si concili a col principio ricavato dal raffronto dell'art. 467 con l'art. 30 della Costituzione.

 

7. Superfluo aggiungere che, nei casi in cui il figlio naturale succederà per rappresentazione, subentrerà nel "luogo e nel grado" del suo genitore: insomma acquisterà la stessa quota ereditaria o gli stessi beni legati che avrebbe avuto se fosse stato figlio legittimo.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale:

 

a) dell'art. 577 del Codice civile;

 

b) dell'art. 467 del Codice civile limitatamente alla parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi;

 

c) dell'art. 468 del Codice civile, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e negli stessi limiti di cui al predetto art. 467 del Codice civile.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1969.

 

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Nicola REALE 

 

 Depositata in cancelleria il 14 aprile 1969.

 

 

Sentenza 15 giugno-4 luglio 1979, n. 55

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Pro. LEONETTO AMADEI, Presidente

 

Prof. EDOARDO VOLTERRA

 

Prof. GUIDO ASTUTI

 

Dott. MICHELE ROSSANO

 

Prof. ANTONINO DE STEFANO

 

Prof. LEOPOLDO ELIA

 

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

 

Avv. ORONZO REALE

 

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

 

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

 

Prof. LIVIO PALADIN

 

Dott. ARNALDO MACCARONE

 

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

 

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 578 del codice civile, promossi con ordinanze emesse il 9 ottobre 1974 dalla Corte d'appello de L'Aquila, nei procedimenti civili vertenti tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Cipriani Avolio Domenichina, iscritte ai nn. 584 e 585 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 dell'11 febbraio 1976.

 

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e l'atto di costituzione dell'Amministrazione delle finanze;

 

udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1979 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

 

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso dei giudizi civili pendenti tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Cipriani Avolio Domenichina, la Corte d'appello de L'Aquila, con due ordinanze di identico contenuto, emesse in data 9 ottobre 1974, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 578 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione.

La controversia nel corso della quale é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale concerneva il diritto di succedere mortis causa di un figlio naturale nei confronti di altro figlio naturale, entrambi procreati e riconosciuti dalla stessa madre: in assenza di altri chiamati all'eredità (eredi legittimi, coniuge), il patrimonio del de cuius (non assumendo il fratello naturale, alla stregua della disciplina vigente, la qualità di successibile ex lege) avrebbe dovuto essere devoluto allo Stato ai sensi dell'art. 586 cod. civ.

Il giudice a quo, pertanto, rilevava un evidente contrasto dell'art. 565 cod. civ., nella parte in cui tale norma non include espressamente il fratello naturale riconosciuto tra i parenti naturali chiamati alla successione e dell'art. 578 cod. civ. che, per l'ipotesi della mancanza di prole e del coniuge del figlio naturale, devolve l'eredità dello stesso unicamente al genitore e non pure al fratello naturale riconosciuto, con le indicate norme costituzionali.

Invero, l'art. 30, terzo comma, della Costituzione (il richiamo all'art. 3 appare sostanzialmente assorbito, nel testo dell'ordinanza, nel seno dell'art. 30, terzo comma), diretto ad assicurare la tutela giuridica e morale dei figli nati fuori del matrimonio, compatibilmente con i diritti della famiglia legittima, consentirebbe - tenuto conto della diversa realtà sociale nella quale esso si inquadra e della elaborazione della giurisprudenza costituzionale, volta a riconoscere posizioni più favorevoli alla filiazione naturale - una dilatazione del contenuto precettivo dello stato di figlio illegittimo, tale da ricomprendere, oltre che le situazioni soggettive riferite all'ascendente, tutti i possibili diritti che entrano a far parte della condizione del soggetto che non appartiene alla famiglia legittima.

Diverrebbero in tal modo costituzionalmente emergenti situazioni che non concernono solo la parentela in via diretta (quella tra genitore e figlio), l'unica ritenuta rilevante, nel sistema della legge ordinaria, anche sul piano naturale, e conseguentemente non potrebbero considerarsi estranee al precetto costituzionale situazioni riferite alla parentela naturale collaterale.

Collocata la disposizione in siffatta più ampia prospettazione - osserva il giudice a quo - troverebbe spazio la tesi secondo cui il diritto successorio del figlio naturale spetterebbe anche nei confronti del fratello naturale, purché entrambi siano stati procreati e riconosciuti dalla stessa madre.

Il rilievo dell'indicata norma costituzionale non resterebbe, peraltro, limitato, nel caso di specie, dalla compatibilità delle attribuzioni dei figli nati fuori del matrimonio con i diritti della famiglia legittima, unico successibile ex lege essendo - nella controversia oggetto del presente giudizio - lo Stato.

Una diversa soluzione, proprio in forza dell'operatività dell'art. 586 cod. civ., apparirebbe contrastante con la Carta costituzionale "per l'essenziale rilievo che i soggetti procreati fuori del matrimonio (e massimamente i figli naturali riconosciuti nei rapporti tra di loro) resterebbero privi della prevista protezione".

D'altro canto, lo stesso codice civile, sia pure ad altri fini, dà espresso rilievo (art. 87) alla parentela naturale collaterale, rilievo che é assolutamente assente nell'ambito del diritto successorio che pure appare direttamente fondato sul vincolo affettivo: la mancata previsione della devoluzione dell'eredità al fratello naturale si risolverebbe quindi in una mortificazione della condizione personale del figlio nato fuori del matrimonio, massimamente nei casi in cui non esista una parentela legittima.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri e si é costituita l'Amministrazione delle finanze a mezzo dell'Avvocatura dello Stato.

Premesso che l'art. 30 della Costituzione costituisce una sorta di specificazione del principio di eguaglianza, l'Avvocatura ha dedotto che la tutela giuridica e sociale assicurata dal terzo comma di tale disposizione ai figli nati fuori del matrimonio riguarda soltanto i loro diritti nei confronti dei genitori naturali e non anche quelli con i collaterali di cui non vi é traccia nella Costituzione.

La parte privata non si é costituita.

Con la memoria depositata in cancelleria in data 8 marzo 1978 l'Avvocatura, nel ribadire quanto esposto nell'atto d'intervento, ha dedotto che la questione era stata già nel frattempo risolta da questa Corte con la sentenza n. 76 del 1977 che - nello stabilire l'irrilevanza della parentela naturale, anche alla stregua del nuovo diritto di famiglia - aveva ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 570 e 586 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 30 della Costituzione sollevata dal tribunale di Catanzaro con ordinanza in data 12 dicembre 1973.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze sollevano identiche questioni ed i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Il giudice a quo ha denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ., nel testo non riformato dalla legge 151/1975 (la successione di cui si controverte risulta aperta, infatti, sotto il vigore del preesistente diritto di famiglia): tale norma, escludendo dalla successione il fratello naturale riconosciuto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 30 della Costituzione.

Ha altresì dedotto che una analoga violazione dei citati principi costituzionali sarebbe contenuta nell'art. 578 cod. civ. nella parte in cui non comprende tra i chiamati alla successione legittima del figlio naturale, nei casi di mancanza di discendenti e del coniuge di costui, il fratello naturale riconosciuto; e ciò sia nel caso in cui non concorrano alla successione altri parenti, sia nell'ipotesi in cui concorra il genitore naturale: purché i figli siano stati entrambi procreati dalla stessa persona.

3. - La questione di legittimità costituzionale dell'articolo 578 cod. civ. é inammissibile per difetto di rilevanza, apparendo sfornita del necessario carattere di pregiudizionalità rispetto alla definizione del giudizio a quo.

La disposizione impugnata disciplina, infatti, la successione dei genitori al figlio naturale; nel giudizio in cui é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, invece, nessun soggetto appartenente alla famiglia legittima risulta chiamato alla eredità, unico successibile ex lege essendo - alla stregua della normativa vigente - lo Stato.

4. - Fondata é invece la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. In assenza di membri della famiglia chiamati alla eredità, infatti, l'esclusione del diritto alla successione del fratello (o della sorella) naturale del de cuius - purché la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata - contrasta tanto con l'art. 30 terzo comma che con l'art. 3 della Costituzione.

La Corte non ignora che, con la sentenza 76/77, sia pure con riferimento a diverse disposizioni del codice civile (gli artt. 570 e 586), ebbe a dichiarare la non fondatezza della medesima questione. Un tale indirizzo deve essere tuttavia oggetto di meditata revisione al fine di armonizzare la soluzione del caso in esame ai principi affermati nella materia dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

É noto come, sin dalla sentenza 7/63, la Corte ebbe a giudicare l'art. 30, terzo comma, della Costituzione come norma ispiratrice di un orientamento legislativo a favore della filiazione illegittima, inteso appunto ad eliminare posizioni giuridicamente e socialmente deteriori dei figli illegittimi, compatibilmente tuttavia con i diritti della famiglia legittima.

Tale enunciazione trovò poi una conseguente applicazione nella sentenza 79/69 la quale affermò il principio che, nel nostro ordinamento, non é assicurata al figlio nato fuori del matrimonio (purché riconosciuto o dichiarato) una generica difesa, sibbene "ogni tutela giuridica e sociale: il che non può intendersi altrimenti che come tutela adeguata alla posizione di figlio, vale a dire (sempre che non vi siano membri della famiglia legittima) simile a quella che l'ordinamento attribuisce in ogni campo ai figli legittimi: in ogni campo, compreso, evidentemente, quello della successione ereditaria, dato che, rispetto ad essa, lo status di figlio (legittimo o naturale) ha, secondo i principi, rilevanza precisa".

E proprio con riguardo alla successione mortis causa, la Corte, muovendo dalla premessa che non potesse attribuirsi, in linea di principio, alla disciplina enunciata nell'art. 258 cod. civ., secondo cui "il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto" valore assoluto e che non dovesse quindi escludersi ogni rapporto civile tra figlio e parente del proprio genitore naturale (come é dimostrato dalle disposizioni degli artt. 87, nn. 1, 2 e 3 e penultimo comma, 435, terzo comma, 577 cod. civ.) giustificò la successione legittima del figlio naturale rispetto a soggetti diversi dal proprio genitore. Tale tendenza venne tenuta ferma dalla Corte con le sentenze 50/73 e 82/74 che dichiararono, rispettivamente, l'illegittimità costituzionale dell'art. 539, nella parte in cui riservava ai figli naturali, quando la filiazione fosse stata riconosciuta o dichiarata, in mancanza di figli legittimi o del coniuge, soltanto un terzo del patrimonio del genitore se questi lasciava un solo figlio naturale o la metà ai figli naturali se fossero più, e dell'art. 575 cod. civ., nella parte in cui, in mancanza di figli legittimi e del coniuge e del genitore, ammetteva un concorso tra i figli riconosciuti e dichiarati e gli ascendenti del genitore.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. consegue appunto alla applicazione di tale linea interpretativa.

Ed invero una posizione di minore tutela del figlio nato fuori del matrimonio in tanto può trovare una sua giustificazione costituzionale in quanto tale condizione venga a confliggere con i diritti dei membri della famiglia legittima. Ove - come nella specie - tale situazione di conflittualità non possa ipotizzarsi, per essere lo Stato unico chiamato alla successione, la posizione del figlio naturale viene assimilata a quella del discendente legittimo (sentenza 79/69).

In assenza quindi di membri della famiglia legittima, trova giustificazione la successione tra fratelli (o sorelle) naturali nei casi in cui non vi siano altri successibili ex lege, ad eccezione dello Stato.

E- chiaro, inoltre, che la devoluzione della eredità allo Stato, operante, ai sensi dell'art. 586 cod. civ., nella assenza di altri successibili, é motivata, tra l'altro, da ragioni di ordine generale, per la necessità di impedire che i beni restino in stato di abbandono: il che non ha modo di verificarsi tutte le volte in cui esistano soggetti legati al de cuius da vincoli di sangue.

5. - L'art. 565 cod. civ. contrasta anche con l'art. 3 della Costituzione. Ed infatti, una volta ritenuto che la posizione giuridica del figlio nato fuori del matrimonio - ove non sussistano diritti dei membri della famiglia legittima da tutelare - é analoga a quella dei figli legittimi, appare contrastante con il principio di eguaglianza e di pari dignità sociale un regime successorio che escluda che i fratelli (o le sorelle) naturali possano succedere ai propri fratelli (o sorelle) naturali, stabilendo conseguentemente per essi un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri successibili ex lege.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod. civ.;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, per contrasto con gli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione.

 

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1979.

LEONETTO AMADEI, PRESIDENTE

LEONETTO AMADEI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 4 luglio 1979.

 

 


 

Sentenza 4-12 aprile 1990, n. 184

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Dott. Francesco SAJA,

 

Giudici

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 565 del codice civile, riformato dall'art. 183 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1989 dal Tribunale di Bolzano nel procedimento civile vertente tra Rungger Mathilde ed altra e l'Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 584 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1989.

 

Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un procedimento di reclamo, promosso da Mathilde e Maria Rungger ai sensi dell'art. 23 del rd. 28 marzo 1929, n. 499, modificato dalla legge 29 ottobre 1974, n. 594, contro il decreto del Pretore di Brunico che aveva respinto la domanda di certificazione della qualità di eredi del loro fratello naturale Francesco Rungger, deceduto il 19 marzo 1985 senza lasciare prole, nè coniuge, nè ascendenti, nè parenti legittimi entro il sesto grado, il Tribunale di Bolzano, con ordinanza 23 giugno 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ., nel testo novellato dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, "nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati".

 

Il giudice remittente osserva che sulla questione, già accolta dalla Corte costituzionale in relazione all'art. 565 nel testo anteriore alla riforma del 1975, non risulta essere intervenuto un riesame in relazione alla nuova norma, la quale ribadisce una "differenza di trattamento tra fratelli e sorelle legittimi e fratelli e sorelle naturali non correlata a criteri razionali che la giustifichino, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 30, terzo comma, della Costituzione".

 

Considerato in diritto

 

1. - II Tribunale di Bolzano ripropone la questione di legittimità costituzionale dell'esclusione dei fratelli e delle sorelle naturali dalle categorie dei successibili ab intestato, in guisa che è ad essi negato il diritto di successione reciproca pur in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato. La questione è formulata sulla falsariga del dispositivo della sentenza 4 luglio 1979, n. 55 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo in parte qua l'art. 565 nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151). L'art. 565 novellato, sebbene non differisca sostanzialmente dal testo originario, è una norma nuova, come tale non toccata dal giudicato costituzionale citato. Pertanto, come giustamente ritiene il giudice a quo, la questione deve essere riesaminata.

 

2. - La questione è fondata.

 

Vanno richiamate due notazioni, tra loro complementari, contenute nelle sentenze precedentemente pronunziate in argomento da questa Corte, le quali discernono due aspetti del significato normativo dell'art. 30, terzo comma, della Costituzione.

 

Il primo significato si esprime in una regola di equiparazione dello status di figlio naturale (riconosciuto o dichiarato) allo status di figlio legittimo nei limiti di compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima costituita dal matrimonio del genitore con persona diversa dall'altro. In questo senso <l'art. 30 si riferisce ai rapporti tra genitori e figli, e non a quelli dei figli tra loro> (sent. n. 76 del 1977): il suo ambito normativo è commisurato alla regola dell'art. 258, primo comma, cod. civ., che delimita l'efficacia del riconoscimento.

 

Nel secondo significato, concernente i rapporti della prole naturale con i parenti del genitore (ossia con la famiglia di origine del genitore e con altri suoi figli, legittimi o naturali riconosciuti), l'art. 30, terzo comma, non impartisce un comando immediato di parificazione giuridica alla prole legittima anche in questi rapporti, ma si pone come <norma ispiratrice di un orientamento legislativo a favore dei figli naturali> (sent. n. 55 del 1979), la quale esclude che al limite di efficacia del riconoscimento indicato dall'art. 258 cod. civ. possa attribuirsi valore assoluto. In conformità di tale norma il testo novellato dell'articolo aggiunge una riserva che fa <salvi i casi previsti dalla legge>.

 

3.-Coordinato col principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., il principio ora individuato dell'art. 30 implica un limite alla discrezionalità legislativa nella determinazione dei casi e dei contenuti di rilevanza giuridica del riconoscimento nei rapporti con i parenti del genitore. II limite può essere così formulato: nei detti rapporti le disparità di trattamento delle due specie di filiazione non possono essere conservate più di quanto richiedano un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco e il contemperamento con, o la sottordinazione ad altri principi di pari o maggior peso.

 

Alla stregua di questo criterio non vi sono ragioni idonee a giustificare la conservazione della regola del codice civile che esclude il diritto di successione tra fratelli e sorelle naturali pur quando, mancando altri successibili per titolo di coniugio o di parentela, il favore per i figli naturali no n entra in conflitto col principi o della successione familiare, n è con l'interesse dello Stato. L'istituto dell'art. 586 cod. civ. non tutela un interesse patrimoniale dello Stato di natura privata, che possa essere messo a confronto con l'interesse dei fratelli naturali superstiti, bensì l'interesse pubblico alla conservazione dei beni del defunto e alla continuità dei rapporti giuridici che a lui facevano capo, quando manchino soggetti legittimati a raccogliere l'eredità.

 

Non si può obiettare che l'apertura dell'ordine successorio ai fratelli naturali eccederebbe l'ambito soggettivo della tutela dell'art. 30 Cost. perchè avvantaggerebbe anche i figli legittimi del genitore che ha riconosciuto il figlio naturale: in mancanza dei successibili indicati negli artt. 578 e 579 cod. civ., essi potrebbero pretendere l'eredità lasciata dal figlio naturale.

 

Tale possibilità è inclusa per ragione di necessaria reciprocità nella prospettata ultrattività del riconoscimento, la quale investe gli altri figli dello stesso genitore indipendentemente dalla natura del rispettivo status di filiazione, tutti essendo, naturali o legittimi, fratelli naturali nei confronti del figlio naturale considerato.

 

Nemmeno la norma censurata può trovare una giustificazione tecnico-giuridica nella mancanza di un rapporto civile di parentela tra fratelli e sorelle naturali, così denominati per modo di dire breviloquo, estraneo al linguaggio legislativo (cfr. art. 87, terzo comma, cod. civ., in relazione al primo comma, n. 2). Il riconoscimento di un rapporto giuridico di parentela è indubbiamente una scelta spettante alla discrezionalità insindacabile del legislatore; ma è altrettanto fuori dubbio, da un lato, che la rilevanza del riconoscimento nei rapporti con i parenti del genitore non è necessariamente legata al modello dell'efficacia nel rapporto tra genitore e figlio, dall'altro, che il criterio tradizionale per cui i titoli di successione mortis causa sono individuati nella sfera dei rapporti familiari del defunto non è assoluto.

 

Il sistema delle successioni a causa di morte ha conosciuto e conosce diritti successori direttamente collegati al fatto naturale della consanguineità, in deroga alla regola della successione familiare.

 

4. - L'accertamento della non conformità dell'art. 565 cod. civ. al principio sopra spiegato dell'art. 30 Cost., con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua, comporta l'attribuzione ai fratelli e alle sorelle naturali di un titolo reciproco di successione ereditaria fondato sul vincolo di consanguineità indirettamente risultante dai rispettivi status di filiazione, titolo che potrà essere fatto valere in mancanza di successibili per diritto di coniugio o di parentela, e con precedenza sulla successione dello Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 565 del codice civile, riformato dall'art. 183 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), nella parte in cui, in mancanza di altri suscessibili all'infuori dello Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/04/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Luigi MENGONI, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 12/04/90.

 


 

Sentenza 26 ottobre-7 novembre 1994, n. 377

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 468, 565 e 572 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1993 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra Barlaro Agostina ed altre e Sanguineti Giovanni ed altri, iscritta al n. 484 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di Sanguineti Carlotta ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso di un giudizio di petizione dell'eredità di Anna Sanguineti ved. Barlaro, promosso contro gli eredi legittimi (parenti collaterali in quarto grado), la Corte d'appello di Genova, con ordinanza del 17 febbraio 1993, ha sollevato "questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e 468 cod. civ. per contrasto con gli artt. 3 e 30, terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevedono la successione legittima di fratelli e sorelle naturali del de cuius e, per rappresentazione, quella dei discendenti degli stessi in mancanza di membri della famiglia legittima restrittivamente intesa".

 

Nel caso di specie il padre della de cuius, prima del matrimonio con la madre, aveva avuto dalla relazione con una sudamericana quattro figli naturali, nati a Valparaiso in Brasile e da lui riconosciuti. I discendenti di due di questi figli, in rappresentanza dei loro genitori, pretendono l'eredità contro i cugini della defunta, chiamati a succederle dall'art. 572 cod.civ., previo incidente di costituzionalità nei termini riferiti.

 

Il giudice rimettente propone due questioni distinte, una principale, l'altra subordinata:

 

a) questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 572 nella parte in cui, nella successione dei parenti a una persona avente lo status di figlio legittimo, in mancanza di discendenti, ascendenti, fratelli e sorelle legittimi (o loro discendenti), non prevedono la vocazione all'eredità dei fratelli e delle sorelle naturali con precedenza sulla vocazione dei parenti collaterali dal terzo al sesto grado;

 

b) questione di legittimità costituzionale dell'art. 468 cod.civ., nella parte in cui non ammette i discendenti di fratello o sorella naturale del de cuius a rappresentare il genitore che non può o non vuole accettare l'eredità.

 

2. Premesso che la normativa impugnata è un'applicazione del principio dell'art. 258 cod.civ., secondo cui il riconoscimento di un figlio naturale non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice rimettente ritiene tale normativa contrastante col precetto costituzionale di ogni tutela giuridica e sociale dei figli naturali, e altresì col principio di eguaglianza per il trattamento deteriore riservato ai fratelli naturali rispetto a parenti non appartenenti alla famiglia legittima del de cuius intesa in senso stretto.

 

Le medesime ragioni, in caso di accoglimento, varrebbero a fondare la questione subordinata, rivolta a ottenere l'estensione del diritto di rappresentazione ai discendenti dei fratelli naturali del defunto.

 

3. Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti gli eredi legittimi chiedendo che la questione sub a) sia dichiarata inammissibile o comunque infondata, con conseguente inammissibilità, per irrilevanza, della questione sub b).

 

Secondo le parti private l'argomentazione del giudice a quo è fondamentalmente viziata da una carenza di giustificazione della premessa implicita che estende in assoluto la garanzia dell'art. 30, terzo comma, Cost., ai rapporti del figlio naturale riconosciuto con i parenti del genitore. In contrario, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato che il significato precettivo immediato di questa disposizione è limitato ai rapporti del figlio con il genitore dal quale è stato riconosciuto. Nei rapporti con i parenti del genitore si può desumerne solo una direttiva di miglioramento del trattamento giuridico dei figli naturali, la cui attuazione, con opportuna gradualità, è rimessa alla discrezionalità del legislatore.

 

Diversamente dall'ipotesi considerata dalla sentenza n. 184 del 1990, la sentenza additiva prospettata dall'odierna ordinanza di rimessione è talmente incisiva nell'ordinamento dei rapporti di famiglia e della successione legittima familiare da escludere all'evidenza che essa possa rientra re nei poteri di questa Corte, onde la questione deve ritenersi inammissibile prima che infondata.

 

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata per ragioni analoghe a quelle diffusamente svolte dalle parti private.

 

Considerato in diritto

 

1. La Corte d'appello di Genova mette in dubbio la legittimità costituzionale: a) in linea principale, degli artt. 565 e 572 cod.civ., nella parte in cui non prevedono la successione dei fratelli e delle sorelle naturali del de cuius in mancanza di membri della famiglia legittima, intesa in senso stretto; b) in linea subordinata, dell'art.468 cod. civ., nella parte in cui non ammette i discendenti di fratello o sorella naturale del de cuius a rappresentare il genitore che non può o non vuole accettare l'eredità.

 

2. La questione è inammissibile.

 

Il giudice rimettente richiama il precedente della sentenza n. 184 del 1990, ma la questione da lui sollevata prospetta un intervento sul regime successorio di natura diversa e ben più incisivo. La sentenza n.184 ha introdotto una nuova categoria (o classe) di successibili, rappresentata dai fratelli e dalle sorelle naturali, senza però alterare l'ordine successorio della parentela del defunto. Per effetto della sentenza i fratelli e le sorelle naturali sono chiamati all'eredità in mancanza di successibili per diritto di coniugio o di parentela, con precedenza soltanto sullo Stato. Poichè la successione dello Stato si inserisce nel sistema della successione legittima non come ordine successorio, ma con funzione suppletiva della successio ordinum e come norma di chiusura del sistema, l'attribuzione di un titolo successorio con efficacia così circoscritta non implica la costituzione di uno status giuridico, nemmeno ridotto, di parentela col de cuius. Come precisa la sentenza citata, il diritto da essa riconosciuto si fonda direttamente sul fatto naturale della consanguineità, valutato alla stregua della direttiva di graduale miglioramento della condizione di diritto familiare della prole naturale anche nei rapporti con i parenti del genitore (e quindi anche nei rapporti dei figli naturali riconosciuti tra loro), enucleata al secondo dei due livelli di interpretazione ammessi dall'art. 30, terzo comma, Cost.

 

La questione in esame mira, invece, a ottenere l'inserimento dei fratelli e delle sorelle naturali negli ordini successori dei parenti, costituendoli come terzo ordine tra gli ascendenti e i fratelli e le sorelle legittimi (o i loro di scendenti) e gli altri parenti collaterali dal terzo al sesto grado, i quali degraderebbero a quarto ordine.

 

Ora è vero che la discrezionalità lasciata al legislatore dalla suddetta direttiva costituzionale è soggetta al limite della ragionevolezza dei tempi di attuazione, commisurati alla dinamica evolutiva dei rapporti sociali. Dopo vent'anni dalla riforma del diritto di famiglia appare sempre meno plausibile la regola che esclude dall'eredità i fratelli e le sorelle naturali del defunto a beneficio anche di lontani parenti legittimi fino al sesto grado. Il legislatore deve prendere atto del notevole incremento verificatosi nel frattempo, sebbene in misura inferiore che in altri paesi, delle nascite fuori del matrimonio e del fenomeno parallelo della famiglia di fatto. Ma l'incostituzionalità dell'impugnato art. 572 cod. civ. non è sostenibile nei termini assoluti e indiscriminati dell'ordinanza di rimessione.

 

3. Nell'applicare il criterio di compatibilità "con i diritti dei membri della famiglia legittima", il giudice a quo fa riferimento alla famiglia in senso stretto definita dalla sentenza n. 79 del 1969, senza avvertire la diversa referenzialità sottesa ai due significati normativi, primario e secondario, distinguibili nell'art. 30, terzo comma, Cost. Il riferimento alla famiglia che il de cuius si è formato mediante il matrimonio con persona diversa dall'altro genitore ha senso solo quando il problema del trattamento dei figli naturali, in rapporto ai figli legittimi, si pone con riguardo alla successione al genitore comune o ai suoi ascendenti. Quando il problema si pone, invece, con riguardo alla successione a chi, avendo lo status di figlio legittimo, muore senza lasciare nè coniuge, nè discendenti, il referente per la ponderazione della tutela costituzionalmente garantita ai fratelli naturali del defunto è la sua famiglia di origine, ossia la parentela definita dall'art.74 cod. civ., e non vi sono indicazioni, normative o sociologiche, che autorizzino l'interprete a restringerne senz'altro la rilevanza giuridica, sotto questo aspetto, ai membri della famiglia coniugale costituita dai genitori del defunto. In rapporto non solo agli ascendenti e ai fratelli e alle sorelle, ma anche agli zii e alle zie e ai loro figli - parenti di terzo e quarto grado, che già il codice del 1942 distingueva, a certi effetti, dai parenti più lontani di quinto e sesto grado (art. 583, testo originario) - è sicuramente riconoscibile ancor oggi una coscienza della parentela operante come fonte di solidarietà di gruppo.

 

Di questo dato sociologico e dell'inerente giudizio di valore occorre tenere conto nel bilanciamento di interessi che deve guidare l'attuazione della direttiva costituzionale più volte rammentata: bilanciamento che coinvolge una valutazione complessa eccedente i poteri di questa Corte, essendo prospettabile una pluralità di soluzioni, non esclusa l'introduzione di nuovi casi di concorso, tra le quali la scelta appartiene alla discrezionalità legislativa.

 

4. L'inammissibilità della questione relativamente al punto a) ne comporta l'irrilevanza in relazione al punto b).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e, in linea subordinata, 468 cod.civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/10/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/11/94.

 


 

Sentenza 22 giugno-3 luglio 2000, n. 250

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

- Cesare MIRABELLI Presidente

 

- Francesco GUIZZI Giudice

 

- Fernando SANTOSUOSSO "

 

- Massimo VARI "

 

- Cesare RUPERTO "

 

- Riccardo CHIEPPA "

 

- Valerio ONIDA "

 

- Carlo MEZZANOTTE "

 

- Fernanda CONTRI "

 

- Guido NEPPI MODONA "

 

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

 

- Annibale MARINI "

 

- Franco BILE "

 

- Giovanni Maria FLICK "

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 1999 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Grottola Leandro e Silva De Lima Maria Raquel, iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 

 Udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un processo civile - promosso al fine di ottenere sentenza di revocazione di una donazione per sopravvenienza di figlio naturale riconosciuto - il Giudice unico del Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 29 marzo 1999, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 30, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui prevede il limite temporale di due anni per l'attribuzione del diritto alla revocazione di donazione, a seguito di riconoscimento di figlio naturale».

 

 Eccepita dalla parte convenuta l’impossibilità di esperire utilmente l’azione de qua, poiché il riconoscimento del figlio naturale ad opera dell’attore è intervenuto oltre i due anni dalla donazione, rileva il rimettente che la norma impugnata, nella prima parte, consente la revocazione della donazione nella compresenza del presupposto negativo dell’assenza di figli o discendenti legittimi viventi al tempo della donazione e di quello positivo della sopravvenienza o della conoscenza dell'esistenza di un figlio o discendente legittimo, senza limiti di tempo; mentre, nella seconda parte del primo comma, la norma stessa consente la revoca della donazione sulla base dello stesso presupposto negativo e del presupposto positivo del riconoscimento di un figlio naturale nel termine di due anni dalla donazione, a meno che non si provi che al tempo della donazione stessa il donante fosse a conoscenza dell'esistenza del figlio.

 

Individuata la ratio della norma nell’esigenza di tutela degli interessi familiari, ed in particolare dei figli (in quanto lo ius poenitendi, riconosciuto al donante in presenza di quei fatti sopravvenuti, consente di far rientrare nel suo patrimonio beni che, ove ancora presenti al momento della morte, formeranno l’asse ereditario sul quale figli legittimi e figli naturali eserciteranno gli stessi diritti), ritiene il rimettente che la restrizione temporale imposta solo in relazione al riconoscimento di figli naturali appare in contrasto: a) con l'art. 30, terzo comma, Cost., che impone di assicurare ai figli naturali una tutela adeguata alla posizione di figlio, ossia simile a quella assicurata ai figli legittimi (non potendo ciò non valere anche nel caso in cui - come nella fattispecie - la ratio della norma sta nella tutela dei legittimari, ancorché realizzantesi per via indiretta, allargando l’àmbito dei poteri negoziali riconosciuti al genitore); b) con l’art. 3 Cost., perché crea un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in fattispecie del tutto omogenee, quali la sopravvenienza di figli legittimi ed il sopravvenuto riconoscimento di figli naturali.

 

Considerato in diritto

 

 1.- Il Giudice unico del Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 803, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui prevede il limite temporale di due anni per l'attribuzione del diritto alla revocazione di donazione, a seguito di riconoscimento di figlio naturale».

 

 Secondo il rimettente, la denunciata norma si pone in contrasto: a) con l’art. 30, terzo comma, Cost., che impone di assicurare ai figli naturali una tutela simile a quella assicurata ai figli legittimi (non potendo ciò non valere anche nel caso in cui la ratio della norma risiede nella tutela dei discendenti legittimari, ancorché realizzantesi per via indiretta, allargando l’àmbito dei poteri negoziali riconosciuti al genitore); b) con l’art. 3 Cost., perché crea un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in fattispecie del tutto omogenee, quali la sopravvenienza di figli legittimi (relativamente alla quale la revocazione non è soggetta al menzionato limite temporale) ed il sopravvenuto riconoscimento di figli naturali.

 

 2.- La questione è fondata.

 

 2.1.- La revocazione della donazione ex art. 803 cod. civ. trova fondamento nell’esigenza di consentire al donante una rivalutazione della perdurante opportunità della donazione stessa in séguito al fatto sopravvenuto della nascita di figli o discendenti, ovvero della conoscenza della loro esistenza. Sulla base di una valutazione legale tipica d'un particolare fatto, potenzialmente idoneo - anche secondo il comune sentire - ad incidere sullo spirito di liberalità manifestatosi nell'atto di donazione posto in essere quando il donante non aveva figli o non sapeva di averli, è stato a lui concesso di riconsiderare appunto la perdurante opportunità di tale atto, alla stregua della nuova situazione familiare venutasi a creare.

 

 La revocazione consegue solo al concreto esercizio del diritto potestativo attribuito dalla norma al donante, il quale è arbitro di decidere se esercitarla, così come, una volta che l'atto sia stato revocato, è libero di disporre a piacimento dei beni rientrati nel suo patrimonio. Per cui va escluso che l'istituto in esame sia approntato ad immediata garanzia degli interessi dei figli sopravvenuti o, più genericamente, degli interessi familiari. Nel contempo, però, non può negarsi che, potenzialmente, i conseguenti effetti patrimoniali si ripercuotono sulla posizione dei figli o dei discendenti, la cui tutela, dunque, è pur sempre da considerare immanente alle finalità della norma. Ed è alla luce di questa premessa che va condotto lo scrutinio di costituzionalità richiesto dal giudice a quo.

 

 2.2.- La possibilità di agire per la revocazione è dalla legge subordinata ad un duplice presupposto. Negativo il primo, legato al fatto che il donante, nel momento della donazione, non avesse o ignorasse di avere figli o discendenti legittimi; positivo il secondo, alternativamente costituito: a) dalla sopravvenienza, o dalla intervenuta conoscenza dell’esistenza, di un figlio o di un discendente legittimo del donante, cui vanno equiparate la sopravvenienza della legittimazione del figlio naturale, che a' sensi dell'art. 280 cod. civ. attribuisce la qualità di figlio legittimo, e la sopravvenuta adozione, quantomeno quella dei minori prevista dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, poiché l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti (art. 27 della legge stessa); b) dal riconoscimento di un figlio naturale, ma solo se «fatto entro due anni dalla donazione».

 

 Ebbene, ove si consideri che, ai sensi dell'art. 261 cod. civ., nel testo novellato dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, il riconoscimento del figlio naturale comporta l'assunzione da parte del genitore (con l’eventuale concorso degli ascendenti) di tutti i doveri che egli ha nei confronti dei figli legittimi, primo fra tutti quello di mantenimento previsto dagli artt. 147 e 148 cod. civ., appare di tutta evidenza come la limitazione temporale in discorso venga a menomare senza ragione la facoltà del genitore (o ascendente) naturale in ordine all’esercizio del menzionato diritto potestativo, allorquando egli ritenga che solo riacquistando il bene donato potrebbe adempiere ai suoi doveri, in una situazione di fatto del tutto analoga a quella in cui, viceversa, al genitore (o ascendente) legittimo, ed anche all’adottante, tale facoltà è concessa senza limiti.

 

 2.3.- Stante la suddescritta conformazione dell'istituto in esame, una tale disparità di trattamento non si potrebbe certo giustificare facendo riferimento alla previsione costituzionale della necessaria compatibilità della tutela dei figli nati fuori del matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, imposta dall'art. 30, terzo comma, Cost.

 

 Neppure varrebbe richiamare le preoccupazioni espresse da parte della dottrina relativamente ad un'asserita minore garanzia che altrimenti sarebbe offerta al donatario, per via di possibili riconoscimenti pretestuosi fatti dal donante. A quest'ultimo riguardo va invero osservato, da una parte, che il donatario è dal medesimo art. 803 ammesso a provare «che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio» e, dall'altra, che egli è legittimato ad impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità, a' sensi dell'art. 263, primo comma.

 

 D'altronde, a prescindere che identiche se non più gravi preoccupazioni potrebbero derivare al donatario dalla sopravvenienza di un'adozione, è appena il caso di notare che al riconoscimento ex art. 250 cod. civ. è equiparato, quoad effectum, l'accertamento giudiziale di cui al successivo art. 277, il quale addirittura suppone una volontà contraria al riconoscimento stesso e, inoltre, per quanto attiene ai figli nati dopo la donazione, di norma viene pronunciato ben al di là del previsto biennio, con la conseguenza che mai il donante così divenuto genitore sarebbe in grado di esercitare il diritto potestativo che il legislatore ha inteso concedergli.

 

 2.4.- Deve allora concludersi che la denunciata norma potrebbe trovare giustificazione unicamente nel tradizionale disfavore verso la filiazione naturale, che pervadeva ancora il nuovo codice civile nonostante la cauta apertura manifestatasi nella disposizione stessa, in confronto col corrispondente art. 1083 del previgente codice, che considerava del tutto irrilevante il riconoscimento d'un figlio naturale.

 

 Ma un tale disfavore appare incompatibile col principio espresso nell'art. 30, terzo comma, Cost., attuato dal legislatore con la riforma del diritto di famiglia, alla quale la denunciata norma è sfuggita.

 

 Questa, dunque, proprio alla luce del richiamato principio, è da ritenersi in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto i due concorrenti profili della disparità di trattamento e della palese irragionevolezza.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, del codice civile , nella parte in cui prevede che - in caso di sopravvenienza di un figlio naturale - la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione.

 

 

 

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2000.

 

Cesare MIRABELLI, Presidente

 

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 luglio 2000.

 


 

 

Sentenza 20-28 novembre 2002, n. 494

 

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 278, primo comma, e 251, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 2002 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra L. C. e E. F. e altre, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2002.

 

Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

 

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte di cassazione, sezione I civile, con ordinanza del 4 luglio 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 251, primo comma, e 278, primo comma, del codice civile, «nella parte in cui non consentono indagini sulla paternità di figli incestuosi», per violazione degli artt. 2, 3 e 30, terzo comma, della Costituzione, nonché dell'art. 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e della Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori del matrimonio (Strasburgo, 15 ottobre 1975), non ratificata.

 

2. - La Corte rimettente è chiamata a decidere su ricorso proposto da L. C. per la cassazione di un decreto della Corte d'appello di Roma in data 25 marzo - 25 maggio 1999, che, confermando a sua volta un precedente decreto del Tribunale di Roma in data 12-14 marzo 1998, aveva rigettato la richiesta dell'odierno ricorrente rivolta alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale nei confronti di B. C.

 

La Cassazione rileva preliminarmente che: 1) il Tribunale di Roma, con il citato decreto del 12-14 marzo 1998, aveva respinto, in applicazione dell'art. 251 cod. civ., la domanda di L. C. volta ad ottenere la dichiarazione di ammissibilità dell'azione per l'accertamento giudiziale di paternità di B. C., deceduto (in data 3 settembre 1995), in quanto, essendo stato accertato che il presunto padre e la madre del ricorrente erano fratelli uterini e che avevano vissuto, durante l'infanzia, nella stessa abitazione, non risultavano elementi probatori che potessero accreditare l'ipotesi dell'ignoranza del rapporto di parentela intercorrente tra loro; 2) L. C. aveva proposto reclamo contro il citato decreto, sostenendo che: (a) non vi sarebbe prova della conoscenza, da parte di sua madre e di B. C., del vincolo parentale che li legava; (b) sarebbero, invece, sufficienti le prove della paternità di B. C., in particolare in considerazione del comportamento tenuto nei confronti dello stesso reclamante; 3) la Corte d'appello di Roma, con il citato decreto del 25 marzo - 25 maggio 1999, aveva respinto il reclamo osservando che era stato documentalmente provato che B. C. e la madre del ricorrente erano fratelli uterini e che avevano convissuto, con la loro madre, dal 1936 al 1947, cosicché non poteva esservi dubbio che, al momento dell'eventuale concepimento del reclamante, essi fossero a conoscenza del rapporto di parentela che intercorreva tra di loro, concludendo pertanto nel senso che risultava preclusa, secondo quanto dispone l'art. 278 cod. civ., qualsiasi indagine sulla paternità di L. C. nei confronti di B. C.; 4) L. C. aveva proposto ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d'appello, lamentando (con il primo e il terzo motivo di impugnazione) la violazione e falsa applicazione del citato art. 278 cod. civ., il difetto di motivazione e l'errata valutazione della buona fede del genitore e prospettando (con il secondo motivo di impugnazione) questione di legittimità costituzionale degli artt. 251, primo comma, e 278, primo comma, cod. civ., in relazione agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione.

 

3. - Ad avviso della Cassazione rimettente, la questione di legittimità costituzionale è rilevante, poiché: (a) l'art. 278 cod. civ. preclude le indagini sulla paternità nei casi in cui, a norma dell'art. 251 dello stesso codice, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato; (b) nella fattispecie ricorre uno di quei casi, poiché B. C. e la madre del ricorrente erano fratelli uterini; (c) il giudice di merito, con valutazione che la Corte di cassazione ritiene «sufficientemente motivata ed immune da vizi logici e giuridici, risultando così incensurabile in sede di legittimità», ha escluso che ricorra l'ipotesi di buona fede (ignoranza del vincolo di parentela al tempo del concepimento) che consentirebbe il riconoscimento del figlio incestuoso e dunque renderebbe ammissibili le indagini sulla paternità previste dall'art. 278 cod. civ.; (d) che pertanto il primo e il terzo motivo di impugnazione non possono essere accolti; (e) che le norme sospettate di incostituzionalità devono essere applicate al fine di decidere sull'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità.

 

4. - La questione di legittimità costituzionale sarebbe inoltre non manifestamente infondata, poiché: (a) l'art. 30 della Costituzione prevede che la legge assicuri «ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima» e detti «le norme e i limiti per la ricerca della paternità»; (b) la tutela in questione non è però accordata ai figli incestuosi, che non possono ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità; (c) le responsabilità, anche penali (ex art. 564 cod. pen.), dei genitori incestuosi non giustificano la limitazione dei diritti dei figli, che non possono essere pregiudicati da fatti e scelte a loro non attribuibili; (d) il divieto di conseguire il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità naturale non potrebbe giustificarsi neppure alla luce delle esigenze di tutela dei membri della famiglia legittima, esigenze che non hanno d'altronde impedito al legislatore, con la riforma del diritto di famiglia introdotta dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, di sopprimere i limiti alla riconoscibilità dei figli adulterini; (e) le stesse esigenze, «se esistessero», dovrebbero impedire il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale anche nei casi di buona fede e di matrimonio dichiarato nullo (ipotesi in cui l'art. 251 cod. civ., derogando al divieto, consente invece il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale) e quando vi sia stato ratto o violenza sessuale (ipotesi in cui il giudice, secondo l'art. 278 cod. civ., può ammettere le indagini sulla maternità o paternità dei figli incestuosi); (f) la citata norma costituzionale giustificherebbe una limitazione del riconoscimento, o della dichiarazione giudiziale di paternità, solo per specifiche esigenze di tutela dell'interesse del figlio, non per la necessità di evitare occasioni di scandalo; (g) l'art. 278, primo comma, cod. civ., in relazione all'art. 251, primo comma, cod. civ., contrasterebbe anche con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, sia perché violerebbe il diritto del figlio all'identità personale - riconosciuto anche dall'art. 8 della Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con la legge n. 176 del 1991 - privandolo della possibilità di avere un genitore, un nome e una famiglia, sia perché lederebbe il principio di uguaglianza, dato che i figli incestuosi, pur trovandosi nella stessa situazione sostanziale di quelli non incestuosi (non essendo loro addebitabile l'unico elemento di differenziazione, consistente nel rapporto di parentela tra i genitori), sono assoggettati a una disciplina diversa; (h) l'art. 3 della Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori del matrimonio, stipulata a Strasburgo il 15 ottobre 1975 (firmata ma non ratificata dall'Italia), prevede che la paternità di qualsiasi figlio nato fuori del matrimonio possa essere accertata o stabilita in via giudiziaria o mediante riconoscimento volontario.

 

Precisa infine la rimettente che le disposizioni censurate, per la chiarezza della loro formulazione, non consentono una diversa interpretazione, tale da superare i dubbi di legittimità costituzionale prospettati.

 

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 278, primo comma, e dell'art. 251, primo comma, del codice civile, «nella parte in cui non consentono indagini sulla paternità di figli incestuosi». Ritiene il giudice rimettente che l'anzidetto divieto contrasti con gli artt. 2, 3 e 30, terzo comma, della Costituzione, oltre che con l'art. 8 della Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e con l'art. 3 della Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori del matrimonio (Strasburgo, 15 ottobre 1975), firmata ma non ratificata dall'Italia.

 

2. - I termini della questione così sottoposta all'esame di questa Corte devono essere precisati come segue.

 

(a) L'art. 278, primo comma, del codice civile, nel prevedere i casi in cui le indagini sulla paternità e sulla maternità dei «figli incestuosi» non sono ammesse, rinvia ai casi in cui il riconoscimento di tali figli è vietato a norma dell'art. 251, primo comma, del codice civile. Questa tecnica di legiferazione e l'intreccio normativo che ne deriva si riflettono sulla formulazione della questione sollevata, riguardante due norme contenute in distinte sezioni della disciplina della filiazione naturale, dedicate rispettivamente alla dichiarazione giudiziale di paternità e maternità (artt. 269 e seguenti) e al riconoscimento da parte dei genitori (artt. 250 e seguenti). La questione, peraltro, investe esclusivamente un aspetto della disciplina relativa alla dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. Ciò risulta dall'oggetto del giudizio davanti al giudice rimettente (riferito nella narrativa dei fatti di causa) e si riflette nella formula dispositiva dell'ordinanza di rimessione (riportata testualmente nel punto 1 di questa motivazione in diritto). Gli stessi parametri costituzionali e i diritti che essi, in ipotesi, proteggono, per come sono configurati e invocati, riguardano, nel rapporto di filiazione, il lato dei figli e non quello dei genitori.

 

(b) La questione che la Corte si trova a decidere concerne, entro l'istituto della dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità, esclusivamente la previsione dei casi in cui la prova e quindi necessariamente, ancor prima, l'azione non sono ammissibili; la disciplina della titolarità del diritto di azione nel procedimento e la configurazione del procedimento medesimo e, in questo, dei diritti e degli interessi dei soggetti coinvolti, restano invece fuori dell'ambito del presente giudizio di legittimità costituzionale.

 

3. - La questione è fondata.

 

4. - La disciplina della condizione - per usare l'espressione tuttora impiegata dalla legge - dei figli incestuosi, nati cioè da rapporti sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa cerchia familiare, come definita dall'art. 251, primo comma, del codice civile (il matrimonio tra i quali è vietato dall'art. 87 del codice medesimo), è ciò che residua del tradizionale orientamento di radicale disfavore nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio. Da qui, il divieto di attribuire al loro legame biologico con i genitori naturali un valore giuridico formale, tramite riconoscimento o dichiarazione della pubblica autorità. L'originaria tradizione di chiusura rispetto ai diritti morali dei figli nati fuori del matrimonio, ispirata al codice Napoleone (artt. 171-173) e ribadita dalla legislazione italiana unitaria, è stata attenuata e poi superata con riguardo ai figli naturali nati da genitori legati in matrimonio con altra persona. L'art. 252 del codice civile del 1942 ha introdotto il riconoscimento dei figli allora denominati «adulterini», ma solo da parte del genitore che, all'epoca del concepimento, fosse libero da vincoli matrimoniali. La riforma del diritto di famiglia, operata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, poi, ha fatto cadere questa limitazione. I figli generati in violazione del dovere di fedeltà coniugale sono stati così resi riconoscibili in ogni caso da parte dei loro genitori naturali e nei confronti di questi ultimi, in forza dell'art. 269 del codice civile, è esperibile l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.

 

Quanto ai «figli incestuosi», la riforma del 1975 ha mantenuto invece la scelta tradizionale che li esclude dal riconoscimento e dalla dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali. L'attuale art. 251, conformemente al corrispondente articolo del codice civile del 1942, stabilisce che «i figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori». La stessa cosa, in forza dell'art. 269, vale per la dichiarazione giudiziale. In conseguenza, le indagini sulla paternità o sulla maternità dei figli nati dalle persone anzidette non sono ammesse (art. 278, primo comma, del codice civile). Questi divieti non operano soltanto in due casi, relativi a situazioni ed eventi che riguardano i rapporti tra genitori, sui quali comunque il figlio nulla può: l'ignoranza in cui quelli, al momento del concepimento, versassero circa il vincolo esistente tra loro (nel caso in cui uno solo dei genitori fosse in buona fede, solo questi può effettuare il riconoscimento; ipotesi cui è assimilato il caso di chi ha subìto violenza sessuale) e, ovviamente, la dichiarata nullità del matrimonio da cui il rapporto di affinità sarebbe derivato.

 

I figli nati fuori del matrimonio indicati nell'art. 251, primo comma, del codice civile, salvi i limitati casi ora menzionati, sono perciò privati della possibilità di assumere uno status filiationis.

 

Essi non mancano totalmente di una tutela, essendo loro riconosciuta l'azione nei confronti dei genitori naturali per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione o, se maggiorenni in stato di bisogno, per ottenere gli alimenti (art. 279, primo comma, del codice civile). In conseguenza del divieto di riconoscimento e di dichiarazione, però, nei loro confronti non può operare l'art. 261 del codice civile, secondo il quale il riconoscimento e (per effetto del primo comma dell'art. 277) la dichiarazione comportano da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi, compresa la potestà prevista dall'art. 317-bis; non può operare l'art. 262, secondo il quale il figlio naturale riconosciuto o dichiarato assume il cognome del genitore; non possono operare infine le disposizioni relative alla successione dei figli naturali, che si applicano loro solo quando la filiazione sia stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata (art. 573 del codice civile), essendo previsto invece che ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e alla educazione, a norma del ricordato art. 279 del codice civile, spetti un assegno vitalizio (artt. 580 e 594 cod. civ.).

 

5. - Dalla disciplina testé indicata deriva, in danno della prole nata da genitori legati dai rapporti familiari indicati dall'art. 251 del codice civile, una capitis deminutio perpetua e irrimediabile, come conseguenza oggettiva di comportamenti di terzi soggetti; una discriminazione compendiata, anche nel lessico del legislatore, nell'espressione «figli incestuosi». La violazione del diritto a uno status filiationis, riconducibile all'art. 2 della Costituzione, e del principio costituzionale di uguaglianza, come pari dignità sociale di tutti i cittadini e come divieto di differenziazioni legislative basate su condizioni personali e sociali, è evidente e non richiede parole di spiegazione. Nessuna discrezionalità delle scelte legislative, con riferimento al quarto comma dell'art. 30 della Costituzione, che abilita la legge a dettare norme e limiti per la ricerca della paternità, può essere invocata in contrario: non è il principio di uguaglianza a dover cedere di fronte alla discrezionalità del legislatore, ma l'opposto.

 

Si può aggiungere la seguente annotazione, circa le conseguenze irragionevoli della normativa vigente. Il figlio che intenda richiedere l'adempimento nei propri confronti dei doveri «naturali» che gravano sui suoi genitori - il mantenimento, l'istruzione e l'educazione - dovrebbe esercitare un'azione, quella prevista dall'art. 279 ricordato, che oggi (dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha reso riconoscibili e dichiarabili giudizialmente tutti gli altri figli nati fuori del matrimonio) è riferibile solo ai «figli incestuosi», in quanto solo rispetto ad essi «non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità» (ancorché la giurisprudenza, talora, con interpretazione antiletterale, abbia riconosciuto l'azione in quella norma prevista anche ai figli naturali riconoscibili ma non riconosciuti o dichiarati). Di conseguenza, il figlio nato da un rapporto tra le persone indicate nell'art. 251, per ottenere l'adempimento dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione nei suoi confronti, si trova nella necessità di proclamare egli stesso la propria condizione di discriminato; a meno che, comprensibilmente, non preferisca invece rinunciare a ciò che a lui, come a ogni figlio, è dovuto, con la conseguenza paradossale, oltretutto, che i genitori - essi sì «incestuosi» - andrebbero totalmente indenni da quella responsabilità alla quale, con la procreazione, sono soggetti, secondo ciò che è sancito come principio, valido rispetto a ogni genere di prole, dall'art. 30, primo comma, della Costituzione (v. sentenza n. 166 del 1998).

 

6. - L'attribuzione dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale ai figli di genitori incestuosi, alla stessa stregua di quanto spetta ai figli naturali riconoscibili, è conforme alla classificazione operata dalla Costituzione. Questa, come avviene nella stragrande maggioranza degli ordinamenti oggi vigenti, conosce, all'art. 30, primo e terzo comma, solo due categorie di figli: quelli nati entro e quelli nati fuori del matrimonio, senza ulteriori distinzioni tra questi ultimi. La possibilità di prevedere sub-distinzioni, entro la seconda categoria, è stata tuttavia sostenuta sulla base di due argomenti: (a) l'ordine pubblico familiare e (b) i diritti dei membri della famiglia legittima.

 

6.1. - Come misura di ordine pubblico familiare, la discriminazione dei figli di genitori incestuosi varrebbe a tutela della concezione costituzionale stessa della famiglia, esigente che fatti tanto gravi come quelli di endogamia, dalla «coscienza sociale» considerati alla stregua di attentati all'ordine naturale dei rapporti interpersonali e, a certe condizioni, puniti come reato, restino fuori dell'ordine giuridico e non possano determinare l'attribuzione di status filiationis.

 

La Costituzione contiene bensì una clausola generale di riconoscimento dei diritti della famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29, primo comma), e ciò consente di esigere comportamenti conformi e di prevedere conseguenze e misure, anche penali, nei confronti degli autori di condotte che della famiglia compromettano l'identità, ciò che avviene, per l'appunto, nel caso dell'incesto. Ma l'adozione di misure sanzionatorie al di là di questa cerchia, che coinvolga soggetti totalmente privi di responsabilità - come sono i figli di genitori incestuosi, meri portatori delle conseguenze del comportamento dei loro genitori e designati dalla sorte a essere involontariamente, con la loro stessa esistenza, segni di contraddizione dell'ordine familiare - non sarebbe giustificabile se non in base a una concezione «totalitaria» della famiglia. Lo stesso codice civile prende in considerazione ipotesi di involontarietà, riferite ai genitori, di fronte alle quali la difesa della famiglia come istituzione si arresta per fare posto alle posizioni individuali: il primo comma dell'art. 251 attribuisce rilievo, ai fini del riconoscimento, alla buona fede dei genitori incestuosi e il secondo comma dell'art. 278 deroga al divieto di indagini sulla paternità e sulla maternità nel caso di forza maggiore (ratto e violenza carnale). La Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti: nella specie, il diritto del figlio, ove non ricorrano costringenti ragioni contrarie nel suo stesso interesse, al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, un diritto che, come affermato da questa Corte (sentenza n. 120 del 2001), è elemento costitutivo dell'identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall'art. 2 della Costituzione. E proprio da tale ultima disposizione, conformemente a quello che è stato definito il principio personalistico che essa proclama, risulta che il valore delle «formazioni sociali», tra le quali eminentemente la famiglia, è nel fine a esse assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani.

 

6.2. - Come misura di protezione della famiglia legittima, il divieto di agire per la dichiarazione della filiazione, con le connesse limitazioni delle indagini sulla paternità e maternità naturali, varrebbe a escludere un evento perturbatore della tranquillità della vita familiare tanto grave, quale è l'ingresso in essa, per atto formale, di figli nati da genitori incestuosi. Il fondamento costituzionale di tale protezione sarebbe il terzo comma dell'art. 30 e la riserva ivi prevista a favore dei diritti dei membri della famiglia legittima.

 

Sennonché tale riserva mal si presta a essere interpretata in modo tanto generico e atecnico, fino a ricomprendervi la protezione di condizioni di serenità psicologica, ciò che potrebbe condurre a negare del tutto il riconoscimento giuridico della filiazione naturale, premessa della tutela che la Costituzione vuole assicurare nel modo più pieno possibile a tutti i figli nati al di fuori del matrimonio. I diritti dei membri della famiglia legittima, di cui all'art. 30, terzo comma, della Costituzione, sono diritti in senso proprio e il problema della loro compatibilità con la tutela da assicurare ai figli nati fuori del matrimonio nasce logicamente solo in quanto vi sia stata una constatazione formale del rapporto di filiazione. In ogni caso, l'ingresso di figli naturali in un rapporto coniugale e in una vita familiare legittima di per sé non è una violazione di diritti ma un incerto del mestiere di vivere.

 

7. - Nemmeno varrebbe concepire la disciplina in esame come protezione dell'interesse del figlio medesimo, contro l'eventualità che, con l'accertamento del carattere incestuoso del concepimento, anziché vantaggi possano derivargli nocumenti morali e sociali. L'interesse del figlio a evitare l'accertamento formale del rapporto di filiazione, nel caso dell'azione proposta per la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali - quest'ultimo soltanto, si ripete, oggetto del presente giudizio -, è in re ipsa protetto dal fatto che il diritto di azione è riconosciuto a lui solo (e, in caso di morte, ai suoi discendenti) (art. 270 del codice civile), mentre, per il figlio minore, possono agire, ma nel suo esclusivo interesse, il genitore esercente la potestà o - previa autorizzazione del tribunale per i minorenni - il tutore (o il curatore speciale) (art. 273, primo comma, del codice civile). Inoltre, se il minore è ultrasedicenne, occorre comunque il suo consenso (art. 273, secondo comma), mentre, se è infrasedicenne, la rispondenza al suo interesse dell'azione promossa è oggetto di valutazione da parte del tribunale per i minorenni (art. 274, primo comma, e sentenza n. 341 del 1990 di questa Corte).

 

8. - Dall'accoglimento della questione nei termini precisati alla lettera (a) del punto 2 di questa motivazione in diritto, e quindi dalla conseguente riconosciuta esperibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali nelle ipotesi previste dall'art. 251, primo comma, del codice civile e dalla connessa ammissibilità delle relative indagini - accoglimento che non coinvolge il parallelo divieto di riconoscimento nelle medesime ipotesi - deriva, come conseguenza della presente decisione, che l'art. 269, primo comma, del codice civile, deve essere interpretato (secondo la sua formulazione letterale) nel senso che la paternità e la maternità naturali possono essere dichiarate nelle ipotesi in cui il riconoscimento è ammesso, ma non nel senso reciproco: cioè anche che il riconoscimento sia effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 278, primo comma, del codice civile, nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art. 251, primo comma, del codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

 

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2002.

 

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA


 Sentenza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 266

 

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori: Presidente: Annibale MARINI; Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,

 

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, promossi con ordinanze del 5 giugno 2004 e del 28 ottobre 2004 rispettivamente dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Rovigo, e dell'art. 235 del codice civile, promosso con ordinanza del 30 marzo 2005 dalla Corte di appello di Venezia, ordinanze rispettivamente iscritte ai numeri 737 del registro ordinanze 2004, 203 e 327 del registro ordinanze 2005, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2004 e numeri 16 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2005.

 

Visto l'atto di costituzione di T.S., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 2006 e nella camera di consiglio del 17 maggio 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

 

uditi l'avvocato Giancarlo Pezzano per T.S. e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

1. – La Corte di cassazione, I sezione civile, con ordinanza emessa in data 5 giugno 2004 (reg. ord. n. 737 del 2004), sul ricorso avverso la pronuncia della Corte d'appello di Roma che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Roma di rigetto della domanda di disconoscimento della paternità ex art. 235 del codice civile – osservando che la prova per testi dedotta (tendente a dimostrare una pluralità di incontri notturni della moglie del ricorrente, di professione “accompagnatrice per professionisti”, con uomini diversi in camere d'albergo) era stata correttamente ritenuta dal primo giudice inidonea a dimostrare che la moglie del ricorrente avesse commesso adulterio nel periodo del concepimento, e che la esistenza di relazioni intrattenute in altra epoca non poteva fornire la prova per presunzioni dell'adulterio in detto periodo, nemmeno ai fini dell'espletamento della consulenza tecnica ematologica, gravando sull'attore l'onere della prova certa di un vero e proprio adulterio –, ha sollevato, su eccezione del ricorrente, questione di legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., «nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio».

 

La questione, osserva il Collegio rimettente, è rilevante in quanto, nel procedimento a quo, il ricorrente si doleva del fatto che la c.t.u. ematologica da lui richiesta non fosse stata espletata perché non ritenuta ammissibile dal giudice di merito per integrare la prova carente dell'adulterio della moglie. Detta esclusione è ritenuta corretta dal rimettente, siccome basata su di una esatta interpretazione dell'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., e coerente con la giurisprudenza di legittimità, in quanto, ai sensi della citata norma, l'indagine sul verificarsi dell'adulterio ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo; sicché la prova genetica o ematologica (che, peraltro, a seguito della nuova formulazione dell'art. 235 quale risultante dalla riforma del diritto di famiglia, non solo ha dignità probatoria pari a tutte le fonti di convincimento, ma può formare oggetto di richiesta di prova, come gli altri mezzi istruttori, e non soltanto di istanza diretta a sollecitare l'esercizio di un potere proprio del giudice), anche se espletata contemporaneamente alla prova dell'adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest'ultima prova e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda.

 

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità come sollevata dal ricorrente – che aveva eccepito il contrasto con gli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione dell'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., nella parte in cui consente l'azione di disconoscimento della paternità nei soli limitati casi ivi previsti – il Collegio rimettente la ha esclusa con riguardo all'art. 30 della Costituzione, e in riferimento all'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della lamentata disparità di trattamento rispetto alla impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio naturale ex art. 263 cod. civ. – che consente all'attore di utilizzare qualsiasi mezzo di prova – trattandosi di una situazione oggettivamente diversa da quella in esame e nella quale si pongono esigenze di tutela del figlio legittimo.

 

La Corte ha ritenuto, invece, non manifestamente infondata la questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza, e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

 

Al riguardo, si osserva che le norme che rendano estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa possono comportare violazione del precetto costituzionale dell'art. 24 della Costituzione, e che la valutazione della difficoltà di esercizio di tale diritto, pur se deve prescindere dalle peculiarità di casi particolari, non può tuttavia trascurare del tutto la considerazione della realtà sociale. I cambiamenti intervenuti nella società italiana quanto ai modelli di vita, rileva il Collegio rimettente, coinvolgono anche i rapporti coniugali, modificati, tra l'altro, per effetto della diffusione del lavoro femminile, e della mobilità richiesta ai lavoratori nonché della lontananza dei luoghi di lavoro dall'abitazione. Inoltre, è ormai costume diffuso che i coniugi trascorrano separatamente parte del loro tempo libero, ed anche periodi di vacanza. In questo quadro, la prova dell'adulterio della moglie – il quale può consistere anche in un unico atto di infedeltà, conseguenza di un rapporto occasionale – può essere estremamente difficile.

 

D'altra parte, è dubbio che possa considerarsi ancora ragionevole una previsione legislativa che, ai fini del disconoscimento della paternità, richiede la previa prova dell'adulterio della moglie, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente – e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell'adulterio – una sicura esclusione della paternità, che rappresenta l'obiettivo finale dell'azione di cui si tratta, attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena attendibilità è unanimemente riconosciuta.

 

Il Collegio, sottolineata la irrilevanza dell'adulterio in sé ai fini del disconoscimento di paternità, ritiene che una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell'art. 235, primo comma, numero 3 – che consideri indirettamente raggiunta la prova dell'adulterio attraverso la esclusione della paternità a seguito dei risultati della prova genetica o ematologica – sia preclusa dalla volontà del legislatore, chiaramente desumibile anche dai lavori parlamentari per la riforma del diritto di famiglia, di non consentire il disconoscimento della paternità sulla base dei risultati del solo accertamento tecnico.

 

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la parte privata del procedimento a quo, che ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata, sulla base di argomentazioni adesive a quelle sostenute nella ordinanza di rimessione.

 

3. – Con ordinanza emessa in data 28 ottobre 2004 (reg. ord. n. 203 del 2005), nel corso del procedimento promosso da un soggetto nei confronti dei genitori, contumaci, per il disconoscimento di paternità, il Tribunale di Rovigo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, solo se nel periodo di concepimento la moglie ha commesso adulterio.

 

Il Collegio a quo – cui la causa, dopo la istruzione mediante prove testimoniali sull'adulterio della madre e consulenza tecnica ematologica e genetica, era stata rimessa – dopo aver rilevato che l'esito delle prime appariva quanto meno dubbio, e che certo era, invece, l'esito delle indagini genetiche, che escludeva la paternità del convenuto, ha osservato che detta prova certa non consentiva l'accoglimento della domanda perché, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Cassazione, l'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ. va interpretato nel senso che l'adulterio deve essere preliminarmente ed autonomamente provato perché possa darsi ingresso alle prove genetiche ed ematologiche.

 

Così interpretata, peraltro, detta norma, secondo il Collegio rimettente, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, con riferimento al principio di ragionevolezza e al diritto di difesa. Al riguardo, si richiamano, nella ordinanza di rimessione, le argomentazioni che sono alla base della proposizione di analoga questione da parte della Corte di cassazione (ord. r.o. n. 737 del 2004), cui viene aggiunto il rilievo, riguardante il caso di specie, che la prova dell'adulterio, già difficile per il marito, lo è ancora di più per il figlio, il quale viene per lo più a conoscenza dell'adulterio della madre a distanza di anni, quando ormai la prova testimoniale gli sarebbe pressoché impossibile.

 

4. – La Corte d'appello di Venezia, con ordinanza emessa il 30 marzo 2005 (reg. ord. n. 327 del 2005), nel corso di un giudizio presumibilmente di disconoscimento di paternità (nessun argomento al riguardo viene addotto dalla Corte), in cui l'attore non aveva fornito la prova dell'adulterio della moglie, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11 (recte: 111) e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 cod. civ., nella parte in cui richiede, quale presupposto di detta azione, la preventiva prova dell'adulterio.

 

Si osserva nella ordinanza che, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere in via diretta, senza passare attraverso la prova dell'adulterio, una sicura esclusione della paternità, non appare ragionevole richiedere la preventiva prova dell'adulterio della moglie, e che inoltre l'adulterio in sé, inteso come violazione dell'obbligo della fedeltà nei confronti del coniuge, è irrilevante ai fini del disconoscimento di paternità; sicché, il ritenere pregiudiziale la prova dell'adulterio della moglie precluderebbe, nella specie, l'esercizio del diritto di difesa e del diritto al giusto processo dell'appellante, che aveva tempestivamente chiesto l'esperimento della prova ematologica.

 

5. – Con tre distinti, ma sostanzialmente identici atti, ha spiegato intervento nei giudizi innanzi alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione.

 

Ha rilevato la difesa erariale che, alla stregua dell'art. 235 cod. civ., come inteso anche dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, l'indagine sulla esistenza dell'adulterio ai fini dell'azione di disconoscimento di paternità, avendo carattere preliminare, deve essere effettuata autonomamente, senza la possibilità di utilizzare a tal fine la prova genetica e/o ematologica, che non può tradursi in un mezzo meramente esplorativo o da sperimentarsi sulla base di meri sospetti di infedeltà.

 

L'Avvocatura generale ha anche richiamato la giurisprudenza costituzionale che ha valutato la conformità a Costituzione delle norme in materia con riguardo al solo termine per agire in giudizio e non alla congruità dei presupposti, la cui determinazione va rimessa al legislatore. In tale ottica delimitata andrebbero intese le affermazioni della Corte costituzionale volte a superare la prevalenza accordata dalla normativa anteriore alla riforma del diritto di famiglia al favor legitimitatis rispetto al favor veritatis. Del resto, lo spostamento verso quest'ultimo non assumerebbe mai valore assoluto (v. sentenza n. 170 del 1999), e sarebbe temperato dal favor minoris, e, quindi, dalla necessità di non sconvolgere rapporti familiari protrattisi nel tempo.

 

6. – Nell'imminenza dell'udienza la difesa erariale ha depositato tre distinte, ma pressocché identiche memorie, aggiungendo che, allo stato degli studi scientifici, la prova ematologica e/o genetica consente di escludere la paternità solo nel caso di assoluta incompatibilità tra i gruppi sanguigni e il DNA, mentre, nei casi di compatibilità, il giudizio non può essere espresso con altrettanta certezza.

 

La Costituzione, rileva l'Autorità intervenuta, non ha attribuito valore preminente ed assoluto alla verità biologica rispetto a quella legale, ma, disponendo, al quarto comma dell'art. 30 della Costituzione, che «la legge detta le norme ed i limiti per la ricerca della paternità», ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, così affidando allo stesso legislatore anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del minore.

 

Considerato in diritto

 

1. – La Corte di cassazione, I sezione civile, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini del disconoscimento della paternità, ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre solo dopo aver provato che nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio. Secondo il giudice rimettente, la norma si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevolezza della previsione, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente – e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell'adulterio – una sicura prova della esclusione della paternità; nonché con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, per contrasto con il diritto di difesa, il quale non può compiutamente realizzarsi se non viene reso possibile l'accertamento dei fatti sui quali si fondano le ragioni sottoposte al giudice e se non viene consentito di fornire la prova dei fatti stessi.

 

2. – Il Tribunale di Rovigo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., nella parte in cui richiede, quale presupposto dell'azione di disconoscimento della paternità, la preventiva prova dell'adulterio della moglie, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, per lesione del principio di ragionevolezza e dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, che tutela il diritto di difesa.

 

3. – Anche la Corte d'appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 235 del codice civile, che impugna genericamente per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 11 (rectius: 111) della Costituzione, senza peraltro motivare in ordine alla lesione di quest'ultimo parametro.

 

4. – Le ordinanze di rimessione sollevano questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge con motivazioni che sono in parte identiche ed in parte analoghe, sicché i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento.

 

5. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Venezia è manifestamente inammissibile per omessa descrizione della fattispecie, nonché per apodittica affermazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza, argomentata sulla base di un mero richiamo all'ordinanza della Corte di cassazione n. 10742/01 (rectius: 10742/04).

 

6. – Le questioni proposte dalla Corte di cassazione – in una fattispecie in cui l'azione di disconoscimento era stata fatta valere dal padre – e dal Tribunale di Rovigo – in una fattispecie in cui l'azione era stata fatta valere dal figlio – sono fondate.

 

6.1. – L'art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ. – nella formulazione introdotta dall'art. 93 della legge 19 maggio 1975, n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia – stabilisce che l'adulterio commesso nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno precedente la nascita costituisce una delle ipotesi in cui l'azione di disconoscimento è consentita, e che in tal caso il marito – o altro dei legittimati all'azione – è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità.

 

La Corte di cassazione, in una ormai risalente pronuncia (sentenza n. 5687 del 1984), aveva affermato che l'art. 235, comma primo, cod. civ., il quale subordina la esperibilità delle prove cosiddette tecniche, sulle caratteristiche genetiche o sul gruppo sanguigno, alla dimostrata ricorrenza dell'adulterio della moglie, non osta a che il giudice del merito, ove ne ravvisi l'opportunità, possa ammettere ed espletare tali prove tecniche contemporaneamente a quelle inerenti all'adulterio, convalidando ed integrando il proprio convincimento sull'esistenza dello stesso con la valutazione del rifiuto (ingiustificato) opposto dai controinteressati all'espletamento della prova ematologica e ritenendo tale rifiuto come prova della non paternità, e ciò soprattutto perché, a causa del progresso scientifico verificatosi negli ultimi tempi, detta prova ha assunto il valore di piena prova della esistenza o non esistenza del rapporto di filiazione.

 

Tale approccio interpretativo – già all'epoca contrastato (Cass. n. 20 e n. 5419 del 1984) – è stato successivamente abbandonato, ed è ormai “diritto vivente” quello per il quale l'indagine sul verificarsi dell'adulterio ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo, con la conseguenza che la prova genetica o ematologica, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell'adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest'ultima, e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda (v., tra le altre, Cass. n. 2113 del 1992, n. 8087 del 1998, n. 14887 del 2002); con l'ulteriore conseguenza che, in difetto di prova dell'adulterio, anche in presenza della dimostrazione che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, l'azione di disconoscimento della paternità deve essere respinta.

 

In presenza di tale “diritto vivente”, questa Corte non ha la possibilità di proporre differenti soluzioni interpretative (v. sentenza n. 299 del 2005), ma deve limitarsi a stabilire se lo stesso sia o meno conforme ai principi costituzionali.

 

6.2. – Con la riforma del diritto di famiglia, il legislatore del 1975 ha esteso la legittimazione attiva per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità anche alla madre ed al figlio che abbia raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre (art. 235, ultimo comma, cod. civ.).

 

Successivamente, il legislatore del 1983 ha previsto che l'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o dal pubblico ministero, quando si tratta di minore di età inferiore (art. 244, ultimo comma, cod. civ., aggiunto dall'art. 81 della legge 4 maggio 1983, n. 184).

 

6.3. – Ai fini della decisione della presente questione assumono rilievo:

 

– l'ampliamento della legittimazione attiva;

 

– i progressi della scienza biomedica che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione;

 

– la difficoltà pratica, chiaramente evidenziata dall'ordinanza della Corte di cassazione, di fornire una piena prova dell'adulterio;

 

– l'insufficienza di tale prova ad escludere la paternità.

 

Il subordinare – sulla base del diritto vivente in precedenza richiamato –l'accesso alle prove tecniche, che, da sole, consentono di affermare se il figlio è nato o meno da colui che è considerato il padre legittimo, alla previa prova dell'adulterio è, da una parte, irragionevole, attesa l'irrilevanza di quest'ultima prova al fine dell'accoglimento, nel merito, della domanda proposta; e, dall'altra, si risolve in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione. E ciò per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status e alla identità biologica (sentenza n. 50 del 2006).

 

Ciò comporta che deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.

 

7. – Ad identiche conclusioni deve pervenirsi anche con riguardo all'azione proposta dagli altri legittimati (art. 235, terzo comma, cod. civ.), ipotesi ricorrente nel procedimento innanzi al Tribunale di Rovigo (r.o. n. 203 del 2003).

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove tecniche, da cui risulta «che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre», alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie;

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 del codice civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

 

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2006.

 

Il Direttore della Cancelleria

 

F.to: DI PAOLA

 


Documentazione

 


Unione europea

 


Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa
(parte II artt. 67, 83-86, 93)

 

 

PREAMBOLO

 

SUA MAESTÀ IL RE DEI BELGI, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CECA, SUA MAESTÀ LA REGINA DI DANIMARCA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI ESTONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA, SUA MAESTÀ IL RE DI SPAGNA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE, LA PRESIDENTE DELL'IRLANDA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CIPRO, LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LETTONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA, SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA, IL PRESIDENTE DI MALTA, SUA MAESTÀ LA REGINA DEI PAESI BASSI, IL PRESIDENTE FEDERALE DELLA REPUBBLICA D'AUSTRIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI POLONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI SLOVENIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SLOVACCA, LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI FINLANDIA, IL GOVERNO DEL REGNO DI SVEZIA, SUA MAESTÀ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD,

 

ISPIRANDOSI alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, e dello Stato di diritto;

 

CONVINTI che l'Europa, ormai riunificata dopo esperienze dolorose, intende avanzare sulla via della civiltà, del progresso e della prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi i più deboli e bisognosi; che vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale; che desidera approfondire il carattere democratico e trasparente della vita pubblica e operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo;

 

PERSUASI che i popoli d'Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare il loro comune destino;

 

CERTI che, «Unita nella diversità», l'Europa offre ai suoi popoli le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana;

 

RISOLUTI a proseguire l'opera compiuta nel quadro dei trattati che istituiscono le Comunità europee e del trattato sull'Unione europea, assicurando la continuità dell'acquis comunitario;

 

RICONOSCENTI ai membri della Convenzione europea di aver elaborato il progetto della presente Costituzione a nome dei cittadini e degli Stati d'Europa,

 

HANNO DESIGNATO COME PLENIPOTENZIARI:

 

SUA MAESTÀ IL RE DEI BELGI,

 

Guy VERHOFSTADT

 

Primo Ministro

 

Karel DE GUCHT

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CECA,

 

Stanislav GROSS

 

Primo Ministro

 

Cyril SVOBODA

 

Ministro degli Affari esteri

 

SUA MAESTÀ LA REGINA DI DANIMARCA,

 

Anders Fogh RASMUSSEN

 

Primo Ministro

 

Per Stig MØLLER

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA,

 

Gerhard SCHRÖDER

 

Cancelliere federale

 

Joseph FISCHER

 

Ministro federale degli Affari esteri e Vice Cancelliere federale

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI ESTONIA,

 

Juhan PARTS

 

Primo Ministro

 

Kristiina OJULAND

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA,

 

Kostas KARAMANLIS

 

Primo Ministro

 

Petros G. MOLYVIATIS

 

Ministro degli Affari esteri

 

SUA MAESTÀ IL RE DI SPAGNA,

 

José Luis RODRÍGUEZ ZAPATERO

 

Presidente del Governo

 

Miguel Angel MORATINOS CUYAUBÉ

 

Ministro degli Affari esteri e della cooperazione

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE,

 

Jacques CHIRAC

 

Presidente

 

Jean-Pierre RAFFARIN

 

Primo Ministro

 

Michel BARNIER

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELL'IRLANDA,

 

Bertie AHERN

 

Primo Ministro (Taoiseach)

 

Dermot AHERN

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,

 

Silvio BERLUSCONI

 

Presidente del Consiglio dei Ministri

 

Franco FRATTINI

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CIPRO,

 

Tassos PAPADOPOULOS

 

Presidente

 

George IACOVOU

 

Ministro degli Affari esteri

 

LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LETTONIA,

 

Vaira VĪĶE FREIBERGA

 

Presidente

 

Indulis EMSIS

 

Primo Ministro

 

Artis PABRIKS

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA,

 

Valdas ADAMKUS

 

Presidente

 

Algirdas Mykolas BRAZAUSKAS

 

Primo Ministro

 

Antanas VALIONIS

 

Ministro degli Affari esteri

 

SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO,

 

Jean-Claude JUNCKER

 

Primo Ministro, Ministre d'Etat

 

Jean ASSELBORN

 

Vice Primo Ministro, Ministro degli Affari esteri e dell'immigrazione

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA,

 

Ferenc GYURCSÁNY

 

Primo Ministro

 

László KOVÁCS

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DI MALTA,

 

The Hon Lawrence GONZI

 

Primo Ministro

 

The Hon Michael FRENDO

 

Ministro degli Affari esteri

 

SUA MAESTÀ LA REGINA DEI PAESI BASSI,

 

Dr. J. P. BALKENENDE

 

Primo Ministro

 

Dr. B. R. BOT

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE FEDERALE DELLA REPUBBLICA D'AUSTRIA,

 

Dr. Wolfgang SCHÜSSEL

 

Cancelliere federale

 

Dr. Ursula PLASSNIK

 

Ministro federale degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI POLONIA,

 

Marek BELKA

 

Primo Ministro

 

Włodzimierz CIMOSZEWICZ

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE,

 

Pedro Miguel DE SANTANA LOPES

 

Primo Ministro

 

António Victor MARTINS MONTEIRO

 

Ministro degli Affari esteri e delle comunità portoghesi all'estero

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI SLOVENIA,

 

Anton ROP

 

Presidente del Governo

 

Ivo VAJGL

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SLOVACCA,

 

Mikuláš DZURINDA

 

Primo Ministro

 

Eduard KUKAN

 

Ministro degli Affari esteri

 

LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI FINLANDIA,

 

Matti VANHANEN

 

Primo Ministro

 

Erkki TUOMIOJA

 

Ministro degli Affari esteri

 

IL GOVERNO DEL REGNO DI SVEZIA,

 

Göran PERSSON

 

Primo Ministro

 

Laila FREIVALDS

 

Ministro degli Affari esteri

 

SUA MAESTÀ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD,

 

The Rt. Hon Tony BLAIR

 

Primo Ministro

 

The Rt. Hon Jack STRAW

 

Ministro degli Affari esteri e del Commonwealth

 

I QUALI, dopo avere scambiato i loro pieni poteri, riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto le disposizioni che seguono:

(omissis)

PARTE II

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE

 

PREAMBOLO

 

I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

 

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

 

L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento.

 

A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta.

 

La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall'Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea.

 

Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future.

 

Pertanto, l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi enunciati in appresso.

 

 

 

TITOLO I

DIGNITÀ

(omissis)

Articolo II-67

Rispetto della vita privata e della vita familiare

 

Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni.

(omissis)

Articolo II-83

Parità tra donne e uomini

La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

 

Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

 

 

Articolo II-84

Diritti del minore

1.   I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.2.   In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.3.   Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

 

 

Articolo II-85

Diritti degli anziani

L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale.

Articolo II-86

 

Inserimento delle persone con disabilità

 

L'Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.

(omissis)

Articolo II-93

Vita familiare e vita professionale

1.   È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale.2.   Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio.

 

(omissis)


Convenzione europea sullo status giuridico dei minori nati al di fuori del matrimonio.
Strasburgo, 15 ottobre 1975
(in inglese)

 

Explanatory Report

Français

 

 

The member States of the Council of Europe, signatory hereto,

 

Considering that the aim of the Council of Europe is to achieve a greater unity between its members, in particular by the adoption of common rules in the field of law;

 

Noting that in a great number of member States efforts have been, or are being, made to improve the legal status of children born out of wedlock by reducing the differences between their legal status and that of children born in wedlock which are to the legal or social disadvantage of the former;

 

Recognising that wide disparities in the laws of member States in this field still exist;

 

Believing that the situation of children born out of wedlock should be improved and that the formulation of certain common rules concerning their legal status would assist this objective and at the same time would contribute to a harmonisation of the laws of the member States in this field;

 

Considering however that it is necessary to allow progressive stages for those States which consider themselves unable to adopt immediately certain rules of this Convention,

 

Have agreed as follows:

 

Article 1

 

Each Contracting Party undertakes to ensure the conformity of its law with the provisions of this Convention and to notify the Secretary General of the Council of Europe of the measures taken for that purpose.

 

Article 2

 

Maternal affiliation of every child born out of wedlock shall be based solely on the fact of the birth of the child.

 

Article 3

 

Paternal affiliation of every child born out of wedlock may be evidenced or established by voluntary recognition or by judicial decision.

 

Article 4

 

The voluntary recognition of paternity may not be opposed or contested insofar as the internal law provides for these procedures unless the person seeking to recognise or having recognised the child is not the biological father.

 

Article 5

 

In actions relating to paternal affiliation scientific evidence which may help to establish or disprove paternity shall be admissible.

 

Article 6

 

The father and mother of a child born out of wedlock shall have the same obligation to maintain the child as if it were born in wedlock.

Where a legal obligation to maintain a child born in wedlock falls on certain members of the family of the father or mother, this obligation shall also apply for the benefit of a child born out of wedlock.

 

Article 7

 

Where the affiliation of a child born out of wedlock has been established as regards both parents, parental authority may not be attributed automatically to the father alone.

There shall be power to transfer parental authority; cases of transfer shall be governed by the internal law.

 

Article 8

 

Where the father or mother of a child born out of wedlock does not have parental authority over or the custody of the child, that parent may obtain a right of access to the child in appropriate cases.

 

Article 9

 

A child born out of wedlock shall have the same right of succession in the estate of its father and its mother and of a member of its father's or mother's family, as if it had been born in wedlock.

 

Article 10

 

The marriage between the father and mother of a child born out of wedlock shall confer on the child the legal status of a child born in wedlock.

 

Article 11

 

This Convention shall be open to signature by the member States of the Council of Europe. It shall be subject to ratification, acceptance or approval. Instruments of ratification, acceptance or approval shall be deposited with the Secretary General of the Council of Europe.

This Convention shall enter into force three months after the date of the deposit of the third instrument of ratification, acceptance or approval.

In respect of a signatory State ratifying, accepting or approving subsequently, the Convention shall come into force three months after the date of the deposit of its instrument of ratification, acceptance or approval.

 

Article 12

 

After the entry into force of this Convention, the Committee of Ministers of the Council of Europe may invite any non-member State to accede to this Convention.

Such accession shall be effected by depositing with the Secretary General of the Council of Europe an instrument of accession which shall take effect three months after the date of its deposit.

 

Article 13

 

Any State may, at the time of signature, or when depositing its instrument of ratification, acceptance, approval or accession, specify the territory or territories to which this Convention shall apply.

Any State may, when depositing its instrument of ratification, acceptance, approval or accession or at any later date, by declaration addressed to the Secretary General of the Council of Europe, extend this Convention to any other territory or territories specified in the declaration and for whose international relations it is responsible or on whose behalf it is authorised to give undertakings.

Any declaration made in pursuance of the preceding paragraph may, in respect of any territory mentioned in such declaration, be withdrawn according to the procedure laid down in Article 15 of this Convention.

 

Article 14

 

Any State may, at the time of signature, or when depositing its instrument of ratification, acceptance, approval or accession or when making a declaration in accordance with paragraph 2 of Article 13 of this Convention, make not more than three reservations in respect of the provisions of Articles 2 to 10 of the Convention.

Reservations of a general nature shall not be permitted; each reservation may not affect more than one provision.

A reservation shall be valid for five years from the entry into force of this Convention for the Contracting Party concerned. It may be renewed for successive periods of five years by means of a declaration addressed to the Secretary General of the Council of Europe before the expiration of each period.

Any Contracting Party may wholly or partly withdraw a reservation it has made in accordance with the foregoing paragraphs by means of a declaration addressed to the Secretary General of the Council of Europe, which shall become effective as from the date of its receipt.

 

 

 

Article 15

 

Any Contracting Party may, insofar as it is concerned, denounce this Convention by means of a notification addressed to the Secretary General of the Council of Europe.

Such denunciation shall take effect six months after the date of receipt by the Secretary General of such notification.

 

 

Article 16

 

The Secretary General of the Council of Europe shall notify the member States of the Council and any State which has acceded to this Convention of:

 

any signature;

any deposit of an instrument of ratification, acceptance, approval or accession;

any date of entry into force of this Convention in accordance with Article 11 thereof;

any notification received in pursuance of the provisions of Article 1;

any declaration received in pursuance of the provisions of paragraphs 2 and 3 of Article 13;

any reservation made in pursuance of the provisions of paragraph 1 of Article 14;

the renewal of any reservation carried out in pursuance of the provisions of paragraph 2 of Article 14;

the withdrawal of any reservation carried out in pursuance of the provisions of paragraph 3 of Article 14;

any notification received in pursuance of the provisions of Article 15 and the date on which denunciation takes effect.

In witness whereof, the undersigned, being duly authorised thereto, have signed this Convention.

 

Done at Strasbourg, this 15th day of October 1975, in English and in French, both texts being equally authoritative, in a single copy which shall remain deposited in the archives of the Council of Europe. The Secretary General of the Council of Europe shall transmit certified copies to each of the signatory and acceding States.



[1] La proposta in questione è stata oggetto di un esperimento di controllo di sussidiarietà e di proporzionalità in seno alla COSAC (Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei dei Parlamenti dell’Unione europea). In questo contesto la Camera dei deputati ha esaminato la proposta, ai sensi dell’articolo 127, comma 1 del regolamento, con l’adozione, il 24 ottobre 2006, di un parere da parte della Commissione Politiche dell’Unione europea e, il 16 novembre 2006, di un documento finale da parte della Commissione Giustizia.

[2]    «Noi dovremmo garantire al figlio naturale, il quale si trovi di fronte a genitori non legati da vincolo di matrimonio, una protezione giuridica pari a quella del figlio legittimo e analogo trattamento fare al figlio adulterino, nei confronti di quello dei genitori che non sia legato da matrimonio» (cfr.Seduta del 23 aprile 1947, in A.C., II, p. 1189 e 1190).

[3]    Cfr. artt. 269, 271, 272 e 278 c.c.

[4]    Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 79 del 1969, ma anche sentt. n. 50 del 1973, n. 82 del 1974, e poi n. 55 del 1979 e n. 167 del 1992.

[5]    Il procedimento si apre con ricorso del genitore che intende effettuare il riconoscimento: viene poi sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone ed è previsto l'intervento del pubblico ministero. Esso si svolge in camera di consiglio e il tribunale per i minorenni decide con una sentenza che, in caso di accoglimento della domanda di riconoscimento, vale a sostituire il mancato consenso.

[6]    L’art. 74 della legge n. 184 del 1983 ha previsto il potere del Tribunale per i minorenni di promuovere d’ufficio l’impugnazione del riconoscimento.

[7]    Il termine (di decadenza) per impugnare il riconoscimento estorto con violenza è di 1 anno dal giorno in cui la violenza è cessata; se l'autore del riconoscimento è un minore, il suddetto termine decorre dal compimento del diciottesimo anno di età. Se il riconoscimento viene annullato per violenza, nulla impedisce che possa nuovamente essere effettuato, questa volta validamente. In caso di riconoscimento effettuato dall'interdetto giudiziale spetta al suo rappresentante proporre l'azione di annullamento, oppure allo stesso autore del risarcimento, decorso 1 anno dalla revoca dell'interdizione.

[8]    L’art. 278, infatti, in base al quale «le indagini sulla paternità o sulla maternità non sono ammesse nei casi in cui, a norma dell’art. 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato» è stato dichiarato incostituzionale (Corte cost., sent. n. 494 del 2002).

Peraltro, l’art. 274 c.c. – che prevedeva che, prima di procedere al giudizio, si svolgesse una fase preliminare in cui il tribunale esaminava la domanda in camera di consiglio per ammetterla eventualmente solo quando, sulla base di specifiche circostanze (non quindi necessariamente vere e proprie prove, ma anche soltanto presunzioni), la stessa appariva giustificata - è stato dichiarato costituzionalmente illegittima dalla Corte con la recente sentenza n. 50 del 2006.

[9]    La Corte costituzionale (sent. n. 297 del 1996) ha stabilito che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, può ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere (anteponendolo, o, a sua scelta, aggiungendolo a questo) il cognome precedentemente attribuitogli se lo stesso è divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale.

[10]   Sul piano del regime successorio, le soluzioni adottate dalla legge di riforma sono state orientate in duplice direzione: verso l'affermazione del sacrificio dei diritti successori degli altri membri della famiglia legittima rispetto a quelli spettanti ai figli nati fuori del matrimonio e verso la totale parificazione della condizione giuridica dei figli legittimi e dei figli naturali nell'ambito sia della successione necessaria che della successione legittima. Il primo risultato è stato raggiunto: sia con la previsione dell'art. 538 c.c., che riserva a favore degli ascendenti legittimi un terzo del patrimonio - che si riduce ad un quarto nell'ipotesi di concorso con il coniuge (art. 544 c.c.) - soltanto "se chi muore non lascia figli legittimi né naturali", sia con l'art. 467 c.c., che prevede il diritto di rappresentazione per i discendenti naturali nei confronti del proprio ascendente anche in presenza di discendenti legittimi. La parificazione della posizione giuridica dei figli legittimi e dei figli naturali nell'ambito della successione dei legittimari è disposta dall'art. 537 c.c., che fissa nella medesima misura la quota di riserva a favore dei figli legittimi e naturali, con il sistema del dimensionamento della quota in relazione al numero dei figli.

[11]   Dal legislatore del '42 questo istituto era configurato come diritto dei figli legittimi di escludere dalla comunione ereditaria i figli naturali, le cui ragioni potevano essere soddisfatte mediante il pagamento di somme di denaro o in beni immobili ereditari, facenti parte dell'asse ereditario e identificati in modo che il loro valore corrispondesse esattamente all'importo della loro quota. La legge di riforma, nella sua diversa ratio, ha modificato questa disciplina, attribuendo ai figli naturali la possibilità di opporsi all'esercizio della commutazione: sull'opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali.

[12]   La legge, in ogni caso, vieta la legittimazione dei figli che non possono essere riconosciuti, mentre ammette quella dei figli premorti in favore dei loro discendenti legittimi e dei loro figli naturali riconosciuti.

[13]   Sussiste l'impossibilità, ad es., quando uno dei genitori sia deceduto, interdetto o scomparso, oppure abbia contratto un matrimonio diverso; il gravissimo ostacolo può essere rappresentato, ad es., da impedimento di carattere fisico, da una grave malattia contagiosa, o da motivi di carattere morale (ad es., nel caso in cui il padre naturale sia un ministro di culto cattolico).

[14]   Cfr. E. Lamarque (Art. 30, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Utet, 2006, vol. I, p. 635), che riporta le tesi di Ubaldi, La filiazione naturale, in Aa.Vv., Filiazione, Milano, 2002, p. 263; Bianca, Diritto civile. II. La famiglia – Le successioni, Milano, 2001, p. 277; Ferrando, La successione tra parenti naturali: un problema aperto, in Familia, 2002, I, p. 315.

[15]   Peraltro, in tema, si veda infra la sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002.

[16]   Corte costituzionale, sentenza n. 55 del 1979 – Una minore tutela del figlio nato fuori del matrimonio in tanto può trovare una sua giustificazione costituzionale in quanto tale condizione venga a confliggere con i diritti dei membri della famiglia legittima. In assenza - come nella specie - di altri successibili ex lege ad eccezione dello Stato, tale situazione di conflittualità non si determina e quindi - sottoponendo a revisione critica la precedente pronuncia di non fondatezza della medesima questione (sent. n. 76/1977), sia pure relativamente a disposizioni diverse del codice civile, ed armonizzando la soluzione del caso in esame con la costante giurisprudenza di questa Corte (sentt. nn. 7/1963; 79/1969;  50/1973; 82/1974) - la posizione del figlio naturale va assimilata a quella del discendente legittimo, giustificandosi così la successione tra fratelli (o sorelle) naturali, purché la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale - per contrasto con gli artt. 3 e 30, comma terzo, Cost. - dell'art. 565 cod. civ., nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, venendosi conseguentemente a stabilire per essi un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri successibili ex lege.

Sentenza n. 184 del 1990 - Nel caso in cui manchino successibili per diritto di coniugio e di parentela, il favore per i figli naturali non entra in conflitto col principio della successione familiare, ne' con l'interesse pubblico dello Stato alla continuità (comunque assicurata) dei rapporti giuridici del defunto. Pertanto, non sussistendo idonee ragioni giustificatrici, va dichiarato costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 3 e 30, comma terzo, Cost. - l'art. 565 cod. civ. (novellato dall'art. 183, l. 19 maggio 1975, n. 151), nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali sia legalmente accertato il rispettivo 'status' di filiazione nei confronti del comune genitore.

[17]   Per questa ricostruzione cfr. E. Lamarque, Art. 30, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Utet, 2006, vol. I, p. 634 e ss.

[18]   Sentenza n. 250 del 2000 - È costituzionalmente illegittimo l'art. 803, primo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che - in caso di sopravvenienza di un figlio naturale - la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione, in quanto detta norma, espressione del tradizionale disfavore verso la filiazione naturale, appare incompatibile con il principio dettato dall'art. 30, terzo comma, della Costituzione, che vuole assicurata ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, e viola nel contempo anche l'art. 3 della Costituzione sotto i due concorrenti profili, della disparità di trattamento rispetto alla possibilità di revocazione della donazione concessa senza limiti al genitore legittimo (ed anche all'adottante) in seguito alla sopravvenienza di figli legittimi, e della palese irragionevolezza.

[19]   Così si esprime E. Lamarque, Art. 30, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Utet, 2006, vol. I, p. 635.

[20]   Il citato art. 147 stabilisce, infatti, che il vincolo del matrimonio “impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.

[21] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 393.

[22] Cfr. Bianca, Diritto civile, vol lI, La famiglia, le successioni, Milano 2005, p. 21.

[23]   Cfr. C.M. Bianca, Op. citata,pp. 394 e ss.

[24]   Cfr. C.M. Bianca, Op. cit., p. 273.

[25]   La legge reca: Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli.