Pari opportunità – La modifica dell’art. 51 Cost.

Nella XIV legislatura, la questione del principio della parità tra i sessi è stata in primo luogo affrontata con riguardo al tema della promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, con l’obiettivo di incrementare il tasso di partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del Paese.

Un intervento normativo di rilievo, in materia, è costituito dalla modifica apportata all’art. 51, primo comma, della Costituzione: tale disposizione, che stabilisce il principio della parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, è stata integrata dalla L.Cost. 1/2003[1] nel senso di prevedere l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.

 

La novella costituzionale, che porta a compimento un percorso politico e legislativo avviatosi nella XIII legislatura[2], consente di completare con l’aggiunta del livello statale, quanto già previsto per l’ordinamento delle Regioni ordinarie e a statuto speciale.

Giova ricordare, infatti, che la L.Cost. 2/2001[3], relativa all’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, ha introdotto disposizioni finalizzate alla promozione della parità di accesso alle consultazioni elettorali con l’espressa finalità di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi; inoltre, l’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato dalla L.Cost. 3/2001[4], stabilisce che le leggi regionali debbano rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

 

Con la rinnovata disposizione costituzionale viene fornita una copertura costituzionale all’introduzione di “azioni positive” volte a promuovere l’accesso della donna – attualmente sottorappresentata – alle funzioni pubbliche e alle cariche elettive. Al rispetto dell’uguaglianza in senso formale, già imposto dal primo periodo dell’art. 51 Cost. che esclude differenziazioni in base al sesso, si aggiunge ora la prefigurazione di interventi positivi volti a realizzare sostanzialmente il principio della parità di accesso, attraverso la rimozione di quelle cause di squilibrio che hanno finora impedito l’uguaglianza delle condizioni di partenza.

Sembra tuttavia opportuno porre in evidenza che il testo di modifica approvato concerne il solo principio della parità di accesso e non anche quello della rappresentanza nelle cariche elettive: in altri termini, esso tende a realizzare un’uguaglianza delle opportunità, e non anche una predeterminazione del risultato di riequilibrio della rappresentanza, la qual cosa potrebbe avere un effetto distorsivo della concezione neutra e unitaria, cioè non divisa per generi, della rappresentanza politica tipica dei moderni ordinamenti liberal-democratici.

 

Con riferimento a tali profili, sembra opportuno richiamare la giurisprudenza resa dalla Corte costituzionale sulle c.d. “quote elettorali”, ovvero quegli istituti volti ad assicurare che nella presentazione delle candidature alle elezioni nessuno dei due sessi possa essere escluso o rappresentato al di sotto di una data soglia .

In un primo momento, con la sentenza n. 422 del 1995 la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittime le norme contenute nelle leggi elettorali politiche, regionali e amministrative[5] che stabilivano una riserva di quote per l’uno e per l’altro sesso nelle liste dei candidati; ciò per l’asserita violazione degli articoli 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione.

Secondo la Corte, infatti, le citate disposizioni costituzionali, sancendo la regola dell’irrilevanza giuridica del sesso, in generale e nell’accesso alle cariche elettive, garantiscono l’assoluta uguaglianza tra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, nel senso che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità: ne consegue che altrettanto deve affermarsi per quanto riguarda la candidabilità.

La possibilità di essere candidato non è che la condizione pregiudiziale e necessaria per poter essere eletto e beneficiare quindi in concreto del diritto di elettorato passivo sancito dall’art. 51 Cost. Secondo la Corte, viene quindi a porsi in contrasto con i citati parametri costituzionali la norma che impone nella presentazione delle candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati.

La Corte ha comunque riconosciuto che la finalità di conseguire una parità effettiva fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale; essa tuttavia non può essere legislativamente imposta bensì va lasciata al libero apprezzamento dei partiti e movimenti che partecipano alle elezioni, sulla cui evoluzione culturale, in tal senso, occorre dunque incidere.

 

Con la successiva sentenza n. 49 del 2003 la Corte, mutando significativamente il proprio orientamento, ha invece ritenuto non contrastanti col dettato costituzionale alcune norme introdotte nella legislazione elettorale della Regione Valle d’Aosta[6], in virtù delle quali le liste elettorali devono comprendere candidati di entrambi i sessi, a pena di dichiarazione di invalidità da parte dell’ufficio elettorale regionale.

In questo caso, a differenza di quanto sostenuto nella sua precedente giurisprudenza, la Corte ha ritenuto che le disposizioni contestate non pongono l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito ulteriore di eleggibilità e nemmeno di candidabilità dei singoli cittadini: l’obbligo imposto dalla legge, infatti, concerne le sole liste e i soggetti che le presentano, vincolando non certo l’esercizio del voto o i diritti dei cittadini eleggibili, ma la formazione di libere scelte dei partiti e dei gruppi, precludendo loro soltanto la possibilità di presentare liste costituite da candidati tutti dello stesso sesso.

Tale vincolo negativo, inoltre, opera solo nella fase anteriore alla competizione elettorale; la scelta degli elettori – tra le liste e, all’interno di queste, tra i candidati – non ne risulta quindi in alcun modo condizionata, tanto più che la normativa in questione prevede la possibilità di esprimere un voto di preferenza.

Le disposizioni in esame introducono quindi un vincolo legale alle scelte di chi forma le liste, ma non si tratta di un vincolo tale da incidere in modo significativo sull’equilibrio della rappresentanza, poiché la mera presenza tra i candidati di una lista non è certo garanzia di risultato (cioè, dell’essere eletti). La disciplina, peraltro, non introduce differenziazioni in base al sesso dei candidati poiché si riferisce indifferentemente ai candidati di entrambi i sessi.

La Corte ha poi ricordato che le norme impugnate vanno interpretate anche in relazione all’intercorsa evoluzione del quadro costituzionale[7], che ormai considera doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle cariche elettive. Azione promozionale che, in questo caso, è realizzata attraverso la misura minima di una non discriminazione, ai fini della candidatura, a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi.



[1]     La legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 ha aggiunto un periodo al primo comma dell’art. 51, che, pertanto, attualmente così recita: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

[2]     Il testo della modifica riprende sostanzialmente il contenuto di analoga proposta di legge costituzionale approvata sul finire della XIII legislatura alla Camera in prima lettura con amplissimo consenso. La Commissione Affari costituzionali del Senato cui è stato assegnato il testo (S. 4974) non ha iniziato l’esame in sedere referente per il sopraggiunto scioglimento delle Camere.

[3]     Legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

[4]     Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione.

[5]     Si tratta delle disposizioni presenti nella L. 81/1993, Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale; nel Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati di cui al D.P.R. n. 361/1957; nella L. 43/1995, Nuove norme per l’elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario e in alcune leggi delle regioni a statuto speciale Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia disciplinanti il sistema elettorale locale.

[6]     Si tratta degli articoli 2, comma 2 e 7, comma 1, della Legge regionale 13 novembre 2002, n. 21, Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 recante Norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta.

[7]     Il riferimento è alla L.Cost. 2/2001, sopra richiamata.