Iniziative in materia di libertà religiosa

Il disegno di legge sulla libertà religiosa

Nel corso della XIV legislatura la Camera ha discusso un disegno di legge di iniziativa governativa[1] (v. scheda Libertà religiosa – Il progetto di riforma) recante norme in materia di libertà religiosa che riproduce, con alcune modifiche, il testo di un progetto di legge del Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura[2].

La Commissione affari costituzionali ha approvato un primo testo il 9 aprile 2003; il 24 giugno 2003 l’Assemblea ne ha deliberato il rinvio in Commissione per ulteriori approfondimenti; la Commissione ha quindi concluso l’esame in sede referente il 13 aprile 2005 (A.C. 2531 e abb. – A/R); il progetto è rimasto in stato di relazione per l’Assemblea al momento dello scioglimento delle Camere.

 

Superando la dizione di “culti ammessi nello Stato”, rappresentativa della concezione, fatta propria dalla L. 1159/1929[3], basata non sul principio della libertà religiosa, ma su quello della tolleranza dello Stato rispetto alla presenza di determinati culti, il progetto di legge mira a sostituire integralmente la disciplina sui culti diversi da quello cattolico, facente capo essenzialmente alla normativa del 1929 e ancora applicata alle confessioni con le quali lo Stato italiano non ha stipulato intese.

Esso intende dare attuazione ai princìpi della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale in materia, con particolare riferimento all’art. 8[4], il quale, oltre a sancire il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, riconosce alle confessioni religiose diverse da quella cattolica il diritto di organizzarsi sulla base dei propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

Il testo approvato dalla I Commissione persegue essenzialmente tre obiettivi:

§      dettare i princìpi generali in materia di libertà di coscienza e di religione;

§      definire la posizione giuridica delle confessioni e associazioni religiose;

§      dotare di una base legislativa la materia della stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose, finora disciplinata soltanto dalla prassi, definendo un quadro certo di norme di principio.

Assume particolare rilievo nel testo la garanzia, riconosciuta a tutti, della libertà di coscienza e di religione quale diritto fondamentale della persona, richiamando quali fonti i princìpi della Costituzione, le convenzioni sui diritti inviolabili dell’uomo ratificate dall’Italia e i princìpi del diritto internazionale.

Questi gli elementi significativi del progetto di legge:

§         il diritto di manifestazione della libertà di religione, intesa come diritto a professare la propria fede religiosa, a diffonderla, ad osservarne i riti, ad esercitare il culto, nonché a mutare religione oppure a non averne alcuna;

§         il divieto di discriminazioni connesse a motivi religiosi, il diritto di riunione e di associazione per finalità di religione o di culto, e il diritto alla obiezione di coscienza;

§         la garanzia dell’esercizio della libertà religiosa per i soggetti che si trovano in particolari condizioni (appartenenti alle forze armate e di polizia, degenti in ospedale, detenuti), sui luoghi di lavoro e nell’ambito dell’insegnamento scolastico;

§         il riconoscimento della libertà di esercitare le proprie funzioni spirituali anche ai ministri dei culti per i quali non è stata ancora stipulata intesa con lo Stato, a condizione che, quando pongano in essere atti aventi rilevanza giuridica per lo Stato italiano, siano in possesso della cittadinanza italiana e la loro nomina sia stata approvata preventivamente dal ministro dell’interno;

§         la definizione delle procedure per la celebrazione del matrimonio con effetti civili, che vengono riconosciuti a condizione che siano celebrati nell’osservanza delle disposizioni dettate e che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile;

§         l’affermazione del principio secondo cui l’insegnamento nelle scuole pubbliche deve svolgersi nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione;

§         la libertà di attività connesse alla vita religiosa, quali la pubblicazione e affissione di stampati, e la tutela degli edifici di culto.

 

Con riferimento al divieto di discriminazioni per motivi religiosi, in attuazione della disciplina comunitaria, i D.Lgs. n. 215[5] e 216[6] del 2003, hanno recepito due direttive comunitarie che recano alcune disposizioni per garantire la non discriminazione, il primo in generale, il secondo nel campo del lavoro, a causa della razza o dell’origine etnica, anche in un’ottica che tenga conto dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso (v. scheda Non discriminazione – Il decreto legislativo n. 215 del 2003 e scheda Parità nel lavoro – Il decreto legislativo n. 216 del 2003).

Gli artt. da 7 a 10 della L. 85/2006[7] modificando le disposizioni del codice penale concernenti i delitti contro la religione, e i particolare gli artt. da 403 a 406, hanno provveduto nel complesso a convertire quasi tutte le pene detentive ivi previste in pene pecuniarie e ad equiparare sostanzialmente alla confessione cattolica le altre confessioni religiose (v. infra, paragrafo La giurisprudenza della Corte costituzionale e v. scheda Reati di opinione).

 

Per quanto riguarda la disciplina delle confessioni e associazioni religiose, il testo prevede una tutela generale comune a tutte le confessioni, nell’ambito della quale sono compresi il diritto di celebrare i propri riti, di aprire edifici di culto, di diffondere la propria fede, di formare e nominare i ministri di culto, nel rispetto dei diritti e delle libertà delle altre confessioni. Tali diritti possono essere sottoposti unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali.

Inoltre, il progetto disciplina le forme di tutela e i benefici (anche di natura fiscale) cui possono accedere le confessioni che chiedono ed ottengono il riconoscimento della personalità giuridica, nonché i requisiti e la procedura del riconoscimento

Nel procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica è previsto, tra l’altro, il parere preventivo del Consiglio di Stato, il quale, nel formulare il proprio parere anche sul carattere confessionale dell’organizzazione richiedente, accerta, in particolare, che lo statuto e l’attività della confessione religiosa non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano e che lo statuto non contenga disposizioni lesive dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.

Di rilievo è la posizione del divieto di svolgere propaganda politica consistente nell’incitamento all’odio e alla discriminazione tra le confessioni religiose.

Il testo definisce infine le procedure per la stipulazione delle intese fra lo Stato e le confessioni religiose. Il procedimento previsto ricalca sostanzialmente quello utilizzato nella prassi (v. scheda Libertà religiosa – La stipulazione delle intese), con la notevole differenza che a tale procedimento possono avere accesso anche le confessioni che non abbiano richiesto il riconoscimento della personalità giuridica. Merita una segnalazione la previsione del coinvolgimento delle Camere nel procedimento per la stipulazione delle intese: sul progetto di intesa, dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri e prima della firma dell’intesa, viene acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Le modifiche alle intese con le confessioni religiose

Sul finire della legislatura, la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di due disegni di legge di iniziativa del Governo volti a recepire alcune circoscritte modifiche alle intese già stipulate con due confessioni religiose. Entrambi i provvedimenti non sono giunti all’esame dell’Assemblea.

A conferma del sostanziale accordo su di essi, durante l’esame presso la Commissione affari costituzionali non sono stati presentati emendamenti ad alcuno dei due provvedimenti; il 2° dicembre 2005 essi sono stati trasmessi alle Commissioni competenti per l’espressione dei prescritti pareri.

 

Il disegno di legge A.C. 5983, mediante una modifica della legge 409/1993[8] con cui è stata approvata l’Intesa tra il Governo italiano e la Tavola valdese stipulata il 25 gennaio 1993, intende consentire a tale confessione religiosa, che già gode del beneficio della destinazione dell’8 per mille del gettito dell’imposta sui redditi limitatamente alle scelte precisate in suo favore dai contribuenti, di partecipare anche alla ulteriore suddivisione delle somme derivanti da quei contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza.

La Tavola valdese infatti attualmente non partecipa, secondo quanto stabilisce espressamente la L. 409/1993, all’attribuzione della quota dell’8 per mille relativa ai contribuenti che non hanno operato alcuna scelta in sede di dichiarazione dei redditi in merito alla destinazione di tale quota, rimanendo gli importi relativi di pertinenza dello Stato.

 

Il disegno di legge A.C. 5085 modifica l’Intesa tra il Governo italiano e L’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (approvata con L. 516/1988[9]) al fine di riconoscere anche le lauree in teologia rilasciate, dopo un corso di studi quinquennale, dall’Istituto avventista di cultura biblica.

La normativa vigente già prevede che presso lo stesso Istituto possano essere conseguiti, al termine di un corso tre anni, diplomi in teologia e cultura biblica: con la modifica proposta, l’Istituto verrebbe ad adeguarsi alle tipologie previste dall’ordinamento universitario italiano per i titoli di primo livello – laurea – e di secondo livello – laurea specialistica – .

La giurisprudenza della Corte costituzionale

Con riferimento al principio di laicità dello Stato e con l’intento di eliminare, perché ritenute ingiustificate, le differenze di tutela penale del sentimento religioso, la Corte costituzionale si è pronunciata più volte, nel corso della legislatura.

 

La sentenza n. 327 del 2002 ha dichiarato illegittimo l’articolo 405 del codice penale che, in relazione al reato di “turbamento di funzioni religiose del culto cattolico”, prevede sanzioni più gravi rispetto all’analogo reato commesso contro uno degli altri culti “ammessi” dallo Stato (art. 406 c.p.).

 

La Corte ha preliminarmente ricordato che l’esigenza di una unificazione del trattamento sanzionatorio ai fini di una eguale protezione del sentimento religioso, che è imposta dai principî costituzionali, è stata già affermata nella sentenza n. 329 del 1997.

Applicando i medesimi principî, già enucleati in quella sentenza, al caso sottoposto al suo esame, la Corte ha giudicato una discriminazione costituzionalmente inaccettabile un differente grado di protezione del sentimento religioso a seconda del culto: “il principio fondamentale di laicità dello Stato, che implica equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico”.

 

Proseguendo nel proprio orientamento, con la sentenza n. 168 del 2005 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 403, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice qualora i medesimi fatti sono commessi “contro un culto ammesso nello Stato”.

 

La Corte, dopo aver richiamato le precedenti sentenze n. 329 del 1997 e n. 508 del 2000, ha ribadito che “le esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose […] sono riconducibili, da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di religione sancito dall’art. 3 Cost., dall’altro al principio di laicità o non-confessionalità dello Stato, che implica, tra l’altro, equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall’art. 8 Cost., ove è appunto sancita l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge”.

 

A proposito del problema della qualificazione delle confessioni religiose, la sentenza n. 346 del 2002 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale di una disposizione di una legge della Regione Lombardia, che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.

La Corte ha così motivato la decisione: “le intese di cui all’art. 8, terzo comma, Cost. sono lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti che si collegano alle specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione, loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose”.

Ciò – secondo la Corte – è tanto più vero in una situazione normativa in cui la stipulazione delle intese è rimessa non solo alla iniziativa delle confessioni interessate (le quali potrebbero anche non voler ricorrere ad esse, avvalendosi solo del generale regime di libertà e delle regole comuni stabilite dalle leggi), ma anche, per altro verso, al consenso prima del Governo – che non è vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda l’obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l’intesa – e poi del Parlamento, cui spetta deliberare le leggi che, sulla base delle intese, regolano i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato.

Pertanto, ha concluso la Corte, vale in proposito il divieto di discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 della Costituzione e ribadito, per quanto qui interessa, dall’art. 8, primo comma. Ne risulterebbe, in caso contrario, violata anche l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario, e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza la possibilità delle diverse confessioni di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge in esame.

Il dialogo interreligioso

Il ministro dell’interno Pisanu ha in pi occasioni sottolineato l’esigenza di valutare attentamente i problemi derivanti dalla sempre crescente presenza nel nostro Paese di immigrati provenienti da aree culturali molto diverse e di governare in termini di integrazione e non di conflitto i rapporti con cittadini di culti diversi da quello cattolico[10].

 

In relazione all’attuale situazione caratterizzata da una costante minaccia del terrorismo internazionale e del fanatismo integralista religioso, il ministro, con una circolare del proprio Gabinetto del 23 settembre 2004[11], ha posto in rilievo l’esigenza essenziale di favorire nel nostro Paese il dialogo tra le diverse religioni presenti, in particolare quella islamica, e la convivenza tra culture diverse, promuovendo iniziative concrete: ciò costituisce un obiettivo primario proprio al fine di precludere ogni spazio di proselitismo al fanatismo integralista religioso.

 

Tale è stata la motivazione posta alla base dell’iniziativa sul “Dialogo interreligioso quale fattore di coesione sociale” promossa durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea e che ha portato all’adozione di un’apposita Dichiarazione dei Ministri dell’interno dell’Unione europea[12].

A livello nazionale, anche in considerazione della specificità e consistenza della comunità di fede islamica (circa un milione di persone[13]), con decreto ministeriale 10 settembre 2005[14] è stata istituita la Consulta per l’Islam italiano, un organo centrale consultivo che si pone l’obiettivo di avviare un dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di agevolare la costruzione di un Islam italiano, fondato sui propri valori religiosi e culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi italiane.

 

La Consulta ha iniziato il proprio lavoro decidendo di dedicare specifiche riunioni all’approfondimento dei principali problemi del dialogo interreligioso e dell’integrazione, assegnando particolare importanza ai temi della scuola, della casa, del lavoro, della cittadinanza, della famiglia, la formazione degli imam, della corretta informazione[15].



[1]     Al disegno di legge del Governo sono stati abbinati due progetti di iniziativa parlamentare (A.C. 1576, presentato dagli onn. Spini ed altri, e A.C. 1902, d’iniziativa dell’on. Molinari).

[2]     A.C. 3947, XIII legislatura.

[3]     L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi.

[4]     La libertà religiosa è garantita, oltre che da tale disposizione, dall’articolo 19 della Costituzione, che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa e dall’articolo 20 che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose.

[5]     D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

[6]     D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

[7]     L. 24 febbraio 2006, n. 85, Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.

[8]     Legge 5 ottobre 1993, n. 409, Integrazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione.

[9]     L. 22 novembre 1988, n. 516, Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno.

[10]    Cfr. in particolare l’intervento del ministro presso la Commissione affari costituzionali della Camera nella seduta del 23 novembre 2004.

[11]    La circolare non risulta pubblicata: una sintesi del contenuto è stata tratta dal sito del Ministero dell’interno.

[12]    Nella Dichiarazione è stato riconosciuto il contributo positivo che il dialogo tra le fedi è in grado di dare all’interno della società europea e la sua capacità di porsi come mezzo di pace in Europa e ai suoi confini, in particolare nell’area del Mediterraneo la cui stabilità dipende in larga misura dalla convivenza tra diverse religioni.

L’iniziativa della Presidenza italiana è stata poi approvata dai Capi di Stato e di governo che, nel Consiglio europeo del 12 dicembre 2003, hanno incoraggiato gli Stati ad appoggiare un “dialogo intenso, aperto e trasparente con le varie comunità religiose”. Il tema del dialogo interreligioso figura pertanto tra le priorità che l’Unione europea si è data in materia di lotta al terrorismo e di politica dell’immigrazione.

[13]    Cfr. anche Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2005. XV Rapporto, ottobre 2005.

[14]    Ministro dell’interno, Decreto 10 settembre 2005, Istituzione della Consulta per l’Islam italiano, pubblicato nella G.U. 26 ottobre 2005, n. 250.

[15]    Cfr. la nota diffusa il 26 aprile 2006 dal Ministero dell’interno con la quale si commenta l’ultima riunione dell’organismo.