Libertà religiosa – Il progetto di riforma

La Camera ha discusso un disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 2531) recante norme in materia di libertà religiosa che riproduce, con alcune modifiche, il testo di un progetto di legge del Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura[1].

Al disegno di legge del Governo sono stati abbinati due progetti di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 1576, Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi, presentato dagli onn. Spini ed altri, e A.C. 1902, Norme sulla libertà religiosa, d’iniziativa dell’on. Molinari) di impianto simile a quello del disegno di legge del Governo.

La Commissione Affari costituzionali ha approvato un primo testo il 9 aprile 2003; il 24 giugno 2003 l’Assemblea ne ha deliberato il rinvio in Commissione per ulteriori approfondimenti; la Commissione ha quindi concluso l’esame in sede referente il 13 aprile 2005, riformulando la relazione presentata il 9 aprile 2003 (A.C. 2531 e abb. – A/R); il progetto è rimasto in stato di relazione per l’Assemblea al momento dello scioglimento delle Camere.

 

La Commissione Affari costituzionali ha iniziato l’esame in sede referente delle tre proposte il 30 maggio 2002.

Dopo una serie di sedute in cui si sono svolti interventi di carattere generale, il 9 luglio 2002 la Commissione ha deliberato, ai sensi dell’articolo 79, comma 5, del regolamento, lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti alla libertà religiosa nell’ambito dell’esame dei progetti di legge vertenti su tale materia.

La Commissione ha quindi svolto dal 22 ottobre al 26 novembre 2002 le seguenti audizioni nell’ambito del programma di indagine:

 

seduta

soggetti auditi

22 ottobre 2002

Giorgio Villella, segretario dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.

 

Carlo Cardia, componente della Commissione consultiva per la libertà religiosa della Presidenza del Consiglio

 

don Gianni Baget Bozzo

 

Francesco Castro, professore di diritto islamico presso la II Università di Roma Tor Vergata

31 ottobre 2002

Francesco Pizzetti, presidente della Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale

 

Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano e di storia ed istituzioni dei paesi islamici presso la facoltà di scienze politiche delle Università di Trieste e Urbino

19 novembre 2002

Domenico Maselli, professore di storia del cristianesimo presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Firenze.

 

Roberta Aluffi Beck Peccoz, professore associato di Sistemi giuridici comparati presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino

 

Pierluigi Zoccatelli, vice direttore del Centro europeo per lo studio delle nuove religioni

26 novembre 2002

monsignore Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana e Venerando Marano, direttore dell’Osservatorio giuridico della Conferenza episcopale italiana

 

Giuseppe Ferrari, segretario nazionale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa

 

Franco Cardini, professore ordinario di Storia medievale presso la facoltà di Lettere dell’Università di Firenze

 

L’esame dei provvedimenti è quindi ripreso il 10 dicembre 2002; il 22 gennaio 2003 si è conclusa la discussione generale con le repliche del relatore on. Bondi (FI) e del Sottosegretario per l’interno D’Alì e con l’adozione come testo base del disegno di legge C. 2531 del Governo.

Dopo vari rinvii dell’esame del provvedimento richiesti anche dal relatore in considerazione dell’elevato numero degli emendamenti, presentati in modo particolare da deputati della maggioranza (e più specificamente della Lega Nord, che ha più volte ribadito nel corso dell’esame la propria contrarietà rispetto al contenuto del disegno di legge), e a motivo della complessità degli argomenti posti, il 26 marzo è iniziata la votazione degli emendamenti, per concludersi il 9 aprile 2003 con la delibera da parte della Commissione di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul testo approvato (A.C. 2531 e abb.-A).

Il 10 aprile 2003 si è svolta in Assemblea la discussione sulle linee generali e le repliche del relatore e del Governo; dopo un’ulteriore interruzione dei lavori, nella seduta del 24 giugno 2003, è stata approvata la proposta, avanzata dal relatore a nome del Comitato dei nove, di un rinvio in Commissione del progetto, ritenendosi necessario un periodo aggiuntivo di riflessione al fine di presentare in Aula un provvedimento in grado di ottenere un consenso e un’approvazione il più ampia possibile.

Il 20 aprile 2004 la Commissione ha ripreso l’esame del progetto di legge; il 4 maggio è stata approvata la proposta del presidente di nominare un Comitato ristretto nell’ambito del quale affrontare le questioni maggiormente controverse.

La Commissione si è riunita quindi il 23 novembre 2004 per audire il ministro dell’interno Pisanu, il quale ha svolto alcune considerazioni sul riconoscimento della diversità religiosa quale componente sempre più rilevante delle dinamiche sociali del nostro Paese nonché sul disegno di legge all’esame della Commissione, dichiarando di condividerne le finalità, in piena coerenza con la relazione presentata all’Assemblea dall’on. Bondi.

Dopo le dimissioni dell’on. Bondi dal mandato di relatore, è stata investita dell’incarico l’on. Paoletti Tangheroni, la quale, nella seduta del 14 dicembre 2004, ha svolto la relazione in cui ha ribadito la necessità di un intervento normativo che dia piena attuazione agli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione, abrogando la legge del 1929, e ha richiamato l’intervento in Commissione del ministro dell’interno, il quale aveva sottolineato l’esigenza di valutare attentamente i problemi multietnici presenti nel nostro Paese e di governare in termini di integrazione e non di conflitto i rapporti con cittadini di culti diversi da quello cattolico.

Il 16 dicembre la Commissione ha adottato quale testo base per il seguito dell’esame il testo predisposto nella precedente fase di esame in sede referente, al quale sono stati presentati, il 19 gennaio 2005, emendamenti e articoli aggiuntivi.

Il provvedimento è stato iscritto nel calendario dei lavori dell’Assemblea, su richiesta dei gruppi di opposizione – sin dall’inizio favorevoli a una legge in materia – per il mese di febbraio.

Il 13 aprile 2005, a conclusione della votazione degli emendamenti, la Commissione ha deliberato, con il voto contrario della Lega Nord e l’astensione di Alleanza nazionale, di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul nuovo testo.

Il provvedimento non è stato discusso dall’Assemblea.

Il contenuto del progetto di riforma

Nel testo approvato dalla I Commissione il 13 aprile 2005 (A.C. 2531 e abb. – A/R), il disegno di legge è composto di 41 articoli, suddivisi in quattro capi:

§      il capo I detta norme in materia di libertà di coscienza e di religione;

§      il capo II è dedicato alla disciplina delle confessioni e associazioni religiose;

§      il capo III regola la stipulazione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione;

§      il capo IV reca disposizioni finali e transitorie.

Libertà di coscienza e di religione (capo I)

In generale

I primi due articoli riconoscono e garantiscono, rispettivamente, la libertà di coscienza e di religione e le relative manifestazioni.

In particolare, l’articolo 1 enuncia espressamente la garanzia, riconosciuta a tutti, del diritto fondamentale, proprio della persona, della libertà di coscienza e di religione, sulla base delle disposizioni costituzionali, dell’ordinamento giuridico italiano, delle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell’uomo ratificate dall’Italia e dei princìpi del diritto internazionale in materia.

L’articolo 2 garantisce invece le manifestazioni proprie di tale libertà, enumerando i diritti:

§      di professare liberamente la propria religione, in forma individuale o associata;

§      di diffonderla e di farne propaganda;

§      di osservarne i riti e di esercitare il culto in privato e in pubblico;

§      di mutare religione o credenza;

§      di non averne alcuna.

Il contenuto essenziale del diritto di libertà religiosa consiste quindi nell’assicurare all’individuo la possibilità di estrinsecare la propria personalità religiosa in varie direzioni: dal soddisfacimento dei bisogni dello spirito (professione di fede ed atti di culto), al bisogno di far partecipi gli altri delle proprie idee (propaganda, riunione, corrispondenza) e di costituire organizzazioni o partecipare ad esse (associazione). In tal senso, l’articolo 4 estende espressamente i diritti di riunione ed associazione, previsti dagli articoli 17 e 18 Cost., anche alla finalità di religione o culto; mentre l’ultimo periodo dell’art. 2 precisa che non possono essere disposte limitazioni alla libertà di coscienza e di religione diverse da quelle previste dall’art. 18 Cost. il quale, garantendo la libertà di associazione, la limita (secondo comma) solo con riguardo alle associazioni segrete e a quelle che perseguono fini penalmente illeciti, ovvero scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare e dall’art. 19, in base al quale tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Il testo fa riferimento, inoltre, all’art. 20 Cost., il quale peraltro non prescrive limitazioni di sorta, anzi esclude che possano derivarne dal carattere ecclesiastico o dal fine di religione o di culto di una associazione o istituzione.

Le facoltà in cui si estrinseca la libertà religiosa sono elencate nell’articolo 5, comma 1; la libertà religiosa comprende quindi:

§      il diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa e di recedere da essa;

§      il diritto di partecipare alla vita ed all’organizzazione della confessione religiosa di appartenenza in conformità alle sue regole.

Divieto di discriminazione

Il comma 2 del citato articolo 5 ribadisce, a tutela dei diritti connessi alla libertà religiosa, che non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di discriminare, recare molestia o nuocere a coloro che esercitano tali diritti.

L’articolo 3, più in generale, vieta qualunque discriminazione o costrizione in ragione della propria religione. Viene altresì escluso l’obbligo di dichiarazioni specificamente relative alla propria appartenenza confessionale.

Obiezione di coscienza

L’articolo 6 stabilisce (comma 1) che i cittadini hanno diritto di agire secondo i dettami imprescindibili della propria coscienza, nel rispetto dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione, mentre viene demandata (comma 2) alla legge la disciplina delle modalità per l’esercizio dell’obiezione di coscienza nei vari settori.

Esercizio della libertà religiosa e pratiche di culto

L’articolo 7, al comma 1, afferma il principio secondo cui l’appartenenza alle Forze armate, alle Forze di polizia o ad altri servizi assimilati, la degenza in strutture sanitarie, socio-sanitarie ed assistenziali (ospedali, case di cura etc.) o la permanenza in istituti di prevenzione e pena non impediscono l’esercizio della libertà religiosa agli appartenenti alle confessioni religiose che non hanno stipulato intese con lo Stato italiano.

In ogni caso, da tali adempimenti non devono derivare nuovi o maggiori oneri per le amministrazioni interessate.

Il comma 2 demanda le modalità di attuazione della norma a regolamenti ministeriali, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari; per le Forze armate, le Forze di polizia e i servizi assimilati, tali modalità dovranno essere compatibili con le esigenze di servizio.

Il comma 3 mira ad assicurare, in caso di decesso, la celebrazione delle esequie (previa intesa con i familiari del defunto) ad opera di un ministro di culto della religione di appartenenza. Tale disposto è riferito alle confessioni religiose che abbiano personalità giuridica.

L’articolo 8 opera, al comma 1, un generale rinvio alla legislazione vigente con riguardo a vari aspetti della tutela della libertà religiosa nel lavoro domestico e nei luoghi di lavoro.

A fronte della completezza delle disposizioni recate dall’art. 7 in relazione a professioni e situazioni particolari, il comma 1 dell’art. 8 si limita ad operare un rinvio alle norme vigenti limitatamente ai seguenti aspetti:

§         l’adempimento dei doveri essenziali del culto nel lavoro domestico;

§         il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di lavoro e la nullità di patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa;

§         il divieto di indagine sulle opinioni religiose.

Il comma 2 rimette, invece, ai contratti collettivi e individuali di lavoro l’esercizio della libertà religiosa nelle sue varie espressioni.

Il libero svolgimento di altre attività ricollegabili all’esercizio della libertà religiosa, quali le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni, o le collette effettuate all’interno ed all’ingresso dei luoghi di culto, è garantito dall’articolo 12.

L’articolo 13 introduce infine, a tutela della loro destinazione, limitazioni agli interventi pubblici su edifici aperti al culto di confessioni religiose aventi personalità giuridica. Tali interventi (occupazione, requisizione, espropriazione, demolizione) sono possibili solo per gravi motivi e sentite le confessioni stesse.

Ministri di culto e celebrazione del matrimonio

L’articolo 9 è volto ad attuare il principio della libertà di organizzazione confessionale, sancendo la libertà per i ministri di culto di svolgere il loro ministero spirituale (comma 1) e stabilendo (comma 2) che i ministri di culto appartenenti a confessioni religiose che non abbiano stipulato un’intesa con lo Stato italiano (purchè cittadini italiani), possono compiere atti destinati ad avere rilevanza giuridica nello Stato, previa approvazione della loro nomina da parte del Ministro dell’interno. Le modalità e le procedure per l’approvazione sono rimesse a un regolamento ministeriale.

L’articolo 10 disciplina la celebrazione del matrimonio davanti ad un ministro di culto la cui nomina sia stata approvata dal Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 9, comma 2: ricollegandosi alla normativa del 1929, l’articolo presuppone che sia il singolo a voler celebrare il matrimonio con effetti civili in forma religiosa, e che il ministro di culto appartenga ad una confessione che non abbia stipulato intese ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost..

La disposizione, ai fini del riconoscimento degli effetti civili dei matrimoni celebrati secondo le modalità di seguito illustrate, impone l’obbligo della trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri di stato civile.

L’iter procedurale prevede che dopo la richiesta delle pubblicazioni da parte dei nubendi, l’ufficiale di stato civile rilasci loro un nulla osta dal quale risulti tra l’altro l’inesistenza d’impedimenti al matrimonio e si attesti che l’ufficiale di stato civile ha provveduto a spiegare ai nubendi medesimi i diritti ed i doveri dei coniugi attraverso la lettura dei relativi articoli del codice civile.

Ai sensi dei commi 3 e 4 il ministro di culto, dopo aver celebrato il matrimonio, trasmette il relativo certificato – cui è allegato il nulla osta – all’ufficiale di stato civile (entro e non oltre cinque giorni dalla celebrazione); la trascrizione del matrimonio deve essere effettuata entro ventiquattro ore dalla ricezione di detta documentazione. Indipendentemente dalla tempestività della trascrizione, gli effetti civili del matrimonio decorrono in ogni caso dalla celebrazione (comma 5).

Mentre il comma 7 reca disposizioni di coordinamento (sostituendo all’art. 83 c.c. l’espressione “culti ammessi nello Stato” con quella di “culti diversi dal cattolico”), il comma 8 specifica che le nuove procedure introdotte dall’articolo non pregiudicano quanto stabilito nelle intese stipulate ai sensi dell’art. 7, secondo comma, e dell’art. 8 terzo comma, Cost..

Attività scolastiche

L’articolo 11 reca, al comma 1 una disposizione di ordine generale inerente all’insegnamento nelle scuole pubbliche, che deve svolgersi “nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione”. Si tratta di una specificazione dei princìpi generali introdotti nei primi articoli del progetti di legge, ricavabile altresì dai principi di libertà di insegnamento.

Il successivo comma stabilisce che, nell’ambito delle attività di promozione culturale sociale e civile previste dall’ordinamento scolastico, gli alunni e i genitori possano chiedere agli organi competenti di svolgere “libere attività didattiche complementari” relative allo studio delle religioni.

Confessioni e associazioni religiose (capo II)

Libertà delle confessioni religiose

L’articolo 14 enuncia i diritti che competono a tutte le confessioni religiose in attuazione dell’art. 8, primo comma, Cost., che riconosce eguale libertà a tutte le confessioni senza richiedere per ciascuna di esse alcun requisito formale o sostanziale.

Tra i diritti riconosciuti, quelli di celebrare i propri riti (purchè non contrari al buon costume: cfr. art. 19 Cost.), di aprire edifici di culto, di diffondere la propria religione, di nominare i propri ministri, di emanare atti in materia spirituale, di assistere i propri fedeli; di corrispondere liberamente con proprie organizzazioni o con altre confessioni, di promuovere la valorizzazione delle proprie espressioni culturali, nel rispetto dei diritti e delle libertà delle altre confessioni religiose.

Il comma pone 2 pone espressamente il divieto di fare propaganda politica consistente nell’incitamento all’odio e alla discriminazione fra le confessioni religiose.

Riconoscimento della personalità giuridica

Gli articoli da 15 a 19 disciplinano l’iter procedurale finalizzato al riconoscimento civile della personalità giuridica delle confessioni religiose: l’elemento di maggior rilievo di tale disciplina normativa risiede nell’estensione alle confessioni “prive di intesa” della possibilità di richiedere, direttamente o per il tramite di un proprio ente esponenziale, il riconoscimento della personalità giuridica.

Per quanto attiene ai modi di acquisto della personalità giuridica, si può preliminarmente osservare che la normativa proposta (articolo 15) si richiama alla procedura in passato adottata[2] per il riconoscimento di tutti i nuovi enti, cattolici e non cattolici, a carattere unitario e su base nazionale: proposta e previa istruttoria del ministro dell’interno, acquisizione del parere del Consiglio di Stato, deliberazione del Consiglio dei ministri, decreto del Presidente della Repubblica.

 

Pur essendo venuta meno l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato con l’approvazione della legge 127/1997 (art. 17, commi 25-27), che ha dettato una disciplina generale dei pareri di tale organo, stabilendo tassativamente i casi in cui i pareri sono obbligatori e non ricomprendendo tra questi il riconoscimento della personalità giuridica[3], rimane tuttavia in capo all’Amministrazione la facoltà di richiedere il parere dell’organo consultivo qualora ne ravvisi la necessità.

 

L’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato, che il progetto di legge intende reintrodurre, è motivata sulla base dell’esigenza di verificare sia la compatibilità dello statuto della confessione religiosa con l’ordinamento giuridico, sia la stessa natura confessionale dell’associazione che chiede il riconoscimento, in considerazione del fatto che l’ordinamento giuridico non definisce cosa sia una confessione religiosa.

 

L’articolo 16 dispone che l’istanza di riconoscimento sia corredata dello statuto e di una documentazione (i cui contenuti sono definiti dall’articolo 17) in cui risultino – oltre all’indicazione della denominazione e della sede e delle caratteristiche della confessione – le norme di organizzazione, amministrazione e di funzionamento nonché “ogni elemento utile alla conoscenza della presenza nel tessuto sociale e alla valutazione della stabilità e della base patrimoniale di cui dispone la confessione o l’ente esponenziale in relazione alle finalità perseguite”. Particolare rilievo presenta la seconda parte dell’art. 17, co. 1, il quale – circoscrivendo l’ambito di discrezionalità nella valutazione degli organi amministrativi – dispone che il parere del Consiglio di Stato verta principalmente sulla natura confessionale dell’organizzazione richiedente, sulla conformità dello statuto e dell’attività della confessione religiosa all’ordinamento giuridico italiano nonchè sull’assenza, nello statuto medesimo, di disposizioni lesive dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.

L’art. 16 pone inoltre, quali condizioni per la presentazione dell’istanza, che la sede del soggetto sia in Italia e che esso sia rappresentato da un cittadino italiano avente domicilio in Italia.

Gli adempimenti successivi al riconoscimento della personalità giuridica riflettono, in linea generale, la normativa derivante dalle intese con le confessioni religiose ex art. 8 Cost.: l’articolo 18 prescrive che la confessione riconosciuta si iscriva nel registro delle persone giuridiche (come già previsto per gli enti delle confessioni pentecostale, avventista, ebraica, battista e luterana), con la specificazione delle norme di funzionamento e dei poteri degli organi rappresentativi dell’ente. La mancata iscrizione entro il termine di trenta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto di riconoscimento comporta l’impossibilità dell’attività negoziale sino all’iscrizione nel registro predetto.

L’articolo 19 condiziona  al riconoscimento governativo l’efficacia civile di ogni mutamento sostanziale che interessi gli elementi identificativi della confessione religiosa o del relativo ente esponenziale riconosciuto (fine, destinazione del patrimonio, modo di esistenza).

Qualora intervenga un mutamento che implichi la perdita di uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento, quest’ultimo può essere revocato con le stesse modalità procedurali precedentemente richiamate.

L’articolo 23 al fine di dare esplicita attuazione all’art. 20 Cost. (che vieta trattamenti speciali restrittivi nei confronti di associazioni ed istituzioni aventi “carattere ecclesiastico” e “fine di religione o di culto”), prevede che associazioni e fondazioni con finalità di religione e di culto possano ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con decreto del Ministro dell’interno, previo accertamento del fine di religione o di culto.

Acquisti delle confessioni religiose; edilizia di culto; sepoltura dei defunti

L’articolo 20 rinvia per gli acquisti delle confessioni religiose o dei loro enti esponenziali alle leggi civili concernenti gli acquisti delle persone giuridiche.

L’articolo 21 estende, al comma 1, l’applicabilità alle confessioni religiose che hanno acquisito la personalità giuridica, delle norme sulla concessione e locazione dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e degli enti locali vigenti per gli enti ecclesiastici, nonché di quelle che regolano l’utilizzo di fondi per gli interventi di costruzione, restauro e conservazione di edifici aperti al culto. L’estensione è peraltro limitata alle confessioni che abbiano una presenza organizzata nell’ambito del relativo comune. Inoltre, l’applicazione di tali disposizioni è definita sulla base di intese stipulate con le autorità competenti, tenuto conto delle esigenze religiose della popolazione.

L’articolo 22 dispone che la sepoltura dei defunti sia effettuata secondo il rito della confessione di appartenenza, se avente personalità giuridica, compatibilmente con le norme di polizia mortuaria e con quelle in materia di cremazione. È esplicitamente fatto salvo l’art. 100 del regolamento di polizia mortuaria, ai sensi del quale i piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico.

Regime tributario; attività delle confessioni religiose

L’articolo 24 rimette alla legge l’indicazione dei casi in cui, sotto il profilo tributario, le confessioni religiose aventi personalità giuridica (o i loro enti esponenziali) aventi fine di religione, credenza o culto, nonché le attività dirette a tali scopi sono equiparate agli enti ed alle attività aventi finalità di beneficenza o di istruzione.

Quanto alle altre attività svolte, diverse da quelle di religione, credenza o culto, si stabilisce che resta valido il regime vigente, ivi compreso quello tributario.

L’articolo 25 opera una distinzione tra le attività religiose e di culto e le altre attività: riprendendo una ripartizione già invalsa nella legislazione ecclesiastica (art. 16 della legge 222/1985), agli effetti civili, sono ricomprese nella prima categoria le attività “dirette all’esercizio del culto e dei riti, alla cura delle anime, a rispondere alle esigenze spirituali della persona, alla formazione dei ministri di culto, a scopi missionari e di diffusione della propria fede ed all’educazione religiosa”. Rientrano nella sfera delle altre attività, quelle di “assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.

L’articolo 26 ha natura esclusivamente ricognitiva, limitandosi a confermare l’obbligo di iscrizione al “Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica”, istituito con la legge 903/1973[4], per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, sulla base delle procedure e con le modalità previste dalla legge stessa.

Stipulazione di intese (capo III)

La disciplina del procedimento per la stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica è contenuta nel capo III del progetto di legge (articoli da 27 a 36).

Il procedimento proposto per la stipulazione delle intese ricalca sostanzialmente quello che si è andato affermando nella prassi (v. scheda Libertà religiosa – La stipulazione delle intese) e si può suddividere in tre fasi:

§         la fase preliminare, relativa alle modalità di presentazione della istanza da parte della confessione religiosa (artt. 27-29);

§         la fase di formazione dell’intesa, fino alla firma della stessa (artt. 30-34);

§         la fase finale, di perfezionamento dell’intesa con la ratifica parlamentare (art. 35).

Per quanto riguarda la fase preliminare, il progetto di legge consente la presentazione dell’istanza per la stipulazione dell’intesa, sia alle confessioni religiose riconosciute come enti morali sia a quelle che non abbiano avuto tale riconoscimento. Si tratta di una innovazione rispetto al procedimento utilizzato nella prassi, in cui non si procede nemmeno all’esame dell’istanza nel caso di presentazione da parte di confessione non riconosciuta.

Come unica condizione per la presentazione dell’istanza si richiede che la confessione sia dotata di un proprio statuto e che questo non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico (art. 27). La richiesta, da presentare al Presidente del Consiglio, deve essere accompagnata dalla documentazione, compreso lo statuto, da cui risulti l’organizzazione della confessione. Si tratta della stessa documentazione richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica alle confessioni prive di intesa, ai sensi dell’articolo 17 del provvedimento, cui si rinvia.

Nel caso delle istanze presentate dalle confessioni non aventi personalità giuridica, l’avvio della procedura è subordinata alla verifica che lo statuto della confessione religiosa non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico e non contenga disposizioni lesive dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali. La verifica è effettuata dal Ministero dell’interno, su richiesta del Presidente del Consiglio, e previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato (art. 28).

Infine, prima di procedere all’inizio delle trattative per la definizione dell’intesa, il Presidente del Consiglio procede ad una specie di preistruttoria (“acquisite le necessarie valutazioni per decidere se avviare le trattative”), ed invita formalmente la confessione interessata a indicare i propri rappresentanti, responsabili delle trattative (art. 29).

Una volta compiute le formalità sopra brevemente descritte, prende avvio il procedimento vero e proprio di formazione dell’intesa. Le trattative sono condotte da parte della confessione religiosa da propri rappresentanti indicati ai sensi dell’art. 29, e da parte del Governo, dal sottosegretario di Stato con l’incarico di segretario del Consiglio dei ministri, delegato dal Presidente del Consiglio. La base della trattativa è costituita dalle proposte formulate da una Commissione di studio ad hoc (vedi infra). Al termine delle trattative si giunge ad un progetto di intesa che il Sottosegretario di Stato trasmette al Presidente del Consiglio accompagnato da una propria relazione (art. 30).

La commissione di studio con il compito di elaborare il progetto per le trattative è disciplinata dal successivo art. 31.

Si tratta di una commissione che rientra tra i gruppi di studio o di lavoro misti, ossia formati da rappresentanti della pubblica amministrazione e da esperti esterni, che il Presidente del Consiglio può istituire ai sensi della L. 400/1988, art. 5, co. 2, lett. i). La commissione, istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è composta dal Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno – o da un suo delegato – e da rappresentanti delle amministrazioni interessate con incarico di dirigente di prima fascia o equiparato. La confessione religiosa interessata designa propri rappresentanti (scelti tra cittadini italiani) in numero pari a quello dei funzionari pubblici.

Il Presidente del Consiglio sceglie il presidente della commissione tra le categorie indicate dall’articolo 29, comma 2, della L. 400 del 1988: magistrati, docenti universitari, avvocati dello Stato, dirigenti e altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici, anche economici, delle aziende a prevalente partecipazione pubblica, ed esperti esterni all’amministrazione dello Stato.

 

Attualmente il compito di predisporre le bozze di intesa è svolto dalla Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita la prima volta nel 1985. La commissione attualmente in carica è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 1997 e riconfermata dal Governo in carica nella XIV legislatura; essa è presieduta dal prof. Franco Pizzetti ed è composta da rappresentanti dei Ministeri interessati: interno, giustizia, tesoro, finanze (ora accorpati nel Ministero dell’economia e delle finanze), difesa, pubblica istruzione (ora istruzione, università e ricerca), beni e attività culturali, sanità (ora salute). La Commissione, su indicazione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta.

 

Oltre alla commissione interministeriale, nella procedura vigente per la stipulazione di intese, interviene, con compiti consultivi, un altro organismo: la Commissione per la libertà religiosa, che il progetto di legge non prende in considerazione.

 

La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 14 marzo 1997, il quale le attribuisce funzioni di studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di massima in vista della loro stipulazione. Essa si esprime, altresì, su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e nell’Unione Europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.

 

Il progetto di intesa concordato tra il Presidente del Consiglio e la confessione religiosa viene sottoposto, prima della firma definitiva, ad un duplice controllo: del Consiglio dei ministri e delle Camere (art. 32).

Nel primo caso, il Presidente del Consiglio sottopone il progetto di intesa al Consiglio dei ministri che è chiamato a deliberare in proposito. Nel secondo caso, Le Commissioni parlamentari esprimono il parere entro 45 giorni dalla assegnazione.

Qualora nell’esame parlamentare o in seno al Consiglio dei ministri emergano osservazioni ed indirizzi di portata tale da rendere necessaria la modifica dell’intesa, il testo viene rimesso al Sottosegretario di Stato che riprende le trattative con le stesse procedure sopra viste (art. 33).

Infine, il procedimento si conclude con la firma dell’intesa da parte del Presidente del consiglio e il rappresentante della confessione religiosa (art. 34).

L’ultima fase consiste nella presentazione al Parlamento da parte del Governo del disegno di legge di approvazione dell’intesa (art. 35).

 

L’ambito di intervento del Parlamento è limitato alla possibilità di approvare o respingere il disegno di legge di recepimento dell’intesa, dal momento si è affermata la prassi di restringere l’emendabilità del testo esclusivamente a modifiche di carattere formale.

In questo senso, è particolarmente innovativa la disposizione introdotta dagli articoli 32 e 33 del progetto di legge, laddove si prevede che il progetto di intesa sia sottoposto all’esame delle Camere e che il Governo deve tener conto delle osservazioni emerse in quella sede. Si introduce, pertanto, una specie di parlamentarizzazione” del procedimento di formazione delle intese: il coinvolgimento preventivo delle Camere compensa la scarsa possibilità di incidere sul disegno di legge di approvazione.

 

Conclude il capo III esame, l’articolo 36, relativo ad una materia estranea alla stipulazione delle intese.

Si tratta, infatti, della questione della applicazione di disposizioni di legge relative a specifiche materie che riguardino i rapporti tra lo Stato e singole confessioni religiose che hanno personalità giuridica[5]. In questi casi si provvede con decreto del Presidente della Repubblica su richiesta della confessione e previa intesa (da intendersi nel senso di “concertazione”, come si legge nella relazione illustrativa) con essa.

 

Si tratta di una procedura già utilizzata soprattutto nella normativa in vigore in materia di previdenza, come ad esempio la legge istitutiva del Fondo di previdenza dei ministri di culto (sul quale, vedi supra). Il fondo, istituito presso l’INPS, eroga le pensioni per i sacerdoti cattolici e i ministri di culto delle confessioni non cattoliche, che sono tenuti ad iscriversi e a contribuire al fondo medesimo. La legge disciplina dettagliatamente la tenuta del fondo e le modalità di contribuzione, ma demanda la concreta applicazione della legge nei confronti delle confessioni acattoliche alla concertazione tra Governo e singole confessioni. I risultati della concertazione sono recepiti da decreti del Ministro dell’interno (a differenza del progetto di legge che prevede l’emanazione di decreti del Presidente della Repubblica).

Disposizioni finali e transitorie (capo IV)

Gli articoli da 37 a 41 recano disposizioni transitorie concernenti le confessioni religiose già riconosciute, la salvaguarda del regime giuridico e previdenziale dei ministri di culto la cui nomina sia stata approvata ai sensi della legge 1159/1929, le confessioni religiose che siano persone giuridiche straniere, il mantenimento in vigore delle disposizioni di origine negoziale emanate in attuazione di accordi e Intese già stipulate; le abrogazioni.



[1]     A.C. 3947, XIII legislatura.

[2]     La legislazione vigente sui c.d. culti ammessi, recata dalla citata L. 1159/1929 (art. 2) stabilisce che: “Gli istituti di culti diversi dalla religione dello Stato possono essere eretti in ente morale, con regio decreto su proposta del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, di concerto col Ministro per l’interno, uditi il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri”. Per quanto riguarda gli enti cattolici, l’art. 1 della L. 20 maggio 1985, n. 222, prevede che: “Gli enti costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato”.

[3]     L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. Gli atti per i quali rimane obbligatorio il parere del Consiglio di Stato sono:

§       gli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della L. 400/1988;

§       i testi unici ;

§       i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;

§       gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.

[4]     L. 22 dicembre 1973, n. 903, Istituzione del Fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e nuova disciplina dei relativi trattamenti pensionistici.

[5]     La norma, dunque, è diretta sia alle confessioni che hanno stipulato intese, sia a quelle che non lo hanno fatto.