Libertà religiosa – La stipulazione delle intese

La Costituzione sancisce il diritto di professare le proprie convinzioni, anche religiose. In particolare, l’articolo 3 prevede la non discriminazione in base a ragioni legate al sesso alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e, appunto, alla religione, e l’articolo 21 il diritto per tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero.

La libertà religiosa è garantita dall’articolo 19 che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa e dall’articolo 20 che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose.

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, relativi ai rapporti tra Stato e, rispettivamente, Chiesa cattolica e confessioni non cattoliche.

I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica

L’articolo 7 della Costituzione stabilisce quale sia la reciproca posizione istituzionale dello Stato e della Chiesa cattolica, affermando che “sono ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

In base a tale articolo, i rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio 1929 e resi esecutivi con la L. 810/1929[1], nonché dall’Accordo di modificazione del Concordato e dal “Protocollo addizionale” del 18 febbraio 1984[2].

 

I Patti Lateranensi constavano, nella versione stipulata nel 1929 e parzialmente in vigore, di:

§       un Trattato, che ha restituito in forma simbolica la sovranità della Santa Sede su un territorio ed ha lo scopo di garantire alla stessa Santa Sede l’assoluta indipendenza per l’adempimento della sua missione nel mondo. A tal fine il Trattato riconosce alla Santa Sede sovranità internazionale, creando lo Stato della Città del Vaticano;

§       una Convenzione finanziaria, che ha regolato i rapporti finanziari collegati con la “questione romana” (sorta nel 1870 con l’annessione dello Stato Pontificio e di Roma all’Italia), liquidando l’indennizzo alla Santa Sede sia per la perdita degli Stati pontifici che dei beni degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato;

§         un Concordato, proposto come necessario completamento del Trattato, riguardando le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia.

La disciplina contenuta nell’Accordo di modificazione è racchiusa in 14 articoli che riguardano, fra gli altri temi: la libertà della missione della Chiesa, la libertà di comunicazione e corrispondenza dell’autorità ecclesiastica e quella dei cattolici in materia di associazione, riunione e manifestazione del pensiero, la libertà per l’autorità ecclesiastica di nominare i titolari degli uffici ecclesiastici (salvo comunicare all’autorità statale la nomina degli ufficiali che ricoprano uffici rilevanti per lo Stato, quali vescovi, parroci, etc.), la regolamentazione degli enti ecclesiastici e la gestione del patrimonio di questi, il nuovo regime del riconoscimento civile del matrimonio canonico e delle sentenze ecclesiastiche di nullità del vincolo, la disciplina delle scuole cattoliche parificate e delle Università cattoliche, nonché dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

Il Protocollo addizionale ha lo scopo di assicurare la migliore interpretazione dei Patti lateranensi ed evitare ogni difficoltà di interpretazione: viene eliminato il riferimento alla religione cattolica come religione di Stato (contenuta nel Concordato del 1929) e disciplina ulteriormente il regime del matrimonio canonico e l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche.

I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche

I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche (o acattoliche) sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. Viene riconosciuta alle confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano ed è posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Per quanto riguarda l’autonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che “al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti. Con questa autonomia istituzionale, che esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose.” La Corte ha quindi affermato il principio secondo cui il limite al diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i propri statuti, purché ‘non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano’ si può intendere riferito “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative”.

Il principio della regolazione con intesa, che, come si è visto, avrebbe dovuto costituire la forma principale di rapporto con le confessioni non cattoliche, in realtà è stato attuato solamente a partire dalla metà degli anni ‘80 e riguarda alcune delle varie confessioni presenti in Italia (vedi oltre).

Attualmente, la disciplina riguardante le confessioni non cattoliche presenti in Italia è diversa a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla stipulazione di una intesa con lo Stato.

I rapporti tra lo Stato e le confessioni non cattoliche prive di intesa

Per le confessioni prive di intesa è tuttora applicata la legge sui “culti ammessi”, legge 1159/1929[3] e il relativo regolamento di attuazione[4].

La legge del 1929 si fonda sul principio della libera ammissione dei culti diversi dalla religione cattolica “purché non professino princìpi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Entro questi limiti, viene affermata la libertà di coscienza e di culto in tutte le sue forme e dell’eguaglianza dei cittadini, qualunque sia la religione da essi professata.

 

Gli istituti dei culti non cattolici possono essere eretti in ente morale dallo Stato italiano. Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi tra cui la possibilità dell’ente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie.

D’altra parte, lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, sono previste le seguenti misure:

§      l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto con la precisazione che “nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti compiuti da tali ministri se la loro nomina non abbia ottenuto l’approvazione governativa”;

§      l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico

§      la vigilanza sull’attività dell’ente, al fine di accertare che tale attività non sia contraria all’ordinamento giuridico e alle finalità dell’ente medesimo. La vigilanza include la facoltà di ordinare ispezioni e, in caso di gravi irregolarità, di sciogliere l’ente e di nominare un commissario governativo per la gestione temporanea.

Il R.D. 289/1930 non si è limitato a dettare norme per l’attuazione della legge, ma ha stabilito princìpi nuovi ed in parte più restrittivi. Ad esempio:

§      è prevista la necessaria autorizzazione con decreto per l’apertura di templi o oratori, subordinatamente all’accertamento, da parte dell’autorità amministrativa, della necessità di essi “per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli” ed della sussistenza di “mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione”;

§      i fedeli di un culto ammesso possono tenere riunioni pubbliche, senza autorizzazione preventiva, solo negli edifici aperti al culto ed a condizione che la riunione sia “presieduta o autorizzata da un ministro di culto” nominato con la prevista autorizzazione.

Il R.D. 289/1930 prevede anche disposizioni di favore, quali:

§      la facoltà di prestare assistenza religiosa nei luoghi di cura e di ritiro, presso le Forze armate, gli istituti penitenziari;

§      le esenzioni dal servizio militare;

§      la possibilità, per i genitori di famiglia professante un culto non cattolico, di chiedere la dispensa per i propri figli dal frequentare i corsi di istruzione religiosa nelle scuole pubbliche e di ottenere che sia messo a loro disposizione un locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli.

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 346 del 2002, ha giudicato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione Lombardia che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.

 

La Corte ha affermato che le intese previste dall’art. 8, terzo comma, Cost. non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie, l’erogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.

 

Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti, associazioni o fondazioni di confessioni religiose presuppone come condizione ineludibile che si tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato.

La richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica è presentata dal soggetto interessato al prefetto. Alla domanda deve essere allegato lo statuto dell’ente. Il riconoscimento viene concesso, su proposta del ministro dell’interno, con decreto del Presidente della Repubblica, uditi il Consiglio di Stato (che esprime un parere di legittimità) ed il Consiglio dei ministri (il quale si pronuncia in merito alla opportunità politica).

 

Pur essendo venuta meno l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato con l’approvazione della legge 127/1997 (art. 17, commi 25-27), che ha dettato una disciplina generale dei pareri di tale organo, stabilendo tassativamente i casi in cui i pareri sono obbligatori e non ricomprendendo tra questi il riconoscimento della personalità giuridica[5], rimane tuttavia in capo all’Amministrazione la facoltà di richiedere il parere dell’organo consultivo qualora ne ravvisi la necessità.

 

A seguire, si elencano gli enti di culto (diversi dal cattolico) che hanno ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica e i relativi provvedimenti di riconoscimento.

 

Enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica

§         ASSOCIAZIONE DEI CRISTIANI ORTODOSSI IN ITALIA - GIURISDIZIONI TRADIZIONALI – D.P.R. ric. giur.14/1/1998 – mut. denom. D.P.R. 28/7/2004

§         ASSOCIAZIONE CHIESA DEL REGNO DI DIO – TORINO D.P.R.16/12/1988

§         ASSOCIAZIONE SANTACITTARAMA – D.P.R. 10/7/1995

§         CENTRO ISLAMICO CULTURALE D´ITALIA – D.P.R. 21/12/1974

§         CHIESA CRISTIANA EVANGELICA MISSIONARIA PENTECOSTALE DI OLIVARELLA DI MILAZZO - D.P.R. 16/12/1988

§         CHIESA CRISTIANA EVANGELICA INDIPENDENTE BEREA – D.P.R. 25/10/1999

§         CHIESA CRISTIANA MILLENARISTA – D.P.R. 17/5/1979

§         CHIESA DI CRISTO DI MILANO – D.P.R. 13/6/1977

§         CHIESA E CONFRATERNITA DEI SS. PIETRO E PAOLO DEI NAZIONALI GRECI – Regio Exequatur 20/2/1764

§         CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN ROMA – R.D. 14/11/1929

§         CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN SANREMO – D.P.R. 3/7/1966

§         COMUNITA´ ARMENA DEI FEDELI DI RITO ARMENO GREGORIANO – D.P.R. 24/2/1956

§         COMUNITA´ DEI GRECI ORTODOSSI IN VENEZIA – SOVRANE CONCESSIONI REPUBBLICA VENETA 28/11/1498, 4/10/1511 E 11/7/1526 – Statuto approvato 30/7/1940

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA RIFORMATA SVIZZERA DI TRIESTE – R.D. 4/4/1938

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA RIFORMATA SVIZZERA DI FIRENZE – Provvedimento Governo austriaco 7/1/1782

§         COMUNITA´ EVANGELICA DI MERANO DI CONFESSIONE AUGUSTANA – PROVVEDIMENTI GOVERNO AUSTRIACO 28/12/1875 E 5/1/1876

§         COMUNITA´ GRECO-ORIENTALE IN TRIESTE – PROVVEDIMENTI IMPERIALI 9/8/1782 E 7/3/1784 – statuto approvato con decreto imperiale 7/4/1786

§         COMUNITA´ RELIGIOSA SERBO-ORTODOSSA DI TRIESTE – prima approvazione statuto rescritto imperiale 28/2/1773 – ultimo statuto approvato D.P.R. 29/3/1989

§         CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA –  D.P.R. 31/10/ 1986

§         CONGREGAZIONE CRISTIANA EVANGELICA ITALIANA IN GENOVA-SAMPIERDA-RENA –  D.P.R. 26/10/1976

§         CONSULTA EVANGELICA –  D.P.R. 13/9/1999

§         ENTE CRISTIANO EVANGELICO DEI FRATELLI IN NOVI LIGURE – D.P.R. 13/11/1997

§         ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA DI GESU’ CRISTO DEI SANTI DEGLI ULTIMI GIORNI (MORMONI) –  D.P.R. 23/2/1993

§         F.P.M.T. ITALIA – FONDAZIONE PER LA PRESERVAZIONE DELLA TRADIZIONE MAHAYANA – D.P.R.20/ 7/1999

§         FONDAZIONE APOSTOLICA – ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA APOSTOLICA IN ITALIA – D.P.R. 21/2/ 1989

§         FONDAZIONE DELL´ASSEMBLEA SPIRITUALE NAZIONALE DEI BAHA´I D´ITALIA  D.P.R. 21/11/1966

§         ISTITUTO BUDDISTA ITALIANO SOKA GAKKAI –  D.P.R. 20/11/2000

§         ISTITUTO ITALIANO ZEN SOTO SHOBOZAN FUDENJI –  D.P.R. 5/7/1999

§         MOVIMENTO EVANGELICO INTERNAZIONALE “FIUMI DI POTENZA” –  D.P.R. 10/9/1971

§         OPERA DELLA CHIESA CRISTIANA DEI FRATELLI – R.D. 22/2/1891

§         SACRA ARCIDIOCESI ORTODOSSA D´ITALIA ED ESARCATO PER L´EUROPA MERIDIONALE (PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI) – D.P.R. 16/7/1998

§         SELF REALIZATION FELLOWSHIP CHURCH – ENTE DELLA CHIESA DELLA FRATELLANZA NELLA REALIZZAZIONE DEL SE´ – D.P.R. 3/7/1998

§         UNIONE BUDDHISTA ITALIANA (U.B.I.) – D.P.R. 3/1/1991

§         UNIONE INDUISTA ITALIANA (U.I.I.) SANATANA DHARMA SAMGHA –  D.P.R. 29/12/2000

§         CHIESA CRISTIANA BIBLICA – D.P.R. 28/1/2004

§         MISSIONI CRISTIANE INTERNAZIONALI – AVVENTISTI DEL SETTIMO GIORNO - MOVIMENTO DI RIFORMA – D.P.R. 28/1/2004

§         PRIMA CHIESA DEL CRISTO SCIENTISTA – D.P.R. 28/1/2004

§         CONGREGAZIONI CRISTIANE PENTECOSTALI - D.P.R. 20/6/2005

 

Fonte: Ministero dell’interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Direzione centrale degli affari dei culti (www.interno.it)

Le intese tra lo Stato e le confessioni non cattoliche

Per le confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano cessano di avere efficacia le norme sopra indicate, che sono sostituite dalle disposizioni contenute nelle singole intese.

A partire dal 1984, lo Stato italiano, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose (vedi tabella 1).


 

Tab. 1. Le intese approvate con legge

 

Confessioni religiose

Intese

Chiese rappresentate dalla Tavola valdese

L. 11 agosto 1984, n. 449, integrata con la L. 5 ottobre 1993, n. 409

Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno

L. 22 novembre 1988, n. 516, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 637

Assemblee di Dio in Italia

L. 22 novembre 1988, n. 517

Unione delle Comunità ebraiche italiane

L. 8 marzo 1989, 101, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 638

Unione cristiana evangelica battista d’Italia

L. 12 aprile 1995, n. 116

Chiesa evangelica luterana in Italia

L. 29 novembre 1995, n. 520

 

Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa contiene disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa. Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività.

In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime più indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa sopra illustrato.

In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di avere efficacia le norme sui “culti ammessi”, che, come si è detto, prevedono l’approvazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo l’obbligo di registrazione in appositi elenchi.

Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per prime hanno stipulato l’intesa, il procedimento ricalca quella per i “culti ammessi”, mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Nella tabella seguente si riporta un quadro delle intese concluse e non ancora ratificate dal Parlamento:


 

Tab. 2. Le intese firmate e non approvate con legge

 

Confessione religiosa

Data firma intesa

Tavola Valdese (modifica)

27 maggio 2005

Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (modifica)

23 aprile 2004

Unione buddista italiana (UBI)

20 marzo 2000

Congregazione cristiana dei testimoni di Geova

20 marzo 2000

Fonte: Presidenza del Consiglio[6] (www.governo.it)

 

Le intese con la Chiesa avventista e con la Tavola Valdese contengono alcune modifiche puntuali alle Intese approvate a suo tempo con le due confessioni religiose (v. capitolo Le iniziative in materia di libertà religiosa). I disegni di legge di recepimento sono stati presentati dal Governo alla Camera rispettivamente il 24 giugno 2004 (A.C. 5085) e l’8 luglio 2005 (A.C. 5983). Al termine della legislatura, l’esame dei provvedimenti presso la Commissione affari costituzionali non era giunto a conclusione.

Per quanto riguarda le intese con l’Unione buddhista e con i Testimoni di Geova, a seguito della stipulazione delle intese siglate il 20 marzo 2000, il Governo ha presentato alla Camera i relativi disegni di legge di approvazione (XIII legislatura, A.C. 7023 e A.C. 7043). L’esame parlamentare dei due d.d.l. è iniziato presso la Commissione affari costituzionali il 20 luglio 2000. Durante il dibattito, alcune forze politiche hanno rilevato che l’intesa tra lo Stato e la Congregazione dei testimoni di Geova pone diversi problemi di compatibilità costituzionale, in relazione a specifici principi professati da questa confessione religiosa, non sollevati in relazione agli accordi con altre confessioni religiose conclusi fino a quel momento. L’esame parlamentare dei due disegni di legge si è interrotto con la fine della XIII legislatura.

 

La procedura per la stipulazione delle intese non è disciplinata in via legislativa. Si è formata peraltro, a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia), una prassi consolidata che si può riassumere come segue.

Le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel nostro Paese ai sensi della legge 1159/1929. Tale riconoscimento presuppone che sia stata già effettuata una verifica della compatibilità dello statuto dell’ente rappresentativo della confessione con l’ordinamento giuridico italiano, così come richiesto dallo stesso articolo 8, comma 2, della Costituzione.

L’esame di compatibilità viene condotto sia dal Ministero dell’interno, competente per l’istruttoria volta al riconoscimento, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere in merito[7], concernente anche il carattere confessionale dell’organizzazione richiedente.

La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipulazione di tali intese, spetta al Governo: a tal fine, le confessioni interessate che hanno conseguito il riconoscimento della personalità giuridica si devono rivolgere, tramite istanza, al Presidente del Consiglio.

L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose è affidato dal Presidente del Consiglio al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri, il quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza per la prima volta nel 1985.

 

La Commissione per le intese con le confessioni religiose attualmente in carica è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 1997 e riconfermata dal Governo in carica nella XIV legislatura; essa è presieduta dal prof. Franco Pizzetti ed è composta da rappresentanti dei Ministeri interessati: interno, giustizia, tesoro, finanze (ora accorpati nel Ministero dell’economia e delle finanze), difesa, pubblica istruzione (ora istruzione, università e ricerca), beni e attività culturali, sanità (ora salute).

 

La Commissione, su indicazione del Sottosegretario, predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio dal 1997.

 

La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1997, il quale le attribuisce funzioni di studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di massima in vista della loro stipulazione. Essa si esprime, altresì, su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e nell’Unione europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.

 

Dopo la conclusione delle trattative, le intese sono sottoposte all’esame del Consiglio dei ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio.

Una volta che siano state firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, le intese sono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge (vedi infra).

 

Nella tabella che segue si riporta un elenco delle confessioni religiose con le quali sono in corso trattative per la stipulazione di intesa:

 

Tab. 3. Le intese in corso di stipulazione

 

Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Mormoni)

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 23 febbraio 1993

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 17 febbraio 2000

Le trattative sono iniziate il 20 luglio 2000

Chiesa Apostolica in Italia

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 21 febbraio 1989

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 5 maggio 1995

Le trattative sono iniziate il 30 gennaio 2001

Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 16 luglio 1998

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 10 febbraio 2000.

Le trattative sono iniziate il 21 novembre 2000

Istituto buddista italiano Soka Gakkai

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 20 novembre 2000

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 11 aprile 2001.

Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001

Unione Induista Italiana

Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 29 dicembre 2000

Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative in data 11 aprile 2001

Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001

 

Fonte: Presidenza del Consiglio[8] (www.governo.it)

 

Dal punto di vista tecnico-giuridico, non sono state avviate, fino ad oggi trattative per la conclusione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, con associazioni islamiche.

 

Fin dagli anni ‘90 sono state avanzate da parte di alcune comunità islamiche, quali la Comunità religiosa islamica, l’Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia, l’Associazione musulmani italiani e il Centro islamico culturale d’Italia, istanze per arrivare a stipulare intese con lo Stato italiano, basate su proposte unilaterali, dal momento che le predette organizzazioni non avevano raggiunto un accordo preventivo tra loro.

Nel 2000, per superare tale situazione, le organizzazioni citate sono pervenute alla costituzione dell’associazione del Consiglio islamico d’Italia, quale organismo di rappresentanza dell’Islam, sull’esempio di quanto già verificatosi in Spagna, ove nel 1992 la locale comunità islamica ha siglato con lo Stato l’accordo di cooperazione concernente la regolamentazione di alcune tematiche di rilievo, quali il matrimonio, l’assistenza religiosa nei centri pubblici, l’insegnamento della religione islamica, le festività religiose ed altro. Dissidi interni sopravvenuti hanno, tuttavia, impedito che in Spagna tali disposizioni avessero effettiva applicazione. Analogamente in Italia, il Consiglio islamico, costituito nel 2000, non è mai divenuto operativo e l’incapacità di raggiungere un’unitarietà dei richiedenti che fosse rappresentativa dell’universo islamico in Italia ha determinato l’impossibilità di stipulare un’intesa con lo Stato, mancando l’interlocutore riconosciuto. Le richieste di intesa con lo Stato italiano non sono state prese in esame dalla Presidenza del Consiglio dal momento che nessuna delle associazioni è dotata del riconoscimento giuridico come ente di culto, indispensabile per avviare i negoziati da parte della Commissione per le intese con le confessioni religiose[9].

La legge di approvazione delle intese

L’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze: si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, essendo caratterizzata da aggravamenti procedurali, che non consente la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.

Sulla natura delle intese, e di conseguenza delle leggi approvate sulla base delle intese, la dottrina si divide tra i sostenitori della tesi dell’intesa quale atto esterno, e quindi paragonabile al trattato internazionale che è recepito dall’ordinamento con legge di esecuzione, e quelli che ne sostengono la natura di atto interno. In base alla seconda teoria le intese costituiscono sì dei tipici atti bilaterali, ma essi non sono stipulati tra due ordinamenti indipendenti e sovrani, come è il caso degli accordi tra Stati o tra Stato e Chiesa cattolica, bensì intervengono tra lo Stato (ordinamento primario) ed una società intermedia sottoposta alla sovranità dello Stato (la confessione religiosa non cattolica).

Nella prassi prevalente dal 1984, le leggi sulla base di intese sono state definite leggi di approvazione. A differenza delle leggi di esecuzione dei trattati internazionali, costituite solitamente da un articolo unico recante la formula di esecuzione del trattato che è allegato alla legge, le leggi di approvazione delle intese sono costituite da un articolato che riproduce sostanzialmente, con poche modifiche formali, il testo dell’intesa, anch’essa allegata alla legge.

Per quanto riguarda i riflessi sulla procedura parlamentare, si è posto il problema dell’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare per i progetti di legge volti a regolare i rapporti con le confessioni religiose.

 

L’art. 8 della Costituzione pone una riserva di legge in materia, ma non specifica se l’iniziativa legislativa al riguardo sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipulare le intese, e individua nella stipula delle intese un presupposto costituzionalmente necessario per l’inserimento nell’ordinamento di una legge che regoli i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Ciò analogamente a quanto avviene per i disegni di legge di ratifica dei trattati internazionali, in merito ai quali l’avvenuta stipula del trattato costituisce un presupposto necessario dell’iniziativa legislativa.

Come per la ratifica dei trattati, anche in relazione alle intese, non vi sono norme che espressamente attribuiscono l’iniziativa legislativa in materia esclusivamente al Governo (a differenza di quanto avviene per altri procedimenti legislativi, quale la legge di bilancio, di cui all’art. 81 Cost.); parimenti, l’art. 117 Cost., secondo comma, lettera c), rimette la materia dei rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose, alla competenza esclusiva dello Stato, senza individuare limiti all’iniziativa parlamentare.

 

La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, dopo aver affrontato la questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 – adeguandosi ad una prassi invalsa presso l’altro ramo del Parlamento – si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto.

 

Come sopra ricordato, secondo la dottrina prevalente, le intese differirebbero dall’autorizzazione alla ratifica in quanto tipici atti bilaterali. Pertanto se si ritengono ammissibili proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali che sono atti tra ordinamenti indipendenti e sovrani, non sembrano a fortiori sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’approvazione delle intese che sono atti interni.

A favore dell’inammissibilità sembrano invece far propendere due considerazioni:

§         per le intese – a differenza di quanto previsto per l’autorizzazione alla ratifica[10] – non è prevista alcuna forma di comunicazione in merito all’avvenuta stipulazione e al contenuto delle stesse, per cui risulterebbe difficile per i singoli parlamentari presentare una proposta di legge che recepisca le intese stipulate. Tale difficoltà appare, peraltro, superabile qualora l’intesa risulti oggetto di un disegno di legge di iniziativa governativa già presentato: in tal caso la conoscenza della stessa ai fini della trasfusione in una proposta di legge di iniziativa parlamentare risulterebbe possibile;

§         l’iniziativa legislativa parlamentare in materia di rapporti con le confessioni religiose potrebbe determinare, una volta approvata la legge, un vincolo per il Governo, il quale potrebbe trovarsi obbligato ad assumere decisioni o ad esplicitare la propria posizione nei confronti di confessioni religiose (con le quali pure abbia già stipulato un’intesa) in tempi da esso ritenuti inopportuni.

Non risultano comunque, a differenza di quanto avviene per i progetti di legge di ratifica di trattati internazionali, precedenti di proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a recepire intese con confessioni religiose.

 

La forma dell’articolato e la procedura di approvazione parlamentare del disegno di legge di approvazione con votazioni articolo per articolo, alla stregua di qualsiasi progetto di legge, pone la questione dell’emendabilità o meno del testo. Nel corso dei lavori parlamentari, si è affermata una prassi che pur non escludendo in assoluto la emendabilità, restringe l’ambito di intervento del Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge o ad emendarne le parti che non rispecchiano fedelmente l’intesa.



[1]     L. 27 maggio 1929, n. 810, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929.

[2]     Entrambi ratificati dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

[3]     L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi.

[4]     R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, Norme per l’attuazione della legge n. 1159/1929, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato.

[5]     L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. Gli atti per i quali rimane obbligatorio il parere del Consiglio di Stato sono:

§       gli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della L. 400/1988;

§       i testi unici ;

§       i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;

§       gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.

[6]     Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali.

[7]     Come in precedenza ricordato, il parere del Consiglio di Stato in materia non è obbligatorio, pur essendo sempre riservata all’Amministrazione la facoltà di richiederlo.

[8]     Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali.

[9]     Cfr. Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 1 dicembre 2004, Svolgimento dell’interrogazione a risposta immediata n. 3-03938 (Iniziative volte alla stipula di intese con le comunità islamiche), intervento del Ministro per i rapporti con il Parlamento, on. Giovanardi.

[10]    L’art. 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ha fatto obbligo al Servizio del contenzioso diplomatico presso il Ministero degli affari esteri anche di provvedere alla comunicazione alle Presidenze delle Camere di “tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nella relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati”.