Reati di opinione

La legge 24 febbraio 2006, n. 85[1] interviene a modificare la disciplina penalistica dei cd. reati di opinione e associativi.

La filosofia alla base dell’intervento del legislatore è stata quella di mitigare il rigore della legge in presenza di condotte riconducibili alla libertà di manifestazione del pensiero, di opinione, di associazione e di iniziativa o di associazione politica; ciò, anche in considerazione del fatto che si tratta, in generale, di delitti, per lo più introdotti nel periodo fascista, chiaramente finalizzati alla repressione degli oppositori allo stato dittatoriale.

La legge 85/2005 prevede tre tipi di intervento su tali fattispecie penali:

§      in alcuni casi, si è proceduto ad una riformulazione della condotta, accompagnata da un adeguamento della sanzione penale alla reale gravità della medesima;

§      in altri casi, si è provveduto alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria;

§      in altri casi ancora, si è preferita l’abrogazione diretta delle fattispecie criminose.

 

L'articolo 1 della legge è diretto a modificare l'articolo 241 del codice penale, che punisce gli attentati contro l'integrità, l'indipendenza e l'unità dello Stato.

 

La condotta illecita consiste in fatti diretti a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, a menomare l'indipendenza dello Stato, a disciogliere l'unità dello Stato. Il previgente art. 241 c.p. puniva il reato con l’ergastolo.

 

Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 241, si precisa che la condotta, per essere penalmente rilevante, deve concretarsi in atti violenti. Inoltre, la pena dell'ergastolo viene trasformata in quella della reclusione non inferiore a dieci anni. Al fine di evitare lacune nella tutela penale, si è poi nserita la clausola secondo cui l'articolo 241 trova applicazione solo nel caso in cui il fatto non costituisca più grave reato.

E, infine, aggiunta una aggravante specifica consistente nella commissione dell’illecito con violazione dei  doveri inerenti l’esercizio di pubbliche funzioni.

L'articolo 2 riformula la fattispecie di associazione sovversiva, di cui all'articolo 270 del codice penale.

 

La formulazione previgente dell’art. 270 prevedeva che chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.

 

Le novità del testo consistono nella eliminazione dell’anacronistico riferimento alla finalità delle associazioni di “stabilire violentemente una dittatura di una classe sociale sulle altre ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale” e nella diminuzione da 12 a 10 anni del limite massimo della pena edittale della reclusione.

All'articolo 3 è stata modificata la fattispecie del reato di attentato contro la Costituzione dello Stato di cui all’art. 283 del codice penale.

 

L’art. 283 c.p., nella precedente formulazione, stabiliva che chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato o la forma di Governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale è punito con la reclusione non inferiore a 12 anni.

 

Anche qui, come per l’art. 241, si è circoscritto l’ambito dell’illiceità penale alle sole condotte violente, fissando, peraltro, la pena edittale, notevolmente ridotta, solo nel minimo (reclusione non inferiore a 5 anni).

 

L'articolo 4 riformula l’art. 289 del codice penale, relativo al delitto di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali.

 

La condotta illecita, punita dal previgente art. 289 con la reclusione non inferiore a dieci anni, è costituita da un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente: al presidente della Repubblica o al Governo, l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge; alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali, l'esercizio delle loro.

Il fatto diretto soltanto a turbare l'esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette era sanzionato con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Anche in tale ipotesi, la legge limita la condotta penalmente rilevante alla violenza della condotta, abbassando notevolmente la sanzione prevista per l’illecito, ora stabilita nella reclusione da 1 a 5 anni. Scompare il riferimento all’illecito compiuto mediante turbativa.

L’articolo 5 riscrive l'articolo 292 del codice penale, in materia di vilipendio o danneggiamento alla bandiera od altro emblema dello Stato.

Rispetto al previgente art. 292, che puniva il vilipendio della bandiera nazionale o di un altro emblema dello Stato con la reclusione da uno a tre anni, viene precisato che la condotta è penalmente rilevante se il vilipendio è compiuto con espressioni ingiuriose oppure se questo si estrinsechi in condotte violente, quali la distruzione, la dispersione, il deterioramento e l’imbrattamento della bandiera nazionale; in queste ultime ipotesi, ai fini della punibilità, è necessaria - con il dolo - anche la pubblicità della condotta.

Una novità rilevante è poi la scelta che riserva la pena detentiva (reclusione fino a 2 anni) alle sole ipotesi di condotta violenta e di punire, invece, con quella pecuniaria (multa da 1.000 a 5.000 euro) le espressioni ingiuriose; all’aggravante del fatto commesso durante una cerimonia pubblica consegue l’aumento dell’entità della multa (da 5.000 a 10.000 euro). In tali ultime ipotesi, è, quindi, apparso eccessiva la privazione della libertà personale.

Viene espunta dall’art. 292 la possibile estensione della punibilità a chi vilipende i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera.

L'articolo 6 trasforma in contravvenzione, punita con l'ammenda (da 100 a 1.000 euro), il reato di offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero (art. 299 c.p.).  L’art. 299 previgente puniva, invece, tale illecito con la reclusione da sei mesi a tre anni

Anche in questo caso si precisano le modalità della condotta illecita, punendo l’offesa alla bandiera estera che si manifesti attraverso espressioni ingiuriose.

L’articolo 7 della legge 85/20006, di modifica dell’art. 403 c.p. (ora rubricato “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”) appare una delle disposizioni di maggior rilievo dell’intero provvedimento.

Infatti, la previgente norma prevedeva: “Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni”. La reclusione da uno a tre anni era poi la pena per chi avesse offeso la religione dello Stato, mediante vilipendio di un ministro del culto cattolico.Ne derivava, quindi, non tanto (nonostante l’espressione letterale) l’esistenza di una religione di Stato, ovvero la cattolica, quanto un trattamento di favore dal punto di vista sanzionatorio rispetto alle altre confessioni religiose ammesse nello Stato, peraltro testimoniato dall’attenuante di pena prevista dall’art. 406 c.p. (abrogato dall’art. 10 della legge) che prevedeva, tra la punibilità dei reati contro gli altri culti ammessi nello Stato, anche il vilipendio dei ministri di culto di altre religioni. In primo luogo, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale relativa all'articolo 8 della Costituzione[2], con il nuovo art. 403 si sancisce che la fattispecie è diretta a tutelare non la religione dello Stato (per il nostro ordinamento quella cattolica non è più tale), ma ogni confessione religiosa.

In secondo luogo, si è optato per la pena pecuniaria anziché detentiva; mentre il previgente art. 403 sanzionava il reato con la reclusione fino a 2 anni, la nuova norma prevede la pena della multa da 1.000 a 5.000 euro; la fattispecie aggravata del reato, ovvero l’offesa alla religione tramite vilipendio ad un ministro di culto, prima punita con la reclusione da 1 a 3 anni, è ora sanzionata con la multa da 2.000 a 6.000 euro.

L’articolo 8 riformula l’art. 404 del codice penale, ora rubricato: offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose e prima riferito alla sola religione dello Stato.

La nuova norma è modellata dal punto di vista sanzionatorio sull’art. 292, relativo al vilipendio della bandiera nazionale. Anche in tal caso, infatti, si riserva la pena detentiva (reclusione fino a 2 anni) alle sole ipotesi di condotta violenta (pubblica e intenzionale distruzione, dispersione, imbrattamento di cose oggetto di culto o destinate al culto) e si puniscono, invece, con la pena pecuniaria (multa da 1.000 a 5.000 euro) le espressioni ingiuriose riferite a cose che formino oggetto di culto.

Mentre l’art. 292 considerava come aggravante la commissione dell’illecito durante una pubblica ricorrenza o una cerimonia ufficiale, l’art. 404 considera la pubblicità della condotta ed il fatto commesso durante funzioni religiose elemento costitutivo del reato.

Gli articoli 9 e 10 della legge hanno natura di coordinamento normativo con le novelle introdotte agli articoli 403 e 404 del codice penale che sanciscono l’uguaglianza per lo Stato di tutte le confessioni religiose..

L’articolo 9 modifica, così, sia la rubrica che il primo comma dell’art. 405 c.p., ora relativo al turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa, espungendo il riferimento alla sola religione cattolica.

 

Il previgente art. 405 c.p. puniva con la reclusione fino a due anni chiunque avesse impedito o turbato l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico.

 

L’articolo 10 oltre ad abrogare il non più attuale art. 406 c.p. relativo ai delitti contro i culti (diversi da quello cattolico) ammessi nello Stato, adegua alle novità normative la rubrica del capo I, titolo IV, del libro secondo del codice penale, ora denominata “Dei delitti contro le confessioni religiose”.

 

L’abrogato art. 406 prevedeva che chiunque commettesse uno dei fatti preveduti dagli articoli 403, 404 e 405 contro un culto ammesso nello Stato fosse punito ai termini dei predetti articoli, ma la pena fosse diminuita.

 

L'articolo 11 della legge, nei suoi tre commi, prevede la trasformazione della pena detentiva in pena pecuniaria per una serie di delitti, riguardo ai quali si è ritenuto opportuno non modificare la condotta, ma solamente la sanzione, anche in tali casi non ritenendosi giustificata la privazione della libertà personale.

Si tratta in particolare, dei delitti:

§      di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate (articolo 290 del codice penale). Alla reclusione da 6 mesi a 3 anni è sostituita la pena della multa da 1.000 a 5.000 euro;

§      di vilipendio alla nazione italiana (articolo 291 del codice penale); Alla reclusione da 1 a 3 anni è sostituita la pena della multa da 1.000 a 5.000 euro;

§      di oltraggio a Corpo politico, amministrativo o giudiziario (articolo 342 del codice penale). Alla reclusione fino a 3 anni per il reato base (primo comma) è sostituita la pena della multa da 1.000 a 5.000 euro; alla reclusione da 1 a 4 anni nell’ipotesi aggravata (attribuzione du un fatto determinato) è sostituita la pena della multa da 2.000 a 6.000 euro.

In questi casi, il bene giuridico protetto dalla normativa vigente è parso comunque meritevole di tutela penale nonostante che le condotte non siano violente, estrinsecandosi in una forma di manifestazione del pensiero. Al contrario di altre ipotesi oggetto della legge, il bilanciamento di interessi ha portato a considerare prevalenti i beni giuridici di rilevanza costituzionale protetti dalla norma penale vigente rispetto al diritto di manifestazione del pensiero. Ciò che si è corretta è stata la valutazione dell'entità di quanto un interesse debba essere ritenuto prevalente sull'altro; tale scarto non è stato ritenuto tale da giustificare la privazione della libertà personale dell'autore del reato.

L'articolo 12 della legge 85/2006 abroga alcuni articoli del codice penale, le cui condotte non sono più considerate illecite bensì tutte riconducibili ad espressioni di manifestazione del pensiero.

Non costituiscono, pertanto, più reato le condotte di attività antinazionale del cittadino all'estero (articolo 269 c.p.), propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale (articolo 272 c.p.) e di lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica (articolo 279 c.p.). Inoltre sono state abrogate le aggravanti relative alle ipotesi in cui il fatto (offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica, vilipendio della bandiera e delle forze armate) sia commesso dal militare in congedo (articolo 292-bis c.p.) o dal cittadino in territorio estero (articolo 293 c.p.).

L’articolo 13 modifica l’art. 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, come modificato nel 1993 dalla cd. legge Mancino.

 

L’art. 3 previgente puniva con la reclusione da 1 a 4 anni la diffusione in qualunque modo di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico nonché l’incitamento alla discriminazione o all’odio o alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Il nuovo art. 3 della legge 654 riduce notevolmente le sanzioni previste per l’illecito, ora anche di natura pecuniaria. Infatti, chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi è ora punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro.

Un’ulteriore modifica terminologica sostituisce il verbo “incitare” con quello “istigare”, con ciò definendo in modo più puntuale e meno generico la condotta punibile in sede penale.

Con l’articolo 14 è modificato l’art. 2 del codice penale recante disposizioni in materia di successioni di leggi penali nel tempo.

Dopo il secondo comma, è aggiunta una disposizione che stabilisce che se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, secondo le norme sul ragguaglio (art. 135 c.p.).

L‘ultimo articolo della legge prevede l’applicazione degli artt. 101 e 102 del D.Lgs. 507/1999[3], in quanto compatibili, alle depenalizzate violazioni in materia di reati d’opinione (articolo 15).

Si tratta in sostanza della procedura da seguire in caso di procedimenti (per illeciti depenalizzati) già definiti con sentenza irrevocabile ovvero in caso di procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge.

 

Ne deriva che se i procedimenti penali per le violazioni depenalizzate dalla legge 85/2006 sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell'esecuzione provvede senza formalità con ordinanza comunicata al PM e notificata all’interessato.

Se, invece, si è nella fase delle indagini preliminari e l'azione penale non è stata ancora esercitata, il pubblico ministero richiede l'archiviazione a norma del codice di procedura penale; la richiesta ed il decreto del giudice che la accoglie possono avere ad oggetto anche elenchi cumulativi di procedimenti.

Se l'azione penale è invece già stata esercitata, il giudice, ove l'imputato o il pubblico ministero non si oppongano, pronuncia, in camera di consiglio, sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

 



[1]      La legge reca: Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.

[2]     Da ultimo, la sentenza n. 168 del 18-29 aprile 2005, della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 403, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall'art. 406 dello stesso codice.

[3]     D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della L. 25 giugno 1999, n. 205.