La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, conclusa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, è in vigore internazionale dal 1° luglio 2000. In Italia, dove è stata ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77, è invece in vigore dal 1° novembre 2003.
La Convenzione, che si applica ai
fanciulli minori di diciotto anni, ha l’obiettivo di promuovere i loro diritti e
di agevolare l’esercizio di diritti procedurali attribuiti ai minori in
procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria. Le relative procedure sono
considerate “procedure di diritto
familiare”; la Convenzione si riferisce in particolare a quelle in materia
di esercizio della responsabilità di genitore.
Viene stabilito che ogni Stato, al momento
della firma o del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di
approvazione o di adesione, debba designare, mediante una dichiarazione
indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, almeno tre categorie
di controversie familiari innanzi ad un’autorità giudiziaria cui la Convenzione
può applicarsi.
Il Capitolo II si occupa dei diritti procedurali
spettanti al fanciullo e delle misure necessarie a promuovere l’esercizio dei
diritti medesimi.
Vengono qualificati diritti procedurali
spettanti al fanciullo, nelle procedure innanzi ad un’autorità giudiziaria:
§
il diritto a ricevere ogni informazione
pertinente
§
il diritto ad essere consultato ed esprimere la
sua opinione;
§
il diritto ad essere informato delle conseguenze
dell’attuazione della sua opinione e di quelle di ogni decisione.
Viene poi espressamente conferito il
diritto di chiedere la designazione di un rappresentante speciale in caso di
conflitto d’interessi con coloro che hanno la responsabilità di genitore ed è
altresì prevista la possibilità di concedere ai fanciulli diritti procedurali
supplementari (chiedere di essere assistiti da una persona appropriata di loro
scelta, designare un proprio rappresentante, etc.).
Quanto al ruolo dell’autorità giudiziaria, viene stabilito che essa, prima di
assumere qualunque decisione, dovrà essere certa di disporre di informazioni
sufficienti, acquisendo, nel caso contrario, informazioni supplementari.
Inoltre, nel caso di fanciulli con sufficiente discernimento, l’autorità
medesima dovrà:
§
accertarsi che il fanciullo abbia ricevuto le
pertinenti informazioni;
§
consultarlo;
§
consentirgli di esprimere la sua opinione e
tenerne debitamente conto.
Vengono poi disciplinati l’obbligo di
agire con prontezza, la possibilità di procedere d’ufficio e quella di
designare un rappresentante.
Il
ruolo dei rappresentanti sarà quello
di fornire informazioni e spiegazioni al fanciullo, di determinare la sua
opinione ed informarne l’autorità giudiziaria. E’ prevista l’istituzione di
appositi organi per incoraggiare la promozione e l’esercizio dei diritti dei
fanciulli, con il compito di formulare proposte e pareri sui progetti di legge
concernenti l’esercizio dei diritti dei fanciulli e fornire informazioni
generali in tal senso.
Tra le altre misure disciplinate, la mediazione, per prevenire e
risolvere i conflitti ed evitare procedure che coinvolgano il fanciullo innanzi
ad un’autorità giudiziaria. D’altra parte è prevista l’applicazione del gratuito patrocinio legale o della
rappresentanza giuridica del fanciullo innanzi a un’autorità giudiziaria, in
alcune materie (diritto di designare un rappresentante), qualora tali istituti
esistano nel diritto interno di ciascuna Parte.
E’ istituito un Comitato permanente, con il compito di seguire i problemi relativi
alla Convenzione in oggetto, e con la facoltà di esaminare ogni questione
pertinente relativa all’interpretazione o all’attuazione della Convenzione, di
proporre emendamenti a quest’ultima e di fornire assistenza e consulenza agli
organi nazionali che promuovono l’esercizio dei diritti dei fanciulli sopra
citati. Ogni Parte può farsi rappresentare in seno al Comitato da uno o più
delegati, e dispone di un voto e ogni Stato che non è parte della Convenzione
può essere rappresentato al Comitato permanente da un osservatore.
In occasione del decimo anniversario
dell’entrata in vigore della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo[1] l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato[2]
due Protocolli opzionali alla
medesima Convenzione concernenti, rispettivamente, la vendita e la prostituzione dei bambini e la pornografia infantile
e il coinvolgimento dei bambini nei
conflitti armati. Il Protocollo sulla vendita e la prostituzione dei
bambini e la pornografia infantile è in
vigore dal 18 gennaio 2002,
mentre il Protocollo sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati è in vigore dal 12 febbraio 2002. Entrambi
sono stati ratificati dall’Italia con la legge
11 marzo 2002, n. 46.
Nella storia del diritto internazionale la
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo è il trattato che annovera il maggior
numero di Paesi aderenti, essendo stata ratificata da quasi tutti (192) gli
Stati del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti d’America (che però l’hanno
firmata il 16 febbraio 1995) e della Somalia. I diritti riconosciuti nei 54
articoli di cui si compone la Convenzione ineriscono ogni aspetto della
condizione esistenziale del bambino, definito come ogni essere umano che non
abbia ancora raggiunto la maggiore età, al quale vengono garantiti standard
minimi di tutela. La maggior parte delle disposizioni contenute nella
Convenzione ha infatti natura programmatica e come tale essa ha ispirato e
orientato, nel corso del tempo, le varie normative nazionali sui minori.
I due Protocolli facoltativi introducono
nuove norme per superare i limiti della Convenzione stessa, rendendola uno
strumento più adeguato ad affrontare alcune attuali problematiche attinenti
alla protezione dell’infanzia. L’attuazione dei due Protocolli è monitorata dal
Comitato dei diritti del fanciullo,
un organismo composto da 18 esperti indipendenti costituito presso l’Ufficio
dell’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani.
Il primo
Protocollo riguarda il grave fenomeno dello sfruttamento dei minori per fini sessuali. Partendo dalla
considerazione che la tratta internazionale di fanciulli ai fini della loro
vendita e prostituzione ha assunto notevoli dimensioni, esso intende codificare
una più organica cooperazione tra gli Stati per la prevenzione e la repressione
di tali reati. Il testo, elaborato da un Gruppo di lavoro istituito nel 1995
dalla Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, si ricollega ad alcune
disposizioni contenute nella Convenzione relative ai temi dello sfruttamento e
della violenza sessuale a danno del fanciullo. In particolare, l’articolo 34
della Convenzione impegna gli Stati contraenti ad adottare, sul piano
nazionale, bilaterale e multilaterale, misure atte a proteggere i fanciulli
contro ogni forma di sfruttamento che li coinvolga in attività sessuali
illecite, nella prostituzione o in spettacoli pornografici.
Nel Preambolo
vengono esplicitamente richiamati altri strumenti giuridici internazionali
adottati in materia di protezione dell’infanzia, tra cui la Convenzione dell’Aja
sulla protezione dei bambini e la cooperazione in materia di adozioni
internazionali, la Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili del rapimento
internazionale di bambini e la Convenzione n. 182 dell’OIL contro il lavoro
minorile. Sempre nel Preambolo, poi, si manifesta forte preoccupazione per
l’offerta crescente di pornografia infantile su Internet e altri nuovi supporti
tecnologici. In tale contesto vengono richiamate le conclusioni della
Conferenza internazionale sulla lotta contro la pornografia infantile su
Internet, tenutasi a Vienna nel 1999, in cui si è posto l’accento sull’esigenza
di punire penalmente, in tutto il mondo, la produzione, distribuzione,
esportazione, importazione, trasmissione, possesso intenzionale e pubblicità di
pornografia infantile e sull’importanza di una cooperazione più stretta fra
pubblici poteri e professionisti della rete.
Il Protocollo impone anzitutto agli Stati contraenti l’obbligo generale di vietare la compravendita, la prostituzione
e lo sfruttamento pornografico dei fanciulli. A tal fine, lo Stato contraente
vigila affinché tali reati vengano perseguiti dalla legge penale nazionale, a
prescindere che siano commessi all’interno del proprio territorio o
all’esterno, da singoli individui o da organizzazioni. Per quanto riguarda la
vendita dei bambini, si precisa che oltre allo sfruttamento per fini sessuali
vanno puniti anche altri reati come il traffico d’organi e il lavoro forzato.
Allo stesso modo sono perseguibili l’offerta, l’intermediazione e l’ottenimento
di fanciulli a scopo di prostituzione, nonché la produzione, importazione,
esportazione, distribuzione, vendita o possesso di materiale pornografico in
cui figurino bambini. Ciascuno Stato contraente si adopererà in modo da
sanzionare tali reati con pene adeguate a seconda della loro gravità. Fatto
salvo il diritto interno di ciascuna Parte, le medesime norme vanno applicate
anche in caso di tentata perpetrazione di tali atti, di complicità nel
commetterli o di partecipazione agli stessi. Gli Stati contraenti sono inoltre
tenuti ad accertarsi che tutti coloro che intervengono nell’adozione di un
bambino agiscano in conformità alle disposizioni contenute negli strumenti
internazionali vigenti in materia.
I reati oggetto del Protocollo sono inclusi de
iure in qualsiasi trattato di estradizione in vigore fra le Parti o
successivamente concluso fra loro. Ai fini dell’estradizione, inoltre, il reato
va trattato come se fosse stato commesso non solo nel luogo in cui si è
verificato, ma anche nel territorio di quei Paesi che, sottoscrivendo il
Protocollo facoltativo, hanno riconosciuto e previsto tali reati creando, al
riguardo, una sorta di spazio giurisdizionale comune.
Nell’interesse superiore del bambino è
previsto che gli Stati contraenti adottino ad ogni stadio della procedura
penale le misure necessarie a proteggere i diritti e gli interessi dei
fanciulli vittime delle pratiche vietate dal Protocollo. Tali misure mirano, in
particolare, ad assicurare ai minori un’appropriata assistenza legale, la
protezione della privacy e
dell’identità delle vittime, nonché la tutela delle vittime e delle loro
famiglie e i testimoni dei reati contro i minori da intimidazioni e minacce.
In tema di prevenzione e di assistenza,
gli Stati contraenti adottano leggi, misure amministrative, politiche e
programmi sociali ad hoc, nonché
provvedimenti relativi all’assistenza psico-fisica delle vittime, alla loro
reintegrazione sociale e alla riparazione del danno subito.
Viene individuato il rafforzamento della
cooperazione internazionale - da realizzarsi attraverso la conclusione di
accordi multilaterali, regionali e bilaterali –come mezzo per prevenire,
identificare, perseguire e punire i responsabili dei reati disciplinati dal
Protocollo. In tale contesto gli Stati contraenti si impegnano ad eliminare i
principali fattori, in particolare la povertà e il sottosviluppo, che rendono i
fanciulli vulnerabili alla vendita, alla prostituzione e alla pornografia. Gli
Stati possono anche, se ne sono in grado, fornire aiuti finanziari e tecnici nell’ambito
di programmi esistenti a livello multilaterale o bilaterale.
Il Protocollo contiene una norma di
salvaguardia delle disposizioni più favorevoli a tutela dei minori già
esistenti nella legislazione di uno Stato contraente o nel diritto internazionale
vigente per lo stesso.
Ciascuno Stato Parte ha l’obbligo di
presentare, entro due anni in vigore dall’entrata in vigore del Protocollo, un
rapporto iniziale[3]
al Comitato dei diritti del fanciullo contenente informazioni dettagliate sulle
misure attuative a livello nazionale. Tutte le nuove informazioni verranno
incluse in un rapporto periodico generale.
Il secondo
Protocollo ha come tema il coinvolgimento
dei bambini nei conflitti armati e si compone di un Preambolo e di 13
articoli.
L’oggetto e gli obiettivi perseguiti dal
Protocollo figurano già nel Preambolo, che richiama espressamente anche altri
due strumenti internazionali recanti, tra l’altro, anche alcune disposizioni a tutela dei minori. Il
primo di questi è lo Statuto della Corte penale internazionale che include fra
i crimini di guerra nei conflitti armati sia internazionali che non
internazionali la chiamata di leva o l’arruolamento nelle forze armate
nazionali di minori di quindici anni o il fatto di farli partecipare
attivamente alle ostilità; il secondo è la Convenzione n. 182 dell’OIL, che
proibisce ogni forma di sfruttamento e lavoro minorile, in base alla quale è
vietato il reclutamento forzato o obbligatorio di bambini al fine di
utilizzarli in operazioni belliche. Il Protocollo condanna anche il
reclutamento, l’addestramento e l’uso di fanciulli ad opera di gruppi armati
diversi dalle forze armate di uno Stato, riconoscendo la responsabilità di
coloro che arruolano, addestrano e utilizzano fanciulli a tale scopo.
Il principale obiettivo del Protocollo
consiste nel rafforzare la tutela riconosciuta dalla Convenzione del 1989,
risolvendo una certa anomalia insita in questo strumento laddove l’articolo 1
definisce come fanciullo ogni essere umano che non abbia compiuto diciotto anni
e l’articolo 38 vieta l’arruolamento nelle forze armate soltanto ai minori di
quindici anni. Nel 1998 alcune importanti organizzazioni non governative hanno
formato la Coalizione internazionale denominata “Stop all’uso dei bambini
soldato!”, presente in 37 Paesi, grazie alla quale è stato dato un impulso
decisivo all’adozione del Protocollo in esame.
L’età minima per la partecipazione ai conflitti e per l’arruolamento obbligatorio nelle forze armate viene quindi elevata a diciotto anni, con la sola eccezione per l’arruolamento volontario, stabilendo tuttavia l’obbligo per gli Stati contraenti di predisporre specifiche misure di prevenzione e protezione. Al momento della ratifica o dell’adesione ciascuna Parte deposita una dichiarazione vincolante con l’indicazione dell’età minima a decorrere dalla quale è consentito l’arruolamento volontario nelle forze armate nazionali.
Tale dichiarazione può essere rafforzata in
qualsiasi momento, mediante notifica al Segretario Generale delle Nazioni
Unite, elevando l’età minima precedentemente indicata. In tale contesto va
segnalato che l’Italia con legge 8 gennaio 2001, n. 2 ha abrogato la norma che
prevedeva la possibilità di arruolare minorenni, rendendo così il nostro
ordinamento giuridico perfettamente coerente con la Convenzione e con il
Protocollo. È infine espressamente stabilito che l’obbligo di rilevare l’età
minima per l’arruolamento volontario non si applica agli istituti scolastici
posti sotto l’amministrazione o il controllo delle forze armate di uno Stato contraente.
A prescindere dal coinvolgimento o meno in
un conflitto armato, viene sancito il principio per cui i gruppi armati,
distinti dalle forze armate nazionali, non possono arruolare o utilizzare
minorenni in combattimenti. A tal fine gli Stati contraenti adottano ogni
possibile misura per impedire tale pratica, in particolare mediante
provvedimenti giuridici a carattere sanzionatorio.
Anche in questo caso, le disposizioni nel
Protocollo non impediscono l’applicazione di norme nazionali e internazionali più
favorevoli alla realizzazione dei diritti del fanciullo.
Tra gli obblighi che gli Stati contraenti
si impegnano a rispettare vi è anche quello della informazione sui principi e sulle
norme sanciti nel Protocollo, diretta particolarmente agli adulti e ai minori
interessati. Le Parti sono inoltre tenute a smobilitare i giovani eventualmente
arruolati in contrasto con le disposizioni del Protocollo e a provvedere al
loro reinserimento nella società civile, prestando tutta l’assistenza
necessaria per il loro riadattamento fisico e psicologico. È anche previsto che
gli Stati contraenti attuino forme di cooperazione a livello internazionale
volte a fornire assistenza tecnica e finanziaria a favore dei Paesi più
bisognosi impegnati nella mobilitazione, riqualificazione e reinserimento dei
giovani sotto le armi. Gli aiuti
finanziari potranno essere concessi mediante accordi bilaterali o
contributi volontari ad un fondo comune costituito dalle Nazioni Unite.
Come per il precedente, anche il Protocollo sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati stabilisce che, entro due anni dall’entrata in vigore, le Parti presentino un rapporto dettagliato[4] al Comitato dei diritti del fanciullo contenente tutte le informazioni sui provvedimenti adottati in applicazione alle disposizioni del Protocollo. Dopo questo primo rapporto, tutte le successive informazioni integrative inerenti al tema oggetto del Protocollo saranno incluse nei rapporti periodici che ciascuna Parte è tenuta a redigere in conformità a quanto stabilito dall’articolo 44 della Convenzione sui diritti del fanciullo.
Il Protocollo
n. 14 alla Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che emenda
il sistema di controllo della Convenzione, è stato firmato a Strasburgo il 3
maggio 2004 e non è ancora entrato in vigore, essendo a tal fine necessaria la
ratifica di tutti i Paesi parte della Convenzione. Alla data del 26 aprile 2006
il Protocollo n. 14 risulta ratificato da 36 paesi, tra i quali l’Italia (legge
di ratifica 15 dicembre 2005, n. 280).
La Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
fatta a Roma, 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre 1953, è stata
ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Il testo della Convenzione, che ha delineato un sistema di protezione dei
diritti umani da più parti riconosciuto come la più perfezionata struttura del genere
operante al mondo, è stato successivamente integrato e modificato da numerosi Protocolli.
Il sistema ha un carattere sussidiario rispetto
alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli
Stati membri: infatti, l’articolo 26 della Convenzione, pone la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni rispetto
all’attivazione del sistema internazionale. L’obiettivo del Consiglio d’Europa,
in linea del resto con i principi internazionali in materia di tutela dei
diritti umani, è infatti quello di assicurare che il rispetto dei diritti umani
sia assicurato innanzitutto dagli ordinamenti interni.
La Convenzione oggi in vigore è articolata in tre
parti: il Titolo I, che enuncia una serie di diritti delle singole persone; il
Titolo II sulla Corte europea dei diritti dell'uomo e il Titolo III che
contiene disposizioni diverse e stabilisce gli obblighi degli Stati contraenti.
Il Protocollo n. 14 si propone di modificare alcune procedure interne della
Corte europea per snellire l’eccessiva mole di lavoro cui sia essa sia il
Comitato dei ministri sono sottoposti. Con l’aumento del numero degli Stati
membri del Consiglio d’Europa e degli Stati parti della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, la gestione dei ricorsi è divenuta infatti assai complessa.
Le principali modifiche previste dal nuovo
Protocollo riguardano:
le decisioni
di ammissibilità, che verrebbero ora prese da un giudice unico, assistito
da relatori extra-giudiziari invece che da un comitato composto da tre giudici.
Risulterebbe così migliorato il meccanismo di selezione, operando un maggiore
filtro verso i casi di ricorso dichiarati inammissibili d’ufficio (circa il 90
per cento) (art. 7 del Protocollo);
i ricorsi
ripetitivi. In analogia con quanto detto al punto precedente, per i ricorsi
che appartengono ad una serie derivante dalla stessa carenza strutturale a
livello nazionale, il nuovo Protocollo prevede che l'istanza possa essere
dichiarata ammissibile e giudicata da un comitato di tre giudici - e non più
dall’attuale Sezione formata da sette giudici - sulla base di una procedura
sommaria semplificata (art. 8);
nuovi
criteri di ammissibilità. Oltre alle
condizioni già esistenti, viene introdotto il requisito dello “svantaggio
significativo” per il richiedente, in assenza del quale la Corte potrebbe
dichiarare inammissibile l’istanza. A tutela del richiedente, tuttavia, la
Corte non potrà rigettare l’istanza nel caso in cui il rispetto dei diritti
umani lo imponga o quando il caso non sia stato adeguatamente esaminato da un
organo giurisdizionale nazionale (art. 12);
la facoltà
del Comitato dei Ministri, sulla base di una decisione presa a maggioranza
dei due terzi, di avviare un'azione
giudiziaria davanti alla Corte in
caso di inottemperanza alla sentenza da parte di uno Stato. Al Comitato dei
Ministri viene inoltre consentito di chiedere alla Corte l'interpretazione di
una sentenza quando questo serva a facilitare la supervisione dell'attuazione
delle sentenze, affidata al Comitato.
Il Protocollo contiene inoltre la modifica dei termini del mandato dei
giudici, dagli attuali sei anni rinnovabili ad un unico mandato di nove
anni, nonché disposizioni per tenere conto dell'eventuale adesione dell'Unione
europea alla Convenzione.
[1]
Ratificata dall’Italia con legge 27
maggio 1991, n. 176.
[2] Entrambi i Protocolli sono stati adottati dall’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione n. A/RES/54/263 del 25 maggio 2000.
[3] Il 14 luglio 2004 l’Italia ha presentato i rapporti iniziali concernenti sia il Protocollo sulla vendita, la prostituzione e lo sfruttamento sessuale dei bambini, sia il Protocollo sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati. I due rapporti verranno discussi nella prossima riunione delle Parti, che si svolgerà dal 15 maggio al 2 giugno 2006.
[4] V. nota precedente.