La tutela dei diritti umani

Come si è già visto a proposito dell’attività di ratifica, la tutela dei diritti umani è una delle tematiche principali e ricorrenti nei lavori delle Commissioni esteri di Camera e Senato.

All’interno della Commissione affari esteri della Camera svolge la propria attività il Comitato permanente per i diritti umani. Il Comitato, istituito per la prima volta nella X legislatura, è stato costituito in tutte le successive legislature[1], ed è preposto all'esame delle tematiche generali relative ai diritti umani, con particolare riferimento allo stato della relativa tutela a livello internazionale, e ha il compito di seguire l'iter dei singoli provvedimenti in materia. Il Comitato, che svolge un lavoro di carattere istruttorio rispetto a quello della Commissione esteri, nella XIV legislatura si è prevalentemente dedicato allo svolgimento della indagine conoscitiva sui diritti umani, deliberata dall’Ufficio di presidenza della Commissione esteri il 10 luglio 2002, e il cui termine è stato da ultimo prorogato il 1° febbraio 2006.

L’indagine aveva lo scopo di approfondire alcuni temi quali la pena di morte in alcuni Paesi membri del Consiglio d’Europa ed il connesso aspetto della violazione dei diritti delle persone condannate; le violazioni della libertà religiosa; la violazione del diritto di informazione; la violazione dei diritti delle donne.

Il Comitato ha iniziato la sua attività il 9 ottobre 2002 con l’audizione di rappresentanti di minoranze religiose e, in particolare, del signor Erping Zhang, portavoce mondiale del movimento Falun Gong, il signor Kok Ksor, presidente della Montagnard Foundation, il signor Quan Nguyen, Presidente del movimento non violento per i diritti umani in Vietnam e il signor Enver Can, Presidente del Congresso nazionale del Turkestan.

Il signor Zhang ha illustrato la storia e le attività del Falun Gong, un sistema di meditazione praticato in Cina da 100 milioni di persone, e ha riferito della persecuzione dei suoi seguaci da parte del Governo cinese, che considera il Falun Gong una minaccia al consolidamento della teoria comunista. Il signor Ksor ha illustrato la situazione relativa all’altopiano centrale del Vietnam, dove vige la legge marziale e gli abitanti dei villaggi – montagnard o degar, di religione cristiana - sono perseguitati dai soldati governativi. Anche il signor Nguyen è intervenuto sulle violazioni dei diritti dell’uomo e sulle violazioni della libertà religiosa in Vietnam, dove il regime comunista pretende che tutti i vietnamiti accettino il partito e Ho Chi Minh come uniche fonti della verità.

Il signor Enver Can ha testimoniato sulla situazione della popolazione del Turkestan orientale, attualmente parte della Cina (nella cui lingua si chiama Xinjang), nel quale sono di continuo violate le libertà fondamentali, sociali, politiche, economiche e di culto.

L’8 maggio 2003 sono stati ascoltati rappresentanti del MLDH-Movimento Lao per i diritti umani, che hanno denunciato numerosi esempi di violazione di libertà religiosa nel Laos (dove la maggior parte degli abitanti è buddista), e l’impossibilità di praticare qualsiasi forma di opposizione alla politica dello Stato.

Il direttore della sezione italiana dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, sentito dal Comitato il 28 maggio 2003, ha descritto l’attività dell’associazione, che opera attualmente in tutto il mondo e i cui rapporti annuali godono di vasta eco sulla stampa internazionale.

Nel corso dell’audizione del 25 settembre 2003, padre Giulio Albanese, missionario comboniano e direttore del MISNA (Missionary service news agency) ha focalizzato il suo intervento sulla situazione in Uganda e, in particolare, sulle atrocità perpetrate dai ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore, a partire dalla fine degli anni ’80, nel nord del Paese.

Nell’audizione del 27 marzo 2003 sono stati sentiti rappresentanti della sezione italiana di Amnesty international, che hanno affrontato i problemi della situazione umanitaria in Iraq, conseguente all’intervento militare, e le possibili ricadute su paesi limitrofi, e hanno illustrato la campagna di Amnesty sull’introduzione del reato di tortura. Rappresentanti di Amnesty International e di “Medici senza frontiere” sono poi stati sentiti (il 25 settembre 2003) in ordine alla situazione di conflitto in Cecenia.

Sulla situazione cubana è stato audito un gruppo di dissidenti guidati da Alina Fernandez e Bianca Gonzalez, i quali hanno chiesto una pressione sul governo di Fidel Castro che, servendosi della polizia politica, imprigiona oppositori e giornalisti sulla sola base di motivi ideologici.

Grave pericolo per il rispetto dei diritti umani in Colombia è stato segnalato dal rappresentante del CPDH (Comitato permanente per la difesa dei diritti umani), Pablo Cruz Ocampo, che, nel corso dell’audizione del 5 novembre 2003, ha dato conto degli ultimi sviluppi della situazione nel Paese, nel quale vige lo stato di emergenza. Il signor Ocampo ha manifestato preoccupazione, in particolare, per la politica di sicurezza democratica varata dal Presidente Uribe (in carica dall’agosto 2002), che prevede misure restrittive nel campo dei diritti civili e la creazione di un esercito di “informatori”, 25.000 dei quali armati.

Il 27 novembre 2003 sono state audite la fondatrice e la coordinatrice internazionale della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, signora Jody Williams e signora Elizabeth Bernstein. Le due rappresentanti si sono dette soddisfatte degli obbiettivi raggiunti dalla Campagna (insignita del Premio Nobel per la Pace nel 1997), che consistono nella riduzione drastica del numero dei Paesi che producevano e trasferivano mine antiuomo (da 54 a 13 nel giro di dieci anni), ma hanno anche spiegato che è necessario che la collaborazione con tutti i partner e i governi continui, affinché si possa realizzare una piena attuazione degli obiettivi della Convenzione per la messa al bando delle mine.

Il 19 febbraio 2004 è stata ascoltata l’avvocatessa Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, che si è soffermata sulle elezioni parlamentari iraniane, da tenersi il giorno successivo, e sul rapporto tra diritti umani e mondo islamico.

Sono stati nuovamente sentiti (20 luglio 2004) i rappresentanti di “Medici senza frontiere”, sull’emergenza nel Darfur, e i rappresentanti dell’ Associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, in occasione dell’uscita del rapporto per il 2004 predisposto dall’Associazione sul tema della libertà religiosa nel mondo.

Il 22 luglio 2004 si è svolta una nuova audizione di rappresentanti dell'associazione «Nessuno tocchi Caino», sui contenuti del rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo pubblicato dall’Associazione nelle settimane precedenti.

La Commissione esteri ha poi approvato, in data 28 luglio 2004, un documento interlocutorio predisposto dal Comitato, che riassumeva l'attività svolta nei primi due anni di lavoro e ne tracciava un primo parziale bilancio.

Nella seduta del 19 ottobre 2004 si sono svolte l’audizione di rappresentanti dell'Associazione «Giustizia e Pace» su episodi di violenza in Mozambico e quella di Beatrice Alamanni De Carrillo, Procuratrice per la difesa dei diritti umani della Repubblica di El Salvador.

L’8 novembre 2004 sono stati sentiti rappresentanti di Associazioni internazionali per i diritti delle persone forzatamente scomparse e delle loro famiglie, che si battono contro le sparizioni di persone prevalentemente in America Latina, in Africa e in Asia.

Nell'audizione del professore Riccardo Petrella, fondatore del Comitato internazionale per il contratto mondiale dell'acqua, che ha avuto luogo il 18 gennaio 2005, è stato affrontato il tema dell’accesso alle risorse idriche, considerato uno dei diritti fondamentali dell’uomo, unitamente alle possibili soluzioni al problema del mancato accesso per milioni di esseri umani.

Nell’audizione del 13 aprile 2005, i rappresentanti del Centro de derechos humanos Fray Bartolomé de las Casas sono intervenuti per informare circa le violazioni dei diritti umani che sono avvenute nel Chiapas (Messico), e in particolare delle persone che sono state giustiziate, dei desaparecidos  e della situazione degli sfollati in quella regione.

Ali Salem Tamek, Presidente dei Comitati di sostegno agli attivisti per i diritti umani del popolo Saharawi, sentito dal Comitato il 18 maggio 2005, ha ringraziato l’Italia per la posizione di solidarietà nei confronti del Sahara occidentale e ha denunciato la situazione di stallo in cui il paese versa, stante la non applicazione del piano Baker.

Infine, sono stati uditi Rappresentanti del Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la malaria e la tubercolosi (22 giugno 2005), che hanno dato notizia dei progressi e dei risultati incoraggianti che il lavoro del Fondo sta ottenendo.  

Escludendo quanto già detto per la ratifica di Accordi in materia di diritti umani, da un punto di vista strettamente normativo si ricorda l’approvazione di due leggi: la L. 6 ottobre 2005, n. 213, con la quale si è autorizzata l’integrazione del contributo dovuto dall’Italia per la partecipazione italiana alla Corte penale internazionale a seguito dell’incremento del bilancio deciso dalla Conferenza delle Parti; la L. 20 aprile 2005, n. 74, volta ad erogare, per il quinquennio 2004-2008, un contributo volontario annuo pari ad euro 120.000 al Fondo delle Nazioni Unite per le vittime della tortura, istituito nel 1981 con il compito di finanziare i programmi delle organizzazioni non governative che offrono assistenza umanitaria alle vittime della tortura e alle loro famiglie.

La Commissione esteri ha altresì approvato in data 26 luglio 2005 una risoluzione che impegna il Governo ad appoggiare i progetti di riforma della Commissione sui diritti umani (v. scheda Nazioni Unite – Il nuovo Consiglio per i diritti umani), nonché, insieme alla Commissione giustizia, una risoluzione che impegna il governo ad adottare iniziative, anche normative, per rimediare ai deficit strutturali rilevati dalla Corte di Strasburgo nelle sentenze di condanna emanate nei confronti dello Stato italiano (3 maggio 2005).

Le iniziative in ambito ONU

Il sistema italiano di controllo del rispetto della normativa delle Nazioni Unite in materia di diritti umani si basa principalmente sulla presentazione di rapporti governativi da parte del Comitato interministeriale dei diritti dell’uomo (CIDU)[2] ai comitati di esperti istituiti nel quadro dei Patti[3] e delle altre convenzioni internazionali adottate in materia.

L’Italia peraltro è uno degli Stati - non molto numerosi - che hanno aderito anche alle altre procedure che consentono l’esame di ricorsi individuali o di denunce avanzate da uno Stato contro un altro[4].

Di rilievo, in tema di diritti umani, la legge 11 marzo 2002, n. 46, con la quale si è autorizzata la ratifica dei due Protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, adottati in occasione del decimo anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione, concernenti il primo lo sfruttamento dei bambini per fini sessuali e  il secondo il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (entrambi i Protocolli furono firmati a New York il 6 settembre 2000).

Tra le altre iniziative a favore dei diritti umani intraprese dal nostro Paese nell’ambito delle Nazioni Unite nel corso della passata legislatura, si segnala poi l’Accordo tra il Governo italiano e l’ONU per l’esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, sottoscritto il 17 marzo 2004 (ratificato con la L. 6 febbraio 2006, n. 64) allo scopo di consentire che le persone condannate da quella Corte possano espiare la pena in Italia.

Le iniziative in ambito Consiglio d’Europa

Con la legge 15 dicembre 2005, n. 280, l’Italia ha ratificato il Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004.

La Convenzione, stipulata dai Paesi del Consiglio d’Europa[5], ha delineato un sistema di protezione dei diritti umani da più parti riconosciuto come la più perfezionata struttura del genere operante al mondo. Il testo originario della Convenzione è stato, negli anni, integrato e modificato da numerosi Protocolli. Tale sistema assume un carattere sussidiario rispetto alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli Stati membri, accogliendo il principio del “previo esaurimento dei ricorsi interni” rispetto all’attivazione del sistema internazionale. L’obiettivo del Consiglio d’Europa, in linea con i principi internazionali in materia di tutela dei diritti umani, è quello di far sì che il rispetto dei diritti umani sia assicurato innanzitutto dai singoli ordinamenti nazionali.

Per quanto specificamente concerne il Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, esso emenda il sistema di controllo della Convenzione, ma non è ancora entrato in vigore, essendo a tal fine necessaria la ratifica di tutti i Paesi parte della Convenzione [6]. Il Protocollo si propone di modificare alcune procedure interne della Corte europea per snellire l’eccessiva mole di lavoro cui sia essa sia il Comitato dei ministri sono sottoposti. Con l’aumento del numero degli Stati membri del Consiglio d’Europa e degli Stati parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la gestione dei ricorsi è divenuta infatti assai complessa.

 

E’ stata inoltre autorizzata la ratifica della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli (v. par. successivo), il cui iter era stato interrotto alla conclusione della XIII legislatura.

La tutela internazionale dei minori

Come anticipato, nel corso della XIV Legislatura le Camere hanno autorizzato (Legge 20 marzo 2003, n. 77) la ratifica della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 in seno al Consiglio d’Europa, in vigore dal 1° luglio 2000.

 La Convenzione si applica ai fanciulli minori di diciotto anni e mira a promuovere i diritti degli stessi e ad agevolare l’esercizio di diritti procedurali loro attribuiti in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria.

I diritti procedurali riconosciuti al fanciullo, nelle procedure innanzi ad un’autorità giudiziaria sono:

§         il diritto a ricevere ogni informazione pertinente;

§         il diritto ad essere consultato ed esprimere la sua opinione;

§         il diritto ad essere informato delle conseguenze dell’attuazione della sua opinione e di quelle di ogni decisione.

La Convenzione disciplina quindi le procedure che concernono i minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, chiarendo che esse sono considerate “procedure di diritto familiare”; viene poi disciplinato il ruolo dei rappresentanti  e sono previste misure, quali la mediazione, per prevenire e risolvere i conflitti ed evitare procedure che coinvolgano il fanciullo innanzi ad un’autorità giudiziaria.

 

Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, inserita nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (ratificato dall’Italia con la legge n. 57 del 7 aprile 2005[7])  riconosce, all’articolo II-84, i diritti dell’infanzia, mentre all’articolo II-92 - relativo al divieto del lavoro minorile e alla protezione dei giovani sul luogo di lavoro - stabilisce che l’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo.

 

 



[1]     Nella XIV legislatura la Commissione Affari esteri della Camera ha istituito il Comitato permanente sui diritti umani nella seduta del 18 luglio 2001.

[2]     Il CIDU svolge, tra le istituzioni nazionali che si occupano dell’attuazione dei diritti umani in Italia, un ruolo preponderante; istituito con decreto del Ministro degli esteri del 15 febbraio 1978, presso il quale ha sede, esso rappresenta la sede istituzionale nella quale vengono predisposti i rapporti periodici che l’Italia è tenuta a presentare alle Organizzazioni internazionali di cui è membro, in merito all’attuazione degli impegni assunti con la ratifica di convenzioni internazionali sui diritti umani. Il Comitato ha inoltre la funzione di vigilare sull’attuazione delle norme internazionali recepite nell’ordinamento italiano, svolgendo così anche un’azione propositiva presso le istituzioni nazionali e mantenendo rapporti costruttivi con le ONG che operano nel settore dei diritti umani. Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 80 del 1999, il Comitato è tenuto a presentare al Parlamento una relazione annuale sull’attività svolta e, più in generale, sulla tutela e il rispetto dei diritti umani in Italia. L’ultima relazione, relativa all’anno 2004, è stata trasmessa al Parlamento dal Ministro degli Affari esteri in data 4 luglio 2005 (Doc. CXXI, n. 5).

[3]     Si tratta del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966 e ratificati dall’Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881.

[4]     L’Italia si è inserita nel sistema di protezione dei diritti umani gestito dall’ONU quando ne era già stato delineato il quadro di riferimento. Il nostro Paese non ha infatti preso parte all’elaborazione della Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, né era membro dell’Organizzazione quando è stata adottata, nel 1948, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. A partire però dal suo ingresso all’ONU (l’Italia ha ratificato la sua adesione con la legge n. 848 del 17 agosto 1957), ha prestato il suo impegno e il suo contributo sia in occasione dell’adozione dei due Patti internazionali del 16 dicembre 1966 (v. nota precedente), sia in sede di elaborazione di tutti gli strumenti, costituiti da convenzioni internazionali o dichiarazioni di principio contenute in risoluzioni dell’Assemblea Generale, che sono seguiti ai Patti del 1966 in vari settori, con lo scopo di precisare maggiormente la normativa internazionale sui diritti umani.

[5]     Fatta a Roma il 4 novembre 1950, è entrata in vigore il 3 settembre 1953.

[6]     Alla data del 21 marzo 2006 il Protocollo n. 14 risulta firmato da 45 Stati e, tra questi,  ratificato da 32. La Russia è l’unico Paese del Consiglio d’Europa che non ha neppure firmato il Protocollo.

[7]     L’Italia è stato il quarto Paese dell’Unione a completare la procedura di ratifica del Trattato.